Settimanale
Fondato il 15 dicembre 1969
Nuova serie - Anno XXXIX - N. 47 - 24 dicembre 2015
Gli imperialisti americani e
russi uniti nel bombardare
l’IS, divisi per spartirsi
la Siria e il Medioriente
1879 - 21 DICEMBRE - 2015
136° ANNIVERSARIO
DELLA NASCITA DEL
GRANDE MAESTRO
DEL PROLETARIATO
INTERNAZIONALE
La Nato pronta a intervenire in Libia
Putin minaccia di usare armi nucleari.
Capo Pentagono: Siamo in guerra
Intervenendo alla Conferenza sul Mediterraneo
Con Stalin
per sempre
Contro il capitalismo per ilil socialismo
socialismo
Renzi: “Distruggere l’IS è la
priorità assoluta”
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO I droni spia italiani sui cieli dell’IS
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
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A Firenze, in occasione della
kermesse della Leopolda
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www.pmli.it
Conferenza Onu di Parigi sulle emissioni di gas serra e sul clima, sponsorizzata da banche, multinazionali e inquinatori
Nulla di fatto per frenare il cambiamento
climatico. La terra e la vita ancora in pericolo
Tutti i governi applaudono ad un accordo sostanzialmente inconsistente e pieno di promesse che possono non essere
mantenute o fatte slittare. In piazza gli ambientalisti insoddisfatti
L’unica soluzione radicale e definitiva è il socialismo PAGG. 4-5
Lavoratori
e giovani
contestano
Renzi
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Approvata dalla Camera
Al Sud stipendi
La riforma della cittadinanza è parziale e restrittiva più bassi del 30%
Limitazioni per un bambino figlio di immigrati di diventare cittadino italiano. Mantenuto l’impianto arbitrario e
punitivo dell’attuale legge
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Dieci anni dopo la Valle ancora in lotta
Imponente manifestazione
NO TAV
Ben accolto il PMLI col cartello
“Cancellare la sentenza fascista
contro i NO TAV e cancellare la
TAV. E’ giusto ribellarsi contro i
reazionari”. Lo storico leader del
movimento sottolinea “Abbiamo
resistito 10 anni ne resisteremo altri
10 e per tutto il tempo necessario
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Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. L’imponente corteo
NoTav attraversa i boschi della Valle. Si notano le insegne del PMLI (foto pubblicata sul web da Luca Perino)
Lottiamo per la piena libertà d’accesso all’istruzione
per i figli del proletariato e del popolo
Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI
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2 il bolscevico / santa alleanza imperialista contro l’Is
N. 47 - 24 dicembre 2015
Gli imperialisti americani e russi
uniti nel bombardare l’IS, divisi per
spartirsi la Siria e il Medioriente
La Nato pronta a intervenire in Libia
Putin minaccia di usare armi nucleari. Capo Pentagono: Siamo in guerra
Gettata da tempo ogni maschera diplomatica gli imperialisti
fanno ormai a gara a chi soffia di
più sul fuoco che incendia tutto il
Medio Oriente e il sud del Mediterraneo: dopo i proclami di guerra e i
forsennati bombardamenti ordinati da Hollande sulla Siria, sulla cui
scia si è subito buttato il britannico Cameron, ora sono il nuovo zar
Putin e il capofila imperialista occidentale Obama ad alzare la voce,
con proclami e minacce guerrafondaie che preannunciano una
nuova e più pericolosa escalation
del conflitto nella regione.
Il 9 dicembre, commentando soddisfatto a “Russia Today”
il lancio di missili da crociera da
un sottomarino nucleare russo di
nuova generazione incrociante
nelle acque del Mediterraneo contro Raqqa capitale dell’IS, Putin
ha sottolineato intenzionalmente
come quel tipo di missili possano
trasportare sia testate convenzionali che nucleari, aggiungendo poi
con aria volutamente minacciosa:
“Naturalmente non è necessario
quando si combattono terroristi
e, spero, non ce ne sarà mai bisogno”.
Il giorno precedente il ministro
della Difesa russo, Sergei Shoigu, aveva annunciato che per la
prima volta lo Stato islamico era
stato colpito da missili lanciati da
un sottomarino lungo le coste siriane nei pressi di Cipro, aggiungendo a mo’ di rassicurazione che
dell’attacco erano stati preavvertiti
sia gli Stati Uniti che Israele. Anche il ministro degli Esteri russo,
Lavrov, ha cercato di smussare
precisando che “non c’è necessità
di usare l’atomica: ce la possiamo
cavare con le armi convenzionali,
cosa che corrisponde a pieno alla
nostra dottrina militare”: con ciò ribadendo, più che attenuare, la minaccia del presidente russo.
Confronto ravvicinato
Usa-Russia
Quasi contemporaneamente
all’avvertimento di Putin, il segretario alla Difesa americano Ashton
Carter, in un’audizione davanti al
Congresso Usa, annunciava un’escalation dell’intervento militare
contro l’IS, con l’invio di elicotteri
Apache, forze speciali, armi, munizioni e “consiglieri militari”, in
particolare per riconquistare la città di Ramadi, giustificandolo come
una risposta alla minaccia dello
Stato islamico a tutto l’Occidente
prima ancora che al Medio Oriente: “La realtà è che siamo in guerra. Questo è quello che sentono
le nostre truppe perché combattono l’IS ogni giorno”, ha detto senza mezzi termini il capo del Pentagono.
Dunque da una parte l’imperialismo americano e quello russo
sembrano convergere nell’aumentare lo sforzo militare per combattere il nemico comune, lo Stato
islamico. Tant’è vero che anche a
livello diplomatico stanno manovrando insieme per far approvare al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione, che ricalca la
Un bombardamento russo sulla Siria
bozza di un provvedimento contro
Al Qaeda del 1999, per bloccare
le fonti di finanziamento all’IS. Ma
dall’altra si fronteggiano a distanza, anzi sempre più da vicino, e si
lanciano avvertimenti nell’ambito
della rivalità che li oppone a livello strategico, in particolare riguardo alla spartizione della Siria e del
Medio Oriente, sulla quale hanno
interessi, vedute e alleanze diverse e in molti casi opposti. Per non
parlare del confronto politico, economico e militare durissimo che
li oppone sulle frontiere orientali
dell’Europa.
Ecco allora che lo spettro
dell’uso di armi nucleari nel tea-
tro mediorientale, più che diretto contro l’IS sembra un avvertimento lanciato agli Usa e ai suoi
alleati nella regione, in primis la
Turchia aderente alla Nato, dopo
l’abbattimento del caccia russo ordinato da Ankara. E dopo l’occupazione di territorio iracheno da
parte di truppe e carri armati turchi, con la Russia che appoggia
le proteste del governo di Baghdad contro lo sconfinamento turco. Simmetricamente, l’annuncio
americano di essere “in guerra”
con l’IS e dell’invio di elicotteri e
truppe speciali in Siria e Iraq vuole
essere anche un monito e un argine a Putin a non allargarsi troppo
Conferenza di Roma sulla Libia
Accordo per un governo
di unità nazionale in Libia
La Farnesina ha ospitato il 13
dicembre la riunione ministeriale
per la Libia copresieduta dal ministro degli Esteri italiano Paolo
Gentiloni, dal Segretario di Stato Usa John Kerry e dal Rappresentante Speciale del Segretario
Generale delle Nazioni Unite per
la Libia, Martin Kobler. La riunione
dei ministri degli esteri del gruppo chiamato P5+5, ovvero i 5 del
Consiglio di sicurezza Onu più Italia, Germania, Spagna Onu e Ue,
alla presenza dei paesi che vogliono essere più coinvolti nella soluzione della crisi libica e dei rappresentanti dei due governi libici,
quello di Tripoli e quello di Tobruk
ha dato il via ufficiale al varo di un
“Governo di Concordia Nazionale con sede nella capitale Tripoli”, sotto la tutela dell’imperialismo
che ha bisogno di una Libia “stabile” per poter combattere lo Stato islamico.
L’intesa che prevedeva la formazione di un governo di unità
nazionale era stata raggiunta l’11
dicembre dai rappresentanti dei
parlamenti di Tripoli e Tobruk che
avevano definito l’accordo politico
patrocinato dalle Nazioni Unite e
dal nuovo inviato di Ban Ki-moon
in Libia, Martin Kobler. La firma ufficiale è prevista per il 16 dicembre
in Marocco.
“Quello in corso in Libia - affermava John Kerry - è un processo
voluto da libici e portato avanti dai
libici” per “far nascere una Libia
sicura e stabile”. Il segretario di
Stato americano sottolineava che
“sono i libici che parlano a nome
del loro popolo, il minimo che noi
possiamo fare è assisterli e aiutarli” e ricordava che gli Stati Uniti
hanno già stanziato “330 milioni di
dollari in aiuti umanitari”. E minacciava chi “dentro e fuori la Libia lavora per far fallire l’accordo. Chi
lo mina pagherà il prezzo. L’unica
base legittima per un futuro della Libia è questo governo di unità
nazionale. Su questo concordano
i libici presenti qui oggi”, sentenziava l’autoproclamato protettore
del popolo libico Kerry. Che accettando di far tenere la conferenza
a Roma apriva la porta per le ambizioni dell’imperialismo italiano a
avere un ruolo di primo piano, politico e militare, nell’intervento in
Libia.
Alla riunoine il ministro degli
Esteri Paolo Gentiloni sottolineava che “in Libia il Daesh si sta
facendo sempre più pericoloso,
la diplomazia e la politica questa
volta devono dimostrare di essere più rapidi dei terroristi”, esprimendo i pruriti interventisti dell’imperialismo italiano contro lo Stato
islamico. Accelerati dalla concorrenza imperialista dichiarata da
Francia e Gran Bretagna col primo ministro francese Valls e il go-
verno britannico di David Cameron che hanno già dato ordine ai
loro eserciti di preparare le azioni
militari per colpire al più presto l’Is
in Libia.
D’altra parte il comunicato firmato nel vertice di Roma afferma che i partecipanti dichiarano
la loro “determinazione a lavorare
con il Governo di Concordia Nazionale per sconfiggere gli affiliati
di Daesh in Libia e eliminare la minaccia che essi rappresentano per
la sicurezza internazionale e della Libia. Ribadiamo il nostro pieno
appoggio all’applicazione della Risoluzione 2213 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle
altre Risoluzioni in materia per affrontare le minacce alla pace, sicurezza e stabilità della Libia. I responsabili della violenza e coloro
che impediscono e minacciano la
transizione democratica della Libia devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni”.
Della Santa alleanza pronta a
partire per la Libia non fa parte la
Russia del nuovo zar Putin che
comunque ha firmato il documento della conferenza e non ha mancato di far conoscere il suo appoggio a Renzi. Nell’incontro dell’11
dicembre a Roma con Gentiloni il collega russo Sergey Lavrov
aveva sottolineato che “noi siamo
consapevoli dell’importanza che
ha la Libia per l’Italia. Per cui sa-
remo presenti alla Conferenza Internazionale sulla Libia che si terrà a Roma il 13 dicembre. Faremo
pressione sulle fazioni in lotta perché arrivino alla pace sotto l’egida delle Nazioni Unite”. Il ministro
russo affermava che “al momento
non sono previsti raid russi sulla
Libia, anche perché non vi è stata nessuna richiesta in tal senso.
Stiamo invece lavorando anche
con gli italiani perché si arrivi al
riconoscimento ufficiale di un governo, altrimenti si sfacia tutto. Il
nostro interesse è sincero e a fianco dell’Italia”.
Così al termine del vertice sulla Libia Gentiloni poteva ribadire che “la ricetta per sconfiggere
il terrorismo, nel medio periodo, è
una Libia stabile. Il ruolo dell’Italia
sarà quello che la storia ci impone
(sic!!), e si baserà sulle decisioni
delle Nazioni Unite e sulle richieste del governo di unità nazionale libico”. Libia e non solo, sottolineava il crociato Gentiloni che in
un precedente intervento in merito alla crisi siriana aveva ripetuto
che “porre le premesse per avviare a soluzione la crisi siriana è uno
snodo molto importante della più
ampia partita che stiamo combattendo contro Daesh, vorrei ricordare che l’Italia resta uno dei Paesi più impegnati, politicamente e
militarmente, nella Coalizione anti
Daesh”.
in queste due regioni, che considera territorio di caccia esclusivo
dell’Occidente. Mentre, contemporaneamente, gli Usa continuano a completare l’accerchiamento
della Russia col recente invito al
Montenegro a entrare nella Nato
e preparando l’adesione anche di
Bosnia, Georgia e Macedonia.
Si avvicina anche
l’intervento in Libia
Come se non bastasse, le minacce di un’escalation dell’intervento imperialista si stanno allargando dal Medio Oriente anche al
sud del Mediterraneo, dopo le notizie su un presunto ridislocamento strategico dello stato maggiore
dell’IS dalla Siria alla Libia a causa
dei continui bombardamenti sullo
Stato islamico. Ecco allora il segretario generale della Nato, Jens
Stoltenberg, dichiarare in un’intervista ad un gruppo dei più importanti quotidiani europei; tra cui per
l’Italia “la Repubblica”, che l’Alleanza atlantica è pronta a intervenire militarmente in Libia.
Stoltenberg ha respinto la tesi
che la Nato non sia coinvolta nella guerra contro l’IS in Siria e Iraq,
sottolineando che l’alleanza è già
presente in quelle due regioni, e
anche in Giordania e Tunisia, facendo assistenza e addestramento militare e con l’intelligence e forze speciali; per non parlare della
Turchia, membro Nato, che fornisce basi di partenza ai bombardamenti sullo Stato islamico e dove
l’alleanza gestisce direttamente
le batterie di missili Patriot. Quanto alla Libia, dove lo Stato islamico sembra intensificare la sua
presenza, “ci teniamo pronti ad assistere un governo nazionale, se
ce ne farà richiesta”, ha precisato
Stoltenberg.
Ossia, la Nato è pronta ad un
altro intervento militare come quello del 2011 per abbattere Gheddafi, solo che ammaestrata dal fallimento politico e militare di quella
missione che ha gettato quel paese nel caos ora si muove più cautamente e cerca di precostituirsi
uno scenario politico favorevole
per il dopo intervento, cercando di
favorire un’intesa tra le forze anti
IS per la costituzione di un governo unico filo occidentale.
Lo stesso cerca di fare per conto proprio anche la Russia, che
tenta di inserirsi nel gioco facendo
leva sulle ambizioni italiane verso
la sua ex colonia. E a questo scopo Putin cerca di blandire il nuovo
duce Renzi, appoggiando la sua
politica interventista che rivendica
il ruolo guida dell’Italia nella coalizione internazionale contro lo Stato islamico in Libia. Non a caso lo
stesso Lavrov, arrivando in Italia
per partecipare alla Conferenza
di Roma sulla Libia, ha dichiarato a “la Repubblica” che “Il Califfato vuole fare di Sirte una filiale di
Raqqa. Per l’Italia è un problema
serio. Noi siamo pronti ad aiutarvi”. E ha rivelato che “Putin e Renzi ne parlano da più di un anno in
tutti i loro incontri”.
Afganistan
I talebani attaccano
l’aeroporto Nato
di Kandahar
Nel tardo pomeriggio di martedì 8 dicembre un gruppo di talebani ha assaltato l’aeroporto di Kandahar, il secondo più importante e
più protetto dell’Afghanistan.
L’attacco si è concluso dopo
quasi 20 ore scontri e il bilancio,
secondo il ministero della Difesa
afghano, sarebbe di 37 vittime, tra
cui nove combattenti talebani, e
35 feriti.
L’aeroporto di Kandahar è considerato un obiettivo strategico
per il dislocamento dei mezzi militari degli aggressori imperialisti
americani e della Nato. Insieme a
quella di Bagram, 40 chilometri a
nord di Kabul, la base di Kandahar
è stata fondamentale nel corso di
questi 14 anni di occupazione imperialista per le operazioni logistiche e militari, incluse quelle della Cia.
I Talebani non sono riusciti a occupare tutta l’ampia zona
dell’aeroporto, ma l’assalto costituisce senza dubbio un successo militare rivendicato con un video rivolto al presidente degli Usa
Barack Obama, che per due volte
ha deciso di prolungare la presenza delle truppe di occupazione nel
Paese (ora 10.000 circa, 5.000 dalla fine del 2016).
L’attacco è stato lanciato in
concomitanza con l’inizio a Islamabad, in Pakistan, della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione regionale, Heart of Asia,
nell’ambito del cosiddetto processo di Istanbul. Un appuntamento
annuale, cruciale per il presidente
Ghani, che mira a mobilitare risorse e sostegno politico per convincere gli studenti coranici a sedersi
al tavolo negoziale.
interni / il bolscevico 3
N. 47 - 24 dicembre 2015
Intervenendo alla Conferenza sul Mediterraneo
Renzi: “Distruggere l’IS è la priorità assoluta”
I droni spia italiani sui cieli dell’IS
Nell’incontro con la stampa
dello scorso 4 dicembre sulla presentazione della Conferenza MED
2015, in programma a Roma dal
10 al 12 dicembre, il ministro degli
Esteri Paolo Gentiloni e Paolo Magri dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale (ISPI), i due
enti promotori, affermavano che
l’obiettivo dell’incontro era quello di “fornire le basi per una nuova
agenda per il Mediterraneo affinché la Regione cessi di essere percepita solo come sinonimo di crisi, pericolo e instabilità, ma torni
ad essere teatro di opportunità”. La
Conferenza si concentrerà “sulle
attuali sfide e trasformazioni dello scenario Mediterraneo diventato l’epicentro del disordine internazionale”, precisava il sito della
Farnesina, che metteva in evidenza come “la priorità resta la sconfitta di Daesh”, lo Stato islamico.
A seguire erano necessari “l’avvio
di una transizione politica in Siria
e la nascita di un governo di concordia nazionale in Libia”. Legate comunque anch’esse alla guerra
contro lo Stato Islamico (IS) o Isis
come erroneamente viene definito
sui media.
Il concetto era ripreso e rilanciato in apertura dei lavori della
Conferenza dal presidente del consiglio Matteo Renzi che agli oltre
200 leader del mondo della politica, diplomazia, business, media e
cultura presenti a Roma ribadiva
che “distruggere l’Isis è la priorità assoluta”
Come di consueto Renzi usava toni apparentemente dialoganti
spiegando che la Conferenza “trae
spunto da un’idea forte: ritrovare
con il dialogo la strada per superare
la crisi del Mediterraneo. Tutti dobbiamo insieme costruire una nuova
stagione di sviluppo”. Ma alla fine
il dialogo è relativo solo agli alleati imperialisti e a chi obbedisce ai
loro diktat perché se “la collaborazione internazionale va ulteriormente sviluppata” come sostiene
Renzi questa riguarderebbe “Europa e Usa che condividono con Mosca l’esigenza di combattere Daesh
ma serve una soluzione di respiro
strategico e non last minute”. Un
respiro strategico che anima certamente l’imperialismo italiano
che con Renzi vorrebbe ripetere
le gesta di Mussolini e intervenire
contro “Daesh che sta tentando di
conquistare più spazio in Libia, regione cui siamo più legati”. Quindi
“distruggere l’Isis è la priorità assoluta”.
Un compito cui l’imperialismo
italiano già dà il suo contributo
stando solo alle notizie che riportano il “successo” delle missioni
di spionaggio dei droni italiani sui
cieli dell’Iraq e in particolare sui
territori dell’Is. Un contributo che
sarebbe “molto apprezzato” dagli
alleati imperialisti, e molto prezioso dato che l’esperienza dell’uso di
queste nuove macchine da guerra
da parte delle forze militari italiane
sarebbe seconda solo agli espertissimi americani.
“Siamo in guerra con Daesh?
Non mi appassiona il tema delle
definizioni”, affermava la ministro
della Difesa Roberta Pinotti presente alla Conferenza, che così lo
confermava. “A me interessa dire
che siamo di fronte a un conflitto e
a un terrorismo diversi dal passato,
innanzitutto perché è un terrorismo
che si vuole fare stato” proseguiva
il ministro: a suo dire la “minaccia” dell’Is sarebbe “stata inizialmente sottovalutata, ma oggi non
lo è più”, mentre ripeteva che la
risposta immediata internazionale
può essere militare, quella a lungo
termine “ha al centro il Mediterraneo, con il dialogo tra culture”....
ecc, ecc. Intanto la santa alleanza
imperialista bombarda.
Approvata dalla Camera
La riforma della cittadinanza
è parziale e restrittiva
Limitazioni per un bambino figlio di immigrati di diventare cittadino italiano.
Mantenuto l’impianto arbitrario e punitivo dell’attuale legge
La riforma della cittadinanza, una legge attesa da almeno
vent’anni dalla comunità degli immigrati, è stata approvata in prima
lettura alla Camera il 13 ottobre e
ora proseguirà al Senato, ma senza previsioni certe sui tempi della
sua approvazione definitiva, visti
i molti ostacoli e l’ostilità disseminati ancora sul suo cammino.
Hanno votato a favore, in un’aula semivuota, la maggioranza PDNCD, a cui si è unita anche SEL;
contrari Forza Italia, Lega Nord e
Fratelli d’Italia; astenuto il Movimento 5 Stelle.
Trionfante il commento di
Renzi, che su Facebook ha vantato l’approvazione contemporanea
della controriforma neofascista e
piduista del Senato e la legge sulla cittadinanza alla Camera come
un segno che “la lunga stagione
della politica inconcludente è terminata. Le riforme si fanno, l’Italia cambia”. Quello della necessità di una legge sullo ius soli, cioè
del diritto di chi nasce in Italia di
avere la cittadinanza italiana indipendentemente da quella dei propri genitori, era stato infatti uno
degli argomenti sfruttati demagogicamente dal nuovo duce nella sua campagna elettorale per le
primarie, e così adesso la rivendica come un suo merito personale.
Solo che come al solito bara spudoratamente, perché questa riforma non garantisce affatto un riconoscimento pieno di questo diritto
ai figli di immigrati, ma come
vedremo è viziata da una serie di
trappole giuridiche e di limitazioni
che ne compromettono gravemente la reale efficacia, come denunciano anche le associazioni degli
immigrati.
La legge sulla cittadinanza che
vige attualmente in Italia è la n.
91 del 1992, ed è una delle più
restrittive del mondo. Essa stabilisce che la cittadinanza italiana
viene prioritariamente concessa
per diritto di sangue, ossia a chi
nasce da cittadini italiani (ius sanguinis). I figli di stranieri nati in
Italia possono chiedere la cittadinanza italiana solo al compimen-
to della maggiore età, e se hanno
risieduto legalmente e senza interruzione in Italia. Ma la devono ottenere entro due anni, pena cadere nella condizione di straniero a
tutti gli effetti. E siccome l’accoglimento della richiesta è a discrezione del ministero degli Interni
(cioè di Alfano), che notoriamente frappone mille ostacoli, non c’è
nessuna certezza di avere la cittadinanza entro i 20 anni di età, e di
non dover seguire la strada molto
più lunga e difficile della naturalizzazione, per ottenerla. Con tutti i rischi del caso, fino a quello,
in mancanza di reddito o abitazione adeguati, di cadere nella condizione di clandestini e poter essere addirittura espulsi. Una spada
di Damocle escogitata apposta dal
potere per tenere sempre sotto ricatto gli immigrati.
Ius soli “temperato”
e Ius culturae
La legge approvata alla Camera è basata su un cosiddetto ius
soli “temperato”, secondo il quale i figli di immigrati nati in Italia possono ottenere la cittadinanza prima del raggiungimento della
maggiore età, ma non in maniera
automatica come con un vero ius
soli, bensì alla condizione che almeno un genitore sia in possesso
del permesso di soggiorno permanente o del permesso UE di lungo periodo. Un documento di non
facile ottenimento, perché legato al reddito, all’abitazione, alla
conoscenza della lingua e mille altri ostacoli burocratici che le
autorità possono frapporre a propria discrezione, tanto che non è
infrequente che possano passare
anche 8-10 anni prima di averlo,
anche avendo ottemperato a tutte
le condizioni richieste. La richiesta deve essere presentata entro
il 18° anno da un genitore, oppure, in mancanza di questa, anche
dall’interessato, ma solo dopo il
compimento del 18° anno ed entro
i successivi due anni.
Tutti ostacoli, insomma, utili a
limitare il diritto di cittadinanza e
a mantenere il più possibile in vita
l’attuale potere discrezionale delle autorità. E l’aver legato il diritto di cittadinanza dei nati in Italia
alle condizioni economiche dei
genitori introduce una intollerabile discriminazione economica tra i
figli di immigrati. In ogni caso è
stata mantenuta pressoché intatta
la logica antidemocratica e xenofoba della vecchia legge, secondo
cui la cittadinanza è una concessione a propria discrezione da parte di chi esercita il potere, e non
un diritto che spetta costituzionalmente a chi nasce in Italia, come
avviene del resto in altri Paesi.
A questo meccanismo ne è stato affiancato un altro denominato ius culturae, secondo il quale
può ottenere la cittadinanza anche
il minore straniero che sia nato in
Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo
anno di età, purché abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli di istruzione o di formazione professionale
triennali o quadriennali idonei al
conseguimento di una qualifica
professionale. Nel caso del ciclo
primario occorre aver anche conseguito il titolo finale. E fino ai 18
anni è sempre necessario il consenso di un genitore.
C’è poi il percorso di naturalizzazione, che ha carattere dichiaratamente discrezionale, e riguarda
gli stranieri che hanno fatto ingresso in Italia tra i 12 e i 18 anni
di età. Per ottenerla occorre essere legalmente residente da almeno sei anni, aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico con il
conseguimento del titolo conclusivo, o un corso di formazione professionale con il conseguimento
del titolo.
È stata inserita infine una disciplina transitoria per coloro che
hanno maturato i requisiti ius culturae prima dell’entrata in vigore
della legge ma abbiano già compiuto i 20 anni di età, termine ultimo per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza. Costoro
possono farne richiesta entro 12
mesi dall’entrata in vigore della
legge, ma solo se residenti in Italia da almeno 5 anni. È comunque
escluso chi ha già avuto in passato un diniego o un provvedimento
di espulsione “per motivi di sicurezza della Repubblica”. A questo
proposito il ministro dell’Interno
si riserva ben 6 mesi di tempo per
“verificare” che ogni richiedente
non sia stato oggetto di tali provvedimenti.
Le critiche delle
associazioni dei
migranti
Nonostante l’impianto volutamente capzioso e truffaldino della legge, frutto di uno sporco compromesso tra Renzi ed Alfano, che
all’interno della maggioranza rappresenta anche le istanze razziste e
xenofobe di FI, Lega e FDI, questi ultimi hanno votato contro per
motivi elettoralistici e demagogici, con la Lega che ha inscenato una gazzarra finale al grido di
“vergogna, vergogna” e inalberando cartelli con la scritta “la cittadinanza non si regala”. La leader fascista di FDI, Giorgia Meloni, ha
annunciato anche l’intenzione di
presentare un referendum abrogativo se la legge sarà approvata in
via definitiva. Il M5S si è invece
astenuto, considerando questa legge “una scatola vuota”: posizione
opportunista, confermata dal profilo basso tenuto durante tutto il
suo iter in commissione e in aula,
e motivata in realtà dalla paura
di scontentare la parte di destra o
quella di sinistra del suo elettorato, a seconda che avesse votato sì
o no alla legge.
In un comunicato stampa l’associazione l’“Italia sono anch’io”,
che raggruppa le associazioni nazionali impegnate nella tutela dei
diritti dei migranti, pur sottolineando che la legge rappresenta “comunque un passo avanti”, avanza
chiare critiche da sinistra al provvedimento, auspicando che possa
essere corretto al Senato. In particolare l’associazione, ricordan-
do di aver raccolto e depositato
in parlamento nel 2012 oltre 200
mila firme sulle sue proposte di
modifica, ne sottolinea due che ritiene disattese ma assolutamente
indispensabili: “La prima - dice il
comunicato - riguarda l’assenza di
una norma che consenta la semplificazione delle procedure relative
alla naturalizzazione degli adulti, con un trasferimento di competenze dal ministero dell’Interno
ai sindaci e il superamento, attraverso norme certe di riferimento,
della discrezionalità che oggi caratterizza le decisioni in materia.
L’altra questione riguarda la previsione di uno ius soli temperato che
condiziona il futuro di bambine e
bambini alla situazione economica
della famiglia, introducendo, col
requisito del permesso Ue per lun-
go soggiornanti di uno dei genitori,
una discriminazione che viola l’articolo 3 della Costituzione”.
Purtroppo c’è da scommettere
che se dei cambiamenti ci saranno
al Senato, è più facile che questi
siano in peggio, visto come al parolaio Renzi basta potersi vantare
dell’annuncio, lasciando la sostanza del provvedimento ai maneggi
di Alfano e della destra del PD. E
sempre ammesso che anche questa riforma non finisca alle calende greche, o addirittura in un binario morto, come sta accadendo
regolarmente per le “riforme” che
non interessano realmente a Renzi ma minacciano di spaccare la
maggioranza e lo stesso PD, come
la legge sulle unioni civili, quella
sull’allungamento della prescrizione e così via.
Torino
Condannato a 2 anni
di carcere ventennne
di origine marocchina
che aveva
inneggiato all’IS
Dopo Bologna, Roma e Catania, la caccia al “terrorista” islamico scatenata dal nuovo duce
Renzi e dal suo tirapiedi Alfano all’indomani degli attentati
di Parigi continua a provocare i
suoi nefasti effetti in tutto il territorio nazionale.
A Torino il 26 novembre il
giudice per l’udienza preliminare Potito Giorgio ha condannato a due anni di carcere Elmadhi
HaIili, 20 anni, perito meccanico
di origine marocchina residente a
Lanzo Torinese accusato di apologia di reato aggravata dalla finalità terroristica.
Elmadhi HaIili fu arrestato
nel marzo scorso dalla Digos di
Brescia per avere diffuso sul web
un documento in lingua italiana
di sostegno allo Stato Islamico
dal titolo “Lo Stato Islamico, una
realtà che ti vorrebbe comunicare”. Il documento, datato dicembre 2014, racconta delle strutture e dell’organizzazione dell’Is e
dei servizi che offre ai cittadini e
nel finale contiene un appello ad
accorrere in sua difesa.
Tanto è bastato al Pm Antonio
Rinaudo per procedere per apologia di reato aggravata dalla finalità terroristica.
4 il bolscevico / Conferenza Onu sul clima
N. 47 - 24 dicembre 2015
Conferenza Onu di Parigi sulle emissioni di gas serra e sul clima, sponsorizzata da banche, multinazionali e inquinatori
Nulla di fatto per frenare
il cambiamento climatico.
La terra e la vita ancora in pericolo
Tutti i governi applaudono ad un accordo sostanzialmente inconsistente e pieno di promesse
che possono non essere mantenute o fatte slittare. In piazza gli ambientalisti insoddisfatti
L’unica soluzione radicale e definitiva è il socialismo
Con l’accordo siglato nel pomeriggio di sabato 12 dicembre,
con un giorno di ritardo sulla
scadenza annunciata, si è chiusa
ufficialmente la 21esima Conferenza dell’Onu sui cambiamenti
climatici a Parigi. Alla conferenza
hanno partecipato i rappresentanti di 193 Paesi e oltre 150 capi
di Stato, con l’obiettivo dichiarato
di raggiungere un nuovo accordo
mondiale che superi Kyoto, in
materia di emissioni di gas serra e
di riscaldamento globale. L’evento già da molti mesi, ha destato
enormi aspettative soprattutto da
parte di tutta la “società civile”
ambientalista e associativa che
ha sottolineato la necessità di un
intervento deciso sulle emissioni
attraverso un susseguirsi di iniziative in tutto il mondo che hanno
coinvolto milioni di partecipanti
e che hanno avuto il loro massimo momento di mobilitazione lo
scorso 29 novembre quando due
milioni di attivisti hanno marciato
in oltre 150 Paesi chiedendo un
futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili.
Le premesse
della Conferenza
e i primi negoziati
Barack Obama alla cerimonia
d’apertura ha affermato, “Questa non sarà una vittoria-lampo,
ci vorrà del tempo ed è possibile
che la nostra generazione non vedrà il successo delle nostre azioni
di oggi, ma il successo è sapere che i nostri figli lo vedranno”.
Questa affermazione è indicativa
per capire quanto in realtà i Paesi, in particolare quelli cha hanno
le maggiori responsabilità sulla
produzione di gas serra, su tutti
gli USA da un punto di vista storico, siano disposti a modificare
rapidamente le proprie politiche
energetiche e produttive in questo campo per dare un immediato respiro al nostro malandato
pianeta.
Alla vigilia dell’apertura dei
lavori di Parigi, ben 180 Stati
si sono impegnati a tagliare le
emissioni, per un totale del 94%
delle emissioni globali. Il totale
dei tagli, però, non è stato ritenuto sufficiente dagli esperti a
portare verso uno scenario di
contenimento delle emissioni tale
da scongiurare interferenze del
clima pericolose per l’uomo, in
quanto l’aumento delle temperature previsto è di 2,7°C. Attualmente, l’obiettivo di lungo termine considerato “politicamente
accettabile” è di arrivare a una
stabilizzazione delle temperature
medie a 2°C, ma gli scienziati avvertono che anche questo livello
è rischioso e non offre alcuna
garanzia. Per perseguire un nuovo obiettivo di 1,5°C sarebbero
necessarie azioni ancora più immediate e una rapida accelerata
verso un’economia alimentata ad
energia 100% rinnovabile il più
in fretta possibile. Nel periodo
immediatamente precedente alla
Conferenza, indiscrezioni avevano già annunciato che non ci sa-
rebbero stati in previsione nuovi
annunci precisi sulla riduzione
delle emissioni, ma piuttosto l’inserimento nel testo dell’accordo
di un meccanismo di revisione
degli impegni futuri, basati su un
piano poco definito.
Di fatto mentre l’accordo di
Parigi coprirà il periodo oltre la
fase II del Protocollo di Kyoto,
ovvero dal 2020, il summit si sarebbe dovuto occupare di come
tagliare le emissioni fin da subito, per arrivare pronti nel 2020 a
iniziare con i propositi che sarebbero emersi dalla Conferenza di
Parigi.
Altro aspetto fondamentale
che era nel mirino della “società
civile” e degli scienziati a loro vicini, era rendere il nuovo accordo
vincolante; su questo aspetto i
precedenti non tranquillizzavano
nessuno poiché tutti ricordano
bene che, ad esempio, all’indomani della firma del Protocollo
di Kyoto siglato da Clinton, il Senato americano non approvò e il
Protocollo non venne mai ratificato dagli USA, con le conseguenze
a tutti note.
I negoziati ed i
contrasti fra i Paesi
Nei primi giorni è stato affrontato anche il tema dei contributi
nazionali volontari (INDCs), che
contengono la strategia di ogni
Paese per diminuire le proprie
emissioni e contrastare il cambiamento climatico. Attualmente
le stime sull’effetto aggregato
degli INDCs vedono proiezioni
ben superiori all’obiettivo di mantenere l’aumento medio di temperatura globale al di sotto dei 2
gradi, concetto enfatizzato anche
nell’intervento di Angela Merkel,
che l’ha definita semplicemente
“una brutta notizia”.
Durante i lavori riguardanti la
COP Decision, lo Stato di Saint
Lucia col supporto del Nicaragua
e Kiribati, tutte aree spesso devastate da fenomeni meteorologici
di grande portata, ha richiesto ufficialmente che l’aggiornamento
del rapporto di sintesi consideri
gli scenari a 1.5°C di aumento
di temperatura. Di tutt’altro avviso l’Arabia Saudita la quale non
vede la ragione di includere nei
negoziati tale questione, così
come il Venezuela e gli altri paesi produttori. Sull’aspetto della
“mitigazione” quindi, e cioè sulla
necessità di attenuazione degli
effetti incontrollati e catastrofici
dei cambiamenti climatici, sono i
Paesi più poveri e soggetti a catastrofi ambientali a chiedere la
revisione a 1,5°C del limite massimo, mentre i maggiori produttori di petrolio hanno frenato più
volte.
Un capitolo a parte lo meriterebbe un altro tema spinoso
quale quello dell’adattamento al
cambiamento climatico ed alle
conseguenti migrazioni di popolazioni. A partire dalla COP 16
(Cancún), il tema delle migrazioni dovute al clima ha acquisito
un rilievo crescente all’interno
del processo UNFCCC, venen-
Parigi, 12 dicembre 2015. La grande manifestazione in difesa dell’ambiente e del clima
do ufficialmente riconosciuto
nell’ambito del Cancun Adaptation Framework come una strategia di adattamento. L’obiettivo
dichiarato ed oggetto di dibattito
all’ONU sarebbe quello di supportare e coordinare la rilocazione delle popolazioni colpite da
eventi estremi nei paesi in via di
sviluppo più vulnerabili. Nonostante la pressante attualità del
tema, il dibattito intorno alle funzioni e alla necessità dil rendere
operativa la proposta del G77 è
stato piuttosto scarso. L’effettiva
portata della proposta e la sua
eventuale collocazione all’interno dei risultati della conferenza
di Parigi è rimasta tutta da determinare a causa della difficoltà,
nel delineare i rapporti causali tra
cambiamenti climatici e fenomeni
migratori.
Tutti questi aspetti sui quali diverse, se non antagoniste, sono
le posizioni dei Paesi sempre più
divisi tra sfruttati e sfruttatori,
hanno dato adito durante la settimana a una costante crescita
della tensione fra i delegati governativi. Essi hanno cominciato
ad accusarsi di ostacolare i negoziati e di perdere tempo dietro
il “gioco delle colpe”; la Bolivia
ad esempio, per conto di G77 e
Cina, e la Malesia, hanno espresso forte preoccupazione sull’andamento dei negoziati, sostenendo di aver lavorato sodo ma
di aver ricevuto sempre risposte
negative dai paesi sviluppati. Il
Brasile, nel commentare l’introduzione di numerose parentesi
(testi in bozza da definire previo
accordo ulteriore) ha evidenziato
parere negativo al riguardo, con
un’affermazione pungente:“ogni
parentesi aggiunta nel testo è
come una molecola di gas serra
in più nell’atmosfera”.
In pratica i Paesi additati come
“ostacoli” nel cercare di risolvere a fondo il problema restano
principalmente Cina (a conferma
dell’insufficienza
dell’accordo
dello scorso anno USA-Cina sulle
emissioni), India ed Arabia Saudita. Ma anche ai Paesi dell’Ue e
del cosiddetto “gruppo-ombrello” (che include tra gli altri Usa,
Canada, Giappone e Australia)
alcuni osservatori delle Ong hanno imputato un atteggiamento
troppo rigido, e un “gioco pesante” in particolare sul fronte dei finanziamenti.
Mentre sulla scena emergono
una serie di attori inediti e determinati - come Nigeria, Grenada
o l’arcipelago polinesiano di Palau - che sono scesi in campo
per difendere “passaggi chiave”
dell’accordo sulla tutela delle
aree vulnerabili. Dal 7 dicembre
poi si è aperto il segmento “highlevel” della COP21 di Parigi che
ha sancito l’intervento esclusivo
dei ministeri governativi chiamati
a prendere le decisioni politiche
finali, scegliendo fra le proposte
disponibili inserite in Conferenza nel testo negoziale, redatto e
ultimato lo scorso sabato dagli
esperti dopo mesi di conferenze
e discussioni.
Il testo definitivo
e le reazioni
Nel pomeriggio di sabato
12, un giorno oltre la scadenza
prestabilita all’inizio della Conferenza, il presidente della Cop
21, nonché Ministro degli Esteri
francese Laurent Fabius, ha entusiasticamente affermato il pieno successo del summit. “Siamo
oggi vicini alla fine del percorso,
siamo arrivati ad un progetto di
accordo ambizioso ed equilibrato, che riflette le posizioni delle
parti”. Gli fa eco il presidente della Repubblica francese Hollande
poco prima del voto sull’accordo che dichiara: “Non tutte le
richieste sono state soddisfatte”
ma “saremo giudicati per un testo non per una parola, non per
il lavoro di un giorno ma per un
accordo che vale per un secolo
(…) Siamo davanti a un testo storico”. “Il traguardo è in vista, ora
finiamo l’opera”, ha affermato il
segretario generale dell’ONU Ban
Ki-moon, aggiungendo che “è arrivato il momento di capire che gli
interessi nazionali sono preservati al meglio agendo nell’interesse
comune internazionale”. Ignorando che i governi degli USA
hanno saccheggiato e devastato
per oltre un secolo il pianeta e le
sue risorse arrecando danni incalcolabili all’ambiente ed a tutto il genere umano, nonostante
proprio in quel Paese l’estrazione
dei gas da scisto (combustibili
fossili altamente inquinanti) stia
provocando disastri ambientali
senza precedenti, il Presidente
americano Barack Obama, presenta gli Usa come se fossero tra
i primi nella lotta ecologica ed entusiasta twitta: “È un grande avvenimento: quasi tutti i paesi del
mondo hanno appena firmato per
l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, grazie alla leadership americana”. Per l’Italia, non
tardano a farsi sentire i proclami
di Renzi e del Ministro Galletti secondo i quali: “Siamo nella storia.
E a questa storia ha contribuito
anche l’Italia, che sin dall’inizio
con tutta l’Europa ha creduto
nell’obiettivo ambiziosissimo di
1,5 gradi”. Anche Italian Climate Network, Onlus istituzionale e
vicina agli ambienti governativi,
si dice soddisfatta dell’accordo
raggiunto: “È un accordo bilanciato e positivo, che giunge dopo
anni di negoziati. La strada che
abbiamo davanti è segnata: verso
emissioni nette zero. E’ il segnale
che la trasformazione energetica
è ormai in atto e inarrestabile.
Toccherà a noi controllare e stimolare gli Stati affinché attuino le
loro promesse nei tempi previsti
e aumentino i loro impegni per la
riduzione delle emissioni di gas
serra nei prossimi anni”.
Un brodo di giuggiole globale ma, in sostanza, è giustificata
questa reazione? Nel testo definitivo è stato inserito il concetto
di “giustizia climatica”, sono stati
mantenuti i riferimenti ai diritti
umani, al diritto alla salute, alle
comunità locali, ai migranti, ai
bambini, alle persone con disabilità, alle persone in situazioni
vulnerabili, al diritto allo sviluppo,
alla parità di genere, e all’equità
intergenerazionale. Non ha invece trovato posto un aspetto
importante quale un paragrafo
che esplicitasse le responsabilità
storiche che vedono USA e Cina
addossarsi le maggiori responsabilità della situazione attuale
e conseguentemente anche il
dovere di maggiori interventi di
riduzione.
Nell’articolo 2 è stato confermato l’obiettivo del mantenimento dell’aumento di temperatura
media globale ben al di sotto dei
2°C, con lo sforzo di raggiungere l’obiettivo più ambizioso
di 1,5°C, raccomandato dalla
scienza. Nell’articolo 4 è assente
il target quantitativo di riduzione
delle emissioni da raggiungere
entro il 2050, conseguentemente l’obiettivo di raggiungere la
“neutralità” delle emissioni nella
seconda metà del secolo è stato
esplicitato esclusivamente a fini
propagandistici. Nell’articolo 6
sono stati introdotti due meccanismi di supporto per il cosiddetto “Sviluppo Sostenibile”: uno di
mercato, finalizzato alla riduzione
delle emissioni di gas serra, di cui
si specifica che le Parti devono
assicurare integrità dal punto di
vista ambientale e trasparenza
ed il secondo, meccanismo non
di mercato, con un approccio
integrato e olistico, che vada a
interessare azioni di mitigazione,
l’adattamento, la finanza ed il trasferimento tecnologico. Rimane
dunque il “mercato” a normare
la questione, nonostante la sua
inefficacia dimostrata finora, praticamente ovunque adottato.
L’ONU riconosce l’importanza di scongiurare, minimizzare
e affrontare le perdite ed i danni
associati agli effetti avversi del
cambiamento climatico. Tuttavia, e inspiegabilmente a fronte
della premessa, la parte relativa
all’azione di contrasto è stata indebolita, perdendo inoltre il riferimento all’impossibilità di violare i
diritti stabiliti dalla legge internazionale. Tra le azioni di cooperazione, infine, non è più previsto
il supporto ai rifugiati climatici il
che appare assai grave. Nessun
miglioramento poi sulla questione finanziaria che rimane come
in premessa e cioè riguardo
agli aspetti finanziari, è prevista
la mobilitazione di un minimo di
100 miliardi di dollari all’anno che
i Paesi Industrializzati dovrebbero
mobilitare verso i paesi in via di
sviluppo e l’implementazione del
meccanismo di compensazione
“loss and damage” per i Paesi più
vulnerabili, con impegni non ancora sufficientemente stringenti e
che ricordiamo essere un quinto
dei sussidi forniti finora alle fonti
energetiche fossili.
Moderata soddisfazione di Legambiente e WWF: “Oggi a Parigi
SEGUE IN 3ª
ë
Conferenza Onu sul clima / il bolscevico 5
N. 47 - 24 dicembre 2015
ë DALLA 2ª
si è intrapresa una direzione di
marcia irreversibile verso un futuro libero da fossili (…)Tuttavia
non va dimenticato che si tratta
di una strada in salita. Il pragmatismo politico dei governi ha impedito di prendere qui a Parigi tutte
quelle scelte ambiziose e forti
che la crisi climatica impone. Rimangono gli impegni inadeguati
annunciati alla vigilia di Parigi,
che non consentono di contenere
il riscaldamento del pianeta ben
al di sotto della soglia critica dei
2°C. E ancor meno rispetto al limite di 1.5°C.”.
Di tutt’altro parere Oxfam, (Organizzazione di sviluppo, emergenza e campagne di opinione
contro l’ingiustizia della povertà
nel mondo) secondo cui l’accordo di Parigi sui cambiamenti
climatici “è insufficiente per tutelare i paesi più poveri”. “Le conclusioni emerse non scongiurano
l’innalzamento delle temperature
di 3 gradi di qui al 2050”. L’accordo rappresenta “un significativo
passo in avanti”, si legge in una
nota, “ma non stanzia risorse finanziarie sufficienti per l’adattamento al cambiamento climatico
per i Paesi in via di sviluppo. Nonostante gli impegni assunti per
la prima volta da oltre 190 Paesi
per salvare il clima, le conclusioni
del vertice non appaiono perciò
all’altezza delle ambizioni che
erano state dichiarate nei discorsi di apertura da parte dei leader
di tutto il mondo”. Secondo Oxfam l’accordo “riconosce che nei
prossimi cinque anni c’è bisogno
di maggiori risorse da destinare alle comunità per adattarsi ai
cambiamenti climatici, eppure
non include alcun impegno concreto per permettere che queste
risorse siano realmente stanziate”. Al momento, prosegue Oxfam, “non c’è nulla nell’accordo
che dia garanzia che gli attuali
impegni di riduzione possano essere rafforzati prima che entrino
in vigore. Ciò rende molto difficile
mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2 gradi
e pressoché impossibile evitare
che il surriscaldamento globale superi 1,5 gradi”. Secondo le
stime di Oxfam, quindi, alla luce
del nuovo accordo, “i Paesi in via
di sviluppo non vedono alcuna
riduzione del rischio di dover far
fronte entro il 2050 a costi che
ammontano a circa 800 miliardi
l’anno “.
Altri elementi
negativi
I delegati alla Conferenza si
congratulano con se stessi per
aver raggiunto un accordo migliore di quanto si aspettassero, definendolo il migliore della storia,
ma dovrebbero invece, secondo
noi e non solo, scusarsi con tutti
quelli che hanno tradito.
La prima cosa che ci ha colpito, e che è stata rilanciata anche
da altre forze politiche, è che la
Renault Nissan sia fra gli sponsor principali della Conferenza
dell’ONU. Elemento che dovrebbe lasciar tutti quantomeno perplessi, vista la poca comunanza
fra industria automobilistica ed
emissioni zero, per lo meno finchè i loro prodotti si alimenteranno a derivati del petrolio. Non
di secondaria importanza la presenza, tra gli altri sponsor, di altre società che contribuiscono in
modo massiccio alle emissioni di
gas serra, che la Cop21 doveva
combattere, quali banche (in primis BNP Paribas, una delle più
importanti del mondo banche per
finanziamento della produzione
di carbone), compagnie aeree
come AirFrance, Michelin produttore di pneumatici ed altre multinazionali.
Su tutte Engie, formalmente conosciuta come GDF Suez,
società di utility di maggior valore al mondo, che ottiene più di
$ 80 miliardi di fatturato annuo
principalmente derivanti dalla
sua attività sui combustibili fossili poiché oltre il 70 per cento
della produzione di energia della
società proviene dal gas naturale e il carbone, rispetto al 13 per
cento proveniente da fonti rinnovabili. Come una singola azienda,
Engie ha emesso gas serra nel
2014 tanto quanto tutto il paese
del Belgio. Engie non è l’unica
società con legami con i combustibili fossili da inserire in qualità
di sponsor ai colloqui di Parigi in
quanto le fa buona compagnia
Électricité de France (EDF), che
gestisce 16 centrali a carbone
più importanti in tutto il mondo.
La longa manus dei potentati finanziari e delle lobby ha dunque
avuto fin dall’inizio in pugno i negoziati.
Sulla questione finanziaria
l’elemento chiave è portato dai
“cap and trade”: in pratica si
stabilisce un tetto massimo di
emissioni di CO2 così da favorire la compravendita dei diritti di
emissione al di sotto di questo
tetto. Questo meccanismo è già
presente in Europa (ETS) e verrebbe adottato anche dalla Cina
aprendo un nuovo mercato globale - quello delle quote di emissione - che moltiplicheranno le
transazioni finanziarie.
In Europa le emissioni non si
sono ridotte: perché in Cina dovrebbe essere diverso? Perdura
poi lo scandalo secondo il quale
un paese come l’Italia, ad esempio, spende 3,5 miliardi di euro di
fondi pubblici per sussidi alle fonti fossili, mentre impiega solo 84
milioni per il fondo verde per il clima. Nell’accordo non esiste alcun
riferimento alle emissioni degli inquinanti derivanti da aerei e navi
seppur l’inquinamento di aerei sia
destinato ad aumentare del 300%
entro i prossimi dieci anni.
Un altro elemento di chiara
natura oscurantista e lobbistica
sta nella questione agricola: le
emissioni di gas serra prodotte
da agricoltura, silvicoltura e pesca sono quasi raddoppiate nel
corso degli ultimi 50 anni e potrebbero aumentare di un ulteriore 30% entro il 2050, eppure
il capitolo dell’agricoltura è stato
immediatamente escluso dalla
discussione sul cambiamento climatico. È cosa nota ormai che il
business delle multinazionali del
cibo sta provocando disastri: la
FAO, nel suo rapporto del 2013
“Tackling climate change through
livestock”, ha stimato che l’allevamento agricolo è responsabile di circa il 15%delle emissioni
di gas serra dell’intero pianeta,
influendo sul cambiamento climatico addirittura più dell’intero
settore dei trasporti.
E via via altre enormi criticità
sia tempistiche che di metodo
nell’affrontare gli obiettivi fissati
di riduzione di emissioni. Il testo
propone di raggiungere la GHG
neutrality “nella seconda metà di
questo secolo” - cioè in qualsiasi
anno tra il 2051 e il 2099. Questo
non solo è vago, ma anche una
forte contraddizione con l’articolo 2 che impone di stare “ben al
di sotto dei 2 gradi C” e invita a
“a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura
di 1,5 gradi C”. Le emissioni residue disponibili a livello globale
e cumulativamente (il bilancio del
carbonio) richiedono una decarbonizzazione completa dell’economia e approvvigionamento
energetico al 100% da rinnovabili
entro la metà del secolo, e quindi
improrogabilmente entro il 2050.
Le misure immediate
e l’unica soluzione
La debolezza dell’obiettivo di
riduzione delle emissioni mondiali
di gas a effetto serra è evidente,
perché nel testo si parla soltanto di stabilire “quanto prima” un
tetto, quindi tale formula è ben
lontana dall’essere vincolante. Le ambizioni precedenti alla
Conferenza appena conclusa,
che miravano a una riduzione
delle emissioni tra il 70 e il 95
In due immagini a confronto (1905 e 2003) lo scioglimento del ghiacciaio del Piz Boé (Bolzano)
per cento, sono state abbandonate, ed è proprio questo tipo di
arretramenti che ha reso possibile l’accordo “storico”. Le “parti”
sono addirittura riuscite a fissarsi
come obiettivo non più di ridurre le
emissioni bensì semplicemente di
equilibrarle attraverso “depositi “
di carbonio capaci di ridurre il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera, quali le piante in crescita e il
plancton degli oceani. Fa riflettere
inoltre che questo modestissimo
obiettivo è previsto per la seconda
metà del XXI secolo! Siamo ben
lontani quindi dalle raccomandazioni degli esperti del Giec (Gruppo di esperti intergovernamentale
sull’evoluzione del clima) , che ritengono indispensabile un abbassamento delle emissioni mondiali
tra il 40 e il 70 per cento entro il
2050 se si vuole evitare uno sconvolgimento forse incontrollabile
del clima. Oggi l’annuncio di un
contributo finanziario annuo di100
miliardi di dollari (fino al 2020) ai
Paesi in via di sviluppo ha ottenuto
ovunque un’altissima risonanza.
Tuttavia, oltre ad essere nei fatti un
impegno già preso in passato dai
paesi inquinatori del “nord” e mai
rispettato, si tratta anche di una
cifra irrisoria, equivalente a poche
ore di speculazioni finanziarie nel
mondo. Inoltre la mancanza di
specifiche dettagliate sulle fonti di
questa presunta sovvenzione lascia aperte più strade d’intesa, fra
le quali la forma del prestito bancario che andrebbe nei fatti a indebitare ancora di più i Paesi poveri.
Su questo punto urge poi
precisare che non sono previste
sanzioni a chi non verserà la propria quota e conseguentemente è
fondato il rischio che questioni di
politica interna portino qualcuno
degli Stati più ricchi ad annullare
o diradare i pagamenti. Come già
detto, i fatti dicono che oggi 190
Stati su 195 si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra che
farebbero rientrare il riscaldamento in una traiettoria che raggiunge
i 3°C. Una concessione che colloca il pianeta in prospettive definite “catastrofiche”, tanto più che
l’assunzione di impegni vincolanti
era, fino a poco fa, presentata
come una necessità assoluta. È
ormai evidente che i partecipanti alla Cop21 hanno rinunciato in
corso d’opera a molte delle ambizioni che nutrivano quando sono
arrivati a Parigi. Non dobbiamo
dimenticare che l’accordo in questione entrerà in vigore solo nel
2020 e che “in qualsiasi momento
nell’arco dei tre anni successivi all’entrata in vigore” un Paese
potrà ritirarsi dall’accordo. Per
inciso, dopo il protocollo di Kyoto siglato nel 1997, le emissioni
antropiche sono aumentate del
40 per cento mentre avrebbero
dovuto essere ridotte del 5,2 per
cento entro il 2012.
Inoltre nessun azzeramento
dei sussidi ai petrolieri e nessun
aumento dei contributi per l’utilizzo massiccio delle rinnovabili
è stato deliberato; insufficienti
sono stati gli incentivi deliberati
per promuovere pratiche agricole biologiche e quelle del riciclo e
del riuso nella gestione dei rifiuti
per far emergere la strategia “Rifiuti Zero” come modello globale.
Cosa aspettarsi allora dall’accordo di Parigi?
Sappiamo bene che la soluzione vera e definitiva all’enorme problema del riscaldamento
climatico non potrà mai arrivare
nell’ambito del capitalismo che
ne è la causa assoluta. La natura predatoria dell’imperialismo
dei paesi industrializzati nei confronti di quelli in via di sviluppo
privandoli della loro “sovranità”
con qualsiasi mezzo militare o
economico che sia, gli obiettivi di
massimizzazione dei profitti e di
accumulazione nel minor tempo
possibile che sono gli elementi
cardine del capitalismo, non possono far altro che impoverire la
natura fino al punto che essa non
riesca più a rigenerarsi per compensarne lo sfruttamento, met-
tendo a rischio come già accade
e in misura sempre maggiore la
qualità della vita dei popoli e a
lungo termine anche la sopravvivenza delle specie, incluso quella umana. L’uso irresponsabile e
indiscriminato delle risorse naturali e la distruzione dell’ambiente
sono conseguenze di questo modello di produzione in nome del
profitto e dell’imposizione delle
cosiddette “esigenze del mercato”. Engels, in “Dialettica della
Natura” così si esprimeva: “Non
aduliamoci troppo tuttavia per
la nostra vittoria umana sulla
natura. La natura si vendica di
ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali
avevamo fatto assegnamento;
ma in seconda e terza istanza
ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso
annullano a loro volta le prime
conseguenze.” Ed ancora: “Ad
ogni passo ci vien ricordato che
noi non dominiamo la natura
come un conquistatore domina
un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come
chi è estraneo ad essa, ma che
noi le apparteniamo con carne
e sangue e cervello e viviamo
nel suo grembo: tutto il nostro
dominio sulla natura consiste
nella capacità, che ci eleva al
di sopra delle altre creature,
di conoscere le sue leggi e di
impiegarle in modo appropriato. (…) Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre
di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo
capovolgimento del modo di
produzione da noi seguito fino
ad oggi, e con esso di tutto il
nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso.”
Per chiudere quest’ampia
pagina sui negoziati di Parigi, ci
compiaciamo della grande mobilitazione di milioni di manifestanti
che in tutto il mondo sono scesi
nelle piazze per dare il proprio
contributo a questa battaglia e
portando la loro protesta in tutto
il mondo. Se essi vogliono ottenere un mondo sano e pulito, in
cui tutti abbiano le necessarie
condizioni materiali per una vita
stabile, in primis cibo a sufficienza e casa, un mondo in cui tutti
possano avere accesso libero e
gratuito all’acqua potabile, respirare aria pulita e nel quale tutti
possano usufruire dell’energia
che sotto tante forme la natura ci
offre, nella sostanza devono lottare con i marxisti-leninisti contro il
capitalismo, per il socialismo, l’unica società che può risolvere radicalmente il problema della salvaguardia della Terra e della vita.
Quali conseguenze avranno
in realtà gli aumenti delle temperature
1°C - Il 2015 è stato il primo
anno ad aver raggiunto questo
livello.
2°C - Molte specie ed ecosistemi con limitate capacità di
adattamento a temperature più
elevate saranno soggetti a “rischi
molto alti” anche con un riscaldamento di 2 gradi centigradi.
A rischio particolare sono le
specie dipendenti dal ghiaccio
dell’Artico - per esempio gli orsi
polari e le barriere coralline.
Un riscaldamento di questo
tipo porterebbe a perdite economiche annue globali nell’ordine
dello 0,2-2% dei redditi. L’estensione della superficie dei ghiacci
dell’Artico a settembre cala del
43% rispetto alla media a lungo
termine. La copertura nevosa
nell’emisfero settentrionale a primavera si riduce del 7%.
I mari si innalzano anche di 55
centimetri: rispetto al XX secolo
sono già saliti di circa 20 centimetri.
L’acidificazione degli oceani aumenta, e il pH della super-
ficie oceanica diminuisce del 1517%.
I ghiacciai perdono anche
il 55% del loro volume globale
(escludendo quelli alla periferia
dell’Antartide e gli strati di ghiaccio di Antartide e Groenlandia).
Ogni anno sono esposti a ondate di caldo 1,5 miliardi di esseri
umani.
Ogni anno sono esposti ad alluvioni 30 milioni di persone.
Sono esposti a stress idrici 1,5
miliardi di persone.
3°C - Nelle regioni tropicali e
temperate si hanno impatti negativi sulla produzione delle colture
più importanti, tra i quali grano,
riso e granturco.
Calo nella produzione dei raccolti su 5,7 milioni di chilometri
quadrati del mondo.
Ogni anno sono esposti a ondate di caldo 4,5 miliardi di esseri
umani.
Ogni anno sono esposti ad alluvioni 60 milioni di persone.
Sono esposti a stress idrici
1,75 miliardi di persone.
L’acidificazione dell’acqua degli oceani aumenterebbe molto,
e il pH dell’acqua in superficie
scenderebbe anche del 62%.
Superiore a 4°C - La copertura nevosa nell’emisfero settentrionale in primavera diminuisce
del 25%.
In estate l’Artico è pressoché
privo di ghiacci già a partire dal
2050.
In tutto il pianeta vi sono grossi
rischi per la sicurezza alimentare.
I livelli dei mari salgono di 82
centimetri.
L’acidificazione degli oceani
accelera enormemente, con il pH
della superficie che scende anche del 109%.
Nelle regioni già aride, la frequenza dei periodi di siccità verosimilmente aumenta.
Probabile diminuzione delle
precipitazioni nelle regioni alle
medie latitudini, nelle aree aride
subtropicali e semi-aride.
Alle alte latitudini e nel Pacifico
equatoriale le precipitazioni quasi
certamente aumentano.
I ghiacciai perdono fino
all’85% del loro volume.
Le specie naturali e gli ecosistemi sono colpiti da impatti
“gravi” e “diffusi”, e un numero
considerevole di specie si estingue.
In alcune aree del pianeta per
alcuni periodi dell’anno le condizioni di calore e umidità pregiudicano le normali attività umane,
come la coltivazione dei campi e
il lavoro all’aria aperta.
La circolazione atmosferica ne
risente, i flussi d’aria alle medie
latitudini si spostano ancor più
verso i poli di 1 o 2 gradi di latitudine in entrambi gli emisferi.
Con un riscaldamento superiore a 5 gradi centigradi, ogni
anno sarebbero esposti a ondate
di caldo 12 miliardi di persone;
i raccolti caleranno in 76 milioni
di chilometri quadrati; ogni anno
120 milioni di persone saranno
colpite dalle alluvioni e 2 miliardi
di persone saranno esposte a più
gravi stress idrici.
Fonte, ADAM VAUGHAN (The Guardian)
6 il bolscevico / interni
N. 47 - 24 dicembre 2015
Lottiamo per la piena libertà d’accesso
all’istruzione per i figli
del proletariato e del popolo
Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI
In una società capitalista la divisione in classi sociali e la lotta di
classe si rispecchiano in ogni ambito della società. La scuola così
come l’istruzione e la cultura sono
da sempre poste sotto il controllo
della classe sociale dominante.
Anche oggi, in Italia, dove imperano il capitalismo e il potere
della classe dominante borghese,
l’accesso ai gradini più alti dell’istruzione si pone su una discriminazione di classe, e ci ritroviamo
così davanti a un sistema che di
fatto punta ad estromettere i figli
della classe operaia, delle masse
popolari e dei poveri dall’accesso
all’istruzione, creando delle scuole e delle università elitarie solo
per i figli della ricca borghesia.
Questo progetto di esclusione non è un fatto casuale o frutto
di politiche incompetenti da parte dei politicanti borghesi, ma fa
parte di un piano ben preciso della
borghesia che a partire dagli inizi
degli anni ’80, attraverso i ministri
dell’istruzione dei suoi governi,
Ruberti, Zecchino, Berlinguer,
Moratti, Fioroni, Gelmini e Giannini, dopo la lunga ondata rivoluzionaria del Sessantotto, partì alla
controffensiva, per cancellare una
a una le conquiste del movimento
studentesco di allora e provocare
lo sfascio della scuola e dell’università pubbliche, sempre più privatizzate, aziendalizzate, verticilizzate e irreggimentate.
Oggi, il governo del nuovo
duce Renzi, sulla stessa linea dei
governi borghesi che l’hanno preceduto, sta portando a compimento questo piano di fascistizzazione
ed esclusione sociale nelle scuole
e nelle università, in primis, attraverso la cosiddetta “Buona scuola” fatta passare come una “riforma moderna e innovativa”, una
“riforma di sinistra”, quando nella realtà altro non è che un ritorno
al passato, alla scuola di Giovanni Gentile e di Mussolini, ferocemente gerarchizzata e classista,
che esclude i figli degli operai e
dei poveri condannati agli istituti
professionali e tecnici e favorisce
i figli dei ricchi quali futuri quadri
delle aziende, burocrati istituzionali e imbonitori sociali.
L’esclusione
dall’istruzione
Ma in che modo oltre le controriforme governative la borghesia e i suoi governi puntano
all’esclusione dei figli del popolo
dall’istruzione?
Tasse universitarie cresciute
del 63% in 10 anni, con un conseguente abbandono degli studi che
si aggira sul 17%, taglio del fondo di finanziamento ordinario che
ha portato gli atenei ad aumentare le tasse agli studenti, diventando così loro malgrado i maggiori
finanziatori per scuole e università, il taglio delle borse di studio
per migliaia di studenti (nell’anno
2013/2014 pur avendone diritto 46
mila studenti non hanno ricevuto
la borsa di studio a causa dei tagli
dello Stato e per le mancate risorse
regionali), avendo così senza borsa in media 42.400 studenti ogni
anno (le risorse regionali si fermano al 23,6% con percentuali diverse da regione a regione, come ad
esempio l’Umbria col 52,9%, Veneto 7% e Piemonte zero euro),
il sistema in questo caso resta in
vita solo grazie alle tasse regionali
versate dagli studenti: il 42,2% di
borse esiste grazie a loro.
Un altro gravissimo problema
che si pone tra i giovani e il loro
diritto all’istruzione è il numero
chiuso nelle università.
Oggi si chiude tutto, si sbarrano gli accessi alle facoltà e, soprattutto alle specializzazioni. Anche
qui vige la legge borghese della
ricchezza come sistema di valutazione per l’accesso all’istruzione,
così vengono strette le maglie del
numero chiuso (il 54% dei corsi di
laurea), senza per questo risolvere
il problema dell’accesso alle professioni. Per fare un esempio, un
terzo dei circa 10 mila aspiranti
medici che di solito passano il test
di ammissione alle facoltà di medicina non accederanno alla spe-
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro
delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o
università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi.
Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi
politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua
disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con
i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
cializzazione.
Tutti questi aumenti delle tasse
e tagli ai servizi, vanno in maniera odiosa a colpire maggiormente
quelle studentesse e studenti fuori sede che non appartengono a
famiglie abbienti e che, non trovando posti liberi nelle case dello studenti, dovendo pagare affitti
esorbitanti per le loro vuote tasche
sono costretti a lavori part-time
molto spesso in nero e con salari
da fame.
Insomma, dagli idonei senza
borsa di studio ai precari fuori corso la vita degli studenti è praticamente un incubo.
I problemi di natura economica e sociale a cui sono esposte le
masse studentesche vengono subiti anche da chi affronta un dottorato, il primo gradino per chi vuole fare ricerca. L’introduzione del
vincolo di copertura con borsa di
almeno il 75% dei posti al bando,
adottato dalle “linee guida” su indicazione dell’agenzia nazionale
di valutazione del sistema universitario e di ricerca (ANVUR), ha
generato una gravissima emorragia. Tra il 2013 e il 2014 si è passati da 12.338 a 9.189 posti, con
una diminuzione del 25,5%. Gli
atenei hanno ridotto le posizioni invece di aumentare le borse di
studio.
Ma il primo ostacolo che si
pone all’avanzamento degli studenti ai livelli più alti della forma-
zione è l’esame di Stato. Va abolito in tutte le scuole pubbliche,
perché è selettivo e nozionistico,
tanto più quando basato sulle logiche Invalsi, discriminatorie nei
confronti degli studenti provenienti da famiglie più disagiate.
Deve invece rimanere nelle private dove la commissione esaminatrice dev’essere interamente composta da commissari e presidente
esterni al fine di valutare in maniera obiettiva la preparazione dei
candidati e di verificare il raggiungimento degli standard qualitativi
necessari al rilascio del diploma.
Questo, insieme ai tagli al diritto allo studio a fronte di piogge
di denaro sulle private, all’aumento delle tasse, alla paventata abolizione delle borse di studio a favore dei prestiti d’onore, al caro-libri
e al caro-scuola sempre più insopportabili, allo scarico degli oneri
sulla famiglia, mette fortemente in
discussione la libertà d’insegnamento nel quadro costituzionale e
il diritto universale all’istruzione.
Anche la situazione di disagio
e impoverimento sociale nel quale versano migliaia di famiglie attanagliate da disoccupazione, precarietà e bassi salari sono la causa
dell’abbandono forzato di migliaia
di giovani. Infatti, a causa dell’indigenza delle famiglie, dall’inizio della crisi, ogni anno in Italia oltre 600 mila ragazzi tra i 10
e 16 anni, 2 su 10, abbandonano
la scuola alla ricerca di un lavoro
supersfruttato e sottopagato, senza
ottenere un titolo di studio e una
formazione superiore alla scuola
media inferiore.
Per porre fine a questo tentativo della classe dominante borghese di distruggere completamente
gli ultimi residui di libertà nell’accesso all’istruzione per i figli dei
lavoratori, le stesse masse giovanili e studentesche devono scendere sul terreno della lotta per reclamare il loro diritto al libero
accesso all’istruzione ponendo sul
terreno della lotta delle rivendicazioni che oltre all’abrogazione di
tutte le leggi antistudentesche degli ultimi decenni, partano da un
miglioramento immediato delle
proprie condizioni di studenti:
1) Libero accesso a tutte le
facoltà per tutti gli studenti;
2) Abolizione del numero chiuso e ogni altra limitazione per gli accessi e il proseguimento degli studi;
3) Abolizione delle tasse
universitarie e dei contributi per
laboratorio;
4) Gratuità di vitto e alloggio per tutti i fuori sede;
5) L’università deve provvedere ad allestire studentati in
numero sufficiente e adeguato alle
effettive necessità;
6) Potenziamento
delle
mense universitarie, gratuite per
gli studenti, con cibo di buona
qualità;
7) Gratuità per gli studenti
del materiale didattico, informatico e di laboratorio e dei mezzi di
trasporto pubblici.
Su questi punti bisogna fare
perno, ma le mobilitazioni non riusciranno ad essere incisive se si
presentano frazionate dai vari sindacati e delle varie organizzazioni
studentesche riformiste o “ultrasinistre”, che organizzano e dirigono oggi le masse studentesche
e che cercano di portare acqua
esclusivamente al proprio mulino
e a quello dei partiti di riferimento. Di fatto, le questioni e i problemi generali delle masse studentesche cadono in secondo piano e ne
escono danneggiati. Alla fine, chi
vince è il governo, che non si trova di fronte a una forza studentesca davvero consistente.
Per dare slancio e peso alla
lotta occorre dare vita a un unico grande movimento studentesco che si batta senza tregua contro le politiche di fascistizzazione,
aziendalizzazione, privatizzazione ed esclusione dei figli del popolo da scuole e univesità e contro il governo Renzi che oggi è il
portabandiera delle politiche di fascistizzazione della borghesia sul
fronte dell’istruzione.
La Commissione giovani
del CC del PMLI
Avrebbero percepito i gettoni di presenza “in maniera fraudolenta”
Indagato per truffa aggravata più della
metà del Consiglio comunale di Messina
Coinvolti tutti i gruppi consiliari tranne la lista Accorinti
Sono 23, su un totale di 40, i
membri del Consiglio comunale
di Messina che sono finiti nei registro degli indagati con l’accusa di avere percepito i gettoni di
presenza “in maniera fraudolenta” come si legge testualmente
nell’ordinanza del Giudice per le
indagini preliminari di Messina,
Maria Militello: in quanto consiglieri attestavano falsamente la
loro partecipazione a numerose riunioni consiliari, alle quali ovviamente non partecipavano ma che
venivano comunque retribuite sotto forma di gettone di presenza.
Per dodici di loro - Carlo Abbate, Pietro Adamo, Pio Amodeo, Angelo Burrascano, Giovanna Crifò, Nicola Salvatore Crisafi,
Nicola Cucinotta, Carmela David,
Paolo David, Fabrizio Sottile, Benedetto Vaccarino e Daniele Santi
Zuccarello - il giudice ha emesso
la misura cautelare, ed è la prima
volta che accade in Italia, dell’obbligo di firma davanti a un funzionario della Polizia municipale sia
prima che dopo lo svolgimento dei
lavori consiliari.
Tutti i 23 indagati sono ritenuti, a vario titolo, responsabili dei
reati continuati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da
pubblico ufficiale in atti pubblici e
abuso d’ufficio.
Gli altri 11 consiglieri, per i
quali non è stato preso alcun provvedimento cautelare, sono Carlo Cantali, Nino Carreri, Andrea
Consolo, Libero Gioveni, Pietro Iannello, Rita La Paglia, Maria Amelia Perrone, Nora Scuderi,
Donatella Sindoni, Santi Sorrenti
e Giuseppe Trischitta.
I 23 politici coinvolti nella truffa appartengono a tutti gli schieramenti politici rappresentati in Comune - Pd, Ncd, Udc, Forza Italia,
Il Megafono-Lista Crocetta, Partito democratici riformisti, Movimento Siamo Messina, Articolo 4
e Movimento Progressisti Democratici - tranne che alla lista civica
“Cambiamo Messina dal basso”
del sindaco Renato Accorinti.
Le indagini, promosse dal procuratore aggiunto messinese Vincenzo Barbaro, hanno accertato
che il meccanismo fraudolento era
piuttosto semplice: poiché nel dicembre del 2013 l’indennità mensile massima è aumentata a 2.184
euro, raggiungibile solo con un
minimo di 39 presenze mensili
nelle varie commissioni, agli inquirenti è subito balzato agli occhi
che, guarda caso, proprio da tale
data 23 consiglieri su 40 avevano
sistematicamente e per tutti i mesi
raggiunto la soglia minima delle
39 presenze sia attraverso le commissioni, sia apponendo la sottoscrizione in sostituzione del capo
gruppo, frutto di un preventivo accordo tra delegante e delegato per
massimizzare la fruizione dei gettoni di presenza.
A questo punto, a partire dal
mese di novembre del 2014, il PM
Vincenzo Barbaro ha fatto piazzare delle telecamere direttamente
nelle sale di Palazzo Zanca, dove
hanno sede il Consiglio e le sue
varie commissioni, dimostrando
che i suoi sospetti erano tutt’altro
che infondati, in quanto meno della metà dei consiglieri, la cui presenza risultava dai verbali, partecipava effettivamente alle sedute,
mentre gli altri restavano pochi
minuti, o addirittura pochi secondi, per poi uscire dall’aula.
Gli indebiti gettoni di presenza
sono costati al Comune di Messina più di un milione di euro solo
nell’ultimo anno, e questo fatto,
unito alla sistematicità delle condotte dei politici coinvolti, ha fatto
scrivere al Giudice per le indagini
preliminari che da tali azioni “traspare una spregiudicatezza e una
non comune inclinazione a delinquere di tutti gli indagati”.
Le intercettazioni telefoniche
e ambientali hanno poi accertato
che, a dimostrazione che la truffa
era sistematica e strutturata, vari
consiglieri comunali, in virtù di
un mutuo accordo, firmavano in
sostituzione di un consigliere dello stesso gruppo o del capogruppo, senza essere però minimamente muniti di delega scritta da parte
del delegante.
La Procura di Messina poi sta
ancora indagando su un effetto
collaterale dell’inchiesta, che dal
punto di vista economico non è
meno importante, ovvero gli oneri riflessi, cioè le varie somme
che l’amministrazione comunale
ha pagato, a titolo di risarcimento, alle varie aziende delle quali
sono dipendenti alcuni consiglieri comunali in quanto, sospettano i magistrati, i consiglieri che
si recavano fittiziamente in commissione ed uscivano immediatamente potrebbero aver ingannato
anche le aziende dalle quali dipendono in quanto, per legge, costrette a dar loro il giorno di libertà, risarcito, però, dal Comune e, se le
varie commissioni si concludevano anche un solo minuto dopo
la mezzanotte, i consiglieri, sempre per legge, avrebbero avuto la
possibilità di rimanere a casa, con
l’azienda risarcita dal Comune.
interni / il bolscevico 7
N. 47 - 24 dicembre 2015
Al Sud stipendi più bassi del 30%
Le famigerate “gabbie salariali”, formalmente abolite nel 1969
ma di fatto mai cancellate, sono
una triste realtà nell’Italia di Renzi e confermano l’aggravamento
del divario che separa il Nord dal
resto del Paese.
A certificarlo sono i dati pubblicati dall’Osservatorio JobPricing e Repubblica.it elaborati sulla base di 140mila rilevazioni su
350mila utenti rilevati nel luogo
della loro produzione escluso le
fonti di guadagno (da pensione,
da attività in proprio, da rendite
ecc...) che normalmente vengono
incluse nelle statistiche Istat.
Lo studio evidenzia che, mentre a Milano un lavoratore guadagna in media 2.500 euro lordi
al mese (circa 34.508 euro lordi
all’anno) nel Medio Campidano,
nel Sud della Sardegna, lo stesso
dipendente guadagna circa il 30%
in meno e la sua busta paga media
lorda scende ad appena 1.600 euro
pari a circa 22.500 lordi all’anno.
Il solco comincia ad approfondorsi a partire già dalla seconda
in classifica: Bolzano che arriva a
32.897 euro.
Gli assegni più poveri si trova-
no tutti al Sud. Roma occupa l’undicesimo posto, con assegni da
30.126 euro. Ma per trovare le altre province laziali bisogna scendere fin nella seconda metà della
classifica: Latina al 52° posto, con
27.258 euro, poi Viterbo al 63°,
Frosinone al 73°e Rieti al 79°.
Anche a livello regionale il
Centro-Nord svetta su tutte. Fatto 100 il reddito annuo medio lordo che in Italia ammonta a 28.653
euro, risulta che in Lombardia si
sale a 108,8, in Trentino Alto Adige a 107,5 e in Emilia Romagna
a 104,3. In Calabria, fanalino di
coda, non si arriva a 82 euro. D’altra parte, a testimoniare il baratro
che divide il Nord dal Sud ci sono
anche i dati forniti recentemente dall’Istat nell’approfondimento sui conti economici territoriali
del 2014. Numeri che dimostrano
il nesso tra remunerazione dei lavoratori e produttività tanto che il
Nord-ovest è l’area con il Prodotto interno lordo (che considera la
ricchezza di tutti i soggetti economici) per abitante più elevato: con
32.500 euro, già l’anno scorso ha
segnato una leggera risalita rispetto al 2013, anticipando la timida
ripresa che si sarebbe manifestata
a livello nazionale solo quest’anno.
Il divario con il Mezzogiorno è
impressionante: il Sud si ferma a
17.600 euro, poco più della metà
della parte settentrionale del Paese. Se si parla di valore aggiunto
per abitante, cioè la cifra che sintetizza la crescita del sistema economico in termini di nuovi beni e
servizi messi a disposizione della popolazione, Milano svetta ancora con 45mila euro, seguita da
Bolzano e Bologna. Al fondo di
quest’altra classifica troviamo ancora il Medio Campidano, Barletta-Andria-Trani, Carbonia-Iglesias, Vibo Valentia, Crotone e
Agrigento, con circa 13mila euro
per abitante, contro i 23.900 a livello nazionale.
Questi dati sono la prova provata che il governo Renzi non solo
non ha adottato politiche in grado
di colmare i devastanti effetti della crisi economica capitalistica sul
già martoriato Meridione ma peggiorato sensibilmente la già grave situazione con le controriforme
come il Jobs Act e le leggi di stabilità approvate.
Rapporto Bankitalia relativo al 2014
Il 30% delle famiglie piu’ povere detengono
appena l’1% della ricchezza
Altro che “timidi elementi di ripresa”: nell’Italia del nuovo duce
Renzi la stragrande maggioranza
delle famiglie di estrazione popolare continua a languire nella
povertà, nella precarietà e nella
disoccupazione mentre le disuguaglianze economiche e sociali
con le famiglie più ricche continuano a crescere.
A certificarlo è l’indagine annuale della Banca d’Italia sul reddito delle famiglie diffuso il 3 dicembre e relativo ai dati del 2014.
Dal rapporto di Palazzo Koch
emerge infatti che il patrimonio
del 30% delle famiglie più povere
(7 mila euro in media) rappresenta meno dell’1%, della ricchezza
complessiva. Per contro, appena
il 5% delle famiglie più ricche,
con un patrimonio di 1,3 milioni
di euro a nucleo, detiene oltre il
30% della ricchezza complessiva. Mentre il 10% delle famiglie
più ricche ha un patrimonio medio di circa 950mila euro e detiene il 44% del totale.
Gli studiosi di Bankitalia spiegano che per larga parte delle
famiglie italiane il patrimonio è
costituito in prevalenza dalla casa
di abitazione, mentre il dato della
concentrazione della ricchezza
in pochi nuclei sia costante negli ultimi 20 anni. Segno evidente che tutti i governi che si sono
succeduti fino ad oggi non hanno
mosso un dito per correggere la
distribuzione della ricchezza a favore delle fasce più deboli.
Nel 2014 il reddito familiare
annuo, al netto delle imposte sul
reddito e dei contributi sociali
è risultato in media pari a circa
30.500 euro, circa 2.500 euro
al mese. La mediana del reddito familiare cioè (il reddito della
Aumentano i morti sul lavoro
Manca ancora un mese alla
fine del 2015 ma nelle fabbriche,
nei cantieri, nelle officine e fra i
campi la conta dei morti sul lavoro ha già superato l’ecatombe
dell’anno scorso segnando un
nuovo record.
Secondo i dati diffusi dall’ Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro (Inail)
gli incidenti mortali tra gennaio e
ottobre del 2015 sono stati 729
contro i 628 del 2014. 101 morti
in più che certificano un rialzo significativo pari ad oltre il 16% in
più rispetto all’anno scorso.
Un dato già di per sé drammatico che “preoccupa” anche
l’Inail ma che diventa inammissibile se si pensa che il numero
totale degli infortuni, inclusi quelli
non mortali, segna invece un ribasso complessivo tra il 4,5% e il
5% nei primi dieci mesi dell’anno.
Se ne contano 25.623 in meno,
includendo anche i casi definiti
dall’Inail “in itinere” ovvero nei
tragitti intrapresi per motivi strettamente legati all’impiego. Una
decisa flessione si rileva anche
focalizzando l’attenzione solo
sugli incidenti accaduti mentre si
lavora (17 mila in meno).
E il divario aumenta se si aggiungono anche le perdite “in
itinere” (155 in più) con il totale
che sfiora il milione (988) solo nei
primi dieci mesi del 2015.
Ma non è tutto, perché la stessa Inail avverte che purtroppo
si tratta di dati basati solo sulle
denunce pervenute presso i suoi
uffici che ancora “sono in fase di
assestamento” e che purtroppo
possono solo peggiorare.
E pensare che il Rapporto annuale dell’Inail per il 2014 confermava invece la tendenza al calo,
visto che gli incidenti si erano di-
mezzati negli ultimi dieci anni: nel
2005 le morti bianche erano state
1.278.
Insomma nell’Italia di Renzi si
muore non solo di fame, di miserie e di povertà, ma anche e soprattutto di lavoro. E il vertiginoso
aumento dei casi mortali tra gli
over60 (+38,3%) sono la diretta
conseguenza delle leggi liberticide
e dell’azzeramento dei diritti e delle tutele dei lavoratori imposti dal
nuovo duce di Rignano.
famiglia che occupa la posizione centrale della distribuzìone)
è inferiore alla media, e pari a
25.700 euro (cioè circa 2.100 al
mese. Il 10% delle famiglie a più
alto reddito percepisce più di 55
mila euro, cioè circa 4.600 euro al
mese.
Alla fine del 2014 la ricchezza netta delle famiglie (immobili,
aziende, oggetti di valore, depositi, titoli di Stato, azioni) al netto
delle passività finanziarie (mutui
e debiti) è risultata pari a 218mila
euro. Il reddito familiare annuo,
al netto di imposte sul reddito e
contributi sociali, è in media pari
a 30.500 euro, 2.500 euro al mese
e solo il 10% delle famiglie a più
alto reddito percepisce più di
55mila euro (4.600 euro al mese).
Per contro, l’indagine di Bankitalia evidenzia che, negli ultimi 9
anni sono notevolmente aumentati gli individui a basso reddito,
cioè con un reddito equivalente
(una misura del benessere che
tiene conto della dimensione e
della struttura demografica della famiglia in cui vive) inferiore al
60% di quello mediano (che è di
16 mila euro). Nel 2014 le persone costrette a sopravvivere con
meno di 9.600 euro annui sono risultate il 22,3% del totale; erano il
19,6% nel 2006 e il 20,6 nel 2012.
Nel’ultimo decennio l’incidenza
degli individui a basso reddito è
cresciuta soprattutto nelle fasce
di età centrali fino a 54 anni e rappresentano la diretta conseguenza della progressiva cancellazio-
ne dei diritti sociali e previdenziali
operata da Renzi, Berlusconi,
Letta e Monti soprattutto.
A farne le spese sono soprattutto le fasce giovanili. L’indagine
rileva infatti che la ricchezza netta
degli anziani è superiore di oltre
tre volte quella dei giovani. Negli
ultimi 20 anni si sono ampliati i divari di ricchezza tra i più giovani
e i più anziani, che riflettono solo
parzialmente il fisiologico processo di accumulazione dei risparmi
lungo il ciclo di vita. La ricchezza
media delle famiglie con capofamiglia tra i 18 e i 34 anni è meno
della metà di quella registrata nel
1995, mentre quella delle famiglie
con capofamiglia con almeno 65
anni è aumentata di circa il 60 per
cento.
Comunicato di CUB Trasporti e CAT-Coordinamento Autorganizzato Trasporti
Grande successo dello sciopero
del 26/27 novembre dei
lavoratori delle Ferrovie
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
I ferrovieri hanno dato vita,
unica categoria in Italia, all’ottavo
sciopero nazionale in poco più di
un anno e mezzo, per la dignità e
la sicurezza del lavoro, per un regime pensionistico equo, contro
la precarietà sistematica e la legittimazione dei licenziamenti del
Jobs Act, contro la repressione
dei diritti e del legittimo dissenso.
Il grande successo dello sciopero, convocato unitariamente
da CUB Trasporti e CAT-Coordinamento Autorganizzato Trasporti (e successivamente proclamato
anche da USB, seppur con una
diversa piattaforma di rivendicazione) dimostra come siano
falsate le misurazioni della rap-
presentanza volute da governo,
Confindustria e sindacati concertativi, che consegnano con i
rinnovi Rsu (in conformità con il
nuovo vergognoso Testo Unico
sulla Rappresentanza) la rappresentanza ufficiale a organismi
ormai inutili e impotenti a fronteggiare le sfide che i lavoratori
hanno davanti.
La nuova accelerazione del
governo sulla privatizzazione e
svendita del comparto ferroviario,
le proposte di nuove norme per
ridurre ulteriormente il diritto di
sciopero, già soggetto in Italia ad
una delle normative più restrittive
del mondo e i prossimi rinnovi
contrattuali che ancora una volta
i falsi alfieri dei lavoratori stanno
concordando con le aziende del
comparto sulla testa dei lavoratori, necessitano di continuare la
lotta con sempre maggior determinazione e coraggio.
Di fatto le nuove misure concordate di “regolamentazione”
degli scioperi a tutela del Giubileo, così come già avvenuto per
Expo, dimostrano il disinteresse
di governo e Confederali per le
vertenze dei lavoratori.
Proseguiremo nel percorso di
lotta per le legittime rivendicazioni e le giuste aspettative dei
lavoratori.
Complimenti a tutti i lavoratori
che, scioperando, hanno lottato
con noi.
CUB Trasporti,
CAT-Coordinamento
Autorganizzato Trasporti
27 novembre 2015
8 il bolscevico / interni
N. 47 - 24 dicembre 2015
Il Rapporto Cgil denuncia che sono irregolari il 50% delle aziende
Ridotti in schiavitu’ i braccianti
immigrati nelle campagne pugliesi
La strage di braccianti verificatasi nelle campagne pugliesi nel
corso di questa estate ha portato
allo scoperto le brutali condizioni
di schiavitù imposte da padroni
senza scrupoli e dai caporalinegrieri a decine di migliai di immigrati e di lavoratori italiani costretti a lavorare nei campi come
bestie anche per 15 ore al giorno
in cambio di un “salario” di 15 –
20 euro al giorno.
È questa l’agghiacciante realtà
che emerge dalle 300 pagine del
terzo report «Agricoltura e lavoro
migrante in Puglia» redatto dalla
federazione della Flai Cgil pugliese e presentato il 12 novembre a
Bari.
Secondo i dati della Flai i
braccianti assunti in Puglia nel
2014 sono oltre 180mila, un quinto dell’intero paese. Se si analizza
il rapporto dei soli braccianti stranieri sul totale - 40mila gli assunti
registrati nella regione dall’Inps –
la percentuale è del 29%, contro
una media Italia del 35,2. “Dato
che può trovare una spiegazione
nella più forte vocazione al lavoro agricolo italiano ma di sicuro
anche nel ricorso al nero degli
stranieri”.
Non reale per la Cgil anche il
dato relativo alle provenienze geografiche: dei 40mila braccianti
stranieri regolarmente assunti in
Puglia nel 2014, 19mila sono ru-
meni, 9mila tra albanesi e bulgari,
“eppure basta attraversare le nostre campagne durante il periodo
della raccolta del pomodoro perché ci si renda conto della grande
presenza di lavoratori ‘neri’ sfuggita alle registrazioni Inps”.
Non tornano nemmeno i numeri delle giornate lavorate dagli stranieri: nel 2014 i cosiddetti
“non aventi diritto”, ovvero quei
braccianti che non superando le
50 giornate non accedono all’indennità di disoccupazione, sono
23mila, con punte del 65 per cento in provincia di Foggia, dove
è registrata la metà dei 40mila
braccianti stranieri assunti in Puglia. Dato che segnala due fenomeni congiunti ormai strutturali
nel mercato del lavoro regionale:
il ricorso importante a forme di
lavoro nero o grigio, con giornate
solo parzialmente registrate, e risulta davvero poco credibile che
migliaia di uomini e donne si spostino in Puglia nella stagione delle
grandi raccolte per lavorare solo
dieci giorni. Elusioni riguardano
anche la qualità dei contratti con i
quali vengono assunti: “L’agricoltura pugliese non è all’anno zero,
necessita di lavorazioni particolari, manodopera specializzata, ma
prevale una contrattualizzazione
al ribasso”.
Il report della Flai Puglia dedica un approfondimento anche
Braccianti schiavi al lavoro nei campi pugliesi
al “sistema di accoglienza” dei
lavoratori stranieri e in particolar modo ai lager per i braccianti
agricoli costretti a vivere in baraccopoli fatiscenti e tendopoli auto
costruite, senza servizi igienici,
acqua potabile o energia elettrica.
Un sistema “ideato da mediatori
e caporali – in combutta con le
amministrazioni locali che fanno
finta di non vedere - in quanto vi
è l’interesse del sistema produttivo agricolo a stipare manodopera
ricattabile in grandi quantità e in
pochi luoghi, lontani dagli occhi
delle comunità e indifferenti anche alle forze dell’ordine”.
Questi lager sono gestiti direttamente dai pescecani capitalisti
e dalla criminalità organizzata che
speculano perfino sulla quota di
affitto per un posto letto richiesta
agli stagionali e sul trasporto per
condurre i braccianti nelle campagne. “Uno spazio dove ciascuno ha il suo ruolo: chi lavora,
chi paga, chi sfrutta, chi lucra”
una manodopera – denunciano
i rapporto redatti da Emergency
e Medici per i Diritti Umani – che
presenta sempre più diverse patologie muscolari e articolari in
quanto “sfruttata, stanca, usurata, sottoposta a regimi di lavoro
paurosi”.
Non a caso i dati della Flai confermano che, su 1.818 ispezioni
effettuate nelle imprese agricole
pugliesi dal ministero del Lavoro
nel 2014, “925 (circa il 50%) si
sono concluse con irregolarità”.
Una media impressionante di irregolarità che però rappresenta
solo la punta dell’iceberg.
In Puglia “il numero totale di
operai a tempo determinato (Otd)
dal 2013 al 2014 è passato da
180.748 a 181.273, registrando un
aumento di 525 unità (+0,3%)”. La
componente straniera “è passata
da 39.599 a 40.707 unità mentre
quella italiana è diminuita di 583
unità: il peso degli stranieri sul totale è passato dal 21,9% del 2013,
al 22,5% del 2014, con la componente extracomunitaria che prende sempre più piede passando dal
33,9% del totale al 34,7%».
Irregolarità diffusa dunque.
Che significa guadagni in nero
per le aziende agricole e salari da
fame per i braccianti. Milioni di
euro che confluiscono nelle casse di imprese che operano nella
totale illegalità con la connivenza e la compiacenza di padroni,
caporali, boss politici, amministrazioni e istituzioni locali. “La
quantità di denaro che gira nel
bestiale sistema del caporalato,
nel solo periodo della raccolta del
pomodoro, va dai 21 ai 30 milioni di euro”, è scritto nel rapporto.
Un fenomeno da sempre vigente
nelle campagne pugliesi, ma che
negli ultimi anni è andato sempre
più incancrenendosi, sino a raggiungere soglie di brutalità e di
violenza mai viste prima.
Secondo il rapporto “il caporale specula da ogni schiavo da
1 a 2 euro a cassone e 5 euro a
viaggio per accompagnarlo al lavoro”. Inoltre “gestiscono le abitazioni, si fanno pagare il fitto (circa
200 euro mese a testa). Speculano sul panino che forniscono con
altri 2–3 euro di rincaro medio a
pezzo, senza considerare quella
sulla ricarica elettrica del cellulare
(circa 3 euro a ricarica)”.
Altro che “rivoluzione gentile”
e “rivoluzione copernicana” di cui
cianciano l’ex governatore trotzkista e anticomunista Nichi Vendola (PRC) e il suo successore
Michele Emiliano (PD): la Puglia
governata per oltre un decennio
dal “centro-sinistra” sul fronte
dell’emancipazione del lavoro è
tornata al Medio evo.
In mille avevano manifestato ad Ancona: “Vogliamo difendere il territorio dal saccheggio delle multinazionali del petrolio’’
I Comitati antitrivellazioni contro
il governo dei petrolieri
Le popolazioni si ribellano allo “Sblocca Italia” che prevede di perforare 4-5 pozzi a 5 chilometri dalla Costa dei Trabocchi in Abruzzo
Si è tenuta sabato 28 novembre la manifestazione regionale
marchigiana ad Ancona contro
le trivellazioni nell’Adriatico, alla
quale hanno partecipato in oltre
un migliaio. Una folta delegazione di manifestanti è giunta dall’Abruzzo con alcuni pullman appartenenti ai comitati “No Ombrina”.
Delegazioni sono giunte anche
dall’Emilia-Romagna, dall’Umbria e dalla Basilicata.
La manifestazione, inserita in
un week-end ricco di mobilitazioni in tutto il Paese contro lo
Sblocca Italia ed in vista del vertice mondiale sul clima Cop-21
di Parigi, continua la campagna
contro la devastazione e saccheggio del territorio, per dire
stop alle trivellazioni petrolifere,
ma anche ai gasdotti, ai rigassificatori e a tutte le grandi opere
costose, dannose ed inutili che
hanno ottenuto il via libera con il
decreto.
Alla testa del corteo, un grande striscione: “No Trivelle, no petrolio, no guerre”, a testimoniare
il legame evidente tra il petrolio e
le fonti energetiche in generale e
la guerra, in particolare nel Medio
Oriente. Una grande mobilitazione che però non ha avuto alcuno
spazio sui media nazionali e solo
pochi accenni su quelli locali.
La manifestazione si è conclusa in Piazza Roma, dove hanno
preso parola i vari comitati ed associazioni della rete Trivelle Zero.
Abruzzo in primo piano poiché il
ministero dello Sviluppo economico ha recentemente concesso il definitivo via a perforare e a
tirar su greggio ad una manciata
di miglia dalle spiagge della provincia di Chieti. La devastante e
contestata piattaforma “Ombrina
Mare”, con annessa nave-raffineria galleggiante, si farà: questo
è stato deciso al termine della
Conferenza dei servizi a Roma,
tra le proteste e le bandiere “No
Oil” che sventolavano all’esterno. I comitati annunciano ricorsi
al TAR e si dicono pronti a presentare esposti alla magistratura
e in tutte le sedi, passando per
la Commissione europea. “Vedremo di affondare Ombrina prima che compaia all’orizzonte…
Ci difenderemo in ogni maniera
perché questo progetto non solo
colpisce l’ambiente ma anche il
Pil e noi stiamo tutelando pure la
nostra economia” sostengono gli
attivisti, lanciando un coraggioso
grido di battaglia.
Fra l’altro, l’“One Adriatic”, l’insieme di associazioni ambientaliste, comitati e movimenti dei Paesi
adriatici che comprende gruppi e
comitati di Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Italia, Montenegro
e Slovenia, nel momento cruciale
della Cop21 di Parigi, ha scritto
alla Commissione europea e ai ministri dell’ambiente dei Paesi che
si affacciano sull’Adriatico. L’appello è quello di fermare la corsa
all’oro nero intrapresa in questo
mare poiché tale scelta, miope, oltretutto di breve durata e anacronistica, non solo non tiene conto
dell’importanza che nell’economia
mondiale rivestono le nuove forme
di energia derivanti da fonti rinnovabili per uscire dalla dipendenza
da quelle fossili, ma non tiene conto nemmeno dell’impatto negativo
Ancona, 28 novembre 2015. La manifestazione regionale NoTriv
sulle altre economie che vivono
e si sviluppano intorno al mare,
come la pesca ed il turismo, e che
sono la vera ricchezza dei territori.
Un importante presidio contro
lo Sblocca Italia si era tenuto anche
mercoledì 15 e giovedì 16 ottobre
scorsi davanti alla Camera dei Deputati. Tante associazioni, reti e
comitati che lavorano quotidianamente su varie tematiche, principalmente economiche ed ambientali,
avevano individuato collettivamente
il Decreto Sblocca Italia come un
grave pericolo per ambiente, territorio, paesaggio, patrimonio pubblico
e diritto allo studio.
Inaccettabile innanzitutto lo
stanziamento di 3,9 miliardi per
grandi opere e di soli 110 milioni
di euro per la riduzione del rischio
idrogeologico: i numeri palesano le cause profonde di eventi
drammatici come le sempre più
frequenti alluvioni che si sono verificate in particolare in Liguria, e
la responsabilità di politiche dannose per l’interesse collettivo, ma
interessanti per gli appetiti privati
di grandi gruppi economici.
Ora più che mai risuona il monito dell’Associazione mondiale
di Meteorologia che, al pari di
tantissimi esperti internazionali,
ha lanciato l’ennesimo allarme
sulla necessità del taglio di emissioni capaci di modificare il clima,
in particolare quelle provenienti
da carbone, petrolio e gas; contestualmente il governo Renzi de-
creta che l’Abruzzo dovrà ospitare pozzi e raffineria galleggiante
per i prossimi decenni affossando l’economia dell’agricoltura
di qualità e quella turistica della
bellissima Costa dei Trabocchi, a
dispetto di due leggi regionali che
hanno sancito la presenza del
“Parco marino” della costa stessa e il limite vigente (e comunque
insufficiente) delle 12 miglia marine per le attività di ricerca ed
estrazione di idrocarburi.
All’interno di questa battaglia,
va ricordato che la Corte costituzionale, entro febbraio, si dovrà
pronunciare sull’ammissibilità del
referendum antitrivelle voluto da
10 regioni (Basilicata, Marche,
Puglia, Sardegna, Abruzzo, Ve-
neto, Calabria, Liguria, Campania
e Molise) e da tutto il movimento
“No Triv” che intende abrogare
alcuni articoli dello Sblocca Italia
e del decreto Sviluppo, al fine di
neutralizzare la centralizzazione
nelle mani dello Stato delle competenze in materia energetica. In
questo modo, così come previsto
per gli altrettanto dannosi inceneritori, nessun potere avranno
le amministrazioni locali sulle
decisioni prese direttamente dal
governo su impianti che la legge
definisce come di “interesse nazionale”. La Cassazione, pochi
giorni fa, ha dato il via libera ai
quesiti referendari.
Il fronte “No Triv” è in continua
espansione e la sua formazione
appare sempre più trasversale e
variegata com’è stato evidenziato anche nella prima assemblea
nazionale che si è svolta a Roma
al Parco delle energie.
Per il governo del nuovo duce
Renzi, sono gli interessi delle
multinazionali, in particolare quelle del petrolio, a essere strategici e per essi è disposto a tutto;
anche a calpestare gli interessi e
ignorare la volontà della popolazione. Così come emerso in quasi tutti i contenuti dello Sblocca
Italia e del Decreto sviluppo, appare sempre più evidente che il
governo Renzi è completamente
votato alla causa dei potenti e dei
petrolieri, e se ne infischia degli
allarmi che gli scienziati da tutto
il mondo stanno lanciando sull’uso dei combustibili fossili e le loro
catastrofiche conseguenze sia a
livello climatico che a livello sanitario ed economico.
metalmeccanici / il bolscevico 9
N. 47 - 24 dicembre 2015
La piattaforma contrattuale
della FIOM vince il referendum.
ContRaria la sinistra dei metalmeccanici
Una proposta calata dall’alto, un referendum poco partecipato
Landini allinea la Fiom alla Camusso e a Cisl e Uil
La Fiom ha reso noti i risultati del referendum che si è svolto
a novembre tra i metalmeccanici della Cgil sulla piattaforma
contrattuale. I dati evidenziano
come i voti favorevoli siano stati
molto alti, quasi un plebiscito, in
linea con la media ottenuta dalle rispettive proposte nelle altre
categorie della Cgil. In tutte le regioni i favorevoli superano il 90%
dei voti validi, anche se dobbiamo rimarcare come importanti
aziende metalmeccaniche hanno
bocciato la piattaforma. In Lombardia ricordiamo il netto NO della Same di Treviglio e della FGS di
Ticino Olona, in Emilia-Romagna
alla Motovario di Modena, alla
Marcegaglia di Forlì, all’Ocme di
Parma, in Piemonte alla Oerlikon
di Rivoli, in Veneto alla Somec di
Treviso e alla All-co di Padova,
in Toscana i No hanno prevalso
alla Perini di Lucca e alla GKN di
Campi Bisenzio.
Il voto era aperto anche ai
non tesserati, al momento del
voto erano presenti in azienda
424.870 lavoratrici e lavoratori e
hanno votato in 238.034 (il 56%):
219.686 i sì, 14.208 i no, 6.040 le
bianche e nulle. La Fiom ha archiviato il referendum dandone una
lettura positiva che potremmo riassumere con queste parole: alta
partecipazione e democrazia,
consenso e mandato molto forte, “certificato”, ritrovata unione
con Fim e Uilm. Tutti fattori che,
secondo il gruppo dirigente dei
metalmeccanici della Cgil, favoriranno la firma di un contratto
che riuscirà ad invertire i risultati
negativi ottenuti con gli ultimi accordi separati.
Partecipato e democratico
certo non lo è stato. Non lo diciamo solo noi, sono stati i lavoratori che hanno criticato il metodo
usato dalla Fiom. In alcune aziende le Rsu si sono persino rifiutate
di organizzare la consultazione
perché la piattaforma era stata
calata dall’alto, senza il minimo
coinvolgimento dei lavoratori,
chiamati poi a votare in tempi ristretti, spesso direttamente nelle
sedi sindacali senza nemmeno
avere la possibilità di discuterne
in fabbrica nelle assemblee. Alcuni delegati della Rsu della Elettrolux di Forlì hanno denunciato
che le modalità di voto, in quella
ma anche in altre aziende “non è
né certificato né trasparente”.
Alcuni delegati Fiom della
Piaggio di Pontedera (PI) aderenti all’area Il sindacato è un’altra
cosa della Cgil hanno emesso
un comunicato dall’eloquente titolo “la lezione di un referendum
inaccettabile”. Oltre alle critiche
alla piattaforma vi si legge che
la Fiom ha deciso di “chiudere in
fretta il confronto con i lavoratori
sulla Piattaforma, far conoscere
il meno possibile i suoi contenuti, tanto meno discuterli, fino al
punto di dare inizio alla trattativa
sul Contratto Nazionale senza
nemmeno aspettare la conclusione dei Referendum”. Alla fine
alla Piaggio, pur vincendo il Sì,
i tre quarti dei lavoratori non ha
votato, “risultato sia della difficoltà a esprimersi in mancanza di
informazioni adeguate, sia della
percezione della irrilevanza del
proprio voto”.
Anche noi marxisti-leninisti
giudichiamo particolarmente grave l’inizio della trattativa prima
ancora che i lavoratori si fossero
espressi con il loro voto. Segnale inequivocabile che il gruppo
dirigente avesse come obiettivo
principale quello di evitare a tutti
i costi un accordo separato che
escludesse la Fiom, mostrando fin
da subito la volontà di sedersi al
tavolo contrattuale con la massima apertura verso la controparte
padronale nonostante l’atteggiamento arrogante di Confindustria
e Federmeccanica. Non a caso
nei comunicati della Fiom sul rinnovo contrattuale fin dall’inizio
si sottolineava con insistenza la
necessità di uscire dalla logica
degli accordi separati partendo
“dalla certificazione della rappresentanza e dalla pratica del voto
referendario delle lavoratrici e dei
lavoratori per la validazione degli
accordi, come del resto previsto
dall’accordo interconfederale del
10 gennaio 2014”.
Più che conquistare nuovo salario e difendere i diritti la Fiom ha
scelto l’unità con Cisl e Uil sulla
base del famigerato accordo sulla
rappresentanza. Un accordo voluto dai padroni che frena la lotta
e il dissenso sindacale colpendo
la libertà dei lavoratori di scegliere
i loro rappresentanti e il diritto di
sciopero. La piattaforma approvata il 24 ottobre a Cervia rinnega
le lotte che la stessa Fiom ha portato avanti contro il famigerato
modello Marchionne cedendo a
tutte le richieste di Confindustria.
Oltre alle clausole di “raffredda-
mento” (limitazione del diritto di
sciopero) si accettano le deroghe
al Contratto Nazionale, il salario
legato principalmente alla produttività, l’aumento della disponibilità ai turni e al lavoro festivo, la
restituzione di una parte di salario
ottenuto dal contratto precedente e, dopo la previdenza l’introduzione della Sanità integrativa che
porta sostegno alla sanità privata
a discapito di quella pubblica.
Si capitola di fronte alle nuove relazioni industriali di stampo
mussoliniano introdotte per la
prima volta in Fiat da Marchion-
ne ma adesso fatte proprie anche
dalla Confindustria e dal governo
del nuovo duce Renzi, accettate
fin da subito da Cisl e Uil e, seppur in seguito e con molti mugugni dalla Cgil e adesso, di fatto,
anche dalla Fiom. Con la piattaforma di Cervia Landini riporta la
Fiom all’ovile, normalizzando la
categoria e allineandola alla segreteria e alla Camusso annullando quelle differenze che avevano
posto i metalmeccanici alla testa
della lotta contro la politica economica del governo Berlusconi,
contro il modello Marchionne,
per la difesa dell’articolo 18, dello
Statuto e dei diritti dei lavoratori,
trascinando spesso nella battaglia tutto il resto della Cgil.
Intanto il 4 dicembre la trattativa tra Confindustria e Fiom, Fim
e Uilm è ripresa. Al momento le
distanze tra le parti sembrano
difficili da colmare ma Federmeccanica ha fretta di concludere
è ha già fatto capire che non è
disposta a concedere nulla, né
sul salario, legato solo alla produttività aziendale, né sulla parte
normativa, dove il contratto nazionale si vuole sostituire quasi
completamente con la contrattazione aziendale. Fiom e Cgil
avevano promesso che i contratti
sarebbero stati uno strumento
per contrastare le nuove norme
sul lavoro introdotte dal governo
Renzi e invece anche quello dei
metalmeccanici, dopo quello dei
chimici, bancari e commercio, si
sta dimostrando solo un adattamento al Jobs Act, alle deroghe,
alle compatibilità aziendali.
Delegati Fiom Piaggio aderenti a Il sindacato è un’altra cosa
La lezione di un Referendum inaccettabile
La mancanza di informazione
e di discussione sulla Piattaforma
FIOM, la fretta di chiudere il Referendum e il suo fallimento in termini di partecipazione al voto, alla
Piaggio come in tante altre fabbriche, sollevano interrogativi pesanti sulle iniziative e sul ruolo che i
dirigenti della FIOM stanno assumendo. In una fase di attacco padronale, frontale e continuativo da
diversi anni, a livello nazionale e
di fabbrica, se si intendesse davvero dar vita a una iniziativa di difesa e di reale contrasto, la prima
cosa da fare sarebbe coinvolgere e
attivare il maggior numero possibile di lavoratori nella discussione
e nella costruzione delle Piattaforme rivendicative e delle azioni di
lotta. La Direzione FIOM ha de-
ciso l’esatto contrario: chiudere in
fretta il confronto con i lavoratori sulla Piattaforma, far conoscere
il meno possibile i suoi contenuti,
tanto meno discuterli, fino al punto di dare inizio alla trattativa sul
Contratto Nazionale senza nemmeno aspettare la conclusione dei
Referendum. Non è un caso, perché i contenuti della Piattaforma
FIOM non sono altro che la rinuncia a quelle battaglie che i lavoratori hanno fatto in questi anni
e l’accettazione di praticamente tutte le pretese della Confindustria, dalla limitazione al diritto di
sciopero alle deroghe ai CCNL,
dall’aumento della produttività al
lavoro festivo, dagli aumenti salariali minimi all’eliminazione della
perequazione tra grandi e piccole
fabbriche.
Per questo abbiamo rifiutato di
partecipare all’organizzazione del
Referendum e abbiamo espresso
la nostra totale contrarietà ai contenuti della Piattaforma. La nostra
valutazione è che il reale obiettivo
della dirigenza FIOM era e rimane solo quello di essere riammessi
alle trattative per il Contratto, sugli
stessi contenuti dei Contratti separati di FIM e UILM che la FIOM
ha giustamente respinto fino a ieri.
In questo quadro, l’astensione dal
Referendum dei 3/4 dei lavoratori
Piaggio è chiaramente comprensibile. Per la maggior parte, è stata il
risultato sia della difficoltà a esprimersi in mancanza di informazioni adeguate, sia della percezione
della irrilevanza del proprio voto.
Ma per tanti lavoratori l’astensione e` stata il modo di esprimere
il rifiuto consapevole di un metodo che non ammette altro che un
SI o un NO. Insieme al NO di 224
lavoratori, più di un terzo dei votanti, che sono andati a esprimere il loro rifiuto esplicito di questa
Piattaforma, questi comportamenti e questa coscienza, che vengono dalle battaglie di questi anni,
indicano la determinazione a continuare a combattere, in Piaggio
come in tante altre fabbriche, per
respingere gli attacchi ai diritti e
affermare i principi e gli interessi
della classe lavoratrice. Delegati FIOM Piaggio
aderenti a Il sindacato
è un’altra cosa
La CGIL prepara
il referendum abrogativo
sul Jobs Act
Con un voto a maggioranza,
il direttivo della CGIL ha deciso che consulterà i propri iscritti
per ricevere il mandato a indire
un referendum abrogativo delle
parti del Jobs Act che contraddicono il nuovo Statuto dei lavoratori.
Il direttivo ha approvato anche un odg di critica alla legge
di Stabilità. Ma se da una parte
il vertice CGIL ha aderito a tutte le manifestazioni di protesta
programmate dalle categorie,
ha però respinto un emendamento che chiedeva lo sciope-
ro generale.
E sempre grazie alla legge
di Stabilità che prevede un taglio di 100 milioni di euro ai
Caf quasi la metà dei contribuenti italiani rischia di rimanere senza assistenza fiscale.
Se la legge andrà in porto così
com’è, denuncia il coordinatore della consulta nazionale dei
Caf, Valerio Canepari, a pagarne le maggiori conseguenze sarebbero le persone anziane e i
più poveri che non hanno strumenti per orientarsi nella materia fiscale.
N. 26 - 2 luglio 2015
Comunicato dell’Ufficio politicoesteri
del/ ilPMLI
bolscevico 15
Perché gli attacchi terroristici a Parigi.
E' la barbarie dell'imperialismo
che genera barbarie
I marxisti-leninisti italiani si stringono solidali ai familiari delle vittime incolpevoli degli attentati
terroristici a Parigi.
Questi attentati, non condivisibili ma comprensibili, sono la diretta conseguenza della criminale
guerra che la santa alleanza imperialista, della quale fa parte la Francia di Hollande, conduce
contro lo Stato islamico. Ed è facilmente prevedibile che essi continueranno e investiranno tutti i
paesi della suddetta coalizione. Per evitarli l'unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato
islamico.
I popoli non hanno alcun motivo per appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi
degli imperialisti, cioè del capitalismo e delle classi dominanti borghesi, che per sostenere le loro
economie e "spazi vitali" usano le armi per sottomettere i popoli che si ribellano al loro dominio e
per depredare le ricchezze, soprattutto il petrolio e le materie prime, dei loro paesi.
Attualmente è il Medio Oriente, in particolare la Siria, l'Iraq e la Libia, che fa gola all'imperialismo
americano, europeo e russo. Nonostante essi siano in contraddizione e in lotta per l'egemonia in
quella regione, ora sono uniti per combattere lo Stato islamico, che rappresenta il maggiore ostacolo per i loro piani di dominio nel Medio Oriente.
Gli amanti della pace, della libertà e dell'autodeterminazione dei popoli, dell'indipendenza e della
sovranità dei paesi, non possono quindi stare dalla parte degli aggressori imperialisti, ma da
quella dello Stato islamico aggredito. Il PMLI, nonostante non condivida assolutamente la sua
ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi metodi di lotta, azioni e obiettivi, non può non appoggiarlo nella sua lotta contro gli imperialisti. Perché è interesse comune liberare il mondo
dall'imperialismo, che è la causa delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'esistenza delle classi, delle ingiustizie sociali, della fame, della disoccupazione, della disparità territoriale e dei sessi, del fascismo, del razzismo, dell'omofobia, dell'emigrazione. E' la barbarie
dell'imperialismo che genera barbarie.
Non esiste un imperialismo buono, quello russo o cinese, e un imperialismo cattivo, quello americano o europeo. Tutti gli imperialismi sono cattivi e nemici dell'umanità. Lottano tra di loro per il
dominio sul globo anche a costo di scatenare una guerra mondiale. Devono essere fermati.
Il contributo più grande che il popolo italiano possa dare a questa lotta antimperialista universale
è quello di opporsi a ogni atto interventista e guerrafondaio del governo imperialista del nuovo
duce Renzi. Esso è presente in armi in Iraq e Afghanistan, ed è pronto a bombardare con i Tornado e i Droni lo Stato islamico nel territorio che questo ha strappato all'Iraq. Aspetta solo di avere
la contropartita a cui tiene tanto, quella della guida della missione militare in Libia.
Il popolo italiano deve rifiutarsi di diventare carne da cannone per l'imperialismo italiano e, nel
caso in cui l'Italia partecipasse a una eventuale guerra mondiale imperialista, deve sollevarsi
anche in armi, se occorre, per imperdirla.
Questo governo è una iattura per la sua politica interna ed estera, bisogna cacciarlo.
stampato in pr.
14 novembre 2015, ore 9,04
l’Ufficio politico del
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
lotte antigovernative / il bolscevico 11
N. 47 - 24 dicembre 2015
Dieci anni dopo la Valle ancora in lotta
Imponente
manifestazione NO TAV
Ben accolto il PMLI col cartello “Cancellare la sentenza fascista contro i NO TAV e cancellare la TAV. E’ giusto ribellarsi contro i
reazionari”. Lo storico leader del movimento sottolinea “Abbiamo resistito 10 anni ne resisteremo altri 10 e per tutto il tempo necessario
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Martedì 8 dicembre si è svolta la marcia da Susa a Venaus,
entrambe nella neocostituita
città metropolitana di Torino, in
occasione del 10° anniversario della liberazione simbolo di
Venaus, quando a nulla valsero
le cariche della polizia a fronte
della determinazione dei manifestanti nell’impedire lo scempio del loro territorio da parte dei signori del cemento. Era
la notte tra il 5 e il 6 dicembre
2005, quando il presidio permanente che si teneva a Venaus, sui terreni sui quali doveva essere costruita la TAV, fu
sgomberato in maniera violenta
da parte delle “forze dell’ordine”. Fu riconquistato due giorni
dopo con una marcia di popolo
di 50 mila valsusini, che ruppero le staccionate, cacciarono le
“forze dell’ordine” e si riappropriarono del presidio. Era allora
in carica il governo Berlusconi
ter, ministro dell’interno Pisanu
(FI), che ricevettero una durissima batosta dalla manifestazione popolare.
Era precisamente l’8 dicembre 2005 il giorno della riconquista e a seguito di quella battaglia di massa, la lotta No-TAV
è diventata un simbolo per l’Italia intera. In dieci anni i governi
borghesi, passando per Prodi,
Monti, Letta e l’attuale governo Renzi, le hanno provate tutte
per indebolire il movimento e favorire i fautori della mostruosa
opera, innalzando il livello dello scontro e la militarizzazione
della Valle, ma niente ha piegato i valsusini in lotta.
Così martedì 8 dicembre, oltre 20 mila manifestanti hanno
dato vita ad una grandiosa marcia partita dalla città di Susa e
giunta fino al presidio NO TAV
di Venaus: “8 dicembre 2005-8
dicembre 2015. Ora come allora la resistenza continua!”, diceva lo striscione di apertura del
colorato e combattivo corteo del
movimento, composto prevalentemente da valsusini, da famiglie con bambini piccoli, anche loro con indosso magliette
di protesta NO TAV, movimenti
ambientalisti, PMLI, oltre a ciò
che resta di Rifondazione Comunista e la rappresentanza
della Federazione Anarchica
Italiana (FAI).
Imponente manifestazione,
non scontata del resto, soprattutto dopo le solite perquisizio-
ni, i fermi, i rallentamenti e le
provocazioni delle “forze dell’ordine”. Fin dalle prime ore del
mattino, tanti i posti di blocco
ai caselli dell’autostrada A12 e
sulle statali. Sono stati fermati i
pullman da Bergamo e del Terzo Valico. I manifestanti sono
stati filmati, identifcati e fotografati uno per uno, ma non si sono
mai arresi o intimiditi.
Nella città di partenza ci si
poteva rendere immediatamente conto di cosa i valsusini intendano per disgustosa destinazione delle risorse economiche da
parte delle amministrazioni pubbliche. Infatti lo storico ospedale di Susa è stato chiuso sulla
base dei tagli alla spesa sanitaria della regione Piemonte. Qui
i militanti NO TAV hanno riempito di lumini mortuari accesi e
striscioni di protesta il giardinetto attiguo all’ingresso dell’exospedale per far comprendere
alla popolazione a cosa portano i tagli alle risorse per i servizi popolari quando vengono dirottati per le inutili grandi opere.
L’importanza del movimento
NO TAV valsusino è incalcolabile, considerato che è sempre
stato d’ispirazione per la nascita di tutta una serie di fondamentali movimenti di protesta
che hanno impedito negli anni
ai vari potentati economici di distruggere l’ambiente a loro piacimento sperando di non esse-
1
Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. Lo striscione di apertura del corteo NoTav. Si notano la bandiera e il cartello
del PMLI (foto pubblicata sul web da Luca Perino)
testa si sposterà in tribunale,
dove venerdì riprenderà il processo d’appello a quattro attivisti, Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, condannati in primo grado
a tre anni e mezzo per il “sabotaggio” al cantiere di Chiomonte
nel maggio 2013. Il procuratore generale Marcello Maddalena, nonostante una sentenza
della Cassazione abbia detto a
chiare lettere che non si trattò di
torio della Val Susa e alle sue
masse popolari. Per questo va
spazzato via senza indugio e
con la massima determinazione, conducendo contro di esso
una dura opposizione di clas-
se e di massa nelle fabbriche,
in tutti i luoghi di lavoro, nelle
scuole e nelle università, nelle
piazze, nelle organizzazioni di
massa, specie sindacali e studentesche.
A Firenze, in occasione della
kermesse della Leopolda
Lavoratori e giovani
contestano Renzi
‡‡Redazione di Firenze
Non è mancata una sonora contestazione al nuovo
duce Renzi durante la stomachevole kermesse governativa della Leopolda, che
purtroppo Firenze deve subire ciclicamente.
All’appello contro “Renzi e le politiche di devasta-
tro e arrivare davanti alla
Leopolda. Tante le bandiere rosse e gli slogan come
“Scuola, Jobs Act e privatizzazioni: queste riforme sono
da cialtroni”.
Davanti alla Leopolda
i manifestanti hanno fronteggiato il nutrito cordone
di polizia e simbolicamente
Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. La delegazione del PMLI prende posto dietro lo striscione di apertura del
corteo NoTav (foto Il Bolscevico)
re contestati e combattuti.
Tra gli esempi più rappresentativi possiamo citare il No
Mose a Venezia contro l’installazione delle paratoie alle boc-
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
GENNAIO
che d’ingresso della laguna di
Venezia, che hanno, fra l’altro, visto inquisito il parlamentare forzista Giancarlo Galan, il
movimento contro la costruzione dei caccia F35 a Novara oppure il No Muos in Sicilia contro
l’impianto satellitare della Marina militare degli Stati Uniti.
Presente una delegazione
piemontese del PMLI che per
tutto il tempo del corteo è stata
super fotografata mentre sfilava orgogliosamente portando il
cartello “Cancellare la sentenza
fascista contro i NO TAV e cancellare la TAV. È giusto ribellarsi
contro i reazionari” e issando la
bandiera rossa del PMLI.
Le musiche risuonate durante il percorso sono state quelle
storiche della Resistenza contro il nazi-fascismo, come “Bella
ciao” e “Fischia il vento”, oltre a
quelle di alcuni gruppi musicali e cantanti politicamente impegnati come, la banda “No TAV”,
“Assalti frontali”, la “Banda Bassotti”, gli Egin e Caparezza.
Il clima favorevole ha accompagnato i manifestanti fino
alla destinazione nel campo di
Venaus dove intorno al presidio
NO TAV gli organizzatori hanno
sfamato tutti i partecipanti offrendo, con la sola sottoscrizione libera, polenta concia, spezzatino e formaggi tipici della Val
di Susa.
Nell’ultimo valico prima di
Cisal Comunicazione, Telecomunicazioni, Telecom
Italia Spa - Sciopero Personale Operation, Network
e Wholsale di Telecom Italia a livello nazionale a
eccezione del Lazio
entrare al campo di Venaus, nel
preciso punto dove 10 anni fa il
movimento ebbe la meglio contro la repressione delle forze di
polizia, lo storico leader del movimento, Lele Rizzo, ha tenuto
un emozionante discorso commemorativo che si è trasformato in un’arringa di lotta e di buon
auspicio quando ha sottolineato con forza che “Abbiamo resistito 10 anni ne resisteremo
altri 10 e per tutto il tempo necessario”.
Belle fotografie della manifestazione e della delegazione
marxista-leninista, scattate dal
fotografo del movimento Luca
Perino, si possono vedere al link:
https://plus.google.com/
photos/+LucaPerino/albums/6225961058015250641
Nei prossimi giorni la pro-
terrorismo, ha ripresentato l’accusa da cui i giovani NO TAV
erano stati assolti.
Il PMLI saluta con entusiasmo l’imponente manifestazione in occasione del decennale
di un movimento che si mostra
vitale e forte, con tutte le carte
in regola per arrivare all’obbiettivo finale della cancellazione
del TAV.
Oggi dopo dieci anni di lotta ci ritroviamo con un governo,
quello del nuovo duce Renzi,
che, seguendo la linea politica
dei governi che lo hanno preceduto, ha ribadito la volontà
di portare a termine questa mostruosa opera, peraltro innalzando il livello dello scontro e
della repressione. Oggi è Renzi il massimo responsabile della
politica di aggressione del terri-
Firenze, 12 dicembre 2015. Il concentramento dei manifestanti
contro la Leopolda di Renzi
zione e sfruttamento del governo e del Pd”, lanciato da
vari organismi della sinistra
fiorentina hanno risposto
numerosi lavoratori, tra cui
quelli dei Cobas Ataf, giovani, immigrati. Circa un migliaio di manifestanti sono
convenuti in piazza San Lorenzo nel pomeriggio di sabato 12 dicembre per percorrere in un combattivo
corteo, punteggiato di bandiere rosse, le vie del cen-
abbattuto alcune delle transenne messe a protezione
della kermesse renziana.
Il nuovo duce è stato contestato il giorno seguente
anche dai piccoli risparmiatori rovinati dalle 4 banche
salvate da Renzi e della sua
ministra Boschi, contestazione questa che ha trovato
più spazio sui mass-media,
mentre il corteo di sabato è
stato sostanzialmente ignorato.
12 il bolscevico / cronache locali
N. 47 - 24 dicembre 2015
“E’ l’unico modo per farci ascoltare”
Gli studenti occupano
i Licei Artistici a Firenze
Il neopodestà Nardella attacca la coraggiosa e sacrosanta
lotta invece di impegnarsi per risolvere gli annosi problemi
Repressione fascista: denunce dei presidi alla magistratura
e sospesi 39 studenti per 21 giorni, con rischio bocciatura
‡‡Redazione di Firenze
Le studentesse e gli
studenti del Liceo Artistico
di Porta Romana e quelli del Leon Battista Alberti
di via San Gallo a Firenze
in novembre hanno occupato i plessi dichiarando:
“Non possiamo continuare
a vivere e studiare in una
scuola che cade a pezzi, mancano la palestra e
i laboratori, quelli esistenti
sono mal forniti, abbiamo
bisogno di riprenderci i nostri spazi, non siamo ascoltati, non abbiamo altra strada che quella di provocare
il massimo disagio per attirare l’attenzione”. La battaglia è anche contro la “Buona scuola” di Renzi.
Certamente l’attenzione
l’hanno attirata dal momento che questa forma di lotta, sacrosanta ed efficace
ieri come oggi, ha suscitato l’interesse dei media fino
a scatenare la reazione del
sindaco piddino di Firenze,
Dario Nardella, che ha speso due parole, bontà sua,
per dire che i ragazzi hanno delle ragioni, poi li ha
attaccati dicendo: “Si levino dalla testa di ottenere
ascolto attraverso le occupazioni”. Insomma, iI neopodestà prende a pretesto
la cosiddetta illegalità delle
occupazioni per non assumere impegni concreti per
quanto di sua competenza in riferimento agli anno-
si problemi che gli studenti vivono sulla propria pelle
ogni giorno. Tanto meno intende andare contro la “riforma” della “Buona scuola” del suo padrino Matteo
Renzi.
Come gli studenti sono
usciti dagli schemi e hanno inasprito la lotta ecco
che la macchina repressiva
si è messa subito in moto,
e così sono arrivate le denunce per interruzione del
servizio da parte delle presidi Annamaria Addabbo
(Porta Romana) e Anna De
Sanctis (via San Gallo). Il
Leon Battista Alberti è stato sgomberato dalle “forze
dell’ordine”. Identificati le
studentesse e gli studen-
ti partecipanti alle occupazioni, ai quali sono state minacciate sospensioni dalle
lezioni fino alla bocciatura. Che sono puntualmente arrivate per 39 di loro: 21
giorni di sospensione e il rischio di perdere l’anno scolastico.
Esprimiamo solidarietà
militante ai coraggiosi studenti dei Licei Artistici fiorentini e li invitiamo a non
abbassare la testa perché
sono dalla parte della ragione e non devono cedere ai ricatti e alle pressioni
delle autorità scolastiche e
istituzionali. La storia dimostra che la lotta paga è così
che sono stati conquistati
tanti diritti.
Roma
Gli studenti mettono
fine all’occupazione
del Liceo Virgilio
con un corteo fino al Miur
‡‡Dal corrispondente della Cellula
“Rivoluzione d’Ottobre” di Roma
Quindici giorni di braccio di ferro.
Fino alla mattina di venerdì 11 dicembre
quando i duecento occupanti del Liceo
Virgilio di Roma hanno deciso di lasciare
la scuola. Vi erano entrati il 26 novembre scorso per protesta contro la “riforma” della “Buona scuola” e la gestione
“No Jobs Act” e fumogeni colorati, per arrivare al ministero dell’Istruzione in viale Trastevere. “Sfilare in centro sfidando i divieti del Giubileo e le restrizioni del
dopo attentati di Parigi sarebbe la nostra
vittoria”, avevano spiegato.
“Non vogliamo chinare la testa né
farci dettare i tempi della protesta dalle
minacce di sgombero” avevano detto.
Roma, 11 dicembre 2015. Il combattivo corteo degli studenti del Virgilio
Mentre “Sinistra Italiana” ufficializza l’appoggio al neopodestà De Magistris
I renziani avanzano la
candidatura del pm Corona
L’altro candidato certo alle primarie per Napoli è Bassolino.
Fermi al palo e ancora nel silenzio i grillini
‡‡Redazione di Napoli
Dalle giornate della “Leopolda” dove si sta svolgendo il summit del PD spunta il
candidato dei renziani alternativo al rinnegato del comunismo Bassolino alle prossime primarie del PD per
scegliere chi dei neoliberali dovrà affrontare le elezioni amministrative di Napoli
della prossima primavera. Si
tratta del magistrato anticamorra Giovanni Corona che
ha fatto un intervento proprio
a Firenze per testimoniare il
suo impegno di pubblico ministero anticlan; ma si tratterebbe solo di un incontro
ben organizzato e captato
dalla segreteria del neoduce Renzi per rappresentare
la sua corrente alle primarie.
Corona, infatti, rappresenterebbe quella parte di “società civile” che tanto stanno cercando i fedelissimi di
Renzi - primo fra tutti il capogruppo PD alla Regione
Campania, Mario Casillo -,
“contro un sindaco fallimentare e con un centro-destra
diviso abbiamo il dovere di
avanzare una proposta vincente per battere Bassolino
alle primarie e poi vincere e
governare”.
Contemporaneamente si
fa avanti la componente politica vicina al nuovo duce che
invece non concorda con
l’affidare ad un non iscritto al
PD la possibilità di concorrere alla primarie PD; corrente che fa capo a Gennaro Migliore e Valeria Valente,
già in passato sostenitori di
Bassolino ma ora pronti ad
affrontare la disputa elettorale. Nel frattempo Bassolino non perde tempo e incassa l’appoggio di una parte
della CGIL, quella facente
capo alla segretaria Susanna Camusso che ha invitato
gli iscritti a votare alle primarie del PD. Visto che ancora
si deve scegliere la griglia di
partenza dei candidati, i neoliberali sono concordi nel
far slittare la data delle primarie a marzo.
Inaspettata, invece, la
candidatura, ufficializzata al
caffè Gambrinus di Napoli
il 9 dicembre, dell’oncologo
Antonio Marfella, espressione di “Medici per l’ambiente”
che punta sui voti dei diversi Comitati ambientali sparsi sul territorio e recuperare parte dell’astensionismo
ambientalista.
In ritardo sembra essere il Movimento 5 Stelle che,
tramite il parlamentare e presidente della Commissione
Vigilanza Rai, Roberto Fico,
ha fatto sapere che devono essere completati i tavoli
di lavoro per definire il programma comunale e solo a
quel punto (si pensa a gennaio prossimo) si darebbe il
via alle consultazioni on line.
Il neopodestà De Magistris,
nel frattempo, incassa il sì
del nuovo mostriciattolo della “sinistra” borghese, “Sinistra Italiana”, presente alla
Domus ars di Santa Chiara
a Napoli. Nichi Vendola, Sergio Cofferati, Stefano Fassina e i parlamentari Arturo
Scotto e Giuseppe De Cristofaro hanno fatto dichiarazioni di appoggio all’ex pm
per le prossime elezioni amministrative a Napoli, chia-
mando a “coprire un vuoto
clamoroso apertosi con l’ascesa di Renzi e la trasformazione del PD”, come ha
tenuto a precisare il narcisista trotzkista Vendola.
Alla conferenza di “Sinistra Italiana” è chiaro il riferimento di coprire il vuoto a
sinistra dal PD, ma anche
la chiara intenzione di recuperare voti dal largo bacino degli astensionisti che
hanno superato il 50% degli
aventi diritto al voto e stimolano l’appetito dei pescecani delle diverse cosche pronte a spartirsi le poltrone alle
prossime elezioni amministrative a Napoli.
Per questo motivo sembra essere ormai sempre
più inevitabile la scelta di disertare le urne, annullare la
scheda o lasciarla in bianco;
una scelta che i marxisti-leninisti trasformano in un invito diretto al proletariato e
alle masse popolari, cominciando dal lasciare deserte
le urne delle primarie PD nei
prossimi mesi.
da parte della dirigente scolastica dell’istituto classico, uno dei più famosi nella
capitale frequentato da circa 1.500 alunni tra sede centrale e succursale (il Cattaneo in corso Vittorio Emanuele).
Da qui sono nate molte polemiche
con la preside Irene Baldriga, fortemente
contraria a quel presidio definito “violento e pericoloso” e alcuni genitori pronti
a chiedere anche l’intervento delle “forze
dell’ordine” per far finire l’occupazione.
La mattina di venerdì 11 dicembre era
in programma un corteo non autorizzato con partenza da Piramide alle ore 9,
l’ultima mobilitazione prima delle vacanze di fine anno. Ma i ragazzi dei collettivi
autorganizzati delle altre scuole di Roma
hanno deciso alla fine di radunarsi davanti al Virgilio in via Giulia: da lì, dietro lo striscione “Dalle scuole alle strade, non un passo indietro”, si sono mossi
in corteo attraversando un tratto del lungotevere tra gli slogan “No alla Buona
Scuola”, “No al carovita”, “Roma Libera”,
E così hanno atteso la mediazione del
sottosegretario all’istruzione Davide Faraone (PD) che mercoledì 9 aveva già
incontrato separatamente occupanti e
dirigente e giovedì 10 dicembre era riuscito a riunirli insieme, attorno a un unico tavolo convocato al Miur, assieme ai
genitori e ai professori del Consiglio di
istituto e al direttore dell’Ufficio scolastico regionale Gildo De Angelis.
Nel dicastero di viale Trastevere si
è parlato della forma di protesta e delle tredici richieste avanzate dai ragazzi:
dalla concessione di un’auletta autogestita alla rimozione della telecamera interna di sorveglianza, dall’anticipo dell’apertura dei cancelli per fare colazione al
bar interno a prezzi “popolari” alla richiesta di importanti lavori di edilizia e messa in sicurezza dei due edifici scolastici.
Di fronte a un’apertura da parte della dirigenza gli studenti hanno deciso di restare una notte ancora, l’ultima, nel liceo
di via Giulia.
Stiamo
in cordata
stretti l’uno all’altro
sostenendoci
reciprocamente
SOTTOSCRIVI PER IL
PMLI PER IL TRIONFO tenendo ben alta la bandiera
dell’antimperialismo
DELLA CAUSA
DEL SOCIALISMO
IN ITALIA
Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
Con i Maestri e il PMLI
vinceremo!
PMLI / il bolscevico 13
N. 47 - 24 dicembre 2015
Opinioni
sulla posizione del PMLI Alcuni dubbi sulla
posizione del PMLI
sull’imperialismo
sullo Stato islamico
e lo Stato Islamico
L’imperialismo è una tigre di carta e prima
o poi finirà, esso è il nemico giurato di
ogni marxista-leninista
Non bisogna dimenticare
quanto male gli americani hanno prodotto nel passato nel
mondo, quanto la loro sete di
dominio ha prodotto, sconvolgendo esseri umani, territori,
clima e via discorrendo. In qualsiasi posto hanno messo piede
hanno creato quello che noi
oggi vediamo. Non le ricordiamo tutte ma la più importante
come la conquista delle Americhe nel 1400 quando le allora
sacre corone papali trucidarono
interi popoli di credenti di un dio
buono e misericordioso, sottraendo loro ogni bene accessibile
in quelle terre, oro, diamanti legno, eccetera. Sono stati schiavizzati e brutalmente assassinati dalla più fervida cristiana
religiosità. Dopodiché per continuare la loro espansione evangelica questi dominatori dovettero esportare materiale umano
da altri continenti cristianamente conquistati, anch’essi dalla
più brutale violenza. Milioni di
poveri, uomini, donne, bambini,
ridotti nella più assoluta schiavitù per rendere quel paradiso
del catto-borghese schiavista
al massimo del suo progetto,
lavoravano come bestie pagati
poco o nulla.
Le mire espansionistiche europee sono state a questo livello, ovunque hanno depredato
le materie prime e schiavizzato
i popoli. Lenin lo spiega nel suo
celebre libro del 1916 “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”.
L’imperialismo è lo stadio
monopolistico del capitalismo.
1) la concentrazione della produzione del capitale che ha
raggiunto un grado talmente
grosso di sviluppo da creare
monopoli con funzione decisiva
nella vita economica.
2) la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e
il formarsi, nella base di questo
capitale finanziario, di una oligarchia finanziaria (schiavisti).
3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci.
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di
capitalisti che si spartiscono il
mondo (da buoni cristiani).
5) la conquista, ripartizione della terra tra le più grandi potenze
capitalistiche (per farci il paradiso terrestre).
Allora dobbiamo ancora
pensare che tutto ciò che questa crisi che adesso sta attraversando l’Europa sia un
miope risentimento generico
contro un torto subito. Pensiamo veramente che il buonismo cristiano euro-americano vada a liberare le masse da
un integralismo religioso assassino (i catto-protestanti ne
sanno qualcosa) o a difendere la libertà e l’uguaglianza?
Mentre nelle società capitaliste esiste la rigida divisione in
classi. O vanno lì a distruggere come facevano i loro avi per
accaparrarsi le materie prime,
come il petrolio, che produce
profitti inimmaginabili?
Ogni marxista-leninista deve
essere nemico di ogni imperialismo, nemico di ogni Stato borghese come dice Lenin, perché
“il fine del comunismo è l’abolizione dello Stato”. Abolire il capitalismo, la proprietà privata
dei mezzi di produzione, abolire la società divisa in classi e
ogni imperialismo, ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo
e ogni sfruttamento della terra
che ci offre le materie per vivere, abolire ogni arricchimen-
to personale, perché come dice
Mao il materiale più prezioso è
l’uomo nella sua manifestazione naturale con gli altri e con
l’ambiente che lo circonda nel
soddisfacimento delle esigenze
materiali e culturali della società. “Da ognuno secondo le sue
capacità a ognuno in base ai
suoi bisogni”.
Ritengo sia da rigettare totalmente la tesi che secondo cui
bisogna respingere i profughi
per timore di infiltrazioni terroristiche. I profughi sono le vittime
e i segni più lampanti di cosa
l’imperialismo produce distruggendo ogni forma di vita e depredando territori. Questi poveri
esseri umani non hanno la possibilità di combattere, di ribellarsi se non fuggire. Cosa faremmo noi al loro posto quando
non ti rimane niente e la disperazione ti toglie la forza di reagire?
L’imperialismo è una tigre di
carta e prima o poi finirà, esso è
il nostro nemico giurato e, come
dice Mao, “è quello di tutti i popoli del mondo”.
Gli insegnamenti di
Stalin sulla guerra
imperialista
serrare i ranghi. Senza questo
siamo perduti. Una Russia (non
URSS, ovviamente! e.g.) indebolita costituisce un immenso
pericolo per la causa della pace
e l’inviolabilità del nostro impero. Abbiamo bisogno di una
Russia forte, molto forte”. Ma
ancora: “Trotzky è un perfetto
diavolaccio. Egli è una forza distruttrice, non costruttiva. Sono
del tutto a favore di Stalin” (In
“Le Monde diplomatique”, ottobre 2015).
Giustamente, in vari interventi, il compagno Segretario
generale del PMLI Giovanni
Scuderi ribadisce la necessità
di riconoscere pienamente l’opera di Stalin, che ricercò la politica di alleanze militari provvisorie (cioè nel periodo bellico)
con le potenze occidentali per
schiacciare l’imperialismo nazifascista. Per due anni Stalin
dirotta la furia dell’imperialismo
nazifascista verso Occidente,
preparando l’URSS alla guerra,
come necessario, ossia alla difesa dall’aggressione nazifascista, appunto.
Leggendo tutte le opere di
Stalin si capisce come il Maestro, in piena e perfetta continuità con la scienza marxistaleninista intenda la guerra non
come “un errore di alcuni uomini di Stato”, ma “come lo sviluppo inevitabile dello sviluppo delle forze economiche e politiche
sulla base dell’odierno capitalismo monopolista” (Discorso
del 9 febbraio 1946 alla Riunione elettorale della circoscrizione “Stalin” di Mosca, Mosca,
Edizione in lingue estere, 1946,
p.2). È, in realtà, la riflessione di
Stalin sul problema della guerra, contro le deviazioni (gravi
e irreparabili) di Trotzky come
di Kamenev e di Zinoviev, per
non dire della socialdemocrazia (che già Lenin giustamente
bollava come socialfascismo).
L’imperialismo porta necessariamente alla guerra, quando i
diversi imperialismi confliggono, per affermare il proprio potere a scapito degli altri (cfr.
oggi anche la volontà aggressiva degli imperialismi Usa, britannico, francese, italiano ecc.,
verso lo Stato islamico), per dominare sui mercati, ecc. L’accorta diplomazia di Stalin in occasione della Seconda guerra
mondiale, come poi la strenua
difesa dell’unico Stato socialista nel mondo all’epoca, fu l’u-
nica risposta possibile alle volontà imperialistiche dei paesi
occidentali e in specie di Germania, Italia, Giappone (“potenze dell’Asse”) come intelligente
prosecuzione della conclusione
della Prima guerra mondiale da
parte di Lenin, con il trattato di
Brest-Litovsk, ancora una volta contro le posizioni di Trotzky,
dei “socialisti rivoluzionari” e dei
menscevichi.
Nelle carte dell’ambasciatore
dell’Unione sovietica al tempo
della Seconda guerra mondiale, Ivan Maisky, ambasciatore
dell’URSS a Londra dal 1932 al
1943, cui ha avuto accesso lo
storico Gabriel Gorodetsky (si
tratta di 1.500 pagine), emerge, al di là quanto poi indusse
lo stesso Maisky a essere troppo accondiscendente alle istanze occidentali, il grande Maestro Stalin. Persino Winston
Churchill, l’iper-conservatore,
il nemico assoluto del comunismo, tanto da aver inizialmente
lodato Mussolini quale principale “argine” anti-comunista, con il
noto carteggio (vergognoso ma
nella logica capitalista) “Dear
Benito”.
Ecco alcune sue dichiarazioni: “il nostro compito principale è di difendere la pace, di
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
chiuso il 16/12/2015
Editore: PMLI
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
Maurizio –
Figline Valdarno (Firenze)
Eugen Galasso – Firenze
Grazie ai vostri opuscoli
sto studiando l’opera
del grande Stalin
Buonasera compagni,
continuo a seguirvi e a propagandare la vostra azione nonostante la distanza.
Qui in Francia conoscete la
situazione e, al di là della politica imperialista d’Hollande l’azione anti-proletariato di Vals e
del suo lacché Macron, la destra reazionaria sciovinista petenista avanza incontrastata.
I cosiddetti socialisti e ancora più il PCF (nonostante i suoi
70.000 aderenti) sono incapaci
non dico d’una politica popolare ma si sono gettati nelle braccia del capitale; ovvio ma difficile da vivere.
In questo periodo mi sono
gettato nello studio di Marx di
Lenin e grazie ai vostri opuscoli nell’opera del grande Stalin
Cari compagni del PMLI, ho
apprezzato molto l’iniziativa di
aprire una rubrica su “Il Bolscevico” dedicata alla vostra posizione sull’imperialismo e lo Stato islamico. Sinceramente non
aspettavo altro, soprattutto da
quando avete redatto il noto comunicato stampa sulla 5ª Sessione plenaria del vostro Comitato centrale dedicata alla
politica estera e antimperialista
del PMLI. Un comunicato quello contro la santa alleanza imperialista e di appoggio all’Is che,
seppur ignorato e oscurato dalla maggioranza dei media di regime, è riuscito a filtrare nel web
aprendo una discussione a tratti anche violenta contro di voi e
i vostri militanti nelle piazze del
nostro Paese.
Da compagno e simpatizzante del vostro Partito vorrei esporvi francamente i miei dubbi sulla
posizione che avete preso sullo
Stato islamico e i movimenti islamici presenti nello scenario internazionale. A partire dalla domanda che sento spesso in giro e
che mi sono fatto anch’io, sull’analisi del neonato Stato islamico,
in particolare per quanto riguarda le sue capacità economiche
e finanziarie. Vorrei capire da
chi è finanziato, visti in passato i precedenti dei finanziamenti degli americani ai mujaheddin afghani, sorge il dubbio che
qualcuno abbia potuto finanziare l’Is per destabilizzare la regione e penetrarvi più facilmente. Insomma faccio molta fatica
ad appoggiare un gruppo armato dalla dubbia provenienza e
dal dubbio finanziamento. I combattenti dell’Is non mi sembrano
così genuini ed autoctoni come
lo furono in passato ad esempio i
Viet Cong o i Khmer rossi. Come
possiamo dunque appoggiarli e
pensare che siano realmente antimperialisti?
Voi parlate di Stato islamico
come entità realmente esistente,
a me sembra un’organizzazione
terroristica con più disciplina e
capacità militari di altre. Che ne
pensate? Visto che attualmente
occupa dei territori delimitati da
confini stabiliti dal diritto internazionale un secolo fa. E qual è il
suo consenso a livello di massa?
Altresì come possiamo fare
asse, noi atei e comunisti, con
chi fa del fanatismo religioso il
suo cavallo di battaglia e compie stragi di civili e innocenti in
nome di Dio? Che predica ed
ostenta una cultura e una visione del mondo oscurantista e reazionaria? Ed ancora si può essere d’accordo con le teste tagliate
e tutte le altre pratiche ostentate
dai militanti dell’Is?
Altro dubbio che mi è venuto
dopo gli ultimi attacchi di Parigi,
che considero una barbarie, e il
profondo eco emozionale provocato a livello generale è se fosse
corretto il minuto di silenzio e il
canto de “La Marsigliese” a cui
tutti noi siamo stati chiamati in
tutte le manifestazioni pubbliche
svoltesi nel nostro Paese.
Convinto che ogni confronto dialettico, come è questo con
voi, sia indispensabile per esprimere schiettamente e sinceramente le contraddizioni che viviamo quotidianamente, vi saluto
con immutata stima.
Un compagno,
simpatizzante del PMLI
terrore dei padroni e dei fascisti che è qui accanto a me nel
vostro mirabile manifesto “Con
Stalin per sempre”.
Come sempre contribuirò
con un piccolo gesto al vostro
lavoro rosso e eccezionale.
Saluti marxisti-leninisti.
Con Marx, Engels, Lenin,
Stalin e Mao per sempre!
In Polonia
i conservatori cattolici
di destra hanno vinto le
elezioni
Marcello – Francia
Ecco da dove nasce il
mio interesse verso
Lenin
Buonasera,
vi posso raccontare da dove
nasce il mio interesse verso Lenin.
Io sono cresciuta con il mito
di “Dedushka Lenin” che mi veniva narrato dalla mia nonna di
origine sovietica. Lei quando
ero piccola mi raccontava fiabe delle mirabolanti imprese di
Nonno Lenin, come viene familiarmente chiamato in russo.
Crescendo ho iniziato a esplorare da sola questa parte di storia che mi ha affascinato e mi
ha portato a vivere in Russia
per due anni. Ho vissuto cosi a
Ekaterinburg (città della morte
dei Romanov) e a Mosca.
Spero di incontrarvi presto a
Cavriago, visto che torno in Italia a inizio gennaio.
Cordiali saluti.
Irene, via e-mail
Il 25 ottobre scorso, i conservatori cattolici di destra anti-Ue di Diritto e Giustizia (Pis),
del leader Jaroslaw Kaczynski
e della candidata premier Beata
Szydlo, hanno vinto le elezioni
politiche in Polonia raggiungendo i numeri per formare un governo da soli.
Il ruolo del leader del partito, Jaroslaw Kaczynski, rinomato per le sue uscite autoritarie, sarà particolare: una sorta
di “generalissimo” della scena
politica polacca. Le due principali cariche nel Paese saranno infatti nelle mani di persone
indicate da lui, che non gli nascondono certo la propria gratitudine.
A guidare il nuovo governo,
che sta dimostrando disprezzo per la legge, per le usanze
democratiche e per la costituzione, è Beata Szydlo, in prima
linea nel difendere l’importanza dei valori cattolici e patriottici. Fra le decisioni del nuovo
governo c’è da aspettarsi una
marcia indietro rispetto agli immigrati: Kaczynski non li vuole e
la sua posizione è condivisa dal
capo dello Stato Duda.
Roberto –
provincia di Modena
esteri / il bolscevico 15
N. 26 - 2 luglio 2015
stampato in pr.
Per evitare
gli attacchi
terroristici
cessare di
bombardare
l’Is
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
esteri / il bolscevico 15
N. 47 - 24 dicembre 2015
Elezioni regionali in Francia
Al ballottaggio il 42,05%
dell’elettorato diserta le urne
Il voto dei socialisti al centro destra blocca il Front nazional fascista e razzista
I risultati dei ballottaggi delle elezioni regionali francesi del
13 dicembre assegnano la vittoria in sette regioni, su tredici, alla
destra di Les Républicains (LR),
il nuovo nome del partito UMP
di Nicolas Sarkozy, in cinque regioni ai socialisti del presidente
François Hollande e in Corsica
a una coalizione locale. Nessuna regione sarà amministrata dalla destra del Front national (Fn)
guidato da Marine Le Pen che al
primo turno del 6 dicembre aveva
ottenuto la maggioranza relativa
in sei regioni. Il Fn triplica i consi-
glieri regionali e ottiene il suo numero record di consensi, con 6,7
milioni di voti supera il dato del
primo turno delle presidenziali del
2012, quando aveva toccato quota 6,42 milioni.
Uno dei dati principali del voto
regionale francese è comunque
quello della diserzione del voto
che il 13 dicembre ha toccato il
42,05%, poco meno della metà
del corpo elettorale. Al primo turno del 6 dicembre la diserzione
del voto aveva raggiunto il 51%.
L’appello dei partiti della destra e
della “sinistra” borghese ad anda-
re a votare per fare sbarramento
contro la destra fascista e razzista del Fn ha contribuito fra i due
turni elettorali a far calare la diserzione che resta comunque a
livelli alti, quasi un elettore su due
fra quelli iscritti alle liste elettorali. E conferma in ogni caso che la
diserzione delle urne è una scelta, un vero e proprio “voto” ragionato e usato all’occasione dagli
elettori.
Il dato del 51% si riferisce comunque soltanto agli iscritti sulle
liste elettorali e non al totale degli aventi diritto. In Francia il dirit-
to di voto non è automatico come
in Italia, per poterlo esercitare occorre iscriversi sulle liste elettorali. Quanti siano quelli non iscritti
non lo sappiamo ma determina
in ogni caso un numero ancora
maggiore di chi rifiuta il meccanismo elettorale borghese.
Rispetto ai voti validi, la forza
elettorale delle principali formazioni francesi misurata sui voti del
primo turno è del 28,4% su base
nazionale per il Fn, del 26,8% di
LR e del 23,4% per i socialisti del
Ps. Ovvero della metà rispetto al
corpo elettorale, per effetto della
diserzione del voto. Fra il primo e
il secondo turno i voti del Fn sono
cresciuti di poco, in alcune regioni
dove la sconfitta era più che certa sono anche diminuiti; sono invece aumentati anche di un terzo
quelli del candidato meglio piazzato di LR o del Ps che poi ha vinto. In particolare è stato il voto dei
socialisti che è transitato al centro
destra su indicazione di Hollande
e del premier Valls per bloccare
il Fn.
Dalle prime analisi del voto risulta che a dare la vittoria al partito della diserzione del voto sono
stati in particolare i giovani, quelli che nel 2012 avevano votato
in massa socialista; non a caso
Hollande alla Bastiglia di Parigi,
il giorno della vittoria delle presidenziali, aveva affermato che
“voglio essere ricordato come
il Presidente dei giovani”. Oggi
molti di quelli che avevano creduto allo slogan “Le changement
c’est maintenant (Il cambiamento è ora, ndr)” non sono andati
a votare denunciando delusi che
“Hollande ha pensato a imprese
e finanza mentre la disoccupazione giovanile è sempre alta”.
Venezuela
Il socialdemocratico Maduro perde le elezioni
Fallito il cosiddetto “socialismo del XXI secolo”
La coalizione antichavista
Mud (Mesa de Unidad Democratica) formata da 18 partiti ha conquistato la maggioranza dei due
terzi del parlamento, con 112 seggi su 167; solo 55 seggi sono andati al Partito socialista unito del
Venezuela (Psuv), il partito del
presidente, il socialidemocratico
Nicolas Maduro nelle elezioni politiche del 6 dicembre. Il risultato,
convalidato dal Consiglio nazionale elettorale, consegna al Mud
la maggioranza qualificata che
gli potrebbe permettere di riformare la Costituzione, approvare
leggi autonomamente, scavalcare veti dell’esecutivo, rimuovere
magistrati del Tribunale Superiore di Giustizia e financo convocare un referendum per porre fine al
mandato presidenziale dell’erede
di Chavez e chiudere la parentesi
bolivariana durata 17 anni.
Uno dei leader del Mud, Henrique Capriles, chiedeva a Maduro “di mettersi agli ordini del parlamento al fine di lanciare il dialogo
nel paese”. Il presidente invece
dichiarava una “guerra istituzio-
nale” all’Assemblea non appena
si sarà insediata all’inizio di gennaio; ad ogni misura che prenderà il parlamento “risponderemo
con una reazione, costituzionale,
rivoluzionaria, e soprattutto socialista” affermava a caldo, a urne
appena chiuse.
A mente fredda definiva la pesante sconfitta subita dalla coalizione di governo alle elezioni per
il rinnovo dell’Assemblea Nazionale come una vittoria della democrazia e della Costituzione.
E tentava di spiegare la sconfitta elettorale come una conseguenza della guerra economica
lanciata dal capitalismo contro il
governo: “Ha vinto la guerra economica, il capitalismo selvaggio
e parassitario, e ora si impone
un piano controrivoluzionario per
smantellare lo stato democratico di giustizia e diritto. Ma noi,
con la costituzione in mano, difenderemo il nostro popolo. Non
è tempo di piangere, ma di lottare. Consideriamo questa sconfitta come una sberla salutare per
svegliarci. Un’occasione per ri-
flettere sugli errori e per uscire
dalle catacombe, come i cristiani dopo la morte di Gesù: e per
costruire, uniti, nuove vittorie. Abbiamo perso una battaglia. Per
adesso”. Un proclama che la dice
tutta sulla capitolazione di Maduro al capitalismo, neanche scalfito dai 17 anni della “rivoluzione
bolivariana” avviata dal suo mae-
stro e predecessore Hugo Rafael Frias Chavez. La sconfitta del
socialdemocratico Maduro segna
anche il fallimento della teoria del
cosiddetto “socialismo del siglo
XXI”, ossia la “nuova” teoria di
conquista del socialismo lanciata da Chavez, che altro non era
che una rimasticatura di revisionismo.
In Ucraina diserta le urne
il 53,3% dell’elettorato
Al 68,35% nelle aree della regione di Donetsk non controllate dagli autonomisti
Le elezioni locali per l’elezione di 358 sindaci e il rinnovo dei
consigli comunali e regionali in
Ucraina del 25 ottobre a detta di
molti osservatori potevano essere una specie di referendum pro
o contro il presidente Petro Poroshenko, che col suo partito il
Blocco si giocava la maggioranza relativa con alte formazioni tra
le quali quella di Patria, il partito dell’ex primo ministro Yulia Timoshenko. L’esito è al momento sospeso dato che nelle più
importanti città il risultato sarà
determinato dall’esito del ballottaggio in programma a metà
novembre. Urne chiuse in Crimea, annessa dalla Russia nel
2014, e nella parte del Donbass
controllata dai separatisti russi.
Quello che già si può mettere
in evidenza è in ogni caso l’alta
diserzione delle urne che è stata del 53,3%. Più della metà dei
circa 26 milioni di aventi diritto al
voto per le amministrative del 25
ottobre non sono andati alle urne;
in alcune zone del paese come
nella regione di Donetsk non controllate dagli autonomisti la diserzione ha toccato il record del
68,35%. Una sonora bocciatura
per il presidente Poroshenko e il
governo reazionario di Kiev.
In alcune città le elezioni sono
state rimandate, come nel caso
della città di Mariupol, per i forti sospetti di brogli di tutti i partiti in lizza, a cominciare da una
denuncia rilanciata dalle agenzie
sulla quantità di schede stampate
“forse in numero superiore al necessario”.
Le elezioni sarebbero state
“democratiche” e “trasparenti” secondo gli osservatori occidentali
presenti in Ucraina che pure hanno dovuto rilevare “la complessità
del quadro giuridico, il dominio di
potenti gruppi economici sul processo elettorale e la mancanza
di indipendenza dei media”. Quel
che conta è che Kiev stia dalla
parte dell’imperialismo occidentale, il resto non conta.
UTILIZZATE
Invito agli operai, lavoratori, compresi i precari, disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti
il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi lettori non membri del
PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizzativa, fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate
esprimere liberamente il vostro pensiero e dare il vostro contributo personale
alla lotta contro la classe dominante borghese e il suo governo, le giunte locali e
regionali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi
e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista.
Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di sostegno al Bolscevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche di base, nonché le proposte e i
consigli tendenti a migliorare il nostro lavoro politico e giornalistico.
rare le 3.600 battute spazi inclusi.
Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indirizzate le opinioni riguardanti l’attualità politica, sindacale, sociale e culturale in Italia e nel mondo.
Tali opinioni non necessariamente debbono coincidere in tutto con quelle
del PMLI, ma non devono nemmeno essere contrapposte alla linea del nostro Partito. In tal caso non si tratterebbe di un contributo alla discussione e
all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un
intervento contraddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dialogo con i lettori”.
sindacali, sociali e culturali, o che vogliono informare le lettrici e i lettori de “Il
Bolscevico” sulla situazione, sugli avvenimenti e sulle lotte della loro azienda
Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le
denunce e le cronache di avvenimenti sociali, politici, sindacali che interessano la propria fabbrica, scuola e università e ambiente di vita, quartiere di
abitazione, città o regione.
Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina
Libere denunce dei lettori
Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PALAZZO IN 1ª PAGINA” vanno
indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie, soprusi, malefatte e mascalzonate che commettono ministri, governatori, sindaci, assessori, funzionari
pubblici, insomma chiunque detenga del potere nelle istituzioni borghesi.
Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate le questioni
ideologiche e politiche che si intendono dibattere con “Il Bolscevico”, anche
Questa rubrica è a disposizione delle operaie e degli operai non membri
se sono in contraddizione con la linea del PMLI. Le lettere non devono supe- del PMLI che vogliono esprimere la loro opinione sugli avvenimenti politici,
Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari... e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per trafiggere i nemici del popolo, come un maglio
per abbattere il governo del Berlusconi democristiano Renzi, come scope per far pulizia delle idee errate e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque mascherati inculcano al proletariato e alle masse lavoratrici,
giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.
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1879 - 21 DICEMBRE - 2015
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N.47 data editoriale 24 dicembre 2015