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RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
P
roprio il 30 gennaio,
mentre avevo notizia della chiusura del
giornale del pomeriggio «La Notte», fondato il 6 dicembre del
1952 da Nino Nutrizio,
mi capitava fra le mani,
spostando dei libri, la
«pizza» su cui, venticinque anni fa, l’amico
Andrea Musi aveva
fatto registrare la cerimonia tenuta domenica 11 ottobre 1970
nella Sala del Grechetto, a Milano, in
occasione dei cinquant’anni della fondazione dell’Unione
Stenog raf ica Lombarda «Andrea Marchiori».
Ne parlai con Paganini,
anche perché non avrei
saputo come riascoltare la «pizza», registrata
su nastri ormai da tempo fuori commercio, e,
nel comune ricordo di
quella cerimonia in cui
Nino Nutrizio svolse il
compito di oratore ufficiale, convenimmo sull’opportunità di «recuperare» almeno il testo
di quel discorso.
Grazie alle conoscenze
di Paganini e all’opera
tecnica di Maurizio
Pini, abbiamo potuto
risentire le parole di
Nutrizio e abbiamo
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IL GIORNALE
‘LA NOTTE’
DI MILANO
HA CHIUSO
Rendiamo omaggio al “mitico” fondatore e
direttore, Nino Nutrizio, riportando un suo
intervento stenografico di venticinque anni fa
di Giuseppe Capezzuoli
ritenuto di renderle
pubbliche attraverso la
nostra Rivista, perché
raramente si sono
potuti leggere giudizi
così giustamente positivi sulla stenografia,
sul suo valore educativo e culturale, sulla
fatica che richiede il
suo apprendimento,
ma anche sulle soddisfazioni personali che
se ne possono trarre e i
vantaggi che ne possono derivare.
Ma ci è parso anche
doveroso – proprio
mentre la sua creatura
scompare dalla scena
dei quotidiani milanesi
– rendere omaggio alla
Nino Nutrizio (1911-1988) al suo tavolo di lavoro.
dirittura morale e alla
tenacia di Nino Nutrizio, che tante innovazioni ha portato nel
panorama dell’editoria
quotidiana in Italia.
Ed ecco il testo del discorso.
S
ignor presidente,
signore e signori,
la ringrazio per l’onore
che lei m’ha fatto di invitarmi a celebrare il cinquantesimo anniversario
dell’Unione Stenografica
Lombarda «Andrea Marchiori». Debbo però dirle
che sarò contento soltanto
a cose fatte, a discorso
pronunciato, perché è la
prima volta nella mia
vita che tengo un discorso
ufficiale. Quindi è come
se avessi, non so, 15-16
anni, come fossi al mio
debutto. Sono un nemico
della retorica. Per me, è
come un palloncino colorato. Appena ne vedo
uno, zac, con uno spillo
vado a pungerlo per vedere cosa c’è dentro: aria
fritta. Ora, non potrei
fare un discorso retorico
perché sarebbe triste poi,
alla fine, vederlo cosparso
di vescichette vuote, prive
d’aria. E quindi mi sono
trovato in grosse diff icoltà. Tra l’altro mi
preoccupa estremamente
il fatto che ci siano, alla
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mia destra – ho fatto
finta di non vederli – stenograf i che raccolgono
quello che dirò e grazie ai
quali si dimostrerà poi,
cartelle alla mano: già, lo
sapevamo che non sa scrivere, ma è dimostrato
anche che non sa parlare.
E questo non è simpatico
per un vecchio giornalista
che dirige da diciotto anni
un giornale, non autorevole, ma abbastanza diffuso e popolare. Tre anni
fa, un mio illustre collega,
Enrico Mattei, allora
direttore de «La Nazione», chiamato a celebrare il 91° anniversario
dell’Istituto Stenografico
Toscano, si schermì: «Non
sono degno di parlare
davanti a voi», perché,
confessò, era uno stenografo mancato, cioè aveva
cominciato come stenografo ed era finito come
giornalista.
I
o ho accettato, immodestamente, di parlare, perché ho iniziato
come giornalista e poi mi
sono reso conto che era
fondamentale, per la mia
professione, integrarla
con la stenograf ia. Vi
parlo nella veste che abitualmente è quella dei
ministri – ed io non lo
sono –: i ministri normalmente, quando arrivano
in un consesso, sono quelli
che, per ragioni politiche o
di avvicendamento, ne
sanno meno della materia
di cui si tratta. E così oggi
a voi io parlo perché sono
sicuro che in questa sala
sono lo stenografo di terracotta costretto a parlare
davanti a stenograf i di
ferro. Ho l’impressione
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
che lo si legga in fronte. Vi
ripeto, supererò la prova
fidando sulla vostra comprensione e sul vostro
buon cuore.
C
he cos’è questa stenografia? Quali le
sue caratteristiche? È mai
possibile che io, a voi che
alla stenograf ia avete
dedicato la vita, venga a
dire che cos’è? Me ne
guarderei bene. Ho letto
con attenzione e interesse
i discorsi che sono stati
pronunciati in occasioni
analoghe negli anni scorsi;
ho letto l’opuscolo che
i valorosi collaboratori
dell’avvocato Marchiori
hanno preparato; ho
appreso molte cose; ho
conosciuto, attraverso quegli scritti, uomini che
hanno dato lustro alla stenografia. Ne citerò uno
solo: il padre del vostro e
nostro presidente, l’illustre
fondatore di questa
Unione che per me, giovane giornalista immigrato
da Genova, era un mito.
Ne ho sempre sentito parlare, ed è rimasto un mito
perché credo di non averlo
conosciuto: non l’ho mai
incontrato, non ho mai
avuto la fortuna (e la
paura) di lavorare con lui.
Era un mito duplice, perché era un insigne stenografo e maestro di stenografia e perché aveva crea-
In alto: L’ultimo numero
de “La Notte”, uscito
il 30 gennaio 1995.
In basso: La pagina che
“La Repubblica” ha dedicato
alla chiusura de “La Notte”.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
to la famosa, mitica segreteria di redazione del
«Corriere della Sera» che
ancor oggi, guidata da
Antonino Crea, suo allievo ed amico, è all’altezza
della situazione e sicuramente la prima d’Italia ed
una delle migliori d’Europa.
Ora, per uno come me,
che da diciotto anni fa
tutti i giorni un giornale
cominciato dal nulla, che
ha impiantato con i
modesti mezzi di cui
disponeva una segreteria
di redazione e che quotidianamente si trova ad
affrontare problemi che si
debbono superare nel giro
di pochi minuti, via via
che il tempo passa il mito
del professor Marchiori
nella testa e nell’animo
cresce.
9
riservatezza e di riguardo
nei confronti del suo genitore che era l’organizzatore, il promotore e il presidente della manifestazione, il qui presente avvocato Marchiori, che eguagliò
l’impresa di Madia e che
avrebbe potuto condividere con lui il titolo di campione mondiale di velocità, non volle figurare.
sioni si provano leggendo
le cose degli stenografi,
frequentandoli, conoscendoli. Danno l’impressione
di una confraternita religiosa, la sensazione di un
convento di clausura.
Sono degli innamorati
della stenografia che conservano, verso questa loro
amica, l’amore e l’affetto
del primo gior no. Non
D
a Crea ho saputo
anche di un altro
episodio. C’è, negli annali
di questo Istituto, un avvenimento quasi leggendario
sul piano della stenografia: quello che ha per protagonista il dottor Giustino Madia, il quale, in una
memorabile impresa stenografica – nel 1940, credo –
in un minuto, mitragliato
da 550 sillabe, riuscì a fermarle sulla carta, in ragione di quasi dieci sillabe al
secondo, conquistando
quello che oggi, in gergo
sportivo, si direbbe il titolo
di campione mondiale di
velocità stenografica.
C’era quel giorno – e non
so se tutti voi lo sapete –
un altro stenografo che,
diciamo così, per continuare in questa fraseologia sportiva, correva in
incognito. Per motivi di
Così “Il Giornale” ha ricordato “La Notte”.
Evidentemente già allora
era un uomo d’altri
tempi...
Ora non intendo ripetere
quanto è stato già detto
da altri. Ma, prima, l’avvocato Marchiori ha detto
che io darò, e dirò, qualche impressione. Effettivamente alcune impres-
sono mai dei delusi. Parlo
non dello stenografo occasionale, di quello che
impara un po’ di stenografia appiccicaticcia e
poi la dimentica. Parlo di
coloro che, come voi,
hanno dedicato alla stenografia la vita.
Il vostro maestro e fonda-
tore, diciannove anni fa,
inaugurando il trentunesimo anno sociale, lamentava, allora, il malcostume «attualmente imperante di aprire corsi ogni due
o tre mesi» per illudere i
giovani che si presentavano di ottenere con rapidità
e facilità quella che lui
chiamava una «piaga sociale», il diploma. Si dichiarava contrario a tutte
le facilitazioni e a tutti i
pressappoco; non si stancava di ripetere che non
dipende da noi, insegnanti, ma da loro, allievi, e
dalla loro applicazione,
ottenere risultati positivi.
E non perdonava a una legislazione sciagurata e
pervicace di non aver reso obbligatorio nelle scuole
medie superiori l’insegnamento della stenografia
come materia fondamentale. Una materia indispensabile all’uomo che,
superato il traguardo della prima scuola dell’obbligo, si avvia verso una carriera scientifica o professionale libera.
Che cos’è questa stenografia, è stato chiesto: un’arte, una scienza o una
materia grafica come la
calligrafia? È un’arte aristocratica, è stato risposto, ricordando che «aristos» in greco signif ica
«ottimo». È una scienza
precisa impostata su rigide basi scientifiche perché
ha previsto nei minimi
dettagli tutto. Non può
essere una materia grafica, perché non ha la centrale nella mano, ma nel
cervello.
La stenograf ia, a mio
avviso, è un’arma, un
arricchimento e una supe-
10
riorità. Sarebbe ridicolo se
ce ne andassimo per strada con una spilla sul
«revers» della giacca o
una «broche». Ma, a mio
avviso, un uomo, e tanto
più una signora, che
conosce la stenograf ia
equivale ad uno con una
spilla di brillanti sul
«revers», perché possiede
un arricchimento interiore che non ha bisogno di
esibire sempre: ma lo tiene
per sé, per il momento del
bisogno.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
quelle, sono felici di farlo,
e non hanno bisogno dei
milioni.
C’è un ordine nella stenografia, perché la rigorosa
precisione del segno non
consente a uno sbadato, a
un disordinato, a un
distratto, di fare della stenografia. Quei segni così
cui – e io li ho visti – gli
stenografi sono dei precisini, con le loro matite
tutte affilate, con la punta
lunga, con le loro cartelle
messe bene. Sono degli
ordinati. Lo stenografo
disordinato è un poveretto
che non può fare della stenografia vera.
S
e penso alla stenografia – è una fantasia la mia – collegandola
al mondo animale immagino un felino, perché,
guardando la matita dello
stenografo che cammina
sulla carta morbida, veloce, carezzevole, sinuosa,
penso al gatto, alla lince,
al giaguaro, alla pantera,
alla tigre, al leone. Non
certo all’ippopotamo, all’elefante e tanto meno alla
tartaruga.
Si può parlare di un’onestà della stenografia perché fino ad oggi, per quanto ne so, non si è mai avuta notizia, con grandi titoli sui giornali, dello stenografo scappato con la valigia di milioni, dello stenografo che ha sequestrato
qualcuno e ha chiesto un
riscatto di centinaia di milioni. Che discorso!, si
dirà. Gli stenografi non
vengono tenuti a contatto
con i milioni. Ma non è
per questo. È che gli stenografi, per loro libera decisione, hanno la testa, e il
cuore, pieni di sigle e di
abbreviazioni logiche, di
fusioni e di consonanti
composte. Scappano con
Anche la “Voce” di Montanelli ha dedicato ampio spazio a
“La Notte”.
minuti, così precisi –
sopra la base, sulla base,
sotto la base, rinforzati,
non rinforzati – obbligano
alla precisione. Una precisione non soltanto mentale, ma anche fisica, per
C’è l’utilità della stenografia, ovviamente, divisa
– a mio giudizio – in tre
settori fondamentali.
Quello più comune e più
conosciuto, e a torto non
giustamente apprezzato
da chi è un po’ in alto,
della stenografa commerciale, per cui si crede che
lo stenografo sia poco di
più di una dattilografa
che batte a macchina cose
che ha scritto lui: errore
grave. C’è lo stenografo
giornalista e parlamentare, di cui non vi illustrerò
le glorie e i fastigi. E c’è
infine quella terza «forma» di stenografi, nella
quale modestamente mi
sono inserito, che considero fondamentale per una
persona – alcuni dicono
colta, io dico, più che
colta, intelligente – la
quale cerca di procurarsi
un mezzo per poter accelerare, rendere più rapidi,
più agili gli appunti, il
lavoro abituale. Di chi
insomma lavora a tavolino e deve preoccuparsi di
questo mezzo che gli consente di ridurre di una
metà, di un cinquantesimo, di un ventesimo il
tempo impiegato rispetto
agli altri. Ed è una superiorità.
Tutto ciò richiede un cervello che funzioni, una
mano veloce, una preparazione di studi linguistici non indifferente. In
quanti siamo? In pochi.
Richiede una volontà di
ferro che non si fermi
dinanzi agli ostacoli che
si frappongono. In quanti
siamo? Pochissimi. E allora ecco i moderni mezzi
di registrazione della
voce. La civiltà dei consumi potrà dotare chiunque
di un registratore tascabile, che consenta di fare
tutto quello che si vuole.
Ma questo registratore
non accelererà di un
secondo la velocità delle
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
percezioni e dei riflessi,
non consentirà di essere
fieri, orgogliosi, soddisfatti di noi stessi, dei sacrifici compiuti e delle difficoltà superate. Non consentirà, il registratore, di
applicare al cervello quella dieta magra che è la
stenograf ia, e che gli
impedisce di metter su
pancia. Il cervello dello
stenografo non può essere
flaccido, obeso, con i
riflessi appannati, perché
se è così non è più un cervello di stenografo: gli
manca quello sprint che è
alla base dell’attività stenografica.
11
menti, per il resto sudore,
fatica e lavoro ci sono.
Questa citazione mi ha
fatto pensare a un mio
caso. Poco tempo dopo,
nel marzo del 1941, venni
fatto prigioniero. Non
sapevo una parola di
inglese, e niente di stenograf ia. La stenograf ia
sapevo che esisteva perché
ero da anni in un grande
qui presente, il povero de
Colle e tanti altri. Mi era
rimasta impressa questa
loro capacità, e mi dicevo:
se io sapessi fare questa
cosa, chissà come potrei
cavarmela meglio con gli
appunti, nel mio lavoro.
Così, fatto prigioniero,
per non intrupparmi con
un mazzo di carte dalla
mattina alla sera, come
H
o trovato, nel bellissimo opuscolo
preparato in occasione del
cinquantesimo
dell’Unione Stenograf ica
Lombarda, una frase che
mi ha fatto ricordare
Winston Churchill. E da
Churchill, per connessione
di idee, sono arrivato al
periodo, non certo lieto
per altri aspetti, in cui io
ho appreso la stenografia.
Andiamo con ordine. Dice
il libretto: la stenografia
promette soltanto lavoro,
sudore, fatica. Il 13 maggio 1940, in piena offensiva aerea tedesca su
Londra, presentandosi
alla Camera dei Comuni
per tenervi il primo
discorso di guerra,
Winston Churchill disse
alle Camere attonite, sgomente: «I offer you
nothing but blood, torment, tears and sweat:
Non vi offro altro che sangue, tormenti, lacrime e
sudore». Se non è stenografia, poco ci manca. Se
togliamo il sangue e i tor-
fine avevo un bagaglio di
vocaboli abbastanza valido per cominciare a sbrogliarmela con l’inglese.
Un inciso: due anni dopo,
una mattina alle sette,
con la sentinella, ci portarono al cinema, a vedere
un film il cui parlato era
in inglese o in americano:
non capii una parola. E
tornando, sempre con la
sentinella, piangevo, come
piangeva questa mattina
mia figlia Cristina perché
aveva fatto arrabbiare la
mamma. Piangevo perché
dopo due anni di sudore,
di lavoro e di fatica, non
avevo capito una parola.
Un altro avrebbe abbandonato, ma io ho insistito,
e tempo dopo, al rientro
in Italia, su dodicimila
ufficiali ero uno dei due
interpreti. Dunque, modestamente, qualche cosa mi
era riuscito.
C
Il “Corriere della Sera” ha titolato a tutta pagina la chiusura
del giornale del pomeriggio milanese.
giornale milanese e avevo
cari amici stenografi che,
dalle città nelle quali
andavo a seguire le corse
ciclistiche o le partite di
calcio, riuscivano inspiegabilmente a fermare
sulla carta tutto quello
che io dicevo con grande
rapidità. Si chiamavano
Jacomucci, si chiamavano
il mio caro amico Farulli
faceva la maggioranza, o
per non stare seduto su
una pietra a disperarmi e
a piangere, come faceva la
maggior parte dei deboli,
decisi di studiare. E non
avendo a disposizione,
come testo, che una copia
del «Time-willy», di quel
giornale imparai a memoria tutte le parole, dalla
prima all’ultima. Alla
onsentitemi un
altro ricordo personale. A un certo punto,
invitato dai superiori e
dagli amici il sabato, fra
le undici e le dodici, in
attesa di un rancio che
era sempre crudo perché
pioveva e la legna era
bagnata (e, se anche fosse
stata asciutta, non c’era
niente da mettere nella
pentola), intrattenevo i
miei colleghi, coloro che
volevano venire a sentirmi, che potevano abbandonare per un’ora il
mazzo di carte e le importantissime partite di
ramino, sulla situazione
militare, economica, su
quello che la mia lettura
settimanale dei giornali
mi consentiva di riferire.
Una volta feci un profilo
12
di Churchill, di questo
leone formidabile per la
sua tenacia che galvanizzò la resistenza inglese
nel momento più delicato
della guerra. Dissi: se il
nostro d’Annunzio, per
aver fatto un volo su
Vienna e aver buttato giù
un po’ di manifestini, era
stato considerato un
uomo del valore di una o
due divisioni da parte
dello Stato maggiore austroungarico, questo
uomo, che teneva in piedi contro la Germania
un’intera nazione in guerra, valeva un intero Corpo d’armata o un’Armata
addirittura.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
carta, e via sigle a tutta
forza. Voi denunciatemi,
poi ci penseremo.
Poco tempo dopo, il 25
luglio, cadde l’odiato
Ventennio, come si dice
adesso, e il 26 mattina
altri colleghi ed amici si
recarono al comando
inglese a denunciar mi
come sporco fascista.
Anche in quell’occasione
dissi: lasciatemi tranquillo, che devo fare le mie
sigle. Ero sempre piuttosto
quadrato, piuttosto di
buon senso e piuttosto
equidistante dagli estremismi di una parte o dell’altra. Tale ho cercato di
conservarmi nel tempo.
Naturalmente, invece,
attorno a noi ci sono persone che secondo il girar
F
inita la mia breve
esposizione, alcuni
camerati di sicura fede –
così si chiamavano allora
– si riunirono in una
tenda e stesero un verbale
nel quale, sotto il vincolo
del giuramento, si impegnavano a denunciarmi
come traditore, al ritorno
in Italia, perché avevo
esaltato la f igura del
nostro peggiore nemico.
Naturalmente, in un
Paese riservato come il
nostro, le cose segrete si
sanno dopo un’ora. Ci fu
una brava persona che me
lo venne a raccontare.
Dissi: per favore lasciatemi tranquillo, che ho da
riempire qui dei pacchi di
carta igienica di sigle.
Carta igienica? Sì, purtroppo, perché la carta
igienica era l’unica di cui
disponevamo. Una carta
igienica «vetrata», sui cui
dettagli non mi soffermo.
C’era chi me la forniva: io
davo le sigarette – non
fumavo –, gli altri la
Il messaggio di solidarietà della figlia di Nino Nutrizio. La
redazione ha ricevuto migliaia di fax e telegrammi.
del vento si buttano da
una parte o dall’altra.
Non era un excursus politico il mio. Volevo soltanto collegare la mia esperienza stenografica a questa vicenda. E ho finito.
A
bbiamo parlato di
volontà e di sacrif ici, di disciplina e di
ordine, di serietà e di
impegno. Tutte qualità di
una volta. Oggi si vuole
tutto, subito, senza fatica,
senza sacrifici. E se non
lo si ottiene all’istante,
sono contestazioni, proteste, occupazioni, con i
genitori che sposano la
causa degli allievi. Ai
miei tempi, mio padre
sposava le cause dei professori e si serviva della
cinghia dei pantaloni.
Dicono oggi gli psicologi
che non è un sistema educativo valido. Io con mia
figlia Cristina non l’adopero, però nella mia
memoria ha un valore, un
valore impalpabile, sovrano.
La stenografia, si potrebbe dire, è una conservazione progressista; è una
scienza che ha previsto
tutto non lasciando nulla
al caso, mentre la vita di
oggi non prevede nulla e
lascia quasi tutto al caso.
Mi è sfuggita una battuta.
Volevo dirvi che lo stenografo, prima di tutto, non
può essere un «suonato»,
perché se lo è, non è stenografo. La seconda cosa è
che lo stenografo è come
un Berruti che cammina
in mezzo alla gente. Ma
che se, a un certo momento, sente il colpo in aria
della partenza, non ha
bisogno di altro: gli altri
13
restano e lui scatta via
come una gazzella.
Questo è lo stenografo: ha
un cambio di marcia, non
nei piedi o nelle ruote, ma
nel cervello. È una piccola
soddisfazione per voi e per
me, stenografo di serie C.
Comunque, dopo tutto
quello che ho detto di sentita esaltazione della stenograf ia, trovo che per
essere meritevole dell’onore che il presidente m’ha
fatto di invitarmi, e voi di
ascoltar mi, ci sia una
sola strada aper ta. Le
forze di volontà giovanile,
che spero non mi abbiano
del tutto abbandonato, mi
indurranno a presentarmi in settimana all’Unione Stenograf ica
Lombarda chiedendo l’iscrizione a uno dei corsi
che stanno per cominciare!
I
n armonia col carattere dell’Uomo, queste
ultime parole non furo-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
no vaghe e vane promesse. Nino Nutrizio si
iscrisse al corso tenuto
personalmente dall’avvocato Alberto Marchiori, a Palazzo Dugnani, e per mesi partecipò attivamente alle
lezioni, g iungendo a
mandare la «giustificazione» dell’assenza
quando i suoi doveri di
direttore di un giornale
lo richiamavano altrove.
Vorrei chiudere ricordando i motivi per cui,
per 25 anni, è caduto il
silenzio su questa preziosa testimonianza.
Con l’amico Musi eravamo intenzionati – a
cerimonia ultimata – a
pubblicare un secondo
opuscolo con la cronaca della giornata, l’elenco dei partecipanti,
gli interventi, i riconoscimenti, i premiati,
completando il tutto
con l’eco sulla stampa.
E bisogna dire che
questa eco ci fu, e notevole: basti accennare
a un pezzo di tre colonne in terza pagina
sul «Cor riere della
Sera». L’aspettativa era
che le iscrizioni affluissero numerose, almeno sufficienti ad occupare la trentina di posti di un’aula (negli
anni Trenta, in via Palermo, l’Unione attirava, in sette-otto aule,
due o trecento allievi).
Si capirà allora la delusione di quanti si erano
occupati attivamente
della realizzazione della
manifestazione. Gli
iscritti, in quell’ottobre
del 1970, si contavano
sulle dita delle due
mani, tanto che, per evitare al direttore de «La
Notte» di trovarsi dinanzi a un «forno», dovemmo mobilitare amici e parenti per fare degna corona a una lezione che Alberto Mar-
chiori si era preparata
con particolare attenzione grazie alle sue
enormi capacità: voleva
far bella figura sul Direttore. Ricordo di avere stenografato anche
quella lezione (chissà
dove mai sarà andata a
f inire). Ricordo comunque il f inale di
quell’ora e mezza: la
stenoscrizione alla lavagna dei primi versi dell’Iliade (o dell’Odissea?)
in italiano, latino, greco,
francese, inglese e forse
tedesco. Certamente in
sei lingue diverse.
„
Dopo Nino Nutrizio
(ha lasciato “La Notte” nel
1979), si sono succeduti alla
direzione: Livio Caputo,
Pietro Giorgianni, Carlo
Palumbo, Cesare Lanza,
Giuseppe Botteri e
Massimo Donelli.
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