SPAZIO-CHIUSO OPERE DI DIFFICILE COMPRENSIONE A CURA DI LUCIA ANDREA FORNI PREMESSA Ho cercato di trovare un titolo che potesse dare l'idea delle tematiche che si svilupparono dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni ‘ 70. Tema principale del mio testo, è lo Spazialismo, una tendenza artistica che mi ha affascinata, con la sua ricerca di una nuova dimensione. Un'arte completamente astratta, senza alcun riferimento ad oggetti reali, ma che è riuscita ad unire, per la prima volta, pittura e scultura in una cosa sola. Questi artisti riescono quindi a rinnovarsi per l'ennesima volta nella storia, e a ricercare qualcosa di nuovo e mai visto, con il quale cambiano i canoni della pittura in Italia. Tutto questo si sviluppa in un clima decisamente particolare. Il mondo è appena uscita da due conflitti mondiali che hanno segnato in modo tragico la storia di qualsiasi paese, e soprattutto in Italia la situazione è assai travagliata. Il dopoguerra è ricco di difficoltà economiche, politiche e sociali, e gli anni successivi sono una continua lotta tra partiti. Ecco perché quella profonda chiusura da parte dell'uomo, da parte dei poeti. Ungaretti ne è la più alta figura. Egli ha vissuto entrambi gli scontri mondiali, e ha elaborato una particolare visione dell'uomo. Arriva ad elaborare una poesia chiusa, ermetica, di difficile comprensione, sviluppando tutti quei temi che hanno caratterizzato la sua esistenza, la guerra, la morte, il dolore, non per questo escludendo la possibilità per l'uomo di recuperare quel sentimento elementare, la divina necessità del nostro esistere e giungendo finalmente all’infinito, a Dio. Sono poi i quegli stessi temi, che nel medesimo periodo, i filosofi come Sartre approfondiscono. Con l'Esistenzialismo, vengono affrontate le vicende meno rispettabili, più tristi e dolorose, cercando di trovare un significato per l'uomo in un contesto tale. Questi artisti si trovano quindi ad operare in una situazione difficile, in uno spazio-chiuso, capace però di dare infinite possibilità. Ne derivano allora opere di non immediata comprensione, o come ho titolato, di difficile comprensione. Un altro incentivo per soffermarmi sul tema dello Spazialismo, mi è stato dato da un lavoro che ho sviluppato durante il biennio in questa scuola. Dopo una piccola riproduzione di un quadro di Castellani, datami come consegna, ho deciso di realizzare un quadro analogo, però di maggiori dimensioni. Così dopo tre anni, (non sicuramente di lavoro effettivo…!), ho finito quella mia opera, nata dalla voglia di avere sulla parete della mia camera un quadro che mi piacesse realmente e di cui in qualche modo mi sentivo parte integrante. CONTESTO ARTISTICO: lo Spazialismo & Enrico Castellani CONTESTO FILOSOFICO: l’Esistenzialismo & Jean-Paul Sartre CONTESTO LETTERARIO: l’Ermetismo & Giuseppe Ungaretti CONTESTO STORICO: l’Italia dalla liberazione agli anni ‘80 LO SPAZIALISMO & ENRICO CASTELLANI LO SPAZIALISMO Lo spazialismo è una tendenza artistica, detta anche movimento spaziale, le cui basi furono poste da Lucio Fontana, con il “manifesto blanco” stilato a Buenos Aires nel 1946, dove, con il superamento dei generi espressivi tradizionali (pittura, scultura, poesia e musica), si auspica 1'arte integrale che rifiuta l'immagine naturalistica e si serve di media quali la luce, il suono, il vuoto spaziale. Pur nella nebulosità della sua formazione, il manifesto rivela un'assonanza con i nuovi tentativi di ricerca degli ambienti più vivi americani ed europei (Pollock, Wols, Hartung, ecc.). Il tema che affrontano gli spazialisti, è un diverso modo di concepire e realizzare lo spazio, forse perché questi nuovi artisti vogliono dare alla pittura la possibilità di essere penetrata dallo spazio, come accade per ogni forma scultorea definita plasticamente. Dopo diverse esperienze di ricerca, il vero spazialismo si realizza negli anni 60, quando Fontana ferisce la superficie del quadro con fori o tagli. Il taglio, soprattutto, netto come inferto da un colpo di rasoio, è il gesto dell'action painting, il gesto che lascia il segno dell'artista in quel momento, e quello solo. Ma è anche la penetrazione oltre la superficie della tela, fino adesso limite invalicabile dell'opera pittorica. Lo spazio è "di qua" dove siamo noi, è "di là", ossia un varco aperto. Al tempo stesso la superficie tagliata si inflette, avanza o arretra: viene accentuata con le sporgenze, l'ombra nera del taglio, o del buco, o del rilievo, ancora più evidente su una superficie bianca ed uniforme. Gli spazialisti si esprimono attraverso opere non oggettive, attraverso un'astrazione alla cui base non c'è alcun riferimento, neppure lontano, ad oggetti reali. ENRICO CASTELLANI Il vero spazialismo, si realizza quindi, verso gli anni 60, ed è proprio in questo periodo che emerge il nuovo artista Enrico Castellani. Tra il 1957 e il 1960 artisti come Castellani, appunto, o Piero Manzoni si mettono alla ricerca di un oggetto che fugge dal realismo e dal naturalismo, e aspirano a scoprire una nuova sintesi, per la quale l'annientamento del gesto e della partecipazione dell'individuo, si risolve nell'annientamento dell'individuo stesso, per costruire la rinascita in una nuova dimensione. Questi artisti vogliono giungere alla definizione di un nuovo spazio, che è intorno all'essere umano. Esso si avvicina al concetto del nulla, del vuoto. E’ quindi lo sviluppo in negativo, che porta al non dipingere, al non scolpire, pur dipingendo e scolpendo. L'intento è quello di sfuggire alla stretta del tempo per avvicinarsi alle sue pause tra positivo e negativo, giorno e notte, vita e morte, fino ad arrivare all'infinito. Questi artisti che entrano in scena alla fine degli anni 50, sono consapevoli dell'impotenza dell'individuo, ne accettano la nullità, ma pongono una disperata fiducia in un metodo razionalistico. Il linguaggio a cui essi ricorrono, è controllato e impersonale, tanto che l'artista non è connessione tra pennello-colore-tela, ma strumento del costruire, implicando, nel caso di Castellani, la stesura di chiodi e della tela grezza, con rilievi concavi e convessi, oppure l'applicazione della pittura monocroma di Fontana. Nel 1958 Enrico Castellani si affaccia al mondo della pittura: nel panorama deprimente in cui viveva, nella pittura vista e rivista, egli pone il problema su un piano diverso, cioè su come fare arte. I suoi primi quadri fanno riferimento all'action painting americana, e in particolare a Pollock (fig.1). Si vede infatti un interesse di Castellani, nel saturare completamente la superficie, più che nel dare attenzione al gesto in sé della pennellata, di infittire i segni sulla tela, tanto da non distinguerli l'uno dall'altro, e tanto ad arrivare a quell'antitesi che implica il lasciare intatta la superficie. Castellani tenta quindi, di ridurre il dipinto a un oggetto più che a un soggetto, per trovare un nuovo territorio, dove tenterà di illuminare un aspetto della materia parlando del suo negativo. Questa è l'ombra. Nei tre acquarelli del 58, intitolati appunto ombra (fig. 2), Castellani sottolinea il contatto tra negativo e positivo, luminoso e oscuro, e propone un qualcosa che "non è" pur essendo, è il vuoto, è il nulla. Un vuoto-pieno, quindi, che è positività e negatività allo stesso tempo, è annullamento della persona pur mantenendola presente. Secondo questi artisti, infatti, nulla è più concreto del nulla stesso, e la coppia di contrari, davanti e dietro, altre basso, positivo o negativo, contiene in sé tutte le concretizzazioni possibili, senza che un elemento possa essere più il rilievo dell'altro. Si crea quindi una visione bipolare, per cui l'alto è importante quanto il basso, il visibile si completa nell'invisibile. Questa ricerca di dualismo tra materia e forma, pieno vuoto, positivo o negativo, è dovuto alla necessità di incamminarsi verso la libertà dell'impersonale, del neutro, del silenzioso. Qui il corpo e la persona dell'artista sono completamente estranei al quadro, vengono usati come strumenti per costruire, dove contano la logica e la ripetizione. Ecco allora che per arrivare allo zero, al vuoto, ogni artista traccia il percorso ad ognuno meglio adatto: Castellani pone la sua attenzione sull'ombra, e negli acquarelli del 58 si vede come cerca l'unità tra gli opposti, come cerca di mettere gli elementi sullo stesso piano, senza che uno sia più forte dell'altro. Le forme che traccia sulla tela sono la risoluzione di un elemento dentro all'altro, il punto dentro la spirale, il nero nel colore. Queste figure ricordano quasi un vortice, e gli attribuiscono una forza di attrazione verso il centro, quasi il nero attraesse tutti gli altri colori, il rosa, il viola e il grigio, ancorandoli alla superficie. Questa forza di attrazione nel punto nero è quindi, ritorno al nulla. Nel 1959, l'artista pone l'attenzione sulla "piega" (fig. 3-4-5), dove a contare è quella parte nascosta ed oscura, che si trova dietro e dentro la curvatura della tela. Ci troviamo qui al passaggio in cui Castellani decide di sviluppare la sua arte sulla ricerca della superficie, per poi arrivare poco più avanti ad organizzare la tela secondo sequenze ritmiche. Il passo successivo, infatti, lo compie con superficie nera in rilievo (fig. 6), della fine del 1959. Egli dandogli questo tipo di titolo descrittivo, riesce ad inquadrare già l'opera e a dare una presentazione di quella che è, e di quella che sarà la sua poetica da qui in poi. L’artista utilizza il colore nero, assoluto e monocromo, perché esso è azzeramento, e per dare movimento, concretezza e vitalità, Castellani dietro o dentro la tela , che dir si voglia, immette delle forme sferiche, servendosi di nocciole, che mettono in rilievo la superficie, eliminando quel segno di staticità. Ed è proprio qui che si vede il ruolo dell'artista proprio come costruttore. Con questo quadro, l'artista riesce ad affermare l'esistenza di qualcosa che non è, quindi il nero come il nulla, ma una superficie, che anche in questo nulla, riesce a mettersi in rilievo, ad evidenziarsi. Questi pittori, iniziano quindi una nuova strada, perché ormai vi era qualcosa che implicava la necessità di una ristrutturazione della pittura, della scultura, e Castellani ci riesce, unendo le due cose. Nel 1959, quel lavoro che Castellani aveva già iniziato, che si basava sulla logica interna della costruzione del quadro, si evolve ancora una volta. A quel processo che si basava sulla stesura di una tela su di un telaio, e il suo fissaggio ai bordi con dei chiodi, apporta nuove modifiche, per cui l'artista si libera degli elementi estranei, ossia le nocciole che si muovevano liberamente sotto la tela, per ricorrere ad un elemento che partecipa alla costruzione del quadro: il chiodo. Questo, posizionato sopra o sotto la tela, la spinge ad avvallarsi o a mettersi in rilievo. Vi è quindi un nuovo passaggio, con il quale l'artista riesce ad eliminare un'altra intrusione. Rimangono ora la casualità e l'arbitrarietà dei rilievi, che in superficie nera in rilievo erano liberi. Nello stesso anno Castellani realizza superficie nera e superficie (fig.7-8), due quadri con i quali riesce ad eliminare anche questi due ultimi elementi, il carattere arbitrario e illogico, per dargli una struttura assolutamente matematica e logica. I chiodi infatti, si dispongono secondo una trama regolare, a intervalli, e chiaramente, per non creare una superficie totalmente sollevata, passano dall'estroflessione, all'introflessione, e viceversa. Tanto è l'importanza dei rilievi e contro rilievi, quanto una loro numerazione, tra pari e dispari, conclusione di un oggetto determinato da una catena di elementi che gli appartengono, quali la tela, il chiodo, la forma, il volume, senza che uno di questi ne sovrasti un altro. Superficie è molto interessante, perché sembra il passaggio tra ombra del 58, e il nuovo metodo di "dipingere". L'artista lascia la testa dei chiodi delle estroflessioni nera, così da creare dei punti neri somiglianti a quelli degli acquarelli dell'anno prima. Sembra che il vortice apparso in essi, abbia invertito il suo corso, e fosse salito alla superficie, così da creare una spinta dall'interno verso l'esterno. Un'immagine quindi, che parte da un vuoto, da un nulla, il nero, per riaffiorare e produrre una forma. In superficie nera i rilievi e contro rilievi si dispongono alternandosi in verticale, così da formare linee parallele tra positivo e negativo. Questa disposizione verticale è in contrasto con quella orizzontale, nata conseguentemente dall'altra. Il quadro non prevede limiti, non definisce i bordi, né a destra né a sinistra: perde il suo senso di limite, per arrivare finalmente allo scopo di Castellani, l'infinito. "Quando ho iniziato questo lavoro mi sono preoccupato che rilievi che andavo facendo, fossero posti in modo da non creare delle aggregazioni. E allora ad ogni punto, chiamiamolo positivo, ne ho contrapposto uno in negativo; cioè c'è sempre un punto negativo e uno positivo, che si elidono in qualche modo e che permettono che la superficie rimanga poco violentata, diciamo.“ Dal 1960 in poi, Castellani potenzia il suo sistema di rilievo e contro rilievo. Le sequenze passano dal verticale al perpendicolare, dove il verticale si incrocia con l'orizzontale, come se l'artista volesse completamente dominare il discorso interno del quadro. Questo è verificabile in superficie blu scuro del 1960, che è un tentativo di contenere la relazione tra luce e ombra cosicché rimanga neutra e completa, e in tutte le opere successive. Nei quadri di Castellani quindi, esiste un'idea,un metodo,una poetica, che rimangono costanti negli anni, e che sono una verifica al suo metodo valido, ma che accettano continue variazioni, infatti non troviamo mai un quadro uguale ad un altro. Egli riesce a realizzare superfici dinamiche, dove l'occhio non ha alcun punto di riferimento, quindi e portato muoversi continuamente sulla superficie lungo questi avvallamenti rilievi, senza un punto di stazione. Il suo intervento discreto il minimo sulla superficie, senza tagli o oggetti aggiunti, in realtà offre una gamma infinita di possibilità, ognuno di questi quadri infatti, oscilla tra l'annullamento completo e l'infinita possibilità. Nel 1961 vi è la prima mostra di Castellani, alla galleria La Tartaruga di Roma, alla quale partecipa anche Piero Manzoni. Qui, l'artista, espone un'opera molto interessante, intitolata il muro del tempo (fig. 9). Una serie di metronomi che si muovevano a velocità varie e diverse, scandendo il tempo della mostra stessa, che aveva la durata, appunto, della carica di questi metronomi: il più lento, quando finiva il suo movimento, decretava anche la fine della mostra. Nel 1964, a Milano all'interno di una casa, Castellani espone spazio ambiente, che rappresenta l'estensione nello spazio della sua poetica. Qui infatti, cresce l'ambiguità tra dipinto, oggetto, e architettura e si raggiunge l'apice dello spazialismo di Castellani. All'interno vi è proprio un senso di perdita della certezza dimensionale, sia per il puntiforme che crea un senso di instabilità, sia per le fughe prospettiche che l'artista crea. Egli con quest'opera realizza quindi uno spazio, all'interno del quale vi sono direzioni diverse e instabili, puntando come sempre la sua attenzione, anche se all'interno di un ambiente, sul problema della superficie. Enrico Castellani con il suo studio, riesce a capire ciò che è veramente la tridimensionalità della superficie, cosa che con la sola rappresentazione pittorica non era mai stato possibile fare. Questo artista, invece, trova questa rappresentazione, proprio spingendo al massimo la tensione della tela, con i suoi rilievi e contro rilievi. Superficie rossa sul mio muro verde L’ESISTENZIALISMO & JEAN-PAUL SARTRE L’ESISTENZIALISMO L’esistenzialismo, oltre che essere una filosofia in senso stretto, è un’atmosfera, un clima culturale, che ha caratterizzato il periodo fra le due guerre mondiali e che ha trovato la sua maggior espressione nel secondo dopoguerra. Questo termine essenzialismo, è volto a tirare l’attenzione sugli aspetti limitanti o negativi della condizione umana nel mondo, che l’esperienza tragica delle due guerre, con tutti i loro orrori e le loro distruzioni, ha contribuito a rendere ancora più evidenti. In altre parole l’esistenzialismo, inteso come situazione storico-intellettuale, risulta definito da una accentuata sensibilità nei confronti dei dati che la caratterizzano: la nascita, la lotta, il patimento, il passare del tempo, la morte. Dopo la seconda guerra mondiale, nell’ambito della situazione d’incertezza della società europea, dominata dalle distruzioni materiali e spirituali della guerra e lentamente avviata ad una ricostruzione difficile, la cosiddetta letteratura esistenzialistica, e in primo luogo l’opera letteraria di Sartre, costituisce l’anello di congiunzione tra la situazione di quel momento e le forme concettuali dell’esistenzialismo, che erano state elaborate in data anteriore. Infatti questa letteratura si è fermata soprattutto a descrivere le situazioni umane nelle quali è fortemente impressa la problematicità dell’uomo stesso; e perciò ha sottolineato le vicende meno rispettabili e più tristi, peccaminose o dolorose, nonché l’incertezza di quelle intraprese, sia buone che cattive, e l’ambiguità del bene stesso che talvolta mette capo al suo contrario. La letteratura esistenzialistica trova un corrispondente più generale nel decadentismo europeo. La relazione tra esistenzialismo-decadentismo è stata spesso sottolineata, dato che si vede nell’esistenzialismo la più tipica “forma filosofica del decadentismo”. In particolare esse condividono il tema della morte: con il decadentismo subentra la presenza della morte nella vita stessa. Ma ancor più significativo è il caso dell’ermetismo italiano, che parallelamente alla nascita e all’affermarsi della filosofia esistenzialistica, insiste, per conto suo, su temi come la solitudine, l’illusione del vivere, la morte, il mistero, l’oblio, l’irrevocabilità del tempo. Ad esempio gia nel 1919 Ungaretti scrive una raccolta di liriche intitolata L’Allegria, in cui parlando della vita come di un naufragio di speranze e di illusioni, e di un continuo e disperato attaccarsi ad esse, usa un termine, quello di naufragio, che ricorrerà frequentemente nella produzione esistenzialistica. E la nota lirica Soldati: Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie È di per se un documento di quella precarietà umana che, vissuta drammaticamente negli anni della trincea, costituirà in seguito un motivo della filosofia esistenzialistica. Inteso, invece, in senso stretto e tecnico, l’esistenzialismo è un insieme di filosofie che risultano caratterizzate da alcuni tratti comuni, infatti: Nelle filosofie cosiddette esistenzialistiche assume un rilievo centrale la riflessione circa l’esistenza L’esistenza viene intesa come modo d’essere proprio dell’uomo: un modo specifico, diverso da quello di tutti gli altri enti nel mondo Tale modo d’essere specifico viene descritto innanzitutto come un rapporto con l’essere, sebbene ogni esistenzialista abbia una sua maniera di concepire l’essere (per Sartre è soprattutto l’essere esperienziale, l’io gli altri e il mondo) Il rapporto esistenziale con l’essere viene interpretato come qualcosa in cui “ne va” dell’uomo e che richiede da lui una qualche scelta aperta al rischio Di conseguenza essi ritengono che l’uomo non sia una realtà sostanziale e già data, ma un ente che si trova di fronte a determinare possibilità di realizzazione, che impegnano la sua libertà e che si collocano ai due estremi dell’autenticità e dell’inautenticità L’appello alla scelta e all’autenticità implicano che l’uomo per gli esistenzialisti, viva come singolo, ossia come un ente individuato, concreto e irripetibile Come rapporto con l’essere, l’esistenza si trova sempre in una situazione altrettanto individuata e concreta, racchiusa dalla nascita e dalla morte L’esistenza, in quanto struttura caratterizzata dalla singolarità, dal possibile, dalla scelta, dalla situazione, risulta segnata dalla finitudine e dal limite Il fenomeno tipico del periodo posteriore alla seconda guerra mondiale è l’esistenzialismo di Sartre: JEAN-PAUL SARTRE Parigi 1905-1980 Esistenza e libertà Sartre ha cominciato la sua attività di scrittore con ricerche di psicologia fenomenologia che hanno per oggetti l’io, l’immaginazione e le emozioni. Il punto di partenza è l’interpretazione dell’intenzionalità della coscienza. Il saggio la trascendenza dell’ego si apre con l’affermazione “l’io non è un abitante della coscienza”, intendendo dire che l’io non costituisce una sostanza chiusa in se stessa, ma una struttura aperta al mondo e agli altri. Nel saggio sulla teoria delle emozioni la coscienza viene appunto intesa come “essere-nel-mondo” e l’atteggiamento emotivo viene interpretato come una maniera per vivere i rapporti con la realtà, consistente in una modificazione magica del mondo, ossia una modificazione diretta a difendersi dagli ostacoli esterni: ad esempio lo svenimento davanti ad un pericolo imminente, non è che la negazione del pericolo stesso, la volontà di annientarlo, con una fuga nei suoi confronti. Per Sartre ha molta importanza l’immaginazione, poiché egli tende a legare l’immaginario al concetto di libertà. Infatti l’immaginazione permette all’uomo di negare il mondo, in un qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Questi concetti ritornano ne L’essere e il nulla, sua grande opera, dove Sartre si interroga sulle strutture dell’essere, ed afferma che l’essere ci è dato in due modi fondamentali: come essere in se e come essere per sé. Il primo tipo di essere si identifica con tutto ciò che non è coscienza ma con cui la coscienza entra in rapporto: ossia con le cose del mondo. Il secondo tipo di essere si identifica con la coscienza stessa, la quale ha la capacità di attribuire i significati a quello che si trova davanti. Sartre chiama quindi il per sé “nulla”, intendendo con questo termine, la coscienza stessa, che sorge come potenza nullificatrice. Affermare che l’uomo è coscienza equivale a dire che l’uomo è libero, poiché nega la realtà alla luce di significati che in qualche modo la padroneggiano: ad esempio, appena entro in una stanza dove vi sono delle persone, la mia libertà entra in azione, poiché proietto su uomini e cose una rete di significati e di valori (bello, brutto, simpatico, noioso,divertente..). La libertà coincide dunque, per Sartre, con la struttura stessa dell’ esistenza, che risulta condannata ad essere libera. Di conseguenza, per lo scrittore l’ uomo è responsabile del mondo e di sé stesso. Tutto ciò che accade nel mondo risale alla libertà e alla responsabilità della scelta originaria, perciò nulla di ciò che accade all’ uomo può essere detto inumano. “Le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture, non creano affatto uno stato di cose inumano. Non c’è una situazione inumana: soltanto per paura, per fuga e per il ricorso ai comportamenti magici, io deciderò su ciò che è inumano. Se io sono mobilitato in una guerra, questa guerra è la mia guerra, è a mia propria immagine, e io la merito: in primo luogo perché potevo sottrarmi ad essa col suicidio o la diserzione. Se non mi ci sono sottratto io l’ ho scelta: forse solo per mollezza, per debolezza davanti all’ opinione pubblica. Ma in ogni caso si tratta di una scelta.” Tuttavia, questa libertà fa si che l’ individuo risulti perennemente in uno stato di conflitto con gli altri. Infatti, nello stesso momento in cui giudico l’ altro mediante i miei significati, la stessa operazione la compie il mio vicino. L’ amore stesso, che costituisce il tentativo principale di realizzare l’ unità tra l’ io e l’ altro, risulta, per Sartre, inevitabilmente destinato allo scacco. Infatti ognuno, nell’ amore, vuole essere per l’altro l’ oggetto assoluto, il mondo, la totalità infinita; ma per questo occorre che l’ altro rimanga soggettività libera e altrettanto assoluta. Ma poiché entrambi vogliono esattamente la stessa cosa, l’unico risultato dell’amore è un conflitto aperto o strisciante. Dalla teoria dell’assurdo alla dottrina dell’impegno Nella condizione umana, per Sartre, vi è qualcosa di paradossale. Infatti, pur essendo libero di fronte al mondo, l’individuo non è libero di essere libero. In altre parole, pur scegliendo il senso del suo essere, l’individuo non sceglie il suo essere stesso; ma il fatto di essere al mondo, è qualcosa di assurdo, ossia non ha spiegazioni al di là del fatto di esistere. Gli scopi nascono soltanto con l’uomo, che da un senso a ciò che non ha senso. A fondo di tale assurdità vi è la nausea, che Sartre descrive nel noto romanzo, nel quale racconta le vicende di Roquentin, un professore di storia che scopre la mancanza di senso dell’esistenza, che gli si rivela mediante una nausea portata dal sentirsi di troppo rispetto al mondo e agli altri. Sebbene gli uomini abbiano cercato di sormontare questa consapevolezza sull’esistenza con la metafisica e le religioni, essa rimane a fondo come verità. Da ciò deriva il progetto dell’uomo di farsi Dio, ossia di divenire un essere che è ragione, in cui si fondono l’in sè e il per sè. Ma ciò è impossibile, Dio non può esistere. Se Dio esistesse egli sarebbe la negazione dell’essere umano, e viceversa, per la sua stessa esistenza, l’uomo è negazione di Dio. Affermando Dio, l’uomo sfugge da se stesso. Le ragioni e gli scopi dell’esistenza sono qualcosa che noi inventiamo solo dopo esser venuti al mondo. Nel suo sforzo di farsi Dio l’uomo dunque è destinato allo scacco, infatti Sartre presenta l’uomo come un Dio mancato o una “passione inutile”. Tutti i comportamenti umani sono quindi sullo stesso piano e fallimentari. Sartre chiude, infatti, l’Essere e il nulla con la tesi: “è la stessa cosa, in fondo, ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli” anche se il suo capolavoro da un lato è fondato tutto sul concetto di libertà e responsabilità individuale e sociale dell’uomo. L’influsso del marxismo e la critica della ragione dialettica Sartre è stato costantemente sotto il crescente influsso del marxismo, cercando di restare se stesso e ciononostante aggregarsi ad esso. Questo tentativo è materializzato nel suo libro Critica della ragione dialettica. Il libro è un tentativo di giustificare ciò che sembra quasi impossibile. Sartre è il profeta della realtà individuale, il marxismo è un movimento collettivo di liberazione. Entrambe le correnti possono parlare della libertà, ma nei due la parola “libertà” sembra avere un significato completamente diverso. Tale parola infatti in Sartre significa una caratteristica fondamentale dell’esistenza, nel marxismo, invece, la liberazione di strutture represse. Come possono accordarsi le due visioni? Sartre prevede che la sua prospettiva ha bisogno del marxismo, e il marxismo della sua: per entrambe ci sarebbe solo una cura, il loro incontro. La Critica della ragione dialettica è un tentativo di descrivere e facilitare questo incontro. La tesi fondamentale di quest’opera è la scrittura dialettica del corso storico. La dialettica, secondo Sartre, è un processo il cui soggetto è l’uomo con i suoi bisogni, e deve esser concepita in base al principio secondo cui l’uomo subisce la dialettica in quanto la fa, e la fa in quanto la subisce. Conseguentemente vi è la possibilità dell’alienazione, ossia il rischio che l’uomo risulti succube di quello che lui stesso fa. Infatti l’uomo se da un lato risulta soggetto della dialettica, dall’altro diventa possibile oggetto, alienato dalla dialettica costituita. Ciò accade innanzitutto nei rapporti dell’uomo con la natura, un esempio ne è il lavoro, soprattutto nella società industriale e capitalista. Ma la possibilità dell’alienazione risiede anche nel rapporto fra gli uomini. Egli distingue il concetto di serie da quello di gruppo. Il primo è una molteplicità di individui, nella quale ogni persona, non vive un’autentica esperienza di unione con gli altri (l’attesa dell’autobus, la spesa,…). Il gruppo, invece, è un’organizzazione di individui, caratterizzata da un’unità di scopi, in cui ognuno si sente immedesimato con gli altri, e simultaneamente capo e gregario: “il mio essere-nel-gruppo diventa immanenza, sono in mezzo a terzi e senza statuto privilegiato[…] io corro della corsa di tutti, grido” fermatevi!” e tutti si fermano, qualcuno grida “muovetevi!” oppure “A sinistra! A destra! Alla Bastiglia!” e tutti ripartono[…]” come si può notare, il gruppo tende a unirsi di fronte a un pericolo o a un avversario comune. Tuttavia, passato il momento della fusione, il gruppo deve lottare per rimanere tale e non tornare ad essere serie, e l’unico modo si concretizza nella disciplina e nell’istituzione. In tal modo il gruppo arriva ad una situazione di alienazione, nella quale gli individui tornano a sentirsi estranei l’uno all’altro e alla comunità. Come diretta conseguenza vi è che anche le forze rivoluzionarie sono sempre esposte al rischio dello scacco e dell’alienazione. L’ERMETISMO & GIUSEPPE UNGARETTI L’ERMETISMO Sul piano filosofico si diffonde quindi l'esistenzialismo, avendo appunto per oggetto l'analisi dell'esistenza. Questa esperienza esistenzialista confluisce nell’ermetismo. La poesia ermetica è una poesia chiusa, di difficile comprensione, e fa la prima prova in Italia nel 1916, quando esce Il porto sepolto di Ungaretti. L'incalzare di vicende storiche nel nostro paese, porta a un più deciso accostarsi a temi come la solitudine, l'angoscia, l'irrazionalità della vita. Iniziatore dell'ermetismo é quindi: GIUSEPPE UNGARETTI Vita e Opere In Egitto (1888-1912) Giuseppe Ungaretti nasce il 10 Febbraio 1888 ad Alessandria D’Egitto, da genitori Lucchesi. Qui compie gli studi e rimane fino a ventiquattro anni. A Parigi (1912-1915) Nel 1912 Ungaretti si reca in Francia per perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Frequenta gli ambienti dell’avanguardia parigina, conosce personaggi come Gide e Picasso, e lega amicizia con Apollinaire, Papini e Soffici, fondatori della rivista italiana Lacerba. Proprio su questa rivista lo scrittore, pubblica nel 1915, la sua prima poesia, Il paesaggio di Alessandria d’Egitto. In guerra Scoppiata la guerra, Ungaretti combatte come soldato semplice: la guerra sarà esperienza centrale della sua formazione poetica. Nel 1916 esce la prima raccolta di poesie: Il porto sepolto, già protesa verso l’irrazionale, l’io profondo. Finisce la guerra e Ungaretti si sposa con una ragazza francese. Tornato in Italia esce nel 1919 Allegria di naufragi, che comprende anche la raccolta precedente il cui titolo sarà L’allegria. A Roma (1920-1936) In questo periodo risiede a Marino. Completa gli studi su classici italiani, da Dante a Petrarca a Leopardi, e sui simbolisti Francesi. Sentimento del tempo (1919-1935). Nel frattempo si avvicina alla fede cattolica, e politicamente aderisce al fascismo. In Brasile (1936-1943) Le necessità economiche lo costringono ad accettare la cattedra di Letteratura italiana all’università di San Paolo in Brasile. In questo periodo vi è la tragedia della morte del figlio Antonello, di soli nove anni. Qui si compiono molteplici meditazioni sul barocco, lussureggiante e tetro, pervaso dal senso della morte. Il ritorno in patria (1942-1970) Tali meditazioni costituiscono i temi delle ultime raccolte uscite in Italia, dove il poeta ritorna nel 1942, in tempo per sentire la fase più tragica della guerra. Nel 1947 esce Il dolore; seguono La terra promessa nel 1950; Un grido e paesaggi nel 1952; Il taccuino del vecchio nel 1960; Morte delle stagioni nel 1967 e Dialogo nel 1968. Ungaretti muore a Milano il primo Giugno del 1970. Il mondo spirituale e la poetica Il punto di partenza della poesia è la disperazione. Per capire Ungaretti, bisogna vedere l’uomo come uomo di pena, creatura generata e vissuta nel dolore; e proprio al dolore è intitolata una raccolta dello scrittore, ispirata alla tragedia della seconda guerra mondiale. Ma nella sofferenza è data la possibilità all’uomo di recuperare il sentimento elementare, di cogliere la meraviglia d’ogni oggetto che lo circonda. Infatti, la prima raccolta di versi ungarettiani, è L’Allegria, ispirata alla prima guerra mondiale. Proprio tra questi due poli, allegria intesa come profondo senso della vita, e dolore, vi è la chiara linea della sua spiritualità. L’Allegria (1916-1919) I temi I temi del L’Allegria sono quelli tragici e violenti della guerra, del dolore, della morte: eppure anche in questa tragedia vi è la divina necessità del nostro esistere: il poeta vicino “a un compagno massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio”, sente il richiamo della vita “…non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita” (Veglia). L’uomo, dopo la catastrofe è pronto a riprendere il cammino, come è ben chiaro in Allegria di naufragi: “…e subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare”. Anche il paesaggio, quello assolato della terra natale è immerso nel silenzio di una contemplazione stupita, dove le cose appaiono ferme in una misura eterna e lontana dalle passioni degli uomini: “conosco una città / che ogni giorno s’empie di sole / e tutto è rapito in quel momento” (Silenzio). Lo stupore del poeta davanti alla natura è simile a quello dei primi uomini di fronte alla creazione: una sorta di innocenza che il poeta rivive quando è in comunicazione con le cose, e si immerge allora nel grembo della terra, riconoscendosi una docile fibra dell’universo. Innovazioni formali de L’Allegria Ungartetti si serve di modi stilistici d’avanguardia, che sono: •Il verso libero •Il titolo, considerato parte integrante del testo: Soldati si sta come d’autunno sugli alberi le foglie Bosco di Canton , Luglio 1918 • L’assenza della punteggiatura e la fortissima scansione delle pause, attraverso gli accapo e gli spazi bianchi •L’ uso dell’analogia: Stasera Balaustrata di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia Versa il 2 Maggio 1916 •L’estrema scarnificazione del dettato: Mattina M’illumino d’immenso S. Maria La Longa il 26 Gennaio 1917 Le varianti e la ricerca dell’essenzialità E’ lo stesso Ungaretti a farci capire perché usa quell’essenzialità: “ di fronte alla morte, nella trincea in cui nacquero le poesie di Allegria, bisognava scrivere svelto, scrivere l’essenziale”. Sentimento del tempo Le poesie scritte a partire dal 1919 e inserite nel Sentimento del tempo rappresentano mutamento delle prospettive, anche per quanto riguarda le soluzioni stilistiche e formali. Alla poetica precedente si sostituisce una diversa percezione del tempo, che attua il recupero di più complesse problematiche dell'esistenza. Quest’opera nasce in un diverso clima storico. La guerra è ormai lontana: l’uomo di pena è soggetto a più vaste meditazioni esistenziali. Vi sono tre momenti nel Sentimento del tempo del modo, di Ungaretti, di sentire successivamente il tempo. 1919-1927 Il primo momento del sentimento: il paesaggio e il mito Nel primo periodo è presente il tema del paesaggio come profondità storica. Si tratta, questa volta, del paesaggio laziale, ricco di antiche rovine, aperto al ricordo del mito. 1927-1932 Il secondo momento del sentimento: il barocco e la meditazione religiosa sulla morte In questo secondo periodo la Roma tetra e fastosa del barocco porta il poeta a non accorgersi più dei paesaggi, per accostarsi invece con inquietudine, perplessità, angoscia, spavento, alla sorte dell’uomo. Quindi, una civiltà minacciata di morte induce il poeta a meditare sul destino dell'uomo e a sentire il tempo in relazione con l'esterno. Nascono cosi gli Inni, le Leggende, la Morte meditata. È questa la prima meditazione sul barocco, come espressione di una tematica spirituale venuta fuori nel’600. le immagini diventano più lugubri, e si approfondisce il tema religioso. 1932-1935 Il terzo momento: l’amore in quest'ultimo periodo, il poeta si accorge dell'invecchiamento e del perire della carne stessa, e la meditazione religiosa sulla morte si accentua ancor più . La riscoperta dei metri classici Ritorna l’uso della punteggiatura, e l’uso dell’endecasillabo, del settenario e del novenario, legati alla tradizione petrarchesca e leopardiana. Questo ritorno ai classici è simbolo di chi, passato attraverso esperienze di rottura, è maturato e arricchito proprio da quelle stesse esperienze, e può permettersi un ritorno all’ordine. Si serve di nuovi modi espressivi. L’uso dell’analogia si espande, si serve di alcune parole-chiave che sono simboli dell’innocenza e dell’anima, s’intensifica l’aggettivazione, e si afferma l’uso del vocativo. Il dolore (1937-1946) Tra il Sentimento e la terra promessa, si inserisce una grande raccolta, Il dolore. Quest’opera è ispirata a una duplice tragedia, la morte del figlioletto Antonello, e la seconda guerra mondiale. Può, quindi dividersi in due parti il primo che ruota attorno al dolore privato, il secondo a quello degli uomini. Il dolore privato: ………………………. Alzavi le braccia come ali E ridavi nascita al vento Correndo nel peso dell’aria immota Nessuno mai vide posare Il tuo lieve peso di danza ……………………… (Tu ti spezzasti) in queste liriche Giuseppe Ungaretti, canta lo strazio del ricordo, e il lento trasformarsi del ricordo, dalla sofferenza alla consolazione. L’immagine del figlio, che fa tutt’uno con la sua giovinezza passata, è quasi un recupero dei tempi “innocenti”, che si riflettono anche sulla forza del paesaggio brasiliano. Il dolore degli uomini: si rinnova, come ai tempi de L’Allegria, il colloquio del poeta con gli altri uomini, e nuovamente si nota il modo ungarettiano di intendere religiosamente la vita, e di stabilire un rapporto, sia pur di sofferenza, con gli altri esseri. La terra promessa (1950) La raccolta successiva, La terra promessa, pubblicata nel 1950, comprende i frammenti di un ampio progetto, iniziato nel 1935 ma rimasto a uno stadio di abbozzo: la composizione di un melodramma, con personaggi, musica e cori. La vicenda avrebbe dovuto rappresentare lo sbarco di Enea, le sue imprese gloriose, l'amore di Didone e la morte dell'eroina con un'allegoria che riflette le tematiche della poesia Ungarettiana, ossia la ricerca di una nuova terra per sfuggire alla legge del tempo, il contrasto tra il dovere della passione, fino alla morte. I temi della raccolta sono il tempo, il nulla, la morte, quei temi che rivelano il filone barocco che era già cominciato ad affiorare nel sentimento del tempo.quest'opera rappresenta una profonda meditazione storica e cosmica. Da un lato la terra promessa tende sempre più identificarsi con la fine delle stagioni e della vita, dall'altro la proiezione mitica viene a cadere, per lasciar posto alla persona del poeta che cerca un bilancio definitivo della propria esperienza umana e politica. Da l’Allegria Vanità "vallone il 19 agosto 1917". metro: versi liberi. D'improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell'immensità E l'uomo curvato sull'acqua sorpresa dal sole si rinviene un'ombra Cullata e piano franta In questa poesia il poeta riprende il motivo morale e religioso della vanità delle cose umane, radicato nella visione cristiana del mondo. Qui viene sottolineato il contrasto tra la fragilità della condizione umana e l'infinito in cui l'individuo conduce la sua esistenza. La prima strofa è riferita alla realtà naturale e vi è l'antitesi tra le macerie, simbolo di una vita destinata a corrompersi a perire, e l'immensità, che si rivela come una cosa straordinaria e miracolosa. Ogni verso è composto al massimo le due parole, e contiene un'indicazione essenziale per poter cogliere la natura di questo movimento infinito e indefinito: la prospettiva dell'altezza, la sua immaterialità impalpabile, il limpido stupore, che compare alla fine della strofa, quasi per accrescere l'atmosfera di magica evocazione. La strofa successiva, collegata dalla congiunzione, sposta il punto di vista sull'uomo, riprendendo alcuni elementi già introdotti nella precedente: l'effetto di luce che avevamo si precisa nell'immagine del sole, la sensazione di stupore viene recuperata dal termine sorpresa. La poesia adesso, sviluppa gli elementi di un'antitesi esistenziale: all'immagine dell'altezza si sostituisce quella dell'uomo curvato, vi è un passaggio dal cielo alla terra,un rovesciamento dalla luce all'ombra. Qui emerge la fragilità e la precarietà della condizione umana, quale si riflette nella mobile superficie dell'acqua, elemento essenziale e simbolo della vita. I tre versi conclusivi e, anche se collegati dal significato della strofa precedente, sono nettamente staccati dallo spazio e dall'iniziale maiuscola, suggerendo un'idea di continuità e insieme di rottura. Questa strofa indica quindi uno stato di sospensione tra la dolcezza protettiva, "cullata" rinvia a un motivo caro ad Ungaretti, quello dell'infanzia, e il rischio di perdersi, "franta" riporta l'attenzione sulla precarietà. Gli spazi di cui il poeta inserisce, servono per far riflettere il lettore, quindi, per inserire i suoi sentimenti nella poesia. Non gridate più Il metro: una quartina di nominali e una quartina formata da un endecasillabo,due settenari,un novenario Cessate d’uccidere i morti, non gridate più, non gridate se li volete ancora udire, se sperate di non perire. Hanno l'impercettibile sussurro, non fanno più rumore del crescere dell'erba, lieta dove non passa l'uomo. La poesia, scritta nell'immediato dopoguerra, è indirizzata a coloro che hanno superato la tragedia di questi anni. Il discorso quindi, si apre qui verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro personale al registro della storia. Gli imperativi, che il poeta usa, non hanno la funzione e la forza del comando, ma quella di una preghiera dolente, che invita gli uomini a salvare la loro stessa umanità, riscoprendo i valori della solidarietà e della pietà. Attraverso un uso particolare dell'ossimoro "uccidere i morti", il poeta chiede di superare l'odio e le divisioni di parte, che ancora insanguinano la vita politica e civile italiana. Il poeta pensa che il sacrificio dei caduti è stato veramente inutile, ma vi è ancora la possibilità di salvare e continuare la vita, raccogliendosi in silenzio per poter ascoltare la loro voce, "l'impercettibile sussurro". Il gridare è visto come segno di barbarie, come strazio e follia che sembrano non avere fine. Adesso si contrappone la muta presenza dei morti, come ultimo messaggio per salvare la dignità umana. Infatti nel verso successivo, il poeta ha già identificato la crescita dell'erba con il sussurro impercettibile dei morti. Quel prato felice, perché non vi passa l'uomo, ci spiega che i morti hanno già cominciato ad abbandonarci, ed è cessata ogni corrispondenza fra noi e loro. Qui la poesia di Ungaretti richiama quella del Foscolo, per quanto riguarda l'insegnamento dei sepolcri e dei defunti, al quale è affidata la speranza dell'immortalità. L’ITALIA DALLA LIBERAZIONE AGLI ANNI ‘80 L’ITALIA DALLA LIBERAZIONE AGLI ANNI DEL CENTRISMO Il quadro generale Nel dopoguerra l’Italia presentava difficoltà economiche e disgregazione morale e politica. Infatti, la produzione agricola fu quasi dimezzata, e quella industriale era nettamente diminuita. In gravi condizioni erano anche le vie di comunicazione, e il patrimonio edilizio era danneggiato. Vi era alta disoccupazione e, per i più poveri, anche la fame. Gravava anche l’ulteriore spaccatura tra Nord e Sud, che avevano vissuto due esperienze diverse: •Nel Nord, che aveva vissuto la tragica vicenda della guerra civile e la lotta di liberazione nazionale, vi era la richiesta di radicali mutamenti istituzionali e sociali (il cosiddetto vento del Nord) •Nel Mezzogiorno dove, nel quadro dell’occupazione alleata, si era verificata la continuità istituzionale e amministrativa dello stato, persistevano le idee monarchiche. Data la minor consistenza di partiti politici, che nel Nord si erano rafforzati attraverso la lotta di liberazione, le rivendicazioni sociali si espressero attraverso le occupazioni di terre •In Sicilia vi fu un complesso gioco d’interessi economici e politici, a fenomeni di banditismo e di mafia. Sul piano internazionale, l’Italia, occupava una posizione eccentrica: nonostante la cobelligeranza e la Resistenza, era considerata dagli alleati un paese vinto, come si è visto nel trattato di pace, e alla fine della guerra, fu sottoposta da parte degli alleati ad un ampio controllo. Le forze politiche I partiti presenti fin dal ’43, pur differenziandosi per ideologie e obbiettivi, avevano in comune l’antifascismo e la volontà di dare all’Italia un ordinamento democratico. Vi erano: •Il partito comunista (Pci), era stato trasformato in un partito nuovo, ad opera del suo leader Palmiro Togliatti, che mirava all’ascesa del proletariato al potere, attraverso la conquista della maggioranza nell’ambito delle rinnovate istituzioni democratiche; •Il partito socialista (Psiup), guidato da Pietro Nenni, animato da una forte volontà di rinnovamento civile, era però travagliato dalle lotte tra fusionisti e autonomisti, rispettivamente favorevoli o contrari ad una stretta alleanza col partito comunista; •La democrazia cristiana (Dc), fondata clandestinamente alla fine del 1942, guidata da Alcide De Gasperi, erede del partito popolare di Don Sturzo, si presentava con una formazione democratica e contraria alle lotte di classe. Godeva di un forte appoggio della chiesa; •Il partito d’azione (Pda), erede del movimento di giustizia e libertà, vi confluivano elementi socialisti, radicali, e democratico-liderali; rappresentava la sinistra intellettuale della borghesia; •Il partito repubblicano (Pri), aveva posizione rigidamente antimonarchica; •Il partito liberale (Pli), era orientato verso l’appoggio alla monarchia. Basato su una tradizione resa illustre dai grandi nomi come quello di Giolitti; •Nel 1946 si formò il partito monarchico particolarmente forte nell’Italia meridionale, ebbe vita travagliata e breve. L’Italia dal governo Parri alle elezione del 18 aprile 1948 Nel luglio ’45 i C.L.N. espressero un governo di coalizione, presieduto da Ferruccio Parri del partito d’azione, leader della resistenza. Questo governo portò ampie e radicali riforme e l’epurazione del personale statale compromesso dal fascismo. Dal dicembre ’45 al maggio ’47, il democristiano Alcide De Gasperi presiedette successivi ministeri, accantonate le riforme Parri avviarono la normalizzazione, decretando la fine delle epurazioni e la sostituzione degli organismi amministrativi costituiti dai C.L.N. Fu firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 il trattato di pace e fu deciso il referendum popolare per optare per uno stato monarchico o repubblicano. Ma nel maggio del 1947, comunisti e socialisti furono estromessi dal governo: De Gasperi formò un governo monocolore, con la partecipazione di Einaudi al bilancio e Sforza agli esteri. L’estromissione di socialisti e comunisti dal governo fu favorita da alcune circostanze: •La scissione del partito socialista: la guerra fredda ebbe infatti contraccolpi all’interno del partito. Nel ’47 questo si scisse in partito socialista italiano, capeggiato da Pietro Nenni e in partito social democratico italiano guidato da Giuseppe Saragat: il primo fusionista, il secondo autonomista. •L’appoggio decisivo degli USA 1946-1948 vi sono grandi scelte istituzionali: la scelta repubblicana, la promulgazione della costituzione. Il 2 giugno 1946, infatti, segnò la scelta repubblicana, e fu proclamata ufficialmente il 18 giugno, il presidente provvisorio fu Enrico De Nicola; e vi furono le prime elezioni del paese libero, e le prime in cui le donne esercitavano il loro diritto di voto. Contemporaneamente si tennero l’elezioni per l’assemblea costituente che avrebbe dovuto dare all’Italia una nuova costituzione. Il 22 dicembre 1947 fu approvata la costituzione che entrò in vigore il 1 gennaio del 1948. Essa enunciava i principi posti a fondamento dell’ordinamento della repubblica. Le elezioni del 18 aprile 1948 Il 18 aprile 1948 si svolsero le elezioni per il primo Parlamento della Repubblica. Alle elezioni il partito socialista e il partito comunista presentarono liste unitarie, formando il fronte popolare; vi fu battaglia tra comunismo e anticomunismo. In questo clima, la Dc sfiora la maggioranza assoluta con il 48,5% dei voti. Con queste elezioni iniziava il periodo dei governi centristi, cioè con esclusione dell'estrema sinistra e dell’estrema destra. Alla vittoria della Dc contribuirono vari fattori: •la paura del comunismo, che spinse l'elettorato moderato a non votare partiti minori •l'invio da parte degli Usa di massicci aiuti e contemporaneamente la minaccia della sospensione degli aiuti stessi se avessero vinto i comunisti •La propaganda della Chiesa De Gasperi invitò liberali, socialdemocratici e repubblicani ad entrare nel governo, consapevole che i voti ottenuti non venivano soltanto dall'elettorato democristiano. La Dc appoggiò l'elezione del liberale Einaudi a presidente della Repubblica. In questo clima di violento anticomunismo si sviluppò, nel luglio 1948, l'attentato a Togliatti, gravemente ferito da un estremista di destra. Questo provocò violenti scontri tra gli operai i e la polizia, al limite della guerra civile. Seguì poi la rottura della Cgil in tre diversi organismi: da Cgil, formata specialmente da comunisti, la Cisl a prevalenza democristiana, la Uil repubblicana e socialdemocratica. Gli anni del centrismo (1948-1962) i risultati delle elezioni del 1948, aumentarono però all'interno il peso politico dei ceti imprenditoriali. La ripresa della produzione pose le premesse del miracolo economico, che avvenne però in un clima di forti tensioni sociali. Durante la seconda legislatura (1953-1958) cominciò la crisi del centrismo. La politica internazionale: nel 1949 l'Italia entrò a far parte del patto Atlantico e della Nato; nel 1951 entrò a far parte della Ceca (comunità europea del carbone dell'acciaio); nel 1957 con la firma dei trattati di Roma, aderiva al Mec (mercato comune europeo) e all'Euratom (comunità europea dell'energia atomica); nel 1954 firmava con la Jugoslavia l'accordo di Londra, col quale Trieste era restituita all'Italia. Politica economica e tensioni sociali: nel 1950 vi fu la prima importante riforma agraria dell'Italia unita, a vantaggio soprattutto del sud, con la quale si mirava a sostituire al latifondo con adeguati indennizzi, la piccola proprietà contadina. La cassa del mezzogiorno prevedeva un finanziamento pubblico per lo sviluppo di infrastrutture nel sud e dell'industrializzazione; nel ‘51, la riforma Vanoni introduceva per la prima volta l'obbligo della dichiarazione dei redditi, e nel ‘56 vi fu la creazione del ministero delle partecipazioni statali, per coordinare le attività economiche controllate dallo Stato. Nonostante tutto, vi furono forti tensioni sociali, infatti, i bassi salari provocarono un'ondata di scioperi, fatti duramente reprimere dal ministro degli interni Mario Scelba. Per salvaguardare la coalizione centrista, il governo varò una legge elettorale maggioritaria, in base alla quale quel partito che avesse ottenuto il 50,01% dei voti, avrebbe avuto alla camera il 65% dei seggi. Questa legge fu definita dalle sinistre "legge truffa". Ma nelle elezioni del giugno 1953 la coalizione centrista fu sconfitta clamorosamente. Nel luglio il governo di de Gasperi non ottenne la fiducia del Parlamento e nel 1954 de Gasperi morì. Vi fu quindi una seconda legislatura (1953-1958), che portò novità nel quadro istituzionale, ma soprattutto segnò l'inizio del miracolo economico. Vi furono poi mutamenti all'interno dei partiti: •nella Dc la sconfitta di de Gasperi lascia spazio alla giovane sinistra democristiana (Moro, Taviani, Fanfani) più attenta alla nuova realtà socio economica. •Nel 1956 i fatti dell'Ungheria provocarono una grave crisi nelle sinistre, all'interno del Pci, Togliatti sostenne l'idea di una maggiore autonomia da Mosca, mentre il Psi si distaccò dal Pci, e al suo interno si cominciava discutere l'ipotesi di un'alleanza con i cattolici. Dal 1958 al 1973 vi fu la terza legislatura, mentre si affermava decisamente il boom economico, e l'ipotesi di un governo di sinistra apparve sempre più attendibile: Fanfani al governo nel febbraio 1962. L’ITALIA DAL MIRACOLO ECONOMICO AGLI ANNI ’80 Il miracolo economico realizzatosi in Italia pressapoco tra il 1958 e il 1963, portò l'Italia ad essere uno dei paesi più industrializzati. Particolare sviluppo ebbero i settori siderurgico, meccanico, e chimico. Vari i fattori del boom, dai bassi salari all'utilizzazione di nuove fonti di energia, come il metano, alla stabilizzazione monetaria. L'accumulazione capitalistica e un incremento degli investimenti, portò al miglioramento della bilancia commerciale, al progressivo assorbimento della disoccupazione, ad un aumento del reddito nazionale e quindi all'ampliamento del mercato interno. L'Italia entrava così nella civiltà dei consumi; si diffondevano gli elettrodomestici e tra questi la televisione, nel 1955 la Fiat lanciava la sua "600", che divenne non solo un simbolo di benessere, ma anche un modello di sviluppo. Nel 1963 la produzione di automobili superava il milione. Anche nel sud la riforma fondiaria del 1950 e gli investimenti pubblici da parte della cassa del mezzogiorno per infrastrutture e industrie, contribuirono al miglioramento del tenore di vita (alcuni storici parlano per questo periodo di un momentaneo riequilibrio tra Nord e sud). Ma al miracolo si accompagnarono grandi problemi: la migrazione di manodopera dal mezzogiorno, mise in luce i problemi di disadattamento di gente rimasta ai tradizionali mestieri. In più, nei luoghi che accoglievano gli immigrati mancavano le infrastrutture. Infatti, le campagne si spopolarono rapidamente, per riempire di manodopera le industrie e il terziario (il settore dei servizi). Le città accrebbero in modo impressionante, con un forte incremento della popolazione, dal 25% a Milano al 43% a Torino. Nascita del centro-sinistra Sperimentato dal governo fanfani nel 1962, il centrosinistra divenne governo nel 1963, quando cominciavano a manifestarsi primi segni di una recessione economica; nel dicembre di quell'anno Aldo moro, formò infatti un governo con la partecipazione dei socialisti, accanto ai democristiani, ai socialdemocratici e repubblicani. Il centrosinistra trovò una forte opposizione sia da parte delle destre, sia da parte del Pci, anche se i voti di quest'ultimo contribuirono nel ‘64 all’elezione a presidente della Repubblica di Saragat. Il programma del centrosinistra Mentre governi centristi si erano soprattutto preoccupati della ricostruzione e della ripresa economica, quelli di centrosinistra puntarono a varare una serie di riforme sociali, che puntavano a un'equa distribuzione dei beni dei servizi. Si servirono allora di una programmazione economica, una pianificazione cioè dell'economia, che avrebbe dovuto controllare lo sviluppo, limitare lo strapotere dei gruppi privati, incrementare la spesa sociale. Le riforme più incisive furono quelle del biennio 62-63, negli ultimi anni del centro-sinistra, l'allargamento dei diritti civili fu dovuto alle pressioni di correnti di opinione pubblica che presero forza per la sfiducia che avevano nei confronti dello Stato e dei partiti. Nel 1962 vi fu la nazionalizzazione dell'industria elettrica, con la creazione dell'Enel. Nel dicembre, sempre di quest'anno, vi fu l'istituzione della scuola media unica obbligatoria. Nel 1968 vi fu l'istituzione delle regioni, e nel 1970 all'approvazione dello statuto dei lavoratori, che garantiva le libertà e i diritti dei lavoratori, ostacolando licenziamenti e aumentando il peso dell'organizzazione dei lavoratori stessi, e la riforma del sistema pensionistico. Sempre nel ‘70 si introdusse la legge fortuna-Baslini (fortemente ostacolata dalla Dc), relativa al divorzio. La discussione a proposito, rimase aperta per anni, e nel 1974 fu indetto un referendum abrogativo sul divorzio (promosso dai cattolici), ma il 60% degli italiani votò contro l'abrogazione. Nel ‘75 invece, vi fu la riforma del diritto di famiglia, che dava parità giuridica e ai coniugi, e l'abbassamento della maggiore età a diciott'anni. I problemi del paese negli anni del centro-sinistra In questi anni il paese si trovò ad affrontare gravissimi problemi, e gli anni ‘70 furono caratterizzati da una grave instabilità politica: per ben tre volte dal 1972, si fece ricorso alle elezioni anticipate; nel decennio si susseguirono 13 governi. Questi problemi consistevano ne: •La radicalizzazione dello scontro sociale: contestazione giovanile e "autunno caldo"; •Gli attentati alle istituzioni: da parte del terrorismo, e nell'estate del ‘70 da rivolta di Reggio Calabria alimentata dall'aspirazione della città ad essere capoluogo della regione; •La difficile situazione economica: forte inflazione, dovuta in parte, dal 1973, all'aumento del prezzo del petrolio, in parte all'aumento del costo del lavoro, in parte ancora ai vincoli burocratici che intrecciavano il sorgere di nuove industrie; •Scandali politico-finanziari, come ad esempio quelli delle tangenti destinate a finanziare partiti, e pratica della lottizzazione, cioè della spartizione della gestione delle aziende di Stato tra i partiti. La fine del centro-sinistra Il referendum abrogativo del divorzio aumentò i contrasti tra Dc e Psi, tanto che quest'ultimo nel dicembre del 1975 interruppe la sua collaborazione con i partiti del centro. Era così segnata la fine del centro-sinistra. Il centrosinistra, travagliato fin dall'inizio, non tenne fede alla promessa programmazione economica, si mostrò inadeguato ad affrontare i gravi problemi, dal ‘68 all'autunno caldo del ‘69, al terrorismo degli anni ‘70, ma rappresentava tuttavia un tentativo di sbloccare una situazione di immobilismo politico. La fine degli anni 70: l'assassinio di Moro e il governo di solidarietà nazionale Nel 1973 il nuovo segretario del Pci, Enrico Berlinguer, lancia la strategia del "compromesso storico", volta a superare la situazione, e come immediato obiettivo, vi era sconfiggere il terrorismo. Nel 1976 vi furono le elezioni, e si formò un governo della Dc presieduto da Andreotti, che ottenne in Parlamento il sostegno indiretto del Pci. Nel marzo 1978 si formò un nuovo governo di Andreotti con l'appoggio, questa volta diretto, del Pci, detto "di solidarietà nazionale", e sembrava essere una grande coalizione Dc-Pci. Il 16 marzo, Aldo Moro viene rapito dalle brigate rosse e assassinato due mesi dopo: era la vendetta delle forze estremiste contro colui che aveva avviato il compromesso storico. Dopo la morte di Moro i governi di solidarietà nazionale varano alcune riforme, tra cui la riforma sanitaria, che stabiliva la gratuità delle cure mediche per tutti, e istituiva le unità sanitarie locali (Usl); poi la legge sull'equo canone. Ma ambedue le riforme, alimentando le lotte tra i partiti. Nel 1978 fu legalizzato l'aborto, nonostante la forte opposizione della Dc. Emersero poi i gravi scandali: il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, per episodi di corruzione fu costretto alle dimissioni nel ‘78 e sostituito da Sandro Pertini. Alla fine degli anni ‘70 la situazione interna del paese era dunque gravissima, tuttavia, nonostante le bombe, le tragedie e il malcostume politico, le istituzioni democratiche avevano retto e questo segnò per il terrorismo l'inizio della fine.