Settimanale
Nuova serie - Anno XXXX - N. 3 - 21 gennaio 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
Dopo l’esecuzione di un leader sciita
Dal Rapporto di Erne alla 5ª Sessione
plenaria del 5° CC del PMLI
Braccio di ferro tra Arabia Saudita
Le
divisioni
tra
e Iran per l’egemonia regionale
gli islamici
Aumentano i pericoli di guerra
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Il Consiglio di sicurezza La nuova dottrina di Putin sulla
unito per combattere
sicurezza della Russia:
le finanze dell’IS
uso della forza e guerra all’IS
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PAG. 13
Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande Maestro del proletariato internazionale
PMLI e PCdI commemorano assieme Lenin a Cavriago
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Molti manifestanti si stringono
al PMLI alla commemorazione
dell’eccidio degli operai di
Modena di 66 anni fa
Al banchino pomeridiano consensi alla posizione antimperialista e
antirenziana del Partito che ha ricevuto diverse sottoscrizioni
9 gennaio 2015. Preil pmli condanna la rimozione dello striscione Modena,
sidio di commemorazione
della Fonderie Riudel collettivo Guernica contro il “jobs act” dell’eccidio
nite di Modena. Le bandiere dei
In vista delle elezioni comunali a Bologna
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Maestri e del PMLI spiccano
nella foto pubblicata dal giornale online ModenaToday
Guerra per le candidature
In cambio di appalti, assunzioni e favori
tra le varie correnti
A Quarto la camorra ha
dei partiti borghesi
votato il M5S
Astenersi e creare le istituzioni rappresentative
delle masse fautrici del socialismo
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La corruzione è connaturata al sistema capitalista e alle istituzioni parlamentari borghese
I vertici del M5S hanno coperto il criminale patto con il clan polverino
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Tappezzando i muri di manifesti con il suo faccione come un qualsiasi politicante borghese
Secondo il rapporto annuale del quotidiano “Sole 24 ore”
L’arcirevisionista Marco Rizzo Napoli tra le ultime città italiane per
lavoro, giovani e qualità della vita
candidato
sindaco
a
Torino
I media borghesi fanno a gara per incensare la sua candidatura
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Un’ulteriore conferma del fallimento delle “politiche sociali” del neopodestà De Magistris
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Inquinamento urbano. Il ministro dell’Ambiente Galletti presenta un piano contro l’inquinamento
che prevede poche misure non vincolanti per i sindaci. Critiche dal mondo ambientalista
Un “nuovo” modello simile a quello imposto da Marchionne alla Fiat
Respingere la “proposta organica” di Federmeccanica Palliativi del governo
Renzi contro lo smog
per il rinnovo del contratto metalmeccanici
Il Comitato centrale della Fiom invece non ne chiede il ritiro e continua la trattativa
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Occorre puntare su una diversa mobilità urbana pubblico e collettivo unito
all’utilizzo di fonti rinnovabili per i riscaldamenti domestici PAGG. 4-5
2 il bolscevico / interni
N. 3 - 21 gennaio 2016
Un “nuovo” modello simile a quello imposto da Marchionne alla Fiat
Respingere la “proposta organica”
di Federmeccanica per il rinnovo
del contratto metalmeccanici
Il Comitato centrale della Fiom invece non ne chiede il ritiro e continua la trattativa
La promessa di una “proposta
organica” da parte di Federmeccanica si è materializzata e ha assunto le sembianze di un attacco
organico al Contratto Nazionale
di Lavoro e a qualsiasi tipo di
aumento salariale collettivo, con
l’obiettivo di cancellare la vecchia contrattazione sostituendola
con il cosiddetto “nuovo modello
contrattuale” di Squinzi e Confindustria che prevede sindacati e
lavoratori completamente succubi delle esigenze aziendali senza
alcun potere rivendicativo autonomo.
È questo il succo della proposta di Federmeccanica, l’associazione dei padroni delle imprese meccaniche. Non le è bastata
quella avanzata dalla Fiom, già
di per se debole e ben disposta
al cedimento. Una piattaforma,
quella della Fiom, che fa propri i principi contenuti nel Testo
Unico del 10 gennaio 2014 che
prevedono le deroghe al contratto nazionale e la limitazione
delle libertà sindacali con nuove
regole sulla rappresentanza. Una
proposta che accetta le “clausole di raffreddamento”, le quali
altro non sono che la limitazione
del diritto di sciopero e delega a
livello aziendale la maggior parte
della contrattazione salariale, che
porta avanti gli enti bilaterali attraverso la sanità aziendale che si
va ad aggiungere alla previdenza
integrativa.
Una marcia indietro rispetto al
passato compiuta da Landini e
dalla Fiom, nel tentativo di evitare
ad ogni costo accordi separati,
ritrovare l’unità con Fim e Uilm
e sedere al tavolo della trattativa
con le associazioni padronali. Ma
queste non si sono accontentate
e, trovando la porta aperta, sono
andate oltre cercando di applicare alla categoria dei metalmeccanici, la più numerosa e significativa di tutte le altre, il nuovo
modello contrattuale.
Il fulcro su cui ruota la proposta di Federmeccanica è la
trasformazione
del
“minimo
contrattuale” in “salario minimo
di garanzia”. Non si tratta di un
semplice esercizio lessicale, ma
lo svuotamento del contratto
nazionale ridotto alla funzione di
organismo che traccia la soglia di
salario più bassa, calcolata a posteriori, cioè sei mesi dopo l’anno
di riferimento, attraverso l’IPCA
(un sistema di calcolo dell’inflazione parziale). Un progetto del
tutto simile a quello che ha in
testa il governo del nuovo duce
Renzi e al modello proposto dalla
Cisl.
In sostanza vuol dire che gli
aumenti salariali derivanti dal
contratto nazionale saranno bloccati per la maggior parte dei lavoratori. Andranno solamente a chi
è al di sotto del salario minimo,
mentre per tutti gli altri che lo superano verranno assorbiti. Il tutto
riferito al salario complessivo, ossia minimi contrattuali, supermi-
Un eloquente striscione portato a Roma durante una manifestazione nazionale della FIOM
nimi individuali e collettivi, scatti
di anzianità, premi di produzione,
ecc. Dal 2017 anche l’elemento
perequativo, ossia la cifra che
spetta a chi non ha la contrattazione aziendale, sarà assorbita
nel salario di garanzia. Tutto ciò
porterebbe incrementi, molto miseri per la verità, solo al 5% dei
lavoratori. Tutti gli altri eventuali
aumenti sono rimandati alla contrattazione di secondo livello.
L’unica “concessione” di Federmeccanica è quella di 260
euro annui sotto forma di “Premio di Risultato”. Ma i padroni
potranno scegliere di destinarli
al welfare integrativo o alla for-
mazione organizzata e funzionale all’azienda anziché metterli
in busta paga. Atteggiamento
molto più flessibile invece sulla
previdenza e sanità integrativa,
sulla formazione. I padroni sono
disposti a pagare anche parti di
quote adesso spettanti ai lavoratori. Appare evidente che in questo caso i soldi gli possono rientrare perché andranno ai privati,
oltretutto danneggiando la già
derelitta sanità pubblica.
I padroni vogliono anche il restringimento dei permessi sindacali, legati alla presenza sul lavoro, cioè meno giorni se ti ammali.
Un’altra riduzione dei diritti sin-
Senza vergogna e senza precedenti
Renzi a servizio della Ferrari
Il nuovo duce e il capofila dei manager italiani si scambiano sperticati elogi
“Grazie a Marchionne, che con
la quotazione della Ferrari ha inviato
un bellissimo messaggio all’Italia”.
“Grazie al premier Renzi per aver
trovato il tempo di venire qui nonostante un’agenda fitta di impegni”:
si sprecavano i ringraziamenti reciproci e gli elogi sperticati, il 4 gennaio davanti alla Borsa di Milano,
tra il nuovo duce Renzi e il capofila
dei manager italiani Marchionne,
convenuti insieme ai vertici della
Fca (ex Fiat), a battezzare il debutto della Ferrari in Piazza Affari.
La Ferrari è un mito nel mondo?
E io me lo intesto, si è detto Renzi,
sempre abilissimo a sponsorizzare
qualsiasi evento gli torni mediaticamente vantaggioso, che si tratti
di eventi sportivi, di spettacolo o
altro. Magari creandoseli egli stesso mettendo la firma finale a lavori
decisi da altri e da anni, come ha
fatto con l’Expo e, solo pochi giorni prima, con l’inaugurazione della variante di valico e i restauri di
Pompei. Con lo stesso opportunismo furbastro con cui si eclissa nel
pieno di vicende mediaticamente negative e “gufesche”, come
lo scandalo della Banca Etruria.
Anche la cerimonia dell’esordio
in Borsa della Ferrari si prestava
quindi alla perfezione per metterci sopra il cappello, e anche per
rinsaldare i suoi legami ferro con
Marchionne, intestandosi anzi il
merito, a dimostrazione di ciò, di
essere stato lui stesso a chiedere
all’amministratore delegato di Fca
di quotare la Ferrari anche in Italia,
quando a ottobre la casa di Maranello fu fatta debuttare alla Borsa
di New York.
Un favore che Marchionne gli
ha fatto volentieri e che non gli
costa nulla, visto che tanto la sede
legale della Ferrari è in Olanda e
le sue azioni ben piantate a Wall
Street, mentre Milano è solo una
piazza secondaria, più di rappresentanza che altro. Del resto Renzi
l’aveva già detto, con la solita aria
di sufficienza, in occasione del trasferimento della sede legale di Fca
nel Regno Unito e del suo centro
direzionale negli Stati Uniti, mentre
paga le tasse in Olanda: “Per me
non è importante dove si trova il
quartiere generale finanziario e
delle attività. Per me la cosa importante è mantenere il made in Italy.
Non è importante se a Wall Street
o a Amsterdam. Quello che è asso-
lutamente importante è l’aumento
dei posti di lavoro in Italia”. Che
poi si tratti di posti di lavoro a scadenza come le mozzarelle e senza
garanzie sindacali, mascherati da
posti a tempo indeterminato ma
pagati dalla collettività attraverso
gli sgravi fiscali del Jobs Act di cui
anche Marchionne si è valso a man
bassa, questo Renzi si è guardato
bene dal dirlo.
Basti pensare che Renzi non si
è nemmeno degnato di intervenire alle quotazioni in Borsa di due
tra le più importanti società pubbliche da lui stesso messe recentemente sul mercato, Fincantieri
e Poste Italiane, mentre ha voluto
presenziare a tutti i costi alla festa
di Marchionne, che si è portato la
Fiat oltreoceano, per capire di che
pasta è fatto il nuovo duce di Palazzo Chigi
D’altra parte Marchionne – che
avesse già deciso autonomamente
o no la quotazione di Ferrari a Piazza Affari - doveva pur ringraziarlo,
per il Jobs Act e i molti altri servigi
ricevuti dal suo amico premier, che
difatti non ha mancato da parte sua
di vantarsene, snocciolandoli uno
dietro l’altro dal podio: “L’agenda
politica del 2015 – ha detto infatti
il neoduce con sussiego – era fatta di articolo 18, di legge di Stabilità, di riforma costituzionale, di
abbassamento dell’Irap sul costo
del lavoro, dell’Imu, della Tasi, tutte questioni che non riguardano
più la politica perché sono state
affrontate. La politica deve fare
molto anche nel 2016, ma con la
consapevolezza che l’Italia c’è e
non deve aver paura del mondo.
Questo è il messaggio che ci deve
dare la quotazione Ferrari”.
Musica per le orecchie del capofila dei manager liberisti, antioperai e antisindacali italiani, che
riconoscendo nel nuovo duce il
realizzatore politico instancabile e indefesso della sua dottrina
economica e sindacale di stampo
mussoliniano, si è unito all’ovazione della platea intonando un sonoro “grazie a Renzi per quello che
sta facendo per l’Italia”! Un idillio,
quello tra il servo e il padrone Piazza Affari, senza vergogna e senza
precedenti, se non forse quello tra
Mussolini, Valletta e Agnelli durante le visite del duce del fascismo
alla Fiat.
dacali che persegue anche il governo nel settore pubblico. Sono
invece di manica larga quando
si tratta di dedicare tempo alla
“formazione” a loro carico perché così avranno uno strumento
in più per inculcare ai lavoratori
un atteggiamento collaborativo e
succube verso l’azienda.
Una “proposta organica” da
respingere in toto, senza la minima esitazione. Non vediamo
alcuna motivazione valida che
possa giustificare un’apertura
nei suoi confronti. Questo nuovo
modello contrattuale prevede lo
smantellamento del contratto nazionale collettivo di lavoro, ridotto
a debole cornice dentro la quale
ci stanno poche regole e i minimi
salariali di garanzia, mentre tutta
l’altra parte del reddito viene legata alla produttività aziendale,
stabilendo praticamente il blocco
dei salari esattamente come nel
pubblico impiego, mentre la parte
normativa potrà essere tranquillamente scavalcata attraverso le
deroghe previste dal citato Testo
Unico.
Un “nuovo” modello che non è
altro che la copia di quello di Marchionne imposto alla Fiat, che
prevede i lavoratori completamente a disposizione dell’azienda, sindacati collaborazionisti
pena l’espulsione dalla fabbrica,
diritti sindacali ridotti al lumicino,
previdenza e sanità aziendali,
supersfruttamento e turni massacranti, aumenti salariali solo a
fronte di quelli produttivi.
Ci saremmo aspettati da parte
della Fiom una chiara risposta di
fronte all’arroganza di Federmeccanica. Niente di tutto questo.
Il Comitato centrale della Fiom
svoltosi l’8 e il 9 gennaio non ha
giudicato irricevibile la proposta
padronale, tanto meno ha dato
avvio alla mobilitazione dei lavoratori per respingerlo com’era
lecito aspettarsi. Il documento
della segreteria ha ottenuto praticamente l’unanimità, 116 voti,
mentre nessuno ne ha ricevuto
quello di Bellavita (“il sindacato
è un’altra cosa”), che riteneva “la
proposta di Federmeccanica nel
suo complesso irricevibile”. Nel
documento votato si legge che il
Comitato centrale ritiene il nodo
salariale quello principale, perché
la proposta organica padronale
con i minimi garantiti escluderebbe la maggioranza dei lavoratori
dagli aumenti.
Ma il giudizio complessivo
“considera un primo risultato importante l’avvio di un tavolo unitario di negoziato fra i sindacati
metalmeccanici e Federmeccanica per ricostruire un rinnovato
contratto nazionale di lavoro”.
Una posizione inaccettabile che
lascia aperto il negoziato su queste basi e non chiede il ritiro della
“proposta organica” e allo stesso
tempo ribadisce la disponibilità
della Fiom al “rinnovamento” del
modello contrattuale voluto da
Confindustria.
Il Comitato centrale guidato
da Landini conferma l’abbandono da parte della Fiom di quel
ruolo che si era conquistata sul
campo, quale forza principale
di opposizione al modello Marchionne prendendo anche decisioni diverse dal resto della Cgil,
allineandosi alla segreteria generale e alla Camusso e di fatto
capitolando di fronte alle nuove
relazioni industriali e sindacali di
stampo mussoliniano messe in
pratica per primo dall’amministratore delegato di FCA.
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
GENNAIO
14
22
25
Usb-Nazionale –
Sciopero Vigili del Fuoco
Cobas pt-Cub-Usb – Sciopero lavoratori Poste
Italiane SpA
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Trasporto
Aereo – Sciopero del personale Enav SpA,
Alitalia Sai SpA, Aeroporti di Roma SpA,
Consulta, WFS Ground Italy, Aviation Services,
Aviapartner Handling - Personale non Dirigente
FEBBRAIO
12
Usb-Lavoro Privato – Sciopero personale
Trasporto Aereo, Gruppo Meridiana Fly Esclusione personale Meridiana Maintenance
interni / il bolscevico 3
N. 3 - 21 gennaio 2016
In cambio di appalti, assunzioni e favori
A Quarto la camorra
ha
votato
il
M5S
La corruzione è connaturata al sistema capitalista e alle istituzioni parlamentari borghese
I vertici del M5S hanno coperto il criminale patto con il clan polverino
Meno di un anno fa, nel maggio 2015, in occasione della
campagna elettorale per le comunali, i boss politici del M5S,
Roberto Fico (presidente della
Commissione di Vigilanza Rai)
e Luigi Di Maio (vicepresidente della Camera) che proprio in
Campania hanno il loro feudo
elettorale, coniarono addirittura
lo slogan “liberiamo Quarto dalla
camorra” per ingannare le masse popolari e carpire il loro voto
a sotegno della candidata pentastellata Rosa Capuozzo che
vinse le elezioni con il 70,7 per
cento dei voti validi sia pure su
una percentuale di votanti di appena il 43,79%.
Una vittoria che oggi, alla
luce degli sviluppi giudiziari, appare a dir poco inquietante in
quanto è stata ottenuta coi voti
determinanti raccattati dal consigliere grillino in odore di camorra, Giovanni De Robbio, che ha
fatto il pieno di preferenze grazie
ai suoi accordi con la camorra.
Non a caso il comune di Quarto
è stato sciolto per ben due volte per infiltrazioni camorristiche
nel 1992 e nel 2013 e tutti sanno
che il clan dei Polverino controlla in modo capillare tutto il territorio ed è in grado di condizionare pesantemente perfino l’esito
delle elezioni. Ciononostante,
Grillo, Casaleggio, Fico, Di Battista e Di Maio esultavano per
la “straordinaria vittoria ottenuta
nel primo Comune a cinque stelle in Campania” e promettevano
“cinque anni incredibili dove l’onestà finalmente, in un Comune
sciolto per irifiltrazioni camorristiche, entra dalla porta principale insieme a tutti i cittadini di
Quarto. Oggi il Comune diventa
di tutti, farà l’interesse della cittadinanza e non più dei privati e
dei malavitosi”.
Nel giro di soli sette mesi la
realtà che si presenta davanti alle masse popolari di Quarto
è ben diversa. Dal 23 dicembre
De Robbio è ufficialmente indagato per voto di scambio e tentata estorsione nei confronti della
stessa Capuozzo con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo gli inquirenti il recordman
di preferenze grillino, in cambio
dei voti per essere eletto in consiglio comunale, ha promesso
all’imprenditore in odore di camorra, Alfonso Cesarano, legato a doppio filo al clan Polverino,
la gestione del campo sportivo
comunale e un contatto costante e diretto con l’amministrazione comunale per eventuali altri
Da sinistra: Giovanni De Robbio, Roberto Fico, Rosa Capuozzo, Luigi Di Maio in un bar di Quarto durante la recente campagna elettorale
favori, appalti e utilità fra cui la
promessa di assumere in Comune il figlio del boss piddino Mario Ferro, (anche lui indagato) e
ottenere la nomina del geometra
Giulio Intemerato a consulente
del Comune per i condoni edilizi.
Agli atti dell’inchiesta ci sono
anche alcune intercettazioni da
cui emerge in maniera inequivocabile il mericimonio fra esponenti del M5S e il clan Cesarano.
“Comincia a chiamarlo. Ha
preso 890 voti, è il primo degli
eletti. Noi ci siamo messi con
chi vince, capito?” intima per
telefono il primo giugno 2015
Cesarano, titolare fra l’altro
delle pompe funebri utilizzate
per il funerale dei Casamonica
a Roma. “Si deve portare a vo-
tare chiunque esso sia, anche
le vecchie di ottant’anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle – insiste Cesarano
- L’assessore glielo diamo noi
praticamente. E lui ci deve dare
quello che noi abbiamo detto
che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come
lo abbiamo fatto salire così lo
facciamo cadere”.
Pressato dal suo padrino politico, De Robbio comincia a ricattare la Capuozzo mostrandole la
foto aerea di un abuso edilizio
relativo all’abitazione ereditata
dal marito, dove la coppia vive.
“Agli inizi di ottobre - ha cercato di giustificarsi la Capuozzo davanti agli inquirenti - il De
Robbio venne da me a casa, mi
mostrò una foto aerea di casa
mia che aveva sul cellulare. Lo
stesso mi disse che c’era un
problema urbanistico riguardante la mia abitazione ma che dovevo essere meno aggressiva,
non dovevo scalciare, dovevo
essere più tranquilla con il territorio”.
Un ricatto in perfetto stile mafioso teso a condizionare l’approvazione del Piano urbanistico comunale e le decisioni
della giunta sulla gestione dello stadio cittadino e le nomine
dell’assessore ai cimiteri e all’urbanistica. Un ricatto di cui la Capuozzo dice di aver informato
ripetutamente i massimi vertici del M5S, primi fra tutti i boss
campani Fico e Di Maio, che invece di intervenire e denunciare
il mercimonio invitano la sindaca ad “Andare avanti e di lavorare tranquillamente”. Per quasi
un mese Grillo e il direttorio pentastellato cercano di insabbiare
lo scandalo e difendono a spada
tratta la Capuozzo tant’è che in
un post del 6 gennaio affermano
fra l’altro: “I voti raccolti dall’ex
consigliere non sono stati determinanti e l’indagato è già stato
espulso”. Ma nel giro di una settimana, di fronte all’indignazione
della base e all’incalzare dell’inchiesta, Grillo e il vertice M5S
sono costretti a una rocambolosca marcia indietro decretando
l’espulsione della Capuozzo dal
Movimento che però a stretto
giro di posta ha già fatto sapere
di non avere nessuna intenzione, insieme ai suoi consiglieri, di
mollare la poltrona.
Tutto ciò mentre sullo sfondo
imperversa la guerra per bande e lo scambio di accuse fra il
M5S e il PD a chi è più corrotto
e compromesso con la mafia. La
contesa riguarda l’ex consigliere del PD Ferro che teneva in
contatti fra il M5S De Robbio e
Cesarano. Secondo gli inquirenti l’imprenditore in un primo momento aveva rivolto la sua attenzione sul candidato piddino. Ma
poi in seguito alla pronuncia del
Consiglio di Stato che ha escluso la lista PD dalle comunali del
31 maggio scorso, Cesarano e il
clan Polverino decidono di cambiare cavallo e scelgono il Movimento 5 Stelle.
Ciò conferma che le istituzioni rappresentative borghesi, centrale e locali, sono irriformabili, sono esse stesse fonti
di corruzione e del dilagare del
potere mafioso; mentre a tirare
le fila sono sempre i soliti potentati economici e mafiosi indipendentemente da chi va al governo. I fatti confermano che anche
il M5S che doveva essere il partito della legalità e della trasparenza non appena ha messo
piede dentro le istituzioni è finito
nel pantano di mafiopoli. Esattamente come l’ex PCI revisionista ora trasformatosi nel PD di
Renzi, che allora si vantava di
essere il partito dalle “mani pulite” e ora è finito per diventare il
partito dei tangentisti, dei corrotti
e dei mafiosi.
Il delegato aveva contestato i diktat aziendali durante la trattativa per l’integrativo
Il colosso Usa Lyondell licenzia delegato Cgil
Luca Fiorini, 52 anni, delegato Filctem Cgil nella Rsu della multinazionale della chimica
LyondellBasell di Ferrara, è stato licenziato lunedì 4 gennaio
dall’azienda, con la motivazione
di “violenza sul posto di lavoro”;
secondo l’accusa, avrebbe spintonato un dirigente nel corso di
una trattativa per il contratto integrativo tra Rsu e direzione nel
dicembre scorso.
“Io sono stato licenziato proprio mentre discutevamo, senza
riuscire a metterci d’accordo, su
una clausola di salvaguardia per
gli esuberi: secondo noi il lavoratore deve poter accedere a tut-
Scioperi e assemblee di protesta
te le posizioni aperte, pur di conservare il posto, mentre la Basell
vuole conservarsi la possibilità di
concedere o no il ricollocamento a sua discrezione”, afferma
Fiorini. “Eravamo da due giorni
in trattativa, ci hanno dato degli
‘inaffidabili’ e ‘irresponsabili’, ci
hanno accusato di voler far perdere tempo a loro e ai loro avvocati, mentre noi cercavamo di
salvare dei posti di lavoro”.
Questo atteggiamento nasconde, secondo il segretario
generale della Filctem Emilio
Miceli un preciso “disegno politico che l’azienda ha in mente”,
vale a dire quello di “sostituirsi al
sindacato ed escluderlo dai confronti”. O forse, più precisamente, quello mutuato dalla politica
arrogante, antioperaia e antipopolare del governo del nuovo
duce Renzi, della contrattazione inesistente che, cioè, scavalca a piè pari il sindacato stesso
e calpesta ogni diritto sindacale,
salvaguardando i profitti. E così
si inventa l’aggressione, si monta la provocazione per licenziare chi si oppone al diktat padronale.
Il metodo, denuncia Miceli
“è simile a quello degli anni ’50,
quando si licenziavano i sindacalisti per poi liberarsi dei dipen-
denti”. Usato largamente anche
negli anni ‘70 dalla stessa Fiat di
Agnelli per isolare gli operai più
avanzati e i sindacalisti incorruttibili.
La LyondellBasell, multinazionale Usa della chimica, a
Ferrara ha un importante centro ricerca e produzione con 860
dipendenti; “un gruppo che nel
mondo l’anno scorso ha fatturato 45 miliardi di dollari, 8 dei quali di guadagno. E che si vanta di
essere quello che tra i suoi competitor – dalla Dow alla Basf – distribuisce più utili”, afferma il sindacalista. Ma proprio per questo
vuole le mani libere per gestire i
profitti e licenziare senza vincoli
i lavoratori. Infatti, a dimostrazione della sua politica antioperaia
poche settimane prima ha dato il
benservito a due lavoratrici. “La
nostra protesta, continua Fiorini, li ha obbligati a revocare la
misura, e hanno dovuto trovare
per loro un posto consono, mentre all’inizio avevano proposto
un contratto a termine con una
perdita netta di livello. È la dimostrazione che la nostra clausola è sensata, e che si può applicare: ma questa sconfitta deve
aver bruciato nel momento in cui
chiedevamo di metterla nero su
bianco nell’integrativo”.
Nel comunicato delle Segreterie regionali di CGIL, CISL e UIL
Emilia Romagna del 4 gennaio
si legge: “Quanto sta accadendo alla Basell è indegno ed inaccettabile. Licenziare un delegato
sindacale,strumentalizzando un
diverbio nel corso del negoziato
sull’integrativo aziendale, palesa la reale volontà dell’azienda
di colpire le agibilità sindacali”.
E conclude: “La vicenda di Luca
non può essere derubricata a
una questione personale, ma
deve essere assunta come una
questione generale che riguarda
il rispetto della dignità di chi lavora, il diritto di contrattare, il diritto di agire sindacalmente. Le
Segreterie CGIL CISL UIL Emilia Romagna sostengono e sosterranno tutte le iniziative che
verranno decise per far recidere Basell da una posizione inaccettabile e contro le libertà sindacali”.
Il sindacato, dopo l’affollatissima assemblea del 7 gennaio
degli operai della Lyondell chiede che il provvedimento di licenziamento di Luca Fiorini venga
immediatamente revocato da
Basell, anche se questa, almeno per ora, rifiuta di annullare il
provvedimento.
Il 14 gennaio si conclude una
prima fase di scioperi, poi si terranno delle assemblee di tutti i lavoratori. Per il 20 gennaio
è previsto un nuovo sciopero di
quattro ore di tutto il petrolchimico.
4 il bolscevico / governo renzi
N. 3 - 21 gennaio 2016
Inquinamento urbano. Il ministro dell’Ambiente Galletti presenta un piano contro l’inquinamento
che prevede poche misure non vincolanti per i sindaci. Critiche dal mondo ambientalista
Palliativi del governo Renzi
contro lo smog
Occorre puntare su una diversa mobilità urbana pubblico e collettivo unito all’utilizzo di fonti
rinnovabili per i riscaldamenti domestici
Il mese di dicembre del 2015
sarà ricordato, fra gli altri scempi economici, legislativi e sociali,
anche per il record di inquinamento toccato da molte grandi città
del nostro Paese, in primis Milano, Roma e Napoli. E anche questa volta si sono dovute attendere
le piogge per abbassare gli altissimi livelli di concentrazione di polveri sottili toccati. Blocchi parziali
della circolazione, prima, e blocchi totali poi, si sono rivelati ancora una volta tardivi e inefficaci.
Milano, dopo 33 giorni consecutivi di sforamento dei limiti consentiti di Pm10 (50 microgrammi al metro cubo) ha deciso
di imporre una tre giorni straordinaria di blocco del traffico per 6
ore quotidiane, anche se solo 13
comuni su 120 dell’area metropolitana però hanno risposto all’appello. Addirittura a Roma il prefetto Francesco Paolo Tronca si è
limitato a emettere una mezza ordinanza per le targhe alterne. Un
provvedimento che ha già rivelato la sua inefficacia lo scorso autunno, utilizzato nella capitale per
ben sei giornate.
Il centro della questione però
è che i livelli dei veleni da polveri sottili che oggi vengono considerati come “situazione di smog
straordinaria”, più o meno approssimativamente, sono diventati la norma.
Un po’ di cifre aiutano a capire quanto fiato è stato sprecato dai
governanti borghesi, nei decenni, sul presunto “allarme smog”.
Prendendo ad esempio Milano,
quest’anno sono stati superati i limiti per oltre 100 giorni, ed erano
stati 68 nel precedente anno particolarmente piovoso, 81 nel 2013,
104 nel 2012, 129 nel 2011, 128
nel 2007, 145 nel 2006, 151 nel
2003 e 162 nel 2002. È utile sapere che la normativa prevede che
i superamenti non possano essere
più di 35 nell’arco dell’anno, anche se per la salute pubblica questo
limite di “sforamento dei limiti”,
pare una concessione inadeguata e strumentale che dovrebbe invece tendere allo zero. Si soffoca
dunque, con tragica regolarità. È
noto che Milano e la pianura padana sono da sempre tra i luoghi
più inquinati d’Europa, anche per
colpa delle auto, dell’industria inquinante e di una mobilità insostenibile a livello strutturale.
Le responsabilità
del governo Renzi
L’avvio dell’offensiva propagandistica renziana era iniziato
proprio con la cerimonia di chiusura dell’Expo milanese. Ben ricordiamo quando alla cerimonia
di chiusura dell’Expo milanese, Renzi attraverso fiumi di retorica ha tentato di convincere il
Paese che la capitale economica dell’Italia era stata rivitalizzata dal “grande evento” e che non
rimaneva altro che cogliere i frutti degli investimenti e del lavoro
svolto. In realtà, quattordici miliardi di euro sono stati gettati al
vento senza aver programmato
nessuna innovazione nel sistema
dei trasporti pubblici di Milano.
Cento ettari di territorio agricolo
coperti di cemento e asfalto, che
hanno alterato ulteriormente il bilancio ambientale della città, rimangono l’altra eredità della manifestazione.
Tutti i suoi atti da premier non
hanno minimamente scalfito la
questione urbana e anche l’ultima legge di stabilità ha dimenticato di sostenere le città nelle loro
immense problematiche logistiche. Nel provvedimento è stata anche ripristinata la possibilità per tutti i comuni di pagare la
spesa corrente attraverso gli oneri
di urbanizzazione; Renzi dunque
ha “cambiato verso” ripristinando
il dominio della speculazione immobiliare, riuscendo a fare addirittura peggio del governo del tecnocrate Monti che aveva sospeso
la misura.
Per tutti questi motivi non regge la linea autoassolutoria del governo che se la prende unicamente con la siccità eccezionale e le
avverse condizioni metereologiche. Sono anni che proprio per attenuare gli effetti del cambiamento climatico, diversi specialisti ed
economisti chiedono di porre in
essere una politica organica e sostenibile per le città.
Il protocollo
governo-regioni
Presso il ministero dell’Ambiente, il 30 dicembre è stato siglato un protocollo sottoscritto
dal ministro Gian Luca Galletti,
dal presidente della Conferenza
delle Regioni Stefano Bonaccini
e dal presidente dell’Anci Piero
Fassino. Per gli osservanti filo governativi che ci credono, questo è
il decalogo anti inquinamento che
prevede “misure d’urgenza” omogenee che scatteranno al settimo
giorno di superamento delle soglie in ogni città.
Buoni propositi e briciole di
stanziamenti a parte, la sostanza
è questa: dopo sette giorni di veleni verrà abbassato di due gradi
il riscaldamento delle abitazioni
e degli uffici e verranno ridotti a
30 km orari i limiti di velocità delle automobili. In più, ci saranno
sconti sui biglietti dell’autobus. Il
primo punto sembra una conclusione del tutto demagogica e parimenti irrealizzabile; basti pensare allo stesso provvedimento e al
suo completo fallimento dell’allora sindaco di Milano Moratti che
nel 2011 propose una misura analoga. Provvedimento fallito per la
sostanziale impossibilità di controlli su larga scala e per le diverse peculiarità delle esposizioni dei
singoli appartamenti in condomini a riscaldamento centralizzato.
Da sottolineare inoltre il fatto
che nessuna legge dispone queste seppur blande ed insufficienti misure, poiché la titolarità delle
decisioni resta in capo ai sindaci
che possono anche non fare nulla. Ad alleggerire questa mancan-
Lo smog che soffocava Milano, zona Porta Nuova, il 23 dicembre scorso
za fondamentale, è stato costituito
il Comitato di coordinamento ambientale, composto da alcuni sindaci delle città metropolitane ed
altri presidenti di Regione; organismo confuso, dall’esito pratico
incerto.
Il protocollo prevede anche
una serie dei soliti provvedimenti sul lungo periodo più volte annunciati e sempre disattesi nella sostanza quali l’incremento
dell’efficienza energetica agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il rinnovo dei
mezzi pubblici, la promozione di
una rete di ricarica che supporti la
riconversione elettrica delle automobili, il potenziamento di bike e
car sharing e delle piste ciclabili.
Ancora in ballo i soliti incentivi
per la rottamazione delle vecchie
auto, come se incrementare quel
mercato non volesse dire confermare una strategia inquinante iniziata nel secolo scorso che ha
avuto il solo risultato di far fare
profitti milionari alle case produttrici dell’industria automobilistica
in primo luogo alla Fiat. I recenti scandali sulle emissioni riguardanti la Volkswagen e poi allargatisi ad altre case automobilistiche
sono testimonianza viva dell’impossibilità di conciliare tali misure col sistema di produzione capitalistico e le sue dinamiche.
Per quanto riguarda i finanziamenti, arrivano solo spiccioli e
perfino spalmati su tre anni. Vale
la pena ricordare che la Legge di
Stabilità 2016 appena varata prevede un fondo di appena 450 milioni di euro di investimenti al riguardo mentre destina 4 miliardi
di euro di sussidi all’autotrasporto e per gli investimenti in strade
e autostrade. Lo hanno denunciato anche i Verdi: “La riunione ha
partorito il nulla, il ministro farebbe meglio a dimettersi. Uno
stanziamento di 12 milioni è offensivo, si tratta di una cifra che
equivale al costo di un chilometro
di autostrada. L’Italia ha bisogno
di provvedimenti strutturali che si
possono adottare solo con scelte
economiche e strutturali”. Secondo altri esperti, un finanziamento
sensato avrebbe dovuto ammontare a 12 miliardi di euro, e non milioni come elargito dal governo.
La posizione del PMLI
La questione dell’inquinamento ambientale e soprattutto delle grandi città ripropone in maniera vergognosa l’opportunismo
dei governi centrali e locali che se
ne ricordano solo a scopo elettoralistico. La concentrazione delle polveri sottili nelle città è questione strutturale poiché i centri
maggiori come Milano, Roma e
Napoli sono circondati da anelli autostradali con conseguente
concentrazione di polveri sottili e
nanopolveri; non va tanto meglio
alle altre città toccate in gran parte da vie autostradali come Firenze ad esempio, e questo fenomeno
si riproporrà fino a quando il tema
dei trasporti non sarà affrontato in
maniera radicale. A poco servono
isolati blocchi del traffico, totali o
parziali che siano, poiché rappresentano solo palliativi e non risolvono il nocciolo del problema.
Ormai è chiaro che la mobilità in
generale, ed in particolare quella
cittadina, deve avere risposte collettive e pubbliche e non private
e individuali.
La situazione in Italia è ancora
più drammatica che altrove. Il nostro Paese nel 2012 ha registrato
84.400 decessi di questo tipo, su
un totale di 491mila a livello Ue.
In Italia l’epicentro dell’ecatombe
si trova proprio nella pianura padana e in particolare nelle aree in-
torno a Torino, Milano, Monza e
Brescia che superano ampiamente
il già generoso limite della Ue.
Il governo Renzi non ha adottato alcuna politica lungimirante
sulla questione energetica, dei trasporti di persone e merci. A fianco
alla questione trasporti, è presente
la poca consistenza degli incentivi per l’efficentazione dei riscaldamenti domestici e degli altri
miglioramenti residenziali, che
fino ad oggi hanno avvantaggiato
in maniera massiccia i palazzinari sulle nuove costruzioni e poco
più nell’ambito delle ristrutturazioni, lasciando intatte per fare un
esempio concreto, le problematiche energetiche insite nei condomini che rappresentano a livello
nazionali circa il 50% della forma
residenziale.
Sul versante della mobilità poi
rimane da aggiungere che, nonostante a livello europeo siamo di
fronte ad un piccolo “boom” della
mobilità elettrica, l’Italia pare non
prendere in considerazione questa
opportunità, nonostante i proclami per l’installazione di nuove colonnine di ricarica nei centri cittadini. Oggi gli incentivi in Italia
sono di appena 1,5 milioni di euro
all’anno, mentre in Francia arrivano a 60 milioni, contro il massimo
dei 250 in Norvegia; sarà forse
per questo che a fronte di un’auto elettrica su quattro in Norvegia,
in Italia siamo alla cifra ridicola
di 3.500 auto totali pari allo 0,1%
delle vendite?
Sul come risolvere la questione, condividiamo in parte le misure proposte da Legambiente
e dai Verdi anche se non possiamo trovarci d’accordo totalmente su alcune misure, né sull’assoluta mancanza di riferimenti alla
gestione pubblica dei servizi fondamentali, in primis dei trasporti.
Nei provvedimenti proposti non
c’è poi traccia di alcuna forma di
pagamento, tasse o di sgravi fiscali che sia rapportata al reddito; questione secondo noi fondamentale.
Non condividiamo ad esempio
la proposta del limite di velocità
abbassato a 30km orari nei centri
abitati poiché, oltre a tutte le altre difficoltà insite nel muoversi in città con questi limiti, se da
un lato è vero che teoricamente a
bassa velocità le emissioni diminuiscono, dall’altro aumenterebbero i già numerosi ingorghi le
cui conseguenze saranno altrettanti “stop and go” che invece risultano più inquinanti del normale
procedere.
Ci pare generica la misura dal
titolo “Fuori i diesel dalle città”
che vuol limitare immediatamente
la totale circolazione in ambito urbano dei veicoli diesel anche per
i residenti, pur in assenza di un
modello efficace di trasporto pubblico urbano su rotaia o elettrico.
Ben venga realizzata in futuro la
totalità della proposta ma al momento sarebbe probabilmente più
opportuno prevedere per i residenti del centro che non possono
permettersi una mobilità privata
alternativa, ulteriori finanziamenti pubblici da elargire in base alle
varie fasce di reddito per la sostituzione dei mezzi inquinanti con
mezzi elettrici e non inquinanti.
Condividiamo il principio
“chi inquina deve pagare” e siamo sostanzialmente d’accordo per
l’estensione delle linee generali
proposte in coro dalle associazioni
ambientaliste che vorrebbero estesa da una disposizione nazionale
la normativa d’ingresso alle grandi città i cui ricavi siano interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale.
Non possiamo però condividere la scelta del modello individuato nell’Area C milanese, un
accesso a pagamento dei veicoli
inquinanti in una vasta area ZTL
del centro urbano, con particolari esenzioni ai mezzi di servizio
pubblico, merci e simili, e con
piccole agevolazioni ai residenti, soprattutto per gli sviluppi negli anni del provvedimento, dalla sua istituzione ad oggi. Pisapia
aveva annunciato che il dazio per
l’ingresso al centro sarebbe servito oltre che per diminuire l’inquinamento, per scongiurare futuri aumenti di costo dei biglietti;
in realtà nel settembre 2013 Milano ha subito l’ennesimo aumento delle tariffe che ha colpito principalmente le fasce più deboli, a
partire dagli anziani poiché per gli
“over 65” con reddito Isee superiore a 20mila euro l’abbonamento è di fatto raddoppiato.
Al di là delle limitazioni del
traffico, ogni misura dovrebbe essere necessariamente basata su tariffe in base al reddito, prevedendo l’esenzione per le fasce più
basse ed un pagamento superiore ai 5 euro per giornata standard
per i redditi più alti. A parte pubblichiamo le proposte del PMLI
contro smog e inquinamento.
governo renzi / il bolscevico 5
N. 3 - 21 gennaio 2016
Una quinta è morta per complicazioni durante il parto in casa
Quattro donne
muoiono di parto in ospedale
Gli ultimi giorni dell’anno appena trascorso sono stati tragici
per la sanità italiana, in modo particolare per le partorienti.
Il 25 dicembre infatti è morta all’ospedale di San Bonifacio,
in provincia di Verona, la trentaquattrenne Anna Massignan mentre si stava sottoponendo a un parto cesareo, e il neonato è deceduto
subito dopo la nascita in un altro
ospedale.
Il giorno successivo, il 26 dicembre, all’ospedale Sant’Anna di Torino subiva la stessa sorte la trentanovenne Angela Nesta,
morta per arresto cardiocircolatorio in sala parto dopo che, incinta
di nove mesi, aveva partorito una
bambina morta prima di nascere.
Il 29 dicembre sono morte addirittura due donne per problemi
legati alla gravidanza: la trentacinquenne veneta Marta Lazzarin –
che, ricoverata all’ospedale di Bassano del Grappa al settimo mese di
gravidanza con dolori addominali e febbre alta, è entrata in coma
dopo un arresto cardiocircolatorio
durante il travaglio per espellere il
feto già morto da un paio di giorni
– e la ventitreenne pugliese Giusy
Coda che, incinta di nove mesi, è
morta a casa sua a Foggia per complicazioni dovute al parto e inutili
sono stati tutti i tentativi di rianimarla, ma almeno in questo caso
un cesareo effettuato agli Ospedali Riuniti di Foggia sul corpo della donna ha potuto far nascere una
bambina in buone condizioni.
Infine il 31 dicembre alla sala
parto degli Spedali Civili di Bre-
Sanita’ di Renzi e Lorenzin assassina
scia cessava di vivere la trentenne Giovanna Lazzari insieme al
bambino di cui era incinta da otto
mesi.
Insomma nel XXI secolo in Italia e soprattutto nel ricco e tecnologico nord si muore ancora di parto soprattutto si muore per le gravi
carenze della sanità pubblica.
Non possiamo credere a una
“drammatica casualità” così etichettata dal ministro della Salute
Beatrice Lorenzin, commentando
i tragici fatti e inviando ispettori
ministeriali negli ospedali coinvolti, bensì una drammatica conseguenza dei criminali e reiterati tagli alla sanità attuati, ultimi
dei quali frutto del decreto legge
n. 78/2015 convertito in legge 6
agosto 2015 n. 125. Forse qualcuna di queste cinque donne si
sarebbe potuta salvare se avesse
fatto gli opportuni esami, anche
a scopo cautelativo, e se esistesse
una rete funzionante e diffusa di
consultori per assistere adeguatamente le donne in gravidanza invece che la loro chiusura come
previsto per legge dalla Sanità
assassina di Renzi-Lorenzin.
E che la politica dei tagli mette
a rischio, tra l’altro, anche la vita
delle partorienti lo dice autorevolmente in un’intervista all’ANSA
la dott.ssa Serena Donati, responsabile del Sistema Sorveglianza
Mortalità Materna dell’Istituto Superiore di Sanità, la quale ha affermato che “ogni anno si stima che
circa 50 donne muoiano di parto
in Italia, un dato medio-basso se
confrontato con altri Paesi europei
ma che potrebbe essere dimezzato,
anche se non azzerato”, e potrebbe
esserlo, aggiunge l’esperta, attraverso una migliore assistenza medica e psicologica alle donne durante la gravidanza e una migliore
organizzazione durante i parti: infatti, relativamente ai decessi registrati attraverso il sistema di sorveglianza attiva, i dati disponibili
sono quelli relativi a 6 regioni italiane prese come campione (Sicilia, Campania, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte),
dove, nel 2013 e 2014, sono stati
contati 39 morti in occasione del
parto. L’emorragia che interviene
dopo il parto - continua la dott.ssa
Donati - è la prima causa e copre il
52% dei decessi, mentre i disordini ipertensivi durante la gravidanza è responsabile del 19% delle
morti, cui seguono le tromboembolie che rappresentano il 10%,
e anche una banale influenza può
risultare letale a una donna che si
trova in una fase delicatissima della vita come la gravidanza, come
testimoniano le 4 donne decedute
per tale causa. L’esperta dell’Istituto Superiore di Sanità conclude
poi che tra i fattori di rischio per
le partorienti vi sono “l’aumento dell’età materna, le condizioni
di deprivazione sociale e il basso livello di istruzione, così come
l’utilizzo del taglio cesareo laddove non necessario”. È chiaro quindi che una sanità pubblica degna
di questo nome deve ottimizzare
la vita dei pazienti, tra cui le donne in gravidanza e le partorienti,
erogando tutte le prestazioni og-
gettivamente necessarie al benessere psicofisico del paziente.
Senza alcun dubbio le responsabilità di queste 5 morti ricadono
sul nuovo duce Renzi e la sua mi-
nistra Lorenzin che hanno ridotto
la sanità pubblica a un colabrodo cancellando anni di conquiste
delle masse popolari e femminili soprattutto per quanto riguarda
i consultori e l’assistenza gratuita in gravidanza e nel parto, mentre preferisce investire miliardi di
euro per le sue fregole imperialiste
guerrafondaie.
Catania. Un’eloquente immagine delle pessime condizioni in cui versa il reparto maternità dell’ospedale
Cannizzaro (foto postata su Internet da un gruppo di mamme a corredo di una denuncia)
Le proposte del PMLI
contro lo smog
Il PMLI per ridurre fortemente fino ad eliminare lo smog dalle
città, propone
Trasporti Urbani
- Abrogare le privatizzazioni
già attuate o in atto. Ripubblicizzare il servizio di trasporto pubblico.
- Piani di sviluppo e di ammodernamento del trasporto pubblico urbano ed extraurbano nelle
città principalmente basato su metropolitane, tram e di bus elettrici
e a metano a basso tasso d’inquinamento. Rinnovo totale del parco mezzi pubblici urbani..
- Un serio Piano nazionale antismog al quale devono essere
vincolate da subito almeno il 50%
delle risorse per le infrastrutture,
da destinare alle città con obiettivi tangibili fissati per giungere a
ridurre gli spostamenti individuali motorizzati al di sotto del 70%
del totale entro 8 anni. Al momento i disservizi, l’affollamento dei
convogli e il forte disagio per chi
viaggia, porta sempre più persone
a scegliere l’auto per gli spostamenti casa-lavoro.
- Chiudere i centri cittadini al
traffico privato di autovetture inquinanti, salvo che per i residenti, per le attività di carico e scarico merci, e per gli altri mezzi
di pubblica utilità nell’attesa del
rinnovo completo del parco mezzi pubblici urbani. Prevedere con
una disposizione nazionale regolamenti di accesso ai centri urbani delle grandi città di mezzi inquinanti con le tariffe basate sul
reddito fino all’esenzione per le
fasce più basse, i cui ricavi siano interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale. Chi inquina deve
pagare ed i più ricchi devono pagare di più.
- Potenziare gli orari, le frequenze, le linee e le vetture dei
bus e delle metropolitane per
fronteggiare adeguatamente le
esigenze di mobilità e collegare le
zone periferiche tra di loro e con
il centro città.
- Trasporti pubblici urbani ed
extraurbani su gomma e su rotaia
gratuiti per i disabili, i pensionati
poveri, i disoccupati e per spostamenti di lavoro e di studio.
- Favorire con incentivi economici doppi rispetto a quelli attua-
li e sottraendoli ai contributi per
prodotti e derivati da fonti fossili, la diffusione di bici, motorini e
motociclette elettriche, aumentando considerevolmente le postazioni di ricarica nei centri urbani.
- Stop ai sussidi all’autotrasporto per migliorare il trasporto
pubblico locale. Dal 2000 al 2015
sono stati dati circa 400 milioni in
media l’anno all’autotrasporto e
anche per il 2016 gli aiuti diretti
e indiretti saranno pari a 250 milioni di euro. In 15 anni sono stati erogati dallo Stato al trasporto
merci su gomma oltre 6 miliardi
di euro. Chiediamo che tali risorse siano, al contrario, destinate ad
incrementare e migliorare il trasporto pubblico locale e il servizio per i cittadini.
- Nuovi controlli sulle emissioni reali delle auto. Applicare immediatamente i nuovi criteri di prova di omologazione per i
veicoli immessi sul mercato, con
verifica su strada e dichiarazione obbligatoria dei risultati reali
di consumo e di inquinamento risultanti.
- Potenziare, o costruire ex-novo, parcheggi pubblici scambiatori gratuiti, o a prezzi popolari, pri-
vilegiando quelli in sottosuolo e
in elevazione, presso le vie di penetrazione delle città e nei centri
cittadini solo per i residenti, con
adiacente il servizio di trasporto
pubblico.
- Realizzare nelle grandi città nuove corsie ciclabili lungo le
principali direttrici di mobilità
all’interno dell’area urbana che
consentano spostamenti in bici
sicuri ed efficienti e costituiscano una valida alternativa all’uso
dell’auto privata. prevedere un
servizio comunale per l’affitto di
biciclette a prezzi popolari.
- Predisporre piani locali per
la mobilità condivisa: car pooling, car sharing, bike sharing e
Uber (iniziative che comportano
la condivisione e l’uso comune di
auto e bici)
Inquinamento
Urbano
- Installare in tutte le città, da
parte dei comuni, un capillare sistema di rilevamento e di monitoraggio dell’inquinamento dell’aria
(polveri, piombo, benzene, ecc.).
- Riscaldarsi senza inquinare. Vietare l’uso di combustibili
fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici
a partire dalla prossima stagione
autunnale. Obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini in tutta Italia a
partire dalla prossima stagione di
riscaldamento.
- Rendere strutturale e definitivo il provvedimento per le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni
edilizie per l’efficientamento energetico per riammodernare tutto il
patrimonio edilizio italiano. La
percentuale delle detrazioni deve
essere calcolata in base al reddito
fino alla copertura del 90% per le
fasce più basse o per i senza reddito. Di contro obbligatorietà di
adeguamento degli immobili di
proprietà senza alcun contributo
per i redditi più alti. Adeguamento energetico obbligatorio per tutti
gli immobili pubblici.
- Ridurre l’inquinamento industriale urbano. Allontanare dai centri abitati gli impianti
ad alto rischio di inquinamento
e di esplosione. Eliminare l’inquinamento industriale che coinvolge ben sei milioni di persone,
da Trieste a Taranto. Applicare il
principio chi inquina paga e realizzare le bonifiche.
- Le autorizzazioni integrate
ambientali (AIA) dovranno essere rigorose con controlli e monitoraggi in continuo degli inquinanti
a partire dalle diossine. Il personale e le strumentazioni di controllo delle Arpa ( agenzie regionali protezioni ambiente) vanno
potenziati attraverso l’inserimento di membri dell’associazionismo ambientalista, a partire dagli
stessi comitati locali che da sempre si battono contro queste fonti
d’inquinamento.
- Introdurre nel contratto di lavoro pubblico e privato il bonus
trasporti per chi lascia la macchina a casa e usa i mezzi pubblici,
mobilità sostenibile o condivisa.
- Piano per la realizzazione di
nuovi boschi urbani nelle città italiane in aree dismesse da recuperare.
- Applicare un’apposita tassa
a carico di chi produce e acquista prodotti energetici altamente
inquinanti (come quelli di origine fossile); anche come forma incentivante a usare quelli più ecologici.
6 il bolscevico / elezioni amministrative 2016
N. 3 - 21 gennaio 2016
Tappezzando i muri di manifesti con il suo faccione come un qualsiasi politicante borghese
L’arcirevisionista Marco Rizzo
candidato sindaco a Torino
I media borghesi fanno a gara per incensare la sua candidatura
‡‡Dal Responsabile del PMLI
per il Piemonte
Lo scorso 13 novembre Marco
Rizzo ha presentato ufficialmente
la propria candidatura alla carica
di sindaco della città di Torino.
“Fai la cosa giusta”, ecco lo slogan che l’arcirevisionista ha adottato per la sua campagna elettorale. In una pomposa conferenza
stampa, conferenza a cui i media
asserviti al sistema borghese
hanno dato ampio spazio, Rizzo
ha dichiarato: “A Torino, città del
movimento operaio e della resistenza, riparte il partito comunista. Il progetto per Torino è non
sottostare ai vincoli del FMI e delle grandi banche. Rompiamo la
gabbia della stabilità”. Nei giorni
e nelle settimane successive con
una sorprendente disponibilità
finanziaria per un partito che si
professa comunista ed in lotta
aperta (a parole) contro lo Stato
borghese, la città di Torino, soprattutto i suoi quartieri popolari,
è stata letteralmente tappezzata
di poster su cui troneggia la faccia dell’imbroglione Rizzo come
un qualsiasi politicante borghese
e, sullo sfondo, una sbiadita falce
e martello di colore bianco.
Rizzo, al pari di un qualsiasi
caporione borghese in contesa
per un posto al sole nelle istituzioni borghesi, si è lanciato in
quella che si preannuncia una
agguerrita campagna elettorale. La sua ipocrisia non conosce
davvero limiti. Avvezzo a ruoli
importanti e lautamente retribuiti
nelle corrotte istituzioni borghesi – Rizzo, lo ricordiamo, è stato
deputato e parlamentare europeo
– ora si presenta come “outsider” antisistema in lotta contro lo
Stato borghese ma, allo stesso
tempo, abbandonate ancora una
volta le sue farsesche velleità rivoluzionarie, ambisce a vincere le
elezioni amministrative borghesi
per la carica di neo-podestà di
Torino!
Campagna elettorale
col vento in poppa
dei media borghesi
La carriera politica di Rizzo ha
attraversato tutte le stagioni del
trotzkismo, del revisionismo e del
riformismo dal ’77 ad oggi. Dal
suo esordio nelle file dell’organizzazione “ultrasinistra” e trotzkista
“Lotta Continua” passando poi,
con un’operazione entrista tipica
dei trotzkisti, nel PCI revisionista, Rizzo ha sempre dimostrato la sua natura opportunista e
borghese. Dopo una sfolgorante
carriera nel PCI, Rizzo nel 1991
fu tra i fondatori del partito della
rifondazione comunista dove, pur
facendo parte della corrente filosovietica revisionista di Cossutta,
non ha avuto problemi a sostenere la candidatura del trotzkista
Bertinotti segretario del partito.
Nel 1998 è stato tra i fautori della
scissione di destra che ha visto
la costituzione del partito dei comunisti italiani, nato con il preciso
scopo di appoggiare l’allora governo D’Alema nella sua aggressione imperialistica ai danni della
Federazione jugoslava. Espulso
da quel partito nel 2009 per avere in più occasioni sostenuto la
campagna elettorale dell’Italia dei
valori del destro Di Pietro (per un
“comunista” non c’è male davvero!) Rizzo si è improvvisamente
scoperto marxista-leninista ed ha
fondato un suo partito “comunista”. La natura revisionista di questo partito è lampante. Esso non
propone assolutamente la rivoluzione socialista e la dittatura del
proletariato, ma l’attuazione della
Costituzione democratica borghese e anticomunista del 1948
e la via elettorale e parlamentare
per raggiungere una “democrazia
per tutti”, quindi anche per i borghesi e i padroni. In altre parole
non si propone l’abbattimento del
sistema capitalista bensì la sua
riforma in senso “democratico” e
“popolare”. Il partito “comunista”
di Rizzo nasce per attuare la Costituzione borghese che sancisce
questo Stato capitalistico e le sue
leggi di classe.
Tutto ciò basta a qualificare Rizzo come un opportunista
e falso comunista? Proviamo a
ragionare per assurdo e a considerare Rizzo come un potenziale
– dire “vero” sarebbe un insulto
troppo grande per la storia del
movimento operaio – marxistaleninista. Ebbene, i media borghesi darebbero forse così tanto
spazio a un autentico nemico del
sistema borghese? A Torino, città
“cuore” della borghesia piemontese e nazionale e ancora oggi
importantissimo polo industriale
del Paese, i pescecani capitalisti
avrebbero deciso di dare risonanza alla campagna elettorale di
Rizzo, loro potenziale becchino?
In barba al rigido black-out che
da decenni colpisce il nostro Partito, Rizzo ha sempre beneficiato
della massima visibilità sui media
borghesi. Che dire a proposito
della sua “discesa in campo” per
la carica di podestà della città
della Mole? Quasi si fosse trattato di un evento di risonanza nazionale la sua candidatura è stata
rilanciata sui media borghesi con
attenzioni superiori a quella del riformista Airaudo, che è stata annunciata la settimana precedente, e a quella dello stesso Fassino
arrivata un mese dopo.
Rizzo alla conferenza stampa
di presentazione della propria candidatura ha denunciato la BCE, il
FMI, l’Unione europea e, più nel
dettaglio, il patto di stabilità di
Torino e i suoi 5 miliardi di euro di
debiti che, pur non avendolo affermato esplicitamente, fa capire
non intende restituire alle banche
creditrici. Nel suo sproloquio ha
dichiarato che da Torino, la città
dei padroni Agnelli e Marchionne,
il suo partito “comunista”, intende
mettersi in marcia... per la conqui-
Il faccione dell’arcirevisionista Marco Rizzo, candidato sindaco, invade le strade di Torino, in perfetto stile
da politicante borghese
sta del socialismo! Ebbene, conceri rivoluzionari e per imbrigliarli
di briscola nella competizione
tinuando il nostro ragionamento,
in questo falso partito comunista
elettorale torinese e il suo partito
se ciò fosse vero anche solo in
che non sarà nulla di più dell’ensi attesterà quasi di certo tra i faminima parte allora la classe donesimo “contenitore” a sinistra
nalini di coda dei partiti borghesi
minante borghese concederebdel PD.
in corsa per Palazzo civico. Se
be a Rizzo ed al suo partito solo
La grande risonanza data alla
Rizzo non ha rilevanza alcuna nel
un’oncia di spazio mediatico? No,
candidatura di Rizzo a Torino è
panorama politico borghese in
ciò non avverrebbe. Se Rizzo rapinoltre in piena contrapposizione
termini di consenso elettorale e
presentasse solo una parvenza di
al PMLI e alla sua scelta astensioper presenza dentro le istituzioni
minaccia per lo Stato borghese e
nistica a carattere tattico, questa
che contano allora perché, ci doper il sistema capitalistico subirebsì unica e possibile scelta rivomandiamo, la classe dominante
be lo stesso black-out del PMLI e
luzionaria per le masse sfruttate
borghese e i suoi servi gli danno
gli sarebbe impossibile “saltelladella città. La classe dominante
tanto spazio? Se la sua candidare” da una trasmissione televisiva
borghese e i capitalisti hanno detura a Torino non ha alcuna posall’altra a concionare per ore, alle
ciso di puntare su Rizzo, e con lui
sibilità di successo e, stando alle
stesse condizioni degli altri invitati
sul suo falso partito “comunista”,
previsioni, rischia di essere asdei partiti del regime capitalista e
come uno specchietto per le alsolutamente insignificante come
neofascista.
lodole per ingannare le masse
mai l’immagine di Rizzo “comutorinesi, illudendole che votando
nista antisistema” viene diffusa
per questo imbroglione patensu tutti i media quasi alla pari con
tato le loro condizioni potranno
quella dei leader dei grandi partiti
migliorare. No, non devono esborghesi di regime? Tali dubbie
serci illusioni a riguardo. L’unica
attenzioni portano a pensare che
A discapito delle sue pompovera alternativa elettorale per le
la classe dominante borghese
se dichiarazioni e della campamasse popolari di Torino è quella
voglia accreditare la candidatura
gna elettorale che, primo tra tutti
di disertare le urne, annullare la
a Torino dell’imbroglione Rizzo
i candidati, ha di fatto già iniziato
scheda o lasciarla in bianco così
come autenticamente comuniin solitaria, Rizzo non ha alcuna
da delegittimare le istituzioni rapsta, allo scopo di attirare a sé, e
possibilità di vincere le elezioni
presentative borghesi ed i partiti
al voto per lo Stato borghese, le
borghesi e di conquistare Paborghesi della seconda repubmasse popolari di sinistra della
lazzo Civico. La candidatura del
blica neofascista di cui il partito
metropoli. Si tratta dell’ennesima
“comunista” Rizzo a Torino con“comunista” di Rizzo è parte intrappola elettoralista per neutrata, e di fatto conterà, come il due
tegrante.
lizzare i sinceri comunisti e i sin-
Quale il reale
obiettivo di Rizzo?
In vista delle elezioni comunali a Bologna
Guerra per le candidature tra le varie
correnti dei partiti borghesi
Astenersi e creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo
‡‡Dal nostro corrispondente
dell’Emilia-Romagna
Mancano ancora dei mesi alle
elezioni amministrative, che si terranno presumibilmente nel mese
di giugno, e cominciano a delinearsi gli schieramenti e i candidati
alle elezioni a Bologna, anche se
ancora non tutto è deciso perché
è in corso la guerra tra le varie
correnti dei partiti borghesi per
imporre il proprio candidato.
Per il PD correrà il sindaco
uscente Virginio Merola, ex assessore della giunta Cofferati ed
eletto al primo turno nel 2011.
Nonostante qualche malumore interno sembra che Merola,
prima bersaniano e “convertito”
renziano dopo le politiche del
2013, non passerà dalle primarie; per lui è bastato un sondaggio (in linea con il concetto di
democrazia del nuovo Mussolini
Renzi) per rimetterlo alla “guida
del carro” del “centro-sinistra”
borghese. Merola in particolare
è conosciuto per il pugno di ferro contro i centri sociali, contro
i senza casa occupanti di stabili
inutilizzati, contro gli studenti in
lotta e cosi via.
A contendergli la poltrona
di sindaco ci proverà Massimo
Bugani consigliere comunale
del Movimento cinque stelle. La
candidatura di Bugani è stata
contestata all’interno del M5S, in
quanto il suo nome è stato calato
dall’alto, direttamente da Beppe
Grillo, di cui guarda caso Bugani
è un fedelissimo, senza passare
dalle “comunarie” e rifiutando le
altre candidature. In particolare
quella di Lorenzo Andraghetti,
prima sospeso e poi espulso dal
Movimento per aver osato contestare le modalità della scelta di
Bugani accusandolo di voler “trasformare il M5S in Forza Italia”.
Per Andraghetti è scattata quindi
“l’inquisizione” di quello che lui
stesso ha definito un “comitato di
leccapiedi nominati (con voto online non certificato)” con l’accusa
di aver partecipato ad un convegno di Alternativa libera, in cui ha
ribattuto: “Non capisco perché
Casaleggio possa andare a parlare al meeting di Cernobbio dai
nemici dell’alta finanza; Fantinati
possa andare a parlare al meeting di Comunione e Liberazione,
Pizzarotti alla scuola di politica
dei giovani del PD; e ci siano problemi se un cittadino senza ruoli
politici (come me) partecipa ad
un incontro di realtà civiche. Che
queste siano scuse è evidente”.
Andraghetti sostiene che in realtà sia stata una ritorsione per
aver denunciato che nelle liste di
Bugani erano state inserite due
persone non candidabili per il regolamento del Movimento, una di
queste è stata sospesa dall’ordine dei giornalisti per lo scandalo
delle interviste a pagamento.
Per la Lega, Salvini ha lanciato la consigliera comunale ex
bossiana Lucia Bergonzoni, che
è sostenuta anche da una parte
di Forza Italia che ha deciso di
fondare una lista civica. Ma non
tutto il “centro-destra” sembra
convergere su questa scelta, infatti vi è anche la candidatura del
consigliere regionale di FI Galeazzo Bignani.
Si dovrebbe invece presentare con la lista “Insieme Bologna”
Manes Bernardini, arrivato secondo nelle elezioni del 2011 in
cui correva per la Lega Nord.
Anche l’ex DS Mauro Zani ha
costituito una sua “coalizione
civica”, che dovrebbe candidare Paola Ziccone ex direttrice
del carcere minorile del Pratello
e che raccoglie l’adesione di ex
PRC ed ex M5S, pezzi di CGIL
ed altri, ma rifiuta “l’uso della parola ‘sinistra radicale’ che rischia
solo di relegare in un contesto
specifico”.
Anche SEL sta cercando una
“candidatura alternativa a quella
di Merola che possa unire movimenti e partiti a sinistra del PD
in città”, scelta che al momento
sembra ricadere su Elly Schlein
di “Possibile”, il partito fondato
dall’ex PD Giuseppe Civati. Insomma l’ennesimo tentativo di
cercare una sopravvivenza politica nei numeri, che però nella pratica non ha nessun motivo d’essere, visto che SEL ha fatto da
stampella alla giunta Merola fino
alla cacciata del suo assessore
alla cultura Ronchi per le critiche
dello stesso allo sgombero effettuato contro il collettivo Atlantide
con la grave accusa di Merola
contro la “lobby gay”, e che continua ad appoggiare la giunta regionale del PD Bonaccini.
Insomma, dopo i pochi mesi
da sindaco di Flavio Delbono
dimessosi per lo scandalo “Cin-
ziagate” al quale è succeduto
l’allora prefetto Anna Maria Cancellieri, Merola cerca di avere
altri 5 anni per portare avanti il
proprio progetto di una Bologna sempre più al servizio della
borghesia locale, una Bologna
quindi che crei ulteriori disparità ed emarginazione e contro la
quale scatenare la repressione
poliziesca.
I lavoratori, i pensionati, gli
studenti, i senza casa, non hanno quindi alcun interesse a che
Merola governi ancora la città,
così come non trarrebbero nessun vantaggio a dare il loro voto
a una qualsiasi delle liste in corsa per spartirsi un po’ di potere.
Essi devono battersi per Bologna
governata dal popolo e al servizio del popolo, astenendosi alle
prossime elezioni comunali e costituendo le Assemblee Popolari
e i Comitati Popolari basati sulla
democrazia diretta.
elezioni amministrative 2016 / il bolscevico 7
N. 3 - 21 gennaio 2016
Secondo il rapporto annuale del quotidiano “Sole 24 ore”
Napoli tra le ultime città italiane per lavoro,
giovani e qualità della vita
Un’ulteriore conferma del fallimento delle “politiche sociali” del neopodestà De Magistris
�Redazione di Napoli
Il rapporto annuale presentato
dal giornale “Sole 24 ore” sulla
qualità della vita nelle province
italiane è piombato sulla giunta
arancione guidata dal neopodestà De Magistris come una mazzata tra capo e collo, provocando
l’ennesima bufera sulle fantomatiche “politiche sociali” mai
realizzate dall’esecutivo ormai in
scadenza di mandato. Secondo il
quotidiano confindustriale la città
di Napoli è sprofondata nel giro
di poco tempo – e nello specifico
proprio nel periodo della giunta
De Magistris - agli ultimi posti in
questa speciale classifica che tiene conto di una serie di parametri come lavoro, ricchezza delle
famiglie, ambiente, qualità della
vita, giovani, asili nido e così via.
Il quadro che emerge in questo rapporto annuale conferma
quello che noi marxisti-leninisti
affermiamo da tempo: su lavoro,
quartieri popolari, giovani e ambiente la giunta antipopolare che
occupa le poltrone di palazzo S.
Giacomo dal 2011 rivela tutto
il suo misero fallimento che si
estende anche in altri settori secondari ma comunque importanti
della città.
Su 110 province Napoli si attesta a un tristissimo 101° posto,
con una qualità di vita che colloca la città al 105° posto a causa
del depauperamento progressivo delle ricchezze delle masse,
sempre più povere ed indigenti
che vede il capoluogo campano
88°, con una capacità di spesa
scarsissima al punto che le famiglie hanno sempre più difficoltà a
mettere il pranzo con la cena (91°
posto per questo fattore). Incide
nella sfera familiare anche la spesa pro-capite per fare almeno un
viaggio all’estero è ristretta alla
ridicola cifra di 206 euro, a causa anche degli altissimi costi per
affittare una casa (Napoli è addirittura 103ª).
Il dato peggiore in assoluto
viene dal lavoro dove Napoli è
praticamente ultima, al 108° posto, peggio solo Palermo e Calta-
nissetta, con un crollo dello “spirito d’impresa” che corrisponde
all’ormai atavica e trentennale
desertificazione industriale, la crisi di fabbriche piccole e medie nei
quartieri popolari e la difficoltà nel
L’attore teatrale Peppe Barra
denuncia e commenta i dati impietosi: “i giovani se ne vanno
con dolore, se ne vanno all’estero
perché trovano più attenzione, più
meritocrazia e spesso si afferma-
la ripresa veemente della guerra
di camorra che ha insanguinato
con decine di omicidi la città, ma
anche l’esplosione della piccola
e media delinquenza (Napoli è
sesta nei furti in appartamento,
ma non è messa bene per quanto
riguarda reati cosiddetti di “allarme sociale” come rapina, frode,
estorsione).
Soltanto il turismo è in leggera
ripresa grazie all’eterna bellezza
di Napoli e dei suoi monumenti
e alla cultura popolare che trova
espressione (per fortuna ancora)
in ogni angolo della città e non
certo per azioni degne di nota da
parte della giunta; al contempo i
servizi sociali e per i turisti sono
allo stallo ed è evidente: basti
pensare all’assenza di bagni pubblici chiusi e mai manutenuti.
La destra (ovviamente) e la
“sinistra” di regime neofascista si
sono limitate ad attaccare opportunisticamente la giunta De Magistris, salvo non aver fatto mai una
opposizione tale da denunciare in
profondità le malefatte dell’esecutivo arancione.
Pietosa e inqualificabile l’uscita di uno dei maggiori responsabili del degrado storico di Napoli,
Antonio Bassolino (ex sindaco ed
ex governatore regionale, una vita
da dirigente del PCI-PDS-DS-PD)
che ha la faccia tosta di dire anche che “bisogna rimboccarsi
le maniche”, dopo che nei suoi
quasi 5 anni di governo cittadino
non ha contribuito a migliorare in
alcun aspetto le condizioni delle
masse popolari partenopee. E
ora ha la sfacciataggine di candidarsi di nuovo a sindaco.
Nel solito stile narcisista e megalomane che lo contraddistingue
fin dalla sua salita a Palazzo S.
Giacomo nel 2011, il neopodestà
De Magistris ha così commentato ipocritamente la classifica annuale: “Napoli è molto più avanti
rispetto a quel 101° posto che si
vuole descrivere. Il nostro obiettivo non è scalare classifiche, ma far
vivere sempre meglio i napoletani
che decidono di rimanere qui. Noi
lavoriamo perché ci siano meno
disuguaglianze, meno sofferenze e
per migliorare la qualità dei servizi
ai cittadini” (sic!). Con lui sembrerebbe d’accordo anche lo scrittore
filo-sionista Erri De Luca, novello
sostenitore di un nuovo mandato per l’ex pm che ha affermato:
“Napoli non dovete misurarla nelle
classifiche sulla vivibilità, è fuori
concorso”, chiudendo gli occhi
sulla gravissima situazione in cui
staglia la città da quando il suo
nuovo idolo arancione ha messo
piede a piazza Municipio.
Mentre il neopodestà vuole una “Podemos italiana”
“Il manifesto” appoggia De Magistris
alle amministrative a Napoli
Degrado e miseria nel centro di Napoli
recupero dei crediti, soprattutto
per le masse popolari, ma anche
l’inizio, sotto la giunta capeggiata da Luigi De Magistris, di una
nuova emigrazione dei giovani in
cerca di lavoro verso il Nord Italia
o all’estero: in questo caso come
“tasso migratorio totale” Napoli è
ultima in tutta la Penisola. I giovani è come se avessero preso
d’impegno il vecchio adagio di
Eduardo De Filippo all’indomani dell’elezione delle giunte DC:
“Fuitevenne!”, facendo presagire
il dato emigratorio tra i più gravi
degli ultimi 30 anni per cercare una occupazione adeguata
all’estero e non morire di speranze e di fame a Napoli.
no. Dovremmo ragionare sugli errori e cominciare a porre rimedio:
invece vedo degrado dappertutto
(…) oggi precipita tutto nella più
totale volgarità: il calcio ormai è
l’unica fede”.
Anche l’ambiente e la salute si
trovano in condizioni disastrose a
causa della raccolta differenziata
porta a porta mai partita ormai
attestata a un miserevole 27% a
fronte della promessa degli assessori all’Ambiente (prima Sodano, poi Del Giudice) di raggiungere in breve tempo al 70%.
Sul fronte della tanto decantata sicurezza e legalità “a tutti i
costi”, la giunta arancione prende un altro voto negativo, data
Gli opportunisti e trotzkisti, però, strizzano
l’occhio a Bassolino in caso di sconfitta dell’ex pm
�Redazione di Napoli
Un titolo inequivocabile ha
accompagnato l’edizione del 5
gennaio scorso de “Ii manifesto”
a firma di Adriana Pollice: “Con
De Magistris senza se e con
qualche ma. Per Bassolino”. Un
articolo che certifica bene il quotidiano opportunista e trotzkista
che fin dal suo esordio a palazzo
S. Giacomo ha sostenuto il neopodestà ex pubblico ministero,
ma a cui, in caso di sconfitta
degli arancioni alle prossime
elezioni amministrative in primavera a Napoli, non dispiacerebbe che l’alternativa fosse
il rinnegato del comunismo e
neoliberale Bassolino. Infatti
l’articolo si dimostra compia-
cente e favorevole nei confronti
dei due contendenti, e si guarda
bene da far alcun riferimento ai
clamorosi fallimenti che hanno
affossato la città di Napoli negli
ultimi 20 anni.
Tra l’altro il quotidiano falso
comunista mette nella scala dei
valori della “sinistra” borghese
ad un piano superiore De Magistris rispetto a Bassolino per
la volontà chiara dell’ex pm di
dare spazio ad un nuovo mostriciattolo che ricalchi quello
di “Podemos” in Spagna, raggruppando quel che resta dei
vecchi partiti neorevisionisti e
trotzkisti più Sinistra Italiana
e Sel. Parole già espresse lo
scorso agosto dal parlamentare ex PD Stefano Fassina, e
ribadite dal narcisista e trotzkista Nichi Vendola che non a
caso affermò nell’incontro della
“sinistra borghese” di dicembre
di avere “rispetto per Bassolino, ma noi stiamo con Luigi de
Magistris”.
Un quadro che sembra piacere ai trozkisti de “il manifesto”
pronti a sostenere De Magistris
e, in caso di default dell’ex pm,
a buttarsi tra le braccia di Bassolino, così come avevano fatto
schierandosi apertamente con il
progetto fallimentare di “Rivoluzione Civile” dell’ex pm Ingroia,
poi miseramente naufragato,
ma oggi riproposto attraverso la
sua rimasticatura nella versione
italiana di Podemos.
Le mani sulla città di Messina. Lo strano caso
dell’ingegnere De Cola e mister Hyde
di Antonio Mazzeo
- Messina
L’inserimento del progetto di
riqualificazione del Pilone a Capo
Peloro da parte dell’amministrazione comunale di Messina tra i
12 progetti del Masterplan della
Città Metropolitana ha scatenato
una serie di polemiche sui media
locali dato che tra i firmatari del
progetto c’è lo studio degli ingegneri De Cola, tra cui l’odierno
assessore comunale all’urbanistica Sergio De Cola.
L’ingegnere De Cola ha prontamente risposto alle critiche su
un possibile “conflitto d’interessi”
con una nota inviata alla Gazzetta
del Sud e a Tempostretto.it. “Conflitto di interessi è la possibilità di
trarre vantaggi, anche economici,
da una decisione che dipende in
qualche modo dallo stesso soggetto”, scrive l’assessore della giunta
Accorinti. “L’inserimento o meno,
del progetto Pilone nel Masterplan
non porterà un solo centesimo nelle mie tasche né di nessuno dei
soggetti che hanno a qualsiasi titolo collaborato con il mio studio,
né produrrà alcun altro vantaggio,
neppure in prospettiva. L’inserimento mira a finanziare le somme
necessarie all’espletamento della gara e ai collaudi che in nessun
modo potrebbero essere assegnati
al soggetto che ha redatto il preliminare; il lavoro fatto a suo tempo (2011-2012), anche dal mio
studio, si è definitivamente concluso con la validazione da parte del RUP avvenuta nel febbraio
2013 e la parcella relativa sarà pagata (o non pagata) indipendentemente dal Masterplan o da qualunque altra cosa l’Amministrazione
presente o futura deciderà di fare
del progetto”. Per l’ing. de Cola,
dunque l’argomento è chiuso, con
buona pace - secondo lui - di chi
ha sollevato una questione che invece pesa come un macigno sulla
credibilità della “rivoluzione dal
basso” tanto decantata dal sindaco
Renato Accorinti.
Nei mesi scorsi, abbiamo presentato insieme ai consiglieri comunali Nina Lo Presti e Gino
Sturniolo uno studio sui maggiori creditori del Comune di Messina alla luce del Piano di riequilibrio finanziario lacrime e sangue
varato dall’amministrazione Accorinti. Ebbene, tra questi creditori comparivano insieme i progettisti “Buffi Giampiero - Pier Paolo
Baldo di Vinadio e Studio De Cola
Associati” per un valore complessivo di 424.467,27 euro relativamente al pagamento dovuto a prestazioni professionali espletate per
la “Sistemazione del basamento
del Pilone per la realizzazione di
opere per la fruizione del mare e
attrezzature turistiche”; “competenze tecniche lavori di riqualificazione Capo Peloro Transazione
G.M. 770/2012” e “Incarico progettazione definitiva dei parcheggio a raso di Torre Faro”. Anche
in quell’occasione l’assessore De
Cola e lo stesso sindaco Accorinti negarono qualsivoglia esistenza
di “conflitti d’interesse” tra il contribuire alla stesura di un piano di
riequilibrio e trovarsi poi, nel momento della sua approvazione, a
beneficiarne e poter finalmente
riscuotere il credito. Valutazioni
quelle degli amministratori certamente discutibili, perlomeno sotto
il profilo etico-politico.
Oggi con la pubblicazione della lista dei progetti presentati dallo Studio de Cola e delle opere già
realizzate, in via di realizzazione o
in attesa di approvazione, incidenti sul territorio comunale di Messina, il tema “conflitto d’interessi”
e comunque dell’opportunità che
uno dei maggiori progettisti della
(detestabile) storia urbanistica peloritana continui a fare da assessore all’urbanistica della stessa città
diventa ancora più preponderante. Non fosse altro per la portata
di alcuni progetti e di alcune opere
progettate e realizzate, sicuramente assi discutibili dal punto di vista
della compatibilità paesaggistica
e ambientale (e per questo in passato osteggiate dagli ambientalisti
e da gruppi politici e associazioni che hanno dato vista al progetto elettorale di Renato Sindaco): la
cementificazione di Capo Peloro e
della Zona Falcata, porti e porticcioli ovunque, il deturpante Centro Neurolesi sui Peloritani, ecc.
La lista dei progetti e delle opere a firma della famiglia De Cola
testimonia poi le ingombranti prestazioni professionali a favore di
alcuni dei gruppi economici e fi-
nanziari che più hanno contribuito al consolidamento del blocco
di potere che ha dominato e domina Messina, con impatti eco-insostenibili anche e soprattutto sul
profilo urbanistico e del territorio
(gruppo Franza, Russotti, SESFondazione Bonino Pulejo, ecc.),
con l’aggravante che alcuni di questi soggetti sono contestualmente creditori per centinaia di milioni di euro dello stesso Comune di
Messina. Dulcis in fundo colpisce
il ruolo di vero e proprio asso pigliatutto del gruppo de Cola nella
progettazione di infrastrutture nei
settori chiave della sanità pubblica
e privata di Messina e di partner
fiduciario dell’Università degli
Studi, come del resto era già stato
rilevato a fine anni ’90 dal volume
“Le mani sull’Università” pubblicato dal Comitato messinese per la
pace e il disarmo unilaterale.
8 il bolscevico / cronache locali
Molti manifestanti si stringono al PMLI
alla commemorazione dell’eccidio
degli operai di Modena di 66 anni fa
Al banchino pomeridiano consensi alla posizione antimperialista e
antirenziana del Partito che ha ricevuto diverse sottoscrizioni
Il pmli condanna la rimozione
dello striscione del collettivo
Guernica contro il “jobs act”
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Modena del PMLI
Giornata altamente produttiva per i marxisti-leninisti modenesi quella di sabato 9 gennaio.
In mattinata il PMLI ha partecipato in modo militante alla
commemorazione del 66° anniversario dell’eccidio della Fonderie Riunite di Modena, dove
il 9 gennaio 1950, 6 eroi operai
morirono sotto il fuoco della polizia del governo democristiano
Modena, 9 gennaio 2015. Interesse intorno al banchino di propaganda del PMLI. A sinistra il
compagno Federico Picerni (foto
Il Bolscevico)
mentre protestavano per le loro
misere condizioni di lavoro e il
miglioramento di esse.
Durante la commemorazio-
ne, organizzata da CGIL-CISLUIL, molti presenti hanno condannato con forza la presenza
del PD, con a capo il sindaco Muzzarelli. Gli organizzatori non hanno parlato assolutamente con le masse popolari ma
solo con le telecamere dei massmedia borghesi, atto da condannare come anche la rimozione,
ordinata dagli organizzatori stessi, dello striscione del Collettivo Guernica che citava “Ieri con
l’eccidio, oggi con Jobs Act e piano casa”, atto che ha fatto imbestialire molti manifestanti che si
sono stretti ai militanti e simpatizzanti del PMLI. Le insegne del
nostro Partito, molto visibili, sono
state accolte con serenità dai
manifestanti nonostante vi fossero altri partiti “comunisti”, così
abbiamo avuto modo di interagire con essi e di diffondere delle
copie de “Il Bolscevico”.
Nel pomeriggio, i compagni
modenesi hanno proseguito la
giornata con un banchino nel
centro della città, dov’è continuata con successo la propaganda
anti-Renzi ed antimperialista con
la diffusione del volantino “Non
farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista” nonché con
la diffusione de “Il Bolscevico” e
si registrano nuovamente sottoscrizioni volontarie da parte dei
modenesi e il consenso alle tesi
rivoluzionarie del PMLI.
Un inizio d’anno molto posi-
Modena, 9 gennaio 2015. La delegazione del PMLI al presidio di commemorazione
dell’eccidio della Fonderie Riunite di Modena. (Foto pubblicata dal giornale online
ModenaToday)
tivo per il PMLI nella città emiliana che proseguirà con la
presenza militante dell’Organizzazione modenese, seguita da
simpatizzanti e amici, alla commemorazione del 24 gennaio in
Piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia) in occasione del 92°
Anniversario della scomparsa
del grande Maestro del proletariato internazionale Lenin.
Il PMLI.Modena ha emesso
un comunicato, pubblicato apparte, per ribadire la centralità
della lotta al Jobs Act del governo.
Ricordo eterno dei martiri
operai di Modena!
Spazziamo via il governo del
nuovo duce Renzi!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
A Carpi (Modena)
La Cooperativa svuota la fabbrica
e chiude durante le ferie
‡‡Dal nostro corrispondente
dell’Emilia-Romagna
Ancora una volta i padroni
hanno sfruttato i periodi di ferie
per svuotare in fretta e furia e
chiudere una fabbrica.
Questa volta è successo
ai 38 dipendenti della cooperativa metalmeccanica Carpigiana Service di Carpi (Modena) che al rientro di inizio anno
hanno trovato i cancelli dello
stabilimento chiusi e presidiati
dai carabinieri.
I delegati del SI Cobas, che
rappresenta la maggioranza
dei lavoratori, hanno denunciato che il tutto è avvenuto
mentre era in corso una trattativa con l’azienda, in quanto già da molti mesi era in atto
una vertenza contro la cooperativa e la ditta Cbm, unico
committente, per chiedere che
ai dipendenti, svolgendo prevalentemente mansioni da metalmeccanici fosse applicato il
corrispettivo contratto, rispetto
all’attuale più penalizzante della logistica.
Sulla questione era stata intrapresa anche una causa, tuttora in corso, contro Cbm per
intermediazione di manodopera.
In seguito al raggiungimento dell’accordo per il passaggio al contratto dei metalmec-
canici per tutti i lavoratori, per
ritorsione la Cbm ha iniziato a
ridurre le commesse alla cooperativa portando all’ipotesi
della riduzione del personale.
Prima di natale la Carpigiana ha espresso l’intenzione di
mettere in liquidazione la cooperativa ma garantendo che
la produzione sarebbe andata
avanti fino al 30 gennaio, prospettando poi ai lavoratori o
la mobilità volontaria, con una
buonuscita da negoziare, oppure la ricollocazione in un’altra società legata alla Cbm.
Invece, il 4 gennaio i lavoratori hanno trovato la sede della
cooperativa svuotata e i cancelli sbarrati. “È un atto unilaterale del tutto inaccettabile
assunto dai vertici della Carpigiana per accelerare gli esiti
della liquidazione coatta, a cui
siamo pronti a rispondere con
iniziative di protesta - denun-
cia il Sì Cobas - non lasceremo che i lavoratori finiscano in
mezzo a una strada”.
N. 3 - 21 gennaio 2016
Comunicato dell’Organizzazione modenese del Partito
Il PMLI ricorda l’eccidio
di Modena e invita alla
lotta contro il “Jobs Act”
I marxisti-leninisti di Modena e provincia stamattina hanno partecipato in modo militante alla commemorazione
pubblica dei sei giovani eroi
operai caduti vittime della brutale repressione poliziesca
della protesta contro i licenziamenti alle Fonderie Riunite
il 9 gennaio 1950. Le bandiere
del PMLI si inchinano al loro
sacrificio.
Dobbiamo ispirarci allo spirito dei coraggiosi operai, che
allora lottavano per il lavoro e
i propri diritti, per lottare oggi
contro il governo del nuovo
duce Renzi e del nemico del
lavoro Poletti, che col “Jobs
Act” hanno esteso il precariato
a tutti e cancellato decenni di
conquiste ottenute al prezzo
di dure lotte, come quella del
gennaio 1950. Occorre met-
tere in campo una forte opposizione di classe e di massa
in ogni fabbrica, ogni scuola,
ogni università, ogni altro luogo di lavoro e ogni piazza d’Italia per cacciare via questo
governo antipopolare al servizio del capitalismo.
Contestualmente, condanniamo la rimozione forzata
di uno striscione del collettivo “Guernica” contro il “Jobs
Act” e il piano casa, avvenuta
al termine della commemorazione, per lasciare tutta la scena alla corona offerta ipocritamente dalla giunta comunale
piddina, governata dai falsi
amici dei lavoratori con in testa Muzzarelli.
L’Organizzazione di Modena del Partito marxista-leninista italiano
9 gennaio 2016
Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande
Maestro del proletariato internazionale
PMLI e PCDI commemorano
assieme Lenin a Cavriago
Domenica 24 gennaio 2016 in piazza Lenin a
Cavriago (Reggio Emilia),
commemorazione pubblica
organizzata dal PMLI.Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio Emilia del PCDI in occasione
del 92° Anniversario della
scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale.
Ritrovo alle ore 11, discorsi ufficiali dalle 11,30.
Partecipiamo numerosi
per rendere omaggio a Lenin.
Con Lenin per sempre!
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 18 gennaio 2015. Militanti e
simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e
delle Marche del PMLI, uniti con rappresentanti del PCd’I, dell’Anpi di
Reggio-Emilia e due compagni del Congo e del Burkina Faso, commemorano il grande Maestro del proletariato internazionale Lenin in
occasione del 91° Anniversario della scomparsa. Al centro il compagno Denis Branzanti, accanto a destra, il compagno Alessandro
Fontanesi, Segretario Provinciale di Reggio Emilia del PCd’I. Appena
dietro Branzanti, il compagno Angelo Urgo, Segretario del Comitato
lombardo del PMLI (foto Il Bolscevico)
Comunicato dell’Organizzazione biellese del PMLI
No ai parcheggi a pagamento presso
l’ospedale di Ponderano
L’amministrazione Cavicchioli gioca sporco
L’Organizzazione biellese del
PMLI si oppone fermamente alla
trasformazione degli attuali parcheggi pubblici e gratuiti del nuovo Ospedale degli Infermi di Ponderano in parcheggi a pagamento,
gestiti da specifiche compagnie private, il cui unico scopo è incassare
soldi. Far pagare il parcheggio ad
anziani disagiati, malati bisognosi
di cure così come ai parenti che si
“I militanti dell’IS sono partigiani”
‡‡Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del
PMLI
“I militanti dell’IS sono dei partigiani”, è quanto ha affermato un
ex partigiano nel corso di un’iniziativa del gruppo No TAV di Biella
svoltasi nel novembre scorso.
Sollecitato da una domanda sull’attuale situazione internazionale e sull’IS, ha aggiunto: “In quel contesto è molto facile riconoscere chi è l’invasore e chi l’invaso”.
recano a far loro visita è un’aberrazione tipica dell’attuale società capitalistica che guarda solo al profitto economico senza interessarsi
minimamente ai bisogni delle persone.
Per quanto riguarda la gestione
delle aree verdi e della pulizia degli spazi basterebbe incaricare ditte o cooperative sociali competenti
che potrebbero così affidare il lavoro ai più bisognosi, che fanno parte delle fasce deboli della società
come tossicodipendenti e migranti, favorendo così l’inserimento sociale sull’esempio valido di alcune
esperienze pilota realizzate nei paesi scandinavi (Danimarca in testa). Questa soluzione garantirebbe il decoro e la pulizia degli spazi
ad un costo minimo.
Negli ultimi giorni il comune di
Biella nella persona del suo sin-
daco, avv. Marco Cavicchioli, non
perde occasione per mettersi in
mostra affermando a destra e a
manca che i posteggi devono restare gratuiti. Ebbene, dov’era il
sindaco Cavicchioli, e con lui i suoi
degni predecessori, quando l’ospedale era nel comune di Biella e tutti
i suoi posteggi erano a pagamento? Oltre a questo il sindaco Cavicchioli dovrebbe anche spiegare ai
biellesi, e rendere loro conto, dello
scempio appena realizzato in piazza Duomo dove sono state installate luminarie modernissime che
nulla hanno a che vedere nel contesto di una piazza che ha secoli di storia. Bisogna inoltre sapere
che i modernissimi pali della luce
potranno presto contenere delle telecamere di videosorveglianza cosicché le masse popolari saranno
riprese e schedate dalle autori-
tà. L’amministrazione comunale di
Biella, non contenta di avere buttato 2 milioni di euro pubblici per
piazza Duomo, si appresta a spenderne altri 5 e più per realizzare
un silos a pagamento - ennesimo
modo per mettere ulteriormente le
mani nelle tasche dei biellesi - nella zona dell’ex Maglificio Boglietti.
Non da ultimo, a corollario
dell’incapacità di gestire il decoro e
l’efficienza urbanistica della nostra
città, vogliamo denunciare che lo
storico orologio posto in cima alle
scuole di Piazza Martiri - esattamente sopra al monumento partigiano dell’omonima piazza - è da
anni bloccato. L’amministrazione
pubblica di Biella ne sarà a conoscenza?
Per il PMLI.Biella
Gabriele Urban
Biella, 10 gennaio 2016
contributi e lettere / il bolscevico 9
N. 3 - 21 gennaio 2016
L’imperialismo ha generato lo scontro tra
Occidente e IS
di Francesco Campisi Belpasso (Catania)
Su “Il Bolscevico” n. 47 ho
letto l’intervento di un simpatizzante dal titolo “Alcuni dubbi sulla posizione del PMLI sullo Stato
islamico”, in cui si pongono diverse domande.
Nel primo quesito ci si interroga su chi siano i finanziatori
dello IS, dubitando che si tratti
di uno Stato islamico come entità realmente esistente. Il compagno pensa che si tratti invece
di un’organizzazione terroristica
con più disciplina e capacità militare di altre organizzazioni terroristiche.
Ci si chiede poi quale sia il
suo consenso di massa e su
come mai noi atei e comunisti
possiamo fare fronte unito con
chi fa del fanatismo religioso il
cavallo di battaglia compie stragi di civili e innocenti in nome di
dio, che predica e ostenta una
cultura e una visione oscurantista e reazionaria. E ancora, si
chiede il compagno, si può essere d’accordo con le teste tagliate e tutte le altre pratiche
ostentate dall’IS? Inoltre si domanda se, in seguito agli attacchi di Parigi e al profondo eco
generale provocato, fosse corretto il minuto di silenzio e il canto della Marsigliese, a cui siamo
stati chiamati in tutte le manifestazioni pubbliche.
Infine, il nostro simpatizzante sottolinea come sia molto importante confrontarsi in modo
schietto con i compagni del
PMLI.
Gli imperialismi americano,
europeo e russo con la loro ingerenza negli affari interni dei
paesi come Libia, Iraq, Afghanistan, ecc. pur di raggiungere
i loro scopi economici, egemonici, di rapina, politici e militari,
non disdegnano di destabilizzare questi Stati, sfruttando le loro
contraddizioni interne per dividere il popolo all’interno di essi,
mettere gli uni contro gli altri. Si
arrogano il diritto di intervenire
militarmente con il pretesto di
portare la pace e la democrazia. Una scusa alquanto falsa e
ignobile per nascondere il loro
ben preciso e meditato obbiettivo, che è quello di dominare
questi popoli e togliergli il diritto
alla sovranità, alla loro indipendenza, alla loro autonomia, impadronirsi delle loro materie prime, creando governi fantoccio
per usare questi popoli come
carne da macello, come alleati
nella guerra interimperialista per
spartirsi il mondo. Tutto questo
dopo aver sconfitto militarmente
l’IS che si oppone a questo miserabile piano imperialista e che
sta lottando per l’unione dei popoli e la loro sovranità.
L’IS ha un consenso di massa
e ciò è dovuto alla politica economica e sociale nei confronti
del popolo attraverso le sue istituzioni. Ciò è chiaro nel rapporto
del compagno Erne alla 5° Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI, pubblicato
sul n. 35/2015 de “Il Bolscevico”
e che parla della situazione internazionale.
Il fatto che l’IS strumentalizza il fanatismo religioso per
compiere stragi di civli innocenti in nome di dio, che predica e
ostenta una cultura oscurantista e reazionaria che taglia le
teste ai prigionieri, non lo condividiamo, né io né il PMLI. Noi
appoggiamo lo Stato islamico
esclusivamente perché è contro ogni aggressione imperialista. Io credo che, se l’imperialismo si ritirasse dai paesi che ha
occupato, ritornerebbe la pace
tra i popoli, finirebbero gli attentati kamikaze che provocano vittime innocenti. Purtroppo
l’imperialismo non rinuncia alla
sua ingordigia di rapinare e opprimere i popoli, cosicché per
farlo demordere bisogna combattere con le armi, magari facendo errori madornali, non giustificabili. Ma se guardiamo tutto
quello che ha fatto e continua a
fare l’imperialismo io dico che
anche quest’ultimo usa metodi
terroristi. Ne potrei citare a decine, ma ne cito solo alcuni. Le
bombe atomiche americane su
Hiroshima e Nagasaki, su due
città giapponesi nella Seconda guerra mondiale. I bombardamenti degli americani a tappeto in Vietnam, l’eccidio di un
milione di comunisti in Indonesia e tantissimi altri, come i bombardamenti francesi in Libia, per
abbattere Gheddafi, quelli contro l’Iraq, l’Afghanistan dei paesi
imperialisti europei e americani
della Nato per colpire gli Jiadisti
dello Stato islamico, che hanno
mietuto migliaia di vittime anche
civili tra i sostenitori dell’IS, con
l’uso vigliacco dei droni per evitare perdite di militari alla Santa
alleanza imperialista.
È una guerra che non si combatte ad armi pari tra l’IS e l’imperialismo dal punto di vista
militare, è inoltre una guerra mediatica violenta anti IS, scatenata dai mass-media occidentali che descrivono gli islamisti
come feroci sanguinari aggressori quando, invece, veri aggressori sanguinari sono gli imperialisti. Ieri i partigiani che si
battevano per liberare l’Italia dal
fascismo venivano definiti ribelli, oggi l’imperialismo definisce i
combattenti dell’IS “terroristi”.
Credo che sia doveroso osservare un minuto di silenzio per
le vittime civili innocenti, ma è altrettanto giusto farlo per le vittime civili innocenti uccise senza
pietà dai bombardamenti a tappeto della Santa alleanza. Purtroppo, queste vittime sono la
conseguenza non solo dell’interventismo imperialista internazionale, ma anche di tutti i governi
che fanno gli interessi economici della borghesia e del capitalismo. Inoltre sono la conseguenza della caduta del socialismo
in URSS e in Cina e nei paesi
dell’Est, provocata dal tradimento dei comunisti revisionisti, che
a partire dal 20° congresso del
PCUS hanno abbandonato il
marxismo-leninismo e imboccato la strada del capitalismo, del
liberismo, del parlamentarismo
borghesi.
Perché dobbiamo gloria eterna a Mao
di Maurizio –
Figline Valdarno (Firenze)
Studiando l’Editoriale de “Il
Bolscevico” in occasione del
122° anniversario della nascita di Mao si parla della battaglia antirevisionista che Mao ha
condotto contro quel mostro di
Deng Xiaoping. In questi scritti,
se si ha un minimo di cognizione, non si può non considerare
il revisionismo, che non è altro
che opportunismo ideologico di
estrema destra come purtroppo
vediamo nella Cina di oggi, la
più grande infezione ideologica
che ha corrotto e che vuole ancora corrompere la scienza del
marxismo-leninismo-pensiero
di Mao. Il revisionismo ha voluto scavare un tunnel nel marxismo-leninismo per infettarlo del
suo virus borghese fascista, antisocialista, escludendo la lotta
di classe, la dittatura del proletariato, cancellare l’insurrezione rivoluzionaria per sedere al tavolo coi propri nemici (nemici del
proletariato ovvio) e opprimere
lo stesso proletariato. Il revisionismo è profondamente reazionario.
Fin dall’inizio del marxismo
ha voluto corrompere la scienza marxista-leninista mutando
e nascondendosi come un serpente per attaccare al momento
giusto. Questa piaga ha infettato tutto l’allora mondo socialista
specie dopo la morte di Stalin e
Mao, facendo sì di interrompere
quel grande capolavoro che era
il socialismo in Urss con Lenin e
Stalin e poi in Cina con Mao.
L’Editoriale dà i nomi di questo revisionismo tra cui il primo Liu Shaoqi, Deng Xiaoping
il peggiore di tutti e il maggiore
responsabile di aver gettato la
Speciale
Mao
Settimanale
Fondato il 15 dicembre 1969
Nuova serie - Anno XXXX - N. 1 - 7 gennaio 2016
1893 - 26 Dicembre - 2015. 122° Anniversario della nascita di Mao
Studiamo la battaglia antirevisionista
di Mao contro Deng per tenere il PMLI
rosso e combattere il revisionismo
A Pechino, il 18 agosto 1966 Mao passa in rassegna, per la prima volta, il potente esercito della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria dalla Torre della Porta di piazza Tian Anmen
N1/2016
Cina ai cannibali fascisti, imperialisti, capitalisti senza scrupoli creando non solo un sistema
anticomunista ma anche antiumano, poi Lin Biao, ecc. non li
citiamo tutti.
Mao, come si legge da questi
scritti, fino all’ultimo, malgrado
la salute e l’età, ha fatto di tutto per salvare la Cina non solo
dalla perdita del socialismo ma
anche per impedire che si tra-
sformasse in qualcosa di mostruoso (come si vede oggi il
paese più inquinatore insieme agli Usa del mondo). Mao
e il popolo cinese rivoluzionario
non avevano combattuto perché poi la Cina si trasformasse in peggio di chi avevano abbattuto. Non avevano compiuto
migliaia e migliaia di km nella
gloriosa Lunga Marcia, sotto
i bombardamenti aerei, con la
fame il freddo e ogni genere di
privazione per combattere l’imperialismo giapponese fascista
e poi il fascismo del Kuomintang guidato da quel nazista di
Chiang Kai-Shech per vedere
la Cina diventare la cloaca del
fascismo capitalista imperialista, No! Non avevano sacrificato la loro vita per questo.
Bene compagni combattiamo
questa malattia con le medicine
che ci hanno lasciato in eredità
i gloriosi Maestri, sia all’interno
del Partito che nella nostra vita
quotidiana. Come ha detto qualche giorno fa il compagno Enrico Chiavacci, il comunismo non
può morire, non soccomberà anche se i borghesi come il nuovo duce Renzi lo contrasteranno
sempre.
Ogni marxista-leninista deve
essere nemico implacabile di
ogni revisionismo che possa attaccare o infettare la scienza
marxista-leninista come ha fatto
Mao fino all’ultimo, continuando
a seguire la linea rivoluzionaria
del PMLI per un avvenire radioso.
Concludo con un passo di
Mao in risposta ad ogni revisionismo
anti-marxista-leninista, che fece al Soviet Supremo
dell’Urss il 6 novembre del 1957
in occasione del 40° anniversario della Rivoluzione bolscevica: “Il sistema socialista finirà
con il sostituire quello capitalista. È una legge oggettiva indipendente dalla volontà umana. Per quanti sforzi facciano i
reazionari per impedire che la
ruota della storia avanzi, la rivoluzione presto o tardi scoppierà e finirà certo per trionfare”. E il socialismo trionferà.
E’ morto
quell’imbroglione, fascista
e golpista di Gelli
Licio Gelli, furfante, intrigante, imbroglione, fascista (ancora di recente aveva dichiarato di
essere “sempre stato fascista”),
golpista (pur se non condannato), fondatore della loggia massonica P2, anch’essa passata quasi
incolume dal giudizio della magistratura italiana, complottista (già
in Argentina, dapprima con Juan
Domingo Peron, poi con Viola e
Videla), muore portandosi dietro
un passato fascista (peraltro ben
interpretato, purtroppo, da Craxi, Berlusconi, ora Renzi e da chi
manovra i burattini e sappiamo
che si tratta dei “grandi” del capitalismo), legato alle stragi, non
solo ma soprattutto a quella di
Bologna del 2 agosto 1980.
Ricordo un fatto personalmente: a Bologna, in Piazza Maggiore, per tre anni è stato proposto,
d’estate, un documentario sulla strage del 1980 e i realizzatori
erano riusciti a penetrare in Villa
Wanda, ad Arezzo, la residenza
del “boss”, intervistandolo. Sua
unica dichiarazione sulle cause
della strage: “certamente è stata
una cicca”. Boato tra gli spettatori,
ma ci sarebbe voluto qualcos’altro, un grido forte d’indignazione.
Eugen Galasso - Firenze
Molto interessante il n° 1
de “Il Bolscevico”
Ho letto il n° 1 del 2016 de “Il
Bolscevico” su Mao. L’ho trovato
molto interessante perché, onestamente, non conoscevo molto
di ciò che vi ho letto quindi è stato
uno spunto interessante per proseguire la ricerca sulla Cina.
Alessandro – Cervia (Ravenna)
Rossi auguri
Rossi auguri 2016 alle compagne e ai compagni!
Claudio – Modena
Auguri a tutti i compagni
Auguri a tutte le compagne e a
tutti i compagni di buon 2016 profondamente rosso e marxista-leninista.
Saluti comunisti.
Maurizio –
Figline Valdarno (Firenze)
SOLO L’ASTENSIONISMO
e’ IL VERO VOTO UTILE
AL PROLETARIATO
Studiando l’opuscolo n.
8 del compagno Segretario
generale Giovanni Scuderi, come non può colpire la
sua considerazione da sempre attuale: “I marxisti-leninisti
di tutto il mondo fin dai tempi di Marx ed Engels, e grazie
ai loro insegnamenti, pur coscienti del pericolo del ‘cretinismo parlamentare’, che
consiste nel credere di poter
arrivare al socialismo conquistando la maggioranza elettorale e per via parlamentare,
hanno in passato utilizzato,
quando hanno potuto e per
motivi tattici, anche la tribuna elettorale per combattere
la borghesia e il capitalismo,
ma mai nel corso di una rivoluzione e sempre in subordine
alla lotta di classe e facendo
ben attenzione a non creare
illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e pacifiste nelle masse. Ben diverso è stato
l’atteggiamento dei revisionisti
e dei falsi comunisti”.
D’altronde ben si sa quale
è stata la parabola discendente del più grande partito comunista dell’occidente, il PCI,
il grande ingannatore del proletariato (PCI, PDS, DS, PD).
Quelli di Asterix erano sim-
paticissimi fumetti di qualche
anno fa; li abbiamo rivissuti in
dicembre grazie ai telegiornali che inquadravano gli avvenimenti della Leopolda piddina a Firenze: il “popolo” riunito
che urlava in estasi: “Ave Caesar” e il nuovo duce, nonché
Cesare di turno: “Ave me”.
Facile il raffronto: quelli dei fumetti erano veri Galli mentre
quelli in tv erano veri pollacchiotti d’allevamento. Non se
ne sono ancora accorti. Noi
del PMLI ce ne siamo accorti e abbiamo fatto nostro l’impegno di votare per il PMLI e
il socialismo astenendoci e facendo impegnate campagne
elettorali per l’astensionismo.
I vari cialtroni che starnazzano in Grecia con Syriza, in
Spagna con Podemos, in Italia
con i vendoliani, i ferreriani e i
falsi comunisti vari, non fanno
altro che fare un grosso favore
alla borghesia al potere continuando con le loro chiacchiere
a ingannare la classe operaia.
Solo l’astensionismo è il
vero voto utile al proletariato.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Da un rapporto interno
dell’Organizzazione di
Civitavecchia (Roma) del PMLI
Richiedete la
maglietta rossa
del PMLI
Possono richiederla,
con una donazione volontaria,
i militanti, i simpatizzanti e i
sostenitori del PMLI
La donazione va inviata con versamento su conto
corrente postale n. 85842383 intestato a:
PMLI - via Antonio del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
10 il bolscevico / divisioni tra islamici
N. 3 - 21 gennaio 2016
Dal Rapporto di Erne alla 5ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI
Le divisioni tra gli islamici
Di seguito il capitolo “Le divisioni tra gli islamici” contenuto nel Rapporto del compagno Erne sull’attuale situazione
internazionale e la lotta antimperialista del PMLI, presentato
alla 5ª Sessione plenaria del 5°
CC del PMLI, tenuta a Firenze
l’11 ottobre 2015, pubblicato su
“Il Bolscevico” n. 38/2015.
Una gran confusione regna attualmente sul fronte dell’informazione riguardante gli islamici. Per
l’imperialismo occidentale tutti i
movimenti che gli si oppongono
sono criminali e terroristi, quando
nella realtà di volta in volta scelgono le alleanze a loro momentaneamente più favorevoli. La storia
recente ha visto l’appoggio imperialista capitanato dagli USA ai
mujahiddin afghani nella lotta di
resistenza al socialimperialismo
sovietico, per poi bombardare e
invadere lo stesso paese dopo l’attacco subito l’11 settembre 2001,
così è stato per l’Iraq di Saddam,
armato e foraggiato nell’aggressione all’allora bastione antimperialista della Repubblica islamica dell’Iran di Khomeini per poi
scaricarlo e raderlo al suolo anni
dopo con il pretesto dell’esistenza
delle fantomatiche “armi di distruzioni di massa”, fino all’appoggio odierno al governo sciita di
Al Abadi nella lotta contro lo Stato islamico, così come è stato con
Gheddafi in Libia. L’imperialismo da sempre foraggia le monarchie reazionarie del Golfo a partire dall’Arabia Saudita e sfrutta ai
propri fini le plurisecolari divisioni presenti nel mondo islamico, a
partire dalla principale che divide
sunniti da sciiti.
Le divisioni tra sunniti e sciiti
risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza
di coloro che credono nell’Islam,
i sunniti, che attualmente sono
più dell’80% di tutti i musulmani,
pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto potesse andare a qualunque musulmano
eletto per buona moralità, dottrina
e sano di corpo e di mente, mentre per gli sciiti invece il successore doveva essere esclusivamente un consanguineo del profeta.
Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che
Maometto sia il suo messaggero,
e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il mese di digiuno, il Ramadam, e il Corano,
libro sacro. Mentre i sunniti si basano sulla pratica del profeta e sui
suoi insegnamenti la “sunna”, che
prevede la direzione di un califfo,
gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come riflessi di
dio in terra, l’ Imam letteralmente “persona che sta davanti”, colui che guida la comunità islamica
negli affari spirituali, politici, materiali e sociali, immune dagli errori perché guidato dalla volontà
divina e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da
Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina.
La rivalità tra sciiti e sunniti è
scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran nel 1979, che ha portato
all’instaurazione di una teocrazia
islamica sciita in forte contrapposizione con tutti i paesi del Golfo Persico governati dai sunniti.
Quella che viene definita “mezzaluna sciita” oggi parte dall’Iran,
passa dall’Iraq e dal regime di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano, in Kuwait e nello
Yemen, e si oppone al blocco sunnita guidato dall’Arabia Saudita.
L’attuale bastione antimperialista islamico, lo Stato islamico proclamato il 29 giugno del 2014, è
sunnita, come sunniti sono i miliziani di Al Qaeda.
Seppur gli avvenimenti dello
scorso gennaio in Francia sembrerebbero dimostrare analogie e
contatti tra i due gruppi, l’attacco alla rivista islamofobica “Charlie Hebdo” è stato rivendicato da
Al Qaeda e compiuto da due miliziani dell’organizzazione dello
Yemen, mentre l’attentatore del
supermercato kosher parigino ha
proclamato di aver giurato fedeltà
al capo dei musulmani, il Califfo
Abu Bakr al-Baghdadi.
Prioritario per Al Qaeda è sempre stato colpire il “nemico lontano” cioè l’occidente imperialista
con azioni terroristiche, mentre
l’IS mira a consolidare i propri
successi a livello regionale e locale. Ogni provincia ha il suo emiro capo al tempo stesso politico e
militare.
Già prima della fulminea avanzata dell’Is in Iraq era stato lo stesso capo di Al Qaeda Al Zawahiri a
mandare segnali di avvicinamento
al Califfo in nome di una lotta comune che allora era verso il regime di Assad in Siria e oggi contro
la coalizione internazionale guidata dagli USA di Obama, ma i fatti recenti hanno dimostrato la temporanea impossibilità di fusione a
livello di movimento e dirigenze.
Entrambi sono gruppi jihadisti
sunniti. I loro obiettivi finali sono
identici: eliminazione dell’influenza occidentale nel mondo
islamico; unità dell’Umma sotto
un Califfo, autorità sia politica che
religiosa; eliminazione degli attuali regimi “apostati” e dei gruppi
che non accettano l’interpretazione radicale dell’Islam, propria dello jidaismo; superiorità della sharia, la legge islamica, sulla “legge
degli uomini”. Entrambe le organizzazioni hanno tendenze universali e reclutano combattenti stranieri. Il maggior numero di questi
ultimi proviene da paesi islamici,
in prevalenza arabi, ma non mancano neppure gli europei.
Anche la loro origine e le loro
priorità strategiche sono differenti. Al Qaeda, “la base”, nasce dalla mobilitazione dei mujaiddin,
reduci dalla lotta di liberazione
contro l’occupazione del socialimperialismo sovietico dell’Afghanistan. Fu creata da Osama
Bin Laden come un’organizzazione inizialmente molto centralizzata, appoggiata di fatto dal regime
talebano di Kabul. La sua strategia
dava e dà ancora priorità all’attacco contro il nemico esterno, cioè
l’Occidente, in particolare contro
gli USA definiti “il grande Satana”. Solo dopo il loro ritiro sarebbe possibile la presa del potere da
parte degli jihadisti. Le capacità
operative, addestrative e logistiche di Al Qaeda sono state fortemente ridotte dagli attacchi militari americani dopo l’attacco dell’11
settembre, fino all’uccisione illegale di Bin Laden in Pakistan.
Di fatto Al Qaeda non esiste più
come organizzazione centralizzata. Le capacità operative sono state assorbite da vari gruppi regionali, che lottano per ragioni locali,
con l’eccezione di quello della Penisola arabica che dallo Yemen
La distribuzione geografica dei sunniti e degli sciiti
adotta una strategia più globale. Il
suo capo, l’egiziano Aymat al Zawahiri non possiede il carisma di
Bin Laden e la direzione centrale
ha perso la capacità di effettuare
attacchi sofisticati e massicci. Gli
affiliati di Al Qaeda agiscono in
Occidente in piccoli gruppi, costituiti soprattutto su base familiare,
difficilmente infiltrabili dai servizi segreti dell’imperialismo, o con
singoli.
L’IS nasce invece con il nome
di Al Qaeda in Iraq nelle province
sunnite dell’Iraq (Anbar, Ninive e
Kirkuk) per opporsi all’aggressione americana. Dopo l’11 settembre
tra le montagne dell’Afghanistan
nasceva l’alleanza tra il giordano
Al Zarkawi e il saudita Bin Laden,
malgrado le divergenze in termini
di visioni ed obiettivi. Al Zarkawi puntava ad estendere l’influenza dell’Islam sunnita partendo dal
Medio Oriente, da una base territoriale, Bin Laden aveva obiettivi territoriali meno concreti e una
battaglia più idealista e globale: la
lotta e l’odio per l’Occidente corrotto. Fu proprio l’odio per l’Occidente però il collante che spinse Al Qaeda nel 2004 a sostenere
la lotta in Iraq di Al Zarkawi contro le truppe occidentali. Un sostegno sopravvissuto all’uccisione di Al Zarkawi in un raid aereo
statunitense nel 2006, a cui subentrò prima Abu Omar al Qurashi al
Baghdadi e poi nel 2010 l’attuale
califfo. La sua rinascita fu dovuta soprattutto alla politica settaria
dell’allora premier iracheno fantoccio degli USA Nouri Al Maliki, discriminatoria nei riguardi dei
sunniti che fino a Saddam aveva-
no dominato il paese. Fu sostenuto dall’appoggio crescente di masse locali e assunse prima il nome
di Stato Islamico dell’Iraq (ISI) e
quando scoppiò il conflitto in Siria, quello di ISIS (detto anche
ISIL, in arabo Daesh), Stato Islamico dell’Iraq e della Siria o del
Levante. Il suo leader, Abu Bakr
Al Baghdadi inizialmente cooperò con altre formazioni al qaediste che operavano contro il regime di Damasco, in particolare con
Jabhat al Nursa (Fronte della vittoria). Dopo le travolgenti vittorie conseguite nel Nord dell’Iraq
Al Baghadi il 29 giugno 2014 ha
proclamato lo Stato islamico transfrontaliero fra Iraq e Siria, di cui
si è autoproclamato Califfo assumendo il nome di Ibrahim. Concentrò conseguentemente la lotta
delle sue milizie contro il “nemico
vicino” per allargare il proprio territorio. I rapidi successi nelle province sia occidentali sia settentrionali dell’Iraq furono resi possibili
dall’appoggio delle milizie sunnite e di molti ex ufficiali di Saddam. L’IS ha sempre avuto una solida base finanziaria. Inizialmente
i fondi provennero dai paesi del
Golfo preoccupati dalla leadership
sciita di Baghdad e dall’alleanza
che si stava consolidando tra questa e l’Iran sciita. Successivamente si è accresciuto enormemente
con il sequestro dei depositi bancari delle città conquistate in Iraq
e in Siria, con la vendita di petrolio e di opere d’arte, con le tasse
sui territori conquistati e con i proventi del pagamento dei riscatti.
A differenza di Al Qaeda dunque l’IS possiede un territorio, ha
dimostrato eccellenti qualità non
solo militari, ma anche amministrative e sofisticate capacità mediatiche. Militarmente dispone di
comandanti capaci, la sua forza
militare regolare è caratterizzata
da estrema flessibilità tattica. E’
in grado di impiegare gli armamenti pesanti strappati all’esercito
iracheno o siriano in fuga da Mosul e dalle altre città conquistate.
Il 17 maggio scorso la conquista
della città irachena di Ramadi e il
21 maggio quella siriana di Palmira dopo diversi giorni di combattimento hanno dimostrato tutto ciò.
Al-Raqqa in Siria è di fatto la
capitale dello Stato islamico. Le
istituzioni, restaurate e ricostruite, stanno fornendo servizi. La
diga della capitale continua a fornire acqua ed energia elettrica. La
polizia e i soldati combattenti dello Stato islamico provenienti da
qualsiasi parte del mondo ricevono alloggi confiscati ai musulmani
non sunniti oppure abbandonati.
Vengono forniti i servizi di welfare e viene praticato il controllo dei
prezzi, ai benestanti vengono imposte tasse personali. Non esistono bollette dell’acqua e della luce
fornite gratuitamente, ogni mese
una fornitura alimentare completa
viene data ai meno abbienti, le visite mediche e i farmaci sono gratuiti.
Lo Stato islamico non riconosce l’Onu, che ha “depredato la
Palestina e istituito lo Stato d’Israele”, non accetta il Fondo monetario internazionale che ha messo
il cappio al collo alle nazioni musulmane con milioni di dollari di
debito.
Lo Stato islamico ha abbattuto fisicamente il confine tra Siria
e Iraq come definito dall’accordo
Sykes-Picot, ufficialmente Accordo sull’Asia Minore, un accordo segreto siglato il 16 maggio 1916 tra i governi del Regno
Unito e della Francia che definiva le rispettive sfere d’influenza
nel Medioriente in seguito alla
sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale
imperialista. Attualmente occupa un territorio grande quanto il
Regno Unito. Con le alleanze e
le richieste di associazione al califfato lo Stato islamico ha messo piede anche in Africa a partire
dalla Libia, dove la città di Derna, conquistata dai jihadisti libici
di Ansar Al Sharia nell’aprile del
2014, ha aderito dall’ottobre dello stesso anno allo Stato islamico. Così come hanno fatto le città
di Zuara e Sirte.
Etichettati anch’essi come una
massa di terroristi e criminali sanguinari, in Africa la giuda dell’antimperialismo islamico è rappresentata da Boko Haram.
Dall’arabo “L’educazione occidentale è peccato”, Boko Haram
è stata fondata nel 2002 dal religioso Mohammed Yusuf per combattere il regime nigeriano al servizio dell’imperialismo. Con un
esercito di 280mila uomini addestrati per la maggior parte dai talebani afghani, dopo aver giurato
fedeltà a Al Qaeda ha ricevuto oltre 3 milioni di dollari da Bin Laden, il gruppo ha iniziato la sua
lotta nella parte settentrionale del
grande Paese africano dove i musulmani sono la maggioranza. Nel
2009 dopo l’uccisione di Yusuf in
una operazione militare governativa, alla sua guida è arrivato l’attuale leader, Abubakar Shekau che
ha giurato fedeltà allo Stato islamico.
Dalla parte dell’IS stanno anche le “Brigate di sunniti liberi di Baalbeck” in Libano, Ansar
Beit Al Maqdis nel Sinai egiziano,
Tehrik - e - Khilafat in Pakistan,
Afghanistan, India, Turkmenistan
e Uzbekistan, Biff (Bergsamaro
Islamic Freedom Fighters) nelle Filippine. Mentre esistono una
miriade di altri gruppi, in origine
alleati di Al Quaeda, che si sono
divisi sull’appoggio all’IS.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 13/1/2016
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
esteri / il bolscevico 11
N. 3 - 21 gennaio 2016
Dopo l’esecuzione di un leader sciita
Braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran per
l’egemonia
regionale
Aumentano i pericoli di guerra
Lo scorso 2 gennaio in 12
diverse città dell’Arabia Saudita
sono state effettuate 47 esecuzioni riguardanti per lo più militanti
di al Qaeda, 43 condannati per gli
attentati compiuti nel paese tra il
2003 e il 2005; tra gli altri è stato
ucciso Nimr al-Nimr, un religioso
sciita leader delle proteste nella
regione di Qatif in prigione da tre
anni. E proprio la sua esecuzione
è stata letta per quello che era,
non tanto una guerra di religione
tra le due correnti dell’Islam, le
confessioni sciita e sunnita, ma
una sfida al vicino concorrente per
l’egemonia locale, l’Iran di Rohani
appena rivitalizzato dall’accordo
sul nucleare con Obama.
La protesta iraniana partiva
dalla condanna dell’esecuzione
da parte della guida suprema
Ali Khamenei e da un assalto
all’ambasciata saudita a Teheran,
condannata dal presidente Roha-
ni; il 3 gennaio Riad rompeva le
relazioni diplomatiche con Teheran, seguita da Bahrain e Sudan,
espellendo i funzionari iraniani
e ritirando i propri dalla capitale
persiana; il 4 gennaio sospendeva tutti i voli da e verso l’Iran.
Il vecchio re saudita Abdullah
aveva reagito alla Primavera araba finanziando le controrivoluzioni in Nord Africa, in opposizione
a Qatar e Turchia; il successore
Salman, a fronte del cambio di
priorità dato dagli Usa di Obama
che favorivano l’uscita dall’isolamento dell’Iran, apriva la guerra
diretta in Yemen contro i ribelli
houthi, appoggiati da Teheran, e
recuperando l’alleanza con la Turchia di Erdogan e il Qatar sembra
puntare a uno scontro con la Repubblica islamica; quantomeno
per fermarne l’ascesa a potenza
regionale, una volta che è ancora più forte per l’asse stretto con
la Russia di Putin e i favori del
governo sciita di Baghdad che
comunque opera ancora sotto la
tutela degli Usa.
I problemi dell’Arabia Saudita
cominciano a essere diversi, a
partire dalla crisi economica causata dalla diminuzione dei prezzi
del petrolio. A fine 2015 il governo di Riad rendeva noto il deficit
di bilancio pari a 98 miliardi di
dollari, un record negativo per la
petromonarchia che fonda l’85%
delle proprie entrate sulla vendita
di greggio. E nel settore energetico dovrà far fronte alla concorrenza iraniana una volta che Teheran potrà riprendere appieno
l’esportazione del greggio.
L’Iran, detentore della quarta
riserva mondiale di petrolio, dopo
l’accordo con gli Usa sul nucleare
dello scorso luglio dovrebbe veder superate le sanzioni nel corso
del 2016 e può tornare a mette-
re sul mercato fino a 1 milione
di barili al giorno; non ci sono
problemi per Teheran se il prezzo del greggio per questa nuova
immissione di prodotto potrebbe
calare ancora perché, secondo il
delegato iraniano all’Opec, il costo di produzione per barile può
scendere senza problemi sotto i
10 dollari al barile; un prezzo che
farebbe diventare una voragine il
deficit saudita.
Questi sviluppi della guerra
del greggio tra l’altro colpirebbero
poco le finanze della Stato islamico (Is) che, dopo gli attacchi portati soprattutto dai caccia russi
alle vie di commercio del greggio,
secondo alcuni economisti ha
dallo scorso ottobre diversificato
le proprie fonti di entrate.
Proprio nella guerra allo Stato islamico Teheran si è conquistata la fiducia dell’imperialismo
americano; una volta che Obama
aveva deciso di disimpegnarsi in
parte dallo scenario mediorientale per concentrarsi nel Pacifico
si è costruito una nuova alleanza
con l’Iran di Rohani a fianco degli alleati storici Israele e Arabia
Saudita.
Re Salman ha reagito tra l’altro con l’annuncio a fine 2015
della formazione di una coalizione di 34 Paesi musulmani contro il terrorismo, intendendo non
solo quello dell’Is ma soprattutto
quello di provenienza sciita, leggi
iraniana. E con le esecuzioni del 2
gennaio ha platealmente rilanciato lo scontro politico, non certo
guerra di religione, con Teheran,
in condizioni molto diverse da
quando si è innescato la prima
volta con la rivoluzione antimperialista islamica del 1979. Aumentando anzitutto i pericoli di guerra
già ampiamente alimentati dalla
crisi mediorientale e dalla guerra
imperialista all’Is.
Elezioni politiche in Spagna
Milioni di elettori mollano il partito
al governo e il partito socialista
Gli scontenti dei partiti già sperimentati al governo virano su Podemos, una nuova illusione borghese e riformista
Il 13 gennaio si insedia il nuovo parlamento a Madrid che anzitutto elegge il presidente della Camera il cui primo compito è quello
di compilare la lista dei gruppi parlamentari da consegnare al
re Felipe VI per le consultazioni che porteranno all’affidamento
dell’incarico per la formazione del
nuovo governo. Il presidente incaricato si presenterà alla camera per
avere il voto di fiducia di almeno
176 deputati o, dopo 48 ore, con
un voto a maggioranza semplice; se entro due mesi dalla prima
votazione le Camere non avranno dato la fiducia a nessun presidente candidato saranno sciolte
automaticamente in base all’art.
88 della Costituzione e dal regolamento delle Camere e si tornerà
a votare. Questo il percorso completo di cui dovrà tenere conto re
Felipe VI alla sua prima consultazione perché il voto delle elezioni
politiche del 20 dicembre non gli
ha consegnato una situazione semplice; il risultato ha segnato la fine
di una “tradizione” in vigore dalla
fine della dittatura franchista con
la vittoria netta di uno dei principali partiti, quello popolare della
destra borghese e quello dei socialisti della “sinistra” borghese. I
candidati nei due campi sono raddoppiati, a “sinistra” con Podemos
e a destra con Ciudadanos e hanno reso complesso la formazione
di un esecutivo seppur di alleanza,
dando per scontato ma non è detto
che Pp e Psoe possano dar vita a
una grande coalizione sul modello di quelle al governo in Germania e Italia.
La battaglia elettorale tra le
quattro formazioni, in alcune regioni mescolate con formazioni locali, ha fatto da richiamo per
l’elettorato tanto che la diserzione
delle urne fa i 36 milioni di elettori
è leggermente calata sotto il 27%.
Resta comunque il primo “partito”
in Spagna dato che contemporaneamente le principali formazioni
del Pp e del Psoe hanno perso milioni di consensi.
Il Partido Popular del premier
Rajoy è calato fino al 28,7% dei
voti validi e ha ottenuto 123 seggi
in parlamento, 63 in meno rispetto
alle precedenti del 2011. Ha perso ben più di 4 milioni di voti. Il
Psoe ne ha persi “solo” 2 milioni
e ha fermato la caduta al 22% dei
voti validi conquistando 90 seggi
contro i precedenti 110; il peggiore risultato del Psoe nella sua storia. Ha per il rotto della cuffia resistito al sorpasso della formazione
crescente nella “sinistra” borghese
spagnola, Podemos che col 21%
dei voti validi ottiene 69 seggi, 42
da sola e le altre con le coalizioni
di sinistra; in una coalizione in Catalogna e nei Paesi Baschi è il primo partito. Al quarto posto Ciudadanos che col 14% dei voti validi
conquista 40 seggi.
“Oggi nasce una nuova Spagna”, commentava il leader di Podemos Pablo Iglesias; un risultato
di fatto annunciato nelle elezioni
amministrative e regionali del 24
maggio scorso quando Pp e Psoe
avevano registrato un pesante ridimensionamento e la formazione di Podemos aveva conquistato
da sola o in coalizione la guida di
quattro delle cinque più grandi città della Spagna: Madrid, Barcellona, Valencia e Saragozza.
“Oggi è morto il bipartitismo.
La Spagna ha deciso un cambio di
sistema, siamo l’antidoto contro la
corruzione e la diseguaglianza. La
nostra più importante riforma sarà
quella costituzionale, che è imprescindibile”, annunciava Iglesias
presentandosi come una possibile alternativa alle masse popolari spagnole colpite tra le altre da
una disoccupazione alle stelle e da
tassi di disuguaglianza sociale tra
i più alti della Ue per effetto anche delle politiche liberiste applicate meticolosamente dal governo
di destra di Rajoy.
Certo Podemos, che è nata dal
movimento degli Indignados, ha
raccolto i consensi degli scontenti
dei partiti già sperimentati al governo e in particolare della sinistra
del Psoe o di altre formazioni di
opposizione come Izquierda Unida ma non rappresenta altro che
una nuova illusione borghese e riformista.
Nel tempo la formazione si è
evoluta da megafono dell’indignazione a aspirante di governo, eliminando pezzi del suo programma originale. Podemos non parla
più di non pagare il debito pubblico contratto con la Ue e le banche
né di uscire dalla Nato e un ex generale vicino al Psoe si è unito al
partito ed è stato designato come
eventuale ministro della Difesa; ha cancellato l’abbassamento
dell’età pensionabile che è torna-
ta a 65 anni mentre il sussidio universale si è trasformato in un assegno integrativo per famiglie che
vivono sotto la soglia di povertà.
Una evoluzione che ha ancora
più avvicinato Podemos alla Syriza di Alexis Tsipras; il primo ministro greco ha salutato l’affermazione del suo alleato europeo
affermando che “la politica di austerity è stata politicamente punita in Spagna” e che “la nostra lotta ora è giustificata, l’Europa sta
cambiando”. Subito dopo il commento sul voto di Madrid Tsipras
ha inviato a Bruxelles il piano
per un pesante taglio alle pensioni così come voleva la Ue per dargli le rate dei finanziamenti. La Ue
cambia in peggio, con la copertura
di formazioni come Syruza e Podemos.
“il manifesto” trotzkista si aggrappa a Podemos, prima pagina del 22
dicembre 2015
Contro i migranti Svezia e Danimarca
blindano le frontiere
La politica dei muri contro i
migranti continua a essere la linea portante dei paesi europei,
dell’Unione euroea (Ue) come dei
singoli paesi, una politica sbagliata e tantopiù inutile. L’ultima
decisione in tal senso è quella
annunciata il 4 gennaio dal governo di Stoccolma che giustificandolo come un tentativo di
fermare il flusso di migranti in
arrivo dalla vicina Danimarca,
decideva di ripristinare i controlli alla frontiera e chiedeva all’Ue
l’esenzione temporanea dal trattato di Schengen che determina
la libera circolazione all’interno
delle frontiere tra i paesi chi vi
aderiscono. Poche ore dopo era
governo conservatore di Copenhagen a decretare la chiusura
fino al 14 gennaio del confine a
sud con la Germania per tentare
di spostare il problema migranti
fuori delle sue frontiere. La ministra danese Stojberg dichiarava
che “la Danimarca non vuole diventare la destinazione finale per
migliaia di rifugiati”.
Le decisione del governo svedese determina che chiunque
voglia entrare nel paese dovrà
mostrare i documenti sia che
viaggi in traghetto che in pullman
all’entrata del ponte di Oresund
che collega Copenhagen con la
città svedese di Malmo. Le persone senza documenti verranno
rimandate indietro. Una misura
che ha subito determinato lunghe code alla verifica documenti
da parte delle migliaia di pendolari che ogni giorno attraversano
il confine. Il governo svedese
aveva tentato di far svolgere le
funzioni di polizia alle compagnie
di trasporto varando all’inizio
dell’anno una legge che imponeva loro di controllare che tutti
i passeggeri fossero in possesso
di un documento valido, prevedendo multe in caso di inadem-
pienza ma erano state per prime
le ferrovie di stato a opporsi e
a bloccare i colegamenti con la
Danimarca.
Il ministro svedese all’Immigrazione Morgan Johansson
affermava che “siamo il Paese
che per anni ha preso il numero
più alto di profughi pro capite.
Ne sono arrivati 115 mila solo
negli ultimi 4 mesi e 26 mila minori non accompagnati”, adesso
però chiedeva “delle misure per
rallentare il flusso su quella che
diventata un’autostrada” sulla
via dei Balcani e per “rafforzare
le frontiere esterne”.
Questi argomenti erano trattati nel vertice d’urgenza convocato per il 5 gennaio a Bruxelles
fra il commissario Ue, Dimitris
Avramopoulos, i ministri svedese
e danese all’Immigrazione Morgan Johansson e Inger Stojberg,
e il ministro degli Interni tedesco
Schroeder.
“Il controllo delle frontiere
esterne non funziona, in particolare tra Grecia e Turchia. Le
registrazioni non vengono fatte.
Eurodac non viene applicato. I
ricollocamenti non vanno avanti”
accusava Schroeder che richiamava la necessità di applicare le
misure Ue in materia di immigrazione. “Fino a quando le regole
sull’asilo Ue non saranno rispettate e non verranno messe in pratica le soluzioni europee per far
fronte alla pressione migratoria,
gli Stati membri daranno risposte
singole” affermava giustificando
le decisioni di Svezia e Danimarca sulla blindatura, seppur provvisoria, delle frontiere.
Senza contare che sono state
sospese le regole di Schengen in
Germania nel settembre scorso
con la reintroduzione temporanea di controlli alla frontiera con
l’Austria per arginare il flusso dei
migranti.
12 il bolscevico / esteri
N. 3 - 21 gennaio 2016
Il Consiglio di sicurezza unito
per combattere le finanze dell’IS
Il Consiglio di sicurezza
dell’Onu imperialista ha approvato all’unanimità una risoluzione per spezzare le reni allo Stato
islamico, colpendolo nelle risorse e nei canali finanziari. Il testo
della risoluzione di guerra 2253,
contenente oltre l’introduzione
ben 99 punti in 28 pagine, principali fautori Usa e Russia e tra
gli sponsor il governo Renzi, è
stato discusso il 17 dicembre, in
una riunione inusuale: per la prima volta nella storia, i membri
del Consiglio di sicurezza sono
stati rappresentati dai loro ministri delle Finanze, presieduti dal
titolare USA, Jack Lew.
La gravità della risoluzione dipende anche dal contesto in cui
è posizionato il testo che risponde alle norme del Capitolo 7 della Carta dell’Onu, quello cioè che
prevede una serie di passaggi formali prima dell’aggressione militare. Può essere quindi considerata oltre che nei contenuti, già
di per sé invasivi, anche formalmente una tappa verso la guerra. Particolarmente aggressiva la
Federazione Russa che, nel corso
dell’irrituale seduta, ha affermato che l’obbiettivo di sradicare IS
va perseguito “agendo insieme e
senza doppi standard”, cioè senza troppi scrupoli e passaggi formali.
Nella risoluzione si fa terra
bruciata intorno allo Stato islamico prevedendo sanzioni e provvedimenti verso gruppi e persone fisiche, inseriti in una sorta di lista
di proscrizione internazionale di
coloro che hanno avuto un qualche rapporto con l’IS. La lista di
proscrizione per specifica indicazione della mozione Consiglio di
sicurezza è di “natura preventiva”. Non bisogna cioè essere stati condannati per un qualche motivo. Vi si può finire anche sulla
base di un semplice sospetto di
transazione o appoggio finanziario o d’altro tipo all’IS. La risoluzione fa obbligo agli Stati membri di controllare e garantire “che
tutti i residenti sul proprio territorio non commercino con IS né
direttamente, né indirettamente
in olio, raffinerie modulari e prodotti chimici, lubrificanti e risorse naturali”.
Nella lista di proscrizione
“ISIL (Da’esh) e Al-Qaida” si può
finire per una miriade di motivi:
“partecipando al finanziamento, alla progettazione, supportando la preparazione, o perpetrando
atti o attività da parte di Daesh,
in collaborazione con, in nome di,
per conto di o a sostegno di”, ma
anche per attività che prevedano
il “reclutando in favore di Daesh”
o per “il sostegno di atti o attività
di Al-Qaida, ISIL, o qualsiasi cellula, affiliata, scissionista o derivata”. In teoria, dato l’isterico integralismo della mozione, anche
vendere o acquistare un giornale
dell’IS potrebbe essere considerato supporto economico o sostegno alle sue attività.
Si legge nella risoluzione che
“ogni individuo, gruppo, impresa o entità che fornisce sostegno
all’Isis o ad Al Qaida è soggetto alle misure restrittive imposte
dalle Nazioni Unite, tra cui il congelamento dei beni, il divieto di
viaggio”. Gli verranno sequestrati i beni, anche soltanto se ha dato
supporto “per la fornitura di Internet hosting e servizi connessi,
utilizzati per il sostegno di Al-Qa-
eda, ISIL, e altri individui, gruppi, imprese o altri enti inclusi nella lista” di proscrizione.
Particolarmente grave è il passaggio in cui si vieta “l’ingresso o il transito nel loro territorio
di chiunque abbia commerciato
con l’IS a meno che “il transito
sia necessario per l’adempimento
di un procedimento giudiziario”.
La restrizione di viaggio riguarda
qualsiasi motivazione, presumibilmente anche i viaggi di chi è
in fuga dalla guerra, i viaggi per
cure o per studio, e la richiesta di
viaggio deve essere acconsentita
con delle deroghe presentate agli
Stati membri. In teoria tale restrizione a questo punto potrebbe riguardare tutti gli otto milioni di
residenti dello Stato islamico.
In una sorta di regime di po-
lizia mondiale, gli Stati membri
dell’ONU vengono esortati a intensificare le ricerche sul proprio
territorio e condividere le proprie
informazioni su eventuali relazioni con l’IS di propri residenti
o migranti. Gli Stati membri sono
incoraggiati in una sorta di identificazione e schedatura di massa
mondiale “a presentare, ove disponibili, e in conformità con la
loro legislazione nazionale, fotografie e altri dati biometrici delle
persone da inserire nel InterpolNazioni Unite”.
Al punto 22, la risoluzione
esorta gli Stati membri a contrastare la propaganda sui media Internet e sociali, “anche attraverso
lo sviluppo del contatore narrazioni efficaci”, cioè ad effettuare una mappatura degli interventi
Si è costituito a Viterbo un
“Comitato nonviolento per la revoca della decisione governativa
di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul”.Il comitato si prefigge di:
opporsi all’invio di centinaia di
soldati italiani alla diga di Mosul,
e quindi interloquire con il Governo, il Parlamento e il Presidente
della Repubblica affinché la decisione annunciata dal Presidente
del Consiglio dei Ministri sia revocata dallo stesso governo, ovvero respinta dal parlamento, ovvero non ratificata e quindi vietata
dal capo dello stato;
1) esprimere questa opposizione con l’unico scopo di salvare
vite umane;
2) agire unicamente in forme
e con metodi rigorosamente nonviolenti, assolutamente rispettosi
della dignità e dell’incolumità di
Putin ha finanziato il FN
xenofobo
e
fascista
di
Le
Pen
Anche la Lega di Salvini ha strettissimi rapporti col nuovo zar
tin e Le Pen hanno intrecciato un
filo nero di rapporti finanziari e
politici, tanto che il FN è in cima
alla lista dei partiti sostenuti dal
dittatore russo finanziariamente,
con milioni di dollari, e logisticamente con l’assistenza per manifestazioni e supporto mediatico e
pubblicitario.
Anche la Lega Nord di Salvini si prostituisce nella speranza
di entrare nel libro paga di Putin.
Si intensificano infatti negli ultimi mesi i viaggi nella Federazione
russa dei leader della Lega. Claudio D’Amico, ex parlamentare leghista, è un costante frequentatore
dei salotti putiniani, della rete televisiva di Stato russa e del network Russia Today. È in sostanza
tra i principali fautori del legame
della Lega con gli oligarchi russi.
Da tempo, cura rapporti privilegiati con il deputato della formazione fascista a sostegno di Putin
Russia Unita, Aleksej Puskov.
Con l’intento ufficiale di “stringere rapporti con la Russia” e di
dare una “corretta informazione”
su ciò che succede in Ucraina,
nell’inverno 2013/2014 fu fondata l’associazione “LombardiaRussia”, il cui presidente è Gianlu-
la barbarie dell’imperialismo che
genera barbarie”. Per evitare che
la guerra venga portata nei paesi imperialisti, compresa l’Italia,
l’unica strada è quella di cessare
la guerra allo Stato islamico.
Come alcune voci autorevoli, oltre quella del PMLI, richiedono, bisogna mettere da parte la
soluzione militare e considerare
l’idea di un riconoscimento e di
una trattativa con l’IS.
I sinceri antimperialisti, i pacifisti e tutti coloro che hanno a
cuore la pace e l’indipendenza dei
popoli, devono ribellarsi al ricatto della martellante propaganda
imperialista che demonizza l’IS
e santifica la guerra su ogni fronte all’IS per distruggerlo e così
averecampo libero per spartirsi il
Medio Oriente.
Contro l’invio di soldati a Mosul
40 milioni secondo Mediapart
Il Front National xenofobo e
fascista di Le Pen è sotto accusa in
Francia per finanziamento illecito. Da Putin, come conferma Marine Le Pen, sono arrivati almeno
9 milioni di dollari per il finanziamento delle presidenziali francesi del 2017. Denaro che il Cremlino avrebbe versato a Marine Le
Pen, leader del Front National, attraverso un prestito erogato dalla
First Czech Russian Bank, fondata nella Repubblica Ceca, ma con
base a Mosca.
Secondo quanto riportato da
un’inchiesta giornalistica, per il
prestito il gruppo dirigente del
FN avrebbe avviato contatti con
diversi “sostenitori, intermediari
e oligarchi” francesi e russi legati a Putin, tra cui Yuri Kudimov,
ex agende del KGB nel gruppo
dirigente della banca statale russa
VEB Capital.
Secondo il sito francese Mediapart, il prestito però sarebbe
ben più consistente e ammonterebbe a 40 milioni. I canali sono
ancora da accertare. E in cambio
Putin avrebbe chiesto al FN sostegno alla sua politica estera nei
confronti della Crimea.
Comunque sia, non da ora Pu-
on-line che riguardano IS, coinvolgendo addirittura in una sorta
di controllo generalizzato “la società civile e il settore privato”.
Questa risoluzione mira a colpire l’IS in quanto entità statale
con 8 milioni di abitanti, che gestisce commerci, trasporti, e non
un gruppo terroristico semplicemente finanziato dall’esterno.
Con tutta evidenza, la risoluzione di guerra, sulla scia
dell’isterica propaganda imperialista contro il “terrorismo jihadista”, avrà l’unico effetto di inasprire il controllo e la repressione
interna agli Stati membri, e di
rafforzare la spirale guerra-terrorismo. Come ha infatti chiarito per primo l’Ufficio politico del
PMLI nel comunicato stampa subito dopo gli attentati di Parigi, “è
ca Savoini, portavoce di Salvini.
Presidente onorario è Alexej Komov, il reazionario attivista antiabortista e omofobo ambasciatore
del Congresso Mondiale delle Famiglie all’Onu. Sul sito, i rappresentanti della Lega si sperticano
nelle lodi della politica di Putin.
L’associazione, che si definisce
“culturale e apartitica”, in realtà
ha il progetto politico ben preciso di sostenere i “valori” nazionalisti di stampo fascista enunciati
da Putin nel corso del meeting di
Valdai 2013: “Identità, Sovranità,
Tradizione”.
Si tratta dunque anche per la
Lega di un rapporto di natura strategica, basato su presupposti politici reazionari, che non si limita
alla costruzione di un’opposizione da destra all’EU, a sostenere la
Federazione russa contro l’Ucrania nell’interesse dell’alta borghesia russa. Quello che Putin sta costruendo, grazie all’asservimento
di una serie di partiti nazionali nazifascisti, come tali disposti a vendersi al migliore offerente straniero, è una sorta di transnazionale
fascista, anticomunista, xenofoba
e omofoba.
tutte le persone;
3) riaffermare l’opposizione a
tutte le guerre e a tutte le uccisioni;
riaffermare l’impegno a difendere la vita, la dignità e i diritti di
tutti gli esseri umani.
Alle persone ed alle associazioni che vogliono impegnarsi in
questa iniziativa per la revoca della decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla
diga di Mosul, il comitato propone:
a) di scrivere al Presidente del
Consiglio dei Ministri, ai Ministri, ai Parlamentari, al Presidente
della Repubblica per chiedere che
il governo receda da quella decisione;
b) di invitare altre istituzioni,
associazioni, persone, mezzi d’informazione ad impegnarsi al medesimo fine;
c) di promuovere incontri ed
iniziative di informazione e coscientizzazione al medesimo fine;
d) di esprimersi e di agire in
modi esclusivamente nonviolenti, nel rispetto della verità e della dignità umana di tutti gli interlocutori;
e) di essere sempre assolutamente chiari nell’opposizione a
tutte le guerre, a tutte le uccisioni, a tutte le violazioni dei diritti umani.
Il comitato non prevede formali adesioni e si configura come
mero movimento d’opinione inteso allo scopo di far revocare l’irragionevole, illegittima e pericolosissima decisione governativa
di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul. Il comitato auspica che in ogni provincia
d’Italia si costituiscano altri comitati nonviolenti per lo stesso fine
e con le stesse modalità di azione.
Comitato nonviolento
per la revoca della decisione
governativa di inviare centinaia
di soldati italiani alla diga di
Mosul, Viterbo
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di
classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove
lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove
vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali
ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le
seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª
pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
imperialismo russo / il bolscevico 13
N. 3 - 21 gennaio 2016
La nuova dottrina di Putin
sulla sicurezza della Russia:
uso della forza e guerra all’IS
Il 1° gennaio il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un
decreto che recepisce la nuova
Strategia per la sicurezza nazionale. Un piano strategico di carattere politico, economico, diplomatico e militare che era stato
varato nel 2009 e si proietta fino
al 2020, e che adesso viene aggiornato per metterlo al passo con
i molti cambiamenti avvenuti negli ultimi sei anni. Lo scopo del
piano, come recita l’inizio del documento, è quello di stabilire “gli
interessi nazionali e le priorità
strategiche nazionali della Federazione Russa, gli obiettivi di politica interna ed estera, gli obiettivi e le misure diretti a rafforzare
la sicurezza nazionale ed assicurare uno sviluppo stabile e a lungo termine del Paese”.
A questo scopo il documento
svolge un’ampia analisi della situazione internazionale, partendo
dall’assunto che gli Stati Uniti e i
loro alleati cercano oggi di “isolare la Russia, esercitando pressioni politiche, economiche, militari
e nel campo dell’informazione”,
perché il rafforzamento della
Russia e la sua politica interna e
internazionale indipendente metterebbe in pericolo la loro posizione dominante nel mondo. Da
qui la necessità per la FR, elevata a priorità nazionale, di riaffermare il suo ruolo “come una delle potenze leader mondiali, le cui
azioni sono dirette ad assicurare
la stabilità strategica e il mutuo,
vantaggioso partenariato nel contesto di un mondo multipolare”.
Il ruolo dominante
della forza
nei rapporti
internazionali
Tuttavia oggi “il processo di
formazione di un nuovo ordine
mondiale policentrico è accompagnato da una crescente instabilità regionale e globale”, riconosce il documento, che indica nello
“sviluppo globale inuguale e le
crescenti differenze tra i livelli di
benessere dei vari paesi, la lotta
per le risorse e l’accesso ai mercati, il controllo sulle rotte commerciali”, le cause dei crescenti
conflitti internazionali.
Al punto che “la potenza dei
servizi segreti è utilizzata sempre
più attivamente”, e “il ruolo della forza è ancora dominante nei
rapporti internazionali”, con una
corsa agli armamenti che indebolisce la sicurezza globale, sottolinea il documento. E ciò vale
in particolare nelle regioni euroatlantica, euro-asiatica e Asia-Pacifico. A questo riguardo, entrando nello specifico, il documento
russo punta il dito sull’espansionismo della NATO, sulle “rivoluzioni colorate” e il “rovesciamento di governi legittimi” fomentati
dagli USA e i suoi alleati, come
nel caso emblematico dell’Ucraina (e che ora rischia di riprodursi in Serbia e Macedonia) e sulla
loro politica ambigua che favorisce la nascita di movimenti “terroristici”.
Mosca, 9 maggio 2015. Putin mostra in parata un gruppo di missili balistici intercontinentali
La minaccia
della NATO e le
“rivoluzioni colorate”
Quel poco che del documento
russo è stato riportato dai grandi
media occidentali mette soprattutto l’accento sul fatto che nella
nuova Strategia di sicurezza nazionale la NATO sarebbe ritornata ad essere “il nemico” della
Russia. In realtà Putin non si spinge fino a tanto, ma si limita per
adesso a considerare “l’espansione del potenziale offensivo della
NATO” e la sua “continua espansione, e l’avvicinamento delle sue
strutture ai confini russi”, come
una “minaccia alla sicurezza nazionale”. A cui si aggiungono altre preoccupazioni, tra cui quelle
per il sistema missilistico americano dispiegato all’estero, la corsa allo sviluppo di armi strategiche non nucleari di precisione e
la militarizzazione dello spazio.
In particolare – e questa è una novità assoluta - Il documento denuncia l’espansione di una rete
di laboratori biologici militari nei
paesi confinanti con la Russia (allusione forse a Georgia, Ucraina e
Kazakhstan)
L’istigazione alle “rivoluzioni colorate” è una delle principali
minacce alla sicurezza della Russia, aggiunge poi il documento.
Esse sono fomentate dalla “attività di gruppi sociali radicali e organizzazioni che usano ideologie
religiose, nazionaliste, estremiste,
da ONG straniere e internazionali
e gruppi finanziari ed economici,
così come da privati cittadini, dirette a minare l’unità e l’integrità territoriale della Federazione
russa, destabilizzare la situazione
politica e sociale all’interno del
paese, anche attraverso ‘rivoluzioni colorate’ eterodirette, e distruggere i valori morali e spirituali della Russia”. Formulazione
abbastanza ambigua da concedere a Putin un alibi per reprimere
anche tutti i possibili tentativi di
“sovversioni interne”, come conflitti regionali, interetnici e movimenti “terroristici” all’interno
della Federazione, fino alla repressione di movimenti omosessuali, libertari, pacifisti, religiosi
non allineati con la chiesa di Stato cristiano-ortodossa, e così via.
La lotta all’IS è una
“priorità nazionale”
Tuttavia, per i vertici del
Cremlino, “la pratica di rovesciare autorità politiche legittime, provocando instabilità politica e conflitto all’interno” non
si limita all’Europa dell’Est, ma
“sta diventando sempre più diffusa in altre aree calde del mondo. E in questo quadro la nascita
dello Stato islamico rappresenta
una grave minaccia agli interessi russi.
Nascita che in qualche modo
– come dichiarato anche in un
commento a caldo al documento
da parte del segretario del Consiglio nazionale di sicurezza russo, Nikolay Patrushev, alludendo
evidentemente a USA,Turchia e
certi paesi arabi – viene imputata
alla politica di “doppio standard
che alcuni paesi seguono nella
lotta al terrorismo”. Tra l’altro
pochi giorni prima, il 21 dicembre, il summit dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), che raggruppa la
Russia e altri paesi dell’Asia centrale, aveva definito l’IS una “minaccia alla sicurezza nell’Asia
centrale” e definito un suo “obiettivo prioritario” la lotta contro lo
Stato islamico.
Le priorità nazionali
per la sicurezza
russa
Sulla base di questa analisi il
piano definisce le priorità della
nuova Strategia di sicurezza nazionale, che sono il rafforzamento
della difesa nazionale, la sicurezza
sociale e Statale, l’integrità e la sovranità territoriale, il rafforzamento del consenso nazionale, l’aumento della qualità della vita dei
cittadini, l’incremento della sanità pubblica, la protezione dell’ambiente, la conservazione e lo sviluppo della cultura e dei valori
nazionali, la crescita dell’economia e l’aumento della sua competitività, l’assestamento del rublo,
lo sviluppo della scienza, della
tecnologia e dell’educazione.
Obiettivo strategico diventa
anche “assicurare l’indipendenza alimentare” del paese, accelerando lo sviluppo dell’agricoltura e riducendo la dipendenza
dall’estero. Come anche dipendere meno dalle esportazioni di risorse energetiche e materie prime,
attrarre più investimenti stranieri, sviluppare nuove tecnologie,
creare risorse minerarie strategiche di riserva, costruire una rete
unificata di trasporti, stimolare la
crescita di piccole e medie imprese, e così via.
Inoltre la Russia si propone
di sviluppare la cooperazione con
i BRICS, in primo luogo con Cina
e India, e rafforzare la Banca asiatica di sviluppo per le infrastrutture, a cui anche la Russia ha aderito
per rompere l’egemonia occidenta-
le basata sul Fondo monetario internazionale e sulla Banca mondiale. La Russia punta a far crescere
il suo PIL affinché diventi tra i più
alti del mondo, e ciò per “incrementare la competitività e il prestigio internazionale della FR”.
Tutti propositi in apparenza
ineccepibili, ma il motore della crescita non è certo il benessere sociale, bensì come sempre
il complesso industriale militare.
Patrushev, commentando il documento di Putin, ha chiarito in proposito: “Al settore industriale e
della difesa è assegnato il ruolo di
forza trainante per la modernizzazione della produzione”.
Aperture tattiche
di Putin a USA,
UE e NATO
Con tutto ciò Putin, alle prese con una grave crisi finanziaria
ed economica aggravata dal calo
demografico, dalle sanzioni occidentali e dalla caduta dei prezzi
del petrolio e delle materie prime
su cui si basano essenzialmente
le esportazioni russe, è consapevole dello stato ancora di inferiorità militare della Russia rispetto
alla superpotenza americana ai
suoi alleati. Nonostante che tutta
l’analisi della situazione internazionale svolta nel documento dimostri di fatto l’accumulazione
dei fattori di guerra e l’inevitabilità di un conflitto tra le superpotenze per l’egemonia mondiale,
quello che gli interessa in questo
momento è che dopo l’umiliante declino dell’era GorbaciovEltsin, la Russia ritorni ad essere una superpotenza e un attore di
primo piano nei consessi internazionali, cosa che ha cominciato
già a fare con l’intervento militare in Siria in appoggio ad Assad
e contro l’IS, uscendo dall’angolo
in cui era stato messo con le sanzioni per l’Ucraina e l’accerchiamento della NATO dai Balcani al
Baltico.
Per questo offre anche delle aperture a USA, UE e NATO,
a patto che questi rispettino i legittimi interessi russi: “La Russia appoggia il rafforzamento
della cooperazione mutualmente
vantaggiosa con i paesi europei
e l’Unione Europea... allo scopo
di sviluppare un sistema trasparente di sicurezza collettiva nella
regione euro-atlantica basata su
accordi legali chiaramente definiti”, dice infatti il documento, che
poi offre di estendere tali rapporti
anche alla NATO, come anche di
discutere “un’ulteriore riduzione
del potenziale nucleare sulla base
di accordi bilaterali così come di
strutture multilaterali”.
Non solo, ma la Russia si impegna persino a utilizzare le proprie forze armate solo se necessario, dichiarando esplicitamente
di ritenerne l’impiego l’extrema
ratio in caso di fallimento di tutti gli altri tentativi di risoluzione
delle crisi, anche se recentemente, a proposito della Siria e della
lotta all’IS, Putin aveva lanciato
invece oscure minacce circa il ricorso alle armi nucleari. A dimostrazione di come certi propositi
di “pace” degli imperialisti siano puramente propagandistici e
per nulla impegnativi, ma vadano
e vengano a seconda degli umori
del momento.
Gli obiettivi
immediati
del nuovo zar
In conclusione, con questa
nuova Strategia per la sicurezza
nazionale, il nuovo zar del Cremlino lancia degli avvertimenti agli
USA e alla UE, mette dei paletti all’espansionismo della NATO
verso Est e si propone di rafforzare la Russia sul piano politico,
economico e militare e consolidare il suo potere all’interno del
paese, per invertire la tendenza
al declino e ridare alla Russia un
ruolo tra le grandi potenze mondiali e nei consessi dove si decidono le grandi questioni internazionali.
Nell’immediato punta tanto a
confrontarsi militarmente con la
superpotenza americana e i suoi
alleati europei, come è stato quasi fatto passare in certi commenti sui media occidentali, ma piuttosto ad arrivare con loro ad un
vantaggioso accordo di spartizione della Siria, concludendo la
campagna militare contro lo Stato islamico e conservando le sue
basi militari nel paese, le uniche
che gli consentono l’accesso al
Mediterraneo. Sempre che il conflitto non sfugga di mano e invece
che accordarsi tutti questi banditi che si disputano le spoglie della Siria e del Medio Oriente non
finiscano per innescare una terza
guerra mondiale.
esteri / il bolscevico 15
N. 26 - 2 luglio 2015
stampato in pr.
Per evitare
gli attacchi
terroristici
cessare di
bombardare
l’Is
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nuovi mercenari / il bolscevico 15
N. 3 - 21 gennaio 2016
I cosiddetti contractors muovono un mercato da 37,4 miliardi di dollari e contano su 1 milione e 138 mila dipendenti
Eserciti di mercenari al servizio
delle potenze imperialiste
Li chiamano “contractors” ma
in realtà si tratta di veri e propri
eserciti privati di mercenari, in
gran parte ex poliziotti o appartenenti alla forze speciali dell’esercito, marina e aeronautica, pronti
a intervenire in cambio di stipendi che superano i 10 mila euro al
mese, in tutte le zone di crisi a più
alto rischio: dall’Iraq, all’Afghanistan, dallo Yemen all’Africa,
non solo per svolgere attività di sicurezza interne, servizi di guardie
private, scorte e attività militari o
di intelligence, ma anche e soprattutto intervengono per difendere gli interessi e le attività economiche delle potenze imperialiste,
oleodotti, piantagioni, allevamenti
di bestiame e i relativi commerci
ad esse collegate.
Il settore della cosiddetta “sicurezza integrata” offerta da questa
sorta di agenzie di servizi segreti
privati è in continua espansione e
ha avuto il suo battesimo di fuoco nel 2003 durante l’aggressione della coalizione imperialista
all’Iraq guidata dagli Usa di George Bush.
Proprio in quella occasione
vennero allo scoperto anche i primi “contractors” italiani tra cui
Fabrizio Quattrocchi, il genovese che il 14 aprile del 2004 è stato ucciso con due colpi di pistola
dai guerriglieri islamici delle Falangi di Maometto, rapito alcuni
giorni prima insieme ai suoi colleghi Umberto Cupertino, Maurizio
Agliana e Salvatore Stefio.
Le regole d’ingaggio a maglie
larghissime, l’intreccio di legami e
di interessi con i vertici politici dei
vari Stati in cui è richiesto il loro
intervento e soprattutto la grande
disponibilità di denaro, pongono
le compagnie private di sicurezza
in una situazione di potere tale da
poter essere considerate alla stregua di una vera e propria entità politica statale.
È il caso ad esempio dell’unità segreta istituita da Bush subito
dopo gli attentati alle torri gemelle per uccidere i membri di Al-Qaeda. Una vera e propria missione
di killeraggio di Stato affidata alla
agenzia statunitense Blackwater.
Basti pensare che le prime dieci agenzie di reclutamento dei
Un boom iniziato nel 2003 con la guerra all’Iraq
Un’immagine di mercenari al soldo dell’imperialismo
“Rambo” a livello mondiale muovono un mercato da 37,4 miliardi
di dollari e contano su 1 milione e
138 mila reclute.
Il colosso del settore è la britannica “G4S” che vanta un fatturato di 6,8 miliardi all’anno e
conta oltre 620 mila dipendenti
sguinzagliati in giro per il mondo
tanto che nella brochure di presentazione l’azienda inglese si descrive come il “principale gruppo di
sicurezza integrata, specializzato
nella fornitura di prodotti per la sicurezza, servizi e soluzioni”.
La lista delle altre sigle che
“affollano questo nuovo ricchissimo mercato” la si fornisce Bruno Ballardini nel suo Il Marketing dell’Apocalisse: “In testa ci
sono le agenzie statunitense come
Gk Sierra, Kroll Inc, Smith Bran-
don International Inc., Stratfor,
Booz Allen Hamilton, Pinkerton
National Detective Agency, poi
le inglesi Aegis, Control Risks
Group, Hakluyt&Company, e infine la francese Geos e la spagnola Aics”.
Agenzie di “outsourcing” in
grado di fornire qualsiasi servizio di sicurezza richiesto: da quella interna al paese a quella, molto più redditizia, all’esterno, dove
la difesa degli Stati viene di fatto
privatizzata e “esternalizzata” in
settori tutti i settori a cominciare
da quelli in cui la sicurezza e il rischio sono considerati una minaccia strategica agli interessi degli
stati imperialistici.
Secondo quanto scrive ancora Ballardini, nel 2013, in Afghanistan, il 62% delle forze impie-
gate erano già contractors privati.
Dal 2001 in poi la cifra impiegata per contratti con forze di sicurezza private ruota attorno ai 200
miliardi di dollari l’anno. Risorse
che hanno permesso di costituire
“eserciti addestratissimi, virtualmente di stanza in tutto il mondo a
disposizione di governi riluttanti a
impegnare le proprie truppe”.
Recentemente la multinazionale
inglese “G4S” ha vinto un contratto
da 100 milioni di sterline (140 milioni di euro) per proteggere i militari del British Foreign e Commonwealth Office in Afghanistan
e assicurare un giacimento di gas
in Iraq. Il contratto è il secondo di
grande rilievo nel corso del 2015
dopo la gestione della sicurezza per
Alla base operano 13.500 uomini, tra cui numerosi “contractors”
I talebani uccidono 6 soldati Usa
nella base di Bagram
L’offensiva lanciata nei mesi
scorsi dai combattenti talebani
in Afghanistan contro l’occupazione imperialista capeggiata dagli Usa continua a ottenere grandi
successi soprattutto a Bagram e
nella provincia dell’Helmand.
Il 21 dicembre un convoglio
di militari afghani e statunitensi è stato colpito da un attentatore suicida a bordo di una motocicletta non lontano dalla base
aerea di Bagram. 40 km a nord di
Kabul, la base rappresenta il principale snodo logistico per le truppe statunitensi, insieme a quella
di Kandahar, assediata dai Talebani l’8 dicembre.
Bagram ospita 13.500 “funzionari della sicurezza” tra cui
molti cosiddetti “contractors”,
ossia mercenari, che fanno capo
al dipartimento della Difesa degli Usa. Il segretario alla Difesa
Ashton B. Carter ha confermato che i sei militari rimasti uccisi
sono americani. Per i Talebani, è
“un regalo di Natale”, per gli statunitensi è la perdita più ingente
da quando, alla fine del 2014, si è
conclusa formalmente la missione militare.
Nell’Helmand l’offensiva talebana va avanti da mesi. In questi
giorni si combatte per il distretto
e per la città di Sangin, dove sono
tornate a operare anche le forze
speciali inglesi che in quest’area
hanno combattuto per 13 anni su-
bendo perdite significative, prima
di ritirarsi nell’ottobre del 2014.
I successi militari ottenuti dai
talebani nel corso del 2015 li ha
riconosciuti anche il Pentagono:
su “Enhancing Security and Stability in Afghanistan”, un rapporto per il Congresso degli Usa
pubblicato a metà dicembre in
cui si parla di “sicurezza deteriorata” e di un aumento significativo degli attacchi degli insorti nel
2015.
il centro di detenzione per minori di
Kent, in Gran Bretagna, dall’importo di 50 milioni di sterline.
Il fenomeno è in grande espansione anche in Italia nonostante
che, a differenza di molti altri Paesi europei, il codice penale vieta
l’arruolamento di personale italiano al servizio di uno Stato straniero. Attualmente sono circa duecento i mercenari italiani che ogni
anno operano in zone di guerra o
ad alto rischio per difendere inte-
ressi aziendali, compagnie e Organizzazioni non governative. Oppure per difendere le navi dai pirati
nei mari africani. In qualche caso
anche per la protezione di personalità o politici locali.
Carlo Biffani, amministratore
delegato di Security Consulting
Group, una delle maggiori agenzie italiane conferma che: “Su
internet se ne trovano a decine,
ma a lavorare davvero in tutto il
mondo in Italia siamo solo in tre
o quattro”. In pratica se un’azienda deve operare in un territorio
difficile, come Africa del Nord,
Medio Oriente o America centrale (le aree considerate più pericolose al mondo), si rivolge alle società di security che gli fanno una
sorta di business plan dei rischi e
poi intervengono gli “operatori”
sul campo. Spesso si fanno anche
joint venture con agenzie a livello
locale e internazionale scambiandosi servizi, risorse e informazioni. I guadagni dei mercenari italiani vanno da un minimo di 4 a 10
mila euro al mese, secondo il tipo
di missione.
n. 38/2015 http://www.pmli.it/bolscevico.php
4 il bolscevico / governo renzi
N. 3 - 21 gennaio 2016
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N. 3 data editoriale 21 gennaio 2016