Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Il Mulino, 2009
Capitolo I. Natura ed evoluzione della scienza politica
Natura ed evoluzione
della scienza politica
• La scienza politica nella storia
• Gli oggetti di studio della scienza politica
• L’analisi sistemica della politica
• Il comportamentismo
• I difetti della scienza politica
• Gli approdi contemporanei della disciplina
• Filosofia e scienza politica
• L’utilità del sapere politologico
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Capitolo I. Natura ed evoluzione della scienza politica
La scienza politica vanta al tempo stesso
RADICI PROFONDE in un lontano passato e
ORIGINI RECENTI
Le sue riflessioni hanno accompagnato tutte le fasi
di sviluppo dell’esperienza di organizzazione del
mondo occidentale in comunità e collettività, dalle
città-Stato greche ai processi di unificazione
sovranazionale e di globalizzazione.
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Gli oggetti di studio della scienza politica
All’inizio, l’oggetto qualificante della
scienza politica fu individuato nel
POTERE
Le modalità di acquisizione e di utilizzazione
del potere, la sua concentrazione e la sua
distribuzione, la sua origine e la legittimità
del suo esercizio sono state al centro di ogni
analisi politica da Aristotele a Machiavelli
e Hobbes, da Max Weber ai politologi
contemporanei (Lasswell, Kaplan, Barry)
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In seguito, l’oggetto di studio
nell’analisi politica è diventato lo
STATO, un fenomeno meno pervasivo
ed esteso rispetto al potere
Gli studi politici sullo Stato si sono
essenzialmente concentrati sulla
creazione di uno stato pluralista (Locke),
democratico (Toqueville e i Federalisti
statunitensi), forte (Hegel e gli storicisti
tedeschi), capace di assicurare un
compromesso tra le classi sociali
(Kelsen) oppure in grado di decidere in
situazioni di emergenza (Schmitt)
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Una volta consolidatesi le formazioni
statuali, gli studiosi continentali
rivolsero la loro attenzione alle
ELITES
In particolare, studiosi come Mosca,
Pareto e Michels si sono concentrati
sull’analisi delle modalità di
formazione, ricambio e sostituzione
delle classi dirigenti. Questi studi
rappresentano gli ultimi contributi
classici e prescientifici per ciò che
riguarda l’analisi della politica.
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Infine, nel tentativo di definire un oggetto dell’analisi politica che non
fosse né eccessivamente generico (come il potere) né
inopportunamente riduttivo e contingente (come lo Stato e le sue
élites), la scienza politica ha individuato il proprio, principale oggetto
di studio nel
SISTEMA POLITICO.
David Easton (1965) definisce il sistema politico come
«un sistema di interazioni, astratte dalla totalità dei
comportamenti sociali, attraverso le quali i valori
vengono assegnati in modo imperativo per una società».
La SCIENZA POLITICA diviene, perciò, LO STUDIO DELLE MODALITÀ,
COMPLESSE E MUTEVOLI, CON LE QUALI I DIVERSI SISTEMI POLITICI
PROCEDONO ALL’ASSEGNAZIONE IMPERATIVA DEI VALORI.
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L’analisi sistemica della politica
L’analisi sistemica si fonda su un modello
che vede:
•
•
INPUTS: domande e sostegni
provenienti dalla società
OUTPUTS: risposte e decisioni, che
possono avere effetti sulle nuove
domande attraverso un complesso
processo di conversione, che avviene
all’interno del sistema politico
Easton afferma che ogni sistema politico ha 3 componenti:
1.
la COMUNITÀ POLITICA, composta da tutti coloro che sono esposti alle
procedure, alle norme, alle regole, alle istituzioni del sistema politico;
2.
le AUTORITÀ, i detentori del potere politico, coloro che sono autorizzati
dalle procedure, dalle norme, dalle regole e dalle istituzioni del regime a
produrre assegnazioni imperative di valori;
3.
il REGIME, composto da:
- princìpi (norme, regole, procedure, valori, la Costituzione)
- rendimento (l’attività effettuata nell’ambito e nei limiti dei princìpi)
- istituzioni (strutture di rappresentanza, di governo, di amministrazione)
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Secondo Easton, l’analisi della politica può
approssimarsi a essere “scienza”, dotandosi di
metodi e tecniche scientifiche, attraverso
l’introduzione nella disciplina del
COMPORTAMENTISMO
Il comportamentismo (behavioralism), nato e sviluppatosi in
psicologia, si caratterizza per:
• l’accento che pone sulla necessita di osservare e
analizzare i comportamenti concreti degli attori politici
(individui, gruppi, movimenti, organizzazioni);
• l’utilizzo e l’elaborazione di tecniche specifiche di analisi
(interviste, sondaggi d’opinione, analisi del contenuto,
simulazioni, quantificazioni ecc.)
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Nell’ottica comportamentista, secondo Easton, la scienza politica deve tenere
presente e cercare di conseguire i seguenti obiettivi:
•
rilevare regolarità nei comportamenti politici che si prestino a essere
espresse in generalizzazioni o teorie esplicative e predittive;
•
sottoporre queste teorie a verifica;
•
elaborare rigorose tecniche di osservazione, raccolta, registrazione e
interpretazione dei dati;
•
procedere alla quantificazione, cioè alla “misurazione” dei fenomeni
politici, per ottenere una maggiore precisione analitica;
•
tenere distinti i valori dai fatti;
•
procedere a una sistematizzazione delle conoscenze acquisite e a una
maggiore interconnessione fra teoria e ricerca;
•
mirare alla scienza pura, poiché la comprensione e l’interpretazione del
comportamento politico precedono l’applicazione;
•
integrarsi maggiormente con le altre scienze sociali.
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I DIFETTI DELLA SCIENZA POLITICA
In una sintetica ricostruzione degli studi politologici alla fine degli anni
’50, Almond e Powell (1978) rimproverano alla scienza politica,
in particolare a quella statunitense, 3 difetti fondamentali:
1)
il PROVINCIALISMO: la tendenza a concentrarsi essenzialmente
su pochi sistemi dell’area europea e occidentale, sulle grandi
democrazie e sull’Unione Sovietica;
2)
il DESCRITTIVISMO: la tendenza a limitarsi a descrivere le
caratteristiche dei sistemi politici analizzati, senza nessuna
preoccupazione teorica e senza nessuna ambizione di elaborare
ipotesi e generalizzazioni;
3)
il FORMALISMO: indica una eccessiva attenzione alle variabili
formali, alle istituzioni, alle norme e alla procedure, e una parallela
disattenzione per il funzionamento reale dei sistemi politici.
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Gli approdi contemporanei della disciplina
Nel corso degli ultimi anni, si è instaurato una sorta di duello
fra 2 prospettive che, se non esclusive, appaiono
dominanti:
1.
il NEO-ISTITUZIONALISMO, nelle sue due varianti
(storica e sociologica) ha “riscoperto” il ruolo delle
istituzioni, non soltanto formali, ma come comportamenti
ritualizzati, come costrizioni e come aspettative di ruolo;
2.
la TEORIA DELLA SCELTA RAZIONALE, pone l’accento
sui comportamenti, sui calcoli e sulle aspettative degli
attori politici individuali.
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Rapporto tra FILOSOFIA POLITICA e SCIENZA POLITICA
(Bobbio, 1971)
La tradizione di pensiero della filosofia politica contiene
almeno 4 componenti significative:
1. ricerca della miglior forma di governo;
2. ricerca del fondamento dello Stato;
3. ricerca della natura della politica;
4. analisi del linguaggio politico e metodologia della
scienza politica.
Solamente quest’ultima componente soddisfa le
3 CONDIZIONI che Bobbio ritiene fondamentali
per fondare una scienza politica empirica:
1. l’AVALUTATIVITÀ dello scienziato e delle sue ricerche;
2. il PRINCIPIO DELLA VERIFICA EMPIRICA come criterio di validità;
3. la SPIEGAZIONE come scopo principale della ricerca scientifica.
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L’utilità della scienza politica
La scienza politica contemporanea ha saputo documentare
convincentemente l’importanza cruciale delle variabili politiche
nelle collettività organizzate.
Anche per questa ragione, è possibile affermare che la scienza
politica è OPERATIVA: chi si impadronisce delle sue competenze
e del suo sapere è in grado di applicarle efficacemente ovvero,
quantomeno, di segnalare a ragion veduta le conseguenze di
determinati interventi.
In conclusione, il sapere politologico va considerato come
un sapere effettivamente, concretamente, efficacemente
APPLICABILE.
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