Anno XV - Numero 17 - 17 marzo 2009 Questa edizione Un nuovo allestimento ispirato a quello della Scala del 2002 A Pag. 2 La storia dell'opera La prima opera parigina di Gluck che aprì la strada alla sua “Riforma” A Pag. 6 Riforma Gluckiana Le regole del Compositore contro gli abusi di cantanti e librettisti A Pag. 10 Goliardia Una dissacrante parodia divenuta un classico del repertorio goliardico A Pag. 14 IPHIGÉNIE en AULIDE d i C h r i s t o p h Wi l l i b a l d G l u c k Iphigénie en Aulide 2 A Il Giornale dei Grandi Eventi Un allestimento che riprende, con modifiche, quello del 2002 della Scala Il mare protagonista di questa Iphigénie tre mesi dall’Otello, Riccardo Muti torna sul podio del Teatro dell’Opera di Roma per sette recite dell’Iphigénie en Aulide di Christoph Willibald Gluck. Lo fa affiancato da Yannis Kokkos, che dello spettacolo firma regista, scene e costumi, con il quale aveva già lavorato sullo stesso titolo nel 2002 per un allestimento rimasto famoso, se non altro per essere stato quello d’inaugurazione della prima stagione del Teatro Alla Scala fuori dalla sua sede storica. Da quell’anno – e fino al 2004 – gli spettacoli furono spostati per i lavori di ristrutturazione del tempio della lirica, nel nuovo e moderno Teatro degli Arcimboldi. Non sarà però il medesimo allestimento, anche se l’idea di massima rimane la stessa. Dello spettacolo milanese sono stati usati solo la maggior parte dei costumi. La scenografia ha dovuto essere rielaborata completamente. Il palco degli Arcimboldi è straordinariamente grande e dunque tutto il progetto è stato ricalibrato per le più ridotte dimensioni del Costanzi. E’ stata quindi modificata l’idea dell’appartenenza di Ifigenia e Clitennestra alla terra, con le due figure che sarebbero poi andate dissolvendosi verso la dimensione marina dell’allestimento. Kokkos è greco di origine e francese di adozione e quindi i temi della tragedia greca e del mare, ma anche del- l’opera francese, gli appartengono pienamente. Per questo allestimento tutto è stato inserito in un’atmosfera completamente marittima, in cui predomina l’idea del blocco della flotta greca. Diana, offesa da Agamennone, impedisce alle navi greche di partire. Questo aspetto è sottolineato dalle polene raffiguranti proprio Diana poste sulla prua delle navi, quasi a bloccare la partenza. Altri aspetti che permeano regia e scenografia e vengono continuamente sottolineati, sono il dramma umano di Agamennone, ma anche di Ifigenia e Clitennestra ed il contrasto forte tra potere religioso e potere politico, che si contrappongono duramente, senza che nessuno dei due accetti di inginocchiarsi di fronte all’altro. Su quell’ara la giovane donna, la figlia, è offerta per soddisfare vana gloria e cupidigia di potere, miste a fieri doveri dettati dalla ragion di Stato, che per Re devono superare affetti e debolezze personali. Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Kokkos non ha voluto cercare una attualizzazione, che considera essere una via troppo facile ed abusata. Anzi, ha cercato un approccio storico, consapevole della distanza temporale – oltre due millenni – che separa il Settecento di Gluck dal mito greco. La sua ricerca è piuttosto quella di riuscire a parlare al mondo contemporaneo attraverso il mito antico, che in fondo era anche quello che facevano gli antichi greci utilizzando i medesimi miti. Il finale di Wagner L’opera, andata in scena per la prima volta a Parigi presso l’Accadémie Royale de Musique il 19 aprile 1774, rappresenta uno spartiacque nel mondo della musica. Fu la prima opera francese di Gluck e sopratutto la prima dopo l’elaborazione della sua famosa “Riforma” dell’opera seria, che dettò canoni più rigidi per sottrarla ai vezzi di cantanti e librettisti. Per questa edizione verrà utilizzato il finale rielaborato da Wagner nel 1847. Finale che ha avuto una notevole fortuna nei teatri tedeschi e non solo, eseguita normalmente in luogo della versione originale francese fino ad anni recenti. Nel finale wagneriano, Ifigenia viene presa con sé da Diana che decide di farne una sacerdotessa, mentre in quello di Gluck la dea acconsentiva finalmente alle nozze di Ifigenia con Achille. Rimane, dunque, il lieto fine, ma tutto è più magico e meno scontato. Si è voluto, però, conservare il balletto della scena delle nozze, trasformandolo in una specie di mimodramma, curato dallo spagnolo Marco Berriel, che racconta il prologo, ovvero i fatti - come il giudizio di Paride ed il rapimento di Elena - che diedero origine alla guerra di Troia. A. M. Prossimi appuntamenti Stagione 2009 - Teatro Costanzi 19 - 27 Maggio 18 - 23 Giugno PAGLIACCI di Ruggero Leoncavallo LE GRAND MACABRE di György Lieti Stagione estiva - Terme di Caracalla 14 Luglio - 06 Agosto 29 Luglio - 09 Agosto 02 - 09 Ottobre 29 - 06 Novembre 18 - 31 Dicembre ~~ TOSCA di Giacomo Puccini CARMEN di Georges Bizet PELLÉAS ET MÉLISANDE di Claude Debussy TANNHÄUSER di Richard Wagner LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi La Locandina ~ ~ Terme Costanzi, 17 - 29 marzo 2009 IPHIGÉNIE en AULIDE Tragédie-opéra in tre atti Libretto Marie François Louis Gand Leblanc du Roullet dalla tragedia di J. Racine e dal dramma Iphigénie en Aulide pubblicato da Francesco Allegrotti nel proprio Saggio sopra l’opera in musica Musica di Christoph Willibald Gluck Composizione: Vienna 1771-72 Prima rappresentazione: Parigi, Accadémie Royale de Musique, 19. 4. 1774 Maestro concertatore Riccardo Muti e Direttore Regia, Scene e costumi Yannis Kokkos Finale nella rielaborazione di Richard Wagner Prima rappresentazione: Dresda, 24.2.1847 Personaggi / Interpreti Diane (Artemide) (S) Beatriz Diaz / Giacinta Nicotra Alexey Tikhomirov (17, 19, 21, 24, 26 29) / Luca Dall’Amico (28) Clytemnestre (S) Ekaterina Gubanova (17, 19, 21, 24, 26 29) / Barbara Di Castri (28) Iphigénie (S) Krassimira Stoyanova (17,19, 21, 24, 26, 29) / Sophie Marin Degor (28) Achille (T) Avi Klemberg / Piero Pretti Patrocle (B) Mario Cassi / Vittorio Prato Calchas (B) Maxim Kuzmin-Karavaev (17,19, 21, 24, 26, 29)/ Riccardo Zanellato (28) Arcas (B) Carlos Garcia-Ruiz Agamemnon (B) NUOVO ALLESTIMENTO In lingua originale (francese) con sovratitoli in italiano ~ ~ La Copertina ~ ~ Giambattista Tiepolo - Il Sacrificio di Ifigenia (Part.) 1757 - Vicenza, Villa Valmarana ai Nani Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale V Il Giornale dei Grandi Eventi orrebbe essere «un approccio storico consapevole della distanza che separa il ‘700 di Gluck dal mito greco», l’allestimento di questa Iphigénie en Aulide del il regista, greco di nascita ma francese d’adozione, Yannis Kokkos. Un’opera, l’Ifigenia di Christoph Willibald Gluck, che torna sul palcoscenico del Teatro Costanzi dopo 55 anni dall’unica edizione proposta, quella del 1954, diretta da Gabriele Santini, con Boris Christoff, Franco Corelli e Marcella Pobbe. Ma in realtà è la prima volta che questo titolo viene proposto in lingua originale – il francese con sovratitoli in italiano – senza tagli e con la scelta Iphigénie en Aulide del finale riscritto da Wagner nel 1847. Finale che riporta il testo ad una maggiore aderenza al mito greco della tragedia di Euripide, con Diana che colpita dalla bontà e dal senso del dovere di Ifigenia e della madre Clitemnestra, rinuncia al suo sacrificio e la vuole come sua sacerdotessa. Questo nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma, si ispira all’edizione che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala – allora “trasferita” al nuovo teatro degli Arcimboldi per i lavori di ristrutturazione del vecchio tempio della lirica – sempre con Kokkos autore di regia, scene e costumi e Riccardo Muti sul podio come di- rettore. Muti che dirige anche in questa edizione, torna al Costanzi tre mesi dopo il trionfale Otello che ha segnato il suo esordio sul palcoscenico romano per un ciclo di tre opere in tre anni.. Pure parte degli interpreti (i tre greci ed una greca) sono gli stessi dell’edizione milanese, anche se il grosso dei cantanti del primo cast sono giovani d’esperienza, molti dell’est europeo, guidati dalla bulgara Krassimira Stoyanova (Sophie Marin Degor) nel ruolo della protagonista, Alexey Tikhomirov (Luca Dell’Amico) in quello di Agamennone e la russa Ekaterina Gubanova (Barbara Di Castri) come Clytemnestre. Una Ifigenia che guarda a Milano ATTO I – Nell’accampamento dei greci presso il poto di Aulide, in Beozia. La flotta greca è in attesa dei venti favorevoli per salpare verso Troia. La bonaccia è causata dalla dea Diana che pretende da Agamennone il sacrificio della figlia Ifigenia, che lui le ha promesso. Il Re di Micene è angosciato e combattuto tra l’amore paterno ed il dovere di far muovere la flotta greca da lui comandata. Progetta così di evitare l’arrivo in Aulide della figlia, facendole credere l’infedeltà del promesso sposo Achille. Con il Gran Sacerdote Calcante egli implora poi la divinità di scegliere un’altra vittima, ma si dice pronto, se Ifigenia giungerà, a sacrificarla sull’altare. Proprio in quel momento al campo arriva Clitennestra, moglie di Agamennone, con la figlia Ifigenia, la quale, alla notizia dell’infedeltà del promesso, reagisce con rabbia e dolore. Ma giunge Achille, che subito scioglie l’equivoco e l’atto si chiude con la riconciliazione suggellata da un duetto. su quell’altare la vuole immolare a Diana. La rivelazione suscita la collera di Achille e Clitennestra contro Agamennone, il quale, assalito dai rimorsi, decide di non rispettare il giuramento. Presa la decisione, ordina ad Arcante di riaccompagnare a Micene la moglie e la figlia nascondendo questa a tutti. La Trama ATTO II – Sempre nel campo. Le donne rassicurano Ifigenia che Achille sarà suo sposo. Tutto è pronto per le nozze. Mentre Achille invita Ifigenia da andare con lui all’altare, dove li aspetta Agamennone, l’araldo Arcante, preso dal rimorso li invita a non recarsi all’ara e svela ai due che il padre ATTO III – Sempre nel campo, all’interno di una tenda. I greci radunati all’esterno non vogliono permettere la fuga, perché timorosi della possibile ira della dea. Ifigenia si rassegna così al proprio dovere ed al proprio destino, mentre Achille tenta di dissuaderla, proponendole di fuggire con lui. I Greci continuano ad invocare il sacrificio. Clitennestra, udendo le richieste della folla, invoca per i greci disumani la punizione di Giove. Sulla spiaggia dove è posto l’altare – Ifigenia è in ginocchio sul gradino dell’ara. Achille irrompe in scena con i suoi guerrieri tessali, mentre i greci fuggono. Egli prende tra le braccia Ifigenia, ma questa continua a volersi offrire agli dei. Ma, annunciata da un tuono, si mostra Diana, la quale dichiara di non desiderare più il sacrificio. Piuttosto, colpita dal pianto di Clitennestra e dallo spirito sublime di Ifigenia, vuole la ragazza come sua sacerdotessa, promettendo di sciogliere i venti verso Troia. 3 Le Repliche Giovedì 19 marzo, ore 20.30 Sabato 21 marzo, ore 18.00 Martedì 24 marzo, ore 20.30 Giovedì 26 marzo, ore 20.30 Sabato 28 marzo, ore 18.00 Domenica 29 marzo, ore 16.30 L’intervento Opera nuova di Umberto Croppi Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma P er l’Ifigenia di Muti si profila un nuovo successo dopo quello ottenuto dall’Otello nel dicembre scorso. Del resto anche l’Aida di Bob Wilson e The blue planet di Greenaway (questo in prima mondiale al Teatro Nazionale) hanno registrato il tutto esaurito: la lirica mostra così ancora d’essere una forma d’arte vitale e sostenuta da un forte consenso. Tuttavia non poche ombre si addensano sugli enti lirici italiani, dovute alla diffusione di altre forme di spettacolo, che inevitabilmente distraggono da quelle tradizionali, all’avvento di tecnologie che consentono di ascoltare musica ad elevatissima qualità e surrogano l’effetto straordinario della magia di una messa in scena. Soprattutto, però, sono i costi di tali istituzioni a non passare inosservati in un momento di grande difficoltà per la finanza pubblica. Dunque, inevitabile interrogarsi sugli strumenti per ridefinire la formazione dei costi dei teatri e su come mantenere i propri impegni all’interno di bilanci fortemente ridimensionati. Nello specifico del Teatro dell’Opera di Roma si è poi dovuto prendere atto di un dato negativo difficilmente aggirabile nella chiusura del bilancio Segue a pag. 4 Iphigénie en Aulide 4 Il Giornale dei Grandi Eventi La gestione del Teatro alla luce dei recenti avvenimenti T I Cosa succede all’Opera? itoli di giornali, pacifiche dimostrazioni di piazza, voci che rincorrono se stesse, dichiarazioni e smentite a distanza di poche ore. L’ultimo mese per il Teatro dell’Opera di Roma sono state giornate di grande fermento. Il nuovo Sindaco di Roma Gianni Alemanno, per statuto presidente della Fondazione nella quale il teatro è inserito, fin dai primi giorni del suo mandato ha espresso chiaramente la volontà di rimettere ordine in questa importantissima istituzione che però per tanti anni è stato solo un martoriato, marginale frammento della vita della Città. Il neo Sindaco ne vuole ricreare il prestigio, l’importanza, non solo sotto l’aspetto storico-culturale, ma anche di alta rappresentanza per il ruolo che Roma svolge come Capitale d’Italia. Per questo si è voluto rendere conto di persona delle problematiche, ha affrontato le diverse visioni incontrando non solo i vertici, ma anche i rappresentanti delle maestranze, dei tanti lavoratori di ogni settore. E queste sono ore decisive per il futuro del teatro e forse quando il lettore avrà fra le mani questo giornale qualcosa sarà cambiato. Il primo cittadino si è imbattuto anche nei bilanci, che a causa dei tagli del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) presentano un deficit di 8 milioni di euro sia per il 2008 che di previsione per il 2009. Purtroppo però, L’Opera di Roma, a differenza della Scala di Milano – che anch’essa soffre – gioca un po’ di rincorsa per una serie di motivi che, è il caso di dire, si mordono la coda: una ancora scarsa immagine dovuta alle agitazioni ed alla conseguente inaffidabilità accumulata negli anni passati che ha portato difficoltà nel reperimento degli sponsor privati. Sponsor che certo sono più presenti e disponibili in una realtà economico-produttiva come Milano e che da qualche anno le leggi fiscali certo non invogliano ad investire. Purtroppo poi un legge del governo Dini – il ministro dei Beni Culturali era Walter Veltroni – che nel 1996 volle trasformare le istituzioni liriche in Fondazioni fu fatta male e di corsa. Troppo brevi i tempi di transizione, di abbandono a se stesse di istituzioni fino allora praticamente statali, le quali, quasi dall’oggi al domani, si sono trovate a confrontarsi con il mercato, ad autofinanziarsi. E’ vero, alla fine, l’Opera di Roma qualcosa in più ha avuto, stanziato di anno in anno come contributo ad hoc per il suo ruolo di rappresentanza per la Capitale. Ma è stato poca cosa. In tutto questo tempo è mancata una sicurezza di bilancio che potesse far programmare a lungo termine, che permettesse di impegnarsi con i cantanti, magari a tre anni di distanza, come sono di solito “prenotati” gli impegni degli artisti, con il risultato di doversi ancora oggi accontentare di quello che resta. Non dimentichiamo il Centenario di Tosca, organizzato in fretta e furia, in forma semiscenica, con una sola recita il 14 gennaio del 2000. Forse un’opera così importante, ad un secolo esatto dalla sua prima rappresentazione, nella sua città e nel suo teatro avrebbe meritato di più. Andrea Marini Continua “L’intervento” da pag. 3 della Fondazione per il 2008 e di un disavanzo ancora più marcato nella previsione per il 2009, situazione che ha determinato la necessità di un energico intervento sulla gestione. Per la Capitale il Teatro dell’Opera rappresenta una delle istituzioni più antiche, prestigiose e significative ed è un elemento costitutivo della sua stessa immagine internazionale, oltre che un fondamentale segmento dell’offerta culturale della Città. Quasi superfluo ricordare che in questo teatro il 14 gennaio del 1900 debuttò Tosca, l’opera romana per eccellenza, che di questa città è stata - e continua ad essere - straordinaria ambasciatrice in ogni angolo della Terra. Il Costanzi è stato anche luogo di sperimentazione e di formazione ed ora continua ad essere il perno di una eccezionale tradizione di alto artigianato e di specializzazione: scenografia, costumi, impianti scenici, oltre che – naturalmente – musica, canto, ballo. Sarebbe un errore negare che il nostro Teatro ha passato anche momenti difficili e che l Teatro dell’Opera di Roma, come tutte le altre Fondazioni lirico-sinfoniche, si trova in evidente crisi di carattere economico-finanziario, sia per i tagli su parte del finanziamento statale (F.U.S.) che a causa della grave recessione economica non è facile sostituire con sponsorizzazioni private, sia per l’esigenza di riordinare l’attuale disciplina legislativa e regolamentare del settore, ricercando modalità che liberino lo Stato di corresponsabilità finanziarie, dirette o indirette, al di là dei limiti e dei modi di erogazione dell’ammontare del finanziamento stabilito per legge. Quanto sopra porterebbe a superare anche false immagini che vengono fatte circolare sugli storici Teatri d’Opera, date da una serie di valori contradditori che rendono possibili giudizi di affidabilità ed il loro contrario. All’attuale crisi finanziaria, il Teatro dell’Opera di Roma, con le sue componenti artistiche e tecniche, che costituiscono essenziali “soggetti d’istituto” nell’attività dello spettacolo dal vivo, intende rispondere senza ridurre il proprio impegno nel perseguire le funzioni di carattere culturale, svolte a profitto della comunità. Così il cartellone principale del 2009 al Teatro Costanzi ed alle Terme di Caracalla contiene tutti gli aspetti di sviluppo e di crescita del bene culturale “opera” che continua a difendere l’identità italiana e la sua lingua. Al Sindaco di Roma, infine, ho confermato la mia disponibilità per la nomina del mio successore, come avviene nei più importanti Teatri del mondo, anche in data anticipata alla scadenza del mio contratto. Lavorare da subito sui programmi 2010-2012, in competizione con i principali Teatri sul piano internazionale, consentirebbe la realizzazione di progetti che sono sempre influenzati dalle capacità degli autori e degli interpreti, di un maggiore standard di qualità. Penso che basterebbe la comprensione per l’alto compito della musica e della danza e molta fede nelle non ancora spente forze creative ed esecutive italiane per impedire che la nostra Nazione, madre di immortali Maestri e di grandissimi Artisti, sia portata nel campo del teatro lirico e della danza, ad un inaccettabile decadimento. il suo rapporto con la Città si è, in qualche momento, affievolito; che la base “popolare” della lirica è sembrata perdere quell’energia che nel nostro Paese ha rappresentato uno dei principali fattori di autopercezione. Qui è il vero punto che bisogna mettere al centro della riflessione sul futuro dell’Opera: l’impiego di risorse destinate a questo settore della cultura dovrà essere misurato non sul semplice conto economico, ma sulla forza espressiva che questa forma italianissima d’arte saprà ancora sviluppare e sul rapporto che essa saprà avere con il pubblico ed il territorio. L’amministrazione capitolina è fattivamente impegnata a portare il “suo” Teatro fuori Francesco Ernani Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma dalla crisi e verso una nuova stagione di successi. I prossimi mesi dovranno vederci tutti insieme, Comune, direzioni, maestranze, per fare in modo che l’alto livello della proposta, unito a percorsi forse trascurati ed ad azioni dirette a rinsaldare il rapporto tra il Teatro e la Città, facciano vincere questa scommessa. Azioni che aumentino la conoscenza sulla vasta offerta del “sistema” Teatro dell’Opera, capaci di avvicinare i giovani, di favorire l’accesso e magari una prima conoscenza a tutti i romani, riportando pure in platea quanti in almeno una stagione della loro vita l’opera l’hanno amata come arte viva. Un invito, quindi, a chi nell’Opera lavora, a mettere il proprio entusiasmo a disposizione di questa sfida; agli sponsor per proseguire la propria indispensabile, generosa azione ed ai romani per informarsi, chiedere, stimolare, proporre, perché questi sono gli ingredienti di cui abbiamo bisogno per sostenere un impegno che riteniamo doveroso ma che, per la sua entità, ha bisogno di consenso e verifiche costanti. Umberto Croppi Il Giornale dei Grandi Eventi Iphigénie en Aulide 5 Alexey Tikhomirov e Luca Dell’Amico Krassimira Stoyanova e Sophie Marin-Degor Agamennone, padre e Re combattuto Iphigénie, figlia rassegnata al dovere del sacrificio A I Bassi Luca Alexey Tikhomirov (17, 19, 21, 24, 26, 29) e Luca Dell’Amico (28/3) si alterneranno nel ruolo del Re Agamennone. lexey Tikhomirov Nato nel 1979 in Kazan si è laureato nel 2003 al Kazan Musical College e Kazan Art Institute, dove ha continuato gli studi vocali fino al 2006. Tra il 2004 e il 2006 ha studiato all’Opera Centre, con il quale continua ora a collaborare. Dal 2005 è solista al Musical Theatre Gelikon-Opera di Mosca. Nel 2006 viene scritturato come Sparafucile con Leo Nucci in una produzione di Rigoletto della Fondazione Toscanini. Il suo repertorio comprende Rospolone in La molinara di Paisiello, Zaroastro nel Flauto magico di Mozart, Leporello nel Don Giovanni di Mozart, il ruolo del titolo nel Don Pasquale di Donizetti, Basilio ne Il barbiere di Siviglia di Rossini, Re Filippo nel Don Carlos di Verdi, Monterone e Sparafucile nel Rigoletto di Verdi e diversi ruoli di opere russe. Vasto è anche il suo repertorio di musica da camera. Luca Dell’Amico è nato a Vicenza nel 1978. Si è diplomato con il massimo dei voti in trombone, organo e composizione organistica al Conservatorio della sua città. Prosegue attualmente gli studi in canto lirico perfezionandosi sotto la guida di Sherman Alexey Tikhomirov Lowe. Ha debuttato nel 2003 in Carmen all’Arena di Verona, sotto la direzione di Alain Lombard, in Madama Butterfly (Zio Bonzo) e Le nozze di Figaro (Figaro). Nel 2004 ha interpretato il ruolo di Don Prudenzio ne Il viaggio a Reims al Rossini Opera Festival di Pesaro. Nel 2006 è alla Fenice di Venezia per Die Zauberflöte e in numerosi teatri italiani per La forza del destino, poi, nell’ottobre, ha preso parte alla tournée in Cina del Teatro La Fenice con La Traviata. Ha vinto il terzo premio al Concorso Adami - Corradetti di Padova. Il suo repertorio comprende Requiem di Mozart, Messa da Requiem di Verdi, Petite Messe Solennelle e Stabat Mater di Rossini e di Dvorák. Ekaterina Gubanova e Barbara Di Castri Clytemmnestre, madre piangente ma devota agli dei E Le voci di Mezzosoprano Ekaterina Gubanova (17, 19, 21, 24, 26, 29) e Barbara Di Castri (28) si alterneranno nel ruolo di Clytemnestre. katerina Gubanova è nata in Russia nel 1979. A 23 anni è divenuta membro del Young Artists Programme alla Royal Opera House, Covent Garden, dove ha cantato ruoli quali Suzuki in Madama Butterfly e la Terza Dama in Die Zauberflöte. Il suo debutto giapponese è avvenuto con il Requiem di Verdi diretto da Muti all’Opera di Tokyo. Ha debuttato al Metropolitan Opera di New York nel 2007 come Hélène Bezukhova in Guerra e Pace di Prokof’ev. Al Salzburg Festival è apparsa come Terza Dama (Die Zauberflöte – Muti/2005), Flosshilde (Das Rheingold /2006) e Olga (Eugene Onegin /2007) e in concerto nella Missa solemnis di Beethoven. Nel 2008 è stata Neris (Medée) in una nuova Ekaterina Gubanova produzione a Bruxelles ed ha cantato nel Requiem di Verdi a Madrid con l’Orchestra National Spagnola diretta da Muti. In autunno è tornata a Parigi per interpretare Brangäne. Barbara Di Castri ha interpretato il ruolo di Mother Goose all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nell’opera The Rake’s Progress ed a Parigi è stata Arsace nella Semiramide al Théâtre des Champs Elysées. Ha collaborato con direttori quali Gelmetti, che l’ha condotta nella Petite Messe Solennelle di Rossini; Campanella, Curtis, Gatti con il quale ha collaborato alla produzione di Rigoletto e Boris Godunov al Comunale di Bologna. Nel 2008 ha cantato Italiana in Algeri al Sao Carlos di Lisbona, successivamente è stata Lola in Cavalleria Rusticana al San Carlo di Napoli, Alexander Nevskij di Prokof’ev al Comunale di Bologna e Bradamante nell’Orlando furioso di Vivaldi al Festival di Edimburgo. Sempre lo scorso anno ha cantato nell’Otello al Festival di Salisburgo diretta da Muti. K I Soprano Krassimira Stoyanova (17, 19, 21, 24, 26, 29/3) e Sophie MarinDegor (28/ 3) daranno voce alla protagonista. rassimira Stoyanova è nata in Bulgaria e ha studiato canto e violino al Conservatorio di Plodiv e violino al Conservatorio Russe. Ha debuttato all'Opera Nazionale di Sofia nel 1995. Ha inizio una rapida carriera che l’ha vista giovane soprano ospite di rinomati teatri tra i quali: Metropolitan Opera, Nationaloper Helsinki, Carnegie Hall, Hamburgische Staatsoper, Royal Opera House Covent Garden ed al Festival di Ravenna con la Nona sinfonia di Beethoven sotto la direzione di Riccardo Muti. Dal 1998 in poi è strettamente legata al Wiener Staatsoper dove nel 2004 ha partecipato tra le altre ad una nuova produzione del Falstaff di Verdi (Alice), seguita da Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Turandot, Pagliacci e Anna Bolena al Carnegie Hall di New York e dal Te Deum di Bruckner al Musikverein di Vienna. Nel 2005 è stata ospite come Anna in Le Villi di Puccini alla Wiener Staatsoper, dove è tornata in Falstaff, un ruolo che interpreterà anche a Dresda. Nel 2007 e ancora a Vienna con Otello (Desdemona) e con Pagliacci (Nedda) e La Traviata al Metropolitan di New York e di nuovo Pagliacci alla Deutsche Oper di Berlino. Richiesta da Placido Domingo, ha partecipato al concerto di gala in per il suo anniversario a Vienna il 19 maggio 2007. Per l’apertura della stagione 2007/08 ha cantato in Simone Boccanegra e Otello alla Staatsoper di Vienna e La Boheme alla Staatsoper di Monaco e Dresda. Nel 2008 è torna al Metropolitan con Les contes d’Hoffmann e Don Giovanni ed a Vienna con Otello e Falstaff. Sophie Marin-Degor, studente e solista al Maîtrise de Radio-France, attualmente si perfeziona con Nicole Fallien e divide il suo tempo tra musica, teatro e danza. La sua esperienza teatrale e operistica è iniziata da adolescente. La sua partecipazione all’Orpheus di Gluck con Marilyn Horne, diretto da Sir C. Mackerras al Théâtre des Champs Elysées, le ha aperto la porta al repertorio classico. Ha cantato ruoli operistici e di oratorio barocco (Haendel, Lully, ecc.) così come Mozart, in cui più tardi si è specializzata. E’ stata invitata a Weisbaden nel 2004/2005 per interpretare il ruolo di Armide di Glück. Per la stagione 2007/08 ha interpretato Michaela in Bremen and Melisande a Mosca. Ha registrato Ezio di Gluck al Ludwigsburg festival. Avi Klemberg e Piero Pretti Achille, sposo promesso piegato al volere della Dea A I tenori Avi Klemberg (17, 19, 24 e 29) e Piero Pretti (21, 26, 28) saranno Achille. vi Klemberg dopo gli studi generali entra nella classe di Maurice Maievsky al Conservatorio de la Ville di Paris. Nel 2002 è ammesso al Conservatorio Nazionale Superiore e nel 2003 vince il Primo Premio al Concorso Nazionale di Béziers. Tra le sue interpretazioni Camille Roussillon in La vedova allegra a Espace Reuilly, Beppe nella Rita di Donizetti, Piquillo ne La Périchole. In concerto ha cantato nella Messa di Gloria di Puccini, nel Padre Nostro di Janacek e nel Faust di Gounod, nella Sinfonia n.9 di Beethoven al Cirque d'Hiver Bouglione. La sua interpretazione di Achille in Iphigénie en Aulide all’Opéra du Rhin gli è valsa critiche tra le più lusinghiere. Piero Pretti è nato a Nuoro dove ha iniziato giovanissimo lo studio del canto lirico sotto la guida del soprano Antonietta Chironi. Successivamente si è iscritto al Conservatorio Pierluigi da Palestrina di Cagliari. Ha partecipato a vari master di perfezionamento con Renata Scotto, Gianni Raimondi, Giusy Devinu, Claude Tiolass e Gianni Mastino. Ha debuttato nel 2000 nel repertorio di lirico leggero (Don Pasquale, Elisir d’Amore, Don Giovanni) per poi indirizzarsi verso quello lirico (Jerusalem, Werther, Faust, Rigoletto, Lucia di Lamermoor, La Bohème e Butterfly) cantando in varie città europee. Svolge un’intensa attività concertistica, sia in Italia che all’estero. Pagina a cura di Francesco Piccolo – Foto: Corrado M. Falsini 6 D opo la rappresentazione a Vienna di Paride e Elena (1770), accolta senza particolari clamori, Gluck sciolse il sodalizio con il letterato Ranieri de’ Calzabigi con il quale, a partire dall’Orfeo e Euridice (1762) e passando attraverso Alceste (1767), aveva dato vita ad una riforma dell’opera seria italiana. Riforma fortissimamente voluta dai due artisti, ma destinata, almeno sul momento, a rimanere più o meno lettera morta per la diffidenza dell’ambiente teatrale italiano. Di tutto ciò era ben consapevole Gluck che, alla soglia dei 60 anni ed ormai famoso ed agiato, considerava ormai esaurita la propria azione a Vienna e guardava con interesse a Parigi. Per il suo trasferimento nella capitale francese, Gluck poté contare su alcuni appoggi influenti. Innanzitutto quello di Maria Antonietta, ora regina, che era stata sua allieva a Vienna e che si adoperò per non fargli mancare il favore della Corte. E poi fidato collaboratore e “stratega” fu l’addetto all’ambasciata francese a Vienna, MarieFrançois-Louis GrandLeblanc du Roullet, un nobile normanno, di circa due anni più giovane del musicista. I due si erano incontrati a Vienna nel 1772 probabilmente in casa dell’ambasciatore inglese, Lord Stormont; e da lì aveva preso corpo il progetto di una collaborazione. Du Rollet sotto l’influenza di Diderot e Algarotti che avevano segnalato la Iphigénie di Racine come un modello ideale per un’opera, si era gettato nella stesura del libretto. Qualche anno prima (1752) allo scoppio della “querelle des buffons” che aveva opposto i fautori dell’opera francese (di cui era espo- Iphigénie en Aulide Il Giornale dei Grandi Eventi La genesi dell’opera E Gluck conquistò Parigi... nente principale Rameau) contro i fautori dell’opera italiana (rappresentata dalla Serva padrona di Pergolesi), du Roullet aveva difeso la lingua francese, ponendosi in polemica anche con Rousseau il quale era schierato dalla parte dell’opera italiana. del “Mercure de France”: «Potrei giustamente essere rimproverato e dovrei rimproverarmi da me stesso molto gravemente se dopo aver letto la lettera elogi che egli mi fa». Dopo aver lodato Calzabigi, il suo primo, importante collaboratore, Gluck criticò la lingua italiana a vantaggio di quella francese e scrisse: «Questa è la ragione perché io non faccio uso dei trilli e dei passaggi fioriti, né delle cadenze di cui gli Italiani sono tanto prodighi. Il loro Guardando Parigi idioma che si presta volentieri a tutto La conquista di ciò, non mi offre alParigi fu pianificacun vantaggio sotto ta con particolare questo punto di viattenzione, avsta. Ne avrà senza viando una mirata dubbio degli altri e campagna stampa. molti; ma, nato io Du Roullet scrisse in Germania, per ad uno dei direttoquanto abbia potuto ri dell’Opera di studiare l’italiano e Parigi, il cavaliere il francese non creAntonio d’Auvergne una lettera Sophie Arnould, prima interprete di Iphigenie in do mi sia possibile apprezzare le deliaperta (pubblicata un busto di Jean Antoine Houdon cate distinzioni che il 1° ottobre 1772 possano rendere l’uno sul “Mercure de France”) inviata di qui ad uno dei preferibile all’altro e penin cui asseriva che direttori dell’Accademia so che ogni straniero doGluck era indignato per Reale di Musica il cui tevrebbe astenersi dal giul’asserzione di un famoma è l’opera Iphigénie e dicare fra i due. Ma ritenso letterato (Rousseau) che venne pubblicata nel go debba essermi permesa proposito della man“Mercure de France” so di dire che il linguagcanza di musicalità deldello scorso ottobre; se, digio che mi converrà di più la lingua francese. co, dopo aver espresso alsarà quello in cui il poeta Iphigénie en Aulide, sol’autore di essa la mia graè in grado di offrirmi i steneva ancora du titudine per le lodi che mi mezzi più variati per Roullet, sarebbe stata la ha prodigato, non mi afesprimere le passioni. Tarisposta a questa accusa frettassi a dichiarare che le è il vantaggio che mi infondata. la sua amicizia ed una pare di aver trovato nelle La lettera del collaboraprevenzione troppo beneparole dell’opera Iphigétore spianò la strada a vola lo hanno fatto eccedenie la cui poesia mi parve Gluck che il 1° febbraio re ed io sono bel lungi dal1773 scrisse al direttore l’illudermi che merito gli avere tutta l’energia ne- Gluck presenta a Maria Antonietta l’Iphigénie en Taurine cessaria per ispirarmi della buona musica». Il dibattito sul giornale suscitò naturalmente un notevole interesse. Gluck in persona – trasferitosi a Parigi nel novembre 1773 - sovrintese alle prove scontrandosi anche con le proteste dei cantanti irritati dalla fatica delle lunghe sedute e non sempre convinti della loro parte. Sophie Arnould, ad esempio, si lamentava continuamente che nella sua parte (Ifigenia) fossero troppi i recitativi in rapporto alle arie. La “Prima” La sera del 19 aprile 1774, quando l’opera di Gluck e du Roullet debuttò all’Accadémie Royal de Musique a Parigi, c’era intorno all’evento un’enorme attesa. «Ma il pubblico – si legge sulla “Gazette de Politique et de Littérature” – ha mostrato più impazienza per una novità; le prove sono state ricercate e seguite con straordinaria sollecitudine; gli amatori sono già divisi e il calore che accende prematuramente i partiti sembrerebbe annunciare il rinnovarsi della piccola guerra musicale che i buffi italiani sollevarono nel 1751». Fu un successo strepitoso, come testimoniò una settimana dopo Maria Antonietta in una lettera alla sorella Maria Cristina Josepha: «…grande trionfo, mia cara Cristina! Il 19 ebbimo la prima rappresentazione dell’Iphigènie. Ne fui rapita e ormai non si parla d’altro. Come risultato di tale avvenimento, tutte le teste sono in ebollizione; pare incredibile vi sono dissensi e dispute, come si trattasse di qualche controversia religiosa». Inizia così per Gluck una stagione parigina destinata ad aver il suo culmine 5 anni dopo (1779) con l’Iphigénie en Tauride. Roberto Iovino Il Giornale dei Grandi Eventi I Iphigénie en Aulide 7 L’analisi dell’opera Le tensioni preromantiche di Agamennone l teatro di Gluck si inserisce in quella corrente “neoclassica” che segnò profondamente l’intero melodramma del secondo Settecento. Eroi tratti dai grandi miti o dalla storia antica animano partiture nelle quali, tuttavia, nell’ostentare il rispetto per il fato, tradiscono anche debolezze che li rendono diversi, anticipatori, magari inconsapevoli, di una rivoluzione ormai prossima a consumarsi con il secolo nuovo. Iphigénie en Aulide è un capolavoro drammaturgico e musicale perché riesce a combinare magnificamente la tradizione con l’esigenza di rin- Christoph Willibald Gluck novamento. Nel suo libretto in tre atti («Divisione che mi pareva la più favorevole al genere che esige una grande rapidità d’azione», osservò lo stesso librettista) du Roullet si è ispirato alla tragedia di Racine a sua volta tratta dal mito narrato da Euripide in due grandi tragedie, Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride. Nella sua ver- sione librettistica, du Rollet si concesse diverse libertà. Eliminata la figura di Ulisse, prese notevole spazio la folla (il coro). Abolì pure il personaggio di Eriphyle e inserì invece Calcante, il rappresentante visibile degli dei. Qualche critica ha invece ricevuto l’epilogo con un inaspettato lieto fine: la revoca del decreto di morte da parte della dea Diana che nella stesura originaria viene comunicata da Calcante, mentre in una riedizione del 1775 coinvolge Diana in persona. Non a caso quando a metà Ottocento Wagner revisionò l’opera, mutò il finale fa- cendo rapire da Artemide (Diana) Ifigenia per portarla in Tauride, mantenendo così fede al mito originale. Partitura di grande tensione Al di là dei pregi e dei difetti del libretto, certo è che Gluck ha lasciato una partitura splendida per tensione interna, perfetta coesione formale, incisivo utilizzo delle voci e dell’orchestra. L’elemento più interessante è senza dubbio la fusione tra lirismo italiano e declamazione francese, esperimento che solo un musicista con l’esperienza di Gluck nel teatro italiano, poteva tentare. La struttura prevede 17 arie contro 2 duetti, 1 terzetto e 2 quartetti. La Ouverture è un gioiello. Tenendo fede a quanto espresso nella prefazione all’Alceste («Ho immaginato che la sinfonia debba prevenire gli spettatori dell’azione…»), anche qui il brano introduce nel dramma mescolando un tenue lirismo (Andante iniziale) ad affermazioni più imponenti (Allegro maestoso). L’Ouverture mostra anche un aspetto fondamentale dello stile di Gluck: la sapiente orchestrazione, la concezione di uno strumentale impiegato con fini espressivi, attraverso un acuto utilizzo degli impasti timbrici. Agamennone è il vero, tragico protagonista del dramma. Da condottiero ha accettato di sacrificare la figlia agli dei; da padre è scosso dal dolore e dal turbamento e vorrebbe contravvenire alla parola data. In questo suo atteggiamento sta principalmente quella incrinatura, quella debolezza cui si accennava all’inizio. Il dissidio fra ragion di stato e sentimenti privati entra sempre più nel tardo Settecento nel teatro musicale, incrinando certezze e caratteri monolitici e mostrando un’umanità più variegata, più reale. Le incertezze di Agamennone aprono l’opera con la prima delle tre grandi arie affidategli da Gluck: una pagina di straordinaria bellezza per l’intensità del canto e la sensibilità dello strumentale. L’avvio del suo lamento (Diane Impitoyable) con quel salto ascendente di quinta e il successivo ripie- garsi della melodia, era stato anticipato proprio in apertura della Sinfonia. Ma di brani interessanti se ne ritrovano disseminati molti altri, qua e là nella partitura. Si pensi al monologo di Clitennestra (Atto II) che in un crescendo di emozioni passa da un canto quasi sussurrato, a infernali accessi d’ira. Il quartetto dei protagonisti si completa con Ifigenia, Incisione per l’edizione di Iphigènie en Aulide colta dal mu- di Racine del 1768 sicista nella versificate. Lo troviamo sua purezza e innocenza – quello dei greci -, impiù squisite, attraverso ponente e monolitico un canto che ha sempre (come in “Orfeo ed Euriun respiro morbido, “itadice”), ma lo ascoltiamo liano” nella sua rotonanche delicato, raffinato, dità; e con Achille, tenoa creare atmosfere di re dal timbro acuto, nella preziosa suggestione: è il tradizione francese caso dell’apertura del sedell’”haute-contre”. condo atto affidato alla sezione femminile. E poi Fusione di più forme il coro ha anche la potenmusicali za e la virilità dei soldati che in ampi interventi di Come aveva fatto nelle carattere contrappuntisue principali opere prestico (vengono alla mecedenti, Gluck concepimoria le Passioni bachiasce alcune scene di amne) fanno sentire la loro pio respiro creando voce, accanto a quella un’interessante intersedei protagonisti. cazione di più forme Da segnalare infine il trimusicali. Si può citare, buto pagato alla convenad esempio, il finale del zione francese che esige primo atto, incentrato la presenza di danze alsul grande duetto fra Ifil’interno del teatro musigenia e Achille. Gluck alcale. Gluck inserì un diterna passi di recitativo, vertissement all’inizio del ad ariosi, a momenti sosecondo atto e un diverlistici al duetto vero e tissement alla fine, una proprio ottenendo da vera e propria festa teauna parte una notevole trale. Non si tratta, però, varietà drammaturgica, di “corpi estranei” calati dall’altra una efficace nell’azione in ossequio alrappresentazione emotile ferree regole parigine, va della situazione. ma pur sempre di moIl Coro, si è detto, ha nomenti resi plausibili daltevole importanza nell’azione stessa. l’opera. E Gluck lo tratta con soluzioni molto diRoberto Iovino 8 L’ Iphigénie en Aulide Il Giornale dei Grandi Eventi Il rapporto tra il libretto e la tragedia greca Gluck, quasi duemila e duecento anni dopo Euripide Iphigénie en Aulide di Gluck, rappresentata a Parigi nel 1774, deriva alla sua prima origine da quella di Euripide, datata al 405 a. C., attraverso la mediazione della Iphigénie di Jean Racine (1674: proprio cent’anni prima di Gluck) e nella rielaborazione librettistica, sulla base di Racine, di Marie Fr. Louis Gand Bailli du Roullet detto “Le Blanc”. Ai quasi 2.200 anni dopo Euripide (per la precisione 2.179) vanno aggiunti i 235 che separano noi da Gluck: è importante precisare questo, perché quanto dobbiamo fare adesso è semplicemente mettere la tragedia di Euripide al fuoco del 1774, e non al fuoco del nostro 2009, che sarà compito dell’esecuzione musicale e registica presentataci dal Teatro dell’Opera di Roma. L’Iphigénie en Aulide è sembrata a molti l’opera di Gluck che, attraverso la rielaborazione letteraria moderna, rispetta maggiormente l’origina- Euripide le e il suo lieto fine. E vediamo di precisare i contorni di quest’originale. E’ la tragedia di un drammaturgo settantacinquenne. Le navi dei greci sono radunate nel piccolo golfo di Aulide, di fronte all’Eubea, pronte a salpare per sbarcare dall’altra pare del Mare Egeo, attaccare Troia e recuperare la bellissima Elena, che, sposa di Menelao (che è fratello di Agamennone, capo della spedizione), è fuggita con il principe Paride, figlio del re di Troia Priamo. La dea Artemide (dai latini chiamata Diana) impedisce la levata dei venti, necessari per muovere la flotta, perché è adirata con Agamennone che le ha mancato di rispetto uccidendo alla caccia una cerva a lei sacra: si placherà solo con un sacrificio di sangue, la cui vittima prescelta dovrà essere Ifigenia, figlia di Agamennone stesso e di Clitennestra. L’esercito scalpita e Agamenone, combattuto fra l’affetto paterno e il senso del dovere militare, si decide dello stesso Euinfine a far venire ripide. Gluck ebla figlia da Argo in be a dire una Aulide con il prevolta che prima testo di maritarla di scrivere un’oad Achille. Ma pera tentava di l’inganno viene dimenticare di ben presto scoperessere un musito e Agamennone cista, e questo siè irremovibile: Ifignificava in fongenia lo supplica do che musicista invano, ma poi, era e musicista si sconcertando tutti, sentiva, ma anfinisce per offrirsi che che sentiva vittima al coltello crescere in sé la dell’infelice padre. sensibilità delMa, al momento l’autore di teadella catastrofe, tro. interviene la dea Vista l’imporsottraendo la giotanza da lui data vane, cui sostituiagli affetti e al sce una cerva e la pathos (vicino giovane viene da anche in questo lei trasportata sulal patetico Eurila sponda estrema pide), non fa medel Mar Nero, doraviglia che fosve fra i Tauri dise ammirato e viene sacerdotessa amato dai rodella dea stessa. Iphigènie in un quadro di Anselm Feuerbach mantici sia della Ma questa è poi cantata sulla scena e la prima sia dell’ultim’ora: l’altra tragedia euripivuole emozionalmente Ermst Theodor Amadea, Iphigénie en Tauride, vivace, oltre che verosideus Hoffmann e Rimessa in musica anch’esmile. A questo proposito chard Wagner. C’è, piutsa da Gluck cinque anni vale la pena di leggere tosto, da aggiungere alla dopo (1779). quanto lui stesso scrivevulgata critica su Gluck va nella Préface alla traun fatto raramente mesTragedia non amata gedia, criticando gli auso in luce: la sua immerda Aristotele tori greci che avevano sione nella cosiddetta scelto la versione luttuoTutto il dramma, che “teoria degli affetti” (Afsa, quella del vero sacriviene rappresentato pofektenlehre), che era staficio della fanciulla (li stumo essendo della fine ta già degli antichi (molelenca: Eschilo, Sofocle, della vita di Euripide, è to sensibili psicologicaLucrezio, Orazio “e molritmato da numerose mente alla loro musica e ti altri”) e anteponendo tempeste psicologiche, inclini a disciplinarne quelli del lieto fine: «Ho che portano i personaggi politicamente l’uso per riconosciuto con piacere, a ricredersi continual’effetto potentissimo per l’effetto che ha prodotto mente con vigorosi effetsulla psicologia delle sul nostro teatro tutto quelti drammaturgici. Tragemasse) e si era poi tralo che ho imitato o da Omedia amatissima da tutti i sformata nei moderni, a ro o da Euripide, che il pubblici, antichi e mocominciare da Vincenzo buon senso e la ragione eraderni, non piacque, qualGalilei (fra Cinquecento no gli stessi in ogni secolo. che decennio dopo, ad e Seicento), in un pronIl gusto di Parigi si è ritroAristotele, che ebbe il tuario espressivo degli vato conforme a quello di torto di applicare superaffetti dell’animo: gioia, Atene» (Le ultime parole ficialmente il suo pur dolore, amore, odio, ecc. sono, a mio parere, ingiusto criterio di coerenLa teoria degli affetti cantevoli!...). Del resto la za nel carattere dei permoderna arriva a lambidefinizione del teatro di sonaggi. re il primissimo romantiEuripide come teatro cismo, che poi praticherà Il fatto che la trama euri‘borghese’ è uso costante l’espressione perenne pidea piacesse a Gluck della critica di noi modegli affetti con maggioper la ragione del lieto fiderni. re o minore spontaneità ne andava incontro al Va notato che le grandi senza bisogno di pastoie gusto borghese del publinee della famosa riforteoriche. blico dell’opera, come ha ma drammaturgica di proposto con acume Gluck rientravano non Luigi Enrico Rossi Theodor W. Adorno in solo nella prospettiva Professore emerito un brillante scritto di più della Camerata de’ Bardi di Letteratura greca di cinquant’anni fa: la fiorentina, ma anche nelUniversità di Roma borghesia ama rispecla tessitura compositiva “La Sapienza” chiarsi nella vicenda Il Giornale dei Grandi Eventi I Iphigénie en Aulide 9 Tratti dei personaggi e differenze tra tragedia di Racine e libretto di Du Roullet I tre finali dell’Iphigénie di Gluck l soggetto di Ifigenia – soprattutto in Aulide aveva avuto nell’Europa del XVII e XVIII secolo una larga fortuna con diverse opere in musica oltre trenta - dal Singspiel di Johann Jakob Löwe von Eisenach (Wolfenbüttel, 1661), alle opere italiane di Agostino Bonifacio Coletti (Venezia, 1707), Domenico Scarlatti (Roma,1713), Antonio Caldara (Vienna, 1718), Pietro Alessandro Guglielmi (Londra, 1768). Così Marie FrançoisLouis Gaud Leblanc du Roullet per il suo libretto destinato all’amico Gluck, si rifece – affermando di averla seguita «con la più scrupolosa attenzione» all’Iphigénie di Jean Racine rappresentata nel 1674. Ma in realtà, rispetto a questo testo, Du Roullet elimina il personaggio di Ulisse e quello di Ériphile, la rivale in amore di Ifigenia, innamorata anch’essa di Achille. Un personaggio, Ériphile, tipicamente raciniano, con forti impulsi alternati e sovrapposti di odio, te- sul personaggio di Agamennone, tralasciando – come in tutti gli altri personaggi – l’interesse raciniano per l’analisi psicologica dei sentimenti sfumati, contraddittori, oscillanti tra dubbi e palpitazioni, preferendo l’espressione di conflitti elementari, tratteggiati con chiarezza e vigorosa semplicità. L’Agamennone di Racine è, infatti, molto più affine a un eroe di Metastasio Cratere attico con il mito di Ifigenia che al grande personaggio di Gluck: soffre, dei sentimenti e placare palpita, piange, ragiona con il suicidio l’ira degli sulla triste sorte dei re, dei per sbloccare la bonaccia che impediva alle schiavi dei rigori della navi greche la partenza fortuna e dei discorsi deper Troia (perché anche gli uomini. E’ in fondo un Ériphile si chiamava, in essere debole, che cerca realtà, Ifigenia, ed era lei di sfuggire all’ordine dela vittima designata), evigli dei, della cui barbarie tando così al poeta il rinon è convinto, pensando corso all’espediente della che essi, ordinandogli di metamorfosi di Ifigenia sacrificare la figlia, abbiain una cerva che, se credino voluto solamente metbile ai tempi di Euripide, terlo alla prova. L’Agasi sarebbe presentata asmennone di Du Roullet, surda duemila anni dopo. invece, sin dalla prima Ma Du Roullet nel suo liscena assume, nei conbretto interviene anche fronti della divinità, un nerezza, furore, malinconia e tormento amoroso, che si sciolgono poi solo nel suicidio. Questo permetteva a Racine di arricchire il labirintico fluire atteggiamento di sfida, giungendo ad essere capace, nello sfogo del risentimento verso quell’ordine così ingiusto, di adirarsi sino alla bestemmia. L’Agamennone di Racine è un vinto, e cede con rammarico e sofferenza al volere degli dei; quello di Du Roullet mostra invece il suo carattere di nobile guerriero fino a giunge ad insultare e sfidare Diana, così come il Prometeo dell’inno di Goethe - contemporaneo all’opera di Gluck - si ribella contro l’indifferenza dei numi nei confronti degli uomini. I tre finali Eliminando il personaggio della figlia di Elena e Teseo, Du Roullet adotta un esito più vicino a quello dell’Ifigenia in Aulide di Euripide: Calcante, ispirato, rivela che gli dei, commossi dalla bontà di Ifigenia, dal dolore di Clitennestra e dal valore di Achille, hanno revocato il decreto di morte, sciogliendo i venti. Per la ripresa dell’opera L’autore greco di Ifigenia in Aulide E Il solitario ed incompreso Euripide: primo drammaturgo intellettuale uripide nacque probabilmente intorno al decennio 480-470 a.C., secondo alcune fonti a Salamina; i suoi genitori appartenevano alla classe media ateniese. Il padre, di nome Mnesarco (o Mnesarchide), era proprietario terriero, mentre la madre, Clito, si occupava probabilmente del commercio di ortaggi, almeno in base alle maligne insinuazioni del commediografo Aristofane. Nell’Atene del V secolo, si interessò di filosofia e letteratura, ma della sua vasta produzione teatrale, che viene fissata oggi su un totale di 92 opere, ne sono pervenute a noi solo 17, che diventano 18, se si considera euripideo il Reso. Vinse pochi agoni drammatici rispetto ai trionfi di Eschilo e Sofocle, a dimostrazione di un difficile rapporto con il pubblico dell’epoca. I suoi lavori rivelano un’educazione raffinata e una posizione scettica nei confronti della religione tradizionale. Euripide, per primo, affronta tematiche come il ruolo della donna ed i rapporti sociali tra i contemporanei. Euripide fu mosso dal continuo bisogno di sperimentazione, una tendenza crescente che lo portò a creare strutture drammaturgiche sempre più complesse ed elaborate; i suoi personaggi – anche se comuni - sono spesso forniti di identità differenziate nelle varie ope- re di cui sono protagonisti. Le trame stesse presentano sviluppi inaspettati con l’utilizzo di inedite varianti del mito e si avvalgono di sorprendenti ed appassionanti scene di riconoscimento. Sul palco spesso compaiono personaggi di infimo livello sociale, ignoti alla tradizione, e viene utilizzata la soluzione del deus ex machina, espediente escogitato per risolvere situazioni difficili, che diviene poi motivo di meraviglia e sorpresa per gli spettatori. La leggenda vuole che Euripide componesse i suoi drammi in una grotta di fronte al mare: essa sembra confermare il progressivo allontanamento dell’autore dalla vita pubblica, a causa delle critiche malevole dei contemporanei che non ne apprezzavano lo stile. Nel 408 a.C. Euripide decise di abbandonare Atene e si stabilì, dopo alcuni viaggi, a Pella, in Macedonia, ospite del re Archelao cui dedicò l’omonima tragedia in cui viene narrata la vicenda del personaggio mitico da cui il Re prendeva il nome. Morì nel 406, secondo alcuni, sbranato da cani vendicatori degli dèi offesi. Solo dopo la sua morte, la Grecia lo riconobbe in tutto il suo valore e le sue opere divennero famose. Nel 330 a.C., gli venne dedicata dagli ateniesi una statua di bronzo nel teatro di Dioniso. Liv. Mag. nel 1775 questa soluzione fu modificata: Du Roullet e Gluck fecero intervenire la dea Diana, la quale, scendendo sulla terra, consacra l’amore tra Achille e Ifigenia, conferendo all’ultima scena un maggiore effetto spettacolare. Ma la versione presentata questa volta, adotta il finale rielaborato da Richard Wagner a Dresda fra il dicembre 1846 ed il febbraio 1847 su una versione tedesca del libretto del 1775. L’opera così rielaborata fu rappresentata per la prima volta a Dresda al Königlich Sächsisches Hoftheater il 24 febbraio 1847. Wagner per questa rielaborazione è intervenuto nelle ultime 113 battute: un tuono annuncia la discesa di Artemide (Diana) che appare in scena dichiarando di rinunciare al sangue della vittima, al fine di trasportarla in una terra lontana (Tauride) dove la giovane servirà come sacerdotessa nel suo tempio. Così i venti si levano ed i greci possono partire per un’impresa che s’annuncia sotto i migliori auspici. A. M. d. S. 10 Iphigénie en Aulide Il Giornale dei Grandi Eventi La riforma Gluckiana I Le regole del compositore contro gli abusi di cantanti e librettisti l favore che all’inizio del ‘700 l’opera italiana godeva presso il pubblico europeo non era condiviso dai filosofi, scrittori e letterati. Essi lamentavano che il rapporto tra la poesia e la musica fosse fortemente sbilanciato a favore di quest’ultima. Secondo lo spirito razionalistico della cultura del tempo, l’arte e il sentimento rappresentavano solo forme inferiori di conoscenza e la supremazia della poesia derivava dal presupposto che essa fosse intesa come rivelazione della verità e non più come raffinato esercizio intellettuale, mentre, al contempo, si riteneva che la musica si rivolgesse solo ai sensi ed all’udito in particolare. Del resto, le vicende assurde e incoerenti proposte nei libretti di molte opere, l’indifferenza propria di molti librettisti verso ogni credibilità drammatica, gli arbitrii vocali e scenici dei cantanti non divennero oggetto solo delle critiche degli scrittori, ma anche bersaglio delle ironie di un pubblico allargato, che non era più solo quello dei salotti aristocratici. Nacque addirittura un piccolo filone letterario satirico che si sviluppò fino ai primi decenni dell’Ottocento, uso a mettere alla berlina i capricci delle prime donne, la stolida avarizia degli impresari, la crassa ignoranza di poetastri da strapazzo. Da alcune di queste opere trassero ispirazione i compositori più autoironici per produrre altrettante opere buffe, come avvenne per L’impresario in angustie di Cimarosa. Uno degli autori maggiormente umoristici fu il patrizio veneziano Benedetto Marcello, compositore fra i più ap- quale vengono affermati siddetta Riforma Gluckiaprezzati del suo tempo, alcuni dei caratteri prinna, elaborata dal compoche ne Il teatro alla moda, cipali che alcuni anni una sorta di manuale ad sitore tedesco insieme al usum degli operatori del dopo animeranno la librettista italiano Ranieriforma operata da settore, così raccomanri de’ Calzabigi. Gluck e Calzabigi. dava: «Ai poeti: in primo Gluck, da buon razionaAnche in Francia il tema luogo, non dovranno aver lista e naturalista, rifiuera così caldo da solleletto né leggere mai gli autava il principio edonivare diverse dispute, di tori antichi Latini e Greci, stico della musica e non cui si ricorda in particoimperocché gli antichi poteva concepire l’arte lare quella tra buffonisti Greci e Latini non hanno come un semplice svago mai letto i modei sensi. Pur derni». essendosi adeOppure: «Ai guato per oltre musici. Non dovent’anni di atvrà il virtuoso tività al costumoderno aver me melodramsolfeggiato né matico impemai solfeggiare rante, egli giunper non cader se alla più comnel pericolo di piuta teorizzafermar la voce, zione di una d’intonar giuproposta di sto, d’andare a riforma del metempo, essendo lodramma. tali cose fuori La svolta decisiaffatto dal mova è segnata derno costume». dall’Orfeo ed EuE via dicendo. (1762), ridice Ma la stilettata preceduto da più caustica si un importante Don deve a un letballetto, del Giovanni terato france1761. I principi se, Charles de programmatici Saint Evremond: «Se vo- Sir Godfrey Kneller Charles de Marguetel de Saint Denis della riforma, volti a spogliare lete sapere cos’è de Saint Evremond l’opera italiana un’opera, ebbene dagli abusi con cui cane antibuffonisti, fautori e vi dirò che è uno strambo tanti e compositori l’acontrari all’opera buffa lavoro nel quale si mescovevano immiserita, venitaliana. lano la poesia e la musica e nero poi ribaditi e perDall’Inghilterra era indove il poeta e il composifezionati nell’Alceste vece sopraggiunto un tore, danneggiandosi a vi(1767). Cardine della altro aiuto verso la coecenda, si danno un gran riforma, che Gluck e renza drammatica del daffare per arrivare a cattivi risultati». Calzabigi impostarono teatro, nella persona di seguendo i canoni della un attore di prosa Coerenza tragedia greca, sarà l’ushakespeariano, David nitarietà del dramma, Garrick. Egli aveva degli elementi da raggiungersi teneninaugurato un nuovo Nell’intenzione positiva do presenti alcuni capistile, mirato a creare una saldi. completa illusione di porre un freno ai Innanzitutto, la sinfonia drammatica. Abbandoguasti dell’opera, alcuni d’apertura deve intronando lo stile declamascrittori della prima durre nell’atmosfera torio in favore di una remetà del Settecento, dell’azione; ai cantanti citazione molto più naanimati da uno spirito non deve essere perturalistica e calandosi costruttivo, proposero messo ornare a piacicompletamente nella che la logica del drammento le proprie arie; parte egli coinvolgeva ma e la coerenza dei deve scomparire il tagli spettatori in una scesuoi elementi costitutigliente divario fra recina di vera vita vissuta. vi, dovessero porsi in tativo e aria. La diffeprimo piano. renza fra recitativo e La riforma gluckiana Il più efficace assertore aria viene fortemente del melodramma di questo indirizzo fu attenuata grazie all’utiFrancesco Algarotti, aulizzo del recitativo acIn questo fermento cultore del Saggio sopra l’ocompagnato, molto più turale si inserisce la copera in musica (1755), nel simile all’aria. Il rischio di un’opera che procede a pezzi rigidamente chiusi viene scongiurato grazie alle scene più ampie, nelle quali si integrano più forme l’una nell’altra, in quanto esse faranno parte di un’unica dimensione musicale, costantemente espressiva e condizionata dalla parola. L’azione non deve essere interrotta ed il coro assumerà nuovamente una funzione di personaggio, come nella tragedia greca; le danze saranno inserite solo nei casi in cui esse siano indispensabili. I mutamenti di scena devono essere limitati al minimo e l’orchestrazione assumerà una funzione espressiva ed indipendente dal ruolo di accompagnamento del canto. Infine, la situazione scenica deve rispondere a verosimiglianza con un’azione rapida e incisiva, senza dispersioni. La riforma, contraria ai costumi dell’epoca, fu accolta a seconda dei casi con diffidenza, rancore o indifferenza. In Francia si scatenò un’accesa querelle fra i sostenitori di Gluck e quelli dell’opposta fazione, che si riconoscevano in Piccinni, santo patrono dell’opera buffa. Tuttavia bisognerà aspettare Cherubini, Spontini e addirittura Berlioz perché la lezione di Gluck sia compresa a fondo e praticata. La sua riforma, al di là dell’aspetto musicale, è riflesso di un mutamento di ordine filosofico. Come la tragedia greca, l’opera in musica riformata tende a offrire al pubblico quella consolazione purificatrice, “catartica”, che scaturisce soltanto da una partecipazione diretta all’azione drammatica. Andrea Cionci Il Giornale dei Grandi Eventi N 11 Il compositore nel contesto europeo Gluck, ritratto d’autore el suo lucido libro “Gluck e Mozart” (Einaudi, 1975), Paolo Gallarati sostiene a ragione che la figura di Gluck deve ancora trovare nella storia della cultura settecentesca una collocazione precisa. Grande protagonista del teatro, fu il primo musicista ad affrontare sia l’opera italiana che l’opera francese. E se è vero che il teatro italiano era “internazionale” e aveva coinvolto firme straniere (pensiamo ad Hasse, a Johann Christian Bach, a Haendel); è anche vero che fino ad allora quello francese aveva avuto un respiro strettamente nazionalistico, la tragédie-Lyrique aveva costituito un genere limitato ai musicisti francesi, proprio per lo stretto legame con la lingua e con la tragedia classica di Racine, Corneille, ecc. Altro sarebbe accaduto con il grandopéra, il primo autentico spettacolo europeo di marca francese che, non a caso, avrebbe coinvolto artisti di ogni nazionalità (compresi Verdi e Wagner). Quando Gluck si decise al- L Iphigénie en Aulide la conquista di Parigi lo fece con la consapevolezza di rischiare una battaglia sul campo nemico: non portò l’opera italiana, come sarebbe stato lecito attendersi, ma si rifece alla tradizione e alle regole francesi. Artista deciso, insomma, con le idee chiare e uno stile che ancora oggi è difficile etichettare, oscillante fra un intellettualistico illuminismo e un passionale preromanticismo, contaminato dalle letture “Sturm und Drang”. Nell’Ottocento ha prevalso naturalmente l’idea di un Gluck anticipatore del romanticismo. Oggi questa rilettura appare più discutibile. Probabilmente Gluck è stato un figlio del suo tempo, è cresciuto in uno spirito razionalista, ha guardato al teatro con atteggiamento critico e la sua attività riformista è nata dall’esigenza di restituire al teatro quella semplicità di espressione e quella chiarezza formale che i barocchismi avevano compromesso. Nello stesso tempo non fu naturalmen- te insensibile alle nuove istanze che stavano animando il mondo artistico e culturale. E’ innegabile che la letteratura nel suo tempo stava imboccando strade nuove, tese verso un approfondimento dell’animo umano, scandagliato nelle sue più profonde passioni. Si fronteggiavano allora correnti diverse. C’era sì lo Sturm und Drang che parlava il linguaggio del cuore, ma era in auge il neoclassicismo che guardava con rinnovato spirito costruttivo alla cultura antica, spinto dalle teorie e dagli scritti di Winkelmann. E Klopstock era l’esponente della corrente del pietismo, movimento di fede che puntava sull’emotività spirituale. Le sue tante idee sul teatro E’ interessante notare che forse nessun musicista, prima di Wagner, ha lasciato così tanti scritti per esporre le proprie idee intorno al Teatro, come ha fatto Gluck. A parte la nota Prefazione all’Alceste (della quale si parla in un altro articolo), Gluck ha scritto lettere ai giornali e lasciato appassionate testimonianze tese a spiegare le ragioni delle sue scelte. Un atteggiamento indipendente che lo ha portato ad essere un rivoluzionario e, insieme, un restauratore del teatro settecentesco. Il suo rapporto con l’opera italiana e con l’opera francese, infatti, è stato di segno quasi opposto. Quando a Vienna, con il fidato Calzabigi, mise mano al teatro italiano, questo sovrabbondava di barocchismi, di eccessi virtuosistici, di ornamenti che lo rendevano pesante e ridicolo. Gluck lo sottopose dunque a una sorta di “cura dimagrante” cercando di ricondurlo all’antico rigoroso rapporto musica-testo predicato addirittura dai fiorentini della Camerata Bardi. Semplificazione della scrittura vocale, ampliamento del respiro delle singole scene e riduzione del loro numero, maggiore integrazione delle forme chiuse. Ne sortì un teatro rinvigorito nei suoi aspetti drammaturgici, nuova- mente capace di raccontare e emozionare. L’opera francese, al contrario, si era “rinsecchita”, incapace nel tempo di liberarsi del declamato di Lully, ancorata alla parola ed a consuetudini ormai “retro”. E Gluck optò per una “cura ricostituente”, dando respiro alle linee melodiche, immettendovi quel che aveva appreso nell’opera italiana, giustificando drammaturgicamente i balletti, riorganizzando coerentemente l’intersa struttura. Il tutto con il coraggio di un artista sempre pronto ad andare contro corrente per conseguire i propri obbiettivi: «E non v’è regola d’ordine – aveva scritto nella Prefazione all’”Alceste” - ch’io non abbia creduto doversi di buona voglia sacrificare in grazia dell’effetto....». Roberto Iovino Il luogo della prima esecuzione L’ Académie Royale de Musique ora Opéra National de Paris a prima rappresentazione dell’ Iphigénie en Aulide si tenne a Parigi il 19 aprile 1774 presso l’ Académie Royale de Musique, teatro che dopo la ristrutturazione ottocentesca ha assunto l’odierno nome di Opéra National. Il primo teatro fu fondato nel 1669 - in risposta all’ Académie Royale de Danse e con il fine di rappresentare opere composte su modello di quelle italiane - per volere di Jean-Baptiste Colbert, primo ministro del Re Sole, il cui impegno fu, tra l’altro, dedicato ad accrescere la ricchezza culturale della Francia, che faceva del bello e dell’eleganza il proprio simbolo. Il teatro venne inaugurato nel 1672 con il pastorale in un prologo e 5 atti Pomone – opera che aveva debuttato il 3 marzo dell’anno pri- ma, sempre a Parigi, al Jeu de Paume de la Bouteille musicato da Robert Cambert su libretto Pierre Perrin, i quali insieme avevano ricevuto da Luigi XIV il privilegio di allestire quello spazio teatrale. Avendo come unica risorsa finanziaria i proventi dei biglietti (a differenza della Comédie-Française o del Théâtre de la Comédie Italienne che godevano di sovvenzioni reali), l’Accadémie acquisì il privilegio in esclusiva di rappresentare spettacoli d’opera in tutta la Francia. Nel 1672, dopo il fallimento di Robert Cambert e di Pierre Perrin nella gestione del teatro, Luigi XIV affidò la direzione al compositore di origine italiana Jean- Baptiste Lully (Firenze 1632 – Parigi 1687) – già dal 1661 suo Sovrintendente di Musica - il quale, fino alla sua morte otterrà in quel teatro grande successi. Incaricata di diffondere l’opera francese, non solo a Parigi ma attraverso la realizzazione di spettacoli itineranti anche in altre città del Regno, l’istituzione prese, via via, nel linguaggio comune, il nome di Opéra. Tra il 1713 e il 1875, per le sue rappresentazioni l’Académie d’opéra cambiò luogo ben tredici volte, soprattutto a causa dei numerosi incendi. Durante la Rivoluzione fu trasformata in Theatre des arts. Nel 1875 al suo posto venne inaugurata – su progetto dell’architetto Gamier – la nuova Opera National de Paris, voluta da Napoleone III per celebrare la grandiosa fastosità del Secondo Impero. Il teatro mescola ora diversi stili architettonici, dal classico al barocco, con una facciata ricca di colonne, sculture e fregi. Qualcuno lo definisce una grossa torta nuziale, per via dell’opulenza della sua struttura, della sua cupola, arricchite dallo sfarzo delle decorazioni. Era abitualmente frequentato dall’alta borghesia parigina, che lì si incontrava per assistere alla grand opéra, il tipico spettacolo lirico francese, caratterizzato dalla grandiosità delle scene, dal numero dei personaggi e dei professori d’orchestra. Oggi, posta sotto la tutela del Ministero della cultura francese, l’Opéra National de Paris è un teatro pubblico che ha lo scopo di divulgare e rendere accessibile il patrimonio lirico e coreografico. Dispone di due sale, una per gli spettacoli di danza e l’altra per l’opera, anche se dal 1991 vi si rappresentano essenzialmente solo balletti, poiché il melodramma è in cartellone al nuovo teatro dell’Opéra Bastille, realizzato nel 1990 dall’architetto Ott. L. Ma. 12 G Iphigénie en Aulide Il Compositore Christoph Willibald Gluck, musicista poliedrico e riformatore luck in tedesco significa fortuna, sorte, prospettiva. Probabilmente l’arte di Christoph Willibald Gluck, eclettico compositore nato nel 1714 a Erasbach, piccola cittadina della Baviera, è stata in qualche modo influenzata e protetta dal positivo significato del suo cognome, noto tra l’altro a molti non musicisti per essere a lui intitolata la via milanese alla quale Adriano Celentano dedicò una celebre canzone. Fin da piccolo portato verso la musica (imparò a suonare organo, violoncello, clavicembalo e violino presso il collegio dei Gesuiti), Gluck ricevette un’accurata istruzione prima a Komotau e poi a Praga, dove proseguì gli studi musicali e frequentò l’università. In quegli anni (1733-34) la musica era comunque il suo interesse principale e l’occupazione cui dedicava la maggior parte del suo tempo, anche professionale: si impegnò infatti come maestro di canto, suonatore di organo nelle chiese ed infine come musico da camera del principe Lobkowitz a Vienna (1736), dove tra l’altro conobbe Francesco Melzi d’Eril. Costui, che divenne ben presto suo amico e protettore, lo portò a Milano (1737 – 1740) e lo affidò alle cure musicali del maestro Giovan Battista Sammartini, conosciuto soprattutto nel campo della musica strumentale. Nel 1741 andò in scena a Milano la prima opera lirica del giovane Gluck, Artaserse, su libretto di Metastasio che ebbe un buon successo di pubblico: a quest’ottimo esordio fecero seguito circa una decina di successivi lavori, che gli conferirono una discreta fama. Non altrettanto fortunata fu la sua prima uscita teatrale a Londra, dove si era trasferito nel 1745: qui infatti il suo La Caduta dei Giganti (1746), opera frettolosamente composta, ebbe scarso successo. Il periodo trascorso nella capitale britannica fu, comunque, molto importante per il compositore tedesco: qui ebbe infatti la possibilità di conoscere Haendel, da cui rimase assai colpito e influenzato. Nel 1750, dopo il grande successo del suo Ezio a Praga, Gluck si sposò con Marianna Pergin, figlia di un ricco banchiere: un matrimonio che, liberandolo dalle preoccupazioni economiche, gli consentì di dedicarsi esclusivamente alla musica. Nel 1752 Gluck tornò a Vienna, dove ricevette l’incarico di “maestro di cappella” del teatro musicale di Corte e fu precettore della giovane Maria Antonietta, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di Francesco Stefano di Lorena, che diverrà poi Regina di Francia. Qui conobbe Giacomo Durazzo, direttore di due teatri cittadini e personaggio noto ed apprezzato negli ambienti intellettuali ed operistici. In questi anni, per la rappresentazione di alcune sue nuove opere, Gluck tornò in Italia, prima a Napoli per La clemenza di Tito (1752) e poi a Roma per l’Antigone (1756). Nella Città Eterna il papa Benedetto XIV lo nominò, tra l’altro, cavaliere dello Speron d’oro. Tornato a Vienna, la sua opera si arricchì della produzione di alcune opere comiche francesi - tra esse L’isle de Merlin e Le faune esclave, entrambe del 1758, l’Arbre enchantè (1759), L’ivrogne corrige (1760) e Le cadi dupé (1761) - e della collaborazione con il ballerino e coreografo Gasparo Angiolini, con il quale firmò il balletto Don Juan (1761). Grazie a questo lavoro, Gluck conobbe il librettista Ranieri de’ Calzabigi, con cui pose in essere la cosiddetta “riforma gluckiana”, volta soprattutto a dare nel melodramma maggior rilievo e precisione al testo, soprattutto quanto alla sua verosimiglianza, e al ruolo dell’orchestra, contenendo i vezzi dei cantanti. Negli anni successivi, sempre in collaborazione con Angiolini e Calzabigi, Gluck produsse in rapida successione Orfeo ed Euridice (1762), Alceste (1767) e Paride ed Elena (1770). L’amicizia con il marchese Francoise Le Blanc du Rollet, lo introdusse in Francia dove mise in scena l’Ifigenia in Aulide (1774) su libretto di le Blanc tratto da un lavoro di Racine. Gluck ottenne un enorme successo così come altrettanto apprezzati furono Alceste (1776) ed Ifigenia in Tauride (1779). Diversa fortuna toccò, però, poco dopo all’Echo et Narcisse (1779). Sconfortato per questo insuccesso e colpito da un attacco apoplettico, Gluck tornò a Vienna dove, ossequiato e continuamente visitato da principi ed artisti, trascorse gli ultimi anni della sua vita fino alla morte nel 1787. D Il Giornale dei Grandi Eventi Il Librettista Marie-François Leblanc du Roullet i famiglia nobile, diplomatico presso l’ambasciata francese a Vienna e uomo di grande cultura, il marchese MarieFrançois-Louis Gand-Leblanc du Roullet nato a Normanville nel 1716, scrisse il libretto dell’Ifigenia in Aulide, lavorando sul testo della tragedia di Racine (il quale a sua volta lo aveva tratto da Euripide) e lo consegnò a Gluck nel 1772 affinché lo musicasse, essendo rimasto assai attratto dalle idee riformatrici del musicista tedesco. Successivamente, sempre per Gluck elaborò il libretto di Alceste (1776). Coetaneo di Gluck, Le Blanc Du Roullet, fu dapprima ufficiale dell’esercito francese e nell’Ordine di malta arrivò a rivestire il grado di balì conventuale. Uomo di carattere amabile e di grande spirito, lavorò a Vienna in qualità di Addetto all’Ambasciata di Francia, dove conobbe Gluck e lo incoraggiò a recarsi a Parigi. Aveva a lungo frequentato la casa di Le Riche de La Pouplinière, un mecenate che aveva speso gran parte della sua ricchezza per la musica e le arti in genere. Insieme a lui si intrattenne con la creme della cultura parigina dell’epoca, tra cui numerosi filosofi, che spesso criticavano aspramente la tradizione della tragedia lirica francese, sostenendo tra l’altro che il francese non fosse lingua adatta ad essere cantata (posizione questa espressa più volte da Rousseau). Profondo conoscitore di entrambi i punti di vista, Du Roullet scelse quindi di creare un libretto dall’Ifigenia in Aulide di Racine, sia per dimostrare che gli oppositori dell’opera lirica avevano torto quanto alla tradizione francese, sia per rivitalizzare un filone artistico che in quegli anni non stava attraversando un momento facile. Altre sue opere sono: Les Effets du caractère, una commedia in versi ed in 5 atti rappresentata senza successo al Théâtre-Français e non andate alle stampe ed anche Lettre sur les drames-opéras (Parigi 1776); l’opera Les Danaides (1784) musicata da Salieri. Ha preso parte a Mèmoires pour servir à l’histoire de la révolution opérée dans la musique per Gluck (1781). Morì a Parigi il 2 agosto 1786. N L’autore della tragedia teatrale Jean Racine ei suoi sessant’anni di vita (La Fertè Milon, Valois 1639 – Parigi 1699) Jean Racine ebbe due grandi passioni: la fede religiosa giansenista, trasmessagli dalla famiglia e la cultura greca antica, che apprese studiando - favorito dalla nonna - con eminenti ellenisti. Il trasferimento a Parigi presso l’istituto religioso PortRoyal per seguire studi filosofici, influì molto sul giovane Racine, che nella capitale francese venne a contatto con il teatro, per allontanarlo dal quale, nel 1661, la sua famiglia gli impose di andare a studiare teologia ad Uzés. Qui completò la sua educazione ed iniziò a scrivere testi. Strinse amicizia con La Fontane, Boileau, Molière. Nel 1664 quest’ultimo rappresentò la sua prima tragedia Tebaide o i fratelli nemici e l’anno seguente Alessandro il Grande. La sua fama è dovuta principalmente alla composizione, per il teatro, di tragedie classiciste, concentrate sull’animo e sulle pulsioni dei pochi personaggi in scena, le cui vicende sono quasi sempre dominate dalle passioni e da un profondo pessimismo, espressi comunque in forma poeticamente fluida e musicale, sempre nel rispetto di regole teatrali e metriche proporzionate e severe. Fu anche dal 1677 storiografo ufficiale della corte francese (incarico da cui si dovette dimettere – ritirandosi a vita privata – nel 1679 forse a causa di uno scandalo di corte) ed autore di opere didattico-religiose. Tra i suoi lavori più noti l’Ifigenia in Aulide (1674), dalla quale circa un secolo dopo Gluck e Leblanc Du Rollet trassero l’omonima opera lirica. Nel 1691 scrisse e mandò in scena la sua ultima opera, Atalia. In totale produsse 12 lavori teatrali, 11 tragedie ed una commedia Les Plaideurs, rappresentata nel 1668 ed ispirata alle Vespe di Aristofane Gli ultimi anni di vita li trascorse, con la moglie e i figli, a Parigi, dove morì il 21 aprile 1699. Per sua espressa volontà fu sepolto a PortRoyal des Champ, antico convento cistercense a sud ovest di Parigi, famoso per la comunità religiosa di orientamento giansenista. Pagina a cura di Cristina Di Giorgi Il Iphigénie en Aulide Giornale dei Grandi Eventi S 13 Iphigénie ed il suo compositore protagonisti di una novella Hoffmann e il Cavaliere Gluck econdo il giudizio illuminante del critico fiumano e poi italiano - Ladislao Mittner, eccelso germanista e grande conoscitore della cultura mitteleuropea, Gluck è il primo ad infondere una voce nella statua greca, il primo a trasformare la bellezza classica da oggetto museale, perfetto ed immutabile emblema del passato, in un qualcosa di vivo e palpitante. Egli tratteggia i propri personaggi con una ricchezza di sfumature inconsueta per l’epoca e, pur rispettando sostanzialmente i canoni estetici razionalisti, porta sulla scena in maniera semplice e diretta la verità delle passioni umane. Il carattere innovativo dell’esperienza gluckiana non sfugge ad Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann (1776 – 1822) il quale, nel suo tentativo di dar forma all’opera romantica tedesca, accanto al modello di Mozart, con particolare riferimento alle atmosfere luciferine del Don Giovanni, ha ben presente la lezione del compositore di Erasbach. Nella sua ottica, Gluck diviene quasi un pionie- sco, emblema indiscusso del classicismo, acquista tratti inquietanti e ultraterreni, venati da aspetti spiccatamente caricaturali. Il misterioso personaggio nasconde le proprie vesti all’antica sotto un mantello dalla foggia moderna, per dissimulare la propria identità. La sua condanna è quella di aggirarsi in un mondo non suo, la Berlino di Hoffmann, in un’epoca che non gli appartiene. Egli, come l’Olandese volante, è un fantasma destinato a vagare in eterno in attesa della redenzione. La sua colpa risiede nell’aver svelato agli uomini i segreti dell’immaginazione, nell’aver profanato la propria arte offrendola a chi non la poteva capire. La solitudine dell’artista, il contrasto fra il desiderio di essere accettato e l’inevitabile incomprensione della società, è un tema che ritroveremo pressante anche in Wagner. All’inizio del racconto l’apparizione improvvisa del cavaliere Gluck al Tiergarten assume i caratteri del fantastico; egli si avvicina ai musicisti di un caffè e subito le note dell’ouverture dall’Iphigénie en Nudo di donna e pianista di Johann Heinrich Fussli re del sentire romantico, un esempio sul quale basare il proprio progetto di riforma degli schemi operistici tradizionali. Non è un caso che l’esordio letterario di Hoffmann avvenga proprio con il racconto Ritter Gluck, a testimoniare un’ammirazione ed una stima innegabili. Nelle sue pagine la figura del compositore tede- Aulide risuonano nell’aria, provocando nel misterioso personaggio una sorta di trasfigurazione. Con grande arguzia e senso critico, Hoffmann individua quindi nell’Iphigénie un punto di svolta nella produzione del compositore, il momento in cui le immagini scolpite nel marmo si colorano di un’accatti- mente un folle ossessionato vante umanità, l’attimo nel dalla musica del compositore quale la perfezione aulica dei tedesco, non influiscono sul valori classici cede il passo ad valore ultimo del racconto. un’idea nuova di teatro musiUna spiegazione univoca sacale. I protagonisti dell’opera rebbe del tutto fuorviante, esmantengono la propria valenza sendo la narrativa di etica, ma le loro azioni sono Hoffmann giocata su un regipercorse da una tensione inedita che conferisce varietà al percorso drammaturgico. L’influsso di Gluck su Hoffmann compositore è del resto evidente in alcune pagine di Aurora, singolare sintesi fra il mondo arcadico di derivazione settecentesca ed i nuovi impulsi del romanticismo, ad esempio nella densità contrappuntistica modellata sui cori dell’Iphigénie. Tra apparizioni e sparizio- Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann ni improvvise, il misterioso cavaliere Gluck si stro volutamente ambiguo, un presenta di nuovo alla fine del labirinto di specchi nel quale il racconto; il suono della sua volettore è destinato a perdersi. ce attrae quasi magicamente il Ciò che dal nostro punto di vinarratore, distraendolo dal suo sta preme sottolineare è la forza proposito di assistere ad una esercitata dalla personalità di rappresentazione di Armide. Gluck nell’Ottocento, in un’epoDopo averlo condotto in un apca in cui la sua opera è stata forpartamento dall’aspetto insolise più studiata che rappresentatamente vetusto, arredato seta, quello che preme sottolineacondo la maniera antica, il bizre è la sua modernità, il suo ruozarro personaggio esegue al lo imprescindibile negli sviluppianoforte proprio l’ouverture pi successivi del teatro musicadell’Armide, arricchendola di le. Se Hoffmann non è riuscito numerose variazioni che confepienamente a fondare la grande riscono alla musica un aspetto opera romantica, per la quale birinnovato; in preda ad un’irresognerà aspettare l’apporto di frenabile esaltazione, questi Weber, ha però il merito non secanta la scena finale con un’econdario di averne individuato spressione tanto intensa da far le premesse, indicando la via da trasalire lo stupefatto ascoltaseguire. L’influsso dell’Iphigénie en Aulide, e del teatro gluckiano tore, lasciandolo incredulo di in generale, nell’ambito francefronte all’affermazione che egli se ed italiano quanto in quello altri non è che il cavaliere tedesco, è indiscutibile e giunGluck in persona. La particolage fino a Wagner. Il fatto che re sintesi fra realtà ed apparenquest’ultimo arrivò a rimanegza, caratteristica dello stile giarne la partitura in occasione hoffmanniano, trova qui la sua di un allestimento presentato a più compiuta realizzazione. Dresda nel 1847, non può che L’adesione al registro fantasticonfermare il ruolo predomico, secondo il quale il narratore nante svolto da Gluck nella deassiste davvero all’apparizione finizione dei caratteri dell’opedel fantasma di Gluck, o al ra nel corso del diciannovesimo contrario lo spostamento sul secolo. versante realistico, secondo cui Riccardo Cenci lo strano personaggio è sola- Iphigénie en Aulide 14 E Il Giornale dei Grandi Eventi Un classico della letteratura goliardica L’Ifigonia in Culide, dissacrante parodia rano probabilmente i primissimi anni Venti, quando un ignoto gruppo di studenti appartenenti alla Goliardia si mise a tavolino e scrisse, in chissà quanti giorni di duro lavoro, la più dissacrante parodia della tragedia greca di Euripide. Un lungo poema in tre atti, steso in versi perfettamente sillabati, la cui trama si ispira, più che all’originale euripideo, piuttosto alla novella Turandot di Carlo Gozzi. I termini scurrili e le esplicite allusioni sessuali sono presenti in ogni singolo esametro, (con una fantasia stupefacente) appena interrotti dalle didascalie relative all’azione scenica, che invece sono assolutamente serie e credibili. Il contrasto crea inevitabilmente una tensione esilarante, che però può facilmente scandalizzare i lettori più pudibondi. Il titolo stesso fornisce un’idea dell’alta densità derisoria del testo: Ifigonia in Culide. La protagonista, stanca della sua verginità, chiede al padre, il Re di Corinto, di trovarle un marito. Sotto consiglio del Grande Sacerdote Enter O’ Clisma, il sovrano decide che i nobili pretendenti dovranno risolvere un indovinello per ottenere la L’ Cappello da goliardo mano della figlia. Tra questi, il Conte Uccellone di Belmanico, Allah Ben-Dhur, e Don Peder Asta. E qui ci fermiamo. Tra le severissime punizioni cui sono sottoposti i pretendenti esclusi, non la decapitazione ma la partecipazione - fin troppo fisica - del Coro all’azione o l’affidamento alle voglie amatorie dell’elefante sacro “Bel Pistolio”! Del testo originale giunto per via orale, successivamente manoscritto con lacune e perdite, è stata recentemente eseguita un’attenta esegesi che ha preso in esame le varie edizioni comparse. Il poema è un tripudio di gioiosa e ridanciana volgarità, che deve però essere letta e compresa nello spirito goliardico. Infatti, nel suo genere, si tratta comunque di un capolavoro. La Goliardia La Goliardia è stata, per secoli, molto popolare in Italia, (ma anche in altre parti d’Europa), tra le compagnie studentesche, soprattutto universitarie, tutte animate dal gusto per la trasgressione, la ricerca dell’ironia e dello scherzo salace. Il fenomeno ha origine antiche, addirittura medievali, e il suo nome deriva probabilmente dal francese goliard, ovvero seguace di Golia, soprannome del Diavolo od anche di Pietro Abelardo. Filosofo, teologo e compositore, questo contraddittorio personaggio, avversario intellettuale di San Bernardo da Chiaravalle, volta alcuni, appreso ciò che volevano, se ne andavano, recandosi a piedi da Bologna a Salamanca, da Parigi ad Heidelberg, Padova, ecc., ovunque vi fosse un maestro insigne. Nei viaggi vivevano di espedienti, talvolta cantando, rubacchiando, imbrogliando gli sciocchi. Erano i Clerici Vagantes e provenendo dalle file ecclesiastiche, i primi loro canti nacquero dalla “contrafatio”, dalla “revisione” sacrilega, scurrile volgare, dell’innologia sacra latina. Canti che, tra taverne, feste contadine e postriboli, esaltavano i piaceri della vita e si trasformavano spesso in piccoli spettacoli. Nelle università italiane, la “Pietro Abelardo ed Eloisa sorpresi da Fulberto” Goliardia raggiunse il suo in un quadro di Jean Vigaud (1819) massimo splendore nella prima visse nel XII secolo, e conmetà del Novecento ferì rango filosofico allo (quando nacquero le pristile di vita “da osteria”. me congreghe goliardiche Erano tempi duri quelli e con proprie canzoni e temolti spiriti liberi che sti, invadendo poi negli agognavano apprendere anni ’50 le città con manavevano come unica via telli e berretti colorati a sequella di entrare in conconda della facoltà), per vento e prendere gli ordispegnersi alquanto duranni minori al fine di impate gli anni ‘60, dopo che rare a leggere e scrivere e nell’immaginario collettiquindi poter accedere vo studentesco prese preagli antichi testi. Ma tal- potentemente posto - e con risultati molto meno divertenti - l’impegno politico. Attualmente, le maggiori - e in molti casi meno sane - possibilità di divertimento hanno fatto decadere ancor più questa tradizione. La struttura della Goliardia era ed è tuttora fortemente gerarchizzata, all’insegna dello sberleffo irriverente verso le istituzioni più antiche e nobili. Inni, stemmi, titoli roboanti, papiri e pergamene: tutto l’armamentario di antichi feudi, arciconfraternite, abbazie, è riproposto con toni altisonanti e profanatorie citazioni, per ogni città e regione. Così le compagnie, prendono nomi come Placido Ordine della Vacca Stupefatta, Sovrano Ordine Goliardico Clerici Vagantes, Fecondo e Calcinoso Ordine della Cazzuola, Ordine della Chiave. Sembra che la goliardia sia frutto di una naturale reazione chimica, data dall’unione di diversi ingredienti: giovani appena emancipati dall’autorità familiare, una cultura fresca di studi, l’esigenza di annegare nel divertimento le paure del futuro, l’euforia di trovarsi fra coetanei e, soprattutto, abbondanti quantità di vino. Cesare Calamandrei Goliardo e storico della Goliardia Il testo da cui fu tratto il libretto L’Ifigenia in Aulide di Jean Racine Ifigenia in Aulide è una tragedia in cinque atti di Jean Racine che riprende il mito della giovane figlia del re Agamennone. Un lavoro, ispirato all’omonima tragedia da Euripide, rappresentato per la prima volta a Versailles il 18 agosto 1674. La scena si apre con la flotta greca che dovrebbe partire per Troia, ma ne è impedita dalla bonaccia dei venti. La risposta dell’oracolo Calcante, appositamente interrogato, è drammatica: affinché le navi possano salpare, è necessario sacrificare agli dei la giovane figlia di Agamennone. Il re, dopo vari ripen- samenti e discussioni, sceglie di salvare la vita a Ifigenia, promessa sposa di Achille. Il suo progetto viene però rivelato pubblicamente dalla schiava Erifile, segretamente innamorata dell’eroe. Il sacrificio sembra prossimo, ma c’è un colpo di scena: l’oracolo chiarisce infatti che a morire non dovrà essere Ifigenia ma Erifile, che in realtà è di stirpe reale in quanto figlia illegittima di Elena e Teseo ed è stata dai suoi genitori segretamente chiamata come la giovane principessa greca. Nello scrivere il dramma l’autore, profondo conoscitore dei mi- ti e della cultura classica, pur adeguando il testo al suo tempo si rifà a diverse versioni della storia di Ifigenia: le due di Euripide (una dalla conclusione drammatica, in cui la fanciulla viene sacrificata e una dal finale lieto, in cui Ifigenia viene salvata dalla dea Diana che la trasforma in cervo) e quella assai meno conosciuta di Stesicoro. Racine sceglie per il finale quest’ultima, sulla base di due fondamentali regole del teatro del tempo: la beiseance e la vraisemblance, ovvero rispettivamente l’inopportunità di mette- re in scena il sacrificio di un’innocente e la non verosimiglianza della trasformazione di una fanciulla in cervo. Il Giornale dei Grandi Eventi Dal mondo della Musica 15 Oltre 90 opere in cinquant’anni di carriera Giuseppe De Luca, baritono inimitabile N Un volume rende merito al grande cantante romano on molto alto, rotondetto, biondo, con due occhi azzurri che brillavano di intelligenza ed arguzia; questo, in due pennellate, il ritratto di uno dei più versatili e - artisticamente- longevi cantanti del ‘900. Il ponderoso volume edito da Ianieri, «Giuseppe De Luca, baritono inimitabile» di Francesco Sanvitale, con prefazione di Giorgio Gualerzi, raccoglie le note biografiche, artistiche, e la discografia di un artista la cui voce, riprodotta anche tramite le incisioni più antiche, ci offre una lezione di stile lineare ed elegante, nonché di una tecnica vocale altissima. L’incisività della purezza della dizione e l’ampiezza delle sonorità, caratteristiche comuni anche agli altri baritoni romani Battistini e Cotogni, si plasmavano nella voce piuttosto chiara - di De Luca, alle più caleidoscopiche sfumature dell’intenzione. Il volume di Sanvitale, D senza cadute aneddotiche e agiografiche, ripercorre la carriera incomparabile del baritono con una serie di saggi affidati ai migliori esperti del settore come Carlo Marinelli Roscioni, Gianluca Tarquinio, Andreina Manzo, Roberto Rupo. Nell’epoca della specializzazione imperante anche nel repertorio dei cantanti lirici, l’esempio di De Luca dimostra come il sapiente studio possa avverare per le voci maschili un sogno ritenuto quasi impossibile: passare da un repertorio all’altro, da una drammaturgia vocale ad una apparentemente opposta, senza rovinare la bellezza e l’integrità della voce, fino alla soglia dei settanta, e oltre, anni d’età. «Il più grande baritono del XX secolo», come è stato unanimemente definito dalla critica, era figlio di un fabbro ferraio trasteverino. Ebbe una vita normale e tranquilla, senza quelle isterie e quegli ec- cessi che solitamente hanno tanta parte nelle costruzioni dei “miti”. Nacque a Roma nel 1876 ed a otto anni fu ammesso alla schola cantorum di S. Salvatore in Lauro. Ostacolato dal padre, che non vedeva di buon occhio le sue propensioni artistiche, il ragazzo ebbe la fortuna di incontrare il conte Enrico di San Martino Valperga, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, che gli offrì una borsa di studio. A quindi- ci anni entrò nella classe di canto del leggendario maestro Venceslao Persichini, lo stesso che trasmise la sua scienza anche a Checco Marconi, a Titta Ruffo e a Mattia Battistini. Nel 1897 De Luca debuttava come Valentin nel Faust allestito al Teatro di Piacenza. Dopo il successo ottenuto, la sua carriera prese il largo: firmò subito contratti per molte altre opere, tra le quali figurava, nel cast, anche Enrico Caruso. Dopo aver calcato le scene dei più importanti teatri italiani e stranieri, nel 1915, De Luca approdò al Metropolitan di New York, dove non è mai stato dimenticato, al contrario di quanto avvenne in Italia. A tal proposito Giacomo Lauri Volpi, negli anni ‘60, scriveva frasi di tagliente sarcasmo e forse di una certa attualità: «Siamo facili a dimenticare oggi i veri eroi dell’arte. La gente si appassiona più facilmente alla mnemotecnica delle prodezze del calcio. […] La Radio propone indovinelli a tutto spiano e i ragazzi abboccano. Ignorano magari la storia Patria e la geografia dello Stivale ma sciorinano cosa fece e quando nacque un Presley qualunque». La carriera di De Luca, adorna di un centinaio di ruoli interpretati, si chiuse trionfalmente alla Town Hall di New York nel 1947, dopo esattamente 50 anni dall’esordio. «La sua straordinaria versatilità - sintetizza efficacemente Giorgio Gualerzi - si rivelò l’arma vincente grazie a un triplice sostegno: la duttilità dell’organo vocale, tecnicamente addestrato a superare qualsiasi difficoltà di tessitura; l’impeccabile musicalità del fraseggio; la mobilità del temperamento, capace di calarsi nell’acida petulanza di Beckmesser, come nella brillante ed estroversa cordialità di Figaro, nella eleganza cinicamente sorniona del Mefistofele di Berlioz, come nella profonda umanità di Rigoletto». Andrea Cionci Nelle sale cinematografiche le opere in diretta Un palco … al cinema opo lo straordinario successo di pubblico dello scorso anno, con oltre 12mila biglietti venduti, è in corso la 2° stagione lirica Microcinema Digital Network – il primo network digitale italiano - che propone live la grande lirica.. Il cartellone si è aperto il 16 settembre con la prima cinematografica de L’Italiana ad Algeri di Rossini per la regia di Dario Fo. Il calendario degli appuntamenti è proseguito poi con importanti eventi live, fra i quali: La Sonnambula, di Bellini il 15 ottobre dal Lirico di Cagliari; la Carmen di Bizet con la regia di Dante Ferretti l’11 novembre dallo Sferisterio di Macerata; l’Aida di Verdi il 3 dicembre dal Massimo di Palermo e quindi, attesissima come ogni anno, l’apertura del Teatro alla Scala di Milano, che il 7 dicembre ha proposto il Don Carlo di Verdi. Tutto partì dall’Opera di Roma Con la prima proiezione “live”, avvenuta nell’aprile del 2007 in 22 sale cinematografiche italiane, de La Traviata di Verdi nell’allestimento di Franco Zeffirelli, trasmessa in diretta via satellitare dal Teatro dell’Opera di Roma, ha preso il via una campagna per favorire la conversione al digitale delle sale cinematografiche italiane, che oggi sono oltre 70. Il passaggio al digitale, oltre ad incrementare la qualità delle proiezioni e dei contenuti, permette una drastica riduzione dei costi della filiera distributiva. Toscanini sosteneva che ci dovesse essere una sinergia tra tutte le arti derivata dal progresso tecnologico: negli Stati Uniti la NBC Symphony Orchestra venne fondata perché fosse lo stesso Toscanini a dirigerla, utilizzando per la prima volta in modo sistematico l’uso di radio e televisione per le trasmissioni radiofoniche e le registrazioni discografiche. In questo modo milioni di persone poterono ascoltare la musica diretta da Toscanini, che in breve divenne un vero e proprio fenomeno mediatico. Anche prime cinematografiche Oltre alla grande lirica diffusa via satellite in digitale e in alta definizione, la stagione cinematografica 2008 vanta numerose esclusive cinema- tografiche tra cui: Le Tre Scimmie di Nuri Bilge Ceylan, presentato all’ultimo Festival di Cannes, Il Matrimonio di Lorna dei fratelli Dardenne, Machan di Uberto Pasolini, film rivelazione di Venezia 65 e il film d’animazione americano Piccolo grande eroe, per la regia di Christopher Reeve. La prossima opera Il 17 marzo 2009 alle 19,45 La Traviata è in programma in diretta dall’Opéra Royal de Wallonie di Liegi in Belgio. Una nuova produzione con la regia di Stefano Mazzonis di Pralafera e la direzione di Paolo Arrivabeni, da poco nominato Direttore Musicale dell’Opéra Royal de Wallonie. Violetta è Cinzia Forte. Alfredo Germont è interpretato da un giovane tenore di talento Saimir Pirgu che si è esibito in importanti teatri europei tra cui Salisburgo, Vienna, Roma, Londra, Madrid e Berlino. I costumi sono di una giovane stilista belga Kaat Tilley. Nel cast ancora Veronica Simeoni, Giovanni Meoni, Cristiano Cremonini. Il calendario può essere consultato sul sito: www.micrcocinema.eu