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San Valentino a Novara vuol dire… Bohème
Giuseppe Acquaviva dirige l’opera pucciniana al Coccia in una produzione con il Regio di
Torino"
Paola De Ambrosis Vigna
Domenica 12 febbraio è andata in scena al Teatro Coccia di Novara la seconda delle tre recite
previste per Bohème, la celeberrima opera pucciniana rappresentata per la prima volta il 1°
febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino, sotto la direzione del ventinovenne Arturo
Toscanini.
Una curiosità, a questo proposito: l’allestimento di questa Bohème novarese è una rivisitazione
della storica scenografia del 1984 a cura di Eugenio Guglielminetti al Nuovo Teatro Regio di
Torino, per il decimo anniversario dell’inaugurazione.
Opera in quattro quadri su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, Bohème è tratta dal
volume Scènes de la via de Bohème di Henri Murger, del 1851. La vicenda si svolge, come ben
noto, a Parigi intorno al 1830.
Gli ambienti ricreati al Coccia sono luoghi modesti, con la giusta misura di quei particolari
indispensabili a ricreare l’atmosfera in cui vivono i personaggi: intellettuali che, pur in uno stato
di profonda indigenza, fanno dell’amicizia un valore incommensurabile.
Questo forte legame traspare dallo spaccato del primo quadro dell’opera, quando i quattro
amici, Rodolfo, Marcello, Colline e Schaunard fanno comunella per evitare a Marcello il
pagamento dell’affitto al creditore Benoît. Le voci dei quattro compagni incalzano quella del
vecchio padrone di casa e la strategia riesce alla perfezione in una resa che regala molti sorrisi
agli spettatori. Colline e Schaunard, in particolare, spiccano tra le altre voci, per capacità
espressiva e timbro caratteristico. I rispettivi interpreti, Mastroni e Vultaggio conquistano
subito la simpatia del pubblico in sala per doti mimiche e abilità vocale.
Centrale è però l’incontro tra Rodolfo e Mimì, uno dei momenti più romantici e celebri
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-02-15/6753-san-valentino-a-novara-vuol-dire-boheme
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dell’opera. Perfetto lo specchiarsi del timbro di Elena Rossi nelle note di Niels Jørgen
Riis, rispettivamente nelle arie “Mi chiamano Mimì” e “Che gelida manina”, ed infine il culmine si
ha con l’esclamazione della commossa Mimì “Ah! Tu sol comandi, amore!”, delicatamente
accompagnata dalle note di Rodolfo. Nell’armonia delle due voci già si esprime il profondo
sentimento d’amore che lega i due personaggi.
Con una rapida cesura dall’idillio del primo quadro, il secondo si apre con l’allegra e colorata
scena del mercato nel Quartiere Latino. Uno spaccato divertente, ricco di tante minuzie
rappresentative di un mondo povero, umile, ma pieno di vita. Tante distinte scenette prendono
forma sulla scena, contemporaneamente alla vicenda principale, proprio come avviene nella
realtà. Il mondo non si ferma mentre i protagonisti vivono le loro avventure, sembra essere
l’implicito messaggio. E anzi la vita continua, irrompe prendendo di tanto in tanto il
sopravvento. Come quando entra in scena il venditore di giocattoli Parpignol, preso d’assalto
dalla folla di bambine e ragazzi, interpretati dai bravi e simpatici piccoli cantori del coro di
voci bianche “Mario Langhi”. Scenette divertenti, come la buffa lotta che coinvolge il grande e
alto Colline e un piccolo monello alla ricerca di qualche soldo, e ancora, risa, scherzi, salti e
danze animano la piccola piazzetta dinanzi al Café Momus. Ma sono infine sempre le varie
forme in cui si esprime l’amore a portare avanti le vicende narrate in Bohème. Appena entrata in
scena, Musetta, giovane bella e capricciosa tanto amata da Marcello, mette in atto una
“commedia stupenda”. L’esecuzione di “Quando me n’ vo” della spumeggiante Maya Dashuk è
magistrale, sia per la vocalità dell’interprete, sia per il suo generoso uso della gestualità nella
resa di una Musetta che cattura lo spettatore. Dai gesti di stizza e dai precisi accenti e acuti
della sua voce emerge perfettamente la caratterizzazione psicologica del personaggio, con tutto
il suo orgoglio, impetuosità e passionalità.
Puccini ha così proposto un intreccio e un confronto inevitabile tra i temi musicali in cui si
esprime l’idillio tra Mimì e Rodolfo, e i concitati dialoghi, il bisbetico stuzzicarsi delle
parti di Marcello e Musetta. Questo concetto è ben reso dagli interpreti: le coppie Jørgen
Riis - Rossi e Balzani - Dashuk funzionano molto bene, soprattutto nella concertazione dei
timbri degli interpreti. Le voci dei due soprani sono tra loro simili, ma le interpreti sanno
all’occorrenza fare saggio uso della propria vocalità per caratterizzare diversamente le due ben
diverse psicologie.
Belli i costumi, a cura di Laura Viglioni, che mettono in luce il carattere folkloristico della
cornice del mercato e ne esprimono magistralmente la gioia di vivere. Alla luce di tutto ciò fa
profondo contrasto con i primi due atti lo scenario in cui si apre il terzo quadro: sotto la fredda
neve invernale. Essa è suggestiva così come il grigio paesaggio cittadino: degradato, ma nel
contempo accogliente ed invitante. È l’emblema del peggiorare delle condizioni di salute
di Mimì, in un atto nel quale le parti orchestrali stesse fanno presagire il triste destino che
attende la giovane fioraia. Commovente il terzetto Rodolfo - Marcello - Mimì, quando Rodolfo
confessa all’amico la sua preoccupazione per la salute dell’amata. Ritorna qui il tema musicale
presente nel primo quadro in “Mi chiamano Mimì”, ma questa volta è un canto d’addio, quello
di “Donde lieta”. Bellissimo ma altrettanto struggente. Rossi, in un dialogo stretto con
l’orchestra, fornisce prova di grande sensibilità. Un dolcissimo “addio senza rancor”, che
raccoglie gli applausi a scena aperta. Un congedo che però i due amanti decidono di
ritardare alla primavera; le sofferenze, i timori, le gelosie e i sospetti sono superati in virtù della
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potenza dell’amore. Ma la vicenda non si conclude nel giubilo delle danze del secondo atto,
che timidamente sono accennate ad inizio di quest’ultimo quadro da Schaunard e compagni,
bensì nella desolazione e nello sconforto che sono ben condensati da Mastroni nella romanza
di Colline “Vecchia zimarra”, in una delle ultime scene del dramma, e nell’accorata preghiera di
Musetta “Madonna Benedetta”, nel finale.
Un piacevole spettacolo, cui hanno assistito giovani e meno, famiglie con bambini e coppie, in
un teatro come il Coccia che ha in calendario per quest’anno anche Carmen di Bizet a fine
marzo e La Cecchina ossia la buona figliola di Piccinni a metà aprile, avendo già ospitato nei
passati mesi Cenerentola di Rossini e un altro capolavoro pucciniano, Madama Butterfly.
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