RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 1 A14 2 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI CONVEGNO A FIRENZE «N oi abbiamo avviato una sinergia di specialisti, di tecnici, come avviene in molte aziende. Io non sono un competente delle vostre materie. Ho studi letterari, con conoscenze di linguistica e specializzazioni nell’ambito editoriale. Per questo è preziosa l’opera dei tecnici, ai quali abbiamo delegato il compito di approfondire i rapporti con l’Università di Firenze, nella persona del professor Clemente, preside della Facoltà di Lettere, di organizzare convegni e seminari di studio, di potenziare sempre più l’incisiva presenza della “Rivista degli Stenografi”, come veicolo e palestra di tutti gli studiosi italiani». C on queste parole, il dottor Marco Morganti ha salutato e dato il via ai lavori dell’Assemblea cong iunta della Federazione Stenografica Italiana «GabelsbergerNoe» e dell’Associazione Stenografica Magistrale Italiana «Gabelsberger-Noe», svoltasi a Firenze, presso la Fondazione Giulietti, il 25 febbraio u.s. Erano presenti: il prof. DELLA FEDERAZIONE E DELL’A.S.M.I. Angelo Quitadamo, presidente della Federazione; il prof. Paolo A. Paganini, presidente della Magistrale; la prof. Mariavittoria Nicodemi, direttrice dell’Istituto di Magistero Stenografi- Il saluto del dottor Marco Morganti, Presidente della Fondazione Giulietti e Direttore responsabile della «Rivista degli Stenografi» co di Milano; lo storico della stenografia Attilio Ottanelli; la prof. Vittoria Bolognesi, presidente della Società Stenografica di Bologna; la prof. Elisa Castellano Polo, responsabile della Unione Stenografica di Trieste; Nerio Neri, direttore tecnico della «Rivista degli Stenografi» e consigliere della Fondazione Giulietti; Eleonora Pagano, membro del collegio dei Sindaci della Magistrale; il dottor Ferdinando Fabi, invitato dalla Federazione, in rappresentanza dell’Unione Stenografica Italiana - Sistema Cima. Hanno dato la loro adesione Pierina Fabris, Giovanni Bodini, Giuseppe Capezzuoli, Giuseppe Piccotti, Emilio Catanese, assenti giustificati. H a preso per primo la parola Paolo A. Paganini, che ha spiegato ed esaminato la paralisi, per problemi «procedurali», in cui s’è dibattuta l’Associazione Stenografica Magistrale dal Congresso di Trieste del ‘91 ad oggi. L’annullamento delle votazioni e delle cariche sociali, per vizi formali, delle elezioni svoltesi RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 3 zante iniziativa organizzativa, s’è detta scettica sulla risposta degli insegnanti, i quali «andrebbero risvegliati dalla demoralizzata depressione, alla quale sono stati condannati dall’incuria dello Stato». Mariavittoria Nicodemi propone di unire Fe- nel ’91; l’impossibilità di convocare una nuova assemblea, per la mancata adesione dei Soci; la decadenza naturale delle cariche sociali, per la morosità degli iscritti, hanno limitato e compromesso la vita della Mag istrale. Per renderla, ora, statutariamente funzionante, il prof. Paganini ha quindi spiegato come sia necessario rimuovere la vincolante pregiudiziale formale dei soci morosi. Ha proposto di fissare in Lire 10.000 la sanatoria degli anni precedenti, più Lire 10.000 per l’anno sociale in corso. La proposta è stata accettata all’unanimità. Seguirà pertanto una lettera informativa a tutti i Soci, dopo di che verrà indetta, in tempi brevi, una Assemblea per provvedere al rinnovo delle cariche sociali. Elisa Castellano Polo, nel sottolineare le inenarrabili difficoltà, anche economiche, nelle quali si dibatte la storica Unione Triestina, ha portato la propria testimonianza di fede e di passione nei confronti di una materia, erroneamente considerata superata. «Dalla scuola di giornalismo della Facoltà di Magistero fino Vittoria Bolognesi, pur plaudendo alla rivitaliz- all’Università della Terza Età ho trovato a derazione e Magistrale in un’unica istituzione, per conferire maggiore incisività all’opera di recupero, di organizzazione e di rilancio delle forze stenografiche. Trieste consensi, simpatia e adesioni per organizzare dei corsi». Angelo Quitadamo stigmatizza la tendenza di addossare alle istituzioni delle responsabilità, che sono invece attribuibili ai singoli. «Certamente, dal ‘74, c’è stato un deteriora- mento della preparazione culturale e professionale dei docenti, da quando cioè sono stati istituiti i corsi abilitanti. Da parte degli insegnanti c’è stata una caduta di ideali, che rispecchia la confusione della situazione nazionale. Non sappiamo come orientarci, siamo privi di punti di riferimento, siamo demotivati. Ma noi siamo qua. Ancora crediamo. E se dobbiamo morire, moriremo in piedi! A Napoli, ho una sede con due sfratti giudiziari. Ci battiamo per non disperdere quello che abbiamo costruito in tanti anni. A Roma è la stessa cosa. Gli eredi di Maria Ponti hanno contestato il nostro diritto alla sede che la nostra Amica aveva manifestato di volerci lasciare. Poi, in una situazione generale obiettivamente difficile – aumentano i bisogni, il lavoro è diminuito – c’è da considerare che passano gli anni, i ricambi non ci sono, il virus dello scetticismo ha contagiato molti di noi, la concorrenza sbagliata e con esiti fallimentari di cooperative di stenotipisti, il mito illusorio della stenotipia con traduzione in tempo reale, le commissioni dello Stato occupate da profani: ebbene, tutto ciò ha portato al deterioramento della qualità». Ferdinando Fabi, che riconosce, finalmente, nella Fondazione Giulietti, la sede idonea «per parlare di Stenografia, per fare il punto della situazione, per vedere quello che possiamo fare», lamenta che anche per il Sistema Cima la situazione è drammatica, tanto da dover forse sospendere la pubblicazione del «Corriere Stenografico». La Stenografia è prog ressivamente espulsa dalle scuole. Si domanda perché tutto questo. C’è una situazione oggettiva, ma ciò dipende anche da errori degli stenografi. «Ci siamo cullati fra gli allori 4 del passato, senza prendere atto della realtà. Le scuole private hanno continuato a sfornare allievi dopo corsi di tre mesi, promettendo, fraudolentemente, il conseguimento delle 90 parole. La scuola pubblica è stata spesso affidata ad insegnanti non preparati. Molti settori occupazionali sono venuti meno; il fax ha sostituito il lavoro dei dimafonisti. Poi, ci sono state le vicende del Codice di Procedura Penale. Se da una parte finiva il lavoro nei giornali, dall’altra parte si poteva aprire un settore importante come sbocco lavorativo. È stata un’occasione mancata. Ma nessuno ha avvertito il pericolo che questo spazio sarebbe potuto essere occupato dai produttori di macchine per stenografare. Giandomenico Pisapia (il più famoso avvocato penalista italiano, padre del nuovo codice di procedura penale, deceduto a 80 anni il 25 febbraio scorso - n.d.R.) aveva previsto la verbalizzazione del processo penale attraverso la Stenotipia. Ma perché? Probabilmente perché, nel delicato periodo di preparazione del nuovo codice, alcuni produttori di macchine possono aver convinto il Ministero che il futuro della stenografia sarebbe stato nella Stenotipia. Il legislatore però deve aver avuto un dubbio, tanto che a pag. 51, com- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI Camera dei Deputati N. 1821 PROPOSTA DI LEGGE d’iniziativa dei deputati Sitra - Brunale - Bova - Oliverio - Olivo - Vannoni Stampa - Lombardo - Stanisci - Rotundo - Acquarone Modifica all’articolo 134 del codice di procedura penale, in materia di documentazione degli atti Presentata il 22 dicembre 1994 Onorevoli Colleghi! - La stenografia, vale a dire la scrittura fondata sull’uso di segni abbreviati della parola e della frase, atti a fissare il pensiero a velocità oratoria o comunque superiore a quella consentita dalla grafia ordinaria, venne inventata ed utilizzata in forma organica per la prima volta circa duemila anni fa dal liberto di Cicerone, Tirone, per la registrazione dei discorsi del grande oratore romano. La storia, le vicende e la diffusione di questa disciplina hanno contraddistinto e seguito in maniera parallela l’evolversi della civiltà, tanto da meritare più citazioni nella Divina Commedia, fra le quali è sufficiente ricordare la seguente: «la sua scrittura fien lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco». La stenografia, a distanza di tanti secoli, resta ancora oggi, se correttamente applicata, il mezzo più pratico per fissare il pensiero e successivamente trascriverlo rapidamente in caratteri ordinari. Sembra, tuttavia, che tale disciplina oggi sia in decadenza, innanzitutto perché la scuola non sempre consegue il risultato di insegnarla in modo completo ed efficace, affinché lo studente la adotti per gli usi quotidiani e quelli professionali, traendo immediati profitti. In queste condizioni dopo un insegnamento frammentario, perché impartito per due ore settimanali in prima e seconda classe degli istituti tecnici e per qualche ora in più negli istituti professionali, essa viene accantonata e presto dimenticata, come accadrebbe anche per la scrittura ordinaria, se qualcuno non l’adoperasse più per qualche anno. Anzi, la scuola sta restringendo sempre più, attraverso sperimentazioni sempre più estese, lo spazio che viene dedicato a tale materia. In secondo luogo gli utenti, nell’impossibilità di reperire sul mercato stenografi professionali o commerciali validi, preferiscono utilizzare gli strumenti che la tecnologia moderna offre, quali i registratori od i dittafoni, con le conseguenti difficoltà tecniche e con la necessità di procedere alla cosiddetta «sbobinatura», che offre un testo «bruto», da sottoporre necessariamente a successive correzioni e limature. La stenografia invece, qualora sia impiegata da persona in grado di tradurre il pensiero fissato sulla carta con precisione e senza incertezze, rappresenta il mezzo più pratico e sicuro in caso di dettatura e trascrizione di corrispondenze o di relazioni, nonché di verbalizzazione di assemblee o di dibattiti (congressi, consigli di amministrazione, assemblee elettive, lezioni universitarie, interrogatori nell’ambito del processo penale, eccetera), in sostanza, in qualsiasi occasione in cui il pensiero venga espresso attraverso la parola. Nonostante ciò tale disciplina è stata ingiustamente penalizzata nella redazione del codice di procedura penale, il cui articolo n. 134 va modificato. È opportuno, infatti, riconsiderare la potenzialità di questa materia al fine di assicurare nella maniera più semplice e meno costosa la verbalizzazione del processo penale, che potrebbe essere attuata attraverso la stenoscrizione e, data la peculiarità e la RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 5 delicatezza di tale verbalizzazione, la contemporanea registrazione magnetica. Quest’ultima potrebbe essere attivata dallo stenografo, che potrebbe essere chiamato a custodire per il tempo necessario le bobine, al fine di evitare possibili contestazioni e ricorsi. Una verbalizzazione siffatta è attuata da decenni in Commissioni parlamentari aventi funzioni giurisdizionali ed è stata positivamente sperimentata in lunghi anni di attività inquisitoria ed istruttoria di tali Commissioni, svolta in qualche caso anche all’estero. Va ripristinata, pertanto, la parità della stenografia e della stenotipia ai fini di tale verbalizzazione, come avviene nella comune pratica professionale, parlamentare e non. Nel dibattito attuale fra gli operatori del settore la stenotipia, infatti, viene considerata alla stregua di un sistema stenografico, con pregi e difetti che non giustificano allo stato attuale la prevalenza di un sistema sull’altro, poiché l’elemento determinante è in ogni caso la predisposizione anche culturale dell’operatore. La stenografia è sicuramente penalizzata da un aspetto, che dovrebbe invece costituirne il punto di forza: non presuppone l’acquisto di una macchina costosa, pur consentendo di ottenere gli stessi risultati nello stesso periodo di tempo. È evidente che la creazione di sbocchi professionali determinerebbe una inversione di tendenza ed una modificazione degli indirizzi scolastici, che dovrebbero adeguarsi alla nuova realtà. Attraverso la presente proposta di legge si propone, pertanto, di ristabilire la pari dignità, esistente nella comune pratica professionale e nella pubblicistica del settore, fra la stenografia e la stenotipia. Tale modifica non comporta aumento nei costi, anzi, introduce una ulteriore tecnica di documentazione del processo che non richiede l’acquisto di nuove attrezzature o l’introduzione di nuove strutture, poiché tutte le sezioni dei tribunali sono già dotate di impianti di registrazione, amplificazione e registrazione fonografica. Ciò consentirebbe di attuare finalmente l’articolo 134 del nuovo codice di procedura penale che, a distanza di anni dall’entrata in vigore, è rimasto in larga parte inapplicato, ampliando la gamma di possibilità offerte ai tribunali per assicurare la verbalizzazione del processo penale in maniera celere e soddisfacente e consentendo di fare ricorso a personale già reperibile sul mercato del lavoro, a differenza di quanto avveniva durante la vigenza del vecchio codice di procedura penale, quando gli stenografi professionisti prediligevano la carriera giornalistica o quella di stenografo parlamentare. Del resto, personale specializzato può essere rapidamente formato dalle scuole pubbliche e private, attraverso una preparazione specifica dei diplomati che abbiano seguito un corso di studi comprendente questa disciplina e può essere facilmente reperito fra coloro i quali si sono preparati per molti anni per conseguire l’abilitazione all’insegnamento della stenografia. PROPOSTA DI LEGGE Art. 1. 1. I commi 2 e 3 dell’articolo 134 del codice di procedura penale sono sostituiti dai seguenti: «2. Il verbale è redatto, in forma integrale o riassuntiva, con la stenografia o la stenotipia ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a detti mezzi, con la scrittura manuale ordinaria. 3. È di norma effettuata anche la riproduzione fonografica». ma 2, nel porre le regole per la redazione del verbale con il mezzo della Stenotipia, aggiunge che «questa previsione deve ritenersi comprensiva del possibile uso della stenografia, dato che la Stenotipia può considerarsi una stenografia a macchina». Poi, dice anche che il Ministero avrebbe dovuto fissare le disposizioni di attuazione. Ma ciò non è mai avvenuto. Nel nuovo codice è dunque indicata chiaramente la Stenotipia, anche se, in ruolo subordinato, appare la parola Stenografia, quando invece se fosse stata indicato solo il termine «stenografia», questo sarebbe stato comprensivo sia di stenografia a macchina, sia di stenografia a mano. Ora, che cosa possiamo fare? La battaglia è ancora aperta. Bisogna risalire la china. Bisogna che le nostre Associazioni non siano composte da nostalgici del passato. La Stenograf ia è ancora competitiva, se insegnata bene. Bisogna quindi dare una interpretazione autentica alle norme del codice di procedura penale, per dare la possibilità di lavorare a chi sa stenog rafare. Nel frattempo si potrebbero anche formare delle cooperative a cercare di entrare nei tribunali, accettando l’umile lavoro della sbobinatura, da usare come cavallo di Troia, per poi passare alla registrazione e alla 6 stenografia. E, infine, far conoscere questo nostro mondo a chi ne è ignaro. Nel convegno USICIMA, organizzato a Crotone nel settembre dell’anno scorso, erano presenti anche alcuni politici, che si sono entusiasmati, tanto che l’onorevole Sitra ha firmato, con altri deputati, una proposta di legge per la modifica dell’articolo 134 del codice di procedura penale in materia di documentazione degli atti (vedere, a parte, il testo integrale della proposta di legge - n.d.R.). Un’ultima cosa. Ora, la video-registrazione è presentata come il top, la soluzione di tutti i problemi... Ammesso che funzioni, per un impianto di video-registrazione occorrono milioni che, moltiplicati con tutte le varie sezioni, porterebbero a cifre di miliardi, più l’acquisto delle cassette, più i tecnici, più i trascrittori. Orbene, con la cronica carenza di fondi della Giustizia, ha senso tutto ciò, quando sono sufficienti gli stenografi con le loro semplici matite?...». Ferdinando Fabi ha quindi concluso il proprio intervento con un pensiero che ci accomuna e che tutti condividiamo: «Sono convinto che la Stenografia è tuttora valida, e sempre lo sarà. Vedere una cosa amata trattata così, è un grande dolore. La RIVISTA DEGLI STENOGRAFI Attilio Ottanelli e Eleonora Pagano, durante il convegno di Firenze. stenografia è stata ed è un amore corrisposto, che non mi ha mai tradito. Ha dato pane, e companatico, a tutti noi. E anche in un momento difficile, come questo, continua a dare moltissimo...». Non basta per risolleva- re tanti colleghi dalla demoralizzata depressione in cui sono caduti? P.A.P. L’intervento di Ferdinando Fabi (in secondo piano: Nerio Neri e Mariavittoria Nicodemi). a11 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI P roprio il 30 gennaio, mentre avevo notizia della chiusura del giornale del pomeriggio «La Notte», fondato il 6 dicembre del 1952 da Nino Nutrizio, mi capitava fra le mani, spostando dei libri, la «pizza» su cui, venticinque anni fa, l’amico Andrea Musi aveva fatto registrare la cerimonia tenuta domenica 11 ottobre 1970 nella Sala del Grechetto, a Milano, in occasione dei cinquant’anni della fondazione dell’Unione Stenog raf ica Lombarda «Andrea Marchiori». Ne parlai con Paganini, anche perché non avrei saputo come riascoltare la «pizza», registrata su nastri ormai da tempo fuori commercio, e, nel comune ricordo di quella cerimonia in cui Nino Nutrizio svolse il compito di oratore ufficiale, convenimmo sull’opportunità di «recuperare» almeno il testo di quel discorso. Grazie alle conoscenze di Paganini e all’opera tecnica di Maurizio Pini, abbiamo potuto risentire le parole di Nutrizio e abbiamo 7 IL GIORNALE ‘LA NOTTE’ DI MILANO HA CHIUSO Rendiamo omaggio al “mitico” fondatore e direttore, Nino Nutrizio, riportando un suo intervento stenografico di venticinque anni fa di Giuseppe Capezzuoli ritenuto di renderle pubbliche attraverso la nostra Rivista, perché raramente si sono potuti leggere giudizi così giustamente positivi sulla stenografia, sul suo valore educativo e culturale, sulla fatica che richiede il suo apprendimento, ma anche sulle soddisfazioni personali che se ne possono trarre e i vantaggi che ne possono derivare. Ma ci è parso anche doveroso – proprio mentre la sua creatura scompare dalla scena dei quotidiani milanesi – rendere omaggio alla Nino Nutrizio (1911-1988) al suo tavolo di lavoro. dirittura morale e alla tenacia di Nino Nutrizio, che tante innovazioni ha portato nel panorama dell’editoria quotidiana in Italia. Ed ecco il testo del discorso. S ignor presidente, signore e signori, la ringrazio per l’onore che lei m’ha fatto di invitarmi a celebrare il cinquantesimo anniversario dell’Unione Stenografica Lombarda «Andrea Marchiori». Debbo però dirle che sarò contento soltanto a cose fatte, a discorso pronunciato, perché è la prima volta nella mia vita che tengo un discorso ufficiale. Quindi è come se avessi, non so, 15-16 anni, come fossi al mio debutto. Sono un nemico della retorica. Per me, è come un palloncino colorato. Appena ne vedo uno, zac, con uno spillo vado a pungerlo per vedere cosa c’è dentro: aria fritta. Ora, non potrei fare un discorso retorico perché sarebbe triste poi, alla fine, vederlo cosparso di vescichette vuote, prive d’aria. E quindi mi sono trovato in grosse diff icoltà. Tra l’altro mi preoccupa estremamente il fatto che ci siano, alla 8 mia destra – ho fatto finta di non vederli – stenograf i che raccolgono quello che dirò e grazie ai quali si dimostrerà poi, cartelle alla mano: già, lo sapevamo che non sa scrivere, ma è dimostrato anche che non sa parlare. E questo non è simpatico per un vecchio giornalista che dirige da diciotto anni un giornale, non autorevole, ma abbastanza diffuso e popolare. Tre anni fa, un mio illustre collega, Enrico Mattei, allora direttore de «La Nazione», chiamato a celebrare il 91° anniversario dell’Istituto Stenografico Toscano, si schermì: «Non sono degno di parlare davanti a voi», perché, confessò, era uno stenografo mancato, cioè aveva cominciato come stenografo ed era finito come giornalista. I o ho accettato, immodestamente, di parlare, perché ho iniziato come giornalista e poi mi sono reso conto che era fondamentale, per la mia professione, integrarla con la stenograf ia. Vi parlo nella veste che abitualmente è quella dei ministri – ed io non lo sono –: i ministri normalmente, quando arrivano in un consesso, sono quelli che, per ragioni politiche o di avvicendamento, ne sanno meno della materia di cui si tratta. E così oggi a voi io parlo perché sono sicuro che in questa sala sono lo stenografo di terracotta costretto a parlare davanti a stenograf i di ferro. Ho l’impressione RIVISTA DEGLI STENOGRAFI che lo si legga in fronte. Vi ripeto, supererò la prova fidando sulla vostra comprensione e sul vostro buon cuore. C he cos’è questa stenografia? Quali le sue caratteristiche? È mai possibile che io, a voi che alla stenograf ia avete dedicato la vita, venga a dire che cos’è? Me ne guarderei bene. Ho letto con attenzione e interesse i discorsi che sono stati pronunciati in occasioni analoghe negli anni scorsi; ho letto l’opuscolo che i valorosi collaboratori dell’avvocato Marchiori hanno preparato; ho appreso molte cose; ho conosciuto, attraverso quegli scritti, uomini che hanno dato lustro alla stenografia. Ne citerò uno solo: il padre del vostro e nostro presidente, l’illustre fondatore di questa Unione che per me, giovane giornalista immigrato da Genova, era un mito. Ne ho sempre sentito parlare, ed è rimasto un mito perché credo di non averlo conosciuto: non l’ho mai incontrato, non ho mai avuto la fortuna (e la paura) di lavorare con lui. Era un mito duplice, perché era un insigne stenografo e maestro di stenografia e perché aveva crea- In alto: L’ultimo numero de “La Notte”, uscito il 30 gennaio 1995. In basso: La pagina che “La Repubblica” ha dedicato alla chiusura de “La Notte”. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI to la famosa, mitica segreteria di redazione del «Corriere della Sera» che ancor oggi, guidata da Antonino Crea, suo allievo ed amico, è all’altezza della situazione e sicuramente la prima d’Italia ed una delle migliori d’Europa. Ora, per uno come me, che da diciotto anni fa tutti i giorni un giornale cominciato dal nulla, che ha impiantato con i modesti mezzi di cui disponeva una segreteria di redazione e che quotidianamente si trova ad affrontare problemi che si debbono superare nel giro di pochi minuti, via via che il tempo passa il mito del professor Marchiori nella testa e nell’animo cresce. 9 riservatezza e di riguardo nei confronti del suo genitore che era l’organizzatore, il promotore e il presidente della manifestazione, il qui presente avvocato Marchiori, che eguagliò l’impresa di Madia e che avrebbe potuto condividere con lui il titolo di campione mondiale di velocità, non volle figurare. sioni si provano leggendo le cose degli stenografi, frequentandoli, conoscendoli. Danno l’impressione di una confraternita religiosa, la sensazione di un convento di clausura. Sono degli innamorati della stenografia che conservano, verso questa loro amica, l’amore e l’affetto del primo gior no. Non D a Crea ho saputo anche di un altro episodio. C’è, negli annali di questo Istituto, un avvenimento quasi leggendario sul piano della stenografia: quello che ha per protagonista il dottor Giustino Madia, il quale, in una memorabile impresa stenografica – nel 1940, credo – in un minuto, mitragliato da 550 sillabe, riuscì a fermarle sulla carta, in ragione di quasi dieci sillabe al secondo, conquistando quello che oggi, in gergo sportivo, si direbbe il titolo di campione mondiale di velocità stenografica. C’era quel giorno – e non so se tutti voi lo sapete – un altro stenografo che, diciamo così, per continuare in questa fraseologia sportiva, correva in incognito. Per motivi di Così “Il Giornale” ha ricordato “La Notte”. Evidentemente già allora era un uomo d’altri tempi... Ora non intendo ripetere quanto è stato già detto da altri. Ma, prima, l’avvocato Marchiori ha detto che io darò, e dirò, qualche impressione. Effettivamente alcune impres- sono mai dei delusi. Parlo non dello stenografo occasionale, di quello che impara un po’ di stenografia appiccicaticcia e poi la dimentica. Parlo di coloro che, come voi, hanno dedicato alla stenografia la vita. Il vostro maestro e fonda- tore, diciannove anni fa, inaugurando il trentunesimo anno sociale, lamentava, allora, il malcostume «attualmente imperante di aprire corsi ogni due o tre mesi» per illudere i giovani che si presentavano di ottenere con rapidità e facilità quella che lui chiamava una «piaga sociale», il diploma. Si dichiarava contrario a tutte le facilitazioni e a tutti i pressappoco; non si stancava di ripetere che non dipende da noi, insegnanti, ma da loro, allievi, e dalla loro applicazione, ottenere risultati positivi. E non perdonava a una legislazione sciagurata e pervicace di non aver reso obbligatorio nelle scuole medie superiori l’insegnamento della stenografia come materia fondamentale. Una materia indispensabile all’uomo che, superato il traguardo della prima scuola dell’obbligo, si avvia verso una carriera scientifica o professionale libera. Che cos’è questa stenografia, è stato chiesto: un’arte, una scienza o una materia grafica come la calligrafia? È un’arte aristocratica, è stato risposto, ricordando che «aristos» in greco signif ica «ottimo». È una scienza precisa impostata su rigide basi scientifiche perché ha previsto nei minimi dettagli tutto. Non può essere una materia grafica, perché non ha la centrale nella mano, ma nel cervello. La stenograf ia, a mio avviso, è un’arma, un arricchimento e una supe- 10 riorità. Sarebbe ridicolo se ce ne andassimo per strada con una spilla sul «revers» della giacca o una «broche». Ma, a mio avviso, un uomo, e tanto più una signora, che conosce la stenograf ia equivale ad uno con una spilla di brillanti sul «revers», perché possiede un arricchimento interiore che non ha bisogno di esibire sempre: ma lo tiene per sé, per il momento del bisogno. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI quelle, sono felici di farlo, e non hanno bisogno dei milioni. C’è un ordine nella stenografia, perché la rigorosa precisione del segno non consente a uno sbadato, a un disordinato, a un distratto, di fare della stenografia. Quei segni così cui – e io li ho visti – gli stenografi sono dei precisini, con le loro matite tutte affilate, con la punta lunga, con le loro cartelle messe bene. Sono degli ordinati. Lo stenografo disordinato è un poveretto che non può fare della stenografia vera. S e penso alla stenografia – è una fantasia la mia – collegandola al mondo animale immagino un felino, perché, guardando la matita dello stenografo che cammina sulla carta morbida, veloce, carezzevole, sinuosa, penso al gatto, alla lince, al giaguaro, alla pantera, alla tigre, al leone. Non certo all’ippopotamo, all’elefante e tanto meno alla tartaruga. Si può parlare di un’onestà della stenografia perché fino ad oggi, per quanto ne so, non si è mai avuta notizia, con grandi titoli sui giornali, dello stenografo scappato con la valigia di milioni, dello stenografo che ha sequestrato qualcuno e ha chiesto un riscatto di centinaia di milioni. Che discorso!, si dirà. Gli stenografi non vengono tenuti a contatto con i milioni. Ma non è per questo. È che gli stenografi, per loro libera decisione, hanno la testa, e il cuore, pieni di sigle e di abbreviazioni logiche, di fusioni e di consonanti composte. Scappano con Anche la “Voce” di Montanelli ha dedicato ampio spazio a “La Notte”. minuti, così precisi – sopra la base, sulla base, sotto la base, rinforzati, non rinforzati – obbligano alla precisione. Una precisione non soltanto mentale, ma anche fisica, per C’è l’utilità della stenografia, ovviamente, divisa – a mio giudizio – in tre settori fondamentali. Quello più comune e più conosciuto, e a torto non giustamente apprezzato da chi è un po’ in alto, della stenografa commerciale, per cui si crede che lo stenografo sia poco di più di una dattilografa che batte a macchina cose che ha scritto lui: errore grave. C’è lo stenografo giornalista e parlamentare, di cui non vi illustrerò le glorie e i fastigi. E c’è infine quella terza «forma» di stenografi, nella quale modestamente mi sono inserito, che considero fondamentale per una persona – alcuni dicono colta, io dico, più che colta, intelligente – la quale cerca di procurarsi un mezzo per poter accelerare, rendere più rapidi, più agili gli appunti, il lavoro abituale. Di chi insomma lavora a tavolino e deve preoccuparsi di questo mezzo che gli consente di ridurre di una metà, di un cinquantesimo, di un ventesimo il tempo impiegato rispetto agli altri. Ed è una superiorità. Tutto ciò richiede un cervello che funzioni, una mano veloce, una preparazione di studi linguistici non indifferente. In quanti siamo? In pochi. Richiede una volontà di ferro che non si fermi dinanzi agli ostacoli che si frappongono. In quanti siamo? Pochissimi. E allora ecco i moderni mezzi di registrazione della voce. La civiltà dei consumi potrà dotare chiunque di un registratore tascabile, che consenta di fare tutto quello che si vuole. Ma questo registratore non accelererà di un secondo la velocità delle RIVISTA DEGLI STENOGRAFI percezioni e dei riflessi, non consentirà di essere fieri, orgogliosi, soddisfatti di noi stessi, dei sacrifici compiuti e delle difficoltà superate. Non consentirà, il registratore, di applicare al cervello quella dieta magra che è la stenograf ia, e che gli impedisce di metter su pancia. Il cervello dello stenografo non può essere flaccido, obeso, con i riflessi appannati, perché se è così non è più un cervello di stenografo: gli manca quello sprint che è alla base dell’attività stenografica. 11 menti, per il resto sudore, fatica e lavoro ci sono. Questa citazione mi ha fatto pensare a un mio caso. Poco tempo dopo, nel marzo del 1941, venni fatto prigioniero. Non sapevo una parola di inglese, e niente di stenograf ia. La stenograf ia sapevo che esisteva perché ero da anni in un grande qui presente, il povero de Colle e tanti altri. Mi era rimasta impressa questa loro capacità, e mi dicevo: se io sapessi fare questa cosa, chissà come potrei cavarmela meglio con gli appunti, nel mio lavoro. Così, fatto prigioniero, per non intrupparmi con un mazzo di carte dalla mattina alla sera, come H o trovato, nel bellissimo opuscolo preparato in occasione del cinquantesimo dell’Unione Stenograf ica Lombarda, una frase che mi ha fatto ricordare Winston Churchill. E da Churchill, per connessione di idee, sono arrivato al periodo, non certo lieto per altri aspetti, in cui io ho appreso la stenografia. Andiamo con ordine. Dice il libretto: la stenografia promette soltanto lavoro, sudore, fatica. Il 13 maggio 1940, in piena offensiva aerea tedesca su Londra, presentandosi alla Camera dei Comuni per tenervi il primo discorso di guerra, Winston Churchill disse alle Camere attonite, sgomente: «I offer you nothing but blood, torment, tears and sweat: Non vi offro altro che sangue, tormenti, lacrime e sudore». Se non è stenografia, poco ci manca. Se togliamo il sangue e i tor- fine avevo un bagaglio di vocaboli abbastanza valido per cominciare a sbrogliarmela con l’inglese. Un inciso: due anni dopo, una mattina alle sette, con la sentinella, ci portarono al cinema, a vedere un film il cui parlato era in inglese o in americano: non capii una parola. E tornando, sempre con la sentinella, piangevo, come piangeva questa mattina mia figlia Cristina perché aveva fatto arrabbiare la mamma. Piangevo perché dopo due anni di sudore, di lavoro e di fatica, non avevo capito una parola. Un altro avrebbe abbandonato, ma io ho insistito, e tempo dopo, al rientro in Italia, su dodicimila ufficiali ero uno dei due interpreti. Dunque, modestamente, qualche cosa mi era riuscito. C Il “Corriere della Sera” ha titolato a tutta pagina la chiusura del giornale del pomeriggio milanese. giornale milanese e avevo cari amici stenografi che, dalle città nelle quali andavo a seguire le corse ciclistiche o le partite di calcio, riuscivano inspiegabilmente a fermare sulla carta tutto quello che io dicevo con grande rapidità. Si chiamavano Jacomucci, si chiamavano il mio caro amico Farulli faceva la maggioranza, o per non stare seduto su una pietra a disperarmi e a piangere, come faceva la maggior parte dei deboli, decisi di studiare. E non avendo a disposizione, come testo, che una copia del «Time-willy», di quel giornale imparai a memoria tutte le parole, dalla prima all’ultima. Alla onsentitemi un altro ricordo personale. A un certo punto, invitato dai superiori e dagli amici il sabato, fra le undici e le dodici, in attesa di un rancio che era sempre crudo perché pioveva e la legna era bagnata (e, se anche fosse stata asciutta, non c’era niente da mettere nella pentola), intrattenevo i miei colleghi, coloro che volevano venire a sentirmi, che potevano abbandonare per un’ora il mazzo di carte e le importantissime partite di ramino, sulla situazione militare, economica, su quello che la mia lettura settimanale dei giornali mi consentiva di riferire. Una volta feci un profilo 12 di Churchill, di questo leone formidabile per la sua tenacia che galvanizzò la resistenza inglese nel momento più delicato della guerra. Dissi: se il nostro d’Annunzio, per aver fatto un volo su Vienna e aver buttato giù un po’ di manifestini, era stato considerato un uomo del valore di una o due divisioni da parte dello Stato maggiore austroungarico, questo uomo, che teneva in piedi contro la Germania un’intera nazione in guerra, valeva un intero Corpo d’armata o un’Armata addirittura. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI carta, e via sigle a tutta forza. Voi denunciatemi, poi ci penseremo. Poco tempo dopo, il 25 luglio, cadde l’odiato Ventennio, come si dice adesso, e il 26 mattina altri colleghi ed amici si recarono al comando inglese a denunciar mi come sporco fascista. Anche in quell’occasione dissi: lasciatemi tranquillo, che devo fare le mie sigle. Ero sempre piuttosto quadrato, piuttosto di buon senso e piuttosto equidistante dagli estremismi di una parte o dell’altra. Tale ho cercato di conservarmi nel tempo. Naturalmente, invece, attorno a noi ci sono persone che secondo il girar F inita la mia breve esposizione, alcuni camerati di sicura fede – così si chiamavano allora – si riunirono in una tenda e stesero un verbale nel quale, sotto il vincolo del giuramento, si impegnavano a denunciarmi come traditore, al ritorno in Italia, perché avevo esaltato la f igura del nostro peggiore nemico. Naturalmente, in un Paese riservato come il nostro, le cose segrete si sanno dopo un’ora. Ci fu una brava persona che me lo venne a raccontare. Dissi: per favore lasciatemi tranquillo, che ho da riempire qui dei pacchi di carta igienica di sigle. Carta igienica? Sì, purtroppo, perché la carta igienica era l’unica di cui disponevamo. Una carta igienica «vetrata», sui cui dettagli non mi soffermo. C’era chi me la forniva: io davo le sigarette – non fumavo –, gli altri la Il messaggio di solidarietà della figlia di Nino Nutrizio. La redazione ha ricevuto migliaia di fax e telegrammi. del vento si buttano da una parte o dall’altra. Non era un excursus politico il mio. Volevo soltanto collegare la mia esperienza stenografica a questa vicenda. E ho finito. A bbiamo parlato di volontà e di sacrif ici, di disciplina e di ordine, di serietà e di impegno. Tutte qualità di una volta. Oggi si vuole tutto, subito, senza fatica, senza sacrifici. E se non lo si ottiene all’istante, sono contestazioni, proteste, occupazioni, con i genitori che sposano la causa degli allievi. Ai miei tempi, mio padre sposava le cause dei professori e si serviva della cinghia dei pantaloni. Dicono oggi gli psicologi che non è un sistema educativo valido. Io con mia figlia Cristina non l’adopero, però nella mia memoria ha un valore, un valore impalpabile, sovrano. La stenografia, si potrebbe dire, è una conservazione progressista; è una scienza che ha previsto tutto non lasciando nulla al caso, mentre la vita di oggi non prevede nulla e lascia quasi tutto al caso. Mi è sfuggita una battuta. Volevo dirvi che lo stenografo, prima di tutto, non può essere un «suonato», perché se lo è, non è stenografo. La seconda cosa è che lo stenografo è come un Berruti che cammina in mezzo alla gente. Ma che se, a un certo momento, sente il colpo in aria della partenza, non ha bisogno di altro: gli altri 13 restano e lui scatta via come una gazzella. Questo è lo stenografo: ha un cambio di marcia, non nei piedi o nelle ruote, ma nel cervello. È una piccola soddisfazione per voi e per me, stenografo di serie C. Comunque, dopo tutto quello che ho detto di sentita esaltazione della stenograf ia, trovo che per essere meritevole dell’onore che il presidente m’ha fatto di invitarmi, e voi di ascoltar mi, ci sia una sola strada aper ta. Le forze di volontà giovanile, che spero non mi abbiano del tutto abbandonato, mi indurranno a presentarmi in settimana all’Unione Stenograf ica Lombarda chiedendo l’iscrizione a uno dei corsi che stanno per cominciare! I n armonia col carattere dell’Uomo, queste ultime parole non furo- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI no vaghe e vane promesse. Nino Nutrizio si iscrisse al corso tenuto personalmente dall’avvocato Alberto Marchiori, a Palazzo Dugnani, e per mesi partecipò attivamente alle lezioni, g iungendo a mandare la «giustificazione» dell’assenza quando i suoi doveri di direttore di un giornale lo richiamavano altrove. Vorrei chiudere ricordando i motivi per cui, per 25 anni, è caduto il silenzio su questa preziosa testimonianza. Con l’amico Musi eravamo intenzionati – a cerimonia ultimata – a pubblicare un secondo opuscolo con la cronaca della giornata, l’elenco dei partecipanti, gli interventi, i riconoscimenti, i premiati, completando il tutto con l’eco sulla stampa. E bisogna dire che questa eco ci fu, e notevole: basti accennare a un pezzo di tre colonne in terza pagina sul «Cor riere della Sera». L’aspettativa era che le iscrizioni affluissero numerose, almeno sufficienti ad occupare la trentina di posti di un’aula (negli anni Trenta, in via Palermo, l’Unione attirava, in sette-otto aule, due o trecento allievi). Si capirà allora la delusione di quanti si erano occupati attivamente della realizzazione della manifestazione. Gli iscritti, in quell’ottobre del 1970, si contavano sulle dita delle due mani, tanto che, per evitare al direttore de «La Notte» di trovarsi dinanzi a un «forno», dovemmo mobilitare amici e parenti per fare degna corona a una lezione che Alberto Mar- chiori si era preparata con particolare attenzione grazie alle sue enormi capacità: voleva far bella figura sul Direttore. Ricordo di avere stenografato anche quella lezione (chissà dove mai sarà andata a f inire). Ricordo comunque il f inale di quell’ora e mezza: la stenoscrizione alla lavagna dei primi versi dell’Iliade (o dell’Odissea?) in italiano, latino, greco, francese, inglese e forse tedesco. Certamente in sei lingue diverse. Dopo Nino Nutrizio (ha lasciato “La Notte” nel 1979), si sono succeduti alla direzione: Livio Caputo, Pietro Giorgianni, Carlo Palumbo, Cesare Lanza, Giuseppe Botteri e Massimo Donelli. a13 14 S u Giovanni Spadolini molto si è scritto e raccontato, soprattutto come gran dominatore della politica negli ultimi anni e come uomo di grandissima cultura. Ma ritengo che sia bello ricordare la figura di Spadolini nella sua vita quotidiana di Direttore di giornale, indubbiamente sconosciuto a molti, ma non di meno egualmente interessante. Come è noto, Giovanni Spadolini venne a dirigere il «Resto del Carlino» appena ventinovenne, ricco di grande cultura, di insegnamento universitario, ma completamente digiuno di giornalismo. Non sapeva cosa fosse una nota dell’Agenzia Reuter o altra simile. Questa sua momentanea lacuna non lo preoccupò più di tanto perché in pochissimo tempo seppe impadronirsi del mestiere a tal punto da diventare un «grande maestro». Trascorreva ore ed ore chiuso nel suo ufficio e lo si vedeva transitare per il corridoio che conduceva alla tipografia solo nei momenti indispensabili per l’im- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI UNA STENOGRAFA RICORDA IL “DEBUTTO” DI SPADOLINI di Vittoria Bolognesi Baviera paginazione dell’edizione nazionale. Era sempre gentile, sorridente, ma sapeva tenere le distanze perché, probabilmente, temeva che la sua «giovinezza» dosi fuori città, doveva trasmettere l’articolo di fondo o qualche nota di particolare attualità. Il primo impatto che ebbi con il Direttore non fu certo dei mi- Un capitolo poco conosciuto del grande statista scomparso permettesse a qualche spirito goliardico (piuttosto facile da incontrare nell’ambiente giornalistico di quei tempi) delle libertà che il suo austero temperamento non avrebbe potuto permettergli di accettare. Come redattrice stenog rafa non ho avuto molte occasioni di frequentarlo personalmente e di parlargli; le uniche volte si sono verificate quando, trovan- gliori; era morto Papini, personaggio per il quale Spadolini nutriva una particolare predilezione, e da Firenze chiamò la redazione per trasmettere un breve pezzo sull’avvenimento, pezzo per la verità di non più di un quarto di colonna. Erano le 17 del pomeriggio e a quell’ora non era ancora presente in uff icio il capostenografo al quale il direttore desiderava dettare il breve servizio. Occorre precisare subito che il Direttore rispettava molto la gerarchia e quindi il suo pezzo doveva essere ripreso dal capo e non da un semplice redattore. Saputo che non era presente né il capo, né il vice, ma soltanto io, semplice redattrice, nel sentire la mia voce femminile non fu particolarmente gentile ed espresse il suo disappunto per l’assenza dei due capi, non sapendo ancora (era da non molto tempo approdato al giornale) che le esigenze del lavoro imponevano una rotazione delle presenze per coprire l’arco delle ventiquattro ore. L’ufficio stenografi non doveva mai essere privo di personale e ciò per fare fronte a qualsiasi urgenza e a qualsiasi ora. P oiché non si decideva a dettare il pezzo, ma continuava a lamentarsi del disservizio (ma disservizio non era) con voce ferma, ma ovviamente cortese, lo pregai di iniziare la trasmissione. Cosa che fece. Il direttore come detta- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI tore era bravissimo, chiaro, non esageratamente veloce, ma pignolissimo per la punteggiatura, per le particelle apostrofate e non, per le maiuscole ecc. Purtuttavia si trattò di un «lavoretto» egualmente facile per uno stenografo ormai più che esperto di giornalismo, come ero io già allora. Al termine, credendo forse di mettermi in difficoltà o per sfiducia mi chiese di rileggere quanto dettato, cosa che feci disinvoltamente e con sicurezza. Evidentemente ciò lo sorprese perché forse pensava che una «don- 15 na» (a quei tempi si era ancora molto prevenuti contro l’elemento femminile) non potesse essere all’altezza di tale compito. Ebbi la sensazione che alla fine della mia lettura il Direttore si fosse rilassato e lo stato di tensione l’avesse abbandonato. Questo atteggiamento nei miei confronti deve avergli pesato, ben capendo, intelligente com’era, di avere sbagliato. Me ne resi conto in seguito, come si vedrà. Passò diverso tempo e tornò l’occasione di dettare, questa volta, addirittura l’articolo di fondo. Il Direttore si trovava fuori Bologna e doveva trasmettere il suo articolo: almeno due colonne! C ome la volta precedente, ero presente in ufficio soltanto io. Sentendo all’apparecchio la mia voce, questa volta non disse nulla, fu cortese ed iniziò la dettatura con tanta precisione e molte raccomandazioni: ad esempio «governo» con la «g» minuscola oppure con la «g» maiuscola a seconda dei casi (e un piccolo commento), «di» con l’apostrofo o senza apostrofo. Guai se fosse comparso un «governo» diverso da quello da lui desiderato o una preposizione non come l’aveva dettata! Da parte mia quindi g rande impegno e g randi note a f ianco delle sue raccomandazioni perché al momento della trascrizione la memoria non mi tradisse. Al ter mine mi chiese se desideravo rileggere subito (come era consuetudine) l’articolo oppure preferivo batterlo prima a macchina per evitare possi- Giovanni Spadolini Giovanni Leone e l’editore Renato Giunti 16 bili errori di distrazione. Preferii la seconda soluzione e ci accordammo che dopo una oretta mi avrebbe richiamata. M i accinsi al lavoro e, poiché a quell’epoca ero molto veloce, in una quarantina di minuti portai a termine la trascrizione. Quel «birichino di direttore» non mi fece chiamare dopo sessanta minuti, come d’accordo, ma dopo quaranta e con voce apparentemente dispiaciuta mi disse che gli avevano dato la linea in anticipo. Grande fu la sua sorpresa quando gli risposi che avevo già terminato la trascrizione ed ero pronta per la rilettura. Al termine ci salutammo cordialmente. Ma non è finita qui: il giorno dopo trovai nella mia casella postale una sua lettera; non nascondo che nel vedere la busta con l’intestazione «Il direttore» fui presa da un certo timore pensando di essere caduta involontariamente in qualche imperfezione. Invece no: il Direttore si complimentava perché (sono le sue parole) «caso più unico che raro il pezzo era uscito senza errori». In tal modo riparò – almeno così io supposi – alla scortesia del primo incontro. Ancora un breve simpatico ricordo. Era mezzanotte e mi trovavo sulla soglia del mio ufficio al termine del servizio a RIVISTA DEGLI STENOGRAFI conversare con il redattore capo di «Stadio» (uomo simpaticissimo, intelligente, anch’egli toscano) quando il direttore passò dinanzi all’ingresso della sala stenografi per recarsi in tipografia e mi fece un largo sorriso. Ma... c’è un piccolo «ma», dopo circa dieci minuti ritornando dalla tipografia mi vide ancora a colloquio con il collega e questa volta il sorriso fu alquanto stereotipato. Il direttore non sapeva che ero orUomo di Stato e di Cultura, giornalista, Spadolini è scomparso il 4 agosto dell’anno scorso. mai fuori sevizio ed attendevo una macchina per tornare a casa. Al mio collega un po’ maliziosamente dissi: «Questa volta il Direttore non ha avuto molto piacere di vedermi ancora qui!». Ed il suo conterraneo, con una battuta di spirito, molto arguta, degna di un toscano, mi disse: «Che vuole, cara signora, è un uomo che ancora non ha letto in quella meravigliosa pagina che si chiama donna!». GARE Anche quest’anno l’Istituto di Magistero Stenografico di Milano ha indetto le Gare 1995 che si svolgeranno dal 10 maggio in poi. Per venire incontro alle esigenze delle Scuole, e in modo particolare ai ragazzi abituati a lavorare con le loro macchine o i loro computer, una commissione si recherà presso le Scuole che presentino un minimo di 30 iscrizioni. Per i gruppi inferiori a 30 verrà successivamente comunicata la sede di svolgimento delle gare. Quest’anno saranno presentate tre nuove gare: — attestato free-lance: rilasciato agli studenti che si qualifichino in tre gare del programma (steno, dattilo o PC, test in lingua straniera): tale attestato, oltre a comprovare una preparazione professionale interdisciplinare, costituisce titolo qualificante a completamento di un curriculum; — una gara in lingue estere: consisterà in un test, con risposte a scelta multipla, che comprovi la conoscenza grammaticale e commerciale della lingua richiesta; — neon: gara di dattilografia sul PC utilizzando il programma Neon, che visualizza al momento i risultati della prova effettuata. È stata ridotta a 50 parole al minuto la velocità stenografica per gli Istituti Tecnici, e le prove di contabilità sono state adeguate ai programmi vigenti. L’Istituto quest’anno offre una partecipazione gratuita ogni dieci iscritti, al fine di favorire qualche allievo meritevole e bisognoso. Come sempre le gare avranno il patrocinio del Comune di Milano, dell’Assessorato Regione Lombardia, dell’Ordine dei Giornalisti e l’adesione del Provveditorato agli Studi. a9 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 17 CONTEGGIO IN SILLABE ? SE NE PARLA A rrivati ad una certa età – è odioso dire vecchiaia – non ci rimane per lo più che volgere il capo al passato, anche perché se ci interessano, è ovvio, il presente e il futuro, ci accorgeremo che, per lunga esperienza, ben poco c’è o ci sarà di veramente nuovo: «nihil sub sole novum». E se ciò può anche non sembrare del tutto vero, certo lo è per quanto riguarda argomenti e materie particolari, specifiche, di determinati gruppi, non universali insomma. Più che al futuro della stenografia allora, ci pare interessante, anche perché solo chi vive intensamente nella scuola può cogliere le istanze utili al futuro (quindi i giovani insegnanti) è più consono rivolgerci al passato perché da noi vissuto e sentito profondamente e profondamente sofferto ed inoltre perché dall’esperienza e dalla conoscenza del passato si possono trarre utili insegnamenti per il presente e per il futuro. È anche per tutto ciò che riprendiamo tra le DA SEMPRE, MA... di Emilio Catanese mani un vecchio volumetto di argomento stenografico sul quale la stenografia veniva considerata per il suo vero significato culturale, per il suo alto valore educativo. Il volumetto in questione fa parte della Biblioteca di «Scienza Stenografica», il numero è il 15, l’autore il prof. Mario Boni che fu Presidente del Consiglio Superiore di Studi Stenografici, il titolo: «Programmi e Norme per i Candidati all’Abilitazione all’insegnamento babile anno di edizione 1933. Nessun timore, non parleremo di abilitazioni (sarebbe una presa in giro, purtroppo, per i lettori). Alcune parti però ci sembrano di interesse per chi ha ancora a cuore la Stenografia. Premettiamo che nel volume si parla di Sistema Unico, ma ciò a nostro parere non inficia l’assunto. Tratteremo di velocità, e tutto quello che riguarda questo campo è valido sia che si tratti di Basterebbe un “programmino” e il computer risolverebbe rapidamente il problema della Stenografia», edizione dell’Associazione Stenog raf ica Mag istrale Italiana, Milano, via Silvio Pellico 6, pro- sistema A o B o C o che si tratti di Stenotipia A o B o C. Ecco ad ogni buon conto quanto dice il Boni nel cita- to volumetto a pag. 41: «...ho avuto occasione di constatare come il candidato si sia evidentemente fatto delle illusioni sulla propria capacità e su quello che realmente significhi lo stenografare per 20 minuti di seguito, 10 minuti alla media di 80 e 10 minuti alla media di 100 parole... Il perdurare di una stenoscrizione in prova di gara o di esame, durante 20 minuti presuppone oltre che l’abilità e la capacità e realmente saper stenografare alla velocità di 80, 100 parole al minuto anche un notevole allenamento dal punto di vista della resistenza». E più avanti specifica che le prove di allenamento devono essere fatte come minimo su una mezz’ora perché bisogna tener conto dell’emotività cui il giovane va incontro in una gara che è prova irripetibile. Solo facendo prove e riprove di dettatura per così lunga durata si potrà dare la convinzione che egli è realmente capace di seguire un oratore (o un dettatore) per una mezz’ora, tan- 18 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI to più se si tratta di una gara professionale. «Le prove di addestramento dovranno essere fatte non da 80 a 100 parole ma da 100 a 120 come velocità minima...». La dettatura delle prove, cioè degli allenamenti, dovrà essere fatta non dalla stessa persona ma il dettatore dovrà essere il più possibile variato e ciò perché ci si abitui alle difficoltà di comprensione delle diverse inflessioni dialettali, o dei diversi modi di leggere anche uno stesso brano (riparlando di allenamenti) o uno stesso periodo; e il di lunghezza costante, cento parole di un brano possono corrispondere a 120, 150 o più di un altro». «Già da parecchi anni... è previsto e prescritto tassativamente il conteggio in sillabe». Così scriveva il prof. Mario Boni al quale nessuno ha mai potuto disconoscere la grande capacità professionale come stenografo alle più alte velocità. A parte quel «tassativamente» che ben sa di sgradita dittatoriale memoria, rimangono alcuni fatti noti agli allenatori: l’impegno dell’allenamento a velocità Per fare 100 parole al minuto bisogna essere sicuri di saperne fare almeno 120 modo di dettare, come si sa, ha una enorme influenza sulla buona riuscita della prova. E sempre sulla velocità, stiamo attenti ad un altro pericolo di falsare la dettatura – ovvero la gara – consistente nel perseverare, da parte di tutti, nel computo in parole, piuttosto che a sillabe. Dice il Boni, e siamo nel ‘32, «il computo a parole è ormai antiquato. Una volta non si calcolava che a parole, ma è stato lungamente ed esaurientemente dimostrato che la parola non è una unità di misura valida in quanto non è superiore di quella della gara a cui si partecipa e il prolungamento del tempo di dettatura devono servire per infondere al concorrente sempre maggior fiducia in se stesso. P urtroppo da quel lontano ‘33 tanta acqua è passata sotto i ponti e la velocità dopo gli anni d’oro del dopoguerra (parlo dell’ultima guerra naturalmente) con la mania del «troppo difficile», per i docenti prima, per gli alunni poi (ma non tiriamo in ballo il solito ‘68 e il lassismo, che non c’entrano in questo caso, bensì la cattiva preparazione culturale e il dispregio, da parte di alcuni, della materia ritenuta ormai inutile dato l’inserimento dei registratori che avrebbero risolto tutto) con conseguente declassamento della materia e la conseguente riduzione delle velocità nelle gare o «addolcimento» dei testi, necessario d’altra parte per avere partecipanti alle gare e quindi propaganda stenografica; una catena che non finiva più. Per tornare poi al calcolo «a sillabe» a nostro parere ha inciso principalmente la «scomodità» dei dettatori a preparare i brani contati in tal maniera. Ora questo problema non c’è: ci sono dei piccoli programmi che permettono un rapido conteggio. Naturalmente tutto questo va bene sia per la stenografia sia per la stenotipia. C ome si vede, pur essendosi modificati i mezzi di trascrizione veloce, i problemi per la formazione professionale sono i medesimi dal nascere della stenografia e dello stenografo sino ai nostri giorni e fino a quando sarà l’uomo ad operare o se preferiamo guidare la «macchina»; eventualmente sarà il «prodotto finito» a variare, ma sarà sempre l’uomo che darà l’input alla penna o ai tasti stenotipici. 1994: ABBIAMO RICEVUTO dall’Estero • Bollettino dell’Institut International de Sténog raphie Duployé, Parigi. • Bollettino della Sachsische Landesbibliothec, Dresda, Germania. • Der Schweizer Stenog raf - Le Sténographe Suisse - Lo Stenografo Svizzero: organo delle Schweizerischen Stenografenverbandes Stolze/SchreySSV, Basilea, Svizzera. • Pikakirjoituslehti: organo della Associazione Stenografica Finlandese, Helsinki, Finlandia. • Revue Suisse de Secrétariat: organo della Association Suisse Aimé Paris pour la Bureautique et la Communication - ASSAP, Neuchâtel, Svizzera. • The Transcript: organo della New York State Court Reporters Association - NYSCRA, New York, USA. • Winklers Illustrierte - Kurzschrift - Maschinenschreiben - Bürotechnik (Stenografia Dattilografia - Tecnica d’Ufficio): ed. Winklers Verlag - Gebrüder Grimm, Darmstadt, Germania. dall’Italia • La Rivista della Scuola, quindicinale di Cultura e di informazioni leg islative: ed. Girgenti Editore Srl, Milano. • Specializzazione, periodico di Istruzione commerciale e amministrativa: ed. Istituto IDI Informatica, Firenze. a5 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI L a linguistica moderna nasce con il Cours de Linguistique Général, che raccoglie le lezioni tenute da Ferdinand de Saussure a Ginevra fra il 1906 e il 1911 e pubblicate postume, nel 1916, ad opera di Bally e Sechehaye. Con questa nostra ricerca, tentiamo, in parallelo, di dimostrare quanto avesse intuito Francesco Saverio Gabelsberger (1789-1849) sugli stessi argomenti enunciati da Ferdinand de Saussure (18571913). 1 - Secondo Ferdinand de Saussure, la linguistica è la scienza che si occupa del linguaggio (language), facoltà universale che si realizza nella lingua (langue), a sua volta utilizzata individualmente con atti di parole. La lingua è un sistema di segni, un codice, ordinato secondo una precisa struttura, fatta di regole e di norme, che la linguistica ha il compito di descrivere nei suoi meccanismi di funzionamento. 1a. - La stenografia di Gabelsberger è un siste- 19 GABELSBERGER ANTESIGNANO DELLA LINGUISTICA MODERNA di Paolo A. Paganini ma di segni, depositati in un codice, ordinato secondo una precisa struttura, che rispecchia e rispetta i meccanismi di funzionamento della lingua. Ne discende, come prima conseguenza, che la stenografia è materia la traccia psichica di questo suono (quando pensiamo, «udiamo» mentalmente i nostri pensieri). Il concetto è il significato, la traccia acustica il significante. Il rapporto tra significante e significato è arbitrario, cioè il significan- Dagli inizi del secolo si parla di linguistica, ma sapevate che già cento anni prima?... di studio pertinente alla linguistica. 2 - Per Saussure, la struttura della lingua ha come base il segno linguistico, entità psichica, che unisce un concetto e un’immagine acustica. Per immagine acustica non si intende il suono materiale, ma te non ha alcun aggancio naturale col significato. Tale rapporto non può, però, essere modificato, in quanto frutto di una convenzione. Segno, nella definizione più generale, è cosa, atto o fenomeno che è anche espressione di qualcosa d’altro, ma ciò implica anche l’intenzionalità e la non completa arbitrarietà: a questo tipo di segni viene dato, linguisticamente, il nome di simboli. 2a. - Già Gabelsberger nell’Anleitung (1834, settant’anni prima di de Saussure) affermava: «Tutto il nostro parlare e tutto il nostro udire consistono alla fin fine soltanto in una esposizione ed in una comprensione di segni sensibili, in un continuo affaccendarsi intorno a segni astratti, prima per ridurli tali che la mente possa riceverli e assorbirli come cose sensibili, e poi di nuovo per rivestire i pensieri così spirituali con tali simboli che permettono di manifestarli per via sensibile. Nell’impiego di un segno vi sono tre cose da considerare: a) ciò che vogliamo indicare e cioè l’oggetto; b) l’istituzione di un collegamento fra ciò che viene segnato ed il segno stesso, o la fissazione di una relazione reciproca fra segno e cosa segnata su cui si basa il significato del primo». Embrione dell’arbitrarietà? Tanto più che qualche riga più avanti dice: «La connessione del segno con la cosa da se- 20 gnare può essere o naturale o arbitraria. Nel primo caso viene effettuata mediante l’intelligenza e la fantasia, nel secondo mediante la memoria. La connessione naturale viene quando il segno porta in se stesso le caratteristiche della cosa da segnare...». E de Saussure ammette la distinzione tra segni assolutamente arbitrari e segni relativamente arbitrari (venti è immotivato, ma ventinove non lo è in egual grado, perché evoca i termini di cui si compone e altri che gli sono associati). Definire Gabelsberger antesignano della linguistica significa riconoscere nelle sue opere e nel Sistema delle tracce, che hanno avuto compiuta realizzazione indipendentemente dalla Stenografia e relativamente al fenomeno lingua, essenzialmente come fatto sociale prevalentemente orale. 3 - De Saussure: «In generale noi conosciamo le lingue mediante la scrittura. ... Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni; l’unica ragion d’essere del secondo è la rappresentazione del primo». Per Saussure, la scrittura è un «male necessario», di cui individua il minore nel sistema «fonetico», che mira a riprodurre RIVISTA DEGLI STENOGRAFI la sequenza dei suoni succedentisi nel vocabolo. Individua nel sistema alfabetico greco il migliore attuabile, ma ne sottolinea i limiti, affermando l’impossibilità di armonica fusione fra grafia e pronuncia. «Anzitutto – dice Saussure – la lingua si modifica di continuo, mentre la scrittura tende a restare immobile. Ne segue che la grafia finisce col non corrispondere più a ciò che deve rappresentare. Una notazione che in un dato momento è coerente, un secolo più tardi sarà assurda. È quel che accade in francese per ‘oi’: Sec. XI Sec. XIII Sec. XIV Sec. XIX 1 2 3 4 Come si vede, fino al secondo periodo si è tenuto conto dei mutamenti intervenuti nella pronunzia; a una fase nella storia della lingua corrisponde una fase in quella della grafia. Ma a partire dal secolo XIV la graf ia è restata stazionaria, mentre la lingua proseguiva la sua evoluzione, sicché da quel momento vi è stata una discordanza sempre più grave tra lingua e ortografia. ... Il risultato evidente è che la scrittura offusca la visione della lingua: non la veste, ma la traveste. Lo si vede bene nell’ortografia della parola francese ‘oiseau’, in cui nemmeno un solo suono della parola parlata (wazo) è rappresentato da suo proprio sePronunzia Grafia rei, lei roi, loi roè, loè rwa, lwa rei, lei roi, loi roi, loi roi, loi gno, sicché nulla resta dell’immagine della lingua». Saussure prosegue, affermando che «il lingui- sta chiede anzitutto che gli si fornisca un mezzo per rappresentare i suoni ar ticolati fuori d’ogni equivoco». Tale mezzo, o scrittura fonologica, «deve badare a rappresentare con un segno ciascun elemento della catena parlata». 3a. - Gabelsberger anticipa quest’esigenza con il suo sistema, laddove col principio fonetico assegna ad ogni suono un segno, a suoni semplici segni semplici, a suoni complessi segni complessi, a suoni simili segni simili. Il sistema G.N. non traveste la lingua, ma la veste, seguendo le modificazioni della lingua sul piano diacronico, per cui la grafia stenografica corrisponderà sempre alla pronunzia della lingua (/c/, /g/; /ch/, /gh/; /sc/; ...). 4 - La linguistica definisce fonemi i singoli suoni, rappresentati in grafia ordinaria dalle lettere dell’alfabeto. I fonemi, attraverso le loro combinazioni, danno luogo ai monemi, che sono le prime unità dotate di signif icato: es. «casa» è composta di quattro fonemi c-a-s-a e di due monemi casa. I due monemi sono gli elementi minimi dotati di signif icato del vocabolo casa, ma il loro valore RIVISTA DEGLI STENOGRAFI è differente: cas- ha una sua collocazione precisa nel lessico (cas-erma; cas-olare; cas-ello, ecc.), per cui assumerà il nome di lessema; -a ha una sua collocazione nella morfolog ia (in quanto indica il femminile singolare), è soggetta a variazioni (case), per cui assumerà il nome di morfema. 4a. - Gabelsberger ha precorso e rispettato questo sistema di combinazione dei fonemi e, con il simbolismo delle vocali (si parla appropriatamente di simbolismo, in quanto si rappresenta qualcosa mediante un espediente, grafico o di posizione, intenzionale e motivato), evidenzia i lessemi e i morfemi ancor prima di Saussure, in osservanza anche del principio etimologico. Con il simbolismo delle vocali, ora sulla consonante seguente, ora su quella precedente, radice (lessema) e desinenza (morfema) rimangono ben distinti, immediatamente individuabili. 5 - La linguistica distingue tra studio diacronico e studio sincronico di una lingua, cioè tra lo studio della lingua vista nel suo evolversi attraverso il tempo e lo studio della lingua, quale essa è in un determinato momento storico. Per Saussure la linguistica deve privilegiare l’aspetto sincronico. 5a. - Il Principio Etimo- 21 logico, cui si informa il sistema Gabelsberger, concilia sia il piano diacronico, sia il piano sincronico. La parola viene scomposta nei suoi elementi costitutivi, per cui è immediatamente recuperabile il possibile rapporto con un’altra più antica, da cui è derivata («interludio», «preludio»: dal lat. ludus = «r appresentazione», «spettacolo»; «refrigerare»: lat. «frigus» = «freddo» piano diacronico); contemporaneamente I termini del paradigma si escludono a vicenda nel discorso, e sono, quindi, in relazione di opposizione. Così, a livello di segno, se dico «mela» ogni fonema si oppone ad altri (bela, cela, tela, vela; mola, mula; mera, meta; mele, meli, melo). 6a. - Ragionando in absentia, la stenograf ia trova il suo momento più alto nell’abbreviazione logica e nell’omissione di parole. l’informazione «plurale» è data da due elementi, «-e» ed «-e», invece che da uno solo, come era semiologicamente necessario e sufficiente. 6.2b. - La stenografia rispetta la successione sintagmatica, ma elimina la ridondanza (omissione di vocali finali, desinenze verbali, ecc.), in quanto sistema semiolog icamente realizzato e, contemporaneamente, attua il principio è possibile, grazie al valore che i singoli stenomonemi assumono, individuare le famiglie di parole che vivono oggi: «casa», caserma, casolare, accasare, rincasare, casetta (piano sincronico). Quello che c’è è il minimo indispensabile, suff iciente a ricostruire quello che manca, quello che è stato omesso, quel substrato relegato nelle zone in absentia, che, tuttavia, nel gioco delle associazioni delle idee emergono con stupefacente facilità. 6b. - Sull’asse sintagmatico, «Questo è un libro ben fatto» è una successione coerente di unità successive, cioè i termini sintagmatici interagiscono a vicenda nella catena parlata: il dire «libro» obbliga a dire «questo» e non «questa», «è» e non «sono», «fatto» e non «fatti». Questo ci rimanda al concetto di ridondanza, cioè all’utilizzo di un numero magg iore di elementi distintivi di quello strettamente necessario. Es.: «le amiche», segno in cui dell’economia, secondo il quale un piccolo insieme di elementi distintivi, che attui un insieme potenzialmente inf inito di distinzioni possibili, rappresenta una notevole redditività. Lingua parlata e lingua scritta, codici paralleli che, come abbiamo visto, tendono a divaricare, riacquistano, grazie alla Stenografia, un perfetto aderente parallelismo. E, in virtù della sistematicità imposta da Gabelsberger, assumono altresì il più idoneo e proficuo terreno di studio della linguistica, sia sul piano diacronico, sia su quello sincronico, imponendosi il sistema Gabelsberger, in assoluto, come «la più semplice, fedele e sicura espressione grafica del pensiero». 6 - Gli elementi della lingua (langue) si pongono in relazione fra loro secondo due assi: l’asse paradigmatico, o delle scelte in absentia, e l’asse sintagmatico, o delle combinazioni in presentia. Esempio: «Questo è un libro mal fatto». Asse paradigmatico o «in absentia»: per ogni posizione della frase è stata compiuta una scelta fra i molti elementi suscettibili di comparire in quella posizione: 1 = quello, il tuo, l’altro...; 2 = sarà, può essere, diventerà...; 3 = il, i, gli, la...; 5 = ben... a1 22 G iuseppe Aliprandi nacque il 15 novembre 1895 a Tromello, località non molto distante da Pavia, città nella quale avevano già preso sviluppo lo studio e la diffusione della Stenografia. Consultando la Cronologia stenografica italiana dello stesso Aliprandi, alla data 1877. 5 Novembre troviamo infatti la «registrazione» Scuola Stenografica Pavese (Viscardi). Proseguendo nella ricerca delle notizie che riguardano Pavia, si nota poi che nel 1883 viene formata la Unione Stenografica Pavese (Rossi) e che nel 1888 Arturo Rossi tiene all’Università di Pavia un corso di stenografia. Nel 1885, Giuseppe Bazzoni per incarico dell’Unione Stenografica Pavese apre un corso di stenografia a Bologna. Pubblicazioni stenografiche escono a Pavia nel 1888, 1891 e 1892. Nella prefazione alla sua Cronologia, che per quanto pubblicato a suo tempo sulla Rivista degli Stenograf i copre i periodi 15 magg io 1796-29 di- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI POLIGRAFO E MATEMATICO CON LA STENOGRAFIA Ricordiamo Giuseppe Aliprandi a cento anni dalla nascita a cura di Attilio Ottanelli cembre 1929 e 19431962, salvo se altri, Giuseppe Alipr andi scriveva: C hi avrà la pazienza di scorrere queste note di cronologia stenografica italiana – date con sobri accenni, perché questa è cronologia e non storia – scorgerà attraverso l’infittirsi delle notizie, l’affermarsi graduale dell’idea stenografica; non solo: ma dall’avvicendarsi dei nomi sarà tratto a ricordare gli apostoli del movimento stenografico del nostro Paese; e dal mutarsi delle città scorgerà lo spostarsi dei centri nervosi di erudizione stenografica. Ond’è che notizie talvolta prive d’importanza o di scarso valore nel quadro generale, ne assumono invece uno di maggiore entità considerate come affermazione di un nome o come simbolo di un’azione sociale. Benché estremamente sintetiche, le informazioni fornite dalla Cronologia (eventi, nomi di associazioni, di persone e città, di autori e di pubblicazioni, citazione dei sistemi, con l’indicazione delle date, in pochi casi solo dell’anno) formano infatti una «trama» sulla quale si possono ricostruire vicende storiche particolari o generali. Le informazioni prima citate consentono quindi di conoscere l’interessamento per la stenografia nella città di Pavia nel periodo 18771892, e ci fanno comprendere come un ragazzino, certamente dotato di grande passione per lo studio, rimanesse affascinato dalla propaganda dell’arte di scrivere velocemente, che all’età di undici anni, nel 1906, aveva già imparata. Risulta infatti, da altra fonte, che Giuseppe Aliprandi fu iscritto in quell’anno come socio straordinario dell’Unione Stenografica Pavese. F rancesco Giulietti affermò, in un suo discorso o in qualche suo scritto, che «lo studio della stenografia richiede tenacia e pazienza; esso ha pure un gran potere formativo per l’intelligenza e il carattere; potere che è stato riscontrato non inferiore a quello della matematica». E proprio alla Matematica si indirizzava poi l’adolescente stenografo che appena ventenne si laureava presso l’Università di Pavia. Ricorrendo il 100° anniversario della nascita ci sembra pertanto opportuno presentare nuovamente, non sempre nello stesso ordine, l’estratto degli Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti pubblicato nel 1990 a cura di Lino Lazzarini col Ricordo di Giuseppe Aliprandi e saggio di bibliografia di Attilio Maggiolo, edito dalla Società Cooperativa Tipografica di Padova. L’Aliprandi, nato a Tromello di Pavia il 15 no- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI vembre 1895, s’era laureato ventenne in matematica presso l’Università pavese, proseguendo in questo indirizzo sia con l’insegnamento, sia con originali pubblicazioni. Fu chiamato alle armi ed ebbe la Croce di guerra; ritornata la pace si trasferì a Padova come insegnante supplente all’Istituto Tecnico «Belzoni»; ben presto assistente volontario di algebra alla cattedra di analisi infinitesimale dell’Università, di ruolo per un triennio (dal 1919 al 1923); poi titolare di matematica finanziaria e attuariale nell’Istituto Tecnico Commerciale «Calvi», allora istituito, dove insegnò per quasi un quarantennio (1922-1960) 1. Frutto di questo insegnamento furono anche dei testi destinati alla scuola media superiore, che ebbero più edizioni; ma accanto egli venne via via pubblicando contributi di scienze matematiche in riviste specializzate, con particolare frequenza fino al 1932. D a quel lontano 1918 dunque l’Aliprandi trascorse la sua operosissima vita nella nostra città (Padova), per quasi un sessantennio, fino alla morte, il 31 dicembre 1975. Ma già prima di quel suo avviarsi agli studi matematici, precocemente s’era manifestato in lui l’interesse per la stenografia: undicen- 23 Giuseppe Aliprandi (1895-1975). È stato per cinquant’anni direttore di «Studi Grafici». ne appena aveva appreso questo modo di scrittura abbreviata nel sistema allora dominante, di Gabelsberger e Noe, divenendo ben presto esperto e veloce (capacità poi esercitata per anni nelle sedute dei Consigli Comunale e Provinciale di Padova). Sentì tuttavia fin dagli inizi il bisogno di considerare la teoria accanto alla pratica e di allargarsi alla considerazione storica di questa disciplina, e contemporaneamente di propagare, promuoverne la conoscenza. Sono queste tendenze caratteristiche e significative che accompagneranno tutta la sua opera. Possiamo ricordare ancora quell’altro aspetto degli interessi intellettuali dell’Aliprandi, il loro ampliarsi progressivo, l’approfondirsi nel solco delle sue prime propensioni di studio. Tutt’al più può apparirci una qualche divergenza tra gli studi matematici (dal 1920 al ‘51), cioè tra la sua attività professionale e scientifica e le sue scritture a carattere letterario o storico o meditativo, a partire dagli anni trenta. Dall’impegno dunque per la stenografia (la scrittura contemporanea alla parola) rivelatosi così precocemente nel 1914, egli passò a quello per la dattilografia e per la stampa (che fermano e tramandano più durevolmente la scrittura), con un interesse tecnico-storico per la dattilografia, con una viva passione per tutto quanto concerne la stampa: tipografia e tipografi, libri e librai. Collegati a questi interessi quello per il giornalismo (la pronta dif- f usione della parola stampata), per la sua storia e con l’attività giornalistica esercitata «in proprio» come pubblicista, specialmente nei giornali padovani. Gli interessi pratico, tecnico e storico per i diversi modi e mezzi della scrittura s’allargarono poi a quello estetico, particolarmente nella realizzazione delle opere a stampa, e alla considerazione della parola come attivo strumento e insieme come riflesso della cultura e di una realtà storico-sociale. Giuseppe Aliprandi fu definito poligrafo, e va bene per la molta e varia operosità di ricerche e di scritti, ma definizione limitativa se si pensi allo sviluppo dei suoi temi di studio, l’uno dall’altro e l’uno intrecciato con gli altri, con un sempre più largo interesse di cultura. Opere e scritti L e opere e gli scritti di Giuseppe Aliprandi elencati nella bibliograf ia pubblicata col Ricordo sono oltre quattrocento. Il primo lavoro, pubblicato a Pavia nel 1914, reca il titolo Impariamo la stenogra1 1921-1961 secondo i dati forniti dal prof. Francesco Aliprandi, al quale rinnoviamo il ringraziamento della «Rivista» per il «Ricordo» gentilmente inviatoci nel 1991 (v. «R. d. St.», n. 15/1991, «Giuseppe Aliprandi matematico, poligrafo e cronista», p. 12). 24 fia; l’ultimo, Ragnatele «Strenna 1976» fu edito dalla Tipografia Antoniana di Padova. C onsultando la «Storia delle scritture veloci» di Francesco Giulietti2 si trovano citati i lavori dell’Aliprandi aventi «carattere di sunti storici»: Storia della Stenografia Italiana nel periodo moderno (Padova, 1925) 3 e Lineamenti di Storia della Stenografia «con particolare riferimento all’Italia (Torino, 1940). Nella stessa opera del Giulietti sono citati anche i seguenti articoli o saggi pubblicati su periodici stenografici italiani: — Storia interna stenografica - La Stenografia come materia sussidiaria della Storia (1916)4; — Aspetti culturali del problema stenograf ico (1925); — Gabelsberger e Fayet (1949)5; — Interpretazione grafica di un verso dantesco, 19626. G li eventi stenografici che ancora fanciullo lo indirizzarono allo studio della stenograf ia rimasero certamente sempre nel cuore e nella mente di Francesco Aliprandi: nel 1960, la rivista Regisole di Pavia pubblicava infatti il suo articolo L’Unione stenografica pavese nel suo luminoso esordio. Non sappiamo se ad Aliprandi siano state attribuite anche le doti di RIVISTA DEGLI STENOGRAFI conferenziere e oratore, ma nello scorrere la Cronologia, ricca di un «fiume» di notizie, abbiamo trovato la seguente: «1926. 27 Maggio... Cinque conferenze stenografiche (Boaga, Bruniera, Bruno, Degan, Aliprandi)». Riteniamo non sia stata l’unica. E, grazie al professor Giuseppe Scardulla Di Salvo (Palermo) 7, è certo che, nel 1956, in occasione della celebrazione del 50° anniversario dell’Istitu- to di Propaganda Stenografica di Palermo, Giuseppe Aliprandi pronunciò un memorabile discorso sulla stenografia in Sicilia. Nella parte dedicata ai giovani presenti alla cerimonia, dopo alcune brevi domande retoriche rivolte agli stessi, con riferimento a situazioni reali, ed alle emozioni dello stenografo al lavoro, egli «rispondeva»: Solo noi stenografi siamo sovente i testimoni muti di questo travaglio spiritua- Sintesi biografica — Nasce a Tromello di Pavia il 15 novembre 1895. — Socio straordinario dell’Unione Stenografica Pavese, 1906. — Socio ordinario dell’Associazione Dattilografica Italiana, 1913. — Scrive «Impariamo la stenografia», suo primo lavoro, Pavia, 1914. — Laureato in matematica presso l’Università di Pavia, 1915. — Chiamato alle armi. Riceve la Croce di Guerra del conflitto 1915-18. — Si trasferisce a Padova come insegnante supplente all’I.T. «Belzoni», 1919. — Assistente volontario di algebra alla Cattedra di analisi infinitesimale dell’Università, poi di ruolo, 1919-1923. — Titolare di matematica finanziaria e attuariale all’I.T.C. «Calvi», 1921-1961*. — Presidente della Prima Società Stenografica Italiana, Padova (1925). — Direttore del periodico Studi Grafici di Padova (già Bollettino dell’Accademia Italiana di Stenografia, fondato da Ferruccio Stazi nel 1925), dal 1925 al 1975. — Promotore dell’Accademia Italiana di Stenografia (1925) e fondatore del I Centro di Studi Dattilografici (1938), ricostituitisi in Accademia Italiana di Stenografia, Dattilografia e Informatica «G. Aliprandi» (Firenze, 1971). — Socio corrispondente dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti (1971, già collaboratore dal 1918). — Scrive il suo ultimo lavoro, «Ragnatele», 1975. — Muore a Padova il 31 dicembre 1975. * Non 1922-1960 (v. nota 1). le, oscuro, che finalmente si placa nel verso di un poeta, nella parola di un oratore, nella precisazione di un tecnico, nella dialettica di un politico. E con quel noi, Giuseppe Aliprandi, nel rivedersi g ià stenog rafo nell’adolescenza, si metteva al livello di quei giovani per elevarli al suo. Riferendosi poi a «questa nostra epoca atomica», affermava: L’ansia dei nostri tempi è di tutti i tempi. L’attimo è prezioso per ogni figlio di Dio e dovrebbe richiedere l’impegno di tutti i figli dell’Uomo. 2 Casa Editrice Giunti-G. Barbera, Firenze, 1968. 3 Saggio vincitore del pubblico concorso bandito nel 1924 dalla Associazione Magistrale Italiana (Milano), che la «Rivista d’Italia» (Milano), in data 15 novembre 1925, «riconosce meritevole di pubblicazione integrale». 4 Su «Stenografia - Gazzetta della Scuola GabelsbergerNoe» (Milano), n. maggio-ottobre 1916. 5 Su «La Lettura Stenografica», Napoli, n. novembre-dicembre 1949. 6 Su «Studi Grafici», Padova, n. agosto-settembre 1962, riguardante l’interpretazione del verso dantesco «I s’appellava in terra il sommo bene, / Eli si chiamò poi: ...», Paradiso, canto XXVI, vv. 134 e 136. 7 Professore, stenografo (Palermo). Nel 1991 inviò alla Fondazione Giulietti il testo stenografico del discorso pronunciato a Palermo da Giuseppe Aliprandi, il 10 giugno 1956, e ripreso da Franco Gagliano (v. «R. d. St.», n. 18/1991: «La Stenografia in Sicilia», p. 10, e n. 20/1992, p. 2, «Lettere in Redazione». a8 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 25 LA FONDAZIONE L e «industrie» moderne, qualunque sia l’oggetto prodotto, dispongono di uno o più centri di studi e sperimentazioni, che consentono di individuare, con tutta certezza, i pregi ed i difetti dei materiali impiegati per la fabbricazione delle singole parti degli oggetti prodotti. Perché non attrezzare centri di studi e sperimentazioni per la individuazione sicura delle buone qualità e dei difetti delle lettere della «scrittura comune» e dei segni elementari della «stenografia»? I membri del Consiglio di amministrazione della «Fondazione Francesco e Zaira Giulietti» hanno deciso di attrezzare un «Centro di studi e sperimentazioni» che permetta l’individuazione delle buone qualità e dei difetti dei «segni grafici» e dei «mezzi scrittòri»: penna, carta, tavolo, ecc. Nell’attesa che la Fondazione disponga di tutti gli «strumenti» necessari alla sperimentazione – che metterà a disposizione degli Studiosi di problemi grafici italiani e stranieri – pubblichiamo uno «scritto» di Andrea Innocenzi, tratto dal libro dello stesso: «Unità della Scrittura», Roma 1971. AVVIA UN CENTRO DI STUDI E SPERIMENTAZIONI di Andrea Innocenzi I problemi relativi alla scrittura sono tanti e tali da farci seriamente temere di non riuscire a risolverli nel migliore dei modi. Alle incertezze già note, relative alle sole scritture derivate dall’alfabeto latino (segni diritti o inclinati? Corsiva comune o script?), si aggiungono le incertezze relative alla posizione dello scrivente e alla scelta dei mezzi scrittorii. Si potrà pervenire ad una dei letterati e respingendo quelle dei tecnici e degli esperti di problemi grafici. P er giungere sicuramente alla mèta è indispensabile mettere da parte le «belle parole» e presentare all’esame degli esperti dati concreti e sicuri circa i pregi e i difetti dei segni grafici. Le prove, gli esperimenti e le conseguenti valutazioni potranno Le conquiste della tecnica oggi ci forniscono strumenti precisi ed efficienti risoluzione del problema che soddisfi tutti? Certamente è impossibile se si cerca la soluzione – come si è fatto f ino ad ogg i – accogliendo le ‘conclusioni’ indicarci la via per scegliere con certezza la scrittura migliore. Dobbiamo, in un primo tempo, individuare i mezzi, gli strumenti e i metodi per registrare dati sicuri. Le misurazioni compiute da esimi esperti nel passato ci aiutano nel nostro lavoro di ricerca e di scelta dei mezzi più adatti; le conquiste ultime della tecnica ci forniscono strumenti eff icienti, precisi e sicuri. P otremmo, per esempio, impiegare macchine da ripresa cinematografica, a cento fotogrammi al secondo, e cronografi di alta precisione. Con gli apparecchi potremmo rilevare dati sicuri circa il tempo per scrivere i singoli segni, qualunque sia la loro posizione nelle parole (all’inizio, nel cor po e alla fine delle stesse), e il tempo per gli stacchi della penna dal foglio; potremmo, inoltre, individuare il movimento dell’avambraccio, delle dita della mano e della punta del mezzo scrivente. Risultati ugualmente validi possiamo ottenere con str umenti economici, di facile e sicuro impiego; descriveremo questi ultimi per consentire agli studiosi di eseguire prove uguali o simili a quelle da noi ef- 26 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI fettuate, onde potere confermare o confutare i risultati che, mediante essi, abbiamo desunto. Penna interruttore C ome poniamo mente alla possibilità di valutare la bontà d’una scrittura, i pregi e i difetti dei singoli segni, siamo indotti a individuare il tempo impiegato per scrivere i segni elementari, gli stenogrammi e gli scritti di una o più parole. Per tali valutazioni è sufficiente un buon cronometro che, se impiegato bene – in modo da assicurare la simultaneità tra lo scatto dello stesso e l’inizio e la fine d’ogni prova – dà buoni risultati. Ma i dati desunti con tale strumento (il solo cronometro) non ci soddisfano completamente poiché, per esempio, non possiamo conoscere il tempo intercorso tra la fine d’un segno e l’inizio del successivo (stacco tra i segni d’una stessa parola, tra le parole d’una stessa riga e tra parole di righe contigue) e non ci è possibile conoscere il tempo impiegato per scrivere un segno unito ad altri segni all’inizio, nel cor po o alla f ine delle parole. D obbiamo, necessariamente, ricorrere ad altri strumenti. Il primo che può soddisfare gran parte TAVOLA I Mario Boni ha raccolto in un «fascicolo» gli articoli, pubblicati nella rivista «Scienza stenografica», attorno agli «studi di meccanica grafica», dal 1923 al 1931. In detto ‘fascicolo’ sono illustrati gli studi, gli apparecchi e i risultati relativi alla «scorrevolezza dei segni», al «computo dei movimenti», alla «legge d’inerzia» e allo «sforzo muscolare». L’autore ricorda, in particolare, gli studi di J. B. Estoup (1868-1950), di Giuseppe Maria Picena, di Thierry-Mieg (1820- 1902) e l’opera di F. W. Kaeding (1843-1928): «Ueber Geläufigkeits Untersuchungen oder Festellung der Schreibflüchtigkeit der schriftzeichen» (Ricerche sulla scorrevolezza ovvero fissazione della facilità di tracciamento dei segni stenografici), pubblicato a Steglitz, Berlin 1898. Nel libro del Kaeding sono ricordati gli esperti che hanno compiuto studi di meccanica grafica; sono trascritti moltissimi dati attorno alla scorrevolezza dei segni e sono descritti gli apparecchi usati per le prove da alcuni ricercatori, tra i quali il ‘kronosko’ di Hipp e la ‘penna elettrica’ di Edison. Studi rilevanti di meccanica grafica hanno compiuto, negli ultimi decenni: 1° Giuseppe Aliprandi, «Studi di meccanica grafica», Bollettino dell’Accademia Italiana di Stenografia, novembredicembre 1928. 2° Giovanni Boaga, «Confronto dei sistemi stenografici Meschini e Noe in base al computo dei tempi», Vol. III della «Biblioteca di Scienza Stenografica», Milano 1932. 3° Filiberto Vignini, ideatore del «Grafotachimetro»; egli ha notificato i risultati ottenuti nella rivista «Studi grafici», n. 132, 1956 e n. 142, 1958 e nella «Rivista degli stenografi», nn. 1/2, 1959. 4° Andrea Innocenzi, ha eseguito studi di meccanica grafica, i cui risultati sono stati pubblicati nel libro «Le scritture dell’avvenire», tipografia Quatrini, Viterbo 1960. 5° N. N. Sokolov, ha compiuto studi e ricerche di meccanica grafica di grande rilievo, che ha pubblicati nel libro: «Basi teoriche del sistema statale unico di stenografia», Mosca 1940 (1ª edizione, Mosca 1937). 6° Milos Matula, notifica interessantissimi dati di meccanica grafica mediante il libro «Teoria e pratica della stenografia», Praga 1958. delle nostre esigenze è un «cronografo», la cui simultaneità tra lo scatto dello stesso e l’inizio e la fine della scrittura d’un segno sia indubbia e che ci permetta di misurare il tempo con l’approssimazione di un ventesimo (1/20) o di un centesimo (1/100) di secondo. I tecnici possono facilmente costruire un tale strumento; descriveremo quello da noi impiegato. Esso è costituito da tre parti: la penna interruttore, l’elettrocalamita e il meccanismo per imprimere il moto alla zona, striscia di carta di larghezza uniforme (Tav. I). P er un’immediata comprensione del funzionamento di questo apparecchio, basta pensare alla «macchina telegrafica Morse» che, ancora oggi, è usata in alcuni uffici postali per trasmettere i telegrammi: come l’operatore abbassa il ‘tasto’, resta impresso sulla zona scorrevole un segno rettilineo, la cui lunghezza è in rapporto diretto al tempo di chiusura del circuito (chiusura determinata per mezzo del tasto, che funge da interruttore). Se noi sostituiamo al tasto una penna (che chiuda il circuito come s’inizia a scrivere e che lo apra nell’istante in cui si stacca la penna dal foglio) e se assicuriamo, con op- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI portuno regolatore, lo scorrimento della zona a velocità costante, avremo realizzato il «cronografo» adatto all’uopo. Lo schema della «penna interruttore» consente di conoscere meglio l’apparecchio. Non riteniamo necessario descrivere i singoli organi, poiché i tecnici possono comprendere bene il funzionamento della penna e possono costruire senza diff icoltà l’elettrocalamita e il meccanismo per lo scorrimento della zona (volendo, si potrebbe utilizzare una macchina telegrafica Morse: è sufficiente sostituire al meccanismo a molla, che imprime il movimento alla zona, un meccanismo a gravità); mentre riteniamo utile indicare i pregi e le caratteristiche dei singoli congegni. L a «penna interruttore» deve avere le dimensioni e il peso d’una comune penna stilografica (si può costruire partendo da una ‘Parker’ a sfera). La distanza «S», tra il perno fisso al serbatoio della biro e quello avvitato al coperchio, è di circa due decimi di millimetro; la pressione della molla «m» sulla biro, si regola mediante l’anello a vite «A» – secondo le attitudini e abitudini dello scrivente – in modo che si chiuda il circuito (mediante il contatto tra i due perni, ai quali fanno capo i fili 27 uniti uno ad un polo della pila e l’altro ad uno dei morsetti dell’elettrocalamita) come lo scrivente traccia un segno e si apra come lo stesso cessa di scrivere, sollevando la penna o non esercitando più alcuna pressione sulla del meccanismo che imprime il moto alla zona, richiede molta accortezza e molta pazienza. Solo quando si è sicuri della rispondenza perfetta dell’apparecchio, si possono iniziare le prove pratiche. L’operatore deve ese- a zona si può far scorrere a bassa o ad elevata velocità. A nostro parere, la velocità più rispondente ai nostri scopi è di 1200 millimetri al minuto 1. La relazione tra la lunghezza del tratto rettilineo sulla zona e il tempo impiegato per scrivere il segno corrispondente è la seguente. centesimo di secondo. Ai nostri fini interessa di più la comparazione tra i tempi necessari per scrivere un determinato segno, piuttosto che il valore assoluto del tempo. Volendo eseguire misurazioni del tempo in centesimi di secondo, conviene scrivere cinque volte lo stesso segno e valutare il tempo complessivo: in tal caso la lunghezza in millimetri dall’inizio alla fine della traccia dei cinque segni sulla zona, dà il tempo medio per scrivere un segno in centesimi di secondo. Infatti al trattino sulla zona lungo un millimetro corrisponde il tempo di 1/20 di secondo ovvero di 5 centesimi; il tempo medio ‘T’ per scrivere un solo segno si ottiene dividendo per cinque il tempo impiegato a scrivere cinque segni (Tav. II/1, 2); pertanto il tempo ‘T’ in centesimi di secondo è uguale alla lunghezza in millimetri misurata sulla zona dall’inizio del primo trattino alla fine dell’ultimo: T = Lunghezza del trattino Tempo per il segno 1 1200 mm 20 mm 1 mm 0,2 mm 60 sec. 1 sec. 1/20 sec. 1/100 sec. Si potrebbe utilizzare anche una macchina telegrafica Morse stessa. L’elettrocalamita che imprime il moto al «pennino», dev’essere costruita in modo da eliminare l’effetto della «isteresi magnetica»; la distanza «S1» e l’azione della molla «m1» si devono regolare in modo che il «pennino» tracci sulla zona un segno netto e chiaro. Il meccanismo che imprime il movimento alla zona deve consentire la regolazione della velocità in modo che questa abbia il valore prefissato e si mantenga costante qualunque sia il tempo atmosferico (se il meccanismo comprende un «freno aereodinamico», che è presente nella macchina Morse, la velocità della zona è influenzata dalla pressione atmosferica) e qualunque sia la posizione del pennino: sollevato o aderente alla zona. La messa a punto della «penna interruttore», dell’elettrocalamita e guire numerosissime prove preparatorie e quando è sicuro di sé e dell’apparecchio può desumere dalla zona i dati definitivi che lo interessano. L Si comprende che non è facile valutare sulla zona due decimi di millimetro e quindi un Si potrebbe far scorrere la zona velocemente fino ad ottenere, per esempio, che al tempo di un centesimo di secondo, corrispondesse la lunghezza di un millimetro; però si avrebbe l’inconveniente di dover esaminare una zona cinque volte più lunga: cosa assai scomoda in particolare quando accanto allo stenoscritto si pone la corrispondente zona. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI Lx5 = L2. La lunghezza ‘l’ di zona compresa tra due trattini, indica il tempo per lo stacco della penna dal foglio e cioè il tempo intercorso dal momento in cui si cessa di scrivere un segno all’istante in cui s’inizia a scrivere il seguente. D alla distanza ‘S’ si desume il tempo impiegato per scrivere un segno senza tener conto del tempo per lo stacco. Analoghe misurazioni si eseguono per trovare i dati relativi alla ‘m’ e per qualunque altro segno o parola o frase. Se, ad esempio, scriviamo la fr ase: «chi bene ama bene punisce» (Tav. II/3), nella quale compaiono segni diacritici e d’interpunzione, il cambio della riga e lo stacco tr a le lettere d’una stessa parola (punisce), possiamo individuare i dati seguenti: 1° il tempo per scrivere l’intera frase (che è di 10 secondi); 2° il tempo per scrivere ogni parola; 3° il valore degli stacchi tra le parole; 4° il valore dello stacco tra le righe; 5° il valore dello stacco per i segni diacritici e di quelli di punteggiatura; 6° il valore dello stacco tra due lettere d’una stessa parola (punisce). Eseguendo numerose prove, alla massima celerità, in caratteri di 28 stampa, in corsivo e in stenografia, si possono rilevare i valori minimi e massimi più frequenti degli stacchi della penna dal foglio; detti valori, in centesimi di secondo, sono i seguenti: 1° tempo per stacco tra due segni uguali: 7-18; 2° tempo per stacco tra due parole d’una stessa riga: 15-25; 3° tempo per stacco tra due righe contigue: 3050; 4° tempo per i segni diacritici: 10-25; 5° tempo per le esitazioni mentali o grafiche: da 50 a più di 100. Penna duplice V iene spontaneo di mettere in dubbio la validità dei dati citati o, quanto meno, di chiedersi: «per quale motivo gli stacchi della penna dal foglio assorbono tanto tempo?». Chi ha presenti le leggi della dinamica non tarda ad accogliere i risultati citati, poiché sa che l’inerzia della mano e della penna ostacolano il libero movimento della punta scrivente e intuisce che il percorso della stessa è assai diverso dalla cong iungente la fine d’un se- gno con l’inizio del seguente. Come identificare tale percorso? Si può ricorrere alla ‘cinepresa’ o ad altri congegni. Descriviamo la «penna duplice» da noi usata (Tav. II/4). Ad una penna a sfera o biro (può usarsi anche una penna stilografica o una matita) è fissata la forcella ‘f ’, all’estremità della quale ruota attorno al perno ‘p’, il pennino per normografo ‘P’. La rotazione di questo in senso orario e in senso antiorario è limitata dalle caratteristiche costruttive della forcella. I segni tracciati con la biro sono riprodotti fedelmente dal pennino quando le due punte scriventi toccano contemporaneamente il foglio; però, nel momento in cui la punta della biro è sollevata per tracciare un altro segno, il pennino resta a contatto con il foglio 2 TAVOLA II Il tempo medio per scrivere un segno elementare o uno stenogramma, può variare da operatore ad operatore e, per uno stesso operatore, a seconda le sue condizioni fisiche e psichiche del momento. Va da sé che l’operatore accorto non accoglie, come definitivo, il primo risultato ottenuto; ma, dopo aver eseguito numerose prove per uno stesso segno o per uno stesso stenogramma, sceglie quella zona che (in riferimento alla lunghezza dei trattini) ricorre più frequentemente e che presenta i cinque trattini, indicanti il tempo d’uno stesso segno, tutti uguali o lievemente differenti tra loro. 29 (per la forza di gravità ruota attorno al perno ‘p’) e lascia traccia del percorso aereo della punta scrivente. L’operatore dovrà eseguire numerosi esercizi per ottenere risultati attendibili; in particolare dovrà curare che le due scritture, quella della biro e quella del pennino, siano uguali quando entrambi le punte toccano il foglio e che la punta della biro sia sollevata il meno possibile. N ella Tavola III, numeri 1 e 2, sono indicati con linea a puntini i percorsi aerei di alcuni segni, quando sono tracciati alla massima velocità (se fossero tracciati lentamente il percorso aereo coinciderebbe con la congiungente gli estremi dei segni contigui). I percorsi aerei hanno, a volte, una lunghezza superiore a quella dei segni stessi; è pertanto comprensibile che essi possano assorbire tempi elevati; per renderli minimi è indispensabile ridurre la massa in movimento, eliminare i segni diacritici e far coincidere l’inizio e la fine dei segni con la riga di base. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI migliori segni delle scritture corsiva, a stampa e stenografica. Infatti, possiamo classificare i segni in ordine al tempo impiegato per scriverli separatamente e abbiamo la possibilità di individuare il valore dello stacco della penna dal foglio. Per la scrittura a stampa (stampatello o script, le cui lettere sono staccate le une dalle altre) ci è possibile individuare il tempo per scrivere qualsiasi parola, sommando i tempi per scrivere le singole lettere della stessa parola. Per la scrittura corsiva Strumenti a duplice scrittura L a «penna interruttore» e la «penna duplice» ci consentono di rilevare dati validi per l’individuazione dei TAVOLA III comune, le cui lettere d’una stessa parola possono essere unite senza staccare la penna dal foglio, il tempo totale non coincide con la somma dei tempi richiesti dalle singole lettere; anzi, si nota che tale tempo è sempre minore della somma detta, poiché sono eliminati i tempi perduti per gli stacchi della penna. Volendo si potrebbe calcolare il tempo per scrivere qualsiasi parola noti i tempi per ciascuna lettera e ricordando che il tempo medio assorbito dagli stacchi della penna è di 15 cen- tesimi di secondo. Le lettere della scrittura corsiva comune hanno tutte inizio e fine sulla riga di base e la loro pendenza è uniforme, sia se scritte isolatamente, sia se unite ad altre; mentre alcuni segni elementari e composti della stenografia si uniscono gli uni agli altri anche al di fuori della riga di base e possono scriversi con pendenza differente; ne consegue che lo stesso segno richiede tempi diversi a seconda che sia scritto isolatamente o unito ad altri segni all’inizio, nel corpo o alla fine delle parole. È il caso, per esempio, dei segni la cui pendenza è contraria a quella normale, di quelli ‘rafforzati’ e di quelli che possono scriversi in senso orario o antiorario. Come individuare il tempo richiesto da tali segni quando sono uniti ad altri? Tale ricerca è indispensabile poiché si cade in errore facilmente quando si pretende di valutare a vista il tempo per scrivere determinati stenogrammi. Gli errori, più frequenti, commessi nella valutazione a vista sono i seguenti: 1° si ritiene che il tempo dello stacco della penna per tracciare i segni diacritici sia piccolissimo, quasi insignificante ai f ini pratici, mentre esso raramente scende al di sotto di 10 centesimi di secondo e può assumere valori at- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI torno ai 25 centesimi; 2° molti sono convinti che i segni corti si scrivono in un tempo breve; mentre essi, se hanno pendenza contraria a quella normale, possono assorbire un tempo anche doppio di quello richiesto da un segno assai più lungo ma di pendenza normale; 3° i segni rafforzati, secondo alcuni, si scrivono in un tempo che è del 10% superiore a quello richiesto dallo stesso segno filiforme: tale risultato può essere vero quando il segno è scritto isolatamente, è errato quando è scritto nel corpo della parola; 4° alcuni segni, scritti l’uno di seguito all’altro, danno origine ad un punto d’unione chiamato «punto morto» o di «velocità nulla» (Tav. III/3). È convinzione comune che il tempo di sosta nel «punto morto» sia insignificante ai fini pratici, mentre esso varia da 5 centesimi di secondo per gli angoli acuti a 25 per gli angoli ottusi; 5° alcuni ritengono che raccordando con un piccolo arco di cerchio i segni rettilinei (Tav. III/4) non si perda tempo per l’unione degli stessi; le prove rivelano che il ‘raccordo’ non rende minore il tempo impiegato per scrivere i detti segni. P er rilevare le errate convinzioni di alcuni esperti di studi grafici o, comunque, per in- 30 dividuare con tutta certezza il tempo per scrivere un segno qualsiasi unito ad altri segni, in un punto qualunque della parola, è indispensabile far ricorso a strumenti e a prove che diano risultati sicuri. Anche in tal caso le vie da seguire possono essere diverse; descriveremo la via da noi seguita. Mediante la «penna duplice P» (Tav. III/5), le cui due punte scriventi sono rigidamente fissate allo stesso astuccio (in tal modo i segni tracciati con le stesse sono perfettamente uguali), si traccia lo stenogramma che interessa sul foglio fisso ‘F’ e sulla zona ‘Z’. Se questa è ferma i due stenogrammi risultano uguali; se la zona è in movimento, lo stenogramma tracciato su di essa risulterà deformato; la deformazione dipende dalla forma dello stenogramma e dalla velocità della zona. Il congegno che pone in movimento la zona è uguale a quello usato per la «penna interruttore»; la velocità di scorrimento può essere di 1200 millimetri al minuto; la larghezza della zona è di circa 20 millimetri. Se, per esempio, tracciamo sul foglio ‘F’ un segno parallelo all’asse di scorrimento, sulla zona ‘Z’ risulterà anch’esso rettilineo però di lunghezza maggiore (Tav. III/6, 7). Il tempo impiegato per scrivere il detto segno ha un valore, in ventesimi di secondo, pari alla differenza delle due lunghezze in millimetri. Se il segno tracciato sul foglio è normale all’as- I complimenti di Bill Clinton a Andrea Innocenzi per il suo libro «Stenografia Culturale Leonardo» edito dalla Tipolitografia Pioda di Roma. se di scorrimento, sulla zona risulterà un segno obliquo la cui lunghezza in millimetri della proiezione di esso sull’asse di scorrimento, dà il tempo in ventesimi di secondo. Per individuare il tempo impiegato per scrivere un segno obliquo verso destra o verso sinistra, si eseguirà la differenza delle proiezioni dei segni nel primo caso e la somma nel secondo. Q uando lo stenogramma è formato da due segni uniti ad angolo, si nota sulla zona un tratto rettilineo in corrispondenza del «punto morto»: segno evidente che in tal punto la penna si è fermata; dalla lunghezza di tale tratto (‘l’) si desume il tempo di sosta. Nella Tavola III, numeri 6 e 7, sono riportati gli stenogrammi tracciati sul foglio, sulla riga ‘a’ e quelli corrispondenti sulla zona sulla riga ‘b’ (le posizioni dei segni sono invertite per comodità di rappresentazione). Con tale apparecchio è possibile individuare il tempo per scrivere ciascun segno d’uno stenogramma e, volendo, il tempo richiesto da ogni tratto d’uno stesso segno. Le prove richiedono una preparazione adeguata e molta pazienza; però esse dànno completa soddisfazione all’operatore accorto. a7 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI G ià alla f ine del 1990, il professor Charles Ramade dell’Institut International de Sténographie Duployé di Parigi scriveva su «La Vérité Sténographique» che i detrattori della Stenografia avevano contestato la necessità del suo insegnamento nelle scuole. Lo stesso termine sténographie era stato «bandito dai testi ufficiali e sostituito da prise rapide de la parole, permettendo così d’introdur re l’insegnamento della écriture abregée (scrittura abbreviata) pallido ersatz (surrogato) dell’arte alata». Le ore d’insegnamento venivano ridotte, la velocità abbassata, e la ripresa rapida della parola declassata alla «semplice integ r azione di una prova orale»1. D alla relazione dell’Assemblea dell’ottobre 1994, pubblicata sul Bollettino che ha sostituito «La Vérité», si rileva che la stenog raf ia è quasi scomparsa nell’insegnamento pubblico e dagli esami, che è venuta a mancare l’orga- 31 MAL COMUNE NON PORTA GAUDIO L di Attilio Ottanelli nizzazione di prove generali, nonché l’adesione di nuovi soci che raccogliessero il «testimone» di quelli anziani scomparsi. Tutto questo, unito agli inevitabili gravami d’esercizio mette a rischio l’esistenza stessa dell’Associazione e conseguentemente quella della «tradizione» del Sistema di cui reca il nome dal 19242. D opo aver confermato per tre anni il Consiglio uscente presieduto dal professor Ramade, e prese dolorose decisioni per fronteggiare la situazione, l’Assemblea dei soci di quel sodalizio parigino tenuta nell’ottobre 1994 ha dato incarico al Presidente di prendere contatto con le altre associazioni stenografiche, allo scopo di ricercare possibili iniziative da intraprendere per il sostegno del loro Sistema. Successive riunioni con i rappresentanti delle Associazioni (ma non ci è ancora noto l’esito del primo passo) potrebbero poi mettere a punto le soluzioni da sottoporre alle Assemblee di ciascuna Associazione interessata. e incomprensioni, le diff icoltà, le amarezze certamente sofferte dai Dirigenti e dai Soci dell’Istituto Duployé di Parigi e da quelli delle Associazioni ad esso collegate rispecchiano analoghe situazioni e vicende che si sono g ià svolte o stanno svolgendosi anche in Italia, un tempo ricca di associazioni e centri d’insegnamento della stenografia, tutti stimati e benemeriti. Ai Dirigenti ed ai sostenitori delle Associazioni Duployé la «Rivista degli Stenografi» esprime il proprio solidale rammarico per le sfavorevoli circostanze venute a determinarsi nell’insegnamento della Stenog raf ia nel loro Paese ed auspica che il loro deciso proposito possa arrestare e superare ogni difficoltà. 1 V. «R. d. St.», n. 22/1992. La Stenografia Duployé fu pubblicata per la prima volta da Émile Duployé (18331912), parroco nelle vicinanze di Parigi, e dal fratello Alfonso, sotto il titolo «Méthode pratique de Sténographie, ou l’Art de suivre avec l’écriture la parole la plus rapide» (F. Giulietti: «Storia delle Scritture Veloci», Giunti-Barbera, Firenze). 2 In Francia la stenografia sta scomparendo dal pubblico insegnamento La crisi del “Duployé” a3 32 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI N ella mia biblioteca c’è una «Storia dell’enigmistica» di G. A. Rossi, con questa dedica di Ada Beltrami, indimenticata studiosa di Stenografia: «Al collega Giuseppe Capezzuoli, unito a me nell’amore per l’arte di Edipo e per quella di Tirone con viva stima e sincera amicizia». E non siamo stati noi due soli con questa passione per l’enigmistica classica: ricordo solo, fra i giornalisti stenografi, Giulio Cattini e lo stesso Guglielmo Di Giovanni, con i quali affrontavamo le crittografie delle riviste specializzate nell’attesa che il Consiglio comunale di Milano raggiungesse il numero legale (parlo di oltre quarant’anni fa). C ’è, dunque, un’aff inità fra stenografia ed enigmistica, forse perché entrambe chiedono di riprodurre, attraverso segni o ragionamenti, il pensiero di altri. E per saggiare se questo è vero, il direttore della nostra rivista, Paganini, mi ha chiesto di dare un avvio a questa rubrica. Vi presento, perciò, alcuni indovinelli de «Il Valletto» e qualche crittograf ia mnemonica. Fra tutti QUANDO TIRONE INCONTRA EDIPO La pagina dei a cura di Giuseppe Capezzuoli Le risposte vanno inviate a: “Rivista degli Stenografi” - La pagina dei giochi Piazzale Donatello 25 - 50132 Firenze INDOVINELLI DE «IL VALLETTO» Il cappellano dei galeotti Si dice che esso appaia con frequenza fra quei ch’altro non sono che dei numeri e pure in mezzo ad elementi simili sappia sempre mostrare indifferenza. Diagnosi Non posso certo escludere sia grave e prescrivendovi un rinforzante tonico compìto avrò il mio còmpito. Orologio matto Faceva il quarto. Al contrario era l’una. Il galateo Tante son le virtù, tante le grazie ch’esso, fra i primi, apprendere ci fa con la sua saggia regola di compostezza e di semplicità. coloro che avranno inviato entro la fine di maggio, il maggior numero di soluzioni verranno estratti cinque vincitori, ai quali saranno assegnati, il volume di Francesco Giulietti, «Storia delle scritture veloci», e una pubblicazione del Gruppo Giunti. F ormuliamo un invito ai nostri lettori: trovare un anagramma del titolo La Rivista degli Stenografi, con una frase che abbia, possibilmente, qualche attinenza con la materia, anche se, certamente, sarà difficile trovarne di brillanti quali, ad esempio, «bibliotecario», «beato coi libri» oppure «L’aldilà misterioso», «assillo dei mortali». Anche in questo caso per le frasi migliori, da inviare entro la fine di maggio, mettiamo in palio il volume Storia delle scritture veloci, e una pubblicazione del Gruppo Giunti. CRITTOGRAFIE MNEMONICHE (5,5) di Flos Calcolatore elettronico (7,2,10) di Micino Maestra (2,6,8) di Ombretta Mai (5,3,5) dell’Estense Calligrafo Le soluzioni e i nomi dei vincitori sul prossimo numero della Rivista.