08/05/2011 opera nel Settecento LA RIFORMA DI GLUCK E CALZABIGI Opera seria: successi e critiche Nonostante l'opera seria riscuotesse un enorme successo di pubblico, fin dall’inizio del Settecento i teorici illuministi si lamentarono dei difetti di questo spettacolo con particolare riguardo all'assoluta mancanza di veridicità drammatica, alla folle supremazia dei cantanti, al comportamento del pubblico e all'ignoranza dei compositori. Le condanne di questi intellettuali, tra i quali spiccano Gian Vincenzo Gravina ("Della tragedia", Napoli 1715), Ludovico Antonio Muratori ("Della perfetta poesia italiana", Modena 1706), Pier Jacopo Martello ("Della Tragedia antica a moderna", Parigi 1714), Benedetto Marcello ("Il teatro alla moda", Venezia 1720), spesso è incentrata sull’impietoso confronto con la tragedia antica di cui l'opera sarebbe – a loro dire – una degenerazione (Gravina), altre volte è una condanna morale per uno spettacolo fondato sulla lascivia (Muratori), altre volte invece è una satira feroce diretta verso gli aspetti più appariscenti di malcostume teatrale (Benedetto Marcello). 1 08/05/2011 Proposte di rinnovamento Fra le proposte di rinnovamento più ragguardevoli troviamo quella del teorico Francesco Algarotti (1712 – 1764) ("Saggio sopra l'opera in musica" 1755) che incitava i librettisti, e gli operisti a ispirarsi alla tragédie lyrique francese. Alla base di questa proposta vi erano varie ragioni: a) l'opera francese era, almeno fino al quel momento, l'unico tipo di spettacolo che aveva dimostrato di arginare in Francia il dilagante successo dell'opera italiana; b) per sua natura, inoltre, non aveva mai accantonato il principio dell'unità di tempo e di luogo; c) le arie francesi, proprio perché simili al recitativo, non interrompevano l'azione come nell'opera italiana; d) per la stessa ragione l'opera francese negava ai castrati quella posizione privilegiata (quasi assolutistica) che avevano conquistato nell'opera italiana; e) prevedeva infine una stretta collaborazione fra il librettista e il musicista. Diffusione dell’opera francese fuori dei confini di Francia Eppure, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, l'opera francese, grandiosa, celebrativa, non si era affermata nei teatri impresariali fuori dei confini di Francia. Si era diffusa però nelle corti (sia quelle italiane che quelle straniere come Vienna) che da sempre si erano mostrate libere dai condizionamenti imposti dal mercato teatrale. Fu proprio all'interno di queste corti che, a partire dal XVIII secolo, si era sviluppato un tipo di spettacolo simile a quello francese ma più ridotto (negli atti, nei personaggi) in quanto non era possibile avvalersi delle imponenti strutture e della ricchezza di mezzi presenti nel palazzo di Versailles. Per la loro natura eminentemente celebrativa (venivano rappresentati in occasione di matrimoni, nascite, nozze ecc.) questi spettacoli vennero denominati "feste teatrali" (ma altrove "serenate" o "azioni teatrali"). 2 08/05/2011 Le feste teatrali Le caratteristiche della festa teatrale sono: a) breve durata: di norma 2 o 3 parti; pochi personaggi: 2 o 3 al massimo; b) soggetto mitologico; poche scene. c) fra gli elementi più tipicamente francesi delle "feste" si segnalano: la presenza del coro; la presenza del balletto; più recitativi accompagnati che secchi; dominano le forme chiuse ma a scapito dell'aria col da capo; vi è inoltre una maggiore raffinatezza della strumentazione. Tuttavia, questi spettacoli nacquero più per un vezzo intellettuale e culturale che come deliberati tentativi di fondare un'opera nuova. Con tale intento, invece, a partire dalla seconda metà del Settecento, si organizzeranno spettacoli nuovi, "francesi" e "italiani" nello stesso tempo, particolarmente nelle corti di Parma e di Vienna, grazie all'apertura intellettuale dei rispettivi sovrintendenti artistici. Parma A Parma Filippo di Borbone, una volta salito al potere, chiamò presso la corte in qualità di sovrintendente degli spettacoli, il francese Léon Guillaume Du Tillot. Quest'ultimo lavorò con l'obiettivo di portare a Parma l'opera francese per farla conoscere agli italiani, ed eventualmente adattarla ai loro gusti. Fu così che Du Tillot fece rappresentare a Parma dei lavori di Rameau che riscossero uno straordinario successo. Du Tillot si rivolse allora (era il 1758) a un compositore di formazione napoletana - Tommaso Traetta (1727– 1779) al quale diede l'incarico di scrivere due opere su modello francese: nascono così Ippolito e Aricia (1759) e I Tintaridi (1760) entrambe su libretto di Frugoni. Del modello francese queste opere conservano il taglio in 5 atti, la presenza di cori, di danze e di pezzi strumentali che risentono dell'influsso di Rameau. In queste opere aumenta in misura esponenziale la percentuale di recitativi accompagnati a scapito di quelli secchi. Questo significa che la libera declamazione del cantante su una musica scarna e secca, non veniva più reputata sufficiente per suscitare emozioni e condurre l’azione drammatica. 3 08/05/2011 Per queste opere riformate e, in particolar modo, per le opere riformate create successivamente a queste, si chiamò a Parma un castrato (Gaetano Guadagni 1728– 1792), il quale – fatto del tutto eccezionale – aveva esordito nell'opera comica dove aveva imparato l'arte di caratterizzare i personaggi tramite l'azione mimica divenendo ben presto, oltre che un bravo cantante, un ottimo attore. Guadagni, inoltre, era stato allievo dell’attore David Garrick (1717– 1779), il quale aveva inaugurato un inedito stile di recitazione: egli si calava nella parte, non solo abbandonando lo stile declamatorio tradizionale in favore di una recitazione più naturalistica, ma identificandosi con il personaggio e con le sue reazioni anche quando la parola passava agli altri interpreti – cosa che fino ad allora non avveniva: quando attori e cantanti non erano impegnati in prima persona sulla scena, essi letteralmente “uscivano” dal personaggio: passeggiavano sul palcoscenico senza motivo, fiutavano tabacco, sputavano a terra, chiacchieravano e scherzavano con gli amici tra il pubblico o nell’orchestra. Gaetano Guadagni Guadagni cantò, con regolare alternanza fra Parma e Vienna. Vienna E’ all'interno di questo processo che va inserita l'opera del compositore tedesco Christoph Willibald Gluck (1714-1787); egli si stabilì a Vienna nel 1752 dopo un lungo periodo di viaggi, durante il quale aveva composto numerose opere su libretti del Metastasio secondo la più tradizionale tipologia dell'opera italiana. Nell'ambiente della corte imperiale vennero così ad incontrarsi quattro persone di diversa estrazione sociale (tutti italiani, tranne Gluck), che collaborarono tra loro per rendere totalmente espliciti quei desideri di 'riforma' teatrale che da vario tempo erano nell'aria: il conte Giacomo Durazzo, 'direttore generale degli spettacoli' di corte; il librettista Ranieri de' Calzabigi, tipico esponente di quei letterati avventurieri e libertini di cui è ricco il secondo Settecento; il ballerino e coreografo Gasparo Angiolini, uno dei promotori del cosiddetto 'ballo pantomimo' ; oltre, come si è detto, a Gluck. 4 08/05/2011 In un primo tempo, su sollecitazione del conte Durazzo, Gluck affiancò alla produzione di opere metastasiane quella di opéras comiques (opere comiche in auge nella Francia del Settecento, i cui dialoghi non erano condotti in stile recitativo ma recitati senza alcuna musica). Nel 1761 egli si produsse invece nella composizione di un vero balletto pantomimico destinato alle coreografie di Angiolini: Don Juan ou le Festin de pierre, il cui soggetto era desunto da una commedia di Molière. L'anno seguente fu rappresentata a corte l’azione teatrale Orfeo ed Euridice (1762), il cui protagonista era il contralto evirato Gaetano Guadagni. Gli elementi nuovi che in essa compaiono vennero poi ulteriormente approfonditi nella tragedia Alceste (1767; anch'essa, come Orfeo, dovuta alla collaborazione Gluck-Calzabigi-Angiolini-Durazzo), ed esplicitati dalla celebre prefazione (– > collegamento) alla partitura a stampa di quest'opera (Vienna 1769). In questa prefazione (probabilmente scritta insieme a Calzabigi), Gluck espone le sue idee “riformatrici”. Il suo scopo sarebbe quello di spogliare l'opera italiana, «il più bello di tutti gli spettacoli», dagli abusi con cui cantanti e compositori l'avevano immiserita. Per raggiungere questo risultato bisogna: a) limitare il virtuosismo vocale e il 'da capo' nelle arie, evitando così anche la discontinuità temporale dell'azione e saldando sempre più i pezzi chiusi ai recitativi limitrofi (l'unità fondamentale diventa l'intera scena e non più la singola aria); b) sostituire le arie sentenziose e 'di paragone' con testi che mostrino «il linguaggio del cuore, le passioni forti, le situazioni interessanti»; c) collegare la sinfonia iniziale al resto dell'opera, di cui deve introdurre l'atmosfera; d) impiegare la strumentazione in modo ancor più espressivo, abolendo il recitativo secco e aumentando l'importanza dell'orchestra; e) introdurre all'interno dell'azione numerose occasioni per cori e balli, in modo da produrre un «nobile spettacolo in cui tutte le arti belle hanno tanta parte». f) Infine e soprattutto, «restringere la musica al suo vero ufficio di servire la poesia» (pare di udire Monteverdi) e anche in Gluck, come in Monteverdi, l'intenzione di 'servire' la poesia si realizza attraverso un maggior peso conferito proprio alle strutture musicali più che a quelle poetiche), al fine di ricercare, illuministicamente, «una bella semplicità». 5 08/05/2011 Caratteristiche dell’opera riformata Ma in cosa consiste la riforma di Gluck e Calzabigi? Essa, nella realtà, altro non è che un’abile sovrapposizione di elementi italiani e francesi, con l’aggiunta di elementi originali. La struttura dell’Orfeo non tradisce affatto questo punto di vista ma anzi lo conferma. Elementi italiani Elementi francesi a) Struttura in 3 atti a) Appianamento del contrasto rec/aria utilizzando un arioso continuo ed eliminando i recitativi secchi b) Ruolo del protagonista affidato a un castrato b) Assoluto rispetto delle unità aristoteliche ottenuto mediante una netta riduzione del numero delle scene c) Libretto in italiano c) Impiego del coro d) Impiego dei balli e) Impiego dei temi mitologici Elementi originali a) Tempo armonico lento b) Orchestrazione raffinata c) Ouverture strumentale considerata un mezzo per introdurre progressivamente gli ascoltatori nel clima dell’opera. 6 08/05/2011 Riduzione del numero di scene atto I, scena 1 Ameno, ma solitario boschetto di allori e cipressi che ad arte diradato racchiude in un piccolo piano la tomba di Euridice. All'alzarsi della tenda al suono di mesta sinfonia, si vede occupata la scena da uno stuolo di Pastori e Ninfe seguaci di Orfeo che portano serti di fiori e ghirlande di mirto; e mentre una parte di loro arder fa de' profumi incorona il marmo e sparge fiori intorno alla tomba, intuona l'altra il seguente Coro, interrotto da' lamenti di Orfeo che, disteso sul davanti sopra di un sasso, va di tempo in tempo replicando appassionatamente il nome di Euridice. atto I, scena 2 Amore e Orfeo atto II, scena 1 Orrida e cavernosa al di là del fiume Cocito, offuscata poi in lontananza da un tenebroso fumo illuminato da fiamme che ingombrano tutta quella orribile abitazione. atto II, scena 2 Deliziosa per i boschetti che vi verdeggiano, i fiori che rivestono i prati, i ritiri ombrosi che vi si scoprono, i fiumi ed i ruscelli che la bagnano. Orfeo ed indi coro di Eroi ed Eroine, poi Euridice. atto III, scena 1 Oscura spelonca, che forma un tortuoso labirinto, ingombrato di massi staccati dalle rupi, che sono tutte coperte di sterpi e di piante selvagge. Orfeo ed Euridice. atto III, scena 2 Orfeo, Euridice, Amore atto III, scena 3 Magnifico tempio dedicato ad Amore. Amore, Orfeo ed Euridice, preceduti da numeroso drappello di Pastori e Pastorelle che vengono a festeggiare il ritorno d'Euridice. 7 08/05/2011 Ascolti: Coro: Chi mai dell’erebo Aria: Che farò senza Euridice Libretto Partitura Gluck a Parigi Dopo "L'Alceste" la fortuna della triade Durazzo-Calzabigi-Gluck è in declino; in realtà, già dal 1764 Durazzo si trasferisce a Venezia lasciando Gluck privo di protettori; uno scandalo (si presume amoroso) costringe inoltre Calzabigi a sparire dalla corte di Vienna dopo il 1771; dal canto suo la terza opera della riforma di Gluck, "Paride ed Elena" rappresentata nel 1770 ottiene un successo modesto. E' l'inizio del suo declino a Vienna, declino che d'altra parte coincide con le prime affermazioni in campo sonatistico di Haydn e di Mozart. La città di Gluck a questo punto diventa un'altra: Parigi, l'unico centro che potesse essere un trampolino di lancio per la sua opera. 8 08/05/2011 A Parigi Gluck approda grazie all'interesse di Du Roullet, un nobile letterato, suo caro amico e che ridurrà a libretto teatrale l'Ifigenia in Aulide (1774) di Racine, la prima opera che Gluck rappresenterà a Parigi. Per accendere l'interesse intorno alle idee della riforma, du Roullet e Gluck pubblicano una serie di articoli sul "Mercure de France" annunciando nel contempo la rappresentazione della Ifigenia. Per cinque anni Gluck dominerà le scene francesi sia con opere nuove (oltre all'Ifigenia in Aulide, verranno rappresentate l'Ifigenia in Tauride (1779), Echo et Narcisse (1779), e i rifacimenti delle opere viennesi della riforma: Orphée et Euridice (1774), e Alceste (1776). Ma malgrado tutto, nelle opere francesi Gluck perde alcuni tratti fondamentali delle opere riformate: i personaggi, ad esempio, acquistano una mobilità psicologica sconosciuta alla statuaria grandezza di Orfeo o di Alceste, divenendo così più francesi, e cioè più vicini ai personaggi della tragedie lyrique. Questa riabilitazione del personaggio, nel senso del suo recupero della dimensione umana, spinge Gluck a riabilitare l'aria, come fascio luce in rapporto al recitativo accompagnato. La querelle Rispondendo al battage pubblicitario promosso congiuntamente da Gluck e Du Roullet, il sovrintendente dell'Opéra e un gruppo di letterati guidati da Marmontel organizzano l'ennesima querelle, quella per intenderci fra gluckisti e piccinnisti. Piccini, il compositore della tenera Cecchina, fu scelto per contrapporre allo stile Gluck, lo stile più fresco dell'opera italiana. La "sfida" -perché così è da intendersi questo scontro fra i due compositori- doveva svolgersi su un unico terreno: quello della tragédie lyrique. Entrambi i compositori, infatti, si sarebbero dovuti misurare su un medesimo libretto, il Roland di Quinault riveduto da Marmontel. 9 08/05/2011 In realtà il confronto si svolse solo per metà in quanto Gluck rifiutò sdegnosamente di scendere in campo ma compone una "Armide" su libretto originale di Quinault. Piccinni, invece, armeggiando alla meglio con la prosodia francese, presenta nel 1778 il suo Roland, opera nella quale -stando almeno alle intenzioni- la melodia napoletana doveva fondersi con lo spirito dell'opera di marchio francese. Piccinni resterà a Parigi, mentre Gluck dopo il trionfo della Ifigenia in Tauride e il tiepido successo di Eco e Narciso rientra a Vienna nel 1780. Divenuto direttore di una scuola di canto, il nucleo di partenza del futuro conservatorio, Piccinni avrà a sua volta la soddisfazione di imporsi con una sua "Ifigenia in Tauride"(1781) dallo spessore orchestrale e corale più gluckiano di Gluck, e soprattutto con Didon (1783) nella quale il rapporto fra aria e recitativo segue le linee della più tipica opera riformata. 10