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'Il Matrimonio Segreto' secondo Goldstein-Castoldi
Grande successo al Coccia di Novara per la prima volta di Morgan alla regia di un’opera.
Direttore il M° Carlo Goldstein"
Paola De Ambrosis Vigna
Il motivo che fa da preludio a Il Matrimonio Segreto è una di quelle sinfonie della tradizione
operistica che custodiscono al loro interno un perfetto condensato del capolavoro che vanno a
incominciare. Un componimento che riassume in sé le burle, i giochi, i colpi di scena, le illusioni
e i conflitti che i cantanti sapranno sviluppare in scena.
Ma qui non si tratta solo di onorare l’innegabile dono che ci ha consegnato
Domenico Cimarosa. L’allestimento dello spettacolo presentato il 5 ottobre al Teatro Coccia di
Novara ha visto protagonisti personaggi d’eccezione del panorama artistico italiano, primo fra
tutti l’eclettico Marco Castoldi, in arte Morgan, alla sua prima regia operistica. Il suo incontro
con la bacchetta del M° Carlo Goldstein ha dato vita a 180 minuti che hanno valorizzato non
solo la musica, diretta con personalità da Goldstein, ma anche le parole e i gesti degli
interpreti, nel pieno solco della tradizione dell’opera buffa.
L’opera si apre in medias res, con Carolina e Paolino già segretamente sposati, all’insaputa del
resto della famiglia. L’intimità dei due è ben sintetizzata nel bel duetto che vede protagonisti in
scena Stefania Bonfadelli ed Edgardo Rocha nel duetto “Se amor si gode in pace” e nel
successivo “Io ti lascio perché uniti” – “Vanne, Sì, non è prudenza”.
Il palcoscenico è un mondo di segreti, intrighi, cospirazioni, incomprensioni; ora causate dal non
detto, ora dalla sordità del buon Geronimo, ora da semplici fraintesi. Morgan ha costruito un
mondo che è l’unione tra elementi settecenteschi e un ben più moderno look punk. L’effetto
ottenuto è vincente e diverte. A dominare sono diverse tonalità di grigio, intervallate dai colori
sgargianti e fosforescenti delle parrucche e di altri accessori minori indossati dai personaggi. La
profondità dello spazio scenico è suddivisa in sezioni delimitate da pannelli semitrasparenti
disposti a creare delle finte quinte: un meta-teatro. Lungo lo scorrere della narrazione sono
proiettate su questi pannelli alcune frasi estratte dal libretto, termini e concetti che
accompagnano lo spettatore nell’opera, per arrivare a evidenziare l’importanza dei sentimenti,
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-10-16/9836-il-matrimonio-segreto-secondo-goldstein-castoldi
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e dell’amore in particolare, su ogni capriccio.
E’ forse questo un principio valido sempre? Non sta a noi stabilire ciò in modo assoluto e,
oltretutto, un artista può esprimersi nel suo lavoro, senza troppo timore di essere giudicato, sia
che si condivida il suo messaggio sia che non lo si faccia. Morgan scrive, “L’amore vince su
tutto, ci assiste nelle difficoltà, è motore del meccanismo vitalissimo di quest’opera”,
sottolineando l’elemento umanistico del componimento. E con ciò intende esprimere la validità
di questo valore oggi, come un tempo. Proprio così si spiega la scelta di costruire una scena
pressoché in bianco e nero, assoluta, cioè indipendente da spazio e tempo. Le connotazioni
dei personaggi sono affidate a pochi particolari distintivi, che sembrano più vezzi puramente
estetici (parrucche e foulard dalle tonalità originali). A sottolineare ciò, il particolare metateatrale delle quinte in scena. In secondo piano rispetto alle vicende dei sei protagonisti, si
avvicendano, infatti, le scenette mimate dei servitori. Vestiti di nero, essi sono una sorta di
doppio dei personaggi principali. Una dimensione più nascosta, ma altrettanto reale, un
inconscio che vuole emergere dal libretto. Si muovono come ombre che imitano le azioni
compiute in scena, indossando indumenti o oggetti identificativi dei protagonisti.
Lo stesso Morgan, nella terza scena del II atto, prende parte alla recita presentandosi come
una sorta di voce interna che incoraggia Fidalma a dichiarare il suo amore a Paolino. Un
continuo tentativo di dialogare con l’interiorità di ognuno, condito con una buona dose di
ironia e colpi di scena.
Lungo tutto lo svolgimento dell’opera rimane in proscenio una poltrona vuota sulla quale può
trovare posto Domenico Cimarosa, nell’immaginario di Morgan. Altre sei poltrone – pari al
numero dei personaggi in scena – si susseguono sul palco, ognuna con un colore diverso. Esse
offrono appoggio ai protagonisti nei momenti più intimi, come quello che vede protagoniste
Fidalma e Carolina, quando la prima confessa alla nipote il proprio interesse per Paolino in “E’
vero che in casa”. Molto bella quest’aria nell’interpretazione offerta dal mezzosoprano Irene
Molinari. Stretta in un tailleur tartan, chioma rosa, la sua Fidalma è stata una convincente
interpretazione della ricca e naïve vedova quarantenne, desiderosa di ritrovare l’amore. Un
ottimo stereotipo per intrattenere il pubblico con ironia.
E ci sono altri clichè affrontati in modo divertente in quest’opera. Ad esempio, il conflitto tra la
sorella maggiore Elisetta e la secondogenita Carolina. Oppure la smania di scalata sociale di un
ricco borghese, che intende sposare le due figlie con giovani di sangue nobile; o, ancora, quello
già citato dell’amore contrastato, tra il povero garzone Paolino e Carolina, la figlia del padrone.
Un confluire di motivi che sono stati messi in risalto dalle doti vocali degli interpreti, come le già
citate Stefania Bonfadelli e Irene Molinari, o il simpatico basso Bruno Pratico’. Anche l’Elisetta di
Maria Costanza Nocentini è stata apprezzata, così come il tenore Rocha, nei panni di Paolino e
il Conte Robinson del basso Filippo Fontana.
La riuscita di questo spettacolo si deve certamente all’eredità lasciata da Cimarosa, ma anche
ad un’originale ed efficace concertazione dei molteplici e complessi aspetti di cui si
compone il suo lavoro. Un’ottima carica è poi stata quella data dal pubblico presente in sala,
che si è divertito e ha applaudito calorosamente e in più momenti, anche a scena aperta.
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