SPAZIO-CHIUSO
OPERE DI DIFFICILE COMPRENSIONE
A CURA DI
LUCIA ANDREA FORNI
PREMESSA
Ho cercato di trovare un titolo che potesse dare l'idea delle tematiche che si svilupparono dalla fine della
seconda guerra mondiale fino agli anni ‘ 70. Tema principale del mio testo, è lo Spazialismo, una tendenza
artistica che mi ha affascinata, con la sua ricerca di una nuova dimensione. Un'arte completamente astratta,
senza alcun riferimento ad oggetti reali, ma che è riuscita ad unire, per la prima volta, pittura e scultura in una
cosa sola. Questi artisti riescono quindi a rinnovarsi per l'ennesima volta nella storia, e a ricercare qualcosa di
nuovo e mai visto, con il quale cambiano i canoni della pittura in Italia. Tutto questo si sviluppa in un clima
decisamente particolare. Il mondo è appena uscita da due conflitti mondiali che hanno segnato in modo tragico
la storia di qualsiasi paese, e soprattutto in Italia la situazione è assai travagliata. Il dopoguerra è ricco di
difficoltà economiche, politiche e sociali, e gli anni successivi sono una continua lotta tra partiti. Ecco perché
quella profonda chiusura da parte dell'uomo, da parte dei poeti. Ungaretti ne è la più alta figura. Egli ha vissuto
entrambi gli scontri mondiali, e ha elaborato una particolare visione dell'uomo. Arriva ad elaborare una poesia
chiusa, ermetica, di difficile comprensione, sviluppando tutti quei temi che hanno caratterizzato la sua
esistenza, la guerra, la morte, il dolore, non per questo escludendo la possibilità per l'uomo di recuperare quel
sentimento elementare, la divina necessità del nostro esistere e giungendo finalmente all’infinito, a Dio. Sono
poi i quegli stessi temi, che nel medesimo periodo, i filosofi come Sartre approfondiscono. Con
l'Esistenzialismo, vengono affrontate le vicende meno rispettabili, più tristi e dolorose, cercando di trovare un
significato per l'uomo in un contesto tale. Questi artisti si trovano quindi ad operare in una situazione difficile,
in uno spazio-chiuso, capace però di dare infinite possibilità.
Ne derivano allora opere di non immediata comprensione, o come ho titolato, di difficile comprensione.
Un altro incentivo per soffermarmi sul tema dello Spazialismo, mi è stato dato da un lavoro che ho sviluppato
durante il biennio in questa scuola. Dopo una piccola riproduzione di un quadro di Castellani, datami come
consegna, ho deciso di realizzare un quadro analogo, però di maggiori dimensioni. Così dopo tre anni, (non
sicuramente di lavoro effettivo…!), ho finito quella mia opera, nata dalla voglia di avere sulla parete della mia
camera un quadro che mi piacesse realmente e di cui in qualche modo mi sentivo parte integrante.
CONTESTO ARTISTICO:
lo Spazialismo & Enrico Castellani
CONTESTO FILOSOFICO:
l’Esistenzialismo & Jean-Paul Sartre
CONTESTO LETTERARIO:
l’Ermetismo & Giuseppe Ungaretti
CONTESTO STORICO:
l’Italia dalla liberazione agli anni ‘80
LO SPAZIALISMO
&
ENRICO CASTELLANI
LO SPAZIALISMO
Lo spazialismo è una tendenza artistica, detta anche movimento spaziale, le cui basi furono poste da
Lucio Fontana, con il “manifesto blanco” stilato a Buenos Aires nel 1946, dove, con il superamento
dei generi espressivi tradizionali (pittura, scultura, poesia e musica), si auspica 1'arte integrale che
rifiuta l'immagine naturalistica e si serve di media quali la luce, il suono, il vuoto spaziale.
Pur nella nebulosità della sua formazione, il manifesto rivela un'assonanza con i nuovi tentativi di
ricerca degli ambienti più vivi americani ed europei (Pollock, Wols, Hartung, ecc.).
Il tema che affrontano gli spazialisti, è un diverso modo di concepire e realizzare lo spazio, forse
perché questi nuovi artisti vogliono dare alla pittura la possibilità di essere penetrata dallo spazio,
come accade per ogni forma scultorea definita plasticamente.
Dopo diverse esperienze di ricerca, il vero spazialismo si realizza negli anni 60, quando Fontana
ferisce la superficie del quadro con fori o tagli. Il taglio, soprattutto, netto come inferto da un colpo
di rasoio, è il gesto dell'action painting, il gesto che lascia il segno dell'artista in quel momento, e
quello solo. Ma è anche la penetrazione oltre la superficie della tela, fino adesso limite invalicabile
dell'opera pittorica. Lo spazio è "di qua" dove siamo noi, è "di là", ossia un varco aperto.
Al tempo stesso la superficie tagliata si inflette, avanza o arretra: viene accentuata con le sporgenze,
l'ombra nera del taglio, o del buco, o del rilievo, ancora più evidente su una superficie bianca ed
uniforme. Gli spazialisti si esprimono attraverso opere non oggettive, attraverso un'astrazione alla
cui base non c'è alcun riferimento, neppure lontano, ad oggetti reali.
ENRICO CASTELLANI
Il vero spazialismo, si realizza quindi, verso gli anni 60, ed è proprio in questo periodo che
emerge il nuovo artista Enrico Castellani. Tra il 1957 e il 1960 artisti come Castellani, appunto,
o Piero Manzoni si mettono alla ricerca di un oggetto che fugge dal realismo e dal naturalismo,
e aspirano a scoprire una nuova sintesi, per la quale l'annientamento del gesto e della
partecipazione dell'individuo, si risolve nell'annientamento dell'individuo stesso, per costruire la
rinascita in una nuova dimensione. Questi artisti vogliono giungere alla definizione di un nuovo
spazio, che è intorno all'essere umano. Esso si avvicina al concetto del nulla, del vuoto. E’
quindi lo sviluppo in negativo, che porta al non dipingere, al non scolpire, pur dipingendo e
scolpendo. L'intento è quello di sfuggire alla stretta del tempo per avvicinarsi alle sue pause tra
positivo e negativo, giorno e notte, vita e morte, fino ad arrivare all'infinito. Questi artisti che
entrano in scena alla fine degli anni 50, sono consapevoli dell'impotenza dell'individuo, ne
accettano la nullità, ma pongono una disperata fiducia in un metodo razionalistico. Il linguaggio
a cui essi ricorrono, è controllato e impersonale, tanto che l'artista non è connessione tra
pennello-colore-tela, ma strumento del costruire, implicando, nel caso di Castellani, la stesura di
chiodi e della tela grezza, con rilievi concavi e convessi, oppure l'applicazione della pittura
monocroma di Fontana.
Nel 1958 Enrico Castellani si affaccia al mondo della pittura: nel panorama deprimente in cui
viveva, nella pittura vista e rivista, egli pone il problema su un piano diverso, cioè su come fare
arte. I suoi primi quadri fanno riferimento all'action painting americana, e in particolare a
Pollock (fig.1). Si vede infatti un interesse di Castellani, nel saturare completamente la
superficie, più che nel dare attenzione al gesto in sé della pennellata, di infittire i segni sulla
tela, tanto da non distinguerli l'uno dall'altro, e tanto ad arrivare a quell'antitesi che implica il
lasciare intatta la superficie.
Castellani tenta quindi, di ridurre il dipinto a un oggetto più che a un soggetto, per trovare un nuovo
territorio, dove tenterà di illuminare un aspetto della materia parlando del suo negativo.
Questa è l'ombra.
Nei tre acquarelli del 58, intitolati appunto ombra (fig. 2), Castellani sottolinea il contatto tra
negativo e positivo, luminoso e oscuro, e propone un qualcosa che "non è" pur essendo, è il vuoto, è
il nulla. Un vuoto-pieno, quindi, che è positività e negatività allo stesso tempo, è annullamento della
persona pur mantenendola presente. Secondo questi artisti, infatti, nulla è più concreto del nulla
stesso, e la coppia di contrari, davanti e dietro, altre basso, positivo o negativo, contiene in sé tutte le
concretizzazioni possibili, senza che un elemento possa essere più il rilievo dell'altro. Si crea quindi
una visione bipolare, per cui l'alto è importante quanto il basso, il visibile si completa nell'invisibile.
Questa ricerca di dualismo tra materia e forma, pieno vuoto, positivo o negativo, è dovuto alla
necessità di incamminarsi verso la libertà dell'impersonale, del neutro, del silenzioso. Qui il corpo e
la persona dell'artista sono completamente estranei al quadro, vengono usati come strumenti per
costruire, dove contano la logica e la ripetizione.
Ecco allora che per arrivare allo zero, al vuoto, ogni artista traccia il percorso ad ognuno meglio
adatto: Castellani pone la sua attenzione sull'ombra, e negli acquarelli del 58 si vede come cerca
l'unità tra gli opposti, come cerca di mettere gli elementi sullo stesso piano, senza che uno sia più
forte dell'altro. Le forme che traccia sulla tela sono la risoluzione di un elemento dentro all'altro, il
punto dentro la spirale, il nero nel colore. Queste figure ricordano quasi un vortice, e gli
attribuiscono una forza di attrazione verso il centro, quasi il nero attraesse tutti gli altri colori, il rosa,
il viola e il grigio, ancorandoli alla superficie. Questa forza di attrazione nel punto nero è quindi,
ritorno al nulla.
Nel 1959, l'artista pone l'attenzione sulla "piega" (fig. 3-4-5), dove a contare è quella parte
nascosta ed oscura, che si trova dietro e dentro la curvatura della tela. Ci troviamo qui al passaggio
in cui Castellani decide di sviluppare la sua arte sulla ricerca della superficie, per poi arrivare poco
più avanti ad organizzare la tela secondo sequenze ritmiche.
Il passo successivo, infatti, lo compie con superficie nera in rilievo (fig. 6), della fine del 1959.
Egli dandogli questo tipo di titolo descrittivo, riesce ad inquadrare già l'opera e a dare una
presentazione di quella che è, e di quella che sarà la sua poetica da qui in poi. L’artista utilizza il
colore nero, assoluto e monocromo, perché esso è azzeramento, e per dare movimento, concretezza
e vitalità, Castellani dietro o dentro la tela , che dir si voglia, immette delle forme sferiche,
servendosi di nocciole, che mettono in rilievo la superficie, eliminando quel segno di staticità. Ed è
proprio qui che si vede il ruolo dell'artista proprio come costruttore. Con questo quadro, l'artista
riesce ad affermare l'esistenza di qualcosa che non è, quindi il nero come il nulla, ma una
superficie, che anche in questo nulla, riesce a mettersi in rilievo, ad evidenziarsi.
Questi pittori, iniziano quindi una nuova strada, perché ormai vi era qualcosa che implicava la
necessità di una ristrutturazione della pittura, della scultura, e Castellani ci riesce, unendo le due
cose. Nel 1959, quel lavoro che Castellani aveva già iniziato, che si basava sulla logica interna
della costruzione del quadro, si evolve ancora una volta. A quel processo che si basava sulla
stesura di una tela su di un telaio, e il suo fissaggio ai bordi con dei chiodi, apporta nuove
modifiche, per cui l'artista si libera degli elementi estranei, ossia le nocciole che si muovevano
liberamente sotto la tela, per ricorrere ad un elemento che partecipa alla costruzione del quadro:
il chiodo.
Questo, posizionato sopra o sotto la tela, la spinge ad avvallarsi o a mettersi in rilievo. Vi è quindi
un nuovo passaggio, con il quale l'artista riesce ad eliminare un'altra intrusione.
Rimangono ora la casualità e l'arbitrarietà dei rilievi, che in superficie nera in rilievo erano liberi.
Nello stesso anno Castellani realizza superficie nera e superficie (fig.7-8), due quadri con i quali
riesce ad eliminare anche questi due ultimi elementi, il carattere arbitrario e illogico, per dargli una
struttura assolutamente matematica e logica.
I chiodi infatti, si dispongono secondo una trama regolare, a intervalli, e chiaramente, per non
creare una superficie totalmente sollevata, passano dall'estroflessione, all'introflessione, e viceversa.
Tanto è l'importanza dei rilievi e contro rilievi, quanto una loro numerazione, tra pari e dispari,
conclusione di un oggetto determinato da una catena di elementi che gli appartengono, quali la tela,
il chiodo, la forma, il volume, senza che uno di questi ne sovrasti un altro.
Superficie è molto interessante, perché sembra il passaggio tra ombra del 58, e il nuovo metodo di
"dipingere". L'artista lascia la testa dei chiodi delle estroflessioni nera, così da creare dei punti neri
somiglianti a quelli degli acquarelli dell'anno prima. Sembra che il vortice apparso in essi, abbia
invertito il suo corso, e fosse salito alla superficie, così da creare una spinta dall'interno verso
l'esterno. Un'immagine quindi, che parte da un vuoto, da un nulla, il nero, per riaffiorare e produrre
una forma.
In superficie nera i rilievi e contro rilievi si dispongono alternandosi in verticale, così da formare
linee parallele tra positivo e negativo. Questa disposizione verticale è in contrasto con quella
orizzontale, nata conseguentemente dall'altra. Il quadro non prevede limiti, non definisce i bordi, né
a destra né a sinistra: perde il suo senso di limite, per arrivare finalmente allo scopo di Castellani,
l'infinito.
"Quando ho iniziato questo lavoro mi sono preoccupato che rilievi che andavo facendo,
fossero posti in modo da non creare delle aggregazioni. E allora ad ogni punto, chiamiamolo
positivo, ne ho contrapposto uno in negativo; cioè c'è sempre un punto negativo e uno positivo,
che si elidono in qualche modo e che permettono che la superficie rimanga poco violentata,
diciamo.“
Dal 1960 in poi, Castellani potenzia il suo sistema di rilievo e contro rilievo. Le sequenze
passano dal verticale al perpendicolare, dove il verticale si incrocia con l'orizzontale, come se
l'artista volesse completamente dominare il discorso interno del quadro. Questo è verificabile
in superficie blu scuro del 1960, che è un tentativo di contenere la relazione tra luce e ombra
cosicché rimanga neutra e completa, e in tutte le opere successive.
Nei quadri di Castellani quindi, esiste un'idea,un metodo,una poetica, che rimangono costanti
negli anni, e che sono una verifica al suo metodo valido, ma che accettano continue variazioni,
infatti non troviamo mai un quadro uguale ad un altro. Egli riesce a realizzare superfici
dinamiche, dove l'occhio non ha alcun punto di riferimento, quindi e portato muoversi
continuamente sulla superficie lungo questi avvallamenti rilievi, senza un punto di stazione. Il
suo intervento discreto il minimo sulla superficie, senza tagli o oggetti aggiunti, in realtà offre
una gamma infinita di possibilità, ognuno di questi quadri infatti, oscilla tra l'annullamento
completo e l'infinita possibilità.
Nel 1961 vi è la prima mostra di Castellani, alla galleria La Tartaruga di Roma, alla quale
partecipa anche Piero Manzoni. Qui, l'artista, espone un'opera molto interessante, intitolata
il muro del tempo (fig. 9). Una serie di metronomi che si muovevano a velocità varie e
diverse, scandendo il tempo della mostra stessa, che aveva la durata, appunto, della carica di
questi metronomi: il più lento, quando finiva il suo movimento, decretava anche la fine della
mostra.
Nel 1964, a Milano all'interno di una casa, Castellani espone spazio ambiente, che rappresenta
l'estensione nello spazio della sua poetica. Qui infatti, cresce l'ambiguità tra dipinto, oggetto, e
architettura e si raggiunge l'apice dello spazialismo di Castellani. All'interno vi è proprio un
senso di perdita della certezza dimensionale, sia per il puntiforme che crea un senso di
instabilità, sia per le fughe prospettiche che l'artista crea. Egli con quest'opera realizza quindi
uno spazio, all'interno del quale vi sono direzioni diverse e instabili, puntando come sempre la
sua attenzione, anche se all'interno di un ambiente, sul problema della superficie.
Enrico Castellani con il suo studio, riesce a capire ciò che è veramente la tridimensionalità
della superficie, cosa che con la sola rappresentazione pittorica non era mai stato possibile
fare. Questo artista, invece, trova questa rappresentazione, proprio spingendo al massimo la
tensione della tela, con i suoi rilievi e contro rilievi.
Superficie rossa sul mio muro verde
L’ESISTENZIALISMO
&
JEAN-PAUL SARTRE
L’ESISTENZIALISMO
L’esistenzialismo, oltre che essere una filosofia in senso stretto, è un’atmosfera, un clima culturale, che
ha caratterizzato il periodo fra le due guerre mondiali e che ha trovato la sua maggior espressione nel
secondo dopoguerra.
Questo termine essenzialismo, è volto a tirare l’attenzione sugli aspetti limitanti o negativi della
condizione umana nel mondo, che l’esperienza tragica delle due guerre, con tutti i loro orrori e le loro
distruzioni, ha contribuito a rendere ancora più evidenti. In altre parole l’esistenzialismo, inteso come
situazione storico-intellettuale, risulta definito da una accentuata sensibilità nei confronti dei dati che la
caratterizzano: la nascita, la lotta, il patimento, il passare del tempo, la morte.
Dopo la seconda guerra mondiale, nell’ambito della situazione d’incertezza della società europea,
dominata dalle distruzioni materiali e spirituali della guerra e lentamente avviata ad una ricostruzione
difficile, la cosiddetta letteratura esistenzialistica, e in primo luogo l’opera letteraria di Sartre,
costituisce l’anello di congiunzione tra la situazione di quel momento e le forme concettuali
dell’esistenzialismo, che erano state elaborate in data anteriore.
Infatti questa letteratura si è fermata soprattutto a descrivere le situazioni umane nelle quali è
fortemente impressa la problematicità dell’uomo stesso; e perciò ha sottolineato le vicende meno
rispettabili e più tristi, peccaminose o dolorose, nonché l’incertezza di quelle intraprese, sia buone che
cattive, e l’ambiguità del bene stesso che talvolta mette capo al suo contrario.
La letteratura esistenzialistica trova un corrispondente più generale nel decadentismo europeo. La
relazione tra esistenzialismo-decadentismo è stata spesso sottolineata, dato che si vede
nell’esistenzialismo la più tipica “forma filosofica del decadentismo”. In particolare esse condividono
il tema della morte: con il decadentismo subentra la presenza della morte nella vita stessa.
Ma ancor più significativo è il caso dell’ermetismo italiano, che parallelamente alla nascita e
all’affermarsi della filosofia esistenzialistica, insiste, per conto suo, su temi come la solitudine,
l’illusione del vivere, la morte, il mistero, l’oblio, l’irrevocabilità del tempo. Ad esempio gia nel 1919
Ungaretti scrive una raccolta di liriche intitolata L’Allegria, in cui parlando della vita come di un
naufragio di speranze e di illusioni, e di un continuo e disperato attaccarsi ad esse, usa un termine,
quello di naufragio, che ricorrerà frequentemente nella produzione esistenzialistica. E la nota lirica
Soldati:
Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie
È di per se un documento di quella precarietà umana che, vissuta drammaticamente negli anni della
trincea, costituirà in seguito un motivo della filosofia esistenzialistica.
Inteso, invece, in senso stretto e tecnico, l’esistenzialismo è un insieme di filosofie che risultano
caratterizzate da alcuni tratti comuni, infatti:
Nelle filosofie cosiddette esistenzialistiche assume un rilievo centrale la riflessione circa l’esistenza
L’esistenza viene intesa come modo d’essere proprio dell’uomo: un modo specifico, diverso da quello
di tutti gli altri enti nel mondo
Tale modo d’essere specifico viene descritto innanzitutto come un rapporto con l’essere, sebbene ogni
esistenzialista abbia una sua maniera di concepire l’essere (per Sartre è soprattutto l’essere
esperienziale, l’io gli altri e il mondo)
Il rapporto esistenziale con l’essere viene interpretato come qualcosa in cui “ne va” dell’uomo e che
richiede da lui una qualche scelta aperta al rischio
Di conseguenza essi ritengono che l’uomo non sia una realtà sostanziale e già data, ma un ente che
si trova di fronte a determinare possibilità di realizzazione, che impegnano la sua libertà e che si
collocano ai due estremi dell’autenticità e dell’inautenticità
L’appello alla scelta e all’autenticità implicano che l’uomo per gli esistenzialisti, viva come singolo,
ossia come un ente individuato, concreto e irripetibile
Come rapporto con l’essere, l’esistenza si trova sempre in una situazione altrettanto individuata e
concreta, racchiusa dalla nascita e dalla morte
L’esistenza, in quanto struttura caratterizzata dalla singolarità, dal possibile, dalla scelta, dalla
situazione, risulta segnata dalla finitudine e dal limite
Il fenomeno tipico del periodo posteriore alla seconda guerra mondiale è l’esistenzialismo di Sartre:
JEAN-PAUL SARTRE
Parigi 1905-1980
Esistenza e libertà
Sartre ha cominciato la sua attività di scrittore con ricerche di psicologia fenomenologia che hanno
per oggetti l’io, l’immaginazione e le emozioni. Il punto di partenza è l’interpretazione
dell’intenzionalità della coscienza. Il saggio la trascendenza dell’ego si apre con l’affermazione
“l’io non è un abitante della coscienza”, intendendo dire che l’io non costituisce una sostanza
chiusa in se stessa, ma una struttura aperta al mondo e agli altri. Nel saggio sulla teoria delle
emozioni la coscienza viene appunto intesa come “essere-nel-mondo” e l’atteggiamento emotivo
viene interpretato come una maniera per vivere i rapporti con la realtà, consistente in una
modificazione magica del mondo, ossia una modificazione diretta a difendersi dagli ostacoli
esterni: ad esempio lo svenimento davanti ad un pericolo imminente, non è che la negazione del
pericolo stesso, la volontà di annientarlo, con una fuga nei suoi confronti.
Per Sartre ha molta importanza l’immaginazione, poiché egli tende a legare l’immaginario al
concetto di libertà. Infatti l’immaginazione permette all’uomo di negare il mondo, in un qualsiasi
momento e in qualsiasi situazione.
Questi concetti ritornano ne L’essere e il nulla, sua grande opera, dove Sartre si interroga sulle
strutture dell’essere, ed afferma che l’essere ci è dato in due modi fondamentali: come essere in se e
come essere per sé. Il primo tipo di essere si identifica con tutto ciò che non è coscienza ma con cui la
coscienza entra in rapporto: ossia con le cose del mondo. Il secondo tipo di essere si identifica con la
coscienza stessa, la quale ha la capacità di attribuire i significati a quello che si trova davanti. Sartre
chiama quindi il per sé “nulla”, intendendo con questo termine, la coscienza stessa, che sorge come
potenza nullificatrice.
Affermare che l’uomo è coscienza equivale a dire che l’uomo è libero, poiché nega la realtà alla luce
di significati che in qualche modo la padroneggiano: ad esempio, appena entro in una stanza dove vi
sono delle persone, la mia libertà entra in azione, poiché proietto su uomini e cose una rete di
significati e di valori (bello, brutto, simpatico, noioso,divertente..). La libertà coincide dunque, per
Sartre, con la struttura stessa dell’ esistenza, che risulta condannata ad essere libera.
Di conseguenza, per lo scrittore l’ uomo è responsabile del mondo e di sé stesso. Tutto ciò che accade
nel mondo risale alla libertà e alla responsabilità della scelta originaria, perciò nulla di ciò che accade
all’ uomo può essere detto inumano.
“Le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture, non creano affatto uno stato di cose
inumano. Non c’è una situazione inumana: soltanto per paura, per fuga e per il ricorso ai
comportamenti magici, io deciderò su ciò che è inumano. Se io sono mobilitato in una guerra, questa
guerra è la mia guerra, è a mia propria immagine, e io la merito: in primo luogo perché potevo
sottrarmi ad essa col suicidio o la diserzione. Se non mi ci sono sottratto io l’ ho scelta: forse solo per
mollezza, per debolezza davanti all’ opinione pubblica. Ma in ogni caso si tratta di una scelta.”
Tuttavia, questa libertà fa si che l’ individuo risulti perennemente in uno stato di conflitto con gli altri.
Infatti, nello stesso momento in cui giudico l’ altro mediante i miei significati, la stessa operazione la
compie il mio vicino.
L’ amore stesso, che costituisce il tentativo principale di realizzare l’ unità tra l’ io e l’ altro, risulta,
per Sartre, inevitabilmente destinato allo scacco. Infatti ognuno, nell’ amore, vuole essere per l’altro
l’ oggetto assoluto, il mondo, la totalità infinita; ma per questo occorre che l’ altro rimanga
soggettività libera e altrettanto assoluta. Ma poiché entrambi vogliono esattamente la stessa cosa,
l’unico risultato dell’amore è un conflitto aperto o strisciante.
Dalla teoria dell’assurdo alla dottrina dell’impegno
Nella condizione umana, per Sartre, vi è qualcosa di paradossale. Infatti, pur essendo libero di fronte
al mondo, l’individuo non è libero di essere libero.
In altre parole, pur scegliendo il senso del suo essere, l’individuo non sceglie il suo essere stesso; ma
il fatto di essere al mondo, è qualcosa di assurdo, ossia non ha spiegazioni al di là del fatto di esistere.
Gli scopi nascono soltanto con l’uomo, che da un senso a ciò che non ha senso.
A fondo di tale assurdità vi è la nausea, che Sartre descrive nel noto romanzo, nel quale racconta le
vicende di Roquentin, un professore di storia che scopre la mancanza di senso dell’esistenza, che gli
si rivela mediante una nausea portata dal sentirsi di troppo rispetto al mondo e agli altri.
Sebbene gli uomini abbiano cercato di sormontare questa consapevolezza sull’esistenza con la
metafisica e le religioni, essa rimane a fondo come verità. Da ciò deriva il progetto dell’uomo di farsi
Dio, ossia di divenire un essere che è ragione, in cui si fondono l’in sè e il per sè. Ma ciò è
impossibile, Dio non può esistere. Se Dio esistesse egli sarebbe la negazione dell’essere umano, e
viceversa, per la sua stessa esistenza, l’uomo è negazione di Dio. Affermando Dio, l’uomo sfugge da
se stesso.
Le ragioni e gli scopi dell’esistenza sono qualcosa che noi inventiamo solo dopo esser venuti al
mondo. Nel suo sforzo di farsi Dio l’uomo dunque è destinato allo scacco, infatti Sartre presenta
l’uomo come un Dio mancato o una “passione inutile”.
Tutti i comportamenti umani sono quindi sullo stesso piano e fallimentari. Sartre chiude, infatti,
l’Essere e il nulla con la tesi:
“è la stessa cosa, in fondo, ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli”
anche se il suo capolavoro da un lato è fondato tutto sul concetto di libertà e responsabilità individuale
e sociale dell’uomo.
L’influsso del marxismo e la critica della ragione dialettica
Sartre è stato costantemente sotto il crescente influsso del marxismo, cercando di restare se stesso e
ciononostante aggregarsi ad esso. Questo tentativo è materializzato nel suo libro Critica della ragione
dialettica. Il libro è un tentativo di giustificare ciò che sembra quasi impossibile. Sartre è il profeta
della realtà individuale, il marxismo è un movimento collettivo di liberazione. Entrambe le correnti
possono parlare della libertà, ma nei due la parola “libertà” sembra avere un significato
completamente diverso. Tale parola infatti in Sartre significa una caratteristica fondamentale
dell’esistenza, nel marxismo, invece, la liberazione di strutture represse.
Come possono accordarsi le due visioni? Sartre prevede che la sua prospettiva ha bisogno del
marxismo, e il marxismo della sua: per entrambe ci sarebbe solo una cura, il loro incontro. La Critica
della ragione dialettica è un tentativo di descrivere e facilitare questo incontro.
La tesi fondamentale di quest’opera è la scrittura dialettica del corso storico. La dialettica, secondo
Sartre, è un processo il cui soggetto è l’uomo con i suoi bisogni, e deve esser concepita in base al
principio secondo cui l’uomo subisce la dialettica in quanto la fa, e la fa in quanto la subisce.
Conseguentemente vi è la possibilità dell’alienazione, ossia il rischio che l’uomo risulti succube di
quello che lui stesso fa. Infatti l’uomo se da un lato risulta soggetto della dialettica, dall’altro diventa
possibile oggetto, alienato dalla dialettica costituita. Ciò accade innanzitutto nei rapporti dell’uomo
con la natura, un esempio ne è il lavoro, soprattutto nella società industriale e capitalista. Ma la
possibilità dell’alienazione risiede anche nel rapporto fra gli uomini. Egli distingue il concetto di
serie da quello di gruppo. Il primo è una molteplicità di individui, nella quale ogni persona, non vive
un’autentica esperienza di unione con gli altri (l’attesa dell’autobus, la spesa,…). Il gruppo, invece, è
un’organizzazione di individui, caratterizzata da un’unità di scopi, in cui ognuno si sente
immedesimato con gli altri, e simultaneamente capo e gregario:
“il mio essere-nel-gruppo diventa immanenza, sono in mezzo a terzi e senza statuto privilegiato[…]
io corro della corsa di tutti, grido” fermatevi!” e tutti si fermano, qualcuno grida “muovetevi!”
oppure “A sinistra! A destra! Alla Bastiglia!” e tutti ripartono[…]”
come si può notare, il gruppo tende a unirsi di fronte a un pericolo o a un avversario comune.
Tuttavia, passato il momento della fusione, il gruppo deve lottare per rimanere tale e non tornare ad
essere serie, e l’unico modo si concretizza nella disciplina e nell’istituzione. In tal modo il gruppo
arriva ad una situazione di alienazione, nella quale gli individui tornano a sentirsi estranei l’uno
all’altro e alla comunità.
Come diretta conseguenza vi è che anche le forze rivoluzionarie sono sempre esposte al rischio dello
scacco e dell’alienazione.
L’ERMETISMO
&
GIUSEPPE UNGARETTI
L’ERMETISMO
Sul piano filosofico si diffonde quindi l'esistenzialismo, avendo appunto per oggetto l'analisi
dell'esistenza. Questa esperienza esistenzialista confluisce nell’ermetismo. La poesia ermetica è una
poesia chiusa, di difficile comprensione, e fa la prima prova in Italia nel 1916, quando esce Il porto
sepolto di Ungaretti. L'incalzare di vicende storiche nel nostro paese, porta a un più deciso accostarsi
a temi come la solitudine, l'angoscia, l'irrazionalità della vita. Iniziatore dell'ermetismo é quindi:
GIUSEPPE UNGARETTI
Vita e Opere
In Egitto (1888-1912)
Giuseppe Ungaretti nasce il 10 Febbraio 1888 ad Alessandria D’Egitto, da genitori Lucchesi. Qui
compie gli studi e rimane fino a ventiquattro anni.
A Parigi (1912-1915)
Nel 1912 Ungaretti si reca in Francia per perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Frequenta gli
ambienti dell’avanguardia parigina, conosce personaggi come Gide e Picasso, e lega amicizia con
Apollinaire, Papini e Soffici, fondatori della rivista italiana Lacerba. Proprio su questa rivista lo
scrittore, pubblica nel 1915, la sua prima poesia, Il paesaggio di Alessandria d’Egitto.
In guerra
Scoppiata la guerra, Ungaretti combatte come soldato semplice: la guerra sarà esperienza centrale
della sua formazione poetica. Nel 1916 esce la prima raccolta di poesie: Il porto sepolto, già protesa
verso l’irrazionale, l’io profondo. Finisce la guerra e Ungaretti si sposa con una ragazza francese.
Tornato in Italia esce nel 1919 Allegria di naufragi, che comprende anche la raccolta precedente il
cui titolo sarà L’allegria.
A Roma (1920-1936)
In questo periodo risiede a Marino. Completa gli studi su classici italiani, da Dante a Petrarca a
Leopardi, e sui simbolisti Francesi. Sentimento del tempo (1919-1935). Nel frattempo si avvicina
alla fede cattolica, e politicamente aderisce al fascismo.
In Brasile (1936-1943)
Le necessità economiche lo costringono ad accettare la cattedra di Letteratura italiana
all’università di San Paolo in Brasile. In questo periodo vi è la tragedia della morte del figlio
Antonello, di soli nove anni. Qui si compiono molteplici meditazioni sul barocco, lussureggiante e
tetro, pervaso dal senso della morte.
Il ritorno in patria (1942-1970)
Tali meditazioni costituiscono i temi delle ultime raccolte uscite in Italia, dove il poeta ritorna nel
1942, in tempo per sentire la fase più tragica della guerra.
Nel 1947 esce Il dolore; seguono La terra promessa nel 1950; Un grido e paesaggi nel 1952; Il
taccuino del vecchio nel 1960; Morte delle stagioni nel 1967 e Dialogo nel 1968.
Ungaretti muore a Milano il primo Giugno del 1970.
Il mondo spirituale e la poetica
Il punto di partenza della poesia è la disperazione. Per capire Ungaretti, bisogna vedere l’uomo come
uomo di pena, creatura generata e vissuta nel dolore; e proprio al dolore è intitolata una raccolta dello
scrittore, ispirata alla tragedia della seconda guerra mondiale. Ma nella sofferenza è data la possibilità
all’uomo di recuperare il sentimento elementare, di cogliere la meraviglia d’ogni oggetto che lo
circonda. Infatti, la prima raccolta di versi ungarettiani, è L’Allegria, ispirata alla prima guerra
mondiale. Proprio tra questi due poli, allegria intesa come profondo senso della vita, e dolore, vi è la
chiara linea della sua spiritualità.
L’Allegria (1916-1919)
I temi
I temi del L’Allegria sono quelli tragici e violenti della guerra, del dolore, della morte: eppure anche in
questa tragedia vi è la divina necessità del nostro esistere:
il poeta vicino “a un compagno massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio”,
sente il richiamo della vita “…non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita” (Veglia).
L’uomo, dopo la catastrofe è pronto a riprendere il cammino, come è ben chiaro in Allegria di
naufragi:
“…e subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare”.
Anche il paesaggio, quello assolato della terra natale è immerso nel silenzio di una contemplazione
stupita, dove le cose appaiono ferme in una misura eterna e lontana dalle passioni degli uomini:
“conosco una città / che ogni giorno s’empie di sole / e tutto è rapito in quel momento” (Silenzio).
Lo stupore del poeta davanti alla natura è simile a quello dei primi uomini di fronte alla creazione:
una sorta di innocenza che il poeta rivive quando è in comunicazione con le cose, e si immerge allora
nel grembo della terra, riconoscendosi una docile fibra dell’universo.
Innovazioni formali de L’Allegria
Ungartetti si serve di modi stilistici d’avanguardia, che sono:
•Il verso libero
•Il titolo, considerato parte integrante del testo:
Soldati
si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
Bosco di Canton , Luglio 1918
• L’assenza della punteggiatura e la fortissima scansione delle pause, attraverso gli accapo e gli spazi
bianchi
•L’ uso dell’analogia:
Stasera
Balaustrata di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia
Versa il 2 Maggio 1916
•L’estrema scarnificazione del dettato:
Mattina
M’illumino d’immenso
S. Maria La Longa il 26 Gennaio 1917
Le varianti e la ricerca dell’essenzialità
E’ lo stesso Ungaretti a farci capire perché usa quell’essenzialità: “ di fronte alla morte, nella trincea in
cui nacquero le poesie di Allegria, bisognava scrivere svelto, scrivere l’essenziale”.
Sentimento del tempo
Le poesie scritte a partire dal 1919 e inserite nel Sentimento del tempo rappresentano mutamento delle
prospettive, anche per quanto riguarda le soluzioni stilistiche e formali. Alla poetica precedente si
sostituisce una diversa percezione del tempo, che attua il recupero di più complesse problematiche
dell'esistenza. Quest’opera nasce in un diverso clima storico. La guerra è ormai lontana: l’uomo di
pena è soggetto a più vaste meditazioni esistenziali.
Vi sono tre momenti nel Sentimento del tempo del modo, di Ungaretti, di sentire successivamente il
tempo.
1919-1927 Il primo momento del sentimento: il paesaggio e il mito
Nel primo periodo è presente il tema del paesaggio come profondità storica. Si tratta, questa volta, del
paesaggio laziale, ricco di antiche rovine, aperto al ricordo del mito.
1927-1932 Il secondo momento del sentimento: il barocco e la meditazione religiosa sulla morte
In questo secondo periodo la Roma tetra e fastosa del barocco porta il poeta a non accorgersi più dei
paesaggi, per accostarsi invece con inquietudine, perplessità, angoscia, spavento, alla sorte dell’uomo.
Quindi, una civiltà minacciata di morte induce il poeta a meditare sul destino dell'uomo e a sentire il
tempo in relazione con l'esterno.
Nascono cosi gli Inni, le Leggende, la Morte meditata.
È questa la prima meditazione sul barocco, come espressione di una tematica spirituale venuta fuori
nel’600. le immagini diventano più lugubri, e si approfondisce il tema religioso.
1932-1935 Il terzo momento: l’amore
in quest'ultimo periodo, il poeta si accorge dell'invecchiamento e del perire della carne stessa, e la
meditazione religiosa sulla morte si accentua ancor più .
La riscoperta dei metri classici
Ritorna l’uso della punteggiatura, e l’uso dell’endecasillabo, del settenario e del novenario, legati alla
tradizione petrarchesca e leopardiana. Questo ritorno ai classici è simbolo di chi, passato attraverso
esperienze di rottura, è maturato e arricchito proprio da quelle stesse esperienze, e può permettersi un
ritorno all’ordine.
Si serve di nuovi modi espressivi. L’uso dell’analogia si espande, si serve di alcune parole-chiave che
sono simboli dell’innocenza e dell’anima, s’intensifica l’aggettivazione, e si afferma l’uso del vocativo.
Il dolore (1937-1946)
Tra il Sentimento e la terra promessa, si inserisce una grande raccolta, Il dolore. Quest’opera è ispirata
a una duplice tragedia, la morte del figlioletto Antonello, e la seconda guerra mondiale.
Può, quindi dividersi in due parti il primo che ruota attorno al dolore privato, il secondo a quello degli
uomini.
Il dolore privato:
……………………….
Alzavi le braccia come ali
E ridavi nascita al vento
Correndo nel peso dell’aria immota
Nessuno mai vide posare
Il tuo lieve peso di danza
………………………
(Tu ti spezzasti)
in queste liriche Giuseppe Ungaretti, canta lo strazio del ricordo, e il lento trasformarsi del ricordo,
dalla sofferenza alla consolazione. L’immagine del figlio, che fa tutt’uno con la sua giovinezza passata,
è quasi un recupero dei tempi “innocenti”, che si riflettono anche sulla forza del paesaggio brasiliano.
Il dolore degli uomini:
si rinnova, come ai tempi de L’Allegria, il colloquio del poeta con gli altri uomini, e nuovamente si
nota il modo ungarettiano di intendere religiosamente la vita, e di stabilire un rapporto, sia pur di
sofferenza, con gli altri esseri.
La terra promessa (1950)
La raccolta successiva, La terra promessa, pubblicata nel 1950, comprende i frammenti di un ampio
progetto, iniziato nel 1935 ma rimasto a uno stadio di abbozzo: la composizione di un melodramma,
con personaggi, musica e cori. La vicenda avrebbe dovuto rappresentare lo sbarco di Enea, le sue
imprese gloriose, l'amore di Didone e la morte dell'eroina con un'allegoria che riflette le tematiche
della poesia Ungarettiana, ossia la ricerca di una nuova terra per sfuggire alla legge del tempo, il
contrasto tra il dovere della passione, fino alla morte. I temi della raccolta sono il tempo, il nulla, la
morte, quei temi che rivelano il filone barocco che era già cominciato ad affiorare nel sentimento del
tempo.quest'opera rappresenta una profonda meditazione storica e cosmica. Da un lato la terra
promessa tende sempre più identificarsi con la fine delle stagioni e della vita, dall'altro la proiezione
mitica viene a cadere, per lasciar posto alla persona del poeta che cerca un bilancio definitivo della
propria esperienza umana e politica.
Da l’Allegria
Vanità
"vallone il 19 agosto 1917".
metro: versi liberi.
D'improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell'immensità
E l'uomo
curvato
sull'acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un'ombra
Cullata e
piano
franta
In questa poesia il poeta riprende il motivo morale e religioso della vanità delle cose umane, radicato
nella visione cristiana del mondo. Qui viene sottolineato il contrasto tra la fragilità della condizione
umana e l'infinito in cui l'individuo conduce la sua esistenza. La prima strofa è riferita alla realtà
naturale e vi è l'antitesi tra le macerie, simbolo di una vita destinata a corrompersi a perire, e
l'immensità, che si rivela come una cosa straordinaria e miracolosa. Ogni verso è composto al
massimo le due parole, e contiene un'indicazione essenziale per poter cogliere la natura di questo
movimento infinito e indefinito: la prospettiva dell'altezza, la sua immaterialità impalpabile, il
limpido stupore, che compare alla fine della strofa, quasi per accrescere l'atmosfera di magica
evocazione. La strofa successiva, collegata dalla congiunzione, sposta il punto di vista sull'uomo,
riprendendo alcuni elementi già introdotti nella precedente: l'effetto di luce che avevamo si precisa
nell'immagine del sole, la sensazione di stupore viene recuperata dal termine sorpresa. La poesia
adesso, sviluppa gli elementi di un'antitesi esistenziale: all'immagine dell'altezza si sostituisce quella
dell'uomo curvato, vi è un passaggio dal cielo alla terra,un rovesciamento dalla luce all'ombra. Qui
emerge la fragilità e la precarietà della condizione umana, quale si riflette nella mobile superficie
dell'acqua, elemento essenziale e simbolo della vita. I tre versi conclusivi e, anche se collegati dal
significato della strofa precedente, sono nettamente staccati dallo spazio e dall'iniziale maiuscola,
suggerendo un'idea di continuità e insieme di rottura. Questa strofa indica quindi uno stato di
sospensione tra la dolcezza protettiva, "cullata" rinvia a un motivo caro ad Ungaretti, quello
dell'infanzia, e il rischio di perdersi, "franta" riporta l'attenzione sulla precarietà. Gli spazi di cui il
poeta inserisce, servono per far riflettere il lettore, quindi, per inserire i suoi sentimenti nella poesia.
Non gridate più
Il metro: una quartina di nominali e una quartina formata
da un endecasillabo,due settenari,un novenario
Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l'impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell'erba,
lieta dove non passa l'uomo.
La poesia, scritta nell'immediato dopoguerra, è indirizzata a coloro che hanno superato la tragedia di
questi anni. Il discorso quindi, si apre qui verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro
personale al registro della storia. Gli imperativi, che il poeta usa, non hanno la funzione e la forza del
comando, ma quella di una preghiera dolente, che invita gli uomini a salvare la loro stessa umanità,
riscoprendo i valori della solidarietà e della pietà. Attraverso un uso particolare dell'ossimoro
"uccidere i morti", il poeta chiede di superare l'odio e le divisioni di parte, che ancora insanguinano la
vita politica e civile italiana. Il poeta pensa che il sacrificio dei caduti è stato veramente inutile, ma vi
è ancora la possibilità di salvare e continuare la vita, raccogliendosi in silenzio per poter ascoltare la
loro voce, "l'impercettibile sussurro". Il gridare è visto come segno di barbarie, come strazio e follia
che sembrano non avere fine. Adesso si contrappone la muta presenza dei morti, come ultimo
messaggio per salvare la dignità umana. Infatti nel verso successivo, il poeta ha già identificato la
crescita dell'erba con il sussurro impercettibile dei morti. Quel prato felice, perché non vi passa
l'uomo, ci spiega che i morti hanno già cominciato ad abbandonarci, ed è cessata ogni corrispondenza
fra noi e loro. Qui la poesia di Ungaretti richiama quella del Foscolo, per quanto riguarda
l'insegnamento dei sepolcri e dei defunti, al quale è affidata la speranza dell'immortalità.
L’ITALIA DALLA LIBERAZIONE
AGLI ANNI ‘80
L’ITALIA DALLA LIBERAZIONE
AGLI ANNI DEL CENTRISMO
Il quadro generale
Nel dopoguerra l’Italia presentava difficoltà economiche e disgregazione morale e politica.
Infatti, la produzione agricola fu quasi dimezzata, e quella industriale era nettamente diminuita. In
gravi condizioni erano anche le vie di comunicazione, e il patrimonio edilizio era danneggiato. Vi era
alta disoccupazione e, per i più poveri, anche la fame.
Gravava anche l’ulteriore spaccatura tra Nord e Sud, che avevano vissuto due esperienze diverse:
•Nel Nord, che aveva vissuto la tragica vicenda della guerra civile e la lotta di liberazione nazionale,
vi era la richiesta di radicali mutamenti istituzionali e sociali (il cosiddetto vento del Nord)
•Nel Mezzogiorno dove, nel quadro dell’occupazione alleata, si era verificata la continuità
istituzionale e amministrativa dello stato, persistevano le idee monarchiche. Data la minor
consistenza di partiti politici, che nel Nord si erano rafforzati attraverso la lotta di liberazione, le
rivendicazioni sociali si espressero attraverso le occupazioni di terre
•In Sicilia vi fu un complesso gioco d’interessi economici e politici, a fenomeni di banditismo e di
mafia.
Sul piano internazionale, l’Italia, occupava una posizione eccentrica: nonostante la cobelligeranza e
la Resistenza, era considerata dagli alleati un paese vinto, come si è visto nel trattato di pace, e alla
fine della guerra, fu sottoposta da parte degli alleati ad un ampio controllo.
Le forze politiche
I partiti presenti fin dal ’43, pur differenziandosi per ideologie e obbiettivi, avevano in comune
l’antifascismo e la volontà di dare all’Italia un ordinamento democratico. Vi erano:
•Il partito comunista (Pci), era stato trasformato in un partito nuovo, ad opera del suo leader Palmiro
Togliatti, che mirava all’ascesa del proletariato al potere, attraverso la conquista della maggioranza
nell’ambito delle rinnovate istituzioni democratiche;
•Il partito socialista (Psiup), guidato da Pietro Nenni, animato da una forte volontà di rinnovamento
civile, era però travagliato dalle lotte tra fusionisti e autonomisti, rispettivamente favorevoli o contrari
ad una stretta alleanza col partito comunista;
•La democrazia cristiana (Dc), fondata clandestinamente alla fine del 1942, guidata da Alcide De
Gasperi, erede del partito popolare di Don Sturzo, si presentava con una formazione democratica e
contraria alle lotte di classe. Godeva di un forte appoggio della chiesa;
•Il partito d’azione (Pda), erede del movimento di giustizia e libertà, vi confluivano elementi socialisti,
radicali, e democratico-liderali; rappresentava la sinistra intellettuale della borghesia;
•Il partito repubblicano (Pri), aveva posizione rigidamente antimonarchica;
•Il partito liberale (Pli), era orientato verso l’appoggio alla monarchia. Basato su una tradizione resa
illustre dai grandi nomi come quello di Giolitti;
•Nel 1946 si formò il partito monarchico particolarmente forte nell’Italia meridionale, ebbe vita
travagliata e breve.
L’Italia dal governo Parri alle elezione del 18 aprile 1948
Nel luglio ’45 i C.L.N. espressero un governo di coalizione, presieduto da Ferruccio Parri del partito
d’azione, leader della resistenza. Questo governo portò ampie e radicali riforme e l’epurazione del
personale statale compromesso dal fascismo. Dal dicembre ’45 al maggio ’47, il democristiano
Alcide De Gasperi presiedette successivi ministeri, accantonate le riforme Parri avviarono la
normalizzazione, decretando la fine delle epurazioni e la sostituzione degli organismi amministrativi
costituiti dai C.L.N. Fu firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 il trattato di pace e fu deciso il
referendum popolare per optare per uno stato monarchico o repubblicano. Ma nel maggio del 1947,
comunisti e socialisti furono estromessi dal governo: De Gasperi formò un governo monocolore, con
la partecipazione di Einaudi al bilancio e Sforza agli esteri.
L’estromissione di socialisti e comunisti dal governo fu favorita da alcune circostanze:
•La scissione del partito socialista: la guerra fredda ebbe infatti contraccolpi all’interno del partito.
Nel ’47 questo si scisse in partito socialista italiano, capeggiato da Pietro Nenni e in partito social
democratico italiano guidato da Giuseppe Saragat: il primo fusionista, il secondo autonomista.
•L’appoggio decisivo degli USA
1946-1948 vi sono grandi scelte istituzionali: la scelta repubblicana, la promulgazione della
costituzione.
Il 2 giugno 1946, infatti, segnò la scelta repubblicana, e fu proclamata ufficialmente il 18 giugno, il
presidente provvisorio fu Enrico De Nicola; e vi furono le prime elezioni del paese libero, e le
prime in cui le donne esercitavano il loro diritto di voto. Contemporaneamente si tennero l’elezioni
per l’assemblea costituente che avrebbe dovuto dare all’Italia una nuova costituzione.
Il 22 dicembre 1947 fu approvata la costituzione che entrò in vigore il 1 gennaio del 1948. Essa
enunciava i principi posti a fondamento dell’ordinamento della repubblica.
Le elezioni del 18 aprile 1948
Il 18 aprile 1948 si svolsero le elezioni per il primo Parlamento della Repubblica. Alle elezioni il partito
socialista e il partito comunista presentarono liste unitarie, formando il fronte popolare; vi fu battaglia tra
comunismo e anticomunismo. In questo clima, la Dc sfiora la maggioranza assoluta con il 48,5% dei
voti. Con queste elezioni iniziava il periodo dei governi centristi, cioè con esclusione dell'estrema sinistra
e dell’estrema destra. Alla vittoria della Dc contribuirono vari fattori:
•la paura del comunismo, che spinse l'elettorato moderato a non votare partiti minori
•l'invio da parte degli Usa di massicci aiuti e contemporaneamente la minaccia della sospensione degli
aiuti stessi se avessero vinto i comunisti
•La propaganda della Chiesa
De Gasperi invitò liberali, socialdemocratici e repubblicani ad entrare nel governo, consapevole che i
voti ottenuti non venivano soltanto dall'elettorato democristiano. La Dc appoggiò l'elezione del liberale
Einaudi a presidente della Repubblica. In questo clima di violento anticomunismo si sviluppò, nel luglio
1948, l'attentato a Togliatti, gravemente ferito da un estremista di destra. Questo provocò violenti scontri
tra gli operai i e la polizia, al limite della guerra civile. Seguì poi la rottura della Cgil in tre diversi
organismi: da Cgil, formata specialmente da comunisti, la Cisl a prevalenza democristiana, la Uil
repubblicana e socialdemocratica.
Gli anni del centrismo (1948-1962)
i risultati delle elezioni del 1948, aumentarono però all'interno il peso politico dei ceti imprenditoriali. La
ripresa della produzione pose le premesse del miracolo economico, che avvenne però in un clima di forti
tensioni sociali. Durante la seconda legislatura (1953-1958) cominciò la crisi del centrismo.
La politica internazionale: nel 1949 l'Italia entrò a far parte del patto Atlantico e della Nato; nel 1951
entrò a far parte della Ceca (comunità europea del carbone dell'acciaio); nel 1957 con la firma dei trattati
di Roma, aderiva al Mec (mercato comune europeo) e all'Euratom (comunità europea dell'energia
atomica); nel 1954 firmava con la Jugoslavia l'accordo di Londra, col quale Trieste era restituita all'Italia.
Politica economica e tensioni sociali: nel 1950 vi fu la prima importante riforma agraria dell'Italia
unita, a vantaggio soprattutto del sud, con la quale si mirava a sostituire al latifondo con adeguati
indennizzi, la piccola proprietà contadina. La cassa del mezzogiorno prevedeva un finanziamento
pubblico per lo sviluppo di infrastrutture nel sud e dell'industrializzazione; nel ‘51, la riforma Vanoni
introduceva per la prima volta l'obbligo della dichiarazione dei redditi, e nel ‘56 vi fu la creazione del
ministero delle partecipazioni statali, per coordinare le attività economiche controllate dallo Stato.
Nonostante tutto, vi furono forti tensioni sociali, infatti, i bassi salari provocarono un'ondata di scioperi,
fatti duramente reprimere dal ministro degli interni Mario Scelba.
Per salvaguardare la coalizione centrista, il governo varò una legge elettorale maggioritaria, in base alla
quale quel partito che avesse ottenuto il 50,01% dei voti, avrebbe avuto alla camera il 65% dei seggi.
Questa legge fu definita dalle sinistre "legge truffa". Ma nelle elezioni del giugno 1953 la coalizione
centrista fu sconfitta clamorosamente. Nel luglio il governo di de Gasperi non ottenne la fiducia del
Parlamento e nel 1954 de Gasperi morì.
Vi fu quindi una seconda legislatura (1953-1958), che portò novità nel quadro istituzionale, ma
soprattutto segnò l'inizio del miracolo economico. Vi furono poi mutamenti all'interno dei partiti:
•nella Dc la sconfitta di de Gasperi lascia spazio alla giovane sinistra democristiana (Moro, Taviani,
Fanfani) più attenta alla nuova realtà socio economica.
•Nel 1956 i fatti dell'Ungheria provocarono una grave crisi nelle sinistre, all'interno del Pci, Togliatti
sostenne l'idea di una maggiore autonomia da Mosca, mentre il Psi si distaccò dal Pci, e al suo interno si
cominciava discutere l'ipotesi di un'alleanza con i cattolici.
Dal 1958 al 1973 vi fu la terza legislatura, mentre si affermava decisamente il boom economico, e
l'ipotesi di un governo di sinistra apparve sempre più attendibile: Fanfani al governo nel febbraio 1962.
L’ITALIA DAL MIRACOLO ECONOMICO
AGLI ANNI ’80
Il miracolo economico realizzatosi in Italia pressapoco tra il 1958 e il 1963, portò l'Italia ad essere uno
dei paesi più industrializzati. Particolare sviluppo ebbero i settori siderurgico, meccanico, e chimico.
Vari i fattori del boom, dai bassi salari all'utilizzazione di nuove fonti di energia, come il metano, alla
stabilizzazione monetaria. L'accumulazione capitalistica e un incremento degli investimenti, portò al
miglioramento della bilancia commerciale, al progressivo assorbimento della disoccupazione, ad un
aumento del reddito nazionale e quindi all'ampliamento del mercato interno. L'Italia entrava così nella
civiltà dei consumi; si diffondevano gli elettrodomestici e tra questi la televisione, nel 1955 la Fiat
lanciava la sua "600", che divenne non solo un simbolo di benessere, ma anche un modello di sviluppo.
Nel 1963 la produzione di automobili superava il milione. Anche nel sud la riforma fondiaria del 1950
e gli investimenti pubblici da parte della cassa del mezzogiorno per infrastrutture e industrie,
contribuirono al miglioramento del tenore di vita (alcuni storici parlano per questo periodo di un
momentaneo riequilibrio tra Nord e sud).
Ma al miracolo si accompagnarono grandi problemi: la migrazione di manodopera dal mezzogiorno,
mise in luce i problemi di disadattamento di gente rimasta ai tradizionali mestieri. In più, nei luoghi che
accoglievano gli immigrati mancavano le infrastrutture. Infatti, le campagne si spopolarono
rapidamente, per riempire di manodopera le industrie e il terziario (il settore dei servizi). Le città
accrebbero in modo impressionante, con un forte incremento della popolazione, dal 25% a Milano al
43% a Torino.
Nascita del centro-sinistra
Sperimentato dal governo fanfani nel 1962, il centrosinistra divenne governo nel 1963, quando
cominciavano a manifestarsi primi segni di una recessione economica; nel dicembre di quell'anno
Aldo moro, formò infatti un governo con la partecipazione dei socialisti, accanto ai democristiani, ai
socialdemocratici e repubblicani.
Il centrosinistra trovò una forte opposizione sia da parte delle destre, sia da parte del Pci, anche se i
voti di quest'ultimo contribuirono nel ‘64 all’elezione a presidente della Repubblica di Saragat.
Il programma del centrosinistra
Mentre governi centristi si erano soprattutto preoccupati della ricostruzione e della ripresa economica,
quelli di centrosinistra puntarono a varare una serie di riforme sociali, che puntavano a un'equa
distribuzione dei beni dei servizi. Si servirono allora di una programmazione economica, una
pianificazione cioè dell'economia, che avrebbe dovuto controllare lo sviluppo, limitare lo strapotere
dei gruppi privati, incrementare la spesa sociale.
Le riforme più incisive furono quelle del biennio 62-63, negli ultimi anni del centro-sinistra,
l'allargamento dei diritti civili fu dovuto alle pressioni di correnti di opinione pubblica che presero
forza per la sfiducia che avevano nei confronti dello Stato e dei partiti. Nel 1962 vi fu la
nazionalizzazione dell'industria elettrica, con la creazione dell'Enel. Nel dicembre, sempre di
quest'anno, vi fu l'istituzione della scuola media unica obbligatoria. Nel 1968 vi fu l'istituzione delle
regioni, e nel 1970 all'approvazione dello statuto dei lavoratori, che garantiva le libertà e i diritti dei
lavoratori, ostacolando licenziamenti e aumentando il peso dell'organizzazione dei lavoratori stessi, e
la riforma del sistema pensionistico. Sempre nel ‘70 si introdusse la legge fortuna-Baslini (fortemente
ostacolata dalla Dc), relativa al divorzio. La discussione a proposito, rimase aperta per anni, e nel
1974 fu indetto un referendum abrogativo sul divorzio (promosso dai cattolici), ma il 60% degli
italiani votò contro l'abrogazione. Nel ‘75 invece, vi fu la riforma del diritto di famiglia, che dava
parità giuridica e ai coniugi, e l'abbassamento della maggiore età a diciott'anni.
I problemi del paese negli anni del centro-sinistra
In questi anni il paese si trovò ad affrontare gravissimi problemi, e gli anni ‘70 furono caratterizzati
da una grave instabilità politica: per ben tre volte dal 1972, si fece ricorso alle elezioni anticipate; nel
decennio si susseguirono 13 governi. Questi problemi consistevano ne:
•La radicalizzazione dello scontro sociale: contestazione giovanile e "autunno caldo";
•Gli attentati alle istituzioni: da parte del terrorismo, e nell'estate del ‘70 da rivolta di Reggio Calabria
alimentata dall'aspirazione della città ad essere capoluogo della regione;
•La difficile situazione economica: forte inflazione, dovuta in parte, dal 1973, all'aumento del prezzo
del petrolio, in parte all'aumento del costo del lavoro, in parte ancora ai vincoli burocratici che
intrecciavano il sorgere di nuove industrie;
•Scandali politico-finanziari, come ad esempio quelli delle tangenti destinate a finanziare partiti, e
pratica della lottizzazione, cioè della spartizione della gestione delle aziende di Stato tra i partiti.
La fine del centro-sinistra
Il referendum abrogativo del divorzio aumentò i contrasti tra Dc e Psi, tanto che quest'ultimo nel
dicembre del 1975 interruppe la sua collaborazione con i partiti del centro. Era così segnata la fine
del centro-sinistra. Il centrosinistra, travagliato fin dall'inizio, non tenne fede alla promessa
programmazione economica, si mostrò inadeguato ad affrontare i gravi problemi, dal ‘68 all'autunno
caldo del ‘69, al terrorismo degli anni ‘70, ma rappresentava tuttavia un tentativo di sbloccare una
situazione di immobilismo politico.
La fine degli anni 70: l'assassinio di Moro e il governo di solidarietà nazionale
Nel 1973 il nuovo segretario del Pci, Enrico Berlinguer, lancia la strategia del "compromesso storico",
volta a superare la situazione, e come immediato obiettivo, vi era sconfiggere il terrorismo. Nel 1976
vi furono le elezioni, e si formò un governo della Dc presieduto da Andreotti, che ottenne in
Parlamento il sostegno indiretto del Pci. Nel marzo 1978 si formò un nuovo governo di Andreotti con
l'appoggio, questa volta diretto, del Pci, detto "di solidarietà nazionale", e sembrava essere una grande
coalizione Dc-Pci.
Il 16 marzo, Aldo Moro viene rapito dalle brigate rosse e assassinato due mesi dopo: era la vendetta
delle forze estremiste contro colui che aveva avviato il compromesso storico.
Dopo la morte di Moro i governi di solidarietà nazionale varano alcune riforme, tra cui la riforma
sanitaria, che stabiliva la gratuità delle cure mediche per tutti, e istituiva le unità sanitarie locali (Usl);
poi la legge sull'equo canone. Ma ambedue le riforme, alimentando le lotte tra i partiti. Nel 1978 fu
legalizzato l'aborto, nonostante la forte opposizione della Dc.
Emersero poi i gravi scandali: il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, per episodi di
corruzione fu costretto alle dimissioni nel ‘78 e sostituito da Sandro Pertini. Alla fine degli anni ‘70 la
situazione interna del paese era dunque gravissima, tuttavia, nonostante le bombe, le tragedie e il
malcostume politico, le istituzioni democratiche avevano retto e questo segnò per il terrorismo l'inizio
della fine.
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