Federico Benedetti VI Assemblea generale. In ordine sparso gli studenti si erano riversati nel vecchio cinematografo, stravaccati nelle poltroncine sfondate e impolverate : quella sala oscura e che puzzava di chiuso serviva solo per le assemblee. Quelli seduti dormivano, o pomiciavano con partner più o meno occasionali. Chi non aveva ancora trovato l’anima gemella, la cercava tra quelle libere, sperando che il fermento rivoluzionario che aleggiava come magica nube al di sopra degli astanti potesse avere effetti benefici sull’attività ormonale di compagni e compagne. Poi c’erano quelli che restavano in piedi ; o meglio correvano come forsennati attraverso la sala : erano i militanti, i leader di serie A, B o C –secondo il successo che riscuotevano in amore presso le numerose fan. Esso si misurava dal volume degli applausi che seguivano i loro interventi, tutti pressocché identici. I leader arrivavano trafelati e sfiniti da una notte insonne trascorsa a redigere la lunghissima mozione che sarebbe stata votata ed approvata alla fine dell’assemblea, comunque si fosse svolto il dibattito. Giovani capi, barba molle e sfatta, capelli lunghi arruffati da bambini appena svegli, carichi di giornali sotto il braccio –ma quando li leggevano? e poi erano testate tutte uguali, tutte piene d’accorato sdegno per gli stessi avvenimenti ; linee parallele puntualmente convergenti. - 44 - Federico Benedetti I leader stringevano tra le dita ossute enormi agende riempite d’impegni improrogabili, che li facevano lamentare di continuo per il loro planning infernale : incontri con il sindacato, leghe di quartiere, comitati di salute mentale per l’antipsichiatria, collettivi ambiente, consultori donna –tutti uomini femministi-, centro di controinformazione, gruppo di ricerca per i consumi alternativi ; tutte attività che facevano di loro eclettici ministri sempre a caccia di nuove responsabilità, d’inediti posti in commissioni e sottocommissioni. Giungevano all’assemblea con la sacca a tracolla ricolma di volantini acchiappati al volo all’ingresso della sala. Come in una fiera commerciale, tali adunate erano infatti l’occasione per ognuno degli attivi e numerosi gruppuscoli, di stampare e distribuire decine e decine di documenti, non per forza inerenti alla tematica del dibattito del giorno : essi riguardavano il più sovente guerre lontane, prigionieri politici dimenticati, dittatori sanguinari perduti in fitte giungle tropicali, fabbriche dai nomi misteriosi in fondo alle quali operai senza nome si consumavano intossicati, senza aver chiesto nulla agli studenti ricchi. In coda alla sfilata dei leader, che entravano trionfalmente nell’arena come magri gladiatori, trottava il nostro giovane eroe, il minore della cucciolata. Gli altri erano tutti più vecchi e più esperti. Tutti iscritti ai partiti, tutti informatissimi preparatissimi, con le formule magiche apprese negli opuscoli dottrinali, e soprattutto tutti molto più seri di lui. Nonostante la sveglia intelligenza ed il verbo brillante, il nostro giovane eroe era visto con sospetto nella cerchia dei leader, da quel giorno in cui era stato invitato ad uscire da un’assemblea per atti reputati osceni secondo l’ortodossia militante, e spudoratamente compiuti con una prosperosa compagna ai piedi del palco dei compagni dirigenti. Assemblee, - 45 - Federico Benedetti riunioni, collettivi, lo divertivano da morire : bellissime situazioni da romanzo, occasioni per inventare la vita, per scambiare, incontrare, mescolare, confondere e sentire. Un po’ vano e inconcludente agli occhi dei colleghi, quella del leader studentesco era per lui una fantastica parte che aveva l’onore di recitare in quel teatro eccitantissimo. Ciò che amava nelle assemblee era il loro aspetto di sagra paesana, i colori delle sciarpe che pendevano fino ai piedi lungo improbabili mantelle rattoppate, maglioni peruviani fatti a mano da fidanzate o mamme, berretti cappelli occhiali barbe baffi capelli trecce code di cavallo riccioli zoccoli calzettoni a righe. E dentro a quegli innumerevoli travestimenti, ognuno a inventarsi una faccia, una vita, un personaggio unico e seducente, i ragazzi, e soprattutto le ragazze, promesse senza fine di romanzi d’amore, di passeggiate nella notte, di avventure e di viaggi sulla luna. La politica era una festa, una giostra di occhi e di sorrisi. Prendeva il treno e se ne andava lontano, a caccia di manifestazioni di cortei di fiumane rumorose che attraversavano città sconosciute, piazze antiche allegramente profanate dalla voglia di vivere di sognatori adolescenti. Canti musica balli baci abbracci così s’inventa il nuovo mondo, così glielo mettiamo in culo ai preti ai borghesi ai tristi figuri. E poi c’era lei. La sua Euridice, la bellissima Euridice, Euridice con i riccioli sugli occhi e sulle spalle, i calzettoni gli zoccoli e lunghe sottane multicolori sotto le quali le sue mani di giovane ingordo andavano a cercare i segreti dell’amore. Euridice era la rivoluzione ogni giorno, a raccontarsi storie di maghi e di foreste, le dita gli occhi la bocca a cercare i limiti della fantasia, pagine e pagine di sogni sulla punta della matita del pennello degli acquarelli dei loro bellissimi mondi di bambini grandi, di ragazzi pieni d’amore e di voglia d’inventare il tempo. Così fiero di lei, - 46 - Federico Benedetti con Euridice accanto che tutti guardavano, era lui il signore dei ribelli, Fra Diavolo, lo spirito del bosco, il priapo folletto che brandisce la fiaccola della rivolta, l’amore stretto in pugno. Ma l’amore non era un progetto rivoluzionario serio e degno di rispetto per i compagni dirigenti. Stizza per quell’entusiasmo giovane ingenuo sincero. Intelligenza buttata via; un bravo compagno, colle palle quadre, ma quell’amore le stava smussando; e troppa gioia, troppo sorridere troppo sensuale, con tutto quel che c’é da fare e la rivoluzione é una cosa seria, lacrime e sangue, altro che amore. Anche per lui la rivoluzione era una cosa seria ; seria come l’amore ; seria come il gioco per un bambino che gira una sfera tra le mani, che ne osserva i colori, che accarezza le cose ruvide lisce vellutate, e in quell’ozioso attento esplorare apre i propri sensi e impara a leggere il mondo, e a valutare la propria possibilità di entrarci, di viverci e di trasformarlo per i propri bisogni. Cambiare il mondo cambiare la vita, seminare lungo il cammino disperato dell’esistenza fiori profumati colori sensazioni incontri fantastici paesaggi senza fine. Riempire la vita d’amore, dilatarne lo spazio all’infinito, eliminarne la noia ; come non c’era noia nei momenti meravigliosamente interminabili passati con Euridice. Non c’é noia nell’amore, né ripetizione ; l’esplorazione della pelle dei sensi del cuore é espansione senza limiti azzeramento del tempo; é schiudersi al nuovo ad ogni istante ; rinascere altro e scoprire l’orizzonte di un mondo inedito, la luna sempre la stessa e mai uguale. Anche per lui la rivoluzione era una cosa seria ; e fu con immensa serietà ed attenzione che osservò un giorno la biblioteca di Euridice, in un angolo della sua camera da letto di ragazzina. - 47 - Federico Benedetti Dopo il loro primo incontro nel gruppo di studio e quella memorabile ubriacatura che lui si era preso di lei, della sua immagine e della sua voce -senza contare la scollatura-, lui le aveva telefonato ogni sera, puntuale come una pioggia tropicale, che pare insopportabile i primi giorni, poi non se ne può fare a meno, e la si aspetta come una benedizione. Euridice non l’aveva trovato né attraente né simpatico ; molto meno divertente del suo amico Glauco, purtroppo decisamente brutto. Non aveva mai amato i primi della classe, quelli in vista, quelli che parlavano intervenivano partecipavano ; quel tipo che pareva sapere tutto, un po’ contorto un po’ tormentato, non le faceva nemmeno tenerezza : forse rabbia, una rabbia strana che non conosceva. Euridice si divertiva a scherzare con la compagnia dei saltinbanchi, che aveva a sua volta una predilezione per lei, nonostante femmina. Ma lui non ne faceva nemmeno parte ; si faceva i cazzi suoi, sempre, e sembrava passarsi il tempo a comporre strane poesie mezze scritte mezze disegnate, a studiarsi giochi di parole, ad ascoltare una musica che conosceva solo lui, tutta silenzi e suonacci ; e a progettare la rivoluzione, cambiare il mondo cambiare la vita : che palle ! Eppure le sue telefonate, accolte dapprima con una certa insofferenza, le divennero a poco a poco indispensabili : Euridice fu incuriosita da quei discorsi strani, e da quel ragazzino vestito male coi suoi copricapi ricamati in stile esotico che assomigliavano a presine da cucina in bilico sulla testa. Quel personaggio improbabile sembrava nascondere un segreto, un’energia pronta ad esplodere, come un vulcano che si riposa placido in mezzo ad un mare senza un’onda. Da quel poeta dilettante si sentì amata, con passione con furia ; le piacque, ed ebbe voglia di risalire alla sorgente di quella forza misteriosa. Quel lungo viaggio le avrebbe - 48 - Federico Benedetti mostrato esattamente tutto ciò che sperava e tutto ciò che temeva della vita. Ma questo Euridice non lo sapeva ancora. Settimane al telefono ; poi lui cominciò a suonare alla sua porta ; e a salire in casa, con quella spudoratezza fiduciosa di cui solo i bambini sono capaci ; o gli adulti un po’ stupidi. E per ore le raccontava la sua filosofia, la sua visione del mondo buffa impossibile campata per aria ; ma sempre politica, fiabescamente politica. Euridice imparò a divertirsi di quei discorsi ; si sentiva un po’ al cinema, o a teatro ; imparò anche a prenderlo in giro, con un’amichevole dolcezza che lui amò subito. Euridice aveva un’arte tutta sua di ridere delle cose, di tutto quel mondo polveroso di cui gli adulti sembravano essere i noiosissimi guardiani. Zattera in quel diluvio, la camera di Euridice fu il primo della lunga serie dei loro rifugi d’amore. Là impararono a conoscersi, ad amarsi a ridere a giocare . E fu là che un giorno, osservando attentamente uno per uno i libri della biblioteca, che trovava scarsamente provvista di buoni autori, egli lanciò un grido misto di sorpresa, di soddisfazione e di trionfo, la conferma di avere ben riposto i propri sentimenti : tra i libri di Euridice c’era un testo sacro del femminismo, uno degli indispensabili che, pur non avendolo mai letto, egli citava spensieratamente e raccontava, naturalmente, di conoscere a menadito. Uno di quei polpettoni metà marxismo metà psicanalisi, conditi di vita vissuta di donne martoriate dall’ingiustizia, padre padrone padreterno shakerati da un editore alternativo. Un po’ ottuso come si é spesso a quell’età, lui credeva nelle apparenze: ammirava le austere e rozze militanti che si nutrivano di tali letture, anche se mai avrebbe desiderato sfiorarle con un dito. E ancora meno avrebbe immaginato di trovare tale ordigno nella biblioteca della bellissima Euridice, così dolce così giocosa così - 49 - Federico Benedetti spensierata. L’arma di un’amazzone, di une truce valchiria nell’alcova di una principessa ? I conti non gli tornavano. Come spesso gli successe con Euridice, gli si aprì una porta su un paesaggio sconosciuto: l’ambivalenza, la contraddizione che dà gusto alla vita. Gli piaceva. E per festeggiare la scoperta di un’Euridice rivoluzionaria, coi libri femministi accanto al letto, decise di portarla fuori, come fanno gli uomini. Non fu ristorante, né festa da ballo. Rifletté a lungo alla questione, e qualche giorno dopo, all’uscita dalla scuola, le fece una proposta degna di lui : « Ti andrebbe oggi pomeriggio di venirmi ad aiutare a ciclostilare dei volantini alla sede del collettivo ? » Se qualche giovane persona si fosse avventurata –certo per errorenella lettura di questa fiaba di tempi così lontani, avrà senza dubbio bisogno di un ragguaglio rispetto a questa parola misteriosa : il ciclostile. Euridice ed il nostro giovane eroe si amarono all’epoca in cui i computer pesavano una tonnellata, si chiamavano cervelli elettronici e si trovavano sulle basi missilistiche; il clic era il rumore della macchina fotografica, e per fare fotocopie in grande quantità si andava in costosi laboratori che puzzavano d’inchiostro, e le si ordinava una settimana prima. I volantini distribuiti dai militanti davanti a scuole e fabbriche, per diffondere l’eco della rivolta, erano stampati su una macchina a manovella, talvolta elettrica, che li inchiostrava uno per uno a partire da una matrice dattiloscritta –si cerchi in un vecchio dizionario enciclopedico l’illustrazione di una macchina da scrivere . I ciclostili si trovavano spesso in buie cantine di gruppuscoli estremisti ; non che non li si potesse mettere al primo piano, ma il sotterraneo aumentava l’impressione di essere dei cospiratori clandestini carbonari. E per il nostro giovane eroe, che aveva invitato la sua bella al ciclostile, quella penombra fu l’occasione di sussurrarle cose che forse non - 50 - Federico Benedetti avrebbe osato dirle alla luce del sole. Alla fine del pomeriggio, fuori era già scesa una complice oscurità ; i nostri due teneri agitatori uscirono con un pacco di volantini ognuno sotto braccio, e le mani che restavano loro libere strette l’una nell’altra . Si amavano. E i volantini si potevano stampare anche ridendo, giocando, la rivoluzione poteva essere diversa da quel muso infinito digrignato sotto i capelli unti dei compagni dirigenti. Come diversa era Euridice , diversa da tutto ciò che conosceva prima : creativa e colorata. E grazie a quel caleidoscopio scoppiettante risa, lui scopriva anche una parte di se stesso che imparava ad amare, o meglio riusciva finalmente ad unire i due capi della matassa : Flaubert e papà Scarponi, un sindacato dadaista, la rivolta innamorata. I suoi viaggi nel paese dei cortei, dei sacchi a pelo e della rivoluzione permanente cominciò a farli con lei, ogni volta che i genitori di Euridice la lasciavano partire, di fatto piuttosto spesso, con quello stravagante fidanzato. Erano tempi in cui una zazzera di capelli lunghi e un paio di scarpe da tennis aprivano tutte le porte, ed assicuravano un facile alloggio ovunque si arrivasse. Su una piazza gremita di giovani sfaccendati, o meglio occupatissimi a rifare il mondo con discorsi incandescenti, cominciare a parlare, farsi riconoscere da sconosciuto come uno dei loro, e domandare un posto per dormire. E subito case dove si viveva in comunità, e qui c’é una stanza vuota una stuoia per terra e puoi buttare giù il sacco a pelo e vuoi qualcosa da mangiare, ci cuciniamo un boccone di dove sei a che gruppuscolo appartieni e dibattito e cazzo sono già le tre buonanotte a domani resta quanto vuoi. In quel mondo in cui muoversi era così facile, lui ci sguazzava, si sentiva un vagabondo da romanzo, si inventava cosmiche - 51 - Federico Benedetti avventure; l’universo era un immenso letto nel quale sprofondare con Euridice, sentire la vita con la bocca e le mani attaccate alla sua pelle. Come quando lei partì per qualche giorno per un convegno femminista, fortezza severamente vietata agli uomini, in cui le donne potevano con gioia e sano odio esprimere tutto il male che pensavano dei brutali e mesti personaggi che avevano abbandonato a casa. Lui prese il treno e si presentò a lei con il suo candido sorriso, e con la ferrea e sfacciatissima intenzione di starle vicino, insomma ancora e ancora di amarla. Euridice di uomini mesti e brutali non ne aveva ancora incontrati, ed era così felice che il suo avesse voluto attraversare il paese per venirla ad amare. Il nostro giovane ed impavido eroe penetrò così di nascosto nella fortezza inespugnabile e riuscì ad infilarsi nel letto di Euridice, dove restarono stretti l’uno all’altro tutta la notte, a festeggiare sotto le lenzuola la loro disobbedienza ai dettami dell’ortodossia politica. E tra i baci appassionati che profanavano le solide mura del castello delle amazzoni, lui si sentiva finalmente, armato fino ai denti, Lenin nel palazzo d’inverno : che bella, la Rivoluzione ! - 52 -