Pasquino, Nuovo corso di scienza politica, Il Mulino, 2009
Capitolo IX. Le politiche pubbliche
Le politiche pubbliche
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Definizioni di politiche pubbliche
Politiche pubbliche e sistema politico
I modelli di produzione delle politiche
Le fasi di produzione delle politiche
I modelli di attuazione
I criteri di valutazione
Gli schemi decisionali
Tipologia di politiche pubbliche
Do Policies Determine Politics?
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Definizioni di politiche pubbliche
Secondo Anderson (1990), le politiche sono pubbliche quando
sono prodotte dalle autorità di governo intese in senso lato.
Secondo Mény e Thoenig (1989), «una politica pubblica è il
prodotto dell’attività di un’autorità provvista di potere pubblico
e di legittimità istituzionale».
Secondo Lowi (1999), una politica pubblica è il prodotto
dell’intervento di autorità pubbliche.
Tuttavia va evidenziato che non sono mai né i politici né i governanti a
produrre da soli le politiche pubbliche, che sono, piuttosto, il prodotto di
composite aggregazioni di attori (individui, istituzioni, gruppi,
associazioni ecc.).
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Politiche pubbliche e sistema politico
Gli studi sulle politiche pubbliche possono essere affrontati facendo ricorso
all’analisi sistemica della politica, così come esposta da David Easton.
Gli INPUTS, cioè le domande, le preferenze, i bisogni, i sostegni dei cittadini
vengono immessi dai cittadini, dai gruppi, dalle associazioni, dalle
organizzazioni nella “scatola nera” che, a sua volta, può creare nuovi input al
suo interno (definiti in questo caso: WITHINPUTS). La scatola nera provvede
alla conversione delle domande in OUTPUTS, le cui conseguenze inviano dei
FEEDBACKS alla comunità politica e alle sua autorità.
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La letteratura politologica ha individuato 6 principali modelli, per
nulla esclusivi e singolarmente esaustivi, del processo di produzione
delle politiche pubbliche:
1. il governo di partito (party government);
2. il neo-corporativismo;
3. i triangoli di ferro;
4. le reti tematiche;
5. le comunità politiche;
6. la comitatologia.
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Il party government
Il ruolo dei decisori delle politiche pubbliche viene
attribuito, in tutto o in larghissima parte, ad attori
di appartenenza, di estrazione o di nomina partitica,
che sono responsabili nei confronti dei dirigenti dei
partiti, da loro controllabili e, di conseguenza, da
loro sostituibili.
La partiticità di un modello decisionale non
dipende dal numero dei partiti rilevanti nel sistema
politico, bensì dal rapporto fra il sistema dei
partiti, la sfera sociale e la sfera economica.
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Il neo-corporativismo
I gruppi che contano davvero nel processo di produzione
delle politiche pubbliche sono soltanto 3:
 i governi e i loro apparati esecutivi;
 le organizzazioni sindacali;
 le associazioni imprenditoriali.
Sono gruppi bene organizzati, dotati di notevole
stabilità nel corso del tempo e di risorse ragguardevoli,
relativamente equilibrate, che possono permettersi di
raggiungere ACCORDI o concertare decisioni comuni di
grande respiro e, soprattutto, di rispettarli.
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I triangoli di ferro
Il riferimento al triangolo si giustifica con l’individuazione
di 3 aggregazioni principali di attori nel processo
di produzione delle politiche pubbliche più rilevanti:
 i gruppi di interesse;
 le agenzie burocratico-amministrative;
 le commissioni parlamentari.
Questo modello di produzione delle politiche pubbliche mira a evidenziare
la solidità del rapporto che si stabilisce e si mantiene tra le tre
aggregazioni di attori. Questi triangoli di ferro possono essere alquanto
numerosi, diffusi e sparsi nello stesso sistema politico. Ogni attore
contribuisce alla funzionalità del triangolo in termini di decisioni, di
risorse, di voti e di affidabilità nell’attuazione, favorendo, di conseguenza,
la sua efficacia e la sua durata.
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Le reti tematiche
Differisce dai triangoli di ferro perché è:
- molto meno strutturato;
- più aperto a una molteplicità di partecipanti;
- si basa su interazioni episodiche e occasionali.
In generale, le reti tematiche danno vita alla produzione di politiche
pubbliche instabili e mutevoli, sostanzialmente non predeterminabili
e non controllabili. Secondo molti autori, questo modello
interpreterebbe al meglio il processo decisionale statunitense,
almeno a livello federale.
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Le comunità di politiche (policy communities)
Gli attori che partecipano alla produzione di una politica pubblica
sono alquanto numerosi, ma per lo più gli stessi. Le comunità di
politiche si costituiscono attraverso i contatti continuativi tra:
- politici;
- burocrati;
- rappresentanti dei gruppi di interesse;
- esperti.
La continuità di rapporti tra questi attori garantisce alcuni dei
vantaggi derivanti dalla conoscenza personale e dalla possibilità di
strutturare un processo decisionale di soddisfazione reciproca,
dove eventuali perdite sul piano di una politica pubblica possono
essere compensate sul piano di un’altra politica pubblica.
Secondo alcuni studiosi, l’immagine delle policy communities rappresenta
meglio di qualsiasi altra (compreso il modello del governo di partito) il
processo di formazione delle politiche pubbliche in Italia.
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Le comitologia/comitatologia
Questo modello di formazione delle politiche pubbliche viene spesso
utilizzato per spiegare la produzione delle politiche dell’Unione Europea.
Prevede la partecipazione molto elevata di una pluralità di attori in
contesti mutevoli (“comitati” internazionali, sovranazionali o crossnazionali), con problemi che variano da una importanza minima a una
importanza massima.
La sovrapposizione, spesso difficile da decifrare, di compiti e di attori si
traduce spesso in politiche pubbliche che vengono criticate non solo e non tanto
per i loro contenuti, quanto, piuttosto, per l’opacità del procedimento che le
ha condotte all’approvazione. Il “deficit democratico”, che secondo alcuni
autori caratterizza il funzionamento dell’Unione Europea, è quindi attribuibile
anche al sistema di comitati che opera al suo interno.
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Le fasi della produzione delle politiche pubbliche
Una politica pubblica non è sempre una risposta
delle autorità pubbliche a una domanda sociale:
ANTICIPAZIONE
AUTOPRODUZIONE
Talvolta una politica pubblica
costituisce un tentativo anticipato di
disinnescare eventuali domande
sociali, destinate a presentarsi più
pericolosamente nel prossimo futuro.
A volte una politica pubblica è la
conseguenza delle interazioni fra una
pluralità di attori che prendono parte agli
scambi. La politica pubblica risponde così
a una logica autoreferenziale.
Non sempre quando c’è una politica pubblica c’è un problema da affrontare;
specularmente, non sempre quando c’è un problema c’è una politica
pubblica per risolverlo.
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Per Harold Lasswell (1975) le risposte in termini di produzione di
una politica pubblica si dispiegano attraverso 7 fasi distinte:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
INFORMAZIONE, caratterizzata dalla raccolta di notizie, dalla
previsione, dalla pianificazione;
INIZIATIVA, caratterizzata dalla promozione di politiche
alternative;
PRESCRIZIONE, caratterizzata dall’emanazione di regole generali;
INVOCAZIONE, caratterizzata da qualificazioni provvisorie della
condotta sulla base delle prescrizioni, includendo anche le richieste di
applicazione;
APPLICAZIONE, caratterizzata dalla qualificazione finale della
condotta sulla base delle prescrizioni;
VALUTAZIONE, caratterizzata dalla stima della riuscita o del
fallimento delle decisioni;
CESSAZIONE, caratterizzata dall’estinzione delle prescrizioni e degli
istituti entrati a far parte dell’ordinamento delle regole.
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I MODELLI DI ATTUAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLCIHE
Per quel che riguarda l’attuazione, ovvero la messa
in opera di una politica pubblica, nella letteratura
scientifica si riconoscono 2 diversi modelli:
TOP DOWN
BOTTOM UP
Il processo di attuazione di una politica
pubblica procede quasi linearmente dal
vertice politico e burocratico che l’ha
formulata e approvata alla base, cioè a
coloro che sono incaricati di attuarla
concretamente, di tradurla in
comportamenti effettivi e sanzioni
efficaci.
Secondo questa prospettiva, gli
importanti e spesso decisivi dettagli
operativi dell’attuazione di una politica
pubblica vengono definiti, selezionati e
tradotti in pratiche specifiche soprattutto
dagli “operatori” che agiscono a diretto
contatto con i fruitori delle politiche
publiche (street level bureaucrats)
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I CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE
La linea divisoria fra gli outputs (i prodotti) e gli outcomes (gli esiti)
di una politica pubblica è talvolta molto sfumata.
In pratica, la valutazione di una politica può essere effettuata sia in
termini di outputs, vale a dire ciò che davvero è emerso alla fine di
un procedimento iniziato con la formulazione della politica pubblica
e culminato nella sua messa in opera, sia in termini di outcomes,
vale a dire ciò che ha davvero fatto seguito alla messa in opera di
quella specifica politica pubblica.
Esistono 2 principali criteri per valutare una
politica pubblica:
EFFICACIA
EFFICIENZA
Si riferisce alla capacità di una
politica di conseguire gli
obiettivi prefissati.
Consiste nel conseguimento degli
obiettivi prefissati al minor costo
possibile.
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Gli schemi decisionali
Qualsiasi politica pubblica deriva dall’attività di una autorità
pubblica dotata della legittimità e del potere di scegliere e di
decidere.
A tal proposito, gli studiosi si sono interrogati sulle modalità
con le quali le autorità pervengono alle scelte e alle decisioni.
Tra queste, i 4 schemi decisionali più rilevanti sono:
1. LA RAZIONALITÀ SINOTTICA;
2. LA RAZIONALITÀ LIMITATA;
3. L’INCREMENTALISMO SCONNESSO;
4. IL CASSONETTO DELLA SPAZZATURA.
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LA RAZIONALITÀ SINOTTICA
Prevede che il decisore (persona singola, comitato o gruppo più
ampio) raccolga tutte le informazioni e i dati necessari, si
impadronisca di tutte le variabili che influenzano la messa
in opera di una politica pubblica, le immagazzini, prenda in
esame tutte le conseguenze possibili e, infine, scelga con
precisione e determinazione una politica pubblica rispetto a
un’altra.
La razionalità sinottica era il modello che giustificava la
pianificazione centralizzata e dall’alto, alla quale presiedettero
tecnocrati e politici intellettuali. Fu maggiormente sviluppata in
Urss ma, come modello decisionale di grandi imprese e di ministeri,
si è diffusa anche negli Stati Uniti.
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LA RAZIONALITÀ LIMITATA (Simon, 1947)
Il decisore non si preoccupa più di prendere in esame tutte le
alternative, di controllare tutte le variabili, di soppesare tutte le
conseguenze possibili, non mira alla massimizzazione dei dati
e delle informazioni disponibili.
Il decisore si limita consapevolmente alla soddisfazione di alcune
esigenze, definite in maniera più realistica, come la raccolta e la
valutazione di un numero da lui ritenuto adeguato di dati,
informazioni, variabili, alternative, problematiche e, anche, di
conseguenze.
Giunto a un certo punto nella raccolta di informazioni, il decisore,
singolo o collettivo, si arresta perché ritiene, per svariate ragioni
(tempi, costi, difficoltà), di essere in grado di scegliere e decidere.
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L’INCREMENTALISMO SCONNESSO (Lindblom, 1965)
Questo modello, interpretato come un’alternativa critica allo
schema della razionalità, sostiene che i processi decisionali e di
produzione delle politiche pubbliche procedono, non in maniera
razionalmente controllata e controllabile, ma per tentativi (trial
and error), attraverso accordi e scambi, “crescendo” su
decisioni già prese, revisionandole e modificandole.
L’esito dei processi decisionali effettuati attraverso l’incrementalismo,
ovvero attraverso aggiustamenti particolaristici reciproci, non
dipende da nessuna razionalità formale, ma da rapporti di forza, da
relazioni di scambio, da processi di apprendimento, dalla
costante concorrenza fra i vari attori che caratterizza in special modo
i regimi democratici.
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IL CASSONETTO DELLA SPAZZATURA (March e Olsen, 1976)
Nella prospettiva di March e Olsen, la maggior parte dei
processi decisionali e, quindi, delle politiche pubbliche,
è caratterizzata da insopprimibile complessità.
Eppure, di tanto in tanto, una decisione appare
indispensabile e inevitabile.
Per sbloccare situazioni di intollerabile pressione e di incontrollabile
complessità, il decisore, senza ovviamente né confessarlo né teorizzarlo,
si abbandona alla casualità e dal “cassonetto” delle alternative
variamente disponibili ne estrae una qualsiasi che risulterà, per lo più,
né la peggiore né la migliore e che è sostanzialmente influenzata dal
particolare momento in cui la decisione deve essere presa.
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Tipi di politiche pubbliche
(Lowi, 1964)
Secondo Lowi, esisterebbero essenzialmente 4 grandi tipi di politiche
pubbliche, individuate con riferimento anzitutto al loro oggetto e al
grado di coercizione necessario per la loro attuazione e implementazione.
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Le politiche DISTRIBUTIVE: sono abitualmente prodotte dalle assemblee
elettive e dalle loro commissioni e attuate da agenzie e da burocrazie
governative; riguardano in generale servizi di vario tipo, per lo più collegati
alla previdenza e all’assistenza;
•
Le politiche REGOLATIVE riguardano la produzione di norme che regolano i
comportamenti, spesso avvantaggiando alcuni individui e gruppi e
svantaggiando altri individui e gruppi. Sono anch’esse prodotte dalle
assemblee elettive e attuate da agenzie relativamente decentrate;
•
Le politiche REDISTRIBUTIVE tolgono in maniera visibile e esplicita risorse
ad alcuni gruppi per darle ad altri. Sono, pertanto, politiche alquanto
conflittuali, che richiedono un notevole intervento del potere esecutivo e
un’attuazione piuttosto accentrata;
•
Le politiche COSTITUTIVE, ovvero costituenti, riguardano la formulazione di
norme che sovrintendono alla creazione e al funzionamento delle strutture di
autorità e delle autorità stesse. Sono, dunque, politiche relativamente rare,
in special modo in contesti politico-istituzionali stabilizzati.
Alla tipologia di Lowi alcuni autori hanno correttamente aggiunto il tipo delle
politiche pubbliche SIMBOLICHE, cioè quelle politiche che servono a rafforzare
e/o a trasformare identità collettive, sentimenti di appartenenza ecc.
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Do Policies Determine Politics?
A Lowi si deve anche la famosa e dirompente affermazione
secondo la quale le modalità con le quali vengono prodotte
le politiche pubbliche finiscono per plasmare anche le
strutture politiche: «policies determine politics».
Questa è senza dubbio una affermazione che rimane ancora oggi controversa
e che richiede sempre una verifica empirica comparata.
In estrema approssimazione, è però possibile specificare che tipi diversi di
politiche incidono e determinano la politica in modo diverso:
•
politiche affidate alla deregolamentazione e al mercato non hanno
nessuna possibilità di “determinare” la politica;
•
le politiche che salgono dal “basso”, teorizzate dai “partecipazionisti”
(ad es. il bilancio partecipato), avrebbero maggiori possibilità di successo
nella determinazione della politica, ma dovrebbero essere sempre
accompagnate da una visione politica stabile e di lungo periodo, il più
delle volte assente o decisamente carente.
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