Georgige,Libro III: l’ekphrasis secondo la tecnica alessandrina delle scatole cinesi Orfeo era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope. Egli partecipò alla spedizione degli Argonauti, cioè dei guerrieri che, guidati dall'eroe Giasone, a bordo della nave Argo andarono alla ricerca del "vello d'oro" La spedizione: la prima grande nave ORFEO E IL SUO CANTO La sua forza però non era nelle armi ma nel suo canto di poeta. Aveva ricevuto dalle Muse il dono della poesia e da Apollo la lira. Racconta Seneca che quando Orfeo cantava "cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua che sempre fugge rallentava la sua corsa impetuosa , le foreste prendevano vita, gli uccelli in volo, turbati dal suo canto, perdevano le forze e cadevano, le ninfe dei boschi uscivano dalle querce in cui vivevano e le bestie feroci uscivano dalle loro tane, per correre verso il melodioso canto ..”. La sua sposa era la ninfa Euridice, ma non era il solo ad amarla: c'era anche Aristeo e un giorno Euridice, mentre correva per sfuggire a questo innamorato sgradito, era stata morsa da un serpente nascosto tra l'erba alta ed era morta all'istante. Orfeo, disperato, aveva deciso di andare a riprendersela ed era sceso nell'oscuro regno dei morti: l’Ade. Orfeo muore ucciso dalle donne le donne di tracia o le menadi Il mito di Orfeo e Euridice fonde due archetipi: L’ARCHETIPO DEL VIAGGIO NEL MONDO DEI MORTI L’ARCHETIPO DEL DIVIETO E L’ERRORE IL VIAGGIO NELL’ALDILA’ E RITORNO VITA MORTE La speranza che come il seme MUORE nella terra (LA GRANDE MADRE ) RISORGE come pianta anche l’uomo compia lo stesso viaggio DISCESA NELLA TERRA E RISALITA è un ARCHETIPO UNIVERSALE Che dà vita MITI Dalla vita alla morte e dalla morte alla vita i miti: nekyia e anodos NEKYIA E ANODOS IL MITO DELLA DISCESA NEL MONDO DEI MORTI (NEKYIA) E DELLA RISALITA (ANODOS) NEL MONDO DEI VIVI Ha origini antichissime «Gilgamesh aprì la bocca e disse così: "Parla amico mio! Annunziami la legge di quella terra che tu hai veduto!" "Guarda allora! L'amico che tu hai abbracciato per rallegrarti con lui Enkidu, l'amico che la tua mano ha toccato, è diventato come della terra argillosa; è pieno di polvere, è diventato polvere." Gilgamesh volle interrogarlo ancora, ma l'ombra di Enkidu sparì. Nel mito greco e latino compiono viaggi nell’Aldilà : Dei : Demetra Eroi: Eracle Orfeo Ulisse Enea L’ANODOS di Kore Ulisse , istruito da Circe, scende nell’Ade per conoscere il suo destino da Tiresia, l’indovino cieco scavai una fossa di un cubito, in un senso e nell'altro, e versai intorno un'offerta per tutti i defunti (…) Dopo aver supplicato le stirpi dei morti con voti e preghiere, afferrai e scannai sulla fossa le bestie: fosco come nube il sangue scorreva. Dall'Erebo si accalcarono le anime dei morti defunti. Orfeo e Euridice nel mondo greco: In Platone Orfeo scende nell’Ade, ma il dio dei morti si limita a mostrargli l’ombra di Euridice Nel mondo latino: Nelle Bucoliche, Virgilio racconta una versione del mito più complessa: l’inseguimento di Aristeo, il morso del serpente, il tentativo fallito di riportare Euridice alla vita Orfeo e Euridice (Georgiche,IV, vv.464- traduzione di S. Quasimodo) Mentre fuggiva da te a precipizio lungo il fiume, Non vide, la fanciulla già segnata da morte, nell’alta erba, il serpente che abita le rive. E il coro delle compagne Driadi riempì di lamenti I monti più elevati; e piansero le vette del Ròdope E gli alti Pangei e la terra guerriera di Reso, e piansero i Geti e l’Ebro e l’attica Oritia. Orfeo e Euridice (Georgiche,IV, vv.464- traduzione di S. Quasimodo) Ipse cava solans aegrum testudine amorem / te, dulcis coniunx,/ te solo in litore secum, / te veniente die,/ te decedente canebat. E consolando con la cetra l’amore perduto, te dolce sposa, te sul lido deserto, te al nascere, te al morire del giorno, egli cantava. Taenarias etiam fauces, alta ostia Ditis, et caligantem nigra formidine lucum ingressus manesque adiit regemque tremendum nesciaque humanis precibus mansuescere corda. Tenaro. Ed entrò pure nelle gole del Tenaro, profonda Porta di Dite, e nella selva cupa di nera paura, e s’accostò ai Mani, e al loro re tremendo, e a chi non sa addolcirsi alle preghiere umane. Promontorio della Laconia con una grotta che si riteneva ingresso dell’Ade At cantu commotae Erebi de sedibus imis umbrae ibant tenues simulacraque luce carentum, quam multa in foliis avium se milia condunt vesper ubi aut hibernus agit de montibus imber, matres atque viri defunctaque corpora vita magnanimum heroum, pueri innuptaeque puellae, impositique rogis iuvenes ante ora parentum, quos circum limus niger et deformis harundo Cocyti tardaque palus inamabilis unda alligat et noviens Styx interfusa coercet. E subito dal più profondo Erebo, commosse al canto, ombre venivano leggere e parvenze di morti: a migliaia, quasi stormi di uccelli che si posano tra le foglie, quando la sera o l’aspra pioggia d’inverno li caccia giù dai monti; donne e uomini, e corpi di magnanimi eroi morti, e fanciulli e fanciulle, e giovani arsi sul rogo davanti ai genitori. E ora il fango nero e la squallida canna del Cocito E L’infausta palude dall’onda morta E li serra lo Stige, circondandoli nove volte Quin ipsae stupuere domus atque intima Leti tartara caeruleosque implexae crinibus angues Eumenides, tenuitque inhians tria Cerberus ora Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti del Tartaro, e le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi; e Cerbero restò muto con le tre bocche aperte, Aletto Tisifone Megera Erinni : il rimorso per la colpa commessa Eumenidi: il rimorso placato dalla confessione della colpa atque Ixionii vento rota constitit orbis. ; e la ruota d’Issione si fermò insieme al vento. Iamque pedem referens casus evaserat omnes redditaque Eurydice superas veniebat ad auras, pone sequens, namque hanc dederat Proserpina legem, cum subita incautum dementia cepit amantem, ignoscenda quidem, scirent si ignoscere manes. E già Orfeo tornava, vinto ogni pericolo, ed Euridice veniva verso la luce del cielo seguendolo alle spalle (così impose Proserpina), quando una follia improvvisa lo travolse, da perdonare, certo, se i Mani sapessero perdonare. Restitit, Eurydicenque suam iam luce sub ipsa immemor heu! victusque animi respexit. Ibi omnis effusus labor atque immitis rupta tyranni foedera, terque fragor stagnis auditus Avernis. Orfeo già presso la luce, vinto d’amore, la sua Euridice si voltò a guardare. Così fu rotta la legge del duro tiranno, e tre volte un fragore s’udì per le paludi d’Averno Il lago Averno, in Campania, era considerato un altro accesso all’aldilà, perché gli uccelli che lo sorvolavano morivano per le esalazioni sulfuree. Dall’Averno Enea scenderà nell’Ade Illa “quis et me” inquit “miseram et te perdidit, Orpheu, Riprende l’ quis tantus furor? En iterum crudelia retro “Eurydicenque Fata vocant, conditque natantia lumina somnus. suam” del verso Iamque vale: feror ingenti circumdata nocte 490 invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas”. “Quale follia” ella disse, “rovinò me infelice, e te, Orfeo? Il fato avverso mi richiama indietro, e il sonno della morte mi chiude gli occhi confusi. E ora, addio: sono trascinata dentro profonda notte, e non più tua, tendo a te le mani inerti”. dixit et ex oculis subito, ceu fumus in auras commixtus tenues, fugit diversa, neque illum, prensantem nequiquam umbras et multa volentem dicere, praeterea vidit, nec portitor Orci amplius obiectam passus transire paludem.. Disse; e d’improvviso svanì come fumo nell’aria leggera, e non vide più lui che molte cose voleva dirle e che invano abbracciava le ombre; ma chi traghetta le acque dell’Orco non gli permise più di passare di là dalla palude. traduzione di Salvatore Quasimodo Quid faceret? Quo se rapta bis coniuge ferret? Quo fletu manis, quae numina voce moveret? Illa quidem Stygia nabat iam frigida cumba. Acheronte, Cocito,Stige e Flegetonte erano i fiumi infernali Euridice a Orfeo Robert Browning Eurydice to Orpheus Sì, dammi la bocca, gli occhi, la fronte, e insieme mi prendano ancora - un solo sguardo ora mi avvolgerà per sempre per non uscire mai dalla sua luce, anche se fuori è tenebra. Tienimi sicura, avvinta al tuo sguardo eterno. Le pene d’un tempo, dimenticate, e il terrore futuro, sfidato - non è mio il passato né il futuro - guardami! traduzione di Angelo Righetti