Anno XV - Numero 17 - 17 marzo 2009
Questa edizione
Un nuovo allestimento ispirato
a quello della Scala del 2002
A Pag.
2
La storia dell'opera
La prima opera parigina
di Gluck che aprì la strada
alla sua “Riforma”
A Pag.
6
Riforma Gluckiana
Le regole del Compositore
contro gli abusi di cantanti
e librettisti
A Pag.
10
Goliardia
Una dissacrante parodia
divenuta un classico del
repertorio goliardico
A Pag. 14
IPHIGÉNIE en AULIDE
d i C h r i s t o p h Wi l l i b a l d G l u c k
Iphigénie en Aulide
2
A
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Un allestimento che riprende, con modifiche, quello del 2002 della Scala
Il mare protagonista di questa Iphigénie
tre mesi dall’Otello, Riccardo Muti
torna sul podio
del Teatro dell’Opera di
Roma per sette recite dell’Iphigénie en Aulide di
Christoph
Willibald
Gluck. Lo fa affiancato da
Yannis Kokkos, che dello
spettacolo firma regista,
scene e costumi, con il
quale aveva già lavorato
sullo stesso titolo nel 2002
per un allestimento rimasto famoso, se non altro
per essere stato quello
d’inaugurazione della
prima stagione del Teatro
Alla Scala fuori dalla sua
sede storica. Da quell’anno – e fino al 2004 – gli
spettacoli furono spostati
per i lavori di ristrutturazione del tempio della lirica, nel nuovo e moderno Teatro degli Arcimboldi.
Non sarà però il medesimo allestimento, anche se
l’idea di massima rimane
la stessa. Dello spettacolo
milanese sono stati usati
solo la maggior parte dei
costumi. La scenografia
ha dovuto essere rielaborata completamente. Il
palco degli Arcimboldi è
straordinariamente grande e dunque tutto il progetto è stato ricalibrato
per le più ridotte dimensioni del Costanzi. E’ stata quindi modificata l’idea dell’appartenenza di
Ifigenia e Clitennestra alla terra, con le due figure
che sarebbero poi andate
dissolvendosi verso la
dimensione marina dell’allestimento. Kokkos è
greco di origine e francese di adozione e quindi i
temi della tragedia greca
e del mare, ma anche del-
l’opera francese, gli appartengono pienamente.
Per questo allestimento
tutto è stato inserito in
un’atmosfera completamente marittima, in cui
predomina l’idea del
blocco della flotta greca.
Diana, offesa da Agamennone, impedisce alle
navi greche di partire.
Questo aspetto è sottolineato dalle polene raffiguranti proprio Diana
poste sulla prua delle navi, quasi a bloccare la partenza.
Altri aspetti che permeano regia e scenografia e
vengono continuamente
sottolineati, sono il dramma umano di Agamennone, ma anche di Ifigenia e Clitennestra ed il
contrasto forte tra potere
religioso e potere politico, che si contrappongono duramente, senza che
nessuno dei due accetti di
inginocchiarsi di fronte
all’altro. Su quell’ara la
giovane donna, la figlia, è
offerta per soddisfare vana gloria e cupidigia di
potere, miste a fieri doveri dettati dalla ragion di
Stato, che per Re devono
superare affetti e debolezze personali.
Il G iornale dei G randi Eventi
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Andrea Marini
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Kokkos non ha voluto
cercare una attualizzazione, che considera essere
una via troppo facile ed
abusata. Anzi, ha cercato
un approccio storico,
consapevole della distanza temporale – oltre due
millenni – che separa il
Settecento di Gluck dal
mito greco. La sua ricerca
è piuttosto quella di riuscire a parlare al mondo
contemporaneo attraverso il mito antico, che in
fondo era anche quello
che facevano gli antichi
greci utilizzando i medesimi miti.
Il finale di Wagner
L’opera, andata in scena
per la prima volta a Parigi presso l’Accadémie
Royale de Musique il 19
aprile 1774, rappresenta
uno spartiacque nel mondo della musica. Fu la
prima opera francese di
Gluck e sopratutto la prima dopo l’elaborazione
della sua famosa “Riforma” dell’opera seria, che
dettò canoni più rigidi
per sottrarla ai vezzi di
cantanti e librettisti.
Per questa edizione verrà
utilizzato il finale rielaborato da Wagner nel 1847.
Finale che ha avuto una
notevole fortuna nei teatri tedeschi e non solo,
eseguita normalmente in
luogo della versione originale francese fino ad
anni recenti. Nel finale
wagneriano, Ifigenia viene presa con sé da Diana
che decide di farne una
sacerdotessa, mentre in
quello di Gluck la dea acconsentiva finalmente alle nozze di Ifigenia con
Achille. Rimane, dunque,
il lieto fine, ma tutto è più
magico e meno scontato.
Si è voluto, però, conservare il balletto della scena
delle nozze, trasformandolo in una specie di mimodramma, curato dallo
spagnolo Marco Berriel,
che racconta il prologo,
ovvero i fatti - come il
giudizio di Paride ed il
rapimento di Elena - che
diedero origine alla guerra di Troia.
A. M.
Prossimi appuntamenti
Stagione 2009 - Teatro Costanzi
19 - 27 Maggio
18 - 23 Giugno
PAGLIACCI
di Ruggero Leoncavallo
LE GRAND MACABRE
di György Lieti
Stagione estiva - Terme di Caracalla
14 Luglio - 06 Agosto
29 Luglio - 09 Agosto
02 - 09 Ottobre
29 - 06 Novembre
18 - 31 Dicembre
~~
TOSCA
di Giacomo Puccini
CARMEN
di Georges Bizet
PELLÉAS ET MÉLISANDE
di Claude Debussy
TANNHÄUSER
di Richard Wagner
LA TRAVIATA
di Giuseppe Verdi
La Locandina ~ ~
Terme Costanzi, 17 - 29 marzo 2009
IPHIGÉNIE en AULIDE
Tragédie-opéra in tre atti
Libretto Marie François Louis Gand Leblanc du Roullet
dalla tragedia di J. Racine e dal dramma Iphigénie en Aulide
pubblicato da Francesco Allegrotti
nel proprio Saggio sopra l’opera in musica
Musica di Christoph Willibald Gluck
Composizione: Vienna 1771-72
Prima rappresentazione: Parigi, Accadémie Royale de Musique, 19. 4. 1774
Maestro concertatore Riccardo Muti
e Direttore
Regia, Scene e costumi Yannis Kokkos
Finale nella rielaborazione di Richard Wagner
Prima rappresentazione: Dresda, 24.2.1847
Personaggi / Interpreti
Diane (Artemide) (S)
Beatriz Diaz /
Giacinta Nicotra
Alexey Tikhomirov (17, 19, 21, 24, 26 29) /
Luca Dall’Amico (28)
Clytemnestre (S)
Ekaterina Gubanova (17, 19, 21, 24, 26 29) /
Barbara Di Castri (28)
Iphigénie (S)
Krassimira Stoyanova (17,19, 21, 24, 26, 29)
/ Sophie Marin Degor (28)
Achille (T)
Avi Klemberg / Piero Pretti
Patrocle (B)
Mario Cassi / Vittorio Prato
Calchas (B)
Maxim Kuzmin-Karavaev (17,19, 21, 24, 26, 29)/
Riccardo Zanellato (28)
Arcas (B)
Carlos Garcia-Ruiz
Agamemnon (B)
NUOVO ALLESTIMENTO
In lingua originale (francese) con sovratitoli in italiano
~ ~ La Copertina ~ ~
Giambattista Tiepolo - Il Sacrificio di Ifigenia (Part.)
1757 - Vicenza, Villa Valmarana ai Nani
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V
Il
Giornale dei Grandi Eventi
orrebbe essere «un approccio
storico consapevole della distanza che separa il ‘700 di
Gluck dal mito greco», l’allestimento
di questa Iphigénie en Aulide del il
regista, greco di nascita ma francese
d’adozione, Yannis Kokkos. Un’opera, l’Ifigenia di Christoph Willibald Gluck, che torna sul palcoscenico del Teatro Costanzi dopo 55
anni dall’unica edizione proposta,
quella del 1954, diretta da Gabriele
Santini, con Boris Christoff, Franco
Corelli e Marcella Pobbe. Ma in
realtà è la prima volta che questo titolo viene proposto in lingua originale – il francese con sovratitoli in
italiano – senza tagli e con la scelta
Iphigénie en Aulide
del finale riscritto da Wagner nel
1847. Finale che riporta il testo ad
una maggiore aderenza al mito greco della tragedia di Euripide, con
Diana che colpita dalla bontà e dal
senso del dovere di Ifigenia e della
madre Clitemnestra, rinuncia al
suo sacrificio e la vuole come sua
sacerdotessa. Questo nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma, si ispira all’edizione che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala – allora “trasferita” al nuovo teatro degli Arcimboldi per i lavori di
ristrutturazione del vecchio tempio
della lirica – sempre con Kokkos
autore di regia, scene e costumi e
Riccardo Muti sul podio come di-
rettore. Muti che dirige anche in
questa edizione, torna al Costanzi
tre mesi dopo il trionfale Otello che
ha segnato il suo esordio sul palcoscenico romano per un ciclo di tre
opere in tre anni.. Pure parte degli
interpreti (i tre greci ed una greca)
sono gli stessi dell’edizione milanese, anche se il grosso dei cantanti
del primo cast sono giovani d’esperienza, molti dell’est europeo, guidati dalla bulgara Krassimira
Stoyanova (Sophie Marin Degor)
nel ruolo della protagonista,
Alexey Tikhomirov (Luca Dell’Amico) in quello di Agamennone e la
russa Ekaterina Gubanova (Barbara Di Castri) come Clytemnestre.
Una Ifigenia che guarda a Milano
ATTO I – Nell’accampamento
dei greci presso il poto di Aulide,
in Beozia. La flotta greca è in attesa dei venti favorevoli per
salpare verso Troia. La bonaccia è causata dalla dea
Diana che pretende da Agamennone il sacrificio
della figlia Ifigenia, che lui le ha promesso. Il Re di
Micene è angosciato e combattuto tra l’amore paterno ed il dovere di far muovere la flotta greca da
lui comandata. Progetta così di evitare l’arrivo in
Aulide della figlia, facendole credere l’infedeltà del
promesso sposo Achille. Con il Gran Sacerdote
Calcante egli implora poi la divinità di scegliere
un’altra vittima, ma si dice pronto, se Ifigenia giungerà, a sacrificarla sull’altare. Proprio in quel momento al campo arriva Clitennestra, moglie di Agamennone, con la figlia Ifigenia, la quale, alla notizia
dell’infedeltà del promesso, reagisce con rabbia e
dolore. Ma giunge Achille, che subito scioglie l’equivoco e l’atto si chiude con la riconciliazione suggellata da un duetto.
su quell’altare la vuole immolare a Diana. La rivelazione
suscita la collera di Achille e
Clitennestra contro Agamennone, il quale, assalito dai rimorsi, decide di non rispettare il giuramento. Presa la decisione, ordina
ad Arcante di riaccompagnare a Micene la moglie e
la figlia nascondendo questa a tutti.
La Trama
ATTO II – Sempre nel campo. Le donne rassicurano Ifigenia che Achille sarà suo sposo. Tutto è
pronto per le nozze. Mentre Achille invita Ifigenia
da andare con lui all’altare, dove li aspetta Agamennone, l’araldo Arcante, preso dal rimorso li invita a non recarsi all’ara e svela ai due che il padre
ATTO III – Sempre nel campo, all’interno di una
tenda. I greci radunati all’esterno non vogliono
permettere la fuga, perché timorosi della possibile
ira della dea. Ifigenia si rassegna così al proprio dovere ed al proprio destino, mentre Achille tenta di
dissuaderla, proponendole di fuggire con lui. I
Greci continuano ad invocare il sacrificio. Clitennestra, udendo le richieste della folla, invoca per i
greci disumani la punizione di Giove.
Sulla spiaggia dove è posto l’altare – Ifigenia è in
ginocchio sul gradino dell’ara. Achille irrompe in
scena con i suoi guerrieri tessali, mentre i greci fuggono. Egli prende tra le braccia Ifigenia, ma questa
continua a volersi offrire agli dei. Ma, annunciata
da un tuono, si mostra Diana, la quale dichiara di
non desiderare più il sacrificio. Piuttosto, colpita
dal pianto di Clitennestra e dallo spirito sublime di
Ifigenia, vuole la ragazza come sua sacerdotessa,
promettendo di sciogliere i venti verso Troia.
3
Le Repliche
Giovedì 19 marzo, ore 20.30
Sabato 21 marzo, ore 18.00
Martedì 24 marzo, ore 20.30
Giovedì 26 marzo, ore 20.30
Sabato 28 marzo, ore 18.00
Domenica 29 marzo, ore 16.30
L’intervento
Opera
nuova
di Umberto Croppi
Assessore alle
Politiche Culturali del
Comune di Roma
P
er l’Ifigenia di Muti si profila un
nuovo successo
dopo quello ottenuto
dall’Otello nel dicembre
scorso. Del resto anche
l’Aida di Bob Wilson e
The blue planet di Greenaway (questo in prima
mondiale al Teatro Nazionale) hanno registrato il tutto esaurito: la lirica mostra così ancora
d’essere una forma d’arte vitale e sostenuta da
un forte consenso.
Tuttavia non poche ombre si addensano sugli
enti lirici italiani, dovute alla diffusione di altre
forme di spettacolo, che
inevitabilmente distraggono da quelle tradizionali, all’avvento di tecnologie che consentono
di ascoltare musica ad
elevatissima qualità e
surrogano
l’effetto
straordinario della magia di una messa in scena. Soprattutto, però,
sono i costi di tali istituzioni a non passare
inosservati in un momento di grande difficoltà per la finanza pubblica. Dunque, inevitabile interrogarsi sugli
strumenti per ridefinire
la formazione dei costi
dei teatri e su come
mantenere i propri impegni all’interno di bilanci fortemente ridimensionati. Nello specifico del Teatro dell’Opera di Roma si è poi dovuto prendere atto di
un dato negativo difficilmente aggirabile nella chiusura del bilancio
Segue a pag. 4
Iphigénie en Aulide
4
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La gestione del Teatro alla luce dei recenti avvenimenti
T
I
Cosa succede all’Opera?
itoli di giornali, pacifiche dimostrazioni di piazza, voci che rincorrono
se stesse, dichiarazioni e smentite a distanza di poche ore. L’ultimo
mese per il Teatro dell’Opera di Roma sono state giornate di grande
fermento. Il nuovo Sindaco di Roma Gianni Alemanno, per statuto presidente della Fondazione nella quale il teatro è inserito, fin dai primi giorni del
suo mandato ha espresso chiaramente la volontà di rimettere ordine in questa importantissima istituzione che però per tanti anni è stato solo un martoriato, marginale frammento della vita della Città. Il neo Sindaco ne vuole
ricreare il prestigio, l’importanza, non solo sotto l’aspetto storico-culturale,
ma anche di alta rappresentanza per il ruolo che Roma svolge come Capitale d’Italia. Per questo si è voluto rendere conto di persona delle problematiche, ha affrontato le diverse visioni incontrando non solo i vertici, ma anche
i rappresentanti delle maestranze, dei tanti lavoratori di ogni settore. E queste sono ore decisive per il futuro del teatro e forse quando il lettore avrà fra
le mani questo giornale qualcosa sarà cambiato. Il primo cittadino si è imbattuto anche nei bilanci, che a causa dei tagli del FUS (Fondo Unico dello
Spettacolo) presentano un deficit di 8 milioni di euro sia per il 2008 che di
previsione per il 2009. Purtroppo però, L’Opera di Roma, a differenza della
Scala di Milano – che anch’essa soffre – gioca un po’ di rincorsa per una serie di motivi che, è il caso di dire, si mordono la coda: una ancora scarsa immagine dovuta alle agitazioni ed alla conseguente inaffidabilità accumulata
negli anni passati che ha portato difficoltà nel reperimento degli sponsor privati. Sponsor che certo sono più presenti e disponibili in una realtà economico-produttiva come Milano e che da qualche anno le leggi fiscali certo non
invogliano ad investire. Purtroppo poi un legge del governo Dini – il ministro dei Beni Culturali era Walter Veltroni – che nel 1996 volle trasformare
le istituzioni liriche in Fondazioni fu fatta male e di corsa. Troppo brevi i
tempi di transizione, di abbandono a se stesse di istituzioni fino allora praticamente statali, le quali, quasi dall’oggi al domani, si sono trovate a confrontarsi con il mercato, ad autofinanziarsi. E’ vero, alla fine, l’Opera di Roma qualcosa in più ha avuto, stanziato di anno in anno come contributo ad
hoc per il suo ruolo di rappresentanza per la Capitale. Ma è stato poca cosa.
In tutto questo tempo è mancata una sicurezza di bilancio che potesse far
programmare a lungo termine, che permettesse di impegnarsi con i cantanti, magari a tre anni di distanza, come sono di solito “prenotati” gli impegni
degli artisti, con il risultato di doversi ancora oggi accontentare di quello che
resta. Non dimentichiamo il Centenario di Tosca, organizzato in fretta e furia, in forma semiscenica, con una sola recita il 14 gennaio del 2000. Forse
un’opera così importante, ad un secolo esatto dalla sua prima rappresentazione, nella sua città e nel suo teatro avrebbe meritato di più.
Andrea Marini
Continua “L’intervento” da pag. 3
della Fondazione per il 2008 e di un disavanzo ancora più marcato nella previsione
per il 2009, situazione che ha determinato la
necessità di un energico intervento sulla gestione.
Per la Capitale il Teatro dell’Opera rappresenta una delle istituzioni più antiche, prestigiose e significative ed è un elemento costitutivo della sua stessa immagine internazionale, oltre che un fondamentale segmento dell’offerta culturale della Città. Quasi superfluo ricordare che in questo teatro il 14
gennaio del 1900 debuttò Tosca, l’opera romana per eccellenza, che di questa città è
stata - e continua ad essere - straordinaria
ambasciatrice in ogni angolo della Terra. Il
Costanzi è stato anche luogo di sperimentazione e di formazione ed ora continua ad essere il perno di una eccezionale tradizione di
alto artigianato e di specializzazione: scenografia, costumi, impianti scenici, oltre che –
naturalmente – musica, canto, ballo.
Sarebbe un errore negare che il nostro Teatro ha passato anche momenti difficili e che
l Teatro dell’Opera di Roma, come
tutte le altre Fondazioni lirico-sinfoniche, si trova in evidente crisi di
carattere economico-finanziario, sia
per i tagli su parte del finanziamento
statale (F.U.S.) che a causa della grave
recessione economica non è facile sostituire con sponsorizzazioni private,
sia per l’esigenza di riordinare l’attuale disciplina legislativa e regolamentare del settore, ricercando modalità che liberino lo Stato di corresponsabilità finanziarie, dirette o indirette, al di là dei limiti e dei modi di erogazione dell’ammontare del
finanziamento stabilito per legge.
Quanto sopra porterebbe a superare anche false immagini che vengono fatte circolare sugli storici Teatri d’Opera, date da una serie di
valori contradditori che rendono possibili giudizi di affidabilità ed il
loro contrario.
All’attuale crisi finanziaria, il Teatro dell’Opera di Roma, con le sue
componenti artistiche e tecniche, che costituiscono essenziali “soggetti d’istituto” nell’attività dello spettacolo dal vivo, intende rispondere senza ridurre il proprio impegno nel perseguire le funzioni di
carattere culturale, svolte a profitto della comunità.
Così il cartellone principale del 2009 al Teatro Costanzi ed alle Terme
di Caracalla contiene tutti gli aspetti di sviluppo e di crescita del bene culturale “opera” che continua a difendere l’identità italiana e la
sua lingua.
Al Sindaco di Roma, infine, ho confermato la mia disponibilità per la
nomina del mio successore, come avviene nei più importanti Teatri
del mondo, anche in data anticipata alla scadenza del mio contratto.
Lavorare da subito sui programmi 2010-2012, in competizione con i
principali Teatri sul piano internazionale, consentirebbe la realizzazione di progetti che sono sempre influenzati dalle capacità degli autori e degli interpreti, di un maggiore standard di qualità.
Penso che basterebbe la comprensione per l’alto compito della musica e della danza e molta fede nelle non ancora spente forze creative
ed esecutive italiane per impedire che la nostra Nazione, madre di
immortali Maestri e di grandissimi Artisti, sia portata nel campo del
teatro lirico e della danza, ad un inaccettabile decadimento.
il suo rapporto
con la Città si è,
in qualche momento, affievolito; che la base
“popolare” della lirica è sembrata perdere
quell’energia
che nel nostro
Paese ha rappresentato uno
dei principali
fattori di autopercezione.
Qui è il vero
punto che bisogna mettere al centro della riflessione sul futuro dell’Opera: l’impiego di
risorse destinate a questo settore della cultura dovrà essere misurato non sul semplice
conto economico, ma sulla forza espressiva
che questa forma italianissima d’arte saprà
ancora sviluppare e sul rapporto che essa saprà avere con il pubblico ed il territorio.
L’amministrazione capitolina è fattivamente
impegnata a portare il “suo” Teatro fuori
Francesco Ernani
Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma
dalla crisi e verso una nuova stagione di successi. I prossimi mesi dovranno vederci tutti insieme, Comune, direzioni, maestranze,
per fare in modo che l’alto livello della proposta, unito a percorsi forse trascurati ed ad
azioni dirette a rinsaldare il rapporto tra il
Teatro e la Città, facciano vincere questa
scommessa. Azioni che aumentino la conoscenza sulla vasta offerta del “sistema” Teatro dell’Opera, capaci di avvicinare i giovani, di favorire l’accesso e magari una prima
conoscenza a tutti i romani, riportando pure
in platea quanti in almeno una stagione della loro vita l’opera l’hanno amata come arte
viva.
Un invito, quindi, a chi nell’Opera lavora, a
mettere il proprio entusiasmo a disposizione di questa sfida; agli sponsor per proseguire la propria indispensabile, generosa
azione ed ai romani per informarsi, chiedere, stimolare, proporre, perché questi sono
gli ingredienti di cui abbiamo bisogno per
sostenere un impegno che riteniamo doveroso ma che, per la sua entità, ha bisogno di
consenso e verifiche costanti.
Umberto Croppi
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Iphigénie en Aulide
5
Alexey Tikhomirov e Luca Dell’Amico
Krassimira Stoyanova e Sophie Marin-Degor
Agamennone,
padre e Re combattuto
Iphigénie,
figlia rassegnata al
dovere del sacrificio
A
I Bassi Luca Alexey Tikhomirov (17, 19, 21, 24, 26, 29) e Luca Dell’Amico
(28/3) si alterneranno nel ruolo del Re Agamennone.
lexey Tikhomirov Nato nel 1979 in Kazan si è laureato nel 2003
al Kazan Musical College e Kazan Art Institute, dove ha continuato gli studi vocali fino al 2006. Tra il 2004 e il 2006 ha studiato all’Opera Centre, con il quale continua ora a collaborare. Dal 2005 è
solista al Musical Theatre Gelikon-Opera di Mosca. Nel 2006 viene scritturato come Sparafucile con Leo Nucci in una produzione di Rigoletto
della Fondazione Toscanini. Il suo repertorio comprende Rospolone in
La molinara di Paisiello, Zaroastro nel Flauto magico di Mozart, Leporello
nel Don Giovanni di Mozart, il ruolo del titolo nel
Don Pasquale di Donizetti, Basilio ne Il barbiere di Siviglia di Rossini, Re Filippo nel Don Carlos di Verdi,
Monterone e Sparafucile nel Rigoletto di Verdi e diversi ruoli di opere russe. Vasto è anche il suo repertorio di musica da camera.
Luca Dell’Amico è nato a Vicenza nel 1978. Si è diplomato con il massimo dei voti in trombone, organo e composizione organistica al Conservatorio della sua città. Prosegue attualmente gli studi in canto
lirico perfezionandosi sotto la guida di Sherman
Alexey Tikhomirov
Lowe. Ha debuttato nel 2003 in Carmen all’Arena di
Verona, sotto la direzione di Alain Lombard, in Madama Butterfly (Zio
Bonzo) e Le nozze di Figaro (Figaro). Nel 2004 ha interpretato il ruolo di
Don Prudenzio ne Il viaggio a Reims al Rossini Opera Festival di Pesaro.
Nel 2006 è alla Fenice di Venezia per Die Zauberflöte e in numerosi teatri
italiani per La forza del destino, poi, nell’ottobre, ha preso parte alla
tournée in Cina del Teatro La Fenice con La Traviata. Ha vinto il terzo
premio al Concorso Adami - Corradetti di Padova. Il suo repertorio comprende Requiem di Mozart, Messa da Requiem di Verdi, Petite Messe Solennelle e Stabat Mater di Rossini e di Dvorák.
Ekaterina Gubanova e Barbara Di Castri
Clytemmnestre, madre
piangente ma devota agli dei
E
Le voci di Mezzosoprano Ekaterina Gubanova (17, 19, 21, 24, 26, 29) e Barbara Di Castri (28) si alterneranno nel ruolo di Clytemnestre.
katerina Gubanova è nata in Russia nel 1979. A 23 anni è divenuta membro del Young Artists Programme alla Royal Opera House,
Covent Garden, dove ha cantato ruoli quali Suzuki in Madama Butterfly e la Terza Dama in Die Zauberflöte. Il suo debutto giapponese è avvenuto con il Requiem di Verdi diretto da Muti all’Opera di Tokyo. Ha debuttato al Metropolitan Opera di New York nel 2007 come Hélène Bezukhova in Guerra e Pace di
Prokof’ev. Al Salzburg Festival è apparsa come
Terza Dama (Die Zauberflöte – Muti/2005), Flosshilde (Das Rheingold /2006) e Olga (Eugene Onegin
/2007) e in concerto nella Missa solemnis di Beethoven. Nel 2008 è stata Neris (Medée) in una nuova Ekaterina Gubanova
produzione a Bruxelles ed ha cantato nel Requiem
di Verdi a Madrid con l’Orchestra National Spagnola diretta da Muti. In
autunno è tornata a Parigi per interpretare Brangäne.
Barbara Di Castri ha interpretato il ruolo di Mother Goose all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nell’opera The Rake’s Progress ed a Parigi
è stata Arsace nella Semiramide al Théâtre des Champs Elysées. Ha collaborato con direttori quali Gelmetti, che l’ha condotta nella Petite Messe
Solennelle di Rossini; Campanella, Curtis, Gatti con il quale ha collaborato alla produzione di Rigoletto e Boris Godunov al Comunale di Bologna.
Nel 2008 ha cantato Italiana in Algeri al Sao Carlos di Lisbona, successivamente è stata Lola in Cavalleria Rusticana al San Carlo di Napoli,
Alexander Nevskij di Prokof’ev al Comunale di Bologna e Bradamante
nell’Orlando furioso di Vivaldi al Festival di Edimburgo. Sempre lo scorso anno ha cantato nell’Otello al Festival di Salisburgo diretta da Muti.
K
I Soprano Krassimira Stoyanova (17, 19, 21, 24, 26, 29/3) e Sophie MarinDegor (28/ 3) daranno voce alla protagonista.
rassimira Stoyanova è nata in Bulgaria e ha studiato canto e violino al Conservatorio di Plodiv e violino al Conservatorio Russe.
Ha debuttato all'Opera Nazionale di Sofia nel 1995. Ha inizio una
rapida carriera che l’ha vista giovane soprano ospite di rinomati teatri
tra i quali: Metropolitan Opera, Nationaloper Helsinki, Carnegie Hall,
Hamburgische Staatsoper, Royal Opera House Covent Garden ed al
Festival di Ravenna con la Nona sinfonia di Beethoven sotto la direzione
di Riccardo Muti. Dal 1998 in poi è strettamente legata al Wiener Staatsoper dove nel 2004 ha partecipato tra le altre ad una nuova produzione
del Falstaff di Verdi (Alice), seguita da Le nozze di Figaro, Don Giovanni,
Turandot, Pagliacci e Anna Bolena al Carnegie Hall di New York e dal Te
Deum di Bruckner al Musikverein di Vienna. Nel 2005 è stata ospite
come Anna in Le Villi di Puccini alla Wiener Staatsoper, dove è tornata
in Falstaff, un ruolo che interpreterà anche a Dresda. Nel 2007 e ancora a
Vienna con Otello (Desdemona) e con Pagliacci (Nedda) e La Traviata al
Metropolitan di New York e di nuovo Pagliacci alla Deutsche Oper di
Berlino. Richiesta da Placido Domingo, ha partecipato al concerto di
gala in per il suo anniversario a Vienna il 19 maggio 2007. Per l’apertura della stagione 2007/08 ha cantato in Simone Boccanegra e Otello alla
Staatsoper di Vienna e La Boheme alla Staatsoper di Monaco e Dresda.
Nel 2008 è torna al Metropolitan con Les contes d’Hoffmann e Don Giovanni ed a Vienna con Otello e Falstaff.
Sophie Marin-Degor, studente e solista al Maîtrise de Radio-France,
attualmente si perfeziona con Nicole Fallien e divide il suo tempo tra
musica, teatro e danza. La sua esperienza teatrale e operistica è iniziata da adolescente. La sua partecipazione all’Orpheus di Gluck con Marilyn Horne, diretto da Sir C. Mackerras al Théâtre des Champs Elysées,
le ha aperto la porta al repertorio classico. Ha cantato ruoli operistici e
di oratorio barocco (Haendel, Lully, ecc.) così come Mozart, in cui più
tardi si è specializzata. E’ stata invitata a Weisbaden nel 2004/2005 per
interpretare il ruolo di Armide di Glück. Per la stagione 2007/08 ha interpretato Michaela in Bremen and Melisande a Mosca. Ha registrato
Ezio di Gluck al Ludwigsburg festival.
Avi Klemberg e Piero Pretti
Achille, sposo promesso
piegato al volere della Dea
A
I tenori Avi Klemberg (17, 19, 24 e 29) e Piero Pretti (21, 26, 28) saranno Achille.
vi Klemberg dopo gli studi generali entra nella classe di
Maurice Maievsky al Conservatorio de la Ville di Paris. Nel
2002 è ammesso al Conservatorio Nazionale Superiore e nel
2003 vince il Primo Premio al Concorso Nazionale di Béziers. Tra le
sue interpretazioni Camille Roussillon in La vedova allegra a Espace
Reuilly, Beppe nella Rita di Donizetti, Piquillo ne La Périchole. In concerto ha cantato nella Messa di Gloria di Puccini, nel Padre Nostro di
Janacek e nel Faust di Gounod, nella Sinfonia n.9 di Beethoven al Cirque d'Hiver Bouglione. La sua interpretazione di Achille in Iphigénie
en Aulide all’Opéra du Rhin gli è valsa critiche tra le più lusinghiere.
Piero Pretti è nato a Nuoro dove ha iniziato giovanissimo lo studio
del canto lirico sotto la guida del soprano Antonietta Chironi. Successivamente si è iscritto al Conservatorio Pierluigi da Palestrina di
Cagliari. Ha partecipato a vari master di perfezionamento con Renata Scotto, Gianni Raimondi, Giusy Devinu, Claude Tiolass e Gianni Mastino. Ha debuttato nel 2000 nel repertorio di lirico leggero
(Don Pasquale, Elisir d’Amore, Don Giovanni) per poi indirizzarsi verso quello lirico (Jerusalem, Werther, Faust, Rigoletto, Lucia di Lamermoor, La Bohème e Butterfly) cantando in varie città europee.
Svolge un’intensa attività concertistica, sia in Italia che all’estero.
Pagina a cura di Francesco Piccolo – Foto: Corrado M. Falsini
6
D
opo la rappresentazione
a
Vienna di Paride
e Elena (1770), accolta
senza particolari clamori, Gluck sciolse il sodalizio con il letterato Ranieri de’ Calzabigi con
il quale, a partire dall’Orfeo e Euridice (1762)
e passando attraverso
Alceste (1767), aveva dato vita ad una riforma
dell’opera seria italiana.
Riforma fortissimamente voluta dai due artisti,
ma destinata, almeno
sul momento, a rimanere più o meno lettera
morta per la diffidenza
dell’ambiente teatrale
italiano. Di tutto ciò era
ben consapevole Gluck
che, alla soglia dei 60
anni ed ormai famoso
ed agiato, considerava
ormai esaurita la propria azione a Vienna e
guardava con interesse
a Parigi.
Per il suo trasferimento
nella capitale francese,
Gluck poté contare su
alcuni appoggi influenti. Innanzitutto quello
di Maria Antonietta,
ora regina, che era stata
sua allieva a Vienna e
che si adoperò per non
fargli mancare il favore
della Corte. E poi fidato
collaboratore e “stratega” fu l’addetto all’ambasciata francese a
Vienna,
MarieFrançois-Louis GrandLeblanc du Roullet, un
nobile normanno, di
circa due anni più giovane del musicista. I
due si erano incontrati
a Vienna nel 1772 probabilmente in casa dell’ambasciatore inglese,
Lord Stormont; e da lì
aveva preso corpo il
progetto di una collaborazione. Du Rollet sotto
l’influenza di Diderot e
Algarotti che avevano
segnalato la Iphigénie di
Racine come un modello ideale per un’opera,
si era gettato nella stesura del libretto.
Qualche anno prima
(1752) allo scoppio della “querelle des buffons”
che aveva opposto i
fautori dell’opera francese (di cui era espo-
Iphigénie en Aulide
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La genesi dell’opera
E Gluck conquistò Parigi...
nente principale Rameau) contro i fautori
dell’opera italiana (rappresentata dalla Serva
padrona di Pergolesi),
du Roullet aveva difeso
la lingua francese,
ponendosi in polemica anche con
Rousseau il quale
era schierato dalla
parte dell’opera
italiana.
del “Mercure de France”:
«Potrei giustamente essere rimproverato e dovrei
rimproverarmi da me stesso molto gravemente se
dopo aver letto la lettera
elogi che egli mi fa».
Dopo aver lodato Calzabigi, il suo primo, importante collaboratore,
Gluck criticò la lingua
italiana a vantaggio di
quella francese e
scrisse: «Questa è
la ragione perché io
non faccio uso dei
trilli e dei passaggi
fioriti, né delle cadenze di cui gli Italiani sono tanto
prodighi. Il loro
Guardando Parigi
idioma che si presta
volentieri a tutto
La conquista di
ciò, non mi offre alParigi fu pianificacun vantaggio sotto
ta con particolare
questo punto di viattenzione,
avsta. Ne avrà senza
viando una mirata
dubbio degli altri e
campagna stampa.
molti; ma, nato io
Du Roullet scrisse
in Germania, per
ad uno dei direttoquanto abbia potuto
ri dell’Opera di
studiare l’italiano e
Parigi, il cavaliere
il francese non creAntonio d’Auvergne una lettera Sophie Arnould, prima interprete di Iphigenie in do mi sia possibile
apprezzare le deliaperta (pubblicata un busto di Jean Antoine Houdon
cate distinzioni che
il 1° ottobre 1772
possano rendere l’uno
sul “Mercure de France”)
inviata di qui ad uno dei
preferibile all’altro e penin cui asseriva che
direttori dell’Accademia
so che ogni straniero doGluck era indignato per
Reale di Musica il cui tevrebbe astenersi dal giul’asserzione di un famoma è l’opera Iphigénie e
dicare fra i due. Ma ritenso letterato (Rousseau)
che venne pubblicata nel
go debba essermi permesa proposito della man“Mercure de France”
so di dire che il linguagcanza di musicalità deldello scorso ottobre; se, digio che mi converrà di più
la lingua francese.
co, dopo aver espresso alsarà quello in cui il poeta
Iphigénie en Aulide, sol’autore di essa la mia graè in grado di offrirmi i
steneva ancora du
titudine per le lodi che mi
mezzi più variati per
Roullet, sarebbe stata la
ha prodigato, non mi afesprimere le passioni. Tarisposta a questa accusa
frettassi a dichiarare che
le è il vantaggio che mi
infondata.
la sua amicizia ed una
pare di aver trovato nelle
La lettera del collaboraprevenzione troppo beneparole dell’opera Iphigétore spianò la strada a
vola lo hanno fatto eccedenie la cui poesia mi parve
Gluck che il 1° febbraio
re ed io sono bel lungi dal1773 scrisse al direttore
l’illudermi che merito gli
avere tutta l’energia ne-
Gluck presenta a Maria Antonietta l’Iphigénie en Taurine
cessaria per ispirarmi della buona musica».
Il dibattito sul giornale
suscitò naturalmente
un notevole interesse.
Gluck in persona – trasferitosi a Parigi nel novembre 1773 - sovrintese alle prove scontrandosi anche con le proteste dei cantanti irritati
dalla fatica delle lunghe
sedute e non sempre
convinti della loro parte. Sophie Arnould, ad
esempio, si lamentava
continuamente che nella sua parte (Ifigenia)
fossero troppi i recitativi in rapporto alle arie.
La “Prima”
La sera del 19 aprile
1774, quando l’opera di
Gluck e du Roullet debuttò
all’Accadémie
Royal de Musique a Parigi, c’era intorno all’evento un’enorme attesa.
«Ma il pubblico – si legge
sulla “Gazette de Politique et de Littérature” – ha
mostrato più impazienza
per una novità; le prove
sono state ricercate e seguite con straordinaria
sollecitudine; gli amatori
sono già divisi e il calore
che accende prematuramente i partiti sembrerebbe annunciare il rinnovarsi della piccola guerra musicale che i buffi italiani
sollevarono nel 1751».
Fu un successo strepitoso, come testimoniò
una settimana dopo
Maria Antonietta in una
lettera alla sorella Maria Cristina Josepha:
«…grande trionfo, mia
cara Cristina! Il 19 ebbimo la prima rappresentazione dell’Iphigènie. Ne
fui rapita e ormai non si
parla d’altro. Come risultato di tale avvenimento, tutte le teste sono
in ebollizione; pare incredibile vi sono dissensi e
dispute, come si trattasse
di qualche controversia
religiosa». Inizia così
per Gluck una stagione
parigina destinata ad
aver il suo culmine 5
anni dopo (1779) con
l’Iphigénie en Tauride.
Roberto Iovino
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I
Iphigénie en Aulide
7
L’analisi dell’opera
Le tensioni preromantiche di Agamennone
l teatro di Gluck si inserisce in quella corrente “neoclassica” che
segnò profondamente
l’intero melodramma del
secondo Settecento. Eroi
tratti dai grandi miti o
dalla storia antica animano partiture nelle
quali, tuttavia, nell’ostentare il rispetto per il
fato, tradiscono anche
debolezze che li rendono
diversi, anticipatori, magari inconsapevoli, di
una rivoluzione ormai
prossima a consumarsi
con il secolo nuovo.
Iphigénie en Aulide è un
capolavoro drammaturgico e musicale perché
riesce a combinare magnificamente la tradizione con l’esigenza di rin-
Christoph Willibald Gluck
novamento.
Nel suo libretto in tre atti («Divisione che mi pareva la più favorevole al genere che esige una grande rapidità d’azione», osservò
lo stesso librettista) du
Roullet si è ispirato alla
tragedia di Racine a sua
volta tratta dal mito narrato da Euripide in due
grandi tragedie, Ifigenia
in Aulide e Ifigenia in
Tauride. Nella sua ver-
sione librettistica, du
Rollet si concesse diverse libertà. Eliminata la
figura di Ulisse, prese
notevole spazio la folla
(il coro). Abolì pure il
personaggio di Eriphyle
e inserì invece Calcante,
il rappresentante visibile degli dei. Qualche critica ha invece ricevuto
l’epilogo con un inaspettato lieto fine: la revoca del decreto di morte da parte della dea
Diana che nella stesura
originaria viene comunicata da Calcante, mentre in una riedizione del
1775 coinvolge Diana in
persona. Non a caso
quando a metà Ottocento Wagner revisionò l’opera, mutò il finale fa-
cendo rapire da Artemide (Diana) Ifigenia per
portarla in Tauride,
mantenendo così fede al
mito originale.
Partitura
di grande tensione
Al di là dei pregi e dei
difetti del libretto, certo
è che Gluck ha lasciato
una partitura splendida
per tensione interna,
perfetta coesione formale, incisivo utilizzo delle
voci e dell’orchestra. L’elemento più interessante
è senza dubbio la fusione tra lirismo italiano e
declamazione francese,
esperimento che solo un
musicista con l’esperienza di Gluck nel teatro italiano, poteva tentare.
La struttura prevede 17
arie contro 2 duetti, 1 terzetto e 2 quartetti. La
Ouverture è un gioiello.
Tenendo fede a quanto
espresso nella prefazione all’Alceste («Ho immaginato che la sinfonia debba
prevenire gli spettatori dell’azione…»), anche qui il
brano introduce nel
dramma mescolando un
tenue lirismo (Andante
iniziale) ad affermazioni
più imponenti (Allegro
maestoso). L’Ouverture
mostra anche un aspetto
fondamentale dello stile
di Gluck: la sapiente orchestrazione, la concezione di uno strumentale
impiegato
con
fini
espressivi, attraverso un
acuto utilizzo degli impasti timbrici. Agamennone è il vero, tragico
protagonista del dramma. Da condottiero ha
accettato di sacrificare la
figlia agli dei; da padre è
scosso dal dolore e dal
turbamento e vorrebbe
contravvenire alla parola
data. In questo suo atteggiamento sta principalmente quella incrinatura, quella debolezza cui
si accennava all’inizio. Il
dissidio fra ragion di stato e sentimenti privati
entra sempre più nel tardo Settecento nel teatro
musicale,
incrinando
certezze e caratteri monolitici e mostrando
un’umanità più variegata, più reale. Le incertezze di Agamennone aprono l’opera con la prima
delle tre grandi arie affidategli da Gluck: una
pagina di straordinaria
bellezza per l’intensità
del canto e la sensibilità
dello strumentale. L’avvio del suo lamento (Diane Impitoyable) con quel
salto ascendente di quinta e il successivo ripie-
garsi della
melodia, era
stato anticipato proprio
in apertura
della Sinfonia. Ma di
brani interessanti se
ne ritrovano
disseminati
molti altri,
qua e là nella
partitura. Si
pensi al monologo
di
Clitennestra
(Atto II) che
in un crescendo
di
emozioni
passa da un
canto quasi
sussurrato, a
infernali accessi d’ira. Il
quartetto dei
protagonisti
si completa
con Ifigenia, Incisione per l’edizione di Iphigènie en Aulide
colta dal mu- di Racine del 1768
sicista nella
versificate. Lo troviamo
sua purezza e innocenza
– quello dei greci -, impiù squisite, attraverso
ponente e monolitico
un canto che ha sempre
(come in “Orfeo ed Euriun respiro morbido, “itadice”), ma lo ascoltiamo
liano” nella sua rotonanche delicato, raffinato,
dità; e con Achille, tenoa creare atmosfere di
re dal timbro acuto, nella
preziosa suggestione: è il
tradizione
francese
caso dell’apertura del sedell’”haute-contre”.
condo atto affidato alla
sezione femminile. E poi
Fusione di più forme
il coro ha anche la potenmusicali
za e la virilità dei soldati
che in ampi interventi di
Come aveva fatto nelle
carattere contrappuntisue principali opere prestico (vengono alla mecedenti, Gluck concepimoria le Passioni bachiasce alcune scene di amne) fanno sentire la loro
pio respiro creando
voce, accanto a quella
un’interessante intersedei protagonisti.
cazione di più forme
Da segnalare infine il trimusicali. Si può citare,
buto pagato alla convenad esempio, il finale del
zione francese che esige
primo atto, incentrato
la presenza di danze alsul grande duetto fra Ifil’interno del teatro musigenia e Achille. Gluck alcale. Gluck inserì un diterna passi di recitativo,
vertissement all’inizio del
ad ariosi, a momenti sosecondo atto e un diverlistici al duetto vero e
tissement alla fine, una
proprio ottenendo da
vera e propria festa teauna parte una notevole
trale. Non si tratta, però,
varietà drammaturgica,
di “corpi estranei” calati
dall’altra una efficace
nell’azione in ossequio alrappresentazione emotile ferree regole parigine,
va della situazione.
ma pur sempre di moIl Coro, si è detto, ha nomenti resi plausibili daltevole importanza nell’azione stessa.
l’opera. E Gluck lo tratta
con soluzioni molto diRoberto Iovino
8
L’
Iphigénie en Aulide
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il rapporto tra il libretto e la tragedia greca
Gluck, quasi duemila e duecento anni dopo Euripide
Iphigénie en Aulide di Gluck, rappresentata a Parigi nel 1774, deriva alla
sua prima origine da
quella di Euripide, datata al 405 a. C.,
attraverso la mediazione
della Iphigénie di Jean
Racine (1674: proprio
cent’anni
prima
di
Gluck) e nella rielaborazione librettistica, sulla
base di Racine, di Marie
Fr. Louis Gand Bailli du
Roullet
detto
“Le
Blanc”. Ai quasi 2.200
anni dopo Euripide (per
la precisione 2.179) vanno aggiunti i 235 che separano noi da Gluck: è
importante
precisare
questo, perché quanto
dobbiamo fare adesso è
semplicemente mettere
la tragedia di Euripide
al fuoco del 1774, e non
al fuoco del nostro 2009,
che sarà compito dell’esecuzione musicale e registica presentataci dal
Teatro dell’Opera di Roma.
L’Iphigénie en Aulide è
sembrata a molti l’opera
di Gluck che, attraverso
la rielaborazione letteraria moderna, rispetta
maggiormente l’origina-
Euripide
le e il suo lieto fine. E vediamo di precisare i contorni di quest’originale.
E’ la tragedia di un
drammaturgo settantacinquenne. Le navi dei
greci sono radunate nel
piccolo golfo di Aulide,
di fronte all’Eubea,
pronte a salpare per
sbarcare dall’altra pare
del Mare Egeo, attaccare
Troia e recuperare la bellissima Elena, che, sposa
di Menelao (che è fratello di Agamennone, capo
della spedizione), è fuggita con il principe Paride, figlio del re di Troia
Priamo. La dea Artemide (dai latini chiamata
Diana) impedisce la levata dei venti, necessari
per muovere la flotta,
perché è adirata con
Agamennone che le ha
mancato di rispetto uccidendo alla caccia una
cerva a lei sacra: si placherà solo con un sacrificio di sangue, la cui vittima prescelta dovrà essere Ifigenia, figlia di
Agamennone stesso e di
Clitennestra. L’esercito
scalpita e Agamenone,
combattuto fra l’affetto
paterno e il senso del dovere militare, si decide
dello stesso Euinfine a far venire
ripide. Gluck ebla figlia da Argo in
be a dire una
Aulide con il prevolta che prima
testo di maritarla
di scrivere un’oad Achille. Ma
pera tentava di
l’inganno viene
dimenticare di
ben presto scoperessere un musito e Agamennone
cista, e questo siè irremovibile: Ifignificava in fongenia lo supplica
do che musicista
invano, ma poi,
era e musicista si
sconcertando tutti,
sentiva, ma anfinisce per offrirsi
che che sentiva
vittima al coltello
crescere in sé la
dell’infelice padre.
sensibilità delMa, al momento
l’autore di teadella catastrofe,
tro.
interviene la dea
Vista l’imporsottraendo la giotanza da lui data
vane, cui sostituiagli affetti e al
sce una cerva e la
pathos (vicino
giovane viene da
anche in questo
lei trasportata sulal patetico Eurila sponda estrema
pide), non fa medel Mar Nero, doraviglia che fosve fra i Tauri dise ammirato e
viene sacerdotessa
amato dai rodella dea stessa. Iphigènie in un quadro di Anselm Feuerbach
mantici sia della
Ma questa è poi
cantata sulla scena e la
prima sia dell’ultim’ora:
l’altra tragedia euripivuole emozionalmente
Ermst Theodor Amadea, Iphigénie en Tauride,
vivace, oltre che verosideus Hoffmann e Rimessa in musica anch’esmile. A questo proposito
chard Wagner. C’è, piutsa da Gluck cinque anni
vale la pena di leggere
tosto, da aggiungere alla
dopo (1779).
quanto lui stesso scrivevulgata critica su Gluck
va nella Préface alla traun fatto raramente mesTragedia non amata
gedia, criticando gli auso in luce: la sua immerda Aristotele
tori greci che avevano
sione nella cosiddetta
scelto la versione luttuoTutto il dramma, che
“teoria degli affetti” (Afsa, quella del vero sacriviene rappresentato pofektenlehre), che era staficio della fanciulla (li
stumo essendo della fine
ta già degli antichi (molelenca: Eschilo, Sofocle,
della vita di Euripide, è
to sensibili psicologicaLucrezio, Orazio “e molritmato da numerose
mente alla loro musica e
ti altri”) e anteponendo
tempeste psicologiche,
inclini a disciplinarne
quelli del lieto fine: «Ho
che portano i personaggi
politicamente l’uso per
riconosciuto con piacere,
a ricredersi continual’effetto
potentissimo
per l’effetto che ha prodotto
mente con vigorosi effetsulla psicologia delle
sul nostro teatro tutto quelti drammaturgici. Tragemasse) e si era poi tralo che ho imitato o da Omedia amatissima da tutti i
sformata nei moderni, a
ro o da Euripide, che il
pubblici, antichi e mocominciare da Vincenzo
buon senso e la ragione eraderni, non piacque, qualGalilei (fra Cinquecento
no gli stessi in ogni secolo.
che decennio dopo, ad
e Seicento), in un pronIl gusto di Parigi si è ritroAristotele, che ebbe il
tuario espressivo degli
vato conforme a quello di
torto di applicare superaffetti dell’animo: gioia,
Atene» (Le ultime parole
ficialmente il suo pur
dolore, amore, odio, ecc.
sono, a mio parere, ingiusto criterio di coerenLa teoria degli affetti
cantevoli!...). Del resto la
za nel carattere dei permoderna arriva a lambidefinizione del teatro di
sonaggi.
re il primissimo romantiEuripide come teatro
cismo, che poi praticherà
Il fatto che la trama euri‘borghese’ è uso costante
l’espressione perenne
pidea piacesse a Gluck
della critica di noi modegli affetti con maggioper la ragione del lieto fiderni.
re o minore spontaneità
ne andava incontro al
Va notato che le grandi
senza bisogno di pastoie
gusto borghese del publinee della famosa riforteoriche.
blico dell’opera, come ha
ma drammaturgica di
proposto con acume
Gluck rientravano non
Luigi Enrico Rossi
Theodor W. Adorno in
solo nella prospettiva
Professore emerito
un brillante scritto di più
della Camerata de’ Bardi
di Letteratura greca
di cinquant’anni fa: la
fiorentina, ma anche nelUniversità di Roma
borghesia ama rispecla tessitura compositiva
“La Sapienza”
chiarsi nella vicenda
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I
Iphigénie en Aulide
9
Tratti dei personaggi e differenze tra tragedia di Racine e libretto di Du Roullet
I tre finali dell’Iphigénie di Gluck
l soggetto di Ifigenia –
soprattutto in Aulide aveva avuto nell’Europa del XVII e XVIII secolo
una larga fortuna con diverse opere in musica oltre trenta - dal Singspiel di Johann Jakob
Löwe von Eisenach (Wolfenbüttel, 1661), alle opere italiane di Agostino
Bonifacio Coletti (Venezia, 1707), Domenico
Scarlatti
(Roma,1713),
Antonio Caldara (Vienna,
1718), Pietro Alessandro
Guglielmi (Londra, 1768).
Così Marie FrançoisLouis Gaud Leblanc du
Roullet per il suo libretto
destinato
all’amico
Gluck, si rifece – affermando di averla seguita
«con la più scrupolosa attenzione» all’Iphigénie di
Jean Racine rappresentata nel 1674. Ma in realtà,
rispetto a questo testo,
Du Roullet elimina il personaggio di Ulisse e quello di Ériphile, la rivale in
amore di Ifigenia, innamorata anch’essa di
Achille. Un personaggio,
Ériphile,
tipicamente raciniano,
con forti impulsi alternati
e sovrapposti di odio, te-
sul personaggio di Agamennone, tralasciando –
come in tutti gli altri personaggi – l’interesse raciniano per l’analisi psicologica dei sentimenti sfumati, contraddittori, oscillanti tra
dubbi e palpitazioni, preferendo l’espressione di conflitti
elementari,
tratteggiati
con
chiarezza e vigorosa semplicità. L’Agamennone di Racine è, infatti, molto
più affine a un
eroe di Metastasio
Cratere attico con il mito di Ifigenia
che al grande personaggio di Gluck: soffre,
dei sentimenti e placare
palpita, piange, ragiona
con il suicidio l’ira degli
sulla triste sorte dei re,
dei per sbloccare la bonaccia che impediva alle
schiavi dei rigori della
navi greche la partenza
fortuna e dei discorsi deper Troia (perché anche
gli uomini. E’ in fondo un
Ériphile si chiamava, in
essere debole, che cerca
realtà, Ifigenia, ed era lei
di sfuggire all’ordine dela vittima designata), evigli dei, della cui barbarie
tando così al poeta il rinon è convinto, pensando
corso all’espediente della
che essi, ordinandogli di
metamorfosi di Ifigenia
sacrificare la figlia, abbiain una cerva che, se credino voluto solamente metbile ai tempi di Euripide,
terlo alla prova. L’Agasi sarebbe presentata asmennone di Du Roullet,
surda duemila anni dopo.
invece, sin dalla prima
Ma Du Roullet nel suo liscena assume, nei conbretto interviene anche
fronti della divinità, un
nerezza, furore, malinconia e tormento amoroso,
che si sciolgono poi solo
nel suicidio. Questo permetteva a Racine di arricchire il labirintico fluire
atteggiamento di sfida,
giungendo ad essere capace, nello sfogo del risentimento verso quell’ordine così ingiusto, di
adirarsi sino alla bestemmia. L’Agamennone di
Racine è un vinto, e cede
con rammarico e sofferenza al volere degli dei;
quello di Du Roullet mostra invece il suo carattere
di nobile guerriero fino a
giunge ad insultare e sfidare Diana, così come il
Prometeo dell’inno di
Goethe - contemporaneo
all’opera di Gluck - si ribella contro l’indifferenza
dei numi nei confronti
degli uomini.
I tre finali
Eliminando il personaggio della figlia di Elena e
Teseo, Du Roullet adotta
un esito più vicino a quello dell’Ifigenia in Aulide di
Euripide: Calcante, ispirato, rivela che gli dei,
commossi dalla bontà di
Ifigenia, dal dolore di Clitennestra e dal valore di
Achille, hanno revocato il
decreto di morte, sciogliendo i venti.
Per la ripresa dell’opera
L’autore greco di Ifigenia in Aulide
E
Il solitario ed incompreso Euripide:
primo drammaturgo intellettuale
uripide nacque probabilmente intorno al decennio 480-470 a.C., secondo alcune fonti a Salamina; i suoi genitori appartenevano alla classe media ateniese. Il padre, di nome Mnesarco (o Mnesarchide), era proprietario terriero, mentre la madre, Clito, si occupava probabilmente del commercio di ortaggi, almeno in base alle maligne insinuazioni del
commediografo Aristofane.
Nell’Atene del V secolo, si interessò di filosofia e letteratura, ma della sua vasta produzione teatrale, che viene fissata oggi su un totale di 92 opere, ne sono pervenute a noi solo 17, che diventano 18, se si considera euripideo il Reso.
Vinse pochi agoni drammatici rispetto ai trionfi di
Eschilo e Sofocle, a dimostrazione di un difficile rapporto con il pubblico dell’epoca. I suoi lavori rivelano
un’educazione raffinata e una posizione scettica nei
confronti della religione tradizionale.
Euripide, per primo, affronta tematiche come il ruolo
della donna ed i rapporti sociali tra i contemporanei.
Euripide fu mosso dal continuo bisogno di sperimentazione, una tendenza crescente che lo portò a creare
strutture drammaturgiche sempre più complesse ed
elaborate; i suoi personaggi – anche se comuni - sono
spesso forniti di identità differenziate nelle varie ope-
re di cui sono protagonisti. Le trame stesse presentano
sviluppi inaspettati con l’utilizzo di inedite varianti
del mito e si avvalgono di sorprendenti ed appassionanti scene di riconoscimento. Sul palco spesso compaiono personaggi di infimo livello sociale, ignoti alla
tradizione, e viene utilizzata la soluzione del deus ex
machina, espediente escogitato per risolvere situazioni
difficili, che diviene poi motivo di meraviglia e sorpresa per gli spettatori.
La leggenda vuole che Euripide componesse i suoi
drammi in una grotta di fronte al mare: essa sembra
confermare il progressivo allontanamento dell’autore
dalla vita pubblica, a causa delle critiche malevole dei
contemporanei che non ne apprezzavano lo stile. Nel
408 a.C. Euripide decise di abbandonare Atene e si stabilì, dopo alcuni viaggi, a Pella, in Macedonia, ospite
del re Archelao cui dedicò l’omonima tragedia in cui
viene narrata la vicenda del personaggio mitico da cui
il Re prendeva il nome. Morì nel 406, secondo alcuni,
sbranato da cani vendicatori degli dèi offesi. Solo dopo la sua morte, la Grecia lo riconobbe in tutto il suo
valore e le sue opere divennero famose. Nel 330 a.C.,
gli venne dedicata dagli ateniesi una statua di bronzo
nel teatro di Dioniso.
Liv. Mag.
nel 1775 questa soluzione
fu modificata: Du Roullet e
Gluck fecero intervenire la
dea Diana, la quale, scendendo sulla terra, consacra
l’amore tra Achille e Ifigenia, conferendo all’ultima
scena un maggiore effetto
spettacolare.
Ma la versione presentata
questa volta, adotta il finale rielaborato da Richard
Wagner a Dresda fra il dicembre 1846 ed il febbraio
1847 su una versione tedesca del libretto del 1775.
L’opera così rielaborata fu
rappresentata per la prima
volta a Dresda al Königlich
Sächsisches Hoftheater il
24 febbraio 1847. Wagner
per questa rielaborazione è
intervenuto nelle ultime
113 battute: un tuono annuncia la discesa di Artemide (Diana) che appare in
scena dichiarando di rinunciare al sangue della
vittima, al fine di trasportarla in una terra lontana
(Tauride) dove la giovane
servirà come sacerdotessa
nel suo tempio. Così i venti si levano ed i greci possono partire per un’impresa che s’annuncia sotto i
migliori auspici.
A. M. d. S.
10
Iphigénie en Aulide
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La riforma Gluckiana
I
Le regole del compositore contro
gli abusi di cantanti e librettisti
l favore che all’inizio
del ‘700 l’opera italiana godeva presso
il pubblico europeo non
era condiviso dai filosofi, scrittori e letterati. Essi lamentavano che il
rapporto tra la poesia e
la musica fosse fortemente sbilanciato a favore di quest’ultima.
Secondo lo spirito razionalistico della cultura
del tempo, l’arte e il sentimento rappresentavano solo forme inferiori
di conoscenza e la supremazia della poesia
derivava dal presupposto che essa fosse intesa
come rivelazione della
verità e non più come
raffinato esercizio intellettuale, mentre, al contempo, si riteneva che la
musica si rivolgesse solo
ai sensi ed all’udito in
particolare.
Del resto, le vicende assurde e incoerenti proposte nei libretti di molte opere, l’indifferenza
propria di molti librettisti verso ogni credibilità
drammatica, gli arbitrii
vocali e scenici dei cantanti non divennero oggetto solo delle critiche
degli scrittori, ma anche
bersaglio delle ironie di
un pubblico allargato,
che non era più solo
quello dei salotti aristocratici.
Nacque addirittura un
piccolo filone letterario
satirico che si sviluppò
fino ai primi decenni
dell’Ottocento, uso a
mettere alla berlina i capricci delle prime donne, la stolida avarizia
degli impresari, la crassa ignoranza di poetastri da strapazzo. Da alcune di queste opere
trassero ispirazione i
compositori più autoironici per produrre altrettante opere buffe, come
avvenne per L’impresario
in angustie di Cimarosa.
Uno degli autori maggiormente umoristici fu
il patrizio veneziano Benedetto Marcello, compositore fra i più ap-
quale vengono affermati
siddetta Riforma Gluckiaprezzati del suo tempo,
alcuni dei caratteri prinna, elaborata dal compoche ne Il teatro alla moda,
cipali che alcuni anni
una sorta di manuale ad
sitore tedesco insieme al
usum degli operatori del
dopo animeranno la
librettista italiano Ranieriforma operata da
settore, così raccomanri de’ Calzabigi.
Gluck e Calzabigi.
dava: «Ai poeti: in primo
Gluck, da buon razionaAnche in Francia il tema
luogo, non dovranno aver
lista e naturalista, rifiuera così caldo da solleletto né leggere mai gli autava il principio edonivare diverse dispute, di
tori antichi Latini e Greci,
stico della musica e non
cui si ricorda in particoimperocché gli antichi
poteva concepire l’arte
lare quella tra buffonisti
Greci e Latini non hanno
come un semplice svago
mai letto i modei sensi. Pur
derni».
essendosi adeOppure: «Ai
guato per oltre
musici. Non dovent’anni di atvrà il virtuoso
tività al costumoderno aver
me melodramsolfeggiato né
matico impemai solfeggiare
rante, egli giunper non cader
se alla più comnel pericolo di
piuta teorizzafermar la voce,
zione di una
d’intonar giuproposta
di
sto, d’andare a
riforma del metempo, essendo
lodramma.
tali cose fuori
La svolta decisiaffatto dal mova è segnata
derno costume».
dall’Orfeo ed EuE via dicendo.
(1762),
ridice
Ma la stilettata
preceduto da
più caustica si
un importante
Don
deve a un letballetto,
del
Giovanni
terato france1761. I principi
se, Charles de
programmatici
Saint
Evremond: «Se vo- Sir Godfrey Kneller Charles de Marguetel de Saint Denis della riforma,
volti a spogliare
lete sapere cos’è de Saint Evremond
l’opera italiana
un’opera, ebbene
dagli abusi con cui cane antibuffonisti, fautori e
vi dirò che è uno strambo
tanti e compositori l’acontrari all’opera buffa
lavoro nel quale si mescovevano immiserita, venitaliana.
lano la poesia e la musica e
nero poi ribaditi e perDall’Inghilterra era indove il poeta e il composifezionati
nell’Alceste
vece sopraggiunto un
tore, danneggiandosi a vi(1767). Cardine della
altro aiuto verso la coecenda, si danno un gran
riforma, che Gluck e
renza drammatica del
daffare per arrivare a cattivi risultati».
Calzabigi impostarono
teatro, nella persona di
seguendo i canoni della
un attore di prosa
Coerenza
tragedia greca, sarà l’ushakespeariano, David
nitarietà del dramma,
Garrick. Egli aveva
degli elementi
da raggiungersi teneninaugurato un nuovo
Nell’intenzione positiva
do presenti alcuni capistile, mirato a creare una
saldi.
completa
illusione
di porre un freno ai
Innanzitutto, la sinfonia
drammatica. Abbandoguasti dell’opera, alcuni
d’apertura deve intronando lo stile declamascrittori della prima
durre
nell’atmosfera
torio in favore di una remetà del Settecento,
dell’azione; ai cantanti
citazione molto più naanimati da uno spirito
non deve essere perturalistica e calandosi
costruttivo, proposero
messo ornare a piacicompletamente
nella
che la logica del drammento le proprie arie;
parte egli coinvolgeva
ma e la coerenza dei
deve scomparire il tagli spettatori in una scesuoi elementi costitutigliente divario fra recina di vera vita vissuta.
vi, dovessero porsi in
tativo e aria. La diffeprimo piano.
renza fra recitativo e
La riforma gluckiana
Il più efficace assertore
aria viene fortemente
del melodramma
di questo indirizzo fu
attenuata grazie all’utiFrancesco Algarotti, aulizzo del recitativo acIn questo fermento cultore del Saggio sopra l’ocompagnato, molto più
turale si inserisce la copera in musica (1755), nel
simile all’aria. Il rischio
di un’opera che procede
a pezzi rigidamente
chiusi viene scongiurato
grazie alle scene più ampie, nelle quali si integrano più forme l’una
nell’altra, in quanto esse
faranno parte di un’unica dimensione musicale,
costantemente espressiva e condizionata dalla
parola.
L’azione non deve essere interrotta ed il coro
assumerà nuovamente
una funzione di personaggio, come nella tragedia greca; le danze saranno inserite solo nei
casi in cui esse siano indispensabili.
I mutamenti di scena
devono essere limitati al
minimo e l’orchestrazione assumerà una
funzione espressiva ed
indipendente dal ruolo
di accompagnamento
del canto. Infine, la situazione scenica deve
rispondere a verosimiglianza con un’azione
rapida e incisiva, senza
dispersioni.
La riforma, contraria ai
costumi dell’epoca, fu
accolta a seconda dei casi con diffidenza, rancore o indifferenza.
In Francia si scatenò
un’accesa querelle fra i
sostenitori di Gluck e
quelli dell’opposta fazione, che si riconoscevano
in Piccinni, santo patrono dell’opera buffa.
Tuttavia bisognerà aspettare Cherubini, Spontini
e addirittura Berlioz perché la lezione di Gluck
sia compresa a fondo e
praticata. La sua riforma,
al di là dell’aspetto musicale, è riflesso di un mutamento di ordine filosofico. Come la tragedia
greca, l’opera in musica
riformata tende a offrire
al pubblico quella consolazione purificatrice,
“catartica”, che scaturisce soltanto da una partecipazione diretta all’azione drammatica.
Andrea Cionci
Il
Giornale dei Grandi Eventi
N
11
Il compositore nel contesto europeo
Gluck, ritratto d’autore
el suo lucido libro
“Gluck e Mozart”
(Einaudi, 1975),
Paolo Gallarati sostiene a
ragione che la figura di
Gluck deve ancora trovare
nella storia della cultura
settecentesca una collocazione precisa. Grande protagonista del teatro, fu il
primo musicista ad affrontare sia l’opera italiana che
l’opera francese. E se è vero che il teatro italiano era
“internazionale” e aveva
coinvolto firme straniere
(pensiamo ad Hasse, a
Johann Christian Bach, a
Haendel); è anche vero che
fino ad allora quello francese aveva avuto un respiro strettamente nazionalistico, la tragédie-Lyrique
aveva costituito un genere
limitato ai musicisti francesi, proprio per lo stretto legame con la lingua e con la
tragedia classica di Racine,
Corneille, ecc. Altro sarebbe accaduto con il grandopéra, il primo autentico
spettacolo europeo di marca francese che, non a caso,
avrebbe coinvolto artisti di
ogni nazionalità (compresi
Verdi e Wagner).
Quando Gluck si decise al-
L
Iphigénie en Aulide
la conquista di Parigi lo fece con la consapevolezza
di rischiare una battaglia
sul campo nemico: non
portò l’opera italiana, come sarebbe stato lecito attendersi, ma si rifece alla
tradizione e alle regole
francesi.
Artista deciso, insomma,
con le idee chiare e uno stile che ancora oggi è difficile etichettare, oscillante fra
un intellettualistico illuminismo e un passionale preromanticismo, contaminato dalle letture “Sturm und
Drang”.
Nell’Ottocento ha prevalso
naturalmente l’idea di un
Gluck anticipatore del romanticismo. Oggi questa
rilettura appare più discutibile.
Probabilmente
Gluck è stato un figlio del
suo tempo, è cresciuto in
uno spirito razionalista, ha
guardato al teatro con atteggiamento critico e la sua
attività riformista è nata
dall’esigenza di restituire
al teatro quella semplicità
di espressione e quella
chiarezza formale che i barocchismi avevano compromesso. Nello stesso
tempo non fu naturalmen-
te insensibile alle nuove
istanze che stavano animando il mondo artistico e
culturale. E’ innegabile che
la letteratura nel suo tempo stava imboccando strade nuove, tese verso un approfondimento dell’animo
umano, scandagliato nelle
sue più profonde passioni.
Si fronteggiavano allora
correnti diverse. C’era sì lo
Sturm und Drang che parlava il linguaggio del cuore,
ma era in auge il neoclassicismo che guardava con
rinnovato spirito costruttivo alla cultura antica, spinto dalle teorie e dagli scritti
di Winkelmann. E Klopstock era l’esponente della
corrente del pietismo, movimento di fede che puntava sull’emotività spirituale.
Le sue tante idee
sul teatro
E’ interessante notare che
forse nessun musicista, prima di Wagner, ha lasciato
così tanti scritti per esporre
le proprie idee intorno al
Teatro, come ha fatto
Gluck. A parte la nota Prefazione all’Alceste (della
quale si parla in un altro
articolo), Gluck ha scritto
lettere ai giornali e lasciato
appassionate testimonianze tese a spiegare le ragioni
delle sue scelte.
Un atteggiamento indipendente che lo ha portato ad
essere un rivoluzionario e,
insieme, un restauratore
del teatro settecentesco.
Il suo rapporto con l’opera
italiana e con l’opera francese, infatti, è stato di segno quasi opposto. Quando a Vienna, con il fidato
Calzabigi, mise mano al
teatro italiano, questo sovrabbondava di barocchismi, di eccessi virtuosistici,
di ornamenti che lo rendevano pesante e ridicolo.
Gluck lo sottopose dunque
a una sorta di “cura dimagrante” cercando di ricondurlo all’antico rigoroso
rapporto musica-testo predicato addirittura dai fiorentini della Camerata Bardi. Semplificazione della
scrittura vocale, ampliamento del respiro delle singole scene e riduzione del
loro numero, maggiore integrazione delle forme
chiuse. Ne sortì un teatro
rinvigorito nei suoi aspetti
drammaturgici, nuova-
mente capace di raccontare
e emozionare. L’opera
francese,
al contrario, si era “rinsecchita”, incapace nel tempo
di liberarsi del declamato
di Lully, ancorata alla parola ed a consuetudini ormai “retro”. E Gluck optò
per una “cura ricostituente”, dando respiro alle linee melodiche, immettendovi quel che aveva appreso nell’opera italiana, giustificando drammaturgicamente i balletti, riorganizzando coerentemente l’intersa struttura.
Il tutto con il coraggio di
un artista sempre pronto
ad andare contro corrente
per conseguire i propri obbiettivi: «E non v’è regola
d’ordine – aveva scritto
nella Prefazione all’”Alceste” - ch’io non abbia creduto doversi di buona voglia sacrificare in grazia
dell’effetto....».
Roberto Iovino
Il luogo della prima esecuzione
L’ Académie Royale de Musique ora Opéra National de Paris
a prima rappresentazione dell’ Iphigénie
en Aulide si tenne a
Parigi il 19 aprile 1774
presso l’ Académie Royale de
Musique, teatro che dopo la
ristrutturazione ottocentesca ha assunto l’odierno
nome di Opéra National.
Il primo teatro fu fondato
nel 1669 - in risposta all’
Académie Royale de Danse e
con il fine di rappresentare
opere composte su modello di quelle italiane - per
volere di Jean-Baptiste Colbert, primo ministro del Re
Sole, il cui impegno fu, tra
l’altro, dedicato ad accrescere la ricchezza culturale
della Francia, che faceva
del bello e dell’eleganza il
proprio simbolo.
Il teatro venne inaugurato
nel 1672 con il pastorale in
un prologo e 5 atti Pomone
– opera che aveva debuttato il 3 marzo dell’anno pri-
ma, sempre a Parigi, al Jeu
de Paume de la Bouteille musicato da Robert Cambert su libretto Pierre Perrin, i quali insieme avevano ricevuto da Luigi
XIV il privilegio di
allestire quello spazio teatrale.
Avendo come unica
risorsa finanziaria i
proventi dei biglietti
(a differenza della
Comédie-Française o
del Théâtre de la
Comédie Italienne che
godevano di sovvenzioni reali), l’Accadémie
acquisì il privilegio in
esclusiva di rappresentare
spettacoli d’opera in tutta
la Francia.
Nel 1672, dopo il fallimento di Robert Cambert e di
Pierre Perrin nella gestione
del teatro, Luigi XIV affidò
la direzione al compositore
di origine italiana Jean-
Baptiste Lully (Firenze
1632 – Parigi 1687) – già dal
1661 suo Sovrintendente di
Musica - il quale, fino alla
sua morte otterrà in quel
teatro grande successi.
Incaricata di diffondere l’opera francese, non solo a
Parigi ma attraverso la realizzazione di spettacoli itineranti anche in altre città
del Regno, l’istituzione
prese, via via, nel linguaggio comune, il nome di
Opéra.
Tra il 1713 e il 1875, per le
sue rappresentazioni l’Académie d’opéra cambiò luogo ben tredici volte, soprattutto a causa dei numerosi
incendi. Durante la Rivoluzione fu trasformata
in Theatre des arts.
Nel 1875 al suo posto
venne inaugurata –
su progetto dell’architetto Gamier – la
nuova Opera National
de Paris, voluta da
Napoleone III per celebrare la grandiosa
fastosità del Secondo
Impero.
Il teatro mescola ora diversi stili architettonici, dal
classico al barocco, con una
facciata ricca di colonne,
sculture e fregi. Qualcuno
lo definisce una grossa torta nuziale, per via dell’opulenza della sua struttura, della sua cupola, arricchite dallo sfarzo delle decorazioni.
Era abitualmente frequentato dall’alta borghesia parigina, che lì si incontrava
per assistere alla grand opéra, il tipico spettacolo lirico
francese, caratterizzato
dalla grandiosità delle scene, dal numero dei personaggi e dei professori d’orchestra.
Oggi, posta sotto la tutela
del Ministero della cultura
francese, l’Opéra National
de Paris è un teatro pubblico che ha lo scopo di divulgare e rendere accessibile il
patrimonio lirico e coreografico. Dispone di due sale, una per gli spettacoli di
danza e l’altra per l’opera,
anche se dal 1991 vi si rappresentano essenzialmente
solo balletti, poiché il melodramma è in cartellone al
nuovo teatro dell’Opéra Bastille, realizzato nel 1990
dall’architetto Ott.
L. Ma.
12
G
Iphigénie en Aulide
Il Compositore
Christoph Willibald Gluck,
musicista poliedrico e riformatore
luck in tedesco significa fortuna, sorte, prospettiva. Probabilmente l’arte di Christoph Willibald Gluck, eclettico compositore nato nel 1714 a Erasbach, piccola cittadina della Baviera,
è stata in qualche modo influenzata e protetta dal positivo significato del suo cognome, noto tra l’altro a molti non musicisti per essere a lui intitolata la via milanese alla quale Adriano Celentano dedicò una celebre canzone.
Fin da piccolo portato verso la musica (imparò a suonare organo,
violoncello, clavicembalo e violino presso il collegio dei Gesuiti),
Gluck ricevette un’accurata istruzione prima a Komotau e poi a Praga, dove proseguì gli studi musicali e frequentò l’università. In quegli anni (1733-34) la musica era comunque il suo interesse principale e l’occupazione cui dedicava la maggior parte del suo tempo, anche professionale: si impegnò infatti come maestro di canto, suonatore di organo nelle chiese ed infine come musico da camera del
principe Lobkowitz a Vienna (1736), dove tra l’altro conobbe Francesco Melzi d’Eril. Costui, che divenne ben presto suo amico e protettore, lo portò a Milano (1737 – 1740) e lo affidò alle cure musicali
del maestro Giovan Battista Sammartini, conosciuto soprattutto nel
campo della musica strumentale.
Nel 1741 andò in scena a Milano la prima opera lirica del giovane
Gluck, Artaserse, su libretto di Metastasio che ebbe un buon successo di pubblico: a quest’ottimo esordio fecero seguito circa una decina di successivi lavori, che
gli conferirono una discreta fama. Non altrettanto fortunata fu la sua prima uscita teatrale a Londra, dove si era trasferito nel 1745: qui infatti il
suo La Caduta dei Giganti (1746), opera frettolosamente composta, ebbe scarso successo. Il periodo trascorso nella capitale britannica fu, comunque, molto importante per il compositore tedesco: qui ebbe infatti la possibilità di conoscere
Haendel, da cui rimase assai colpito e influenzato. Nel 1750, dopo il grande successo del suo Ezio a Praga, Gluck si
sposò con Marianna Pergin, figlia di un ricco banchiere: un matrimonio che, liberandolo dalle preoccupazioni economiche, gli consentì di dedicarsi esclusivamente alla musica.
Nel 1752 Gluck tornò a Vienna, dove ricevette l’incarico di “maestro
di cappella” del teatro musicale di Corte e fu precettore della giovane Maria Antonietta, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di Francesco Stefano di Lorena, che diverrà poi Regina di
Francia. Qui conobbe Giacomo Durazzo, direttore di due teatri cittadini e personaggio noto ed apprezzato negli ambienti intellettuali
ed operistici. In questi anni, per la rappresentazione di alcune sue
nuove opere, Gluck tornò in Italia, prima a Napoli per La clemenza
di Tito (1752) e poi a Roma per l’Antigone (1756). Nella Città Eterna
il papa Benedetto XIV lo nominò, tra l’altro, cavaliere dello Speron
d’oro.
Tornato a Vienna, la sua opera si arricchì della produzione di alcune opere comiche francesi - tra esse L’isle de Merlin e Le faune esclave,
entrambe del 1758, l’Arbre enchantè (1759), L’ivrogne corrige (1760) e
Le cadi dupé (1761) - e della collaborazione con il ballerino e coreografo Gasparo Angiolini, con il quale firmò il balletto Don Juan
(1761). Grazie a questo lavoro, Gluck conobbe il librettista Ranieri
de’ Calzabigi, con cui pose in essere la cosiddetta “riforma gluckiana”, volta soprattutto a dare nel melodramma maggior rilievo e precisione al testo, soprattutto quanto alla sua verosimiglianza, e al
ruolo dell’orchestra, contenendo i vezzi dei cantanti. Negli anni successivi, sempre in collaborazione con Angiolini e Calzabigi, Gluck
produsse in rapida successione Orfeo ed Euridice (1762), Alceste
(1767) e Paride ed Elena (1770).
L’amicizia con il marchese Francoise Le Blanc du Rollet, lo introdusse in Francia dove mise in scena l’Ifigenia in Aulide (1774) su libretto di le Blanc tratto da un lavoro di Racine. Gluck ottenne un
enorme successo così come altrettanto apprezzati furono Alceste
(1776) ed Ifigenia in Tauride (1779). Diversa fortuna toccò, però, poco
dopo all’Echo et Narcisse (1779). Sconfortato per questo insuccesso e
colpito da un attacco apoplettico, Gluck tornò a Vienna dove, ossequiato e continuamente visitato da principi ed artisti, trascorse gli
ultimi anni della sua vita fino alla morte nel 1787.
D
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il Librettista
Marie-François Leblanc du Roullet
i famiglia nobile, diplomatico presso l’ambasciata francese a
Vienna e uomo di grande cultura, il marchese MarieFrançois-Louis Gand-Leblanc du Roullet nato a Normanville nel 1716, scrisse il libretto dell’Ifigenia in Aulide, lavorando sul testo della tragedia di Racine (il quale a sua volta lo aveva tratto da
Euripide) e lo consegnò a Gluck nel 1772 affinché lo musicasse, essendo rimasto assai attratto dalle idee riformatrici del musicista tedesco. Successivamente, sempre per Gluck elaborò il libretto di Alceste (1776).
Coetaneo di Gluck, Le Blanc Du Roullet, fu dapprima ufficiale dell’esercito francese e nell’Ordine di malta arrivò a rivestire il grado
di balì conventuale. Uomo di carattere amabile e di grande spirito,
lavorò a Vienna in qualità di Addetto all’Ambasciata di Francia, dove conobbe Gluck e lo incoraggiò a recarsi a Parigi. Aveva a lungo
frequentato la casa di Le Riche de La Pouplinière, un mecenate che
aveva speso gran parte della sua ricchezza per la musica e le arti in
genere. Insieme a lui si intrattenne con la creme della cultura parigina dell’epoca, tra cui numerosi filosofi, che spesso criticavano
aspramente la tradizione della tragedia lirica francese, sostenendo
tra l’altro che il francese non fosse lingua adatta ad essere cantata
(posizione questa espressa più volte da Rousseau). Profondo conoscitore di entrambi i punti di vista, Du Roullet scelse quindi di creare un libretto dall’Ifigenia in Aulide di Racine, sia per dimostrare che
gli oppositori dell’opera lirica avevano torto quanto alla tradizione
francese, sia per rivitalizzare un filone artistico che in quegli anni
non stava attraversando un momento facile. Altre sue opere sono:
Les Effets du caractère, una commedia in versi ed in 5 atti rappresentata senza successo al Théâtre-Français e non andate alle stampe ed
anche Lettre sur les drames-opéras (Parigi 1776); l’opera Les Danaides
(1784) musicata da Salieri. Ha preso parte a Mèmoires pour servir à
l’histoire de la révolution opérée dans la musique per Gluck (1781). Morì
a Parigi il 2 agosto 1786.
N
L’autore della tragedia teatrale
Jean Racine
ei suoi sessant’anni di vita (La Fertè Milon, Valois 1639 – Parigi 1699) Jean Racine ebbe due grandi passioni: la fede religiosa giansenista, trasmessagli dalla famiglia e la cultura greca antica, che apprese studiando - favorito dalla nonna - con eminenti ellenisti. Il trasferimento a Parigi presso l’istituto religioso PortRoyal per seguire studi filosofici, influì molto sul giovane Racine, che
nella capitale francese venne a contatto con il teatro, per allontanarlo
dal quale, nel 1661, la sua famiglia gli impose di andare a studiare teologia ad Uzés. Qui completò la sua educazione ed iniziò a scrivere testi. Strinse amicizia con La Fontane, Boileau, Molière. Nel 1664 quest’ultimo rappresentò la sua prima tragedia Tebaide o i fratelli nemici e
l’anno seguente Alessandro il Grande.
La sua fama è dovuta principalmente alla composizione, per il teatro, di tragedie classiciste, concentrate sull’animo e sulle pulsioni dei pochi personaggi in scena, le cui vicende sono quasi sempre
dominate dalle passioni e da un profondo pessimismo, espressi comunque in forma poeticamente
fluida e musicale, sempre nel rispetto di regole teatrali e metriche proporzionate e severe. Fu anche
dal 1677 storiografo ufficiale della corte francese
(incarico da cui si dovette dimettere – ritirandosi a vita privata – nel
1679 forse a causa di uno scandalo di corte) ed autore di opere didattico-religiose. Tra i suoi lavori più noti l’Ifigenia in Aulide (1674), dalla
quale circa un secolo dopo Gluck e Leblanc Du Rollet trassero l’omonima opera lirica. Nel 1691 scrisse e mandò in scena la sua ultima opera, Atalia. In totale produsse 12 lavori teatrali, 11 tragedie ed una commedia Les Plaideurs, rappresentata nel 1668 ed ispirata alle Vespe di
Aristofane
Gli ultimi anni di vita li trascorse, con la moglie e i figli, a Parigi, dove morì il 21 aprile 1699. Per sua espressa volontà fu sepolto a PortRoyal des Champ, antico convento cistercense a sud ovest di Parigi,
famoso per la comunità religiosa di orientamento giansenista.
Pagina a cura di Cristina Di Giorgi
Il
Iphigénie en Aulide
Giornale dei Grandi Eventi
S
13
Iphigénie ed il suo compositore protagonisti di una novella
Hoffmann e il Cavaliere Gluck
econdo il giudizio illuminante del critico fiumano e poi italiano - Ladislao
Mittner, eccelso germanista e
grande conoscitore della cultura mitteleuropea, Gluck è il
primo ad infondere una voce
nella statua greca, il primo a
trasformare la bellezza classica
da oggetto museale, perfetto
ed immutabile emblema del
passato, in un qualcosa di vivo
e palpitante. Egli tratteggia i
propri personaggi con una ricchezza di sfumature inconsueta per l’epoca e, pur rispettando sostanzialmente i canoni
estetici razionalisti, porta sulla
scena in maniera semplice e diretta la verità delle passioni
umane.
Il carattere innovativo dell’esperienza gluckiana non sfugge ad Ernst Theodor Wilhelm
Hoffmann (1776 – 1822) il quale, nel suo tentativo di dar forma all’opera romantica tedesca, accanto al modello di Mozart, con particolare riferimento alle atmosfere luciferine del
Don Giovanni, ha ben presente
la lezione del compositore di
Erasbach. Nella sua ottica,
Gluck diviene quasi un pionie-
sco, emblema indiscusso del
classicismo, acquista tratti inquietanti e ultraterreni, venati
da aspetti spiccatamente caricaturali. Il misterioso personaggio nasconde le proprie vesti all’antica sotto un mantello
dalla foggia moderna, per dissimulare la propria identità. La
sua condanna è quella di aggirarsi in un mondo non suo, la
Berlino di Hoffmann, in un’epoca che non gli appartiene.
Egli, come l’Olandese volante,
è un fantasma destinato a vagare in eterno in attesa della
redenzione. La sua colpa risiede nell’aver svelato agli uomini i segreti dell’immaginazione, nell’aver profanato la propria arte offrendola a chi non la
poteva capire. La solitudine
dell’artista, il contrasto fra il
desiderio di essere accettato e
l’inevitabile incomprensione
della società, è un tema che ritroveremo pressante anche in
Wagner. All’inizio del racconto
l’apparizione improvvisa del
cavaliere Gluck al Tiergarten
assume i caratteri del fantastico; egli si avvicina ai musicisti
di un caffè e subito le note dell’ouverture dall’Iphigénie en
Nudo di donna e pianista di Johann Heinrich Fussli
re del sentire romantico, un
esempio sul quale basare il
proprio progetto di riforma degli schemi operistici tradizionali. Non è un caso che l’esordio letterario di Hoffmann avvenga proprio con il racconto
Ritter Gluck, a testimoniare
un’ammirazione ed una stima
innegabili. Nelle sue pagine la
figura del compositore tede-
Aulide risuonano nell’aria, provocando nel misterioso personaggio una sorta di trasfigurazione.
Con grande arguzia e senso
critico, Hoffmann individua
quindi nell’Iphigénie un punto
di svolta nella produzione del
compositore, il momento in cui
le immagini scolpite nel marmo si colorano di un’accatti-
mente un folle ossessionato
vante umanità, l’attimo nel
dalla musica del compositore
quale la perfezione aulica dei
tedesco, non influiscono sul
valori classici cede il passo ad
valore ultimo del racconto.
un’idea nuova di teatro musiUna spiegazione univoca sacale. I protagonisti dell’opera
rebbe del tutto fuorviante, esmantengono la propria valenza
sendo
la
narrativa
di
etica, ma le loro azioni sono
Hoffmann giocata su un regipercorse da una tensione inedita che conferisce
varietà al percorso drammaturgico.
L’influsso di Gluck
su
Hoffmann
compositore è
del resto evidente in alcune
pagine di Aurora, singolare sintesi fra il mondo
arcadico di derivazione settecentesca ed i
nuovi impulsi
del romanticismo, ad esempio nella densità
contrappuntistica modellata sui
cori dell’Iphigénie. Tra apparizioni e sparizio- Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann
ni improvvise, il
misterioso cavaliere Gluck si
stro volutamente ambiguo, un
presenta di nuovo alla fine del
labirinto di specchi nel quale il
racconto; il suono della sua volettore è destinato a perdersi.
ce attrae quasi magicamente il
Ciò che dal nostro punto di vinarratore, distraendolo dal suo
sta preme sottolineare è la forza
proposito di assistere ad una
esercitata dalla personalità di
rappresentazione di Armide.
Gluck nell’Ottocento, in un’epoDopo averlo condotto in un apca in cui la sua opera è stata forpartamento dall’aspetto insolise più studiata che rappresentatamente vetusto, arredato seta, quello che preme sottolineacondo la maniera antica, il bizre è la sua modernità, il suo ruozarro personaggio esegue al
lo imprescindibile negli sviluppianoforte proprio l’ouverture
pi successivi del teatro musicadell’Armide, arricchendola di
le. Se Hoffmann non è riuscito
numerose variazioni che confepienamente a fondare la grande
riscono alla musica un aspetto
opera romantica, per la quale birinnovato; in preda ad un’irresognerà aspettare l’apporto di
frenabile esaltazione, questi
Weber, ha però il merito non secanta la scena finale con un’econdario di averne individuato
spressione tanto intensa da far
le premesse, indicando la via da
trasalire lo stupefatto ascoltaseguire. L’influsso dell’Iphigénie
en Aulide, e del teatro gluckiano
tore, lasciandolo incredulo di
in generale, nell’ambito francefronte all’affermazione che egli
se ed italiano quanto in quello
altri non è che il cavaliere
tedesco, è indiscutibile e giunGluck in persona. La particolage fino a Wagner. Il fatto che
re sintesi fra realtà ed apparenquest’ultimo arrivò a rimanegza, caratteristica dello stile
giarne la partitura in occasione
hoffmanniano, trova qui la sua
di un allestimento presentato a
più compiuta realizzazione.
Dresda nel 1847, non può che
L’adesione al registro fantasticonfermare il ruolo predomico, secondo il quale il narratore
nante svolto da Gluck nella deassiste davvero all’apparizione
finizione dei caratteri dell’opedel fantasma di Gluck, o al
ra nel corso del diciannovesimo
contrario lo spostamento sul
secolo.
versante realistico, secondo cui
Riccardo Cenci
lo strano personaggio è sola-
Iphigénie en Aulide
14
E
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Un classico della letteratura goliardica
L’Ifigonia in Culide, dissacrante parodia
rano probabilmente i primissimi anni
Venti, quando un
ignoto gruppo di studenti appartenenti alla Goliardia si mise a tavolino
e scrisse, in chissà quanti
giorni di duro lavoro, la
più dissacrante parodia
della tragedia greca di
Euripide.
Un lungo poema in tre atti, steso in versi perfettamente sillabati, la cui trama si ispira, più che all’originale euripideo, piuttosto alla novella Turandot
di Carlo Gozzi.
I termini scurrili e le
esplicite allusioni sessuali
sono presenti in ogni singolo esametro, (con una
fantasia stupefacente) appena interrotti dalle didascalie relative all’azione
scenica, che invece sono
assolutamente serie e credibili.
Il contrasto crea inevitabilmente una tensione
esilarante, che però può
facilmente scandalizzare i
lettori più pudibondi.
Il titolo stesso fornisce
un’idea dell’alta densità
derisoria del testo: Ifigonia
in Culide.
La protagonista, stanca
della sua verginità, chiede
al padre, il Re di Corinto,
di trovarle un marito.
Sotto consiglio del Grande Sacerdote Enter O’ Clisma, il sovrano decide
che i nobili pretendenti
dovranno risolvere un indovinello per ottenere la
L’
Cappello da goliardo
mano della figlia.
Tra questi, il Conte Uccellone di Belmanico, Allah
Ben-Dhur, e Don Peder
Asta. E qui ci fermiamo.
Tra le severissime punizioni cui sono sottoposti i
pretendenti esclusi, non
la decapitazione ma la
partecipazione - fin troppo fisica - del Coro all’azione o l’affidamento alle
voglie amatorie dell’elefante sacro “Bel Pistolio”!
Del testo originale giunto
per via orale, successivamente manoscritto con lacune e perdite, è stata recentemente
eseguita
un’attenta esegesi che ha
preso in esame le varie
edizioni comparse. Il poema è un tripudio di gioiosa e ridanciana volgarità,
che deve però essere letta
e compresa nello spirito
goliardico. Infatti, nel suo
genere, si tratta comunque di un capolavoro.
La Goliardia
La Goliardia è stata, per
secoli, molto popolare in
Italia, (ma anche in altre
parti d’Europa), tra le
compagnie studentesche,
soprattutto universitarie,
tutte animate dal gusto
per la trasgressione, la ricerca dell’ironia e dello
scherzo salace.
Il fenomeno ha origine antiche,
addirittura medievali, e il suo
nome deriva
probabilmente dal francese goliard, ovvero seguace di Golia, soprannome del Diavolo od anche
di Pietro Abelardo. Filosofo, teologo e compositore, questo contraddittorio personaggio, avversario intellettuale di San
Bernardo da Chiaravalle,
volta alcuni, appreso ciò
che volevano, se ne andavano, recandosi a piedi
da Bologna a Salamanca,
da Parigi ad Heidelberg,
Padova, ecc., ovunque vi
fosse un maestro insigne.
Nei viaggi vivevano di
espedienti, talvolta cantando, rubacchiando, imbrogliando gli sciocchi.
Erano i Clerici Vagantes e
provenendo dalle file ecclesiastiche, i primi loro
canti nacquero dalla “contrafatio”, dalla “revisione”
sacrilega, scurrile volgare, dell’innologia sacra latina.
Canti
che, tra taverne, feste contadine e postriboli, esaltavano i piaceri della vita
e si trasformavano spesso in piccoli
spettacoli.
Nelle università italiane, la
“Pietro Abelardo ed Eloisa sorpresi da Fulberto” Goliardia raggiunse il suo
in un quadro di Jean Vigaud (1819)
massimo
splendore nella prima
visse nel XII secolo, e conmetà del Novecento
ferì rango filosofico allo
(quando nacquero le pristile di vita “da osteria”.
me congreghe goliardiche
Erano tempi duri quelli e
con proprie canzoni e temolti spiriti liberi che
sti, invadendo poi negli
agognavano apprendere
anni ’50 le città con manavevano come unica via
telli e berretti colorati a sequella di entrare in conconda della facoltà), per
vento e prendere gli ordispegnersi alquanto duranni minori al fine di impate gli anni ‘60, dopo che
rare a leggere e scrivere e
nell’immaginario collettiquindi poter accedere
vo studentesco prese preagli antichi testi. Ma tal-
potentemente posto - e
con risultati molto meno
divertenti - l’impegno politico. Attualmente, le
maggiori - e in molti casi
meno sane - possibilità di
divertimento hanno fatto
decadere ancor più questa
tradizione.
La struttura della Goliardia era ed è tuttora fortemente gerarchizzata, all’insegna dello sberleffo
irriverente verso le istituzioni più antiche e nobili.
Inni, stemmi, titoli roboanti, papiri e pergamene: tutto l’armamentario
di antichi feudi, arciconfraternite, abbazie, è riproposto con toni altisonanti e
profanatorie citazioni, per
ogni città e regione. Così le
compagnie, prendono nomi come Placido Ordine della Vacca Stupefatta, Sovrano
Ordine Goliardico Clerici
Vagantes, Fecondo e Calcinoso Ordine della Cazzuola,
Ordine della Chiave.
Sembra che la goliardia
sia frutto di una naturale
reazione chimica, data
dall’unione di diversi ingredienti: giovani appena
emancipati dall’autorità
familiare, una cultura fresca di studi, l’esigenza di
annegare nel divertimento le paure del futuro,
l’euforia di trovarsi fra
coetanei e, soprattutto, abbondanti quantità di vino.
Cesare Calamandrei
Goliardo
e storico della Goliardia
Il testo da cui fu tratto il libretto
L’Ifigenia in Aulide di Jean Racine
Ifigenia in Aulide è una tragedia in cinque atti di Jean
Racine che riprende il mito della giovane figlia del re Agamennone. Un lavoro, ispirato all’omonima tragedia da Euripide,
rappresentato per la prima volta a
Versailles il 18 agosto 1674.
La scena si apre con la flotta greca che dovrebbe partire per
Troia, ma ne è impedita dalla
bonaccia dei venti. La risposta
dell’oracolo Calcante, appositamente interrogato, è drammatica: affinché le navi possano salpare, è necessario sacrificare
agli dei la giovane figlia di Agamennone. Il re, dopo vari ripen-
samenti e discussioni, sceglie di
salvare la vita a Ifigenia, promessa sposa di Achille. Il suo
progetto viene però rivelato
pubblicamente dalla schiava
Erifile, segretamente innamorata dell’eroe. Il sacrificio sembra
prossimo, ma c’è un colpo di
scena: l’oracolo chiarisce infatti
che a morire non dovrà essere
Ifigenia ma Erifile, che in realtà
è di stirpe reale in quanto figlia
illegittima di Elena e Teseo ed è
stata dai suoi genitori segretamente chiamata come la giovane principessa greca.
Nello scrivere il dramma l’autore, profondo conoscitore dei mi-
ti e della cultura classica, pur
adeguando il testo al suo
tempo si rifà a diverse versioni della storia di Ifigenia: le
due di Euripide (una dalla
conclusione drammatica, in
cui la fanciulla viene sacrificata e una dal finale lieto, in
cui Ifigenia viene salvata dalla dea Diana che la trasforma
in cervo) e quella assai meno
conosciuta di Stesicoro. Racine sceglie per il finale quest’ultima, sulla base di due
fondamentali regole del teatro del tempo: la beiseance e la
vraisemblance, ovvero rispettivamente l’inopportunità di mette-
re in scena il sacrificio di un’innocente e la non verosimiglianza della trasformazione di una
fanciulla in cervo.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal mondo della Musica
15
Oltre 90 opere in cinquant’anni di carriera
Giuseppe De Luca, baritono inimitabile
N
Un volume rende merito al grande cantante romano
on molto alto, rotondetto, biondo,
con due occhi azzurri che brillavano di intelligenza ed arguzia;
questo, in due pennellate,
il ritratto di uno dei più
versatili e - artisticamente- longevi cantanti del
‘900.
Il ponderoso volume edito da Ianieri, «Giuseppe De
Luca, baritono inimitabile»
di Francesco Sanvitale,
con prefazione di Giorgio
Gualerzi, raccoglie le note
biografiche, artistiche, e
la discografia di un artista
la cui voce, riprodotta anche tramite le incisioni
più antiche, ci offre una
lezione di stile lineare ed
elegante, nonché di una
tecnica vocale altissima.
L’incisività della purezza
della dizione e l’ampiezza delle sonorità, caratteristiche comuni anche
agli altri baritoni romani
Battistini e Cotogni, si
plasmavano nella voce piuttosto chiara - di De
Luca, alle più caleidoscopiche sfumature dell’intenzione.
Il volume di Sanvitale,
D
senza cadute aneddotiche
e agiografiche, ripercorre
la carriera incomparabile
del baritono con una serie
di saggi affidati ai migliori esperti del settore come
Carlo Marinelli Roscioni,
Gianluca Tarquinio, Andreina Manzo, Roberto
Rupo.
Nell’epoca della specializzazione imperante anche nel repertorio dei
cantanti lirici, l’esempio
di De Luca dimostra come il sapiente studio
possa avverare per le voci maschili un sogno ritenuto quasi impossibile:
passare da un repertorio
all’altro, da una drammaturgia vocale ad una
apparentemente opposta, senza rovinare la bellezza e l’integrità della
voce, fino alla soglia dei
settanta, e oltre, anni
d’età.
«Il più grande baritono del
XX secolo», come è stato
unanimemente definito
dalla critica, era figlio di
un fabbro ferraio trasteverino. Ebbe una vita normale e tranquilla, senza
quelle isterie e quegli ec-
cessi che solitamente hanno tanta parte nelle costruzioni dei “miti”.
Nacque a Roma nel 1876
ed a otto anni fu ammesso alla schola cantorum di
S. Salvatore in Lauro.
Ostacolato dal padre, che
non vedeva di buon occhio le sue propensioni
artistiche, il ragazzo ebbe
la fortuna di incontrare il
conte Enrico di San Martino Valperga, presidente
dell’Accademia di Santa
Cecilia, che gli offrì una
borsa di studio. A quindi-
ci anni entrò nella classe
di canto del leggendario
maestro Venceslao Persichini, lo stesso che trasmise la sua scienza anche a
Checco Marconi, a Titta
Ruffo e a Mattia Battistini.
Nel 1897 De Luca debuttava come Valentin nel
Faust allestito al Teatro
di Piacenza. Dopo il
successo ottenuto, la sua
carriera prese il largo:
firmò subito contratti
per molte altre opere, tra
le quali figurava, nel cast, anche Enrico Caruso.
Dopo aver calcato le scene dei più importanti
teatri italiani e stranieri,
nel 1915, De Luca approdò al Metropolitan
di New York, dove non
è mai stato dimenticato,
al contrario di quanto
avvenne in Italia.
A tal proposito Giacomo
Lauri Volpi, negli anni
‘60, scriveva frasi di tagliente sarcasmo e forse
di una certa attualità:
«Siamo facili a dimenticare
oggi i veri eroi dell’arte. La
gente si appassiona più facilmente alla mnemotecnica
delle prodezze del calcio.
[…] La Radio propone indovinelli a tutto spiano e i ragazzi abboccano. Ignorano
magari la storia Patria e la
geografia dello Stivale ma
sciorinano cosa fece e quando nacque un Presley qualunque».
La carriera di De Luca,
adorna di un centinaio di
ruoli interpretati, si chiuse trionfalmente alla
Town Hall di New York
nel 1947, dopo esattamente 50 anni dall’esordio. «La sua straordinaria
versatilità - sintetizza efficacemente Giorgio Gualerzi - si rivelò l’arma vincente grazie a un triplice sostegno: la duttilità dell’organo vocale, tecnicamente addestrato a superare qualsiasi
difficoltà di tessitura; l’impeccabile musicalità del fraseggio; la mobilità del temperamento, capace di calarsi
nell’acida petulanza di Beckmesser, come nella brillante
ed estroversa cordialità di
Figaro, nella eleganza cinicamente sorniona del Mefistofele di Berlioz, come nella
profonda umanità di Rigoletto».
Andrea Cionci
Nelle sale cinematografiche le opere in diretta
Un palco … al cinema
opo lo straordinario
successo di pubblico
dello scorso anno,
con oltre 12mila biglietti venduti, è in corso la 2° stagione
lirica Microcinema Digital
Network – il primo network
digitale italiano - che propone live la grande lirica.. Il cartellone si è aperto il 16 settembre con la prima cinematografica de L’Italiana ad Algeri di Rossini per la regia di
Dario Fo.
Il calendario degli appuntamenti è proseguito poi con
importanti eventi live, fra i
quali: La Sonnambula, di Bellini il 15 ottobre dal Lirico di
Cagliari; la Carmen di Bizet
con la regia di Dante Ferretti
l’11 novembre dallo Sferisterio di Macerata; l’Aida di
Verdi il 3 dicembre dal Massimo di Palermo e quindi, attesissima come ogni anno,
l’apertura del Teatro alla
Scala di Milano, che il 7 dicembre ha proposto il Don
Carlo di Verdi.
Tutto partì dall’Opera
di Roma
Con la prima proiezione “live”, avvenuta nell’aprile del
2007 in 22 sale cinematografiche italiane, de La Traviata
di Verdi nell’allestimento di
Franco Zeffirelli, trasmessa
in diretta via satellitare dal
Teatro dell’Opera di Roma,
ha preso il via una campagna
per favorire la conversione al
digitale delle sale cinematografiche italiane, che oggi sono oltre 70. Il passaggio al digitale, oltre ad incrementare
la qualità delle proiezioni e
dei contenuti, permette una
drastica riduzione dei costi
della filiera distributiva.
Toscanini sosteneva che ci
dovesse essere una sinergia
tra tutte le arti derivata dal
progresso tecnologico: negli
Stati
Uniti
la
NBC
Symphony Orchestra venne
fondata perché fosse lo stesso Toscanini a dirigerla, utilizzando per la prima volta
in modo sistematico l’uso di
radio e televisione per le trasmissioni radiofoniche e le
registrazioni discografiche.
In questo modo milioni di
persone poterono ascoltare
la musica diretta da Toscanini, che in breve divenne un
vero e proprio fenomeno
mediatico.
Anche prime
cinematografiche
Oltre alla grande lirica diffusa via satellite in digitale e in
alta definizione, la stagione
cinematografica 2008 vanta
numerose esclusive cinema-
tografiche tra cui: Le Tre
Scimmie di Nuri Bilge
Ceylan, presentato all’ultimo Festival di
Cannes, Il Matrimonio di
Lorna dei fratelli Dardenne, Machan di Uberto Pasolini, film rivelazione di Venezia 65 e il
film d’animazione americano Piccolo grande
eroe, per la regia di Christopher Reeve.
La prossima opera
Il 17 marzo 2009 alle 19,45 La
Traviata è in programma in
diretta dall’Opéra Royal de
Wallonie di Liegi in Belgio.
Una nuova produzione con
la regia di Stefano Mazzonis
di Pralafera e la direzione di
Paolo Arrivabeni, da poco
nominato Direttore Musicale
dell’Opéra Royal de Wallonie. Violetta è Cinzia Forte.
Alfredo Germont è interpretato da un giovane tenore di
talento Saimir Pirgu che si è
esibito in importanti teatri
europei tra cui Salisburgo,
Vienna, Roma, Londra, Madrid e Berlino. I costumi sono di una giovane stilista belga Kaat Tilley. Nel cast ancora Veronica Simeoni, Giovanni Meoni, Cristiano Cremonini.
Il calendario può essere consultato
sul sito: www.micrcocinema.eu
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