Giuseppe Ungaretti Vita ed opere principali La vita Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d’Editto, dove il padre, di origini lucchesi, lavorava allo scavo del canale di Suez. Vi rimase fino a ventiquattro anni, anche dopo la prematura scomparsa del padre causata da un incidente sul lavoro. La madre garantì a lui ed al fratello, un discreto tenore di vita, grazie alla gestione di un forno. Grande peso ebbe per la formazione umana e letteraria del giovane Ungaretti l’essere vissuto in un ambiente tanto vario e ricco. La sua formazione culturale comprese non solo i grandi italiani come Leopardi, ma anche la letteratura europea, da Baudelaire a Mallarmé, a Nietzsche. Anche i suoi passi successivi furono all’insegna del cosmopolitismo: nel 1912 si recò a Parigi e studiò per due anni alla Sorbona. Questo fatto lo pose in contatto con i più importanti rappresentanti delle avanguardie artistiche dell’epoca. La prima guerra mondiale lo trovò schierato con gli interventisti e arruolato volontario: Fu la tragica esperienza del Carso a segnare fortemente la sua poesia. Nel dopoguerra si sposò con Jeanne Dupoix e lavorò all’estero come inviato speciale per numerosi giornali, tra i quali “Il secolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini e “La gazzetta del popolo”. La vita 2 Durante il fascismo aderì al regime e fu assunto come corrispondente del Ministero degli Esteri. Dal 1936 al 1942 divenne titolare della cattedra di letteratura italiana presso l’Università di San Paolo del Brasile. Proprio in questo periodo due gravi lutti lo colpirono: nel 1937 la morte del fratello e nel 1939 quella del figlio Antonietto di nove anni, a causa di una banale appendicite mal curata. Quando nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia venne nominato accademico e gli fu assegnata la cattedra di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Roma. Vivace ed attivo protagonista della vita culturale italiana fino alla fine, morì a ottantadue anni a Milano, nel 1970. Ungaretti La formazione letteraria La prima formazione culturale di Ungaretti avvenne ad Alessandria d’Egitto, all’Ecole Suisse Jacot, ma gli interessi letterari furono sviluppati da autodidatta verso i grandi scrittori moderni e contemporanei. Dell’esperienza egiziana resterà vivo nello scrittore il senso dei grandi spazi assolati, degli ambienti esotici che si prestano alla trasfigurazione mitica. Un salto di qualità è rappresentato dal soggiorno parigino dal 1912 al 1914. Ungaretti frequenta i corsi alla Sorbona e assiste alle lezioni di Bergson; non termina gli studi ma entra in contatto col fermento del mondo culturale parigino, allora uno dei grandi punti di riferimento del Decadentismo europeo. Frequenta gruppi dell’avanguardia e conosce Apollinaire, Picasso, De Chirico, Modigliani, Soffici, Marinetti, che nel 1909 proprio a Parigi, aveva lanciato il suo manifesto del Futurismo; approfondisce la conoscenza della poesia francese da Baudelaire a Mallarmé. Dopo essere tornato in Italia partecipa alla prima guerra mondiale; nel 1916 nasce il volumetto di poesie “Il porto sepolto” pubblicato in soli ottanta esemplari a Udine grazie all’amico Ettore Serra. E’ il primo nucleo poetico cui nel ’19, in una nuova edizione dal titolo “Allegria di naufragi”, aggiunge le poesie scritte durante la guerra ed altri componimenti. Allegria di naufragi Al centro della raccolta del 1919 è l'esperienza della Grande Guerra combattuta dal poeta in trincea come interventista e volontario. Infatti, l'Allegria si presenta come un diario del tempo di guerra, e ognuno dei componimenti è seguito dall'indicazione del luogo e della data. E’ in questa prima opera che Ungaretti sperimenta la poesia dell’essenziale: la poesia deve trovare un linguaggio nuovo lontano dagli insegnamenti della tradizione. Il poeta rifiuta però lo sperimentalismo trasgressivo delle avanguardie e imbocca la strada personale della parola poetica ridotta al suo nucleo originario, come se venisse pensata, sentita e pronunciata per la prima volta. L’allegria L'Allegria è il titolo di una raccolta di poesie pubblicata da Giuseppe Ungaretti nel 1931. Il suo titolo originario era Allegria di naufragi. La maggior parte dei testi poetici esprime soprattutto i sentimenti nati dalla esperienza della Prima guerra mondiale, come dolore ma anche come scoperta dei valori più autentici di fratellanza ed umanità. In essa Giuseppe Ungaretti riunisce, sistema e riordina le precedenti pubblicazioni che, con altri titoli, avevano contenuto le poesie che via via l'autore aveva scritto. GiuseppeUngaretti al fronte Veglia Cima Quattro il 23 dicembre 1915 Un’intera nottata Buttato vicino A un compagno Massacrato Con la bocca Digrignata Volta al plenilunio Con la congestione Delle sue mani Penetrata Nel mio silenzio Ho scritto Lettere piene d’amore Non sono mai stato Tanto Attaccato alla vita. 㿌 Il poeta ha accanto un soldato morto, con le mani congelate e la bocca digrignata volta verso la luce della luna. Nonostante questa situazione penosa e terrificante, il poeta scrive una lettera d’amore, attaccato alla vita come non mai. Nella drammaticità della situazione, percepisce solo la propria volontà di vivere, che prevale su tutto. Anche questa consuetudine con la tragedia induce una riflessione sull'umanità/disumanità della situazione. SONO UNA CREATURA Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916 Come questa pietra del S. Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo Il mondo inorganico della pietra e dell'acqua è un mondo fondamentale nel Porto sepolto ed emerge anche dal titolo, che richiama l'antico porto di Alessandria ormai scomparso e sepolto. E' qui presente, inoltre, il tema della memoria, della memoria degli scomparsi della guerra. La poesia si conclude con quello che il poeta indica come proverbio "la morte si sconta vivendo". Espediente tipico della poesia di Ungaretti, in questo caso sembra riferirsi al rimpianto e al senso di colpa dei vivi nei confronti dei morti: la colpa di essere rimasti in vita al posto di coloro che non ce l'hanno fatta. San Martino del Carso Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca E’ il mio cuore il paese più straziato Valloncello dell'albero isolato, 27 agosto 1916 Questa lirica si basa sull'identificazione tra il cuore straziato del poeta e la distruzione di San Martino. Ungaretti rappresenta la devastazione del paese attraverso la metafora “qualche brandello di muro”, mentre, dicendo “ma nel cuore nessuna croce manca”, ci comunica che il ricordo degli amici morti è presente nel suo cuore e vi rimarrà vivo come in un cimitero. Come tante altre, anche questa poesia nasce dalla terribile esperienza della Prima Guerra Mondiale, che viene presentata come una violenza che non risparmia niente: né le case, né le vite umane e neppure il cuore degli uomini. La madre ( da Sentimento del tempo) E il cuore, quando d’un ultimo battito Avrà fatto cadere il muro d’ombra, Per condurmi, Madre, sino al Signore, Come una volta mi darai la mano. In ginocchio, decisa, Sarai una statua di fronte all’Eterno, Come già ti vedeva Quando eri ancora in vita. Alzerai tremante le vecchie braccia, Come quando spirasti Dicendo: Mio Dio, eccomi. E solo quando m’avrà perdonato, Ti verrà desiderio di guardarmi. Ricorderai d’avermi atteso tanto, E avrai negli occhi un rapido sospiro. Commento a “La madre” La lirica, datata 1930, appartiene alla raccolta Sentimento del tempo. Essa segna un ritorno del poeta alla tradizione, attraverso il recupero del verso tradizionale, di una sintassi più complessa e della punteggiatura. Nel componimento, costituito di due quartine, una terzina e due distici, il poeta affronta il tema della propria morte, esprimendo il desiderio che la propria madre, defunta, supplichi Dio per la sua salvezza. L’uso dell’indicativo nei versi di Ungaretti ci rende nota la certezza che l’autore ha della compassione della propria madre. Ella sarà incrollabile nella propria fede davanti al Signore, mentre implora il perdono per i peccati del figlio; alzerà tremante le vecchie braccia, ripetendo il gesto di abbandono alla volontà divina già compiuto in punto di morte. Nelle ultime due strofe (distici) si descrive la riconciliazione della madre con il figlio, perdonato perché ha portato a termine il processo di purificazione dal peccato: solo a quel punto la madre lo accoglierà, felice di aver portato la propria creatura vicina a Dio.