Settimanale Nuova serie - Anno XXXX - N. 3 - 21 gennaio 2016 Fondato il 15 dicembre 1969 Dopo l’esecuzione di un leader sciita Dal Rapporto di Erne alla 5ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI Braccio di ferro tra Arabia Saudita Le divisioni tra e Iran per l’egemonia regionale gli islamici Aumentano i pericoli di guerra PAG. 11 PAG. 10 Il Consiglio di sicurezza La nuova dottrina di Putin sulla unito per combattere sicurezza della Russia: le finanze dell’IS uso della forza e guerra all’IS PAG. 12 PAG. 13 Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande Maestro del proletariato internazionale PMLI e PCdI commemorano assieme Lenin a Cavriago PAG. 8 Molti manifestanti si stringono al PMLI alla commemorazione dell’eccidio degli operai di Modena di 66 anni fa Al banchino pomeridiano consensi alla posizione antimperialista e antirenziana del Partito che ha ricevuto diverse sottoscrizioni 9 gennaio 2015. Preil pmli condanna la rimozione dello striscione Modena, sidio di commemorazione della Fonderie Riudel collettivo Guernica contro il “jobs act” dell’eccidio nite di Modena. Le bandiere dei In vista delle elezioni comunali a Bologna PAG. 8 Maestri e del PMLI spiccano nella foto pubblicata dal giornale online ModenaToday Guerra per le candidature In cambio di appalti, assunzioni e favori tra le varie correnti A Quarto la camorra ha dei partiti borghesi votato il M5S Astenersi e creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo PAG. 6 La corruzione è connaturata al sistema capitalista e alle istituzioni parlamentari borghese I vertici del M5S hanno coperto il criminale patto con il clan polverino PAG. 3 Tappezzando i muri di manifesti con il suo faccione come un qualsiasi politicante borghese Secondo il rapporto annuale del quotidiano “Sole 24 ore” L’arcirevisionista Marco Rizzo Napoli tra le ultime città italiane per lavoro, giovani e qualità della vita candidato sindaco a Torino I media borghesi fanno a gara per incensare la sua candidatura PAG. 6 Un’ulteriore conferma del fallimento delle “politiche sociali” del neopodestà De Magistris PAG. 7 Inquinamento urbano. Il ministro dell’Ambiente Galletti presenta un piano contro l’inquinamento che prevede poche misure non vincolanti per i sindaci. Critiche dal mondo ambientalista Un “nuovo” modello simile a quello imposto da Marchionne alla Fiat Respingere la “proposta organica” di Federmeccanica Palliativi del governo Renzi contro lo smog per il rinnovo del contratto metalmeccanici Il Comitato centrale della Fiom invece non ne chiede il ritiro e continua la trattativa PAG. 2 Occorre puntare su una diversa mobilità urbana pubblico e collettivo unito all’utilizzo di fonti rinnovabili per i riscaldamenti domestici PAGG. 4-5 2 il bolscevico / interni N. 3 - 21 gennaio 2016 Un “nuovo” modello simile a quello imposto da Marchionne alla Fiat Respingere la “proposta organica” di Federmeccanica per il rinnovo del contratto metalmeccanici Il Comitato centrale della Fiom invece non ne chiede il ritiro e continua la trattativa La promessa di una “proposta organica” da parte di Federmeccanica si è materializzata e ha assunto le sembianze di un attacco organico al Contratto Nazionale di Lavoro e a qualsiasi tipo di aumento salariale collettivo, con l’obiettivo di cancellare la vecchia contrattazione sostituendola con il cosiddetto “nuovo modello contrattuale” di Squinzi e Confindustria che prevede sindacati e lavoratori completamente succubi delle esigenze aziendali senza alcun potere rivendicativo autonomo. È questo il succo della proposta di Federmeccanica, l’associazione dei padroni delle imprese meccaniche. Non le è bastata quella avanzata dalla Fiom, già di per se debole e ben disposta al cedimento. Una piattaforma, quella della Fiom, che fa propri i principi contenuti nel Testo Unico del 10 gennaio 2014 che prevedono le deroghe al contratto nazionale e la limitazione delle libertà sindacali con nuove regole sulla rappresentanza. Una proposta che accetta le “clausole di raffreddamento”, le quali altro non sono che la limitazione del diritto di sciopero e delega a livello aziendale la maggior parte della contrattazione salariale, che porta avanti gli enti bilaterali attraverso la sanità aziendale che si va ad aggiungere alla previdenza integrativa. Una marcia indietro rispetto al passato compiuta da Landini e dalla Fiom, nel tentativo di evitare ad ogni costo accordi separati, ritrovare l’unità con Fim e Uilm e sedere al tavolo della trattativa con le associazioni padronali. Ma queste non si sono accontentate e, trovando la porta aperta, sono andate oltre cercando di applicare alla categoria dei metalmeccanici, la più numerosa e significativa di tutte le altre, il nuovo modello contrattuale. Il fulcro su cui ruota la proposta di Federmeccanica è la trasformazione del “minimo contrattuale” in “salario minimo di garanzia”. Non si tratta di un semplice esercizio lessicale, ma lo svuotamento del contratto nazionale ridotto alla funzione di organismo che traccia la soglia di salario più bassa, calcolata a posteriori, cioè sei mesi dopo l’anno di riferimento, attraverso l’IPCA (un sistema di calcolo dell’inflazione parziale). Un progetto del tutto simile a quello che ha in testa il governo del nuovo duce Renzi e al modello proposto dalla Cisl. In sostanza vuol dire che gli aumenti salariali derivanti dal contratto nazionale saranno bloccati per la maggior parte dei lavoratori. Andranno solamente a chi è al di sotto del salario minimo, mentre per tutti gli altri che lo superano verranno assorbiti. Il tutto riferito al salario complessivo, ossia minimi contrattuali, supermi- Un eloquente striscione portato a Roma durante una manifestazione nazionale della FIOM nimi individuali e collettivi, scatti di anzianità, premi di produzione, ecc. Dal 2017 anche l’elemento perequativo, ossia la cifra che spetta a chi non ha la contrattazione aziendale, sarà assorbita nel salario di garanzia. Tutto ciò porterebbe incrementi, molto miseri per la verità, solo al 5% dei lavoratori. Tutti gli altri eventuali aumenti sono rimandati alla contrattazione di secondo livello. L’unica “concessione” di Federmeccanica è quella di 260 euro annui sotto forma di “Premio di Risultato”. Ma i padroni potranno scegliere di destinarli al welfare integrativo o alla for- mazione organizzata e funzionale all’azienda anziché metterli in busta paga. Atteggiamento molto più flessibile invece sulla previdenza e sanità integrativa, sulla formazione. I padroni sono disposti a pagare anche parti di quote adesso spettanti ai lavoratori. Appare evidente che in questo caso i soldi gli possono rientrare perché andranno ai privati, oltretutto danneggiando la già derelitta sanità pubblica. I padroni vogliono anche il restringimento dei permessi sindacali, legati alla presenza sul lavoro, cioè meno giorni se ti ammali. Un’altra riduzione dei diritti sin- Senza vergogna e senza precedenti Renzi a servizio della Ferrari Il nuovo duce e il capofila dei manager italiani si scambiano sperticati elogi “Grazie a Marchionne, che con la quotazione della Ferrari ha inviato un bellissimo messaggio all’Italia”. “Grazie al premier Renzi per aver trovato il tempo di venire qui nonostante un’agenda fitta di impegni”: si sprecavano i ringraziamenti reciproci e gli elogi sperticati, il 4 gennaio davanti alla Borsa di Milano, tra il nuovo duce Renzi e il capofila dei manager italiani Marchionne, convenuti insieme ai vertici della Fca (ex Fiat), a battezzare il debutto della Ferrari in Piazza Affari. La Ferrari è un mito nel mondo? E io me lo intesto, si è detto Renzi, sempre abilissimo a sponsorizzare qualsiasi evento gli torni mediaticamente vantaggioso, che si tratti di eventi sportivi, di spettacolo o altro. Magari creandoseli egli stesso mettendo la firma finale a lavori decisi da altri e da anni, come ha fatto con l’Expo e, solo pochi giorni prima, con l’inaugurazione della variante di valico e i restauri di Pompei. Con lo stesso opportunismo furbastro con cui si eclissa nel pieno di vicende mediaticamente negative e “gufesche”, come lo scandalo della Banca Etruria. Anche la cerimonia dell’esordio in Borsa della Ferrari si prestava quindi alla perfezione per metterci sopra il cappello, e anche per rinsaldare i suoi legami ferro con Marchionne, intestandosi anzi il merito, a dimostrazione di ciò, di essere stato lui stesso a chiedere all’amministratore delegato di Fca di quotare la Ferrari anche in Italia, quando a ottobre la casa di Maranello fu fatta debuttare alla Borsa di New York. Un favore che Marchionne gli ha fatto volentieri e che non gli costa nulla, visto che tanto la sede legale della Ferrari è in Olanda e le sue azioni ben piantate a Wall Street, mentre Milano è solo una piazza secondaria, più di rappresentanza che altro. Del resto Renzi l’aveva già detto, con la solita aria di sufficienza, in occasione del trasferimento della sede legale di Fca nel Regno Unito e del suo centro direzionale negli Stati Uniti, mentre paga le tasse in Olanda: “Per me non è importante dove si trova il quartiere generale finanziario e delle attività. Per me la cosa importante è mantenere il made in Italy. Non è importante se a Wall Street o a Amsterdam. Quello che è asso- lutamente importante è l’aumento dei posti di lavoro in Italia”. Che poi si tratti di posti di lavoro a scadenza come le mozzarelle e senza garanzie sindacali, mascherati da posti a tempo indeterminato ma pagati dalla collettività attraverso gli sgravi fiscali del Jobs Act di cui anche Marchionne si è valso a man bassa, questo Renzi si è guardato bene dal dirlo. Basti pensare che Renzi non si è nemmeno degnato di intervenire alle quotazioni in Borsa di due tra le più importanti società pubbliche da lui stesso messe recentemente sul mercato, Fincantieri e Poste Italiane, mentre ha voluto presenziare a tutti i costi alla festa di Marchionne, che si è portato la Fiat oltreoceano, per capire di che pasta è fatto il nuovo duce di Palazzo Chigi D’altra parte Marchionne – che avesse già deciso autonomamente o no la quotazione di Ferrari a Piazza Affari - doveva pur ringraziarlo, per il Jobs Act e i molti altri servigi ricevuti dal suo amico premier, che difatti non ha mancato da parte sua di vantarsene, snocciolandoli uno dietro l’altro dal podio: “L’agenda politica del 2015 – ha detto infatti il neoduce con sussiego – era fatta di articolo 18, di legge di Stabilità, di riforma costituzionale, di abbassamento dell’Irap sul costo del lavoro, dell’Imu, della Tasi, tutte questioni che non riguardano più la politica perché sono state affrontate. La politica deve fare molto anche nel 2016, ma con la consapevolezza che l’Italia c’è e non deve aver paura del mondo. Questo è il messaggio che ci deve dare la quotazione Ferrari”. Musica per le orecchie del capofila dei manager liberisti, antioperai e antisindacali italiani, che riconoscendo nel nuovo duce il realizzatore politico instancabile e indefesso della sua dottrina economica e sindacale di stampo mussoliniano, si è unito all’ovazione della platea intonando un sonoro “grazie a Renzi per quello che sta facendo per l’Italia”! Un idillio, quello tra il servo e il padrone Piazza Affari, senza vergogna e senza precedenti, se non forse quello tra Mussolini, Valletta e Agnelli durante le visite del duce del fascismo alla Fiat. dacali che persegue anche il governo nel settore pubblico. Sono invece di manica larga quando si tratta di dedicare tempo alla “formazione” a loro carico perché così avranno uno strumento in più per inculcare ai lavoratori un atteggiamento collaborativo e succube verso l’azienda. Una “proposta organica” da respingere in toto, senza la minima esitazione. Non vediamo alcuna motivazione valida che possa giustificare un’apertura nei suoi confronti. Questo nuovo modello contrattuale prevede lo smantellamento del contratto nazionale collettivo di lavoro, ridotto a debole cornice dentro la quale ci stanno poche regole e i minimi salariali di garanzia, mentre tutta l’altra parte del reddito viene legata alla produttività aziendale, stabilendo praticamente il blocco dei salari esattamente come nel pubblico impiego, mentre la parte normativa potrà essere tranquillamente scavalcata attraverso le deroghe previste dal citato Testo Unico. Un “nuovo” modello che non è altro che la copia di quello di Marchionne imposto alla Fiat, che prevede i lavoratori completamente a disposizione dell’azienda, sindacati collaborazionisti pena l’espulsione dalla fabbrica, diritti sindacali ridotti al lumicino, previdenza e sanità aziendali, supersfruttamento e turni massacranti, aumenti salariali solo a fronte di quelli produttivi. Ci saremmo aspettati da parte della Fiom una chiara risposta di fronte all’arroganza di Federmeccanica. Niente di tutto questo. Il Comitato centrale della Fiom svoltosi l’8 e il 9 gennaio non ha giudicato irricevibile la proposta padronale, tanto meno ha dato avvio alla mobilitazione dei lavoratori per respingerlo com’era lecito aspettarsi. Il documento della segreteria ha ottenuto praticamente l’unanimità, 116 voti, mentre nessuno ne ha ricevuto quello di Bellavita (“il sindacato è un’altra cosa”), che riteneva “la proposta di Federmeccanica nel suo complesso irricevibile”. Nel documento votato si legge che il Comitato centrale ritiene il nodo salariale quello principale, perché la proposta organica padronale con i minimi garantiti escluderebbe la maggioranza dei lavoratori dagli aumenti. Ma il giudizio complessivo “considera un primo risultato importante l’avvio di un tavolo unitario di negoziato fra i sindacati metalmeccanici e Federmeccanica per ricostruire un rinnovato contratto nazionale di lavoro”. Una posizione inaccettabile che lascia aperto il negoziato su queste basi e non chiede il ritiro della “proposta organica” e allo stesso tempo ribadisce la disponibilità della Fiom al “rinnovamento” del modello contrattuale voluto da Confindustria. Il Comitato centrale guidato da Landini conferma l’abbandono da parte della Fiom di quel ruolo che si era conquistata sul campo, quale forza principale di opposizione al modello Marchionne prendendo anche decisioni diverse dal resto della Cgil, allineandosi alla segreteria generale e alla Camusso e di fatto capitolando di fronte alle nuove relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano messe in pratica per primo dall’amministratore delegato di FCA. CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI GENNAIO 14 22 25 Usb-Nazionale – Sciopero Vigili del Fuoco Cobas pt-Cub-Usb – Sciopero lavoratori Poste Italiane SpA Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Trasporto Aereo – Sciopero del personale Enav SpA, Alitalia Sai SpA, Aeroporti di Roma SpA, Consulta, WFS Ground Italy, Aviation Services, Aviapartner Handling - Personale non Dirigente FEBBRAIO 12 Usb-Lavoro Privato – Sciopero personale Trasporto Aereo, Gruppo Meridiana Fly Esclusione personale Meridiana Maintenance interni / il bolscevico 3 N. 3 - 21 gennaio 2016 In cambio di appalti, assunzioni e favori A Quarto la camorra ha votato il M5S La corruzione è connaturata al sistema capitalista e alle istituzioni parlamentari borghese I vertici del M5S hanno coperto il criminale patto con il clan polverino Meno di un anno fa, nel maggio 2015, in occasione della campagna elettorale per le comunali, i boss politici del M5S, Roberto Fico (presidente della Commissione di Vigilanza Rai) e Luigi Di Maio (vicepresidente della Camera) che proprio in Campania hanno il loro feudo elettorale, coniarono addirittura lo slogan “liberiamo Quarto dalla camorra” per ingannare le masse popolari e carpire il loro voto a sotegno della candidata pentastellata Rosa Capuozzo che vinse le elezioni con il 70,7 per cento dei voti validi sia pure su una percentuale di votanti di appena il 43,79%. Una vittoria che oggi, alla luce degli sviluppi giudiziari, appare a dir poco inquietante in quanto è stata ottenuta coi voti determinanti raccattati dal consigliere grillino in odore di camorra, Giovanni De Robbio, che ha fatto il pieno di preferenze grazie ai suoi accordi con la camorra. Non a caso il comune di Quarto è stato sciolto per ben due volte per infiltrazioni camorristiche nel 1992 e nel 2013 e tutti sanno che il clan dei Polverino controlla in modo capillare tutto il territorio ed è in grado di condizionare pesantemente perfino l’esito delle elezioni. Ciononostante, Grillo, Casaleggio, Fico, Di Battista e Di Maio esultavano per la “straordinaria vittoria ottenuta nel primo Comune a cinque stelle in Campania” e promettevano “cinque anni incredibili dove l’onestà finalmente, in un Comune sciolto per irifiltrazioni camorristiche, entra dalla porta principale insieme a tutti i cittadini di Quarto. Oggi il Comune diventa di tutti, farà l’interesse della cittadinanza e non più dei privati e dei malavitosi”. Nel giro di soli sette mesi la realtà che si presenta davanti alle masse popolari di Quarto è ben diversa. Dal 23 dicembre De Robbio è ufficialmente indagato per voto di scambio e tentata estorsione nei confronti della stessa Capuozzo con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo gli inquirenti il recordman di preferenze grillino, in cambio dei voti per essere eletto in consiglio comunale, ha promesso all’imprenditore in odore di camorra, Alfonso Cesarano, legato a doppio filo al clan Polverino, la gestione del campo sportivo comunale e un contatto costante e diretto con l’amministrazione comunale per eventuali altri Da sinistra: Giovanni De Robbio, Roberto Fico, Rosa Capuozzo, Luigi Di Maio in un bar di Quarto durante la recente campagna elettorale favori, appalti e utilità fra cui la promessa di assumere in Comune il figlio del boss piddino Mario Ferro, (anche lui indagato) e ottenere la nomina del geometra Giulio Intemerato a consulente del Comune per i condoni edilizi. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche alcune intercettazioni da cui emerge in maniera inequivocabile il mericimonio fra esponenti del M5S e il clan Cesarano. “Comincia a chiamarlo. Ha preso 890 voti, è il primo degli eletti. Noi ci siamo messi con chi vince, capito?” intima per telefono il primo giugno 2015 Cesarano, titolare fra l’altro delle pompe funebri utilizzate per il funerale dei Casamonica a Roma. “Si deve portare a vo- tare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant’anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle – insiste Cesarano - L’assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire così lo facciamo cadere”. Pressato dal suo padrino politico, De Robbio comincia a ricattare la Capuozzo mostrandole la foto aerea di un abuso edilizio relativo all’abitazione ereditata dal marito, dove la coppia vive. “Agli inizi di ottobre - ha cercato di giustificarsi la Capuozzo davanti agli inquirenti - il De Robbio venne da me a casa, mi mostrò una foto aerea di casa mia che aveva sul cellulare. Lo stesso mi disse che c’era un problema urbanistico riguardante la mia abitazione ma che dovevo essere meno aggressiva, non dovevo scalciare, dovevo essere più tranquilla con il territorio”. Un ricatto in perfetto stile mafioso teso a condizionare l’approvazione del Piano urbanistico comunale e le decisioni della giunta sulla gestione dello stadio cittadino e le nomine dell’assessore ai cimiteri e all’urbanistica. Un ricatto di cui la Capuozzo dice di aver informato ripetutamente i massimi vertici del M5S, primi fra tutti i boss campani Fico e Di Maio, che invece di intervenire e denunciare il mercimonio invitano la sindaca ad “Andare avanti e di lavorare tranquillamente”. Per quasi un mese Grillo e il direttorio pentastellato cercano di insabbiare lo scandalo e difendono a spada tratta la Capuozzo tant’è che in un post del 6 gennaio affermano fra l’altro: “I voti raccolti dall’ex consigliere non sono stati determinanti e l’indagato è già stato espulso”. Ma nel giro di una settimana, di fronte all’indignazione della base e all’incalzare dell’inchiesta, Grillo e il vertice M5S sono costretti a una rocambolosca marcia indietro decretando l’espulsione della Capuozzo dal Movimento che però a stretto giro di posta ha già fatto sapere di non avere nessuna intenzione, insieme ai suoi consiglieri, di mollare la poltrona. Tutto ciò mentre sullo sfondo imperversa la guerra per bande e lo scambio di accuse fra il M5S e il PD a chi è più corrotto e compromesso con la mafia. La contesa riguarda l’ex consigliere del PD Ferro che teneva in contatti fra il M5S De Robbio e Cesarano. Secondo gli inquirenti l’imprenditore in un primo momento aveva rivolto la sua attenzione sul candidato piddino. Ma poi in seguito alla pronuncia del Consiglio di Stato che ha escluso la lista PD dalle comunali del 31 maggio scorso, Cesarano e il clan Polverino decidono di cambiare cavallo e scelgono il Movimento 5 Stelle. Ciò conferma che le istituzioni rappresentative borghesi, centrale e locali, sono irriformabili, sono esse stesse fonti di corruzione e del dilagare del potere mafioso; mentre a tirare le fila sono sempre i soliti potentati economici e mafiosi indipendentemente da chi va al governo. I fatti confermano che anche il M5S che doveva essere il partito della legalità e della trasparenza non appena ha messo piede dentro le istituzioni è finito nel pantano di mafiopoli. Esattamente come l’ex PCI revisionista ora trasformatosi nel PD di Renzi, che allora si vantava di essere il partito dalle “mani pulite” e ora è finito per diventare il partito dei tangentisti, dei corrotti e dei mafiosi. Il delegato aveva contestato i diktat aziendali durante la trattativa per l’integrativo Il colosso Usa Lyondell licenzia delegato Cgil Luca Fiorini, 52 anni, delegato Filctem Cgil nella Rsu della multinazionale della chimica LyondellBasell di Ferrara, è stato licenziato lunedì 4 gennaio dall’azienda, con la motivazione di “violenza sul posto di lavoro”; secondo l’accusa, avrebbe spintonato un dirigente nel corso di una trattativa per il contratto integrativo tra Rsu e direzione nel dicembre scorso. “Io sono stato licenziato proprio mentre discutevamo, senza riuscire a metterci d’accordo, su una clausola di salvaguardia per gli esuberi: secondo noi il lavoratore deve poter accedere a tut- Scioperi e assemblee di protesta te le posizioni aperte, pur di conservare il posto, mentre la Basell vuole conservarsi la possibilità di concedere o no il ricollocamento a sua discrezione”, afferma Fiorini. “Eravamo da due giorni in trattativa, ci hanno dato degli ‘inaffidabili’ e ‘irresponsabili’, ci hanno accusato di voler far perdere tempo a loro e ai loro avvocati, mentre noi cercavamo di salvare dei posti di lavoro”. Questo atteggiamento nasconde, secondo il segretario generale della Filctem Emilio Miceli un preciso “disegno politico che l’azienda ha in mente”, vale a dire quello di “sostituirsi al sindacato ed escluderlo dai confronti”. O forse, più precisamente, quello mutuato dalla politica arrogante, antioperaia e antipopolare del governo del nuovo duce Renzi, della contrattazione inesistente che, cioè, scavalca a piè pari il sindacato stesso e calpesta ogni diritto sindacale, salvaguardando i profitti. E così si inventa l’aggressione, si monta la provocazione per licenziare chi si oppone al diktat padronale. Il metodo, denuncia Miceli “è simile a quello degli anni ’50, quando si licenziavano i sindacalisti per poi liberarsi dei dipen- denti”. Usato largamente anche negli anni ‘70 dalla stessa Fiat di Agnelli per isolare gli operai più avanzati e i sindacalisti incorruttibili. La LyondellBasell, multinazionale Usa della chimica, a Ferrara ha un importante centro ricerca e produzione con 860 dipendenti; “un gruppo che nel mondo l’anno scorso ha fatturato 45 miliardi di dollari, 8 dei quali di guadagno. E che si vanta di essere quello che tra i suoi competitor – dalla Dow alla Basf – distribuisce più utili”, afferma il sindacalista. Ma proprio per questo vuole le mani libere per gestire i profitti e licenziare senza vincoli i lavoratori. Infatti, a dimostrazione della sua politica antioperaia poche settimane prima ha dato il benservito a due lavoratrici. “La nostra protesta, continua Fiorini, li ha obbligati a revocare la misura, e hanno dovuto trovare per loro un posto consono, mentre all’inizio avevano proposto un contratto a termine con una perdita netta di livello. È la dimostrazione che la nostra clausola è sensata, e che si può applicare: ma questa sconfitta deve aver bruciato nel momento in cui chiedevamo di metterla nero su bianco nell’integrativo”. Nel comunicato delle Segreterie regionali di CGIL, CISL e UIL Emilia Romagna del 4 gennaio si legge: “Quanto sta accadendo alla Basell è indegno ed inaccettabile. Licenziare un delegato sindacale,strumentalizzando un diverbio nel corso del negoziato sull’integrativo aziendale, palesa la reale volontà dell’azienda di colpire le agibilità sindacali”. E conclude: “La vicenda di Luca non può essere derubricata a una questione personale, ma deve essere assunta come una questione generale che riguarda il rispetto della dignità di chi lavora, il diritto di contrattare, il diritto di agire sindacalmente. Le Segreterie CGIL CISL UIL Emilia Romagna sostengono e sosterranno tutte le iniziative che verranno decise per far recidere Basell da una posizione inaccettabile e contro le libertà sindacali”. Il sindacato, dopo l’affollatissima assemblea del 7 gennaio degli operai della Lyondell chiede che il provvedimento di licenziamento di Luca Fiorini venga immediatamente revocato da Basell, anche se questa, almeno per ora, rifiuta di annullare il provvedimento. Il 14 gennaio si conclude una prima fase di scioperi, poi si terranno delle assemblee di tutti i lavoratori. Per il 20 gennaio è previsto un nuovo sciopero di quattro ore di tutto il petrolchimico. 4 il bolscevico / governo renzi N. 3 - 21 gennaio 2016 Inquinamento urbano. Il ministro dell’Ambiente Galletti presenta un piano contro l’inquinamento che prevede poche misure non vincolanti per i sindaci. Critiche dal mondo ambientalista Palliativi del governo Renzi contro lo smog Occorre puntare su una diversa mobilità urbana pubblico e collettivo unito all’utilizzo di fonti rinnovabili per i riscaldamenti domestici Il mese di dicembre del 2015 sarà ricordato, fra gli altri scempi economici, legislativi e sociali, anche per il record di inquinamento toccato da molte grandi città del nostro Paese, in primis Milano, Roma e Napoli. E anche questa volta si sono dovute attendere le piogge per abbassare gli altissimi livelli di concentrazione di polveri sottili toccati. Blocchi parziali della circolazione, prima, e blocchi totali poi, si sono rivelati ancora una volta tardivi e inefficaci. Milano, dopo 33 giorni consecutivi di sforamento dei limiti consentiti di Pm10 (50 microgrammi al metro cubo) ha deciso di imporre una tre giorni straordinaria di blocco del traffico per 6 ore quotidiane, anche se solo 13 comuni su 120 dell’area metropolitana però hanno risposto all’appello. Addirittura a Roma il prefetto Francesco Paolo Tronca si è limitato a emettere una mezza ordinanza per le targhe alterne. Un provvedimento che ha già rivelato la sua inefficacia lo scorso autunno, utilizzato nella capitale per ben sei giornate. Il centro della questione però è che i livelli dei veleni da polveri sottili che oggi vengono considerati come “situazione di smog straordinaria”, più o meno approssimativamente, sono diventati la norma. Un po’ di cifre aiutano a capire quanto fiato è stato sprecato dai governanti borghesi, nei decenni, sul presunto “allarme smog”. Prendendo ad esempio Milano, quest’anno sono stati superati i limiti per oltre 100 giorni, ed erano stati 68 nel precedente anno particolarmente piovoso, 81 nel 2013, 104 nel 2012, 129 nel 2011, 128 nel 2007, 145 nel 2006, 151 nel 2003 e 162 nel 2002. È utile sapere che la normativa prevede che i superamenti non possano essere più di 35 nell’arco dell’anno, anche se per la salute pubblica questo limite di “sforamento dei limiti”, pare una concessione inadeguata e strumentale che dovrebbe invece tendere allo zero. Si soffoca dunque, con tragica regolarità. È noto che Milano e la pianura padana sono da sempre tra i luoghi più inquinati d’Europa, anche per colpa delle auto, dell’industria inquinante e di una mobilità insostenibile a livello strutturale. Le responsabilità del governo Renzi L’avvio dell’offensiva propagandistica renziana era iniziato proprio con la cerimonia di chiusura dell’Expo milanese. Ben ricordiamo quando alla cerimonia di chiusura dell’Expo milanese, Renzi attraverso fiumi di retorica ha tentato di convincere il Paese che la capitale economica dell’Italia era stata rivitalizzata dal “grande evento” e che non rimaneva altro che cogliere i frutti degli investimenti e del lavoro svolto. In realtà, quattordici miliardi di euro sono stati gettati al vento senza aver programmato nessuna innovazione nel sistema dei trasporti pubblici di Milano. Cento ettari di territorio agricolo coperti di cemento e asfalto, che hanno alterato ulteriormente il bilancio ambientale della città, rimangono l’altra eredità della manifestazione. Tutti i suoi atti da premier non hanno minimamente scalfito la questione urbana e anche l’ultima legge di stabilità ha dimenticato di sostenere le città nelle loro immense problematiche logistiche. Nel provvedimento è stata anche ripristinata la possibilità per tutti i comuni di pagare la spesa corrente attraverso gli oneri di urbanizzazione; Renzi dunque ha “cambiato verso” ripristinando il dominio della speculazione immobiliare, riuscendo a fare addirittura peggio del governo del tecnocrate Monti che aveva sospeso la misura. Per tutti questi motivi non regge la linea autoassolutoria del governo che se la prende unicamente con la siccità eccezionale e le avverse condizioni metereologiche. Sono anni che proprio per attenuare gli effetti del cambiamento climatico, diversi specialisti ed economisti chiedono di porre in essere una politica organica e sostenibile per le città. Il protocollo governo-regioni Presso il ministero dell’Ambiente, il 30 dicembre è stato siglato un protocollo sottoscritto dal ministro Gian Luca Galletti, dal presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini e dal presidente dell’Anci Piero Fassino. Per gli osservanti filo governativi che ci credono, questo è il decalogo anti inquinamento che prevede “misure d’urgenza” omogenee che scatteranno al settimo giorno di superamento delle soglie in ogni città. Buoni propositi e briciole di stanziamenti a parte, la sostanza è questa: dopo sette giorni di veleni verrà abbassato di due gradi il riscaldamento delle abitazioni e degli uffici e verranno ridotti a 30 km orari i limiti di velocità delle automobili. In più, ci saranno sconti sui biglietti dell’autobus. Il primo punto sembra una conclusione del tutto demagogica e parimenti irrealizzabile; basti pensare allo stesso provvedimento e al suo completo fallimento dell’allora sindaco di Milano Moratti che nel 2011 propose una misura analoga. Provvedimento fallito per la sostanziale impossibilità di controlli su larga scala e per le diverse peculiarità delle esposizioni dei singoli appartamenti in condomini a riscaldamento centralizzato. Da sottolineare inoltre il fatto che nessuna legge dispone queste seppur blande ed insufficienti misure, poiché la titolarità delle decisioni resta in capo ai sindaci che possono anche non fare nulla. Ad alleggerire questa mancan- Lo smog che soffocava Milano, zona Porta Nuova, il 23 dicembre scorso za fondamentale, è stato costituito il Comitato di coordinamento ambientale, composto da alcuni sindaci delle città metropolitane ed altri presidenti di Regione; organismo confuso, dall’esito pratico incerto. Il protocollo prevede anche una serie dei soliti provvedimenti sul lungo periodo più volte annunciati e sempre disattesi nella sostanza quali l’incremento dell’efficienza energetica agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il rinnovo dei mezzi pubblici, la promozione di una rete di ricarica che supporti la riconversione elettrica delle automobili, il potenziamento di bike e car sharing e delle piste ciclabili. Ancora in ballo i soliti incentivi per la rottamazione delle vecchie auto, come se incrementare quel mercato non volesse dire confermare una strategia inquinante iniziata nel secolo scorso che ha avuto il solo risultato di far fare profitti milionari alle case produttrici dell’industria automobilistica in primo luogo alla Fiat. I recenti scandali sulle emissioni riguardanti la Volkswagen e poi allargatisi ad altre case automobilistiche sono testimonianza viva dell’impossibilità di conciliare tali misure col sistema di produzione capitalistico e le sue dinamiche. Per quanto riguarda i finanziamenti, arrivano solo spiccioli e perfino spalmati su tre anni. Vale la pena ricordare che la Legge di Stabilità 2016 appena varata prevede un fondo di appena 450 milioni di euro di investimenti al riguardo mentre destina 4 miliardi di euro di sussidi all’autotrasporto e per gli investimenti in strade e autostrade. Lo hanno denunciato anche i Verdi: “La riunione ha partorito il nulla, il ministro farebbe meglio a dimettersi. Uno stanziamento di 12 milioni è offensivo, si tratta di una cifra che equivale al costo di un chilometro di autostrada. L’Italia ha bisogno di provvedimenti strutturali che si possono adottare solo con scelte economiche e strutturali”. Secondo altri esperti, un finanziamento sensato avrebbe dovuto ammontare a 12 miliardi di euro, e non milioni come elargito dal governo. La posizione del PMLI La questione dell’inquinamento ambientale e soprattutto delle grandi città ripropone in maniera vergognosa l’opportunismo dei governi centrali e locali che se ne ricordano solo a scopo elettoralistico. La concentrazione delle polveri sottili nelle città è questione strutturale poiché i centri maggiori come Milano, Roma e Napoli sono circondati da anelli autostradali con conseguente concentrazione di polveri sottili e nanopolveri; non va tanto meglio alle altre città toccate in gran parte da vie autostradali come Firenze ad esempio, e questo fenomeno si riproporrà fino a quando il tema dei trasporti non sarà affrontato in maniera radicale. A poco servono isolati blocchi del traffico, totali o parziali che siano, poiché rappresentano solo palliativi e non risolvono il nocciolo del problema. Ormai è chiaro che la mobilità in generale, ed in particolare quella cittadina, deve avere risposte collettive e pubbliche e non private e individuali. La situazione in Italia è ancora più drammatica che altrove. Il nostro Paese nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491mila a livello Ue. In Italia l’epicentro dell’ecatombe si trova proprio nella pianura padana e in particolare nelle aree in- torno a Torino, Milano, Monza e Brescia che superano ampiamente il già generoso limite della Ue. Il governo Renzi non ha adottato alcuna politica lungimirante sulla questione energetica, dei trasporti di persone e merci. A fianco alla questione trasporti, è presente la poca consistenza degli incentivi per l’efficentazione dei riscaldamenti domestici e degli altri miglioramenti residenziali, che fino ad oggi hanno avvantaggiato in maniera massiccia i palazzinari sulle nuove costruzioni e poco più nell’ambito delle ristrutturazioni, lasciando intatte per fare un esempio concreto, le problematiche energetiche insite nei condomini che rappresentano a livello nazionali circa il 50% della forma residenziale. Sul versante della mobilità poi rimane da aggiungere che, nonostante a livello europeo siamo di fronte ad un piccolo “boom” della mobilità elettrica, l’Italia pare non prendere in considerazione questa opportunità, nonostante i proclami per l’installazione di nuove colonnine di ricarica nei centri cittadini. Oggi gli incentivi in Italia sono di appena 1,5 milioni di euro all’anno, mentre in Francia arrivano a 60 milioni, contro il massimo dei 250 in Norvegia; sarà forse per questo che a fronte di un’auto elettrica su quattro in Norvegia, in Italia siamo alla cifra ridicola di 3.500 auto totali pari allo 0,1% delle vendite? Sul come risolvere la questione, condividiamo in parte le misure proposte da Legambiente e dai Verdi anche se non possiamo trovarci d’accordo totalmente su alcune misure, né sull’assoluta mancanza di riferimenti alla gestione pubblica dei servizi fondamentali, in primis dei trasporti. Nei provvedimenti proposti non c’è poi traccia di alcuna forma di pagamento, tasse o di sgravi fiscali che sia rapportata al reddito; questione secondo noi fondamentale. Non condividiamo ad esempio la proposta del limite di velocità abbassato a 30km orari nei centri abitati poiché, oltre a tutte le altre difficoltà insite nel muoversi in città con questi limiti, se da un lato è vero che teoricamente a bassa velocità le emissioni diminuiscono, dall’altro aumenterebbero i già numerosi ingorghi le cui conseguenze saranno altrettanti “stop and go” che invece risultano più inquinanti del normale procedere. Ci pare generica la misura dal titolo “Fuori i diesel dalle città” che vuol limitare immediatamente la totale circolazione in ambito urbano dei veicoli diesel anche per i residenti, pur in assenza di un modello efficace di trasporto pubblico urbano su rotaia o elettrico. Ben venga realizzata in futuro la totalità della proposta ma al momento sarebbe probabilmente più opportuno prevedere per i residenti del centro che non possono permettersi una mobilità privata alternativa, ulteriori finanziamenti pubblici da elargire in base alle varie fasce di reddito per la sostituzione dei mezzi inquinanti con mezzi elettrici e non inquinanti. Condividiamo il principio “chi inquina deve pagare” e siamo sostanzialmente d’accordo per l’estensione delle linee generali proposte in coro dalle associazioni ambientaliste che vorrebbero estesa da una disposizione nazionale la normativa d’ingresso alle grandi città i cui ricavi siano interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale. Non possiamo però condividere la scelta del modello individuato nell’Area C milanese, un accesso a pagamento dei veicoli inquinanti in una vasta area ZTL del centro urbano, con particolari esenzioni ai mezzi di servizio pubblico, merci e simili, e con piccole agevolazioni ai residenti, soprattutto per gli sviluppi negli anni del provvedimento, dalla sua istituzione ad oggi. Pisapia aveva annunciato che il dazio per l’ingresso al centro sarebbe servito oltre che per diminuire l’inquinamento, per scongiurare futuri aumenti di costo dei biglietti; in realtà nel settembre 2013 Milano ha subito l’ennesimo aumento delle tariffe che ha colpito principalmente le fasce più deboli, a partire dagli anziani poiché per gli “over 65” con reddito Isee superiore a 20mila euro l’abbonamento è di fatto raddoppiato. Al di là delle limitazioni del traffico, ogni misura dovrebbe essere necessariamente basata su tariffe in base al reddito, prevedendo l’esenzione per le fasce più basse ed un pagamento superiore ai 5 euro per giornata standard per i redditi più alti. A parte pubblichiamo le proposte del PMLI contro smog e inquinamento. governo renzi / il bolscevico 5 N. 3 - 21 gennaio 2016 Una quinta è morta per complicazioni durante il parto in casa Quattro donne muoiono di parto in ospedale Gli ultimi giorni dell’anno appena trascorso sono stati tragici per la sanità italiana, in modo particolare per le partorienti. Il 25 dicembre infatti è morta all’ospedale di San Bonifacio, in provincia di Verona, la trentaquattrenne Anna Massignan mentre si stava sottoponendo a un parto cesareo, e il neonato è deceduto subito dopo la nascita in un altro ospedale. Il giorno successivo, il 26 dicembre, all’ospedale Sant’Anna di Torino subiva la stessa sorte la trentanovenne Angela Nesta, morta per arresto cardiocircolatorio in sala parto dopo che, incinta di nove mesi, aveva partorito una bambina morta prima di nascere. Il 29 dicembre sono morte addirittura due donne per problemi legati alla gravidanza: la trentacinquenne veneta Marta Lazzarin – che, ricoverata all’ospedale di Bassano del Grappa al settimo mese di gravidanza con dolori addominali e febbre alta, è entrata in coma dopo un arresto cardiocircolatorio durante il travaglio per espellere il feto già morto da un paio di giorni – e la ventitreenne pugliese Giusy Coda che, incinta di nove mesi, è morta a casa sua a Foggia per complicazioni dovute al parto e inutili sono stati tutti i tentativi di rianimarla, ma almeno in questo caso un cesareo effettuato agli Ospedali Riuniti di Foggia sul corpo della donna ha potuto far nascere una bambina in buone condizioni. Infine il 31 dicembre alla sala parto degli Spedali Civili di Bre- Sanita’ di Renzi e Lorenzin assassina scia cessava di vivere la trentenne Giovanna Lazzari insieme al bambino di cui era incinta da otto mesi. Insomma nel XXI secolo in Italia e soprattutto nel ricco e tecnologico nord si muore ancora di parto soprattutto si muore per le gravi carenze della sanità pubblica. Non possiamo credere a una “drammatica casualità” così etichettata dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, commentando i tragici fatti e inviando ispettori ministeriali negli ospedali coinvolti, bensì una drammatica conseguenza dei criminali e reiterati tagli alla sanità attuati, ultimi dei quali frutto del decreto legge n. 78/2015 convertito in legge 6 agosto 2015 n. 125. Forse qualcuna di queste cinque donne si sarebbe potuta salvare se avesse fatto gli opportuni esami, anche a scopo cautelativo, e se esistesse una rete funzionante e diffusa di consultori per assistere adeguatamente le donne in gravidanza invece che la loro chiusura come previsto per legge dalla Sanità assassina di Renzi-Lorenzin. E che la politica dei tagli mette a rischio, tra l’altro, anche la vita delle partorienti lo dice autorevolmente in un’intervista all’ANSA la dott.ssa Serena Donati, responsabile del Sistema Sorveglianza Mortalità Materna dell’Istituto Superiore di Sanità, la quale ha affermato che “ogni anno si stima che circa 50 donne muoiano di parto in Italia, un dato medio-basso se confrontato con altri Paesi europei ma che potrebbe essere dimezzato, anche se non azzerato”, e potrebbe esserlo, aggiunge l’esperta, attraverso una migliore assistenza medica e psicologica alle donne durante la gravidanza e una migliore organizzazione durante i parti: infatti, relativamente ai decessi registrati attraverso il sistema di sorveglianza attiva, i dati disponibili sono quelli relativi a 6 regioni italiane prese come campione (Sicilia, Campania, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte), dove, nel 2013 e 2014, sono stati contati 39 morti in occasione del parto. L’emorragia che interviene dopo il parto - continua la dott.ssa Donati - è la prima causa e copre il 52% dei decessi, mentre i disordini ipertensivi durante la gravidanza è responsabile del 19% delle morti, cui seguono le tromboembolie che rappresentano il 10%, e anche una banale influenza può risultare letale a una donna che si trova in una fase delicatissima della vita come la gravidanza, come testimoniano le 4 donne decedute per tale causa. L’esperta dell’Istituto Superiore di Sanità conclude poi che tra i fattori di rischio per le partorienti vi sono “l’aumento dell’età materna, le condizioni di deprivazione sociale e il basso livello di istruzione, così come l’utilizzo del taglio cesareo laddove non necessario”. È chiaro quindi che una sanità pubblica degna di questo nome deve ottimizzare la vita dei pazienti, tra cui le donne in gravidanza e le partorienti, erogando tutte le prestazioni og- gettivamente necessarie al benessere psicofisico del paziente. Senza alcun dubbio le responsabilità di queste 5 morti ricadono sul nuovo duce Renzi e la sua mi- nistra Lorenzin che hanno ridotto la sanità pubblica a un colabrodo cancellando anni di conquiste delle masse popolari e femminili soprattutto per quanto riguarda i consultori e l’assistenza gratuita in gravidanza e nel parto, mentre preferisce investire miliardi di euro per le sue fregole imperialiste guerrafondaie. Catania. Un’eloquente immagine delle pessime condizioni in cui versa il reparto maternità dell’ospedale Cannizzaro (foto postata su Internet da un gruppo di mamme a corredo di una denuncia) Le proposte del PMLI contro lo smog Il PMLI per ridurre fortemente fino ad eliminare lo smog dalle città, propone Trasporti Urbani - Abrogare le privatizzazioni già attuate o in atto. Ripubblicizzare il servizio di trasporto pubblico. - Piani di sviluppo e di ammodernamento del trasporto pubblico urbano ed extraurbano nelle città principalmente basato su metropolitane, tram e di bus elettrici e a metano a basso tasso d’inquinamento. Rinnovo totale del parco mezzi pubblici urbani.. - Un serio Piano nazionale antismog al quale devono essere vincolate da subito almeno il 50% delle risorse per le infrastrutture, da destinare alle città con obiettivi tangibili fissati per giungere a ridurre gli spostamenti individuali motorizzati al di sotto del 70% del totale entro 8 anni. Al momento i disservizi, l’affollamento dei convogli e il forte disagio per chi viaggia, porta sempre più persone a scegliere l’auto per gli spostamenti casa-lavoro. - Chiudere i centri cittadini al traffico privato di autovetture inquinanti, salvo che per i residenti, per le attività di carico e scarico merci, e per gli altri mezzi di pubblica utilità nell’attesa del rinnovo completo del parco mezzi pubblici urbani. Prevedere con una disposizione nazionale regolamenti di accesso ai centri urbani delle grandi città di mezzi inquinanti con le tariffe basate sul reddito fino all’esenzione per le fasce più basse, i cui ricavi siano interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale. Chi inquina deve pagare ed i più ricchi devono pagare di più. - Potenziare gli orari, le frequenze, le linee e le vetture dei bus e delle metropolitane per fronteggiare adeguatamente le esigenze di mobilità e collegare le zone periferiche tra di loro e con il centro città. - Trasporti pubblici urbani ed extraurbani su gomma e su rotaia gratuiti per i disabili, i pensionati poveri, i disoccupati e per spostamenti di lavoro e di studio. - Favorire con incentivi economici doppi rispetto a quelli attua- li e sottraendoli ai contributi per prodotti e derivati da fonti fossili, la diffusione di bici, motorini e motociclette elettriche, aumentando considerevolmente le postazioni di ricarica nei centri urbani. - Stop ai sussidi all’autotrasporto per migliorare il trasporto pubblico locale. Dal 2000 al 2015 sono stati dati circa 400 milioni in media l’anno all’autotrasporto e anche per il 2016 gli aiuti diretti e indiretti saranno pari a 250 milioni di euro. In 15 anni sono stati erogati dallo Stato al trasporto merci su gomma oltre 6 miliardi di euro. Chiediamo che tali risorse siano, al contrario, destinate ad incrementare e migliorare il trasporto pubblico locale e il servizio per i cittadini. - Nuovi controlli sulle emissioni reali delle auto. Applicare immediatamente i nuovi criteri di prova di omologazione per i veicoli immessi sul mercato, con verifica su strada e dichiarazione obbligatoria dei risultati reali di consumo e di inquinamento risultanti. - Potenziare, o costruire ex-novo, parcheggi pubblici scambiatori gratuiti, o a prezzi popolari, pri- vilegiando quelli in sottosuolo e in elevazione, presso le vie di penetrazione delle città e nei centri cittadini solo per i residenti, con adiacente il servizio di trasporto pubblico. - Realizzare nelle grandi città nuove corsie ciclabili lungo le principali direttrici di mobilità all’interno dell’area urbana che consentano spostamenti in bici sicuri ed efficienti e costituiscano una valida alternativa all’uso dell’auto privata. prevedere un servizio comunale per l’affitto di biciclette a prezzi popolari. - Predisporre piani locali per la mobilità condivisa: car pooling, car sharing, bike sharing e Uber (iniziative che comportano la condivisione e l’uso comune di auto e bici) Inquinamento Urbano - Installare in tutte le città, da parte dei comuni, un capillare sistema di rilevamento e di monitoraggio dell’inquinamento dell’aria (polveri, piombo, benzene, ecc.). - Riscaldarsi senza inquinare. Vietare l’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici a partire dalla prossima stagione autunnale. Obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini in tutta Italia a partire dalla prossima stagione di riscaldamento. - Rendere strutturale e definitivo il provvedimento per le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie per l’efficientamento energetico per riammodernare tutto il patrimonio edilizio italiano. La percentuale delle detrazioni deve essere calcolata in base al reddito fino alla copertura del 90% per le fasce più basse o per i senza reddito. Di contro obbligatorietà di adeguamento degli immobili di proprietà senza alcun contributo per i redditi più alti. Adeguamento energetico obbligatorio per tutti gli immobili pubblici. - Ridurre l’inquinamento industriale urbano. Allontanare dai centri abitati gli impianti ad alto rischio di inquinamento e di esplosione. Eliminare l’inquinamento industriale che coinvolge ben sei milioni di persone, da Trieste a Taranto. Applicare il principio chi inquina paga e realizzare le bonifiche. - Le autorizzazioni integrate ambientali (AIA) dovranno essere rigorose con controlli e monitoraggi in continuo degli inquinanti a partire dalle diossine. Il personale e le strumentazioni di controllo delle Arpa ( agenzie regionali protezioni ambiente) vanno potenziati attraverso l’inserimento di membri dell’associazionismo ambientalista, a partire dagli stessi comitati locali che da sempre si battono contro queste fonti d’inquinamento. - Introdurre nel contratto di lavoro pubblico e privato il bonus trasporti per chi lascia la macchina a casa e usa i mezzi pubblici, mobilità sostenibile o condivisa. - Piano per la realizzazione di nuovi boschi urbani nelle città italiane in aree dismesse da recuperare. - Applicare un’apposita tassa a carico di chi produce e acquista prodotti energetici altamente inquinanti (come quelli di origine fossile); anche come forma incentivante a usare quelli più ecologici. 6 il bolscevico / elezioni amministrative 2016 N. 3 - 21 gennaio 2016 Tappezzando i muri di manifesti con il suo faccione come un qualsiasi politicante borghese L’arcirevisionista Marco Rizzo candidato sindaco a Torino I media borghesi fanno a gara per incensare la sua candidatura Dal Responsabile del PMLI per il Piemonte Lo scorso 13 novembre Marco Rizzo ha presentato ufficialmente la propria candidatura alla carica di sindaco della città di Torino. “Fai la cosa giusta”, ecco lo slogan che l’arcirevisionista ha adottato per la sua campagna elettorale. In una pomposa conferenza stampa, conferenza a cui i media asserviti al sistema borghese hanno dato ampio spazio, Rizzo ha dichiarato: “A Torino, città del movimento operaio e della resistenza, riparte il partito comunista. Il progetto per Torino è non sottostare ai vincoli del FMI e delle grandi banche. Rompiamo la gabbia della stabilità”. Nei giorni e nelle settimane successive con una sorprendente disponibilità finanziaria per un partito che si professa comunista ed in lotta aperta (a parole) contro lo Stato borghese, la città di Torino, soprattutto i suoi quartieri popolari, è stata letteralmente tappezzata di poster su cui troneggia la faccia dell’imbroglione Rizzo come un qualsiasi politicante borghese e, sullo sfondo, una sbiadita falce e martello di colore bianco. Rizzo, al pari di un qualsiasi caporione borghese in contesa per un posto al sole nelle istituzioni borghesi, si è lanciato in quella che si preannuncia una agguerrita campagna elettorale. La sua ipocrisia non conosce davvero limiti. Avvezzo a ruoli importanti e lautamente retribuiti nelle corrotte istituzioni borghesi – Rizzo, lo ricordiamo, è stato deputato e parlamentare europeo – ora si presenta come “outsider” antisistema in lotta contro lo Stato borghese ma, allo stesso tempo, abbandonate ancora una volta le sue farsesche velleità rivoluzionarie, ambisce a vincere le elezioni amministrative borghesi per la carica di neo-podestà di Torino! Campagna elettorale col vento in poppa dei media borghesi La carriera politica di Rizzo ha attraversato tutte le stagioni del trotzkismo, del revisionismo e del riformismo dal ’77 ad oggi. Dal suo esordio nelle file dell’organizzazione “ultrasinistra” e trotzkista “Lotta Continua” passando poi, con un’operazione entrista tipica dei trotzkisti, nel PCI revisionista, Rizzo ha sempre dimostrato la sua natura opportunista e borghese. Dopo una sfolgorante carriera nel PCI, Rizzo nel 1991 fu tra i fondatori del partito della rifondazione comunista dove, pur facendo parte della corrente filosovietica revisionista di Cossutta, non ha avuto problemi a sostenere la candidatura del trotzkista Bertinotti segretario del partito. Nel 1998 è stato tra i fautori della scissione di destra che ha visto la costituzione del partito dei comunisti italiani, nato con il preciso scopo di appoggiare l’allora governo D’Alema nella sua aggressione imperialistica ai danni della Federazione jugoslava. Espulso da quel partito nel 2009 per avere in più occasioni sostenuto la campagna elettorale dell’Italia dei valori del destro Di Pietro (per un “comunista” non c’è male davvero!) Rizzo si è improvvisamente scoperto marxista-leninista ed ha fondato un suo partito “comunista”. La natura revisionista di questo partito è lampante. Esso non propone assolutamente la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato, ma l’attuazione della Costituzione democratica borghese e anticomunista del 1948 e la via elettorale e parlamentare per raggiungere una “democrazia per tutti”, quindi anche per i borghesi e i padroni. In altre parole non si propone l’abbattimento del sistema capitalista bensì la sua riforma in senso “democratico” e “popolare”. Il partito “comunista” di Rizzo nasce per attuare la Costituzione borghese che sancisce questo Stato capitalistico e le sue leggi di classe. Tutto ciò basta a qualificare Rizzo come un opportunista e falso comunista? Proviamo a ragionare per assurdo e a considerare Rizzo come un potenziale – dire “vero” sarebbe un insulto troppo grande per la storia del movimento operaio – marxistaleninista. Ebbene, i media borghesi darebbero forse così tanto spazio a un autentico nemico del sistema borghese? A Torino, città “cuore” della borghesia piemontese e nazionale e ancora oggi importantissimo polo industriale del Paese, i pescecani capitalisti avrebbero deciso di dare risonanza alla campagna elettorale di Rizzo, loro potenziale becchino? In barba al rigido black-out che da decenni colpisce il nostro Partito, Rizzo ha sempre beneficiato della massima visibilità sui media borghesi. Che dire a proposito della sua “discesa in campo” per la carica di podestà della città della Mole? Quasi si fosse trattato di un evento di risonanza nazionale la sua candidatura è stata rilanciata sui media borghesi con attenzioni superiori a quella del riformista Airaudo, che è stata annunciata la settimana precedente, e a quella dello stesso Fassino arrivata un mese dopo. Rizzo alla conferenza stampa di presentazione della propria candidatura ha denunciato la BCE, il FMI, l’Unione europea e, più nel dettaglio, il patto di stabilità di Torino e i suoi 5 miliardi di euro di debiti che, pur non avendolo affermato esplicitamente, fa capire non intende restituire alle banche creditrici. Nel suo sproloquio ha dichiarato che da Torino, la città dei padroni Agnelli e Marchionne, il suo partito “comunista”, intende mettersi in marcia... per la conqui- Il faccione dell’arcirevisionista Marco Rizzo, candidato sindaco, invade le strade di Torino, in perfetto stile da politicante borghese sta del socialismo! Ebbene, conceri rivoluzionari e per imbrigliarli di briscola nella competizione tinuando il nostro ragionamento, in questo falso partito comunista elettorale torinese e il suo partito se ciò fosse vero anche solo in che non sarà nulla di più dell’ensi attesterà quasi di certo tra i faminima parte allora la classe donesimo “contenitore” a sinistra nalini di coda dei partiti borghesi minante borghese concederebdel PD. in corsa per Palazzo civico. Se be a Rizzo ed al suo partito solo La grande risonanza data alla Rizzo non ha rilevanza alcuna nel un’oncia di spazio mediatico? No, candidatura di Rizzo a Torino è panorama politico borghese in ciò non avverrebbe. Se Rizzo rapinoltre in piena contrapposizione termini di consenso elettorale e presentasse solo una parvenza di al PMLI e alla sua scelta astensioper presenza dentro le istituzioni minaccia per lo Stato borghese e nistica a carattere tattico, questa che contano allora perché, ci doper il sistema capitalistico subirebsì unica e possibile scelta rivomandiamo, la classe dominante be lo stesso black-out del PMLI e luzionaria per le masse sfruttate borghese e i suoi servi gli danno gli sarebbe impossibile “saltelladella città. La classe dominante tanto spazio? Se la sua candidare” da una trasmissione televisiva borghese e i capitalisti hanno detura a Torino non ha alcuna posall’altra a concionare per ore, alle ciso di puntare su Rizzo, e con lui sibilità di successo e, stando alle stesse condizioni degli altri invitati sul suo falso partito “comunista”, previsioni, rischia di essere asdei partiti del regime capitalista e come uno specchietto per le alsolutamente insignificante come neofascista. lodole per ingannare le masse mai l’immagine di Rizzo “comutorinesi, illudendole che votando nista antisistema” viene diffusa per questo imbroglione patensu tutti i media quasi alla pari con tato le loro condizioni potranno quella dei leader dei grandi partiti migliorare. No, non devono esborghesi di regime? Tali dubbie serci illusioni a riguardo. L’unica attenzioni portano a pensare che A discapito delle sue pompovera alternativa elettorale per le la classe dominante borghese se dichiarazioni e della campamasse popolari di Torino è quella voglia accreditare la candidatura gna elettorale che, primo tra tutti di disertare le urne, annullare la a Torino dell’imbroglione Rizzo i candidati, ha di fatto già iniziato scheda o lasciarla in bianco così come autenticamente comuniin solitaria, Rizzo non ha alcuna da delegittimare le istituzioni rapsta, allo scopo di attirare a sé, e possibilità di vincere le elezioni presentative borghesi ed i partiti al voto per lo Stato borghese, le borghesi e di conquistare Paborghesi della seconda repubmasse popolari di sinistra della lazzo Civico. La candidatura del blica neofascista di cui il partito metropoli. Si tratta dell’ennesima “comunista” Rizzo a Torino con“comunista” di Rizzo è parte intrappola elettoralista per neutrata, e di fatto conterà, come il due tegrante. lizzare i sinceri comunisti e i sin- Quale il reale obiettivo di Rizzo? In vista delle elezioni comunali a Bologna Guerra per le candidature tra le varie correnti dei partiti borghesi Astenersi e creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna Mancano ancora dei mesi alle elezioni amministrative, che si terranno presumibilmente nel mese di giugno, e cominciano a delinearsi gli schieramenti e i candidati alle elezioni a Bologna, anche se ancora non tutto è deciso perché è in corso la guerra tra le varie correnti dei partiti borghesi per imporre il proprio candidato. Per il PD correrà il sindaco uscente Virginio Merola, ex assessore della giunta Cofferati ed eletto al primo turno nel 2011. Nonostante qualche malumore interno sembra che Merola, prima bersaniano e “convertito” renziano dopo le politiche del 2013, non passerà dalle primarie; per lui è bastato un sondaggio (in linea con il concetto di democrazia del nuovo Mussolini Renzi) per rimetterlo alla “guida del carro” del “centro-sinistra” borghese. Merola in particolare è conosciuto per il pugno di ferro contro i centri sociali, contro i senza casa occupanti di stabili inutilizzati, contro gli studenti in lotta e cosi via. A contendergli la poltrona di sindaco ci proverà Massimo Bugani consigliere comunale del Movimento cinque stelle. La candidatura di Bugani è stata contestata all’interno del M5S, in quanto il suo nome è stato calato dall’alto, direttamente da Beppe Grillo, di cui guarda caso Bugani è un fedelissimo, senza passare dalle “comunarie” e rifiutando le altre candidature. In particolare quella di Lorenzo Andraghetti, prima sospeso e poi espulso dal Movimento per aver osato contestare le modalità della scelta di Bugani accusandolo di voler “trasformare il M5S in Forza Italia”. Per Andraghetti è scattata quindi “l’inquisizione” di quello che lui stesso ha definito un “comitato di leccapiedi nominati (con voto online non certificato)” con l’accusa di aver partecipato ad un convegno di Alternativa libera, in cui ha ribattuto: “Non capisco perché Casaleggio possa andare a parlare al meeting di Cernobbio dai nemici dell’alta finanza; Fantinati possa andare a parlare al meeting di Comunione e Liberazione, Pizzarotti alla scuola di politica dei giovani del PD; e ci siano problemi se un cittadino senza ruoli politici (come me) partecipa ad un incontro di realtà civiche. Che queste siano scuse è evidente”. Andraghetti sostiene che in realtà sia stata una ritorsione per aver denunciato che nelle liste di Bugani erano state inserite due persone non candidabili per il regolamento del Movimento, una di queste è stata sospesa dall’ordine dei giornalisti per lo scandalo delle interviste a pagamento. Per la Lega, Salvini ha lanciato la consigliera comunale ex bossiana Lucia Bergonzoni, che è sostenuta anche da una parte di Forza Italia che ha deciso di fondare una lista civica. Ma non tutto il “centro-destra” sembra convergere su questa scelta, infatti vi è anche la candidatura del consigliere regionale di FI Galeazzo Bignani. Si dovrebbe invece presentare con la lista “Insieme Bologna” Manes Bernardini, arrivato secondo nelle elezioni del 2011 in cui correva per la Lega Nord. Anche l’ex DS Mauro Zani ha costituito una sua “coalizione civica”, che dovrebbe candidare Paola Ziccone ex direttrice del carcere minorile del Pratello e che raccoglie l’adesione di ex PRC ed ex M5S, pezzi di CGIL ed altri, ma rifiuta “l’uso della parola ‘sinistra radicale’ che rischia solo di relegare in un contesto specifico”. Anche SEL sta cercando una “candidatura alternativa a quella di Merola che possa unire movimenti e partiti a sinistra del PD in città”, scelta che al momento sembra ricadere su Elly Schlein di “Possibile”, il partito fondato dall’ex PD Giuseppe Civati. Insomma l’ennesimo tentativo di cercare una sopravvivenza politica nei numeri, che però nella pratica non ha nessun motivo d’essere, visto che SEL ha fatto da stampella alla giunta Merola fino alla cacciata del suo assessore alla cultura Ronchi per le critiche dello stesso allo sgombero effettuato contro il collettivo Atlantide con la grave accusa di Merola contro la “lobby gay”, e che continua ad appoggiare la giunta regionale del PD Bonaccini. Insomma, dopo i pochi mesi da sindaco di Flavio Delbono dimessosi per lo scandalo “Cin- ziagate” al quale è succeduto l’allora prefetto Anna Maria Cancellieri, Merola cerca di avere altri 5 anni per portare avanti il proprio progetto di una Bologna sempre più al servizio della borghesia locale, una Bologna quindi che crei ulteriori disparità ed emarginazione e contro la quale scatenare la repressione poliziesca. I lavoratori, i pensionati, gli studenti, i senza casa, non hanno quindi alcun interesse a che Merola governi ancora la città, così come non trarrebbero nessun vantaggio a dare il loro voto a una qualsiasi delle liste in corsa per spartirsi un po’ di potere. Essi devono battersi per Bologna governata dal popolo e al servizio del popolo, astenendosi alle prossime elezioni comunali e costituendo le Assemblee Popolari e i Comitati Popolari basati sulla democrazia diretta. elezioni amministrative 2016 / il bolscevico 7 N. 3 - 21 gennaio 2016 Secondo il rapporto annuale del quotidiano “Sole 24 ore” Napoli tra le ultime città italiane per lavoro, giovani e qualità della vita Un’ulteriore conferma del fallimento delle “politiche sociali” del neopodestà De Magistris �Redazione di Napoli Il rapporto annuale presentato dal giornale “Sole 24 ore” sulla qualità della vita nelle province italiane è piombato sulla giunta arancione guidata dal neopodestà De Magistris come una mazzata tra capo e collo, provocando l’ennesima bufera sulle fantomatiche “politiche sociali” mai realizzate dall’esecutivo ormai in scadenza di mandato. Secondo il quotidiano confindustriale la città di Napoli è sprofondata nel giro di poco tempo – e nello specifico proprio nel periodo della giunta De Magistris - agli ultimi posti in questa speciale classifica che tiene conto di una serie di parametri come lavoro, ricchezza delle famiglie, ambiente, qualità della vita, giovani, asili nido e così via. Il quadro che emerge in questo rapporto annuale conferma quello che noi marxisti-leninisti affermiamo da tempo: su lavoro, quartieri popolari, giovani e ambiente la giunta antipopolare che occupa le poltrone di palazzo S. Giacomo dal 2011 rivela tutto il suo misero fallimento che si estende anche in altri settori secondari ma comunque importanti della città. Su 110 province Napoli si attesta a un tristissimo 101° posto, con una qualità di vita che colloca la città al 105° posto a causa del depauperamento progressivo delle ricchezze delle masse, sempre più povere ed indigenti che vede il capoluogo campano 88°, con una capacità di spesa scarsissima al punto che le famiglie hanno sempre più difficoltà a mettere il pranzo con la cena (91° posto per questo fattore). Incide nella sfera familiare anche la spesa pro-capite per fare almeno un viaggio all’estero è ristretta alla ridicola cifra di 206 euro, a causa anche degli altissimi costi per affittare una casa (Napoli è addirittura 103ª). Il dato peggiore in assoluto viene dal lavoro dove Napoli è praticamente ultima, al 108° posto, peggio solo Palermo e Calta- nissetta, con un crollo dello “spirito d’impresa” che corrisponde all’ormai atavica e trentennale desertificazione industriale, la crisi di fabbriche piccole e medie nei quartieri popolari e la difficoltà nel L’attore teatrale Peppe Barra denuncia e commenta i dati impietosi: “i giovani se ne vanno con dolore, se ne vanno all’estero perché trovano più attenzione, più meritocrazia e spesso si afferma- la ripresa veemente della guerra di camorra che ha insanguinato con decine di omicidi la città, ma anche l’esplosione della piccola e media delinquenza (Napoli è sesta nei furti in appartamento, ma non è messa bene per quanto riguarda reati cosiddetti di “allarme sociale” come rapina, frode, estorsione). Soltanto il turismo è in leggera ripresa grazie all’eterna bellezza di Napoli e dei suoi monumenti e alla cultura popolare che trova espressione (per fortuna ancora) in ogni angolo della città e non certo per azioni degne di nota da parte della giunta; al contempo i servizi sociali e per i turisti sono allo stallo ed è evidente: basti pensare all’assenza di bagni pubblici chiusi e mai manutenuti. La destra (ovviamente) e la “sinistra” di regime neofascista si sono limitate ad attaccare opportunisticamente la giunta De Magistris, salvo non aver fatto mai una opposizione tale da denunciare in profondità le malefatte dell’esecutivo arancione. Pietosa e inqualificabile l’uscita di uno dei maggiori responsabili del degrado storico di Napoli, Antonio Bassolino (ex sindaco ed ex governatore regionale, una vita da dirigente del PCI-PDS-DS-PD) che ha la faccia tosta di dire anche che “bisogna rimboccarsi le maniche”, dopo che nei suoi quasi 5 anni di governo cittadino non ha contribuito a migliorare in alcun aspetto le condizioni delle masse popolari partenopee. E ora ha la sfacciataggine di candidarsi di nuovo a sindaco. Nel solito stile narcisista e megalomane che lo contraddistingue fin dalla sua salita a Palazzo S. Giacomo nel 2011, il neopodestà De Magistris ha così commentato ipocritamente la classifica annuale: “Napoli è molto più avanti rispetto a quel 101° posto che si vuole descrivere. Il nostro obiettivo non è scalare classifiche, ma far vivere sempre meglio i napoletani che decidono di rimanere qui. Noi lavoriamo perché ci siano meno disuguaglianze, meno sofferenze e per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini” (sic!). Con lui sembrerebbe d’accordo anche lo scrittore filo-sionista Erri De Luca, novello sostenitore di un nuovo mandato per l’ex pm che ha affermato: “Napoli non dovete misurarla nelle classifiche sulla vivibilità, è fuori concorso”, chiudendo gli occhi sulla gravissima situazione in cui staglia la città da quando il suo nuovo idolo arancione ha messo piede a piazza Municipio. Mentre il neopodestà vuole una “Podemos italiana” “Il manifesto” appoggia De Magistris alle amministrative a Napoli Degrado e miseria nel centro di Napoli recupero dei crediti, soprattutto per le masse popolari, ma anche l’inizio, sotto la giunta capeggiata da Luigi De Magistris, di una nuova emigrazione dei giovani in cerca di lavoro verso il Nord Italia o all’estero: in questo caso come “tasso migratorio totale” Napoli è ultima in tutta la Penisola. I giovani è come se avessero preso d’impegno il vecchio adagio di Eduardo De Filippo all’indomani dell’elezione delle giunte DC: “Fuitevenne!”, facendo presagire il dato emigratorio tra i più gravi degli ultimi 30 anni per cercare una occupazione adeguata all’estero e non morire di speranze e di fame a Napoli. no. Dovremmo ragionare sugli errori e cominciare a porre rimedio: invece vedo degrado dappertutto (…) oggi precipita tutto nella più totale volgarità: il calcio ormai è l’unica fede”. Anche l’ambiente e la salute si trovano in condizioni disastrose a causa della raccolta differenziata porta a porta mai partita ormai attestata a un miserevole 27% a fronte della promessa degli assessori all’Ambiente (prima Sodano, poi Del Giudice) di raggiungere in breve tempo al 70%. Sul fronte della tanto decantata sicurezza e legalità “a tutti i costi”, la giunta arancione prende un altro voto negativo, data Gli opportunisti e trotzkisti, però, strizzano l’occhio a Bassolino in caso di sconfitta dell’ex pm �Redazione di Napoli Un titolo inequivocabile ha accompagnato l’edizione del 5 gennaio scorso de “Ii manifesto” a firma di Adriana Pollice: “Con De Magistris senza se e con qualche ma. Per Bassolino”. Un articolo che certifica bene il quotidiano opportunista e trotzkista che fin dal suo esordio a palazzo S. Giacomo ha sostenuto il neopodestà ex pubblico ministero, ma a cui, in caso di sconfitta degli arancioni alle prossime elezioni amministrative in primavera a Napoli, non dispiacerebbe che l’alternativa fosse il rinnegato del comunismo e neoliberale Bassolino. Infatti l’articolo si dimostra compia- cente e favorevole nei confronti dei due contendenti, e si guarda bene da far alcun riferimento ai clamorosi fallimenti che hanno affossato la città di Napoli negli ultimi 20 anni. Tra l’altro il quotidiano falso comunista mette nella scala dei valori della “sinistra” borghese ad un piano superiore De Magistris rispetto a Bassolino per la volontà chiara dell’ex pm di dare spazio ad un nuovo mostriciattolo che ricalchi quello di “Podemos” in Spagna, raggruppando quel che resta dei vecchi partiti neorevisionisti e trotzkisti più Sinistra Italiana e Sel. Parole già espresse lo scorso agosto dal parlamentare ex PD Stefano Fassina, e ribadite dal narcisista e trotzkista Nichi Vendola che non a caso affermò nell’incontro della “sinistra borghese” di dicembre di avere “rispetto per Bassolino, ma noi stiamo con Luigi de Magistris”. Un quadro che sembra piacere ai trozkisti de “il manifesto” pronti a sostenere De Magistris e, in caso di default dell’ex pm, a buttarsi tra le braccia di Bassolino, così come avevano fatto schierandosi apertamente con il progetto fallimentare di “Rivoluzione Civile” dell’ex pm Ingroia, poi miseramente naufragato, ma oggi riproposto attraverso la sua rimasticatura nella versione italiana di Podemos. Le mani sulla città di Messina. Lo strano caso dell’ingegnere De Cola e mister Hyde di Antonio Mazzeo - Messina L’inserimento del progetto di riqualificazione del Pilone a Capo Peloro da parte dell’amministrazione comunale di Messina tra i 12 progetti del Masterplan della Città Metropolitana ha scatenato una serie di polemiche sui media locali dato che tra i firmatari del progetto c’è lo studio degli ingegneri De Cola, tra cui l’odierno assessore comunale all’urbanistica Sergio De Cola. L’ingegnere De Cola ha prontamente risposto alle critiche su un possibile “conflitto d’interessi” con una nota inviata alla Gazzetta del Sud e a Tempostretto.it. “Conflitto di interessi è la possibilità di trarre vantaggi, anche economici, da una decisione che dipende in qualche modo dallo stesso soggetto”, scrive l’assessore della giunta Accorinti. “L’inserimento o meno, del progetto Pilone nel Masterplan non porterà un solo centesimo nelle mie tasche né di nessuno dei soggetti che hanno a qualsiasi titolo collaborato con il mio studio, né produrrà alcun altro vantaggio, neppure in prospettiva. L’inserimento mira a finanziare le somme necessarie all’espletamento della gara e ai collaudi che in nessun modo potrebbero essere assegnati al soggetto che ha redatto il preliminare; il lavoro fatto a suo tempo (2011-2012), anche dal mio studio, si è definitivamente concluso con la validazione da parte del RUP avvenuta nel febbraio 2013 e la parcella relativa sarà pagata (o non pagata) indipendentemente dal Masterplan o da qualunque altra cosa l’Amministrazione presente o futura deciderà di fare del progetto”. Per l’ing. de Cola, dunque l’argomento è chiuso, con buona pace - secondo lui - di chi ha sollevato una questione che invece pesa come un macigno sulla credibilità della “rivoluzione dal basso” tanto decantata dal sindaco Renato Accorinti. Nei mesi scorsi, abbiamo presentato insieme ai consiglieri comunali Nina Lo Presti e Gino Sturniolo uno studio sui maggiori creditori del Comune di Messina alla luce del Piano di riequilibrio finanziario lacrime e sangue varato dall’amministrazione Accorinti. Ebbene, tra questi creditori comparivano insieme i progettisti “Buffi Giampiero - Pier Paolo Baldo di Vinadio e Studio De Cola Associati” per un valore complessivo di 424.467,27 euro relativamente al pagamento dovuto a prestazioni professionali espletate per la “Sistemazione del basamento del Pilone per la realizzazione di opere per la fruizione del mare e attrezzature turistiche”; “competenze tecniche lavori di riqualificazione Capo Peloro Transazione G.M. 770/2012” e “Incarico progettazione definitiva dei parcheggio a raso di Torre Faro”. Anche in quell’occasione l’assessore De Cola e lo stesso sindaco Accorinti negarono qualsivoglia esistenza di “conflitti d’interesse” tra il contribuire alla stesura di un piano di riequilibrio e trovarsi poi, nel momento della sua approvazione, a beneficiarne e poter finalmente riscuotere il credito. Valutazioni quelle degli amministratori certamente discutibili, perlomeno sotto il profilo etico-politico. Oggi con la pubblicazione della lista dei progetti presentati dallo Studio de Cola e delle opere già realizzate, in via di realizzazione o in attesa di approvazione, incidenti sul territorio comunale di Messina, il tema “conflitto d’interessi” e comunque dell’opportunità che uno dei maggiori progettisti della (detestabile) storia urbanistica peloritana continui a fare da assessore all’urbanistica della stessa città diventa ancora più preponderante. Non fosse altro per la portata di alcuni progetti e di alcune opere progettate e realizzate, sicuramente assi discutibili dal punto di vista della compatibilità paesaggistica e ambientale (e per questo in passato osteggiate dagli ambientalisti e da gruppi politici e associazioni che hanno dato vista al progetto elettorale di Renato Sindaco): la cementificazione di Capo Peloro e della Zona Falcata, porti e porticcioli ovunque, il deturpante Centro Neurolesi sui Peloritani, ecc. La lista dei progetti e delle opere a firma della famiglia De Cola testimonia poi le ingombranti prestazioni professionali a favore di alcuni dei gruppi economici e fi- nanziari che più hanno contribuito al consolidamento del blocco di potere che ha dominato e domina Messina, con impatti eco-insostenibili anche e soprattutto sul profilo urbanistico e del territorio (gruppo Franza, Russotti, SESFondazione Bonino Pulejo, ecc.), con l’aggravante che alcuni di questi soggetti sono contestualmente creditori per centinaia di milioni di euro dello stesso Comune di Messina. Dulcis in fundo colpisce il ruolo di vero e proprio asso pigliatutto del gruppo de Cola nella progettazione di infrastrutture nei settori chiave della sanità pubblica e privata di Messina e di partner fiduciario dell’Università degli Studi, come del resto era già stato rilevato a fine anni ’90 dal volume “Le mani sull’Università” pubblicato dal Comitato messinese per la pace e il disarmo unilaterale. 8 il bolscevico / cronache locali Molti manifestanti si stringono al PMLI alla commemorazione dell’eccidio degli operai di Modena di 66 anni fa Al banchino pomeridiano consensi alla posizione antimperialista e antirenziana del Partito che ha ricevuto diverse sottoscrizioni Il pmli condanna la rimozione dello striscione del collettivo Guernica contro il “jobs act” Dal corrispondente dell’Organizzazione di Modena del PMLI Giornata altamente produttiva per i marxisti-leninisti modenesi quella di sabato 9 gennaio. In mattinata il PMLI ha partecipato in modo militante alla commemorazione del 66° anniversario dell’eccidio della Fonderie Riunite di Modena, dove il 9 gennaio 1950, 6 eroi operai morirono sotto il fuoco della polizia del governo democristiano Modena, 9 gennaio 2015. Interesse intorno al banchino di propaganda del PMLI. A sinistra il compagno Federico Picerni (foto Il Bolscevico) mentre protestavano per le loro misere condizioni di lavoro e il miglioramento di esse. Durante la commemorazio- ne, organizzata da CGIL-CISLUIL, molti presenti hanno condannato con forza la presenza del PD, con a capo il sindaco Muzzarelli. Gli organizzatori non hanno parlato assolutamente con le masse popolari ma solo con le telecamere dei massmedia borghesi, atto da condannare come anche la rimozione, ordinata dagli organizzatori stessi, dello striscione del Collettivo Guernica che citava “Ieri con l’eccidio, oggi con Jobs Act e piano casa”, atto che ha fatto imbestialire molti manifestanti che si sono stretti ai militanti e simpatizzanti del PMLI. Le insegne del nostro Partito, molto visibili, sono state accolte con serenità dai manifestanti nonostante vi fossero altri partiti “comunisti”, così abbiamo avuto modo di interagire con essi e di diffondere delle copie de “Il Bolscevico”. Nel pomeriggio, i compagni modenesi hanno proseguito la giornata con un banchino nel centro della città, dov’è continuata con successo la propaganda anti-Renzi ed antimperialista con la diffusione del volantino “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista” nonché con la diffusione de “Il Bolscevico” e si registrano nuovamente sottoscrizioni volontarie da parte dei modenesi e il consenso alle tesi rivoluzionarie del PMLI. Un inizio d’anno molto posi- Modena, 9 gennaio 2015. La delegazione del PMLI al presidio di commemorazione dell’eccidio della Fonderie Riunite di Modena. (Foto pubblicata dal giornale online ModenaToday) tivo per il PMLI nella città emiliana che proseguirà con la presenza militante dell’Organizzazione modenese, seguita da simpatizzanti e amici, alla commemorazione del 24 gennaio in Piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia) in occasione del 92° Anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale Lenin. Il PMLI.Modena ha emesso un comunicato, pubblicato apparte, per ribadire la centralità della lotta al Jobs Act del governo. Ricordo eterno dei martiri operai di Modena! Spazziamo via il governo del nuovo duce Renzi! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! A Carpi (Modena) La Cooperativa svuota la fabbrica e chiude durante le ferie Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna Ancora una volta i padroni hanno sfruttato i periodi di ferie per svuotare in fretta e furia e chiudere una fabbrica. Questa volta è successo ai 38 dipendenti della cooperativa metalmeccanica Carpigiana Service di Carpi (Modena) che al rientro di inizio anno hanno trovato i cancelli dello stabilimento chiusi e presidiati dai carabinieri. I delegati del SI Cobas, che rappresenta la maggioranza dei lavoratori, hanno denunciato che il tutto è avvenuto mentre era in corso una trattativa con l’azienda, in quanto già da molti mesi era in atto una vertenza contro la cooperativa e la ditta Cbm, unico committente, per chiedere che ai dipendenti, svolgendo prevalentemente mansioni da metalmeccanici fosse applicato il corrispettivo contratto, rispetto all’attuale più penalizzante della logistica. Sulla questione era stata intrapresa anche una causa, tuttora in corso, contro Cbm per intermediazione di manodopera. In seguito al raggiungimento dell’accordo per il passaggio al contratto dei metalmec- canici per tutti i lavoratori, per ritorsione la Cbm ha iniziato a ridurre le commesse alla cooperativa portando all’ipotesi della riduzione del personale. Prima di natale la Carpigiana ha espresso l’intenzione di mettere in liquidazione la cooperativa ma garantendo che la produzione sarebbe andata avanti fino al 30 gennaio, prospettando poi ai lavoratori o la mobilità volontaria, con una buonuscita da negoziare, oppure la ricollocazione in un’altra società legata alla Cbm. Invece, il 4 gennaio i lavoratori hanno trovato la sede della cooperativa svuotata e i cancelli sbarrati. “È un atto unilaterale del tutto inaccettabile assunto dai vertici della Carpigiana per accelerare gli esiti della liquidazione coatta, a cui siamo pronti a rispondere con iniziative di protesta - denun- cia il Sì Cobas - non lasceremo che i lavoratori finiscano in mezzo a una strada”. N. 3 - 21 gennaio 2016 Comunicato dell’Organizzazione modenese del Partito Il PMLI ricorda l’eccidio di Modena e invita alla lotta contro il “Jobs Act” I marxisti-leninisti di Modena e provincia stamattina hanno partecipato in modo militante alla commemorazione pubblica dei sei giovani eroi operai caduti vittime della brutale repressione poliziesca della protesta contro i licenziamenti alle Fonderie Riunite il 9 gennaio 1950. Le bandiere del PMLI si inchinano al loro sacrificio. Dobbiamo ispirarci allo spirito dei coraggiosi operai, che allora lottavano per il lavoro e i propri diritti, per lottare oggi contro il governo del nuovo duce Renzi e del nemico del lavoro Poletti, che col “Jobs Act” hanno esteso il precariato a tutti e cancellato decenni di conquiste ottenute al prezzo di dure lotte, come quella del gennaio 1950. Occorre met- tere in campo una forte opposizione di classe e di massa in ogni fabbrica, ogni scuola, ogni università, ogni altro luogo di lavoro e ogni piazza d’Italia per cacciare via questo governo antipopolare al servizio del capitalismo. Contestualmente, condanniamo la rimozione forzata di uno striscione del collettivo “Guernica” contro il “Jobs Act” e il piano casa, avvenuta al termine della commemorazione, per lasciare tutta la scena alla corona offerta ipocritamente dalla giunta comunale piddina, governata dai falsi amici dei lavoratori con in testa Muzzarelli. L’Organizzazione di Modena del Partito marxista-leninista italiano 9 gennaio 2016 Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande Maestro del proletariato internazionale PMLI e PCDI commemorano assieme Lenin a Cavriago Domenica 24 gennaio 2016 in piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia), commemorazione pubblica organizzata dal PMLI.Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio Emilia del PCDI in occasione del 92° Anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale. Ritrovo alle ore 11, discorsi ufficiali dalle 11,30. Partecipiamo numerosi per rendere omaggio a Lenin. Con Lenin per sempre! Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 18 gennaio 2015. Militanti e simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e delle Marche del PMLI, uniti con rappresentanti del PCd’I, dell’Anpi di Reggio-Emilia e due compagni del Congo e del Burkina Faso, commemorano il grande Maestro del proletariato internazionale Lenin in occasione del 91° Anniversario della scomparsa. Al centro il compagno Denis Branzanti, accanto a destra, il compagno Alessandro Fontanesi, Segretario Provinciale di Reggio Emilia del PCd’I. Appena dietro Branzanti, il compagno Angelo Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI (foto Il Bolscevico) Comunicato dell’Organizzazione biellese del PMLI No ai parcheggi a pagamento presso l’ospedale di Ponderano L’amministrazione Cavicchioli gioca sporco L’Organizzazione biellese del PMLI si oppone fermamente alla trasformazione degli attuali parcheggi pubblici e gratuiti del nuovo Ospedale degli Infermi di Ponderano in parcheggi a pagamento, gestiti da specifiche compagnie private, il cui unico scopo è incassare soldi. Far pagare il parcheggio ad anziani disagiati, malati bisognosi di cure così come ai parenti che si “I militanti dell’IS sono partigiani” Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLI “I militanti dell’IS sono dei partigiani”, è quanto ha affermato un ex partigiano nel corso di un’iniziativa del gruppo No TAV di Biella svoltasi nel novembre scorso. Sollecitato da una domanda sull’attuale situazione internazionale e sull’IS, ha aggiunto: “In quel contesto è molto facile riconoscere chi è l’invasore e chi l’invaso”. recano a far loro visita è un’aberrazione tipica dell’attuale società capitalistica che guarda solo al profitto economico senza interessarsi minimamente ai bisogni delle persone. Per quanto riguarda la gestione delle aree verdi e della pulizia degli spazi basterebbe incaricare ditte o cooperative sociali competenti che potrebbero così affidare il lavoro ai più bisognosi, che fanno parte delle fasce deboli della società come tossicodipendenti e migranti, favorendo così l’inserimento sociale sull’esempio valido di alcune esperienze pilota realizzate nei paesi scandinavi (Danimarca in testa). Questa soluzione garantirebbe il decoro e la pulizia degli spazi ad un costo minimo. Negli ultimi giorni il comune di Biella nella persona del suo sin- daco, avv. Marco Cavicchioli, non perde occasione per mettersi in mostra affermando a destra e a manca che i posteggi devono restare gratuiti. Ebbene, dov’era il sindaco Cavicchioli, e con lui i suoi degni predecessori, quando l’ospedale era nel comune di Biella e tutti i suoi posteggi erano a pagamento? Oltre a questo il sindaco Cavicchioli dovrebbe anche spiegare ai biellesi, e rendere loro conto, dello scempio appena realizzato in piazza Duomo dove sono state installate luminarie modernissime che nulla hanno a che vedere nel contesto di una piazza che ha secoli di storia. Bisogna inoltre sapere che i modernissimi pali della luce potranno presto contenere delle telecamere di videosorveglianza cosicché le masse popolari saranno riprese e schedate dalle autori- tà. L’amministrazione comunale di Biella, non contenta di avere buttato 2 milioni di euro pubblici per piazza Duomo, si appresta a spenderne altri 5 e più per realizzare un silos a pagamento - ennesimo modo per mettere ulteriormente le mani nelle tasche dei biellesi - nella zona dell’ex Maglificio Boglietti. Non da ultimo, a corollario dell’incapacità di gestire il decoro e l’efficienza urbanistica della nostra città, vogliamo denunciare che lo storico orologio posto in cima alle scuole di Piazza Martiri - esattamente sopra al monumento partigiano dell’omonima piazza - è da anni bloccato. L’amministrazione pubblica di Biella ne sarà a conoscenza? Per il PMLI.Biella Gabriele Urban Biella, 10 gennaio 2016 contributi e lettere / il bolscevico 9 N. 3 - 21 gennaio 2016 L’imperialismo ha generato lo scontro tra Occidente e IS di Francesco Campisi Belpasso (Catania) Su “Il Bolscevico” n. 47 ho letto l’intervento di un simpatizzante dal titolo “Alcuni dubbi sulla posizione del PMLI sullo Stato islamico”, in cui si pongono diverse domande. Nel primo quesito ci si interroga su chi siano i finanziatori dello IS, dubitando che si tratti di uno Stato islamico come entità realmente esistente. Il compagno pensa che si tratti invece di un’organizzazione terroristica con più disciplina e capacità militare di altre organizzazioni terroristiche. Ci si chiede poi quale sia il suo consenso di massa e su come mai noi atei e comunisti possiamo fare fronte unito con chi fa del fanatismo religioso il cavallo di battaglia compie stragi di civili e innocenti in nome di dio, che predica e ostenta una cultura e una visione oscurantista e reazionaria. E ancora, si chiede il compagno, si può essere d’accordo con le teste tagliate e tutte le altre pratiche ostentate dall’IS? Inoltre si domanda se, in seguito agli attacchi di Parigi e al profondo eco generale provocato, fosse corretto il minuto di silenzio e il canto della Marsigliese, a cui siamo stati chiamati in tutte le manifestazioni pubbliche. Infine, il nostro simpatizzante sottolinea come sia molto importante confrontarsi in modo schietto con i compagni del PMLI. Gli imperialismi americano, europeo e russo con la loro ingerenza negli affari interni dei paesi come Libia, Iraq, Afghanistan, ecc. pur di raggiungere i loro scopi economici, egemonici, di rapina, politici e militari, non disdegnano di destabilizzare questi Stati, sfruttando le loro contraddizioni interne per dividere il popolo all’interno di essi, mettere gli uni contro gli altri. Si arrogano il diritto di intervenire militarmente con il pretesto di portare la pace e la democrazia. Una scusa alquanto falsa e ignobile per nascondere il loro ben preciso e meditato obbiettivo, che è quello di dominare questi popoli e togliergli il diritto alla sovranità, alla loro indipendenza, alla loro autonomia, impadronirsi delle loro materie prime, creando governi fantoccio per usare questi popoli come carne da macello, come alleati nella guerra interimperialista per spartirsi il mondo. Tutto questo dopo aver sconfitto militarmente l’IS che si oppone a questo miserabile piano imperialista e che sta lottando per l’unione dei popoli e la loro sovranità. L’IS ha un consenso di massa e ciò è dovuto alla politica economica e sociale nei confronti del popolo attraverso le sue istituzioni. Ciò è chiaro nel rapporto del compagno Erne alla 5° Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI, pubblicato sul n. 35/2015 de “Il Bolscevico” e che parla della situazione internazionale. Il fatto che l’IS strumentalizza il fanatismo religioso per compiere stragi di civli innocenti in nome di dio, che predica e ostenta una cultura oscurantista e reazionaria che taglia le teste ai prigionieri, non lo condividiamo, né io né il PMLI. Noi appoggiamo lo Stato islamico esclusivamente perché è contro ogni aggressione imperialista. Io credo che, se l’imperialismo si ritirasse dai paesi che ha occupato, ritornerebbe la pace tra i popoli, finirebbero gli attentati kamikaze che provocano vittime innocenti. Purtroppo l’imperialismo non rinuncia alla sua ingordigia di rapinare e opprimere i popoli, cosicché per farlo demordere bisogna combattere con le armi, magari facendo errori madornali, non giustificabili. Ma se guardiamo tutto quello che ha fatto e continua a fare l’imperialismo io dico che anche quest’ultimo usa metodi terroristi. Ne potrei citare a decine, ma ne cito solo alcuni. Le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, su due città giapponesi nella Seconda guerra mondiale. I bombardamenti degli americani a tappeto in Vietnam, l’eccidio di un milione di comunisti in Indonesia e tantissimi altri, come i bombardamenti francesi in Libia, per abbattere Gheddafi, quelli contro l’Iraq, l’Afghanistan dei paesi imperialisti europei e americani della Nato per colpire gli Jiadisti dello Stato islamico, che hanno mietuto migliaia di vittime anche civili tra i sostenitori dell’IS, con l’uso vigliacco dei droni per evitare perdite di militari alla Santa alleanza imperialista. È una guerra che non si combatte ad armi pari tra l’IS e l’imperialismo dal punto di vista militare, è inoltre una guerra mediatica violenta anti IS, scatenata dai mass-media occidentali che descrivono gli islamisti come feroci sanguinari aggressori quando, invece, veri aggressori sanguinari sono gli imperialisti. Ieri i partigiani che si battevano per liberare l’Italia dal fascismo venivano definiti ribelli, oggi l’imperialismo definisce i combattenti dell’IS “terroristi”. Credo che sia doveroso osservare un minuto di silenzio per le vittime civili innocenti, ma è altrettanto giusto farlo per le vittime civili innocenti uccise senza pietà dai bombardamenti a tappeto della Santa alleanza. Purtroppo, queste vittime sono la conseguenza non solo dell’interventismo imperialista internazionale, ma anche di tutti i governi che fanno gli interessi economici della borghesia e del capitalismo. Inoltre sono la conseguenza della caduta del socialismo in URSS e in Cina e nei paesi dell’Est, provocata dal tradimento dei comunisti revisionisti, che a partire dal 20° congresso del PCUS hanno abbandonato il marxismo-leninismo e imboccato la strada del capitalismo, del liberismo, del parlamentarismo borghesi. Perché dobbiamo gloria eterna a Mao di Maurizio – Figline Valdarno (Firenze) Studiando l’Editoriale de “Il Bolscevico” in occasione del 122° anniversario della nascita di Mao si parla della battaglia antirevisionista che Mao ha condotto contro quel mostro di Deng Xiaoping. In questi scritti, se si ha un minimo di cognizione, non si può non considerare il revisionismo, che non è altro che opportunismo ideologico di estrema destra come purtroppo vediamo nella Cina di oggi, la più grande infezione ideologica che ha corrotto e che vuole ancora corrompere la scienza del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Il revisionismo ha voluto scavare un tunnel nel marxismo-leninismo per infettarlo del suo virus borghese fascista, antisocialista, escludendo la lotta di classe, la dittatura del proletariato, cancellare l’insurrezione rivoluzionaria per sedere al tavolo coi propri nemici (nemici del proletariato ovvio) e opprimere lo stesso proletariato. Il revisionismo è profondamente reazionario. Fin dall’inizio del marxismo ha voluto corrompere la scienza marxista-leninista mutando e nascondendosi come un serpente per attaccare al momento giusto. Questa piaga ha infettato tutto l’allora mondo socialista specie dopo la morte di Stalin e Mao, facendo sì di interrompere quel grande capolavoro che era il socialismo in Urss con Lenin e Stalin e poi in Cina con Mao. L’Editoriale dà i nomi di questo revisionismo tra cui il primo Liu Shaoqi, Deng Xiaoping il peggiore di tutti e il maggiore responsabile di aver gettato la Speciale Mao Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXX - N. 1 - 7 gennaio 2016 1893 - 26 Dicembre - 2015. 122° Anniversario della nascita di Mao Studiamo la battaglia antirevisionista di Mao contro Deng per tenere il PMLI rosso e combattere il revisionismo A Pechino, il 18 agosto 1966 Mao passa in rassegna, per la prima volta, il potente esercito della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria dalla Torre della Porta di piazza Tian Anmen N1/2016 Cina ai cannibali fascisti, imperialisti, capitalisti senza scrupoli creando non solo un sistema anticomunista ma anche antiumano, poi Lin Biao, ecc. non li citiamo tutti. Mao, come si legge da questi scritti, fino all’ultimo, malgrado la salute e l’età, ha fatto di tutto per salvare la Cina non solo dalla perdita del socialismo ma anche per impedire che si tra- sformasse in qualcosa di mostruoso (come si vede oggi il paese più inquinatore insieme agli Usa del mondo). Mao e il popolo cinese rivoluzionario non avevano combattuto perché poi la Cina si trasformasse in peggio di chi avevano abbattuto. Non avevano compiuto migliaia e migliaia di km nella gloriosa Lunga Marcia, sotto i bombardamenti aerei, con la fame il freddo e ogni genere di privazione per combattere l’imperialismo giapponese fascista e poi il fascismo del Kuomintang guidato da quel nazista di Chiang Kai-Shech per vedere la Cina diventare la cloaca del fascismo capitalista imperialista, No! Non avevano sacrificato la loro vita per questo. Bene compagni combattiamo questa malattia con le medicine che ci hanno lasciato in eredità i gloriosi Maestri, sia all’interno del Partito che nella nostra vita quotidiana. Come ha detto qualche giorno fa il compagno Enrico Chiavacci, il comunismo non può morire, non soccomberà anche se i borghesi come il nuovo duce Renzi lo contrasteranno sempre. Ogni marxista-leninista deve essere nemico implacabile di ogni revisionismo che possa attaccare o infettare la scienza marxista-leninista come ha fatto Mao fino all’ultimo, continuando a seguire la linea rivoluzionaria del PMLI per un avvenire radioso. Concludo con un passo di Mao in risposta ad ogni revisionismo anti-marxista-leninista, che fece al Soviet Supremo dell’Urss il 6 novembre del 1957 in occasione del 40° anniversario della Rivoluzione bolscevica: “Il sistema socialista finirà con il sostituire quello capitalista. È una legge oggettiva indipendente dalla volontà umana. Per quanti sforzi facciano i reazionari per impedire che la ruota della storia avanzi, la rivoluzione presto o tardi scoppierà e finirà certo per trionfare”. E il socialismo trionferà. E’ morto quell’imbroglione, fascista e golpista di Gelli Licio Gelli, furfante, intrigante, imbroglione, fascista (ancora di recente aveva dichiarato di essere “sempre stato fascista”), golpista (pur se non condannato), fondatore della loggia massonica P2, anch’essa passata quasi incolume dal giudizio della magistratura italiana, complottista (già in Argentina, dapprima con Juan Domingo Peron, poi con Viola e Videla), muore portandosi dietro un passato fascista (peraltro ben interpretato, purtroppo, da Craxi, Berlusconi, ora Renzi e da chi manovra i burattini e sappiamo che si tratta dei “grandi” del capitalismo), legato alle stragi, non solo ma soprattutto a quella di Bologna del 2 agosto 1980. Ricordo un fatto personalmente: a Bologna, in Piazza Maggiore, per tre anni è stato proposto, d’estate, un documentario sulla strage del 1980 e i realizzatori erano riusciti a penetrare in Villa Wanda, ad Arezzo, la residenza del “boss”, intervistandolo. Sua unica dichiarazione sulle cause della strage: “certamente è stata una cicca”. Boato tra gli spettatori, ma ci sarebbe voluto qualcos’altro, un grido forte d’indignazione. Eugen Galasso - Firenze Molto interessante il n° 1 de “Il Bolscevico” Ho letto il n° 1 del 2016 de “Il Bolscevico” su Mao. L’ho trovato molto interessante perché, onestamente, non conoscevo molto di ciò che vi ho letto quindi è stato uno spunto interessante per proseguire la ricerca sulla Cina. Alessandro – Cervia (Ravenna) Rossi auguri Rossi auguri 2016 alle compagne e ai compagni! Claudio – Modena Auguri a tutti i compagni Auguri a tutte le compagne e a tutti i compagni di buon 2016 profondamente rosso e marxista-leninista. Saluti comunisti. Maurizio – Figline Valdarno (Firenze) SOLO L’ASTENSIONISMO e’ IL VERO VOTO UTILE AL PROLETARIATO Studiando l’opuscolo n. 8 del compagno Segretario generale Giovanni Scuderi, come non può colpire la sua considerazione da sempre attuale: “I marxisti-leninisti di tutto il mondo fin dai tempi di Marx ed Engels, e grazie ai loro insegnamenti, pur coscienti del pericolo del ‘cretinismo parlamentare’, che consiste nel credere di poter arrivare al socialismo conquistando la maggioranza elettorale e per via parlamentare, hanno in passato utilizzato, quando hanno potuto e per motivi tattici, anche la tribuna elettorale per combattere la borghesia e il capitalismo, ma mai nel corso di una rivoluzione e sempre in subordine alla lotta di classe e facendo ben attenzione a non creare illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e pacifiste nelle masse. Ben diverso è stato l’atteggiamento dei revisionisti e dei falsi comunisti”. D’altronde ben si sa quale è stata la parabola discendente del più grande partito comunista dell’occidente, il PCI, il grande ingannatore del proletariato (PCI, PDS, DS, PD). Quelli di Asterix erano sim- paticissimi fumetti di qualche anno fa; li abbiamo rivissuti in dicembre grazie ai telegiornali che inquadravano gli avvenimenti della Leopolda piddina a Firenze: il “popolo” riunito che urlava in estasi: “Ave Caesar” e il nuovo duce, nonché Cesare di turno: “Ave me”. Facile il raffronto: quelli dei fumetti erano veri Galli mentre quelli in tv erano veri pollacchiotti d’allevamento. Non se ne sono ancora accorti. Noi del PMLI ce ne siamo accorti e abbiamo fatto nostro l’impegno di votare per il PMLI e il socialismo astenendoci e facendo impegnate campagne elettorali per l’astensionismo. I vari cialtroni che starnazzano in Grecia con Syriza, in Spagna con Podemos, in Italia con i vendoliani, i ferreriani e i falsi comunisti vari, non fanno altro che fare un grosso favore alla borghesia al potere continuando con le loro chiacchiere a ingannare la classe operaia. Solo l’astensionismo è il vero voto utile al proletariato. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Da un rapporto interno dell’Organizzazione di Civitavecchia (Roma) del PMLI Richiedete la maglietta rossa del PMLI Possono richiederla, con una donazione volontaria, i militanti, i simpatizzanti e i sostenitori del PMLI La donazione va inviata con versamento su conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - via Antonio del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze 10 il bolscevico / divisioni tra islamici N. 3 - 21 gennaio 2016 Dal Rapporto di Erne alla 5ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI Le divisioni tra gli islamici Di seguito il capitolo “Le divisioni tra gli islamici” contenuto nel Rapporto del compagno Erne sull’attuale situazione internazionale e la lotta antimperialista del PMLI, presentato alla 5ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI, tenuta a Firenze l’11 ottobre 2015, pubblicato su “Il Bolscevico” n. 38/2015. Una gran confusione regna attualmente sul fronte dell’informazione riguardante gli islamici. Per l’imperialismo occidentale tutti i movimenti che gli si oppongono sono criminali e terroristi, quando nella realtà di volta in volta scelgono le alleanze a loro momentaneamente più favorevoli. La storia recente ha visto l’appoggio imperialista capitanato dagli USA ai mujahiddin afghani nella lotta di resistenza al socialimperialismo sovietico, per poi bombardare e invadere lo stesso paese dopo l’attacco subito l’11 settembre 2001, così è stato per l’Iraq di Saddam, armato e foraggiato nell’aggressione all’allora bastione antimperialista della Repubblica islamica dell’Iran di Khomeini per poi scaricarlo e raderlo al suolo anni dopo con il pretesto dell’esistenza delle fantomatiche “armi di distruzioni di massa”, fino all’appoggio odierno al governo sciita di Al Abadi nella lotta contro lo Stato islamico, così come è stato con Gheddafi in Libia. L’imperialismo da sempre foraggia le monarchie reazionarie del Golfo a partire dall’Arabia Saudita e sfrutta ai propri fini le plurisecolari divisioni presenti nel mondo islamico, a partire dalla principale che divide sunniti da sciiti. Le divisioni tra sunniti e sciiti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, i sunniti, che attualmente sono più dell’80% di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto potesse andare a qualunque musulmano eletto per buona moralità, dottrina e sano di corpo e di mente, mentre per gli sciiti invece il successore doveva essere esclusivamente un consanguineo del profeta. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il mese di digiuno, il Ramadam, e il Corano, libro sacro. Mentre i sunniti si basano sulla pratica del profeta e sui suoi insegnamenti la “sunna”, che prevede la direzione di un califfo, gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come riflessi di dio in terra, l’ Imam letteralmente “persona che sta davanti”, colui che guida la comunità islamica negli affari spirituali, politici, materiali e sociali, immune dagli errori perché guidato dalla volontà divina e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina. La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran nel 1979, che ha portato all’instaurazione di una teocrazia islamica sciita in forte contrapposizione con tutti i paesi del Golfo Persico governati dai sunniti. Quella che viene definita “mezzaluna sciita” oggi parte dall’Iran, passa dall’Iraq e dal regime di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano, in Kuwait e nello Yemen, e si oppone al blocco sunnita guidato dall’Arabia Saudita. L’attuale bastione antimperialista islamico, lo Stato islamico proclamato il 29 giugno del 2014, è sunnita, come sunniti sono i miliziani di Al Qaeda. Seppur gli avvenimenti dello scorso gennaio in Francia sembrerebbero dimostrare analogie e contatti tra i due gruppi, l’attacco alla rivista islamofobica “Charlie Hebdo” è stato rivendicato da Al Qaeda e compiuto da due miliziani dell’organizzazione dello Yemen, mentre l’attentatore del supermercato kosher parigino ha proclamato di aver giurato fedeltà al capo dei musulmani, il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Prioritario per Al Qaeda è sempre stato colpire il “nemico lontano” cioè l’occidente imperialista con azioni terroristiche, mentre l’IS mira a consolidare i propri successi a livello regionale e locale. Ogni provincia ha il suo emiro capo al tempo stesso politico e militare. Già prima della fulminea avanzata dell’Is in Iraq era stato lo stesso capo di Al Qaeda Al Zawahiri a mandare segnali di avvicinamento al Califfo in nome di una lotta comune che allora era verso il regime di Assad in Siria e oggi contro la coalizione internazionale guidata dagli USA di Obama, ma i fatti recenti hanno dimostrato la temporanea impossibilità di fusione a livello di movimento e dirigenze. Entrambi sono gruppi jihadisti sunniti. I loro obiettivi finali sono identici: eliminazione dell’influenza occidentale nel mondo islamico; unità dell’Umma sotto un Califfo, autorità sia politica che religiosa; eliminazione degli attuali regimi “apostati” e dei gruppi che non accettano l’interpretazione radicale dell’Islam, propria dello jidaismo; superiorità della sharia, la legge islamica, sulla “legge degli uomini”. Entrambe le organizzazioni hanno tendenze universali e reclutano combattenti stranieri. Il maggior numero di questi ultimi proviene da paesi islamici, in prevalenza arabi, ma non mancano neppure gli europei. Anche la loro origine e le loro priorità strategiche sono differenti. Al Qaeda, “la base”, nasce dalla mobilitazione dei mujaiddin, reduci dalla lotta di liberazione contro l’occupazione del socialimperialismo sovietico dell’Afghanistan. Fu creata da Osama Bin Laden come un’organizzazione inizialmente molto centralizzata, appoggiata di fatto dal regime talebano di Kabul. La sua strategia dava e dà ancora priorità all’attacco contro il nemico esterno, cioè l’Occidente, in particolare contro gli USA definiti “il grande Satana”. Solo dopo il loro ritiro sarebbe possibile la presa del potere da parte degli jihadisti. Le capacità operative, addestrative e logistiche di Al Qaeda sono state fortemente ridotte dagli attacchi militari americani dopo l’attacco dell’11 settembre, fino all’uccisione illegale di Bin Laden in Pakistan. Di fatto Al Qaeda non esiste più come organizzazione centralizzata. Le capacità operative sono state assorbite da vari gruppi regionali, che lottano per ragioni locali, con l’eccezione di quello della Penisola arabica che dallo Yemen La distribuzione geografica dei sunniti e degli sciiti adotta una strategia più globale. Il suo capo, l’egiziano Aymat al Zawahiri non possiede il carisma di Bin Laden e la direzione centrale ha perso la capacità di effettuare attacchi sofisticati e massicci. Gli affiliati di Al Qaeda agiscono in Occidente in piccoli gruppi, costituiti soprattutto su base familiare, difficilmente infiltrabili dai servizi segreti dell’imperialismo, o con singoli. L’IS nasce invece con il nome di Al Qaeda in Iraq nelle province sunnite dell’Iraq (Anbar, Ninive e Kirkuk) per opporsi all’aggressione americana. Dopo l’11 settembre tra le montagne dell’Afghanistan nasceva l’alleanza tra il giordano Al Zarkawi e il saudita Bin Laden, malgrado le divergenze in termini di visioni ed obiettivi. Al Zarkawi puntava ad estendere l’influenza dell’Islam sunnita partendo dal Medio Oriente, da una base territoriale, Bin Laden aveva obiettivi territoriali meno concreti e una battaglia più idealista e globale: la lotta e l’odio per l’Occidente corrotto. Fu proprio l’odio per l’Occidente però il collante che spinse Al Qaeda nel 2004 a sostenere la lotta in Iraq di Al Zarkawi contro le truppe occidentali. Un sostegno sopravvissuto all’uccisione di Al Zarkawi in un raid aereo statunitense nel 2006, a cui subentrò prima Abu Omar al Qurashi al Baghdadi e poi nel 2010 l’attuale califfo. La sua rinascita fu dovuta soprattutto alla politica settaria dell’allora premier iracheno fantoccio degli USA Nouri Al Maliki, discriminatoria nei riguardi dei sunniti che fino a Saddam aveva- no dominato il paese. Fu sostenuto dall’appoggio crescente di masse locali e assunse prima il nome di Stato Islamico dell’Iraq (ISI) e quando scoppiò il conflitto in Siria, quello di ISIS (detto anche ISIL, in arabo Daesh), Stato Islamico dell’Iraq e della Siria o del Levante. Il suo leader, Abu Bakr Al Baghdadi inizialmente cooperò con altre formazioni al qaediste che operavano contro il regime di Damasco, in particolare con Jabhat al Nursa (Fronte della vittoria). Dopo le travolgenti vittorie conseguite nel Nord dell’Iraq Al Baghadi il 29 giugno 2014 ha proclamato lo Stato islamico transfrontaliero fra Iraq e Siria, di cui si è autoproclamato Califfo assumendo il nome di Ibrahim. Concentrò conseguentemente la lotta delle sue milizie contro il “nemico vicino” per allargare il proprio territorio. I rapidi successi nelle province sia occidentali sia settentrionali dell’Iraq furono resi possibili dall’appoggio delle milizie sunnite e di molti ex ufficiali di Saddam. L’IS ha sempre avuto una solida base finanziaria. Inizialmente i fondi provennero dai paesi del Golfo preoccupati dalla leadership sciita di Baghdad e dall’alleanza che si stava consolidando tra questa e l’Iran sciita. Successivamente si è accresciuto enormemente con il sequestro dei depositi bancari delle città conquistate in Iraq e in Siria, con la vendita di petrolio e di opere d’arte, con le tasse sui territori conquistati e con i proventi del pagamento dei riscatti. A differenza di Al Qaeda dunque l’IS possiede un territorio, ha dimostrato eccellenti qualità non solo militari, ma anche amministrative e sofisticate capacità mediatiche. Militarmente dispone di comandanti capaci, la sua forza militare regolare è caratterizzata da estrema flessibilità tattica. E’ in grado di impiegare gli armamenti pesanti strappati all’esercito iracheno o siriano in fuga da Mosul e dalle altre città conquistate. Il 17 maggio scorso la conquista della città irachena di Ramadi e il 21 maggio quella siriana di Palmira dopo diversi giorni di combattimento hanno dimostrato tutto ciò. Al-Raqqa in Siria è di fatto la capitale dello Stato islamico. Le istituzioni, restaurate e ricostruite, stanno fornendo servizi. La diga della capitale continua a fornire acqua ed energia elettrica. La polizia e i soldati combattenti dello Stato islamico provenienti da qualsiasi parte del mondo ricevono alloggi confiscati ai musulmani non sunniti oppure abbandonati. Vengono forniti i servizi di welfare e viene praticato il controllo dei prezzi, ai benestanti vengono imposte tasse personali. Non esistono bollette dell’acqua e della luce fornite gratuitamente, ogni mese una fornitura alimentare completa viene data ai meno abbienti, le visite mediche e i farmaci sono gratuiti. Lo Stato islamico non riconosce l’Onu, che ha “depredato la Palestina e istituito lo Stato d’Israele”, non accetta il Fondo monetario internazionale che ha messo il cappio al collo alle nazioni musulmane con milioni di dollari di debito. Lo Stato islamico ha abbattuto fisicamente il confine tra Siria e Iraq come definito dall’accordo Sykes-Picot, ufficialmente Accordo sull’Asia Minore, un accordo segreto siglato il 16 maggio 1916 tra i governi del Regno Unito e della Francia che definiva le rispettive sfere d’influenza nel Medioriente in seguito alla sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale imperialista. Attualmente occupa un territorio grande quanto il Regno Unito. Con le alleanze e le richieste di associazione al califfato lo Stato islamico ha messo piede anche in Africa a partire dalla Libia, dove la città di Derna, conquistata dai jihadisti libici di Ansar Al Sharia nell’aprile del 2014, ha aderito dall’ottobre dello stesso anno allo Stato islamico. Così come hanno fatto le città di Zuara e Sirte. Etichettati anch’essi come una massa di terroristi e criminali sanguinari, in Africa la giuda dell’antimperialismo islamico è rappresentata da Boko Haram. Dall’arabo “L’educazione occidentale è peccato”, Boko Haram è stata fondata nel 2002 dal religioso Mohammed Yusuf per combattere il regime nigeriano al servizio dell’imperialismo. Con un esercito di 280mila uomini addestrati per la maggior parte dai talebani afghani, dopo aver giurato fedeltà a Al Qaeda ha ricevuto oltre 3 milioni di dollari da Bin Laden, il gruppo ha iniziato la sua lotta nella parte settentrionale del grande Paese africano dove i musulmani sono la maggioranza. Nel 2009 dopo l’uccisione di Yusuf in una operazione militare governativa, alla sua guida è arrivato l’attuale leader, Abubakar Shekau che ha giurato fedeltà allo Stato islamico. Dalla parte dell’IS stanno anche le “Brigate di sunniti liberi di Baalbeck” in Libano, Ansar Beit Al Maqdis nel Sinai egiziano, Tehrik - e - Khilafat in Pakistan, Afghanistan, India, Turkmenistan e Uzbekistan, Biff (Bergsamaro Islamic Freedom Fighters) nelle Filippine. Mentre esistono una miriade di altri gruppi, in origine alleati di Al Quaeda, che si sono divisi sull’appoggio all’IS. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 13/1/2016 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 esteri / il bolscevico 11 N. 3 - 21 gennaio 2016 Dopo l’esecuzione di un leader sciita Braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran per l’egemonia regionale Aumentano i pericoli di guerra Lo scorso 2 gennaio in 12 diverse città dell’Arabia Saudita sono state effettuate 47 esecuzioni riguardanti per lo più militanti di al Qaeda, 43 condannati per gli attentati compiuti nel paese tra il 2003 e il 2005; tra gli altri è stato ucciso Nimr al-Nimr, un religioso sciita leader delle proteste nella regione di Qatif in prigione da tre anni. E proprio la sua esecuzione è stata letta per quello che era, non tanto una guerra di religione tra le due correnti dell’Islam, le confessioni sciita e sunnita, ma una sfida al vicino concorrente per l’egemonia locale, l’Iran di Rohani appena rivitalizzato dall’accordo sul nucleare con Obama. La protesta iraniana partiva dalla condanna dell’esecuzione da parte della guida suprema Ali Khamenei e da un assalto all’ambasciata saudita a Teheran, condannata dal presidente Roha- ni; il 3 gennaio Riad rompeva le relazioni diplomatiche con Teheran, seguita da Bahrain e Sudan, espellendo i funzionari iraniani e ritirando i propri dalla capitale persiana; il 4 gennaio sospendeva tutti i voli da e verso l’Iran. Il vecchio re saudita Abdullah aveva reagito alla Primavera araba finanziando le controrivoluzioni in Nord Africa, in opposizione a Qatar e Turchia; il successore Salman, a fronte del cambio di priorità dato dagli Usa di Obama che favorivano l’uscita dall’isolamento dell’Iran, apriva la guerra diretta in Yemen contro i ribelli houthi, appoggiati da Teheran, e recuperando l’alleanza con la Turchia di Erdogan e il Qatar sembra puntare a uno scontro con la Repubblica islamica; quantomeno per fermarne l’ascesa a potenza regionale, una volta che è ancora più forte per l’asse stretto con la Russia di Putin e i favori del governo sciita di Baghdad che comunque opera ancora sotto la tutela degli Usa. I problemi dell’Arabia Saudita cominciano a essere diversi, a partire dalla crisi economica causata dalla diminuzione dei prezzi del petrolio. A fine 2015 il governo di Riad rendeva noto il deficit di bilancio pari a 98 miliardi di dollari, un record negativo per la petromonarchia che fonda l’85% delle proprie entrate sulla vendita di greggio. E nel settore energetico dovrà far fronte alla concorrenza iraniana una volta che Teheran potrà riprendere appieno l’esportazione del greggio. L’Iran, detentore della quarta riserva mondiale di petrolio, dopo l’accordo con gli Usa sul nucleare dello scorso luglio dovrebbe veder superate le sanzioni nel corso del 2016 e può tornare a mette- re sul mercato fino a 1 milione di barili al giorno; non ci sono problemi per Teheran se il prezzo del greggio per questa nuova immissione di prodotto potrebbe calare ancora perché, secondo il delegato iraniano all’Opec, il costo di produzione per barile può scendere senza problemi sotto i 10 dollari al barile; un prezzo che farebbe diventare una voragine il deficit saudita. Questi sviluppi della guerra del greggio tra l’altro colpirebbero poco le finanze della Stato islamico (Is) che, dopo gli attacchi portati soprattutto dai caccia russi alle vie di commercio del greggio, secondo alcuni economisti ha dallo scorso ottobre diversificato le proprie fonti di entrate. Proprio nella guerra allo Stato islamico Teheran si è conquistata la fiducia dell’imperialismo americano; una volta che Obama aveva deciso di disimpegnarsi in parte dallo scenario mediorientale per concentrarsi nel Pacifico si è costruito una nuova alleanza con l’Iran di Rohani a fianco degli alleati storici Israele e Arabia Saudita. Re Salman ha reagito tra l’altro con l’annuncio a fine 2015 della formazione di una coalizione di 34 Paesi musulmani contro il terrorismo, intendendo non solo quello dell’Is ma soprattutto quello di provenienza sciita, leggi iraniana. E con le esecuzioni del 2 gennaio ha platealmente rilanciato lo scontro politico, non certo guerra di religione, con Teheran, in condizioni molto diverse da quando si è innescato la prima volta con la rivoluzione antimperialista islamica del 1979. Aumentando anzitutto i pericoli di guerra già ampiamente alimentati dalla crisi mediorientale e dalla guerra imperialista all’Is. Elezioni politiche in Spagna Milioni di elettori mollano il partito al governo e il partito socialista Gli scontenti dei partiti già sperimentati al governo virano su Podemos, una nuova illusione borghese e riformista Il 13 gennaio si insedia il nuovo parlamento a Madrid che anzitutto elegge il presidente della Camera il cui primo compito è quello di compilare la lista dei gruppi parlamentari da consegnare al re Felipe VI per le consultazioni che porteranno all’affidamento dell’incarico per la formazione del nuovo governo. Il presidente incaricato si presenterà alla camera per avere il voto di fiducia di almeno 176 deputati o, dopo 48 ore, con un voto a maggioranza semplice; se entro due mesi dalla prima votazione le Camere non avranno dato la fiducia a nessun presidente candidato saranno sciolte automaticamente in base all’art. 88 della Costituzione e dal regolamento delle Camere e si tornerà a votare. Questo il percorso completo di cui dovrà tenere conto re Felipe VI alla sua prima consultazione perché il voto delle elezioni politiche del 20 dicembre non gli ha consegnato una situazione semplice; il risultato ha segnato la fine di una “tradizione” in vigore dalla fine della dittatura franchista con la vittoria netta di uno dei principali partiti, quello popolare della destra borghese e quello dei socialisti della “sinistra” borghese. I candidati nei due campi sono raddoppiati, a “sinistra” con Podemos e a destra con Ciudadanos e hanno reso complesso la formazione di un esecutivo seppur di alleanza, dando per scontato ma non è detto che Pp e Psoe possano dar vita a una grande coalizione sul modello di quelle al governo in Germania e Italia. La battaglia elettorale tra le quattro formazioni, in alcune regioni mescolate con formazioni locali, ha fatto da richiamo per l’elettorato tanto che la diserzione delle urne fa i 36 milioni di elettori è leggermente calata sotto il 27%. Resta comunque il primo “partito” in Spagna dato che contemporaneamente le principali formazioni del Pp e del Psoe hanno perso milioni di consensi. Il Partido Popular del premier Rajoy è calato fino al 28,7% dei voti validi e ha ottenuto 123 seggi in parlamento, 63 in meno rispetto alle precedenti del 2011. Ha perso ben più di 4 milioni di voti. Il Psoe ne ha persi “solo” 2 milioni e ha fermato la caduta al 22% dei voti validi conquistando 90 seggi contro i precedenti 110; il peggiore risultato del Psoe nella sua storia. Ha per il rotto della cuffia resistito al sorpasso della formazione crescente nella “sinistra” borghese spagnola, Podemos che col 21% dei voti validi ottiene 69 seggi, 42 da sola e le altre con le coalizioni di sinistra; in una coalizione in Catalogna e nei Paesi Baschi è il primo partito. Al quarto posto Ciudadanos che col 14% dei voti validi conquista 40 seggi. “Oggi nasce una nuova Spagna”, commentava il leader di Podemos Pablo Iglesias; un risultato di fatto annunciato nelle elezioni amministrative e regionali del 24 maggio scorso quando Pp e Psoe avevano registrato un pesante ridimensionamento e la formazione di Podemos aveva conquistato da sola o in coalizione la guida di quattro delle cinque più grandi città della Spagna: Madrid, Barcellona, Valencia e Saragozza. “Oggi è morto il bipartitismo. La Spagna ha deciso un cambio di sistema, siamo l’antidoto contro la corruzione e la diseguaglianza. La nostra più importante riforma sarà quella costituzionale, che è imprescindibile”, annunciava Iglesias presentandosi come una possibile alternativa alle masse popolari spagnole colpite tra le altre da una disoccupazione alle stelle e da tassi di disuguaglianza sociale tra i più alti della Ue per effetto anche delle politiche liberiste applicate meticolosamente dal governo di destra di Rajoy. Certo Podemos, che è nata dal movimento degli Indignados, ha raccolto i consensi degli scontenti dei partiti già sperimentati al governo e in particolare della sinistra del Psoe o di altre formazioni di opposizione come Izquierda Unida ma non rappresenta altro che una nuova illusione borghese e riformista. Nel tempo la formazione si è evoluta da megafono dell’indignazione a aspirante di governo, eliminando pezzi del suo programma originale. Podemos non parla più di non pagare il debito pubblico contratto con la Ue e le banche né di uscire dalla Nato e un ex generale vicino al Psoe si è unito al partito ed è stato designato come eventuale ministro della Difesa; ha cancellato l’abbassamento dell’età pensionabile che è torna- ta a 65 anni mentre il sussidio universale si è trasformato in un assegno integrativo per famiglie che vivono sotto la soglia di povertà. Una evoluzione che ha ancora più avvicinato Podemos alla Syriza di Alexis Tsipras; il primo ministro greco ha salutato l’affermazione del suo alleato europeo affermando che “la politica di austerity è stata politicamente punita in Spagna” e che “la nostra lotta ora è giustificata, l’Europa sta cambiando”. Subito dopo il commento sul voto di Madrid Tsipras ha inviato a Bruxelles il piano per un pesante taglio alle pensioni così come voleva la Ue per dargli le rate dei finanziamenti. La Ue cambia in peggio, con la copertura di formazioni come Syruza e Podemos. “il manifesto” trotzkista si aggrappa a Podemos, prima pagina del 22 dicembre 2015 Contro i migranti Svezia e Danimarca blindano le frontiere La politica dei muri contro i migranti continua a essere la linea portante dei paesi europei, dell’Unione euroea (Ue) come dei singoli paesi, una politica sbagliata e tantopiù inutile. L’ultima decisione in tal senso è quella annunciata il 4 gennaio dal governo di Stoccolma che giustificandolo come un tentativo di fermare il flusso di migranti in arrivo dalla vicina Danimarca, decideva di ripristinare i controlli alla frontiera e chiedeva all’Ue l’esenzione temporanea dal trattato di Schengen che determina la libera circolazione all’interno delle frontiere tra i paesi chi vi aderiscono. Poche ore dopo era governo conservatore di Copenhagen a decretare la chiusura fino al 14 gennaio del confine a sud con la Germania per tentare di spostare il problema migranti fuori delle sue frontiere. La ministra danese Stojberg dichiarava che “la Danimarca non vuole diventare la destinazione finale per migliaia di rifugiati”. Le decisione del governo svedese determina che chiunque voglia entrare nel paese dovrà mostrare i documenti sia che viaggi in traghetto che in pullman all’entrata del ponte di Oresund che collega Copenhagen con la città svedese di Malmo. Le persone senza documenti verranno rimandate indietro. Una misura che ha subito determinato lunghe code alla verifica documenti da parte delle migliaia di pendolari che ogni giorno attraversano il confine. Il governo svedese aveva tentato di far svolgere le funzioni di polizia alle compagnie di trasporto varando all’inizio dell’anno una legge che imponeva loro di controllare che tutti i passeggeri fossero in possesso di un documento valido, prevedendo multe in caso di inadem- pienza ma erano state per prime le ferrovie di stato a opporsi e a bloccare i colegamenti con la Danimarca. Il ministro svedese all’Immigrazione Morgan Johansson affermava che “siamo il Paese che per anni ha preso il numero più alto di profughi pro capite. Ne sono arrivati 115 mila solo negli ultimi 4 mesi e 26 mila minori non accompagnati”, adesso però chiedeva “delle misure per rallentare il flusso su quella che diventata un’autostrada” sulla via dei Balcani e per “rafforzare le frontiere esterne”. Questi argomenti erano trattati nel vertice d’urgenza convocato per il 5 gennaio a Bruxelles fra il commissario Ue, Dimitris Avramopoulos, i ministri svedese e danese all’Immigrazione Morgan Johansson e Inger Stojberg, e il ministro degli Interni tedesco Schroeder. “Il controllo delle frontiere esterne non funziona, in particolare tra Grecia e Turchia. Le registrazioni non vengono fatte. Eurodac non viene applicato. I ricollocamenti non vanno avanti” accusava Schroeder che richiamava la necessità di applicare le misure Ue in materia di immigrazione. “Fino a quando le regole sull’asilo Ue non saranno rispettate e non verranno messe in pratica le soluzioni europee per far fronte alla pressione migratoria, gli Stati membri daranno risposte singole” affermava giustificando le decisioni di Svezia e Danimarca sulla blindatura, seppur provvisoria, delle frontiere. Senza contare che sono state sospese le regole di Schengen in Germania nel settembre scorso con la reintroduzione temporanea di controlli alla frontiera con l’Austria per arginare il flusso dei migranti. 12 il bolscevico / esteri N. 3 - 21 gennaio 2016 Il Consiglio di sicurezza unito per combattere le finanze dell’IS Il Consiglio di sicurezza dell’Onu imperialista ha approvato all’unanimità una risoluzione per spezzare le reni allo Stato islamico, colpendolo nelle risorse e nei canali finanziari. Il testo della risoluzione di guerra 2253, contenente oltre l’introduzione ben 99 punti in 28 pagine, principali fautori Usa e Russia e tra gli sponsor il governo Renzi, è stato discusso il 17 dicembre, in una riunione inusuale: per la prima volta nella storia, i membri del Consiglio di sicurezza sono stati rappresentati dai loro ministri delle Finanze, presieduti dal titolare USA, Jack Lew. La gravità della risoluzione dipende anche dal contesto in cui è posizionato il testo che risponde alle norme del Capitolo 7 della Carta dell’Onu, quello cioè che prevede una serie di passaggi formali prima dell’aggressione militare. Può essere quindi considerata oltre che nei contenuti, già di per sé invasivi, anche formalmente una tappa verso la guerra. Particolarmente aggressiva la Federazione Russa che, nel corso dell’irrituale seduta, ha affermato che l’obbiettivo di sradicare IS va perseguito “agendo insieme e senza doppi standard”, cioè senza troppi scrupoli e passaggi formali. Nella risoluzione si fa terra bruciata intorno allo Stato islamico prevedendo sanzioni e provvedimenti verso gruppi e persone fisiche, inseriti in una sorta di lista di proscrizione internazionale di coloro che hanno avuto un qualche rapporto con l’IS. La lista di proscrizione per specifica indicazione della mozione Consiglio di sicurezza è di “natura preventiva”. Non bisogna cioè essere stati condannati per un qualche motivo. Vi si può finire anche sulla base di un semplice sospetto di transazione o appoggio finanziario o d’altro tipo all’IS. La risoluzione fa obbligo agli Stati membri di controllare e garantire “che tutti i residenti sul proprio territorio non commercino con IS né direttamente, né indirettamente in olio, raffinerie modulari e prodotti chimici, lubrificanti e risorse naturali”. Nella lista di proscrizione “ISIL (Da’esh) e Al-Qaida” si può finire per una miriade di motivi: “partecipando al finanziamento, alla progettazione, supportando la preparazione, o perpetrando atti o attività da parte di Daesh, in collaborazione con, in nome di, per conto di o a sostegno di”, ma anche per attività che prevedano il “reclutando in favore di Daesh” o per “il sostegno di atti o attività di Al-Qaida, ISIL, o qualsiasi cellula, affiliata, scissionista o derivata”. In teoria, dato l’isterico integralismo della mozione, anche vendere o acquistare un giornale dell’IS potrebbe essere considerato supporto economico o sostegno alle sue attività. Si legge nella risoluzione che “ogni individuo, gruppo, impresa o entità che fornisce sostegno all’Isis o ad Al Qaida è soggetto alle misure restrittive imposte dalle Nazioni Unite, tra cui il congelamento dei beni, il divieto di viaggio”. Gli verranno sequestrati i beni, anche soltanto se ha dato supporto “per la fornitura di Internet hosting e servizi connessi, utilizzati per il sostegno di Al-Qa- eda, ISIL, e altri individui, gruppi, imprese o altri enti inclusi nella lista” di proscrizione. Particolarmente grave è il passaggio in cui si vieta “l’ingresso o il transito nel loro territorio di chiunque abbia commerciato con l’IS a meno che “il transito sia necessario per l’adempimento di un procedimento giudiziario”. La restrizione di viaggio riguarda qualsiasi motivazione, presumibilmente anche i viaggi di chi è in fuga dalla guerra, i viaggi per cure o per studio, e la richiesta di viaggio deve essere acconsentita con delle deroghe presentate agli Stati membri. In teoria tale restrizione a questo punto potrebbe riguardare tutti gli otto milioni di residenti dello Stato islamico. In una sorta di regime di po- lizia mondiale, gli Stati membri dell’ONU vengono esortati a intensificare le ricerche sul proprio territorio e condividere le proprie informazioni su eventuali relazioni con l’IS di propri residenti o migranti. Gli Stati membri sono incoraggiati in una sorta di identificazione e schedatura di massa mondiale “a presentare, ove disponibili, e in conformità con la loro legislazione nazionale, fotografie e altri dati biometrici delle persone da inserire nel InterpolNazioni Unite”. Al punto 22, la risoluzione esorta gli Stati membri a contrastare la propaganda sui media Internet e sociali, “anche attraverso lo sviluppo del contatore narrazioni efficaci”, cioè ad effettuare una mappatura degli interventi Si è costituito a Viterbo un “Comitato nonviolento per la revoca della decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul”.Il comitato si prefigge di: opporsi all’invio di centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul, e quindi interloquire con il Governo, il Parlamento e il Presidente della Repubblica affinché la decisione annunciata dal Presidente del Consiglio dei Ministri sia revocata dallo stesso governo, ovvero respinta dal parlamento, ovvero non ratificata e quindi vietata dal capo dello stato; 1) esprimere questa opposizione con l’unico scopo di salvare vite umane; 2) agire unicamente in forme e con metodi rigorosamente nonviolenti, assolutamente rispettosi della dignità e dell’incolumità di Putin ha finanziato il FN xenofobo e fascista di Le Pen Anche la Lega di Salvini ha strettissimi rapporti col nuovo zar tin e Le Pen hanno intrecciato un filo nero di rapporti finanziari e politici, tanto che il FN è in cima alla lista dei partiti sostenuti dal dittatore russo finanziariamente, con milioni di dollari, e logisticamente con l’assistenza per manifestazioni e supporto mediatico e pubblicitario. Anche la Lega Nord di Salvini si prostituisce nella speranza di entrare nel libro paga di Putin. Si intensificano infatti negli ultimi mesi i viaggi nella Federazione russa dei leader della Lega. Claudio D’Amico, ex parlamentare leghista, è un costante frequentatore dei salotti putiniani, della rete televisiva di Stato russa e del network Russia Today. È in sostanza tra i principali fautori del legame della Lega con gli oligarchi russi. Da tempo, cura rapporti privilegiati con il deputato della formazione fascista a sostegno di Putin Russia Unita, Aleksej Puskov. Con l’intento ufficiale di “stringere rapporti con la Russia” e di dare una “corretta informazione” su ciò che succede in Ucraina, nell’inverno 2013/2014 fu fondata l’associazione “LombardiaRussia”, il cui presidente è Gianlu- la barbarie dell’imperialismo che genera barbarie”. Per evitare che la guerra venga portata nei paesi imperialisti, compresa l’Italia, l’unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato islamico. Come alcune voci autorevoli, oltre quella del PMLI, richiedono, bisogna mettere da parte la soluzione militare e considerare l’idea di un riconoscimento e di una trattativa con l’IS. I sinceri antimperialisti, i pacifisti e tutti coloro che hanno a cuore la pace e l’indipendenza dei popoli, devono ribellarsi al ricatto della martellante propaganda imperialista che demonizza l’IS e santifica la guerra su ogni fronte all’IS per distruggerlo e così averecampo libero per spartirsi il Medio Oriente. Contro l’invio di soldati a Mosul 40 milioni secondo Mediapart Il Front National xenofobo e fascista di Le Pen è sotto accusa in Francia per finanziamento illecito. Da Putin, come conferma Marine Le Pen, sono arrivati almeno 9 milioni di dollari per il finanziamento delle presidenziali francesi del 2017. Denaro che il Cremlino avrebbe versato a Marine Le Pen, leader del Front National, attraverso un prestito erogato dalla First Czech Russian Bank, fondata nella Repubblica Ceca, ma con base a Mosca. Secondo quanto riportato da un’inchiesta giornalistica, per il prestito il gruppo dirigente del FN avrebbe avviato contatti con diversi “sostenitori, intermediari e oligarchi” francesi e russi legati a Putin, tra cui Yuri Kudimov, ex agende del KGB nel gruppo dirigente della banca statale russa VEB Capital. Secondo il sito francese Mediapart, il prestito però sarebbe ben più consistente e ammonterebbe a 40 milioni. I canali sono ancora da accertare. E in cambio Putin avrebbe chiesto al FN sostegno alla sua politica estera nei confronti della Crimea. Comunque sia, non da ora Pu- on-line che riguardano IS, coinvolgendo addirittura in una sorta di controllo generalizzato “la società civile e il settore privato”. Questa risoluzione mira a colpire l’IS in quanto entità statale con 8 milioni di abitanti, che gestisce commerci, trasporti, e non un gruppo terroristico semplicemente finanziato dall’esterno. Con tutta evidenza, la risoluzione di guerra, sulla scia dell’isterica propaganda imperialista contro il “terrorismo jihadista”, avrà l’unico effetto di inasprire il controllo e la repressione interna agli Stati membri, e di rafforzare la spirale guerra-terrorismo. Come ha infatti chiarito per primo l’Ufficio politico del PMLI nel comunicato stampa subito dopo gli attentati di Parigi, “è ca Savoini, portavoce di Salvini. Presidente onorario è Alexej Komov, il reazionario attivista antiabortista e omofobo ambasciatore del Congresso Mondiale delle Famiglie all’Onu. Sul sito, i rappresentanti della Lega si sperticano nelle lodi della politica di Putin. L’associazione, che si definisce “culturale e apartitica”, in realtà ha il progetto politico ben preciso di sostenere i “valori” nazionalisti di stampo fascista enunciati da Putin nel corso del meeting di Valdai 2013: “Identità, Sovranità, Tradizione”. Si tratta dunque anche per la Lega di un rapporto di natura strategica, basato su presupposti politici reazionari, che non si limita alla costruzione di un’opposizione da destra all’EU, a sostenere la Federazione russa contro l’Ucrania nell’interesse dell’alta borghesia russa. Quello che Putin sta costruendo, grazie all’asservimento di una serie di partiti nazionali nazifascisti, come tali disposti a vendersi al migliore offerente straniero, è una sorta di transnazionale fascista, anticomunista, xenofoba e omofoba. tutte le persone; 3) riaffermare l’opposizione a tutte le guerre e a tutte le uccisioni; riaffermare l’impegno a difendere la vita, la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani. Alle persone ed alle associazioni che vogliono impegnarsi in questa iniziativa per la revoca della decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul, il comitato propone: a) di scrivere al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri, ai Parlamentari, al Presidente della Repubblica per chiedere che il governo receda da quella decisione; b) di invitare altre istituzioni, associazioni, persone, mezzi d’informazione ad impegnarsi al medesimo fine; c) di promuovere incontri ed iniziative di informazione e coscientizzazione al medesimo fine; d) di esprimersi e di agire in modi esclusivamente nonviolenti, nel rispetto della verità e della dignità umana di tutti gli interlocutori; e) di essere sempre assolutamente chiari nell’opposizione a tutte le guerre, a tutte le uccisioni, a tutte le violazioni dei diritti umani. Il comitato non prevede formali adesioni e si configura come mero movimento d’opinione inteso allo scopo di far revocare l’irragionevole, illegittima e pericolosissima decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul. Il comitato auspica che in ogni provincia d’Italia si costituiscano altri comitati nonviolenti per lo stesso fine e con le stesse modalità di azione. Comitato nonviolento per la revoca della decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul, Viterbo Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] imperialismo russo / il bolscevico 13 N. 3 - 21 gennaio 2016 La nuova dottrina di Putin sulla sicurezza della Russia: uso della forza e guerra all’IS Il 1° gennaio il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che recepisce la nuova Strategia per la sicurezza nazionale. Un piano strategico di carattere politico, economico, diplomatico e militare che era stato varato nel 2009 e si proietta fino al 2020, e che adesso viene aggiornato per metterlo al passo con i molti cambiamenti avvenuti negli ultimi sei anni. Lo scopo del piano, come recita l’inizio del documento, è quello di stabilire “gli interessi nazionali e le priorità strategiche nazionali della Federazione Russa, gli obiettivi di politica interna ed estera, gli obiettivi e le misure diretti a rafforzare la sicurezza nazionale ed assicurare uno sviluppo stabile e a lungo termine del Paese”. A questo scopo il documento svolge un’ampia analisi della situazione internazionale, partendo dall’assunto che gli Stati Uniti e i loro alleati cercano oggi di “isolare la Russia, esercitando pressioni politiche, economiche, militari e nel campo dell’informazione”, perché il rafforzamento della Russia e la sua politica interna e internazionale indipendente metterebbe in pericolo la loro posizione dominante nel mondo. Da qui la necessità per la FR, elevata a priorità nazionale, di riaffermare il suo ruolo “come una delle potenze leader mondiali, le cui azioni sono dirette ad assicurare la stabilità strategica e il mutuo, vantaggioso partenariato nel contesto di un mondo multipolare”. Il ruolo dominante della forza nei rapporti internazionali Tuttavia oggi “il processo di formazione di un nuovo ordine mondiale policentrico è accompagnato da una crescente instabilità regionale e globale”, riconosce il documento, che indica nello “sviluppo globale inuguale e le crescenti differenze tra i livelli di benessere dei vari paesi, la lotta per le risorse e l’accesso ai mercati, il controllo sulle rotte commerciali”, le cause dei crescenti conflitti internazionali. Al punto che “la potenza dei servizi segreti è utilizzata sempre più attivamente”, e “il ruolo della forza è ancora dominante nei rapporti internazionali”, con una corsa agli armamenti che indebolisce la sicurezza globale, sottolinea il documento. E ciò vale in particolare nelle regioni euroatlantica, euro-asiatica e Asia-Pacifico. A questo riguardo, entrando nello specifico, il documento russo punta il dito sull’espansionismo della NATO, sulle “rivoluzioni colorate” e il “rovesciamento di governi legittimi” fomentati dagli USA e i suoi alleati, come nel caso emblematico dell’Ucraina (e che ora rischia di riprodursi in Serbia e Macedonia) e sulla loro politica ambigua che favorisce la nascita di movimenti “terroristici”. Mosca, 9 maggio 2015. Putin mostra in parata un gruppo di missili balistici intercontinentali La minaccia della NATO e le “rivoluzioni colorate” Quel poco che del documento russo è stato riportato dai grandi media occidentali mette soprattutto l’accento sul fatto che nella nuova Strategia di sicurezza nazionale la NATO sarebbe ritornata ad essere “il nemico” della Russia. In realtà Putin non si spinge fino a tanto, ma si limita per adesso a considerare “l’espansione del potenziale offensivo della NATO” e la sua “continua espansione, e l’avvicinamento delle sue strutture ai confini russi”, come una “minaccia alla sicurezza nazionale”. A cui si aggiungono altre preoccupazioni, tra cui quelle per il sistema missilistico americano dispiegato all’estero, la corsa allo sviluppo di armi strategiche non nucleari di precisione e la militarizzazione dello spazio. In particolare – e questa è una novità assoluta - Il documento denuncia l’espansione di una rete di laboratori biologici militari nei paesi confinanti con la Russia (allusione forse a Georgia, Ucraina e Kazakhstan) L’istigazione alle “rivoluzioni colorate” è una delle principali minacce alla sicurezza della Russia, aggiunge poi il documento. Esse sono fomentate dalla “attività di gruppi sociali radicali e organizzazioni che usano ideologie religiose, nazionaliste, estremiste, da ONG straniere e internazionali e gruppi finanziari ed economici, così come da privati cittadini, dirette a minare l’unità e l’integrità territoriale della Federazione russa, destabilizzare la situazione politica e sociale all’interno del paese, anche attraverso ‘rivoluzioni colorate’ eterodirette, e distruggere i valori morali e spirituali della Russia”. Formulazione abbastanza ambigua da concedere a Putin un alibi per reprimere anche tutti i possibili tentativi di “sovversioni interne”, come conflitti regionali, interetnici e movimenti “terroristici” all’interno della Federazione, fino alla repressione di movimenti omosessuali, libertari, pacifisti, religiosi non allineati con la chiesa di Stato cristiano-ortodossa, e così via. La lotta all’IS è una “priorità nazionale” Tuttavia, per i vertici del Cremlino, “la pratica di rovesciare autorità politiche legittime, provocando instabilità politica e conflitto all’interno” non si limita all’Europa dell’Est, ma “sta diventando sempre più diffusa in altre aree calde del mondo. E in questo quadro la nascita dello Stato islamico rappresenta una grave minaccia agli interessi russi. Nascita che in qualche modo – come dichiarato anche in un commento a caldo al documento da parte del segretario del Consiglio nazionale di sicurezza russo, Nikolay Patrushev, alludendo evidentemente a USA,Turchia e certi paesi arabi – viene imputata alla politica di “doppio standard che alcuni paesi seguono nella lotta al terrorismo”. Tra l’altro pochi giorni prima, il 21 dicembre, il summit dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), che raggruppa la Russia e altri paesi dell’Asia centrale, aveva definito l’IS una “minaccia alla sicurezza nell’Asia centrale” e definito un suo “obiettivo prioritario” la lotta contro lo Stato islamico. Le priorità nazionali per la sicurezza russa Sulla base di questa analisi il piano definisce le priorità della nuova Strategia di sicurezza nazionale, che sono il rafforzamento della difesa nazionale, la sicurezza sociale e Statale, l’integrità e la sovranità territoriale, il rafforzamento del consenso nazionale, l’aumento della qualità della vita dei cittadini, l’incremento della sanità pubblica, la protezione dell’ambiente, la conservazione e lo sviluppo della cultura e dei valori nazionali, la crescita dell’economia e l’aumento della sua competitività, l’assestamento del rublo, lo sviluppo della scienza, della tecnologia e dell’educazione. Obiettivo strategico diventa anche “assicurare l’indipendenza alimentare” del paese, accelerando lo sviluppo dell’agricoltura e riducendo la dipendenza dall’estero. Come anche dipendere meno dalle esportazioni di risorse energetiche e materie prime, attrarre più investimenti stranieri, sviluppare nuove tecnologie, creare risorse minerarie strategiche di riserva, costruire una rete unificata di trasporti, stimolare la crescita di piccole e medie imprese, e così via. Inoltre la Russia si propone di sviluppare la cooperazione con i BRICS, in primo luogo con Cina e India, e rafforzare la Banca asiatica di sviluppo per le infrastrutture, a cui anche la Russia ha aderito per rompere l’egemonia occidenta- le basata sul Fondo monetario internazionale e sulla Banca mondiale. La Russia punta a far crescere il suo PIL affinché diventi tra i più alti del mondo, e ciò per “incrementare la competitività e il prestigio internazionale della FR”. Tutti propositi in apparenza ineccepibili, ma il motore della crescita non è certo il benessere sociale, bensì come sempre il complesso industriale militare. Patrushev, commentando il documento di Putin, ha chiarito in proposito: “Al settore industriale e della difesa è assegnato il ruolo di forza trainante per la modernizzazione della produzione”. Aperture tattiche di Putin a USA, UE e NATO Con tutto ciò Putin, alle prese con una grave crisi finanziaria ed economica aggravata dal calo demografico, dalle sanzioni occidentali e dalla caduta dei prezzi del petrolio e delle materie prime su cui si basano essenzialmente le esportazioni russe, è consapevole dello stato ancora di inferiorità militare della Russia rispetto alla superpotenza americana ai suoi alleati. Nonostante che tutta l’analisi della situazione internazionale svolta nel documento dimostri di fatto l’accumulazione dei fattori di guerra e l’inevitabilità di un conflitto tra le superpotenze per l’egemonia mondiale, quello che gli interessa in questo momento è che dopo l’umiliante declino dell’era GorbaciovEltsin, la Russia ritorni ad essere una superpotenza e un attore di primo piano nei consessi internazionali, cosa che ha cominciato già a fare con l’intervento militare in Siria in appoggio ad Assad e contro l’IS, uscendo dall’angolo in cui era stato messo con le sanzioni per l’Ucraina e l’accerchiamento della NATO dai Balcani al Baltico. Per questo offre anche delle aperture a USA, UE e NATO, a patto che questi rispettino i legittimi interessi russi: “La Russia appoggia il rafforzamento della cooperazione mutualmente vantaggiosa con i paesi europei e l’Unione Europea... allo scopo di sviluppare un sistema trasparente di sicurezza collettiva nella regione euro-atlantica basata su accordi legali chiaramente definiti”, dice infatti il documento, che poi offre di estendere tali rapporti anche alla NATO, come anche di discutere “un’ulteriore riduzione del potenziale nucleare sulla base di accordi bilaterali così come di strutture multilaterali”. Non solo, ma la Russia si impegna persino a utilizzare le proprie forze armate solo se necessario, dichiarando esplicitamente di ritenerne l’impiego l’extrema ratio in caso di fallimento di tutti gli altri tentativi di risoluzione delle crisi, anche se recentemente, a proposito della Siria e della lotta all’IS, Putin aveva lanciato invece oscure minacce circa il ricorso alle armi nucleari. A dimostrazione di come certi propositi di “pace” degli imperialisti siano puramente propagandistici e per nulla impegnativi, ma vadano e vengano a seconda degli umori del momento. Gli obiettivi immediati del nuovo zar In conclusione, con questa nuova Strategia per la sicurezza nazionale, il nuovo zar del Cremlino lancia degli avvertimenti agli USA e alla UE, mette dei paletti all’espansionismo della NATO verso Est e si propone di rafforzare la Russia sul piano politico, economico e militare e consolidare il suo potere all’interno del paese, per invertire la tendenza al declino e ridare alla Russia un ruolo tra le grandi potenze mondiali e nei consessi dove si decidono le grandi questioni internazionali. Nell’immediato punta tanto a confrontarsi militarmente con la superpotenza americana e i suoi alleati europei, come è stato quasi fatto passare in certi commenti sui media occidentali, ma piuttosto ad arrivare con loro ad un vantaggioso accordo di spartizione della Siria, concludendo la campagna militare contro lo Stato islamico e conservando le sue basi militari nel paese, le uniche che gli consentono l’accesso al Mediterraneo. Sempre che il conflitto non sfugga di mano e invece che accordarsi tutti questi banditi che si disputano le spoglie della Siria e del Medio Oriente non finiscano per innescare una terza guerra mondiale. esteri / il bolscevico 15 N. 26 - 2 luglio 2015 stampato in pr. Per evitare gli attacchi terroristici cessare di bombardare l’Is PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it nuovi mercenari / il bolscevico 15 N. 3 - 21 gennaio 2016 I cosiddetti contractors muovono un mercato da 37,4 miliardi di dollari e contano su 1 milione e 138 mila dipendenti Eserciti di mercenari al servizio delle potenze imperialiste Li chiamano “contractors” ma in realtà si tratta di veri e propri eserciti privati di mercenari, in gran parte ex poliziotti o appartenenti alla forze speciali dell’esercito, marina e aeronautica, pronti a intervenire in cambio di stipendi che superano i 10 mila euro al mese, in tutte le zone di crisi a più alto rischio: dall’Iraq, all’Afghanistan, dallo Yemen all’Africa, non solo per svolgere attività di sicurezza interne, servizi di guardie private, scorte e attività militari o di intelligence, ma anche e soprattutto intervengono per difendere gli interessi e le attività economiche delle potenze imperialiste, oleodotti, piantagioni, allevamenti di bestiame e i relativi commerci ad esse collegate. Il settore della cosiddetta “sicurezza integrata” offerta da questa sorta di agenzie di servizi segreti privati è in continua espansione e ha avuto il suo battesimo di fuoco nel 2003 durante l’aggressione della coalizione imperialista all’Iraq guidata dagli Usa di George Bush. Proprio in quella occasione vennero allo scoperto anche i primi “contractors” italiani tra cui Fabrizio Quattrocchi, il genovese che il 14 aprile del 2004 è stato ucciso con due colpi di pistola dai guerriglieri islamici delle Falangi di Maometto, rapito alcuni giorni prima insieme ai suoi colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. Le regole d’ingaggio a maglie larghissime, l’intreccio di legami e di interessi con i vertici politici dei vari Stati in cui è richiesto il loro intervento e soprattutto la grande disponibilità di denaro, pongono le compagnie private di sicurezza in una situazione di potere tale da poter essere considerate alla stregua di una vera e propria entità politica statale. È il caso ad esempio dell’unità segreta istituita da Bush subito dopo gli attentati alle torri gemelle per uccidere i membri di Al-Qaeda. Una vera e propria missione di killeraggio di Stato affidata alla agenzia statunitense Blackwater. Basti pensare che le prime dieci agenzie di reclutamento dei Un boom iniziato nel 2003 con la guerra all’Iraq Un’immagine di mercenari al soldo dell’imperialismo “Rambo” a livello mondiale muovono un mercato da 37,4 miliardi di dollari e contano su 1 milione e 138 mila reclute. Il colosso del settore è la britannica “G4S” che vanta un fatturato di 6,8 miliardi all’anno e conta oltre 620 mila dipendenti sguinzagliati in giro per il mondo tanto che nella brochure di presentazione l’azienda inglese si descrive come il “principale gruppo di sicurezza integrata, specializzato nella fornitura di prodotti per la sicurezza, servizi e soluzioni”. La lista delle altre sigle che “affollano questo nuovo ricchissimo mercato” la si fornisce Bruno Ballardini nel suo Il Marketing dell’Apocalisse: “In testa ci sono le agenzie statunitense come Gk Sierra, Kroll Inc, Smith Bran- don International Inc., Stratfor, Booz Allen Hamilton, Pinkerton National Detective Agency, poi le inglesi Aegis, Control Risks Group, Hakluyt&Company, e infine la francese Geos e la spagnola Aics”. Agenzie di “outsourcing” in grado di fornire qualsiasi servizio di sicurezza richiesto: da quella interna al paese a quella, molto più redditizia, all’esterno, dove la difesa degli Stati viene di fatto privatizzata e “esternalizzata” in settori tutti i settori a cominciare da quelli in cui la sicurezza e il rischio sono considerati una minaccia strategica agli interessi degli stati imperialistici. Secondo quanto scrive ancora Ballardini, nel 2013, in Afghanistan, il 62% delle forze impie- gate erano già contractors privati. Dal 2001 in poi la cifra impiegata per contratti con forze di sicurezza private ruota attorno ai 200 miliardi di dollari l’anno. Risorse che hanno permesso di costituire “eserciti addestratissimi, virtualmente di stanza in tutto il mondo a disposizione di governi riluttanti a impegnare le proprie truppe”. Recentemente la multinazionale inglese “G4S” ha vinto un contratto da 100 milioni di sterline (140 milioni di euro) per proteggere i militari del British Foreign e Commonwealth Office in Afghanistan e assicurare un giacimento di gas in Iraq. Il contratto è il secondo di grande rilievo nel corso del 2015 dopo la gestione della sicurezza per Alla base operano 13.500 uomini, tra cui numerosi “contractors” I talebani uccidono 6 soldati Usa nella base di Bagram L’offensiva lanciata nei mesi scorsi dai combattenti talebani in Afghanistan contro l’occupazione imperialista capeggiata dagli Usa continua a ottenere grandi successi soprattutto a Bagram e nella provincia dell’Helmand. Il 21 dicembre un convoglio di militari afghani e statunitensi è stato colpito da un attentatore suicida a bordo di una motocicletta non lontano dalla base aerea di Bagram. 40 km a nord di Kabul, la base rappresenta il principale snodo logistico per le truppe statunitensi, insieme a quella di Kandahar, assediata dai Talebani l’8 dicembre. Bagram ospita 13.500 “funzionari della sicurezza” tra cui molti cosiddetti “contractors”, ossia mercenari, che fanno capo al dipartimento della Difesa degli Usa. Il segretario alla Difesa Ashton B. Carter ha confermato che i sei militari rimasti uccisi sono americani. Per i Talebani, è “un regalo di Natale”, per gli statunitensi è la perdita più ingente da quando, alla fine del 2014, si è conclusa formalmente la missione militare. Nell’Helmand l’offensiva talebana va avanti da mesi. In questi giorni si combatte per il distretto e per la città di Sangin, dove sono tornate a operare anche le forze speciali inglesi che in quest’area hanno combattuto per 13 anni su- bendo perdite significative, prima di ritirarsi nell’ottobre del 2014. I successi militari ottenuti dai talebani nel corso del 2015 li ha riconosciuti anche il Pentagono: su “Enhancing Security and Stability in Afghanistan”, un rapporto per il Congresso degli Usa pubblicato a metà dicembre in cui si parla di “sicurezza deteriorata” e di un aumento significativo degli attacchi degli insorti nel 2015. il centro di detenzione per minori di Kent, in Gran Bretagna, dall’importo di 50 milioni di sterline. Il fenomeno è in grande espansione anche in Italia nonostante che, a differenza di molti altri Paesi europei, il codice penale vieta l’arruolamento di personale italiano al servizio di uno Stato straniero. Attualmente sono circa duecento i mercenari italiani che ogni anno operano in zone di guerra o ad alto rischio per difendere inte- ressi aziendali, compagnie e Organizzazioni non governative. Oppure per difendere le navi dai pirati nei mari africani. In qualche caso anche per la protezione di personalità o politici locali. Carlo Biffani, amministratore delegato di Security Consulting Group, una delle maggiori agenzie italiane conferma che: “Su internet se ne trovano a decine, ma a lavorare davvero in tutto il mondo in Italia siamo solo in tre o quattro”. In pratica se un’azienda deve operare in un territorio difficile, come Africa del Nord, Medio Oriente o America centrale (le aree considerate più pericolose al mondo), si rivolge alle società di security che gli fanno una sorta di business plan dei rischi e poi intervengono gli “operatori” sul campo. Spesso si fanno anche joint venture con agenzie a livello locale e internazionale scambiandosi servizi, risorse e informazioni. I guadagni dei mercenari italiani vanno da un minimo di 4 a 10 mila euro al mese, secondo il tipo di missione. n. 38/2015 http://www.pmli.it/bolscevico.php 4 il bolscevico / governo renzi N. 3 - 21 gennaio 2016 Il PMLI produce un grosso sforzo per far giungere alle masse la sua voce anticapitalista, antiregime neofascista e per l’Italia unita, rossa e socialista. I militanti e i simpatizzanti attivi del Partito stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare. Il PMLI fa quindi appello ai sinceri fautori del socialismo per aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi finanziari. Nel supremo interesse del proletariato e della causa del socialismo. Più soldi riceveremo più potremo aumentare il volume di fuoco politico contro il governo del nuovo duce Renzi e l’imperialismo. Aiutateci anche economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo e il potere del proletariato. Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare. Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviateli, specificando la causale “Donazione”, a: Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze