Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXIX - N. 47 - 24 dicembre 2015 Gli imperialisti americani e russi uniti nel bombardare l’IS, divisi per spartirsi la Siria e il Medioriente 1879 - 21 DICEMBRE - 2015 136° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DEL GRANDE MAESTRO DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE La Nato pronta a intervenire in Libia Putin minaccia di usare armi nucleari. Capo Pentagono: Siamo in guerra Intervenendo alla Conferenza sul Mediterraneo Con Stalin per sempre Contro il capitalismo per ilil socialismo socialismo Renzi: “Distruggere l’IS è la priorità assoluta” PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO I droni spia italiani sui cieli dell’IS Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] PAG. 2 A Firenze, in occasione della kermesse della Leopolda PAG. 3 www.pmli.it Conferenza Onu di Parigi sulle emissioni di gas serra e sul clima, sponsorizzata da banche, multinazionali e inquinatori Nulla di fatto per frenare il cambiamento climatico. La terra e la vita ancora in pericolo Tutti i governi applaudono ad un accordo sostanzialmente inconsistente e pieno di promesse che possono non essere mantenute o fatte slittare. In piazza gli ambientalisti insoddisfatti L’unica soluzione radicale e definitiva è il socialismo PAGG. 4-5 Lavoratori e giovani contestano Renzi PAG. 11 Approvata dalla Camera Al Sud stipendi La riforma della cittadinanza è parziale e restrittiva più bassi del 30% Limitazioni per un bambino figlio di immigrati di diventare cittadino italiano. Mantenuto l’impianto arbitrario e punitivo dell’attuale legge PAG. 3 PAG. 7 Dieci anni dopo la Valle ancora in lotta Imponente manifestazione NO TAV Ben accolto il PMLI col cartello “Cancellare la sentenza fascista contro i NO TAV e cancellare la TAV. E’ giusto ribellarsi contro i reazionari”. Lo storico leader del movimento sottolinea “Abbiamo resistito 10 anni ne resisteremo altri 10 e per tutto il tempo necessario PAG. 11 Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. L’imponente corteo NoTav attraversa i boschi della Valle. Si notano le insegne del PMLI (foto pubblicata sul web da Luca Perino) Lottiamo per la piena libertà d’accesso all’istruzione per i figli del proletariato e del popolo Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI PAG. 6 2 il bolscevico / santa alleanza imperialista contro l’Is N. 47 - 24 dicembre 2015 Gli imperialisti americani e russi uniti nel bombardare l’IS, divisi per spartirsi la Siria e il Medioriente La Nato pronta a intervenire in Libia Putin minaccia di usare armi nucleari. Capo Pentagono: Siamo in guerra Gettata da tempo ogni maschera diplomatica gli imperialisti fanno ormai a gara a chi soffia di più sul fuoco che incendia tutto il Medio Oriente e il sud del Mediterraneo: dopo i proclami di guerra e i forsennati bombardamenti ordinati da Hollande sulla Siria, sulla cui scia si è subito buttato il britannico Cameron, ora sono il nuovo zar Putin e il capofila imperialista occidentale Obama ad alzare la voce, con proclami e minacce guerrafondaie che preannunciano una nuova e più pericolosa escalation del conflitto nella regione. Il 9 dicembre, commentando soddisfatto a “Russia Today” il lancio di missili da crociera da un sottomarino nucleare russo di nuova generazione incrociante nelle acque del Mediterraneo contro Raqqa capitale dell’IS, Putin ha sottolineato intenzionalmente come quel tipo di missili possano trasportare sia testate convenzionali che nucleari, aggiungendo poi con aria volutamente minacciosa: “Naturalmente non è necessario quando si combattono terroristi e, spero, non ce ne sarà mai bisogno”. Il giorno precedente il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, aveva annunciato che per la prima volta lo Stato islamico era stato colpito da missili lanciati da un sottomarino lungo le coste siriane nei pressi di Cipro, aggiungendo a mo’ di rassicurazione che dell’attacco erano stati preavvertiti sia gli Stati Uniti che Israele. Anche il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha cercato di smussare precisando che “non c’è necessità di usare l’atomica: ce la possiamo cavare con le armi convenzionali, cosa che corrisponde a pieno alla nostra dottrina militare”: con ciò ribadendo, più che attenuare, la minaccia del presidente russo. Confronto ravvicinato Usa-Russia Quasi contemporaneamente all’avvertimento di Putin, il segretario alla Difesa americano Ashton Carter, in un’audizione davanti al Congresso Usa, annunciava un’escalation dell’intervento militare contro l’IS, con l’invio di elicotteri Apache, forze speciali, armi, munizioni e “consiglieri militari”, in particolare per riconquistare la città di Ramadi, giustificandolo come una risposta alla minaccia dello Stato islamico a tutto l’Occidente prima ancora che al Medio Oriente: “La realtà è che siamo in guerra. Questo è quello che sentono le nostre truppe perché combattono l’IS ogni giorno”, ha detto senza mezzi termini il capo del Pentagono. Dunque da una parte l’imperialismo americano e quello russo sembrano convergere nell’aumentare lo sforzo militare per combattere il nemico comune, lo Stato islamico. Tant’è vero che anche a livello diplomatico stanno manovrando insieme per far approvare al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione, che ricalca la Un bombardamento russo sulla Siria bozza di un provvedimento contro Al Qaeda del 1999, per bloccare le fonti di finanziamento all’IS. Ma dall’altra si fronteggiano a distanza, anzi sempre più da vicino, e si lanciano avvertimenti nell’ambito della rivalità che li oppone a livello strategico, in particolare riguardo alla spartizione della Siria e del Medio Oriente, sulla quale hanno interessi, vedute e alleanze diverse e in molti casi opposti. Per non parlare del confronto politico, economico e militare durissimo che li oppone sulle frontiere orientali dell’Europa. Ecco allora che lo spettro dell’uso di armi nucleari nel tea- tro mediorientale, più che diretto contro l’IS sembra un avvertimento lanciato agli Usa e ai suoi alleati nella regione, in primis la Turchia aderente alla Nato, dopo l’abbattimento del caccia russo ordinato da Ankara. E dopo l’occupazione di territorio iracheno da parte di truppe e carri armati turchi, con la Russia che appoggia le proteste del governo di Baghdad contro lo sconfinamento turco. Simmetricamente, l’annuncio americano di essere “in guerra” con l’IS e dell’invio di elicotteri e truppe speciali in Siria e Iraq vuole essere anche un monito e un argine a Putin a non allargarsi troppo Conferenza di Roma sulla Libia Accordo per un governo di unità nazionale in Libia La Farnesina ha ospitato il 13 dicembre la riunione ministeriale per la Libia copresieduta dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, dal Segretario di Stato Usa John Kerry e dal Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la Libia, Martin Kobler. La riunione dei ministri degli esteri del gruppo chiamato P5+5, ovvero i 5 del Consiglio di sicurezza Onu più Italia, Germania, Spagna Onu e Ue, alla presenza dei paesi che vogliono essere più coinvolti nella soluzione della crisi libica e dei rappresentanti dei due governi libici, quello di Tripoli e quello di Tobruk ha dato il via ufficiale al varo di un “Governo di Concordia Nazionale con sede nella capitale Tripoli”, sotto la tutela dell’imperialismo che ha bisogno di una Libia “stabile” per poter combattere lo Stato islamico. L’intesa che prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale era stata raggiunta l’11 dicembre dai rappresentanti dei parlamenti di Tripoli e Tobruk che avevano definito l’accordo politico patrocinato dalle Nazioni Unite e dal nuovo inviato di Ban Ki-moon in Libia, Martin Kobler. La firma ufficiale è prevista per il 16 dicembre in Marocco. “Quello in corso in Libia - affermava John Kerry - è un processo voluto da libici e portato avanti dai libici” per “far nascere una Libia sicura e stabile”. Il segretario di Stato americano sottolineava che “sono i libici che parlano a nome del loro popolo, il minimo che noi possiamo fare è assisterli e aiutarli” e ricordava che gli Stati Uniti hanno già stanziato “330 milioni di dollari in aiuti umanitari”. E minacciava chi “dentro e fuori la Libia lavora per far fallire l’accordo. Chi lo mina pagherà il prezzo. L’unica base legittima per un futuro della Libia è questo governo di unità nazionale. Su questo concordano i libici presenti qui oggi”, sentenziava l’autoproclamato protettore del popolo libico Kerry. Che accettando di far tenere la conferenza a Roma apriva la porta per le ambizioni dell’imperialismo italiano a avere un ruolo di primo piano, politico e militare, nell’intervento in Libia. Alla riunoine il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sottolineava che “in Libia il Daesh si sta facendo sempre più pericoloso, la diplomazia e la politica questa volta devono dimostrare di essere più rapidi dei terroristi”, esprimendo i pruriti interventisti dell’imperialismo italiano contro lo Stato islamico. Accelerati dalla concorrenza imperialista dichiarata da Francia e Gran Bretagna col primo ministro francese Valls e il go- verno britannico di David Cameron che hanno già dato ordine ai loro eserciti di preparare le azioni militari per colpire al più presto l’Is in Libia. D’altra parte il comunicato firmato nel vertice di Roma afferma che i partecipanti dichiarano la loro “determinazione a lavorare con il Governo di Concordia Nazionale per sconfiggere gli affiliati di Daesh in Libia e eliminare la minaccia che essi rappresentano per la sicurezza internazionale e della Libia. Ribadiamo il nostro pieno appoggio all’applicazione della Risoluzione 2213 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle altre Risoluzioni in materia per affrontare le minacce alla pace, sicurezza e stabilità della Libia. I responsabili della violenza e coloro che impediscono e minacciano la transizione democratica della Libia devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni”. Della Santa alleanza pronta a partire per la Libia non fa parte la Russia del nuovo zar Putin che comunque ha firmato il documento della conferenza e non ha mancato di far conoscere il suo appoggio a Renzi. Nell’incontro dell’11 dicembre a Roma con Gentiloni il collega russo Sergey Lavrov aveva sottolineato che “noi siamo consapevoli dell’importanza che ha la Libia per l’Italia. Per cui sa- remo presenti alla Conferenza Internazionale sulla Libia che si terrà a Roma il 13 dicembre. Faremo pressione sulle fazioni in lotta perché arrivino alla pace sotto l’egida delle Nazioni Unite”. Il ministro russo affermava che “al momento non sono previsti raid russi sulla Libia, anche perché non vi è stata nessuna richiesta in tal senso. Stiamo invece lavorando anche con gli italiani perché si arrivi al riconoscimento ufficiale di un governo, altrimenti si sfacia tutto. Il nostro interesse è sincero e a fianco dell’Italia”. Così al termine del vertice sulla Libia Gentiloni poteva ribadire che “la ricetta per sconfiggere il terrorismo, nel medio periodo, è una Libia stabile. Il ruolo dell’Italia sarà quello che la storia ci impone (sic!!), e si baserà sulle decisioni delle Nazioni Unite e sulle richieste del governo di unità nazionale libico”. Libia e non solo, sottolineava il crociato Gentiloni che in un precedente intervento in merito alla crisi siriana aveva ripetuto che “porre le premesse per avviare a soluzione la crisi siriana è uno snodo molto importante della più ampia partita che stiamo combattendo contro Daesh, vorrei ricordare che l’Italia resta uno dei Paesi più impegnati, politicamente e militarmente, nella Coalizione anti Daesh”. in queste due regioni, che considera territorio di caccia esclusivo dell’Occidente. Mentre, contemporaneamente, gli Usa continuano a completare l’accerchiamento della Russia col recente invito al Montenegro a entrare nella Nato e preparando l’adesione anche di Bosnia, Georgia e Macedonia. Si avvicina anche l’intervento in Libia Come se non bastasse, le minacce di un’escalation dell’intervento imperialista si stanno allargando dal Medio Oriente anche al sud del Mediterraneo, dopo le notizie su un presunto ridislocamento strategico dello stato maggiore dell’IS dalla Siria alla Libia a causa dei continui bombardamenti sullo Stato islamico. Ecco allora il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dichiarare in un’intervista ad un gruppo dei più importanti quotidiani europei; tra cui per l’Italia “la Repubblica”, che l’Alleanza atlantica è pronta a intervenire militarmente in Libia. Stoltenberg ha respinto la tesi che la Nato non sia coinvolta nella guerra contro l’IS in Siria e Iraq, sottolineando che l’alleanza è già presente in quelle due regioni, e anche in Giordania e Tunisia, facendo assistenza e addestramento militare e con l’intelligence e forze speciali; per non parlare della Turchia, membro Nato, che fornisce basi di partenza ai bombardamenti sullo Stato islamico e dove l’alleanza gestisce direttamente le batterie di missili Patriot. Quanto alla Libia, dove lo Stato islamico sembra intensificare la sua presenza, “ci teniamo pronti ad assistere un governo nazionale, se ce ne farà richiesta”, ha precisato Stoltenberg. Ossia, la Nato è pronta ad un altro intervento militare come quello del 2011 per abbattere Gheddafi, solo che ammaestrata dal fallimento politico e militare di quella missione che ha gettato quel paese nel caos ora si muove più cautamente e cerca di precostituirsi uno scenario politico favorevole per il dopo intervento, cercando di favorire un’intesa tra le forze anti IS per la costituzione di un governo unico filo occidentale. Lo stesso cerca di fare per conto proprio anche la Russia, che tenta di inserirsi nel gioco facendo leva sulle ambizioni italiane verso la sua ex colonia. E a questo scopo Putin cerca di blandire il nuovo duce Renzi, appoggiando la sua politica interventista che rivendica il ruolo guida dell’Italia nella coalizione internazionale contro lo Stato islamico in Libia. Non a caso lo stesso Lavrov, arrivando in Italia per partecipare alla Conferenza di Roma sulla Libia, ha dichiarato a “la Repubblica” che “Il Califfato vuole fare di Sirte una filiale di Raqqa. Per l’Italia è un problema serio. Noi siamo pronti ad aiutarvi”. E ha rivelato che “Putin e Renzi ne parlano da più di un anno in tutti i loro incontri”. Afganistan I talebani attaccano l’aeroporto Nato di Kandahar Nel tardo pomeriggio di martedì 8 dicembre un gruppo di talebani ha assaltato l’aeroporto di Kandahar, il secondo più importante e più protetto dell’Afghanistan. L’attacco si è concluso dopo quasi 20 ore scontri e il bilancio, secondo il ministero della Difesa afghano, sarebbe di 37 vittime, tra cui nove combattenti talebani, e 35 feriti. L’aeroporto di Kandahar è considerato un obiettivo strategico per il dislocamento dei mezzi militari degli aggressori imperialisti americani e della Nato. Insieme a quella di Bagram, 40 chilometri a nord di Kabul, la base di Kandahar è stata fondamentale nel corso di questi 14 anni di occupazione imperialista per le operazioni logistiche e militari, incluse quelle della Cia. I Talebani non sono riusciti a occupare tutta l’ampia zona dell’aeroporto, ma l’assalto costituisce senza dubbio un successo militare rivendicato con un video rivolto al presidente degli Usa Barack Obama, che per due volte ha deciso di prolungare la presenza delle truppe di occupazione nel Paese (ora 10.000 circa, 5.000 dalla fine del 2016). L’attacco è stato lanciato in concomitanza con l’inizio a Islamabad, in Pakistan, della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione regionale, Heart of Asia, nell’ambito del cosiddetto processo di Istanbul. Un appuntamento annuale, cruciale per il presidente Ghani, che mira a mobilitare risorse e sostegno politico per convincere gli studenti coranici a sedersi al tavolo negoziale. interni / il bolscevico 3 N. 47 - 24 dicembre 2015 Intervenendo alla Conferenza sul Mediterraneo Renzi: “Distruggere l’IS è la priorità assoluta” I droni spia italiani sui cieli dell’IS Nell’incontro con la stampa dello scorso 4 dicembre sulla presentazione della Conferenza MED 2015, in programma a Roma dal 10 al 12 dicembre, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e Paolo Magri dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale (ISPI), i due enti promotori, affermavano che l’obiettivo dell’incontro era quello di “fornire le basi per una nuova agenda per il Mediterraneo affinché la Regione cessi di essere percepita solo come sinonimo di crisi, pericolo e instabilità, ma torni ad essere teatro di opportunità”. La Conferenza si concentrerà “sulle attuali sfide e trasformazioni dello scenario Mediterraneo diventato l’epicentro del disordine internazionale”, precisava il sito della Farnesina, che metteva in evidenza come “la priorità resta la sconfitta di Daesh”, lo Stato islamico. A seguire erano necessari “l’avvio di una transizione politica in Siria e la nascita di un governo di concordia nazionale in Libia”. Legate comunque anch’esse alla guerra contro lo Stato Islamico (IS) o Isis come erroneamente viene definito sui media. Il concetto era ripreso e rilanciato in apertura dei lavori della Conferenza dal presidente del consiglio Matteo Renzi che agli oltre 200 leader del mondo della politica, diplomazia, business, media e cultura presenti a Roma ribadiva che “distruggere l’Isis è la priorità assoluta” Come di consueto Renzi usava toni apparentemente dialoganti spiegando che la Conferenza “trae spunto da un’idea forte: ritrovare con il dialogo la strada per superare la crisi del Mediterraneo. Tutti dobbiamo insieme costruire una nuova stagione di sviluppo”. Ma alla fine il dialogo è relativo solo agli alleati imperialisti e a chi obbedisce ai loro diktat perché se “la collaborazione internazionale va ulteriormente sviluppata” come sostiene Renzi questa riguarderebbe “Europa e Usa che condividono con Mosca l’esigenza di combattere Daesh ma serve una soluzione di respiro strategico e non last minute”. Un respiro strategico che anima certamente l’imperialismo italiano che con Renzi vorrebbe ripetere le gesta di Mussolini e intervenire contro “Daesh che sta tentando di conquistare più spazio in Libia, regione cui siamo più legati”. Quindi “distruggere l’Isis è la priorità assoluta”. Un compito cui l’imperialismo italiano già dà il suo contributo stando solo alle notizie che riportano il “successo” delle missioni di spionaggio dei droni italiani sui cieli dell’Iraq e in particolare sui territori dell’Is. Un contributo che sarebbe “molto apprezzato” dagli alleati imperialisti, e molto prezioso dato che l’esperienza dell’uso di queste nuove macchine da guerra da parte delle forze militari italiane sarebbe seconda solo agli espertissimi americani. “Siamo in guerra con Daesh? Non mi appassiona il tema delle definizioni”, affermava la ministro della Difesa Roberta Pinotti presente alla Conferenza, che così lo confermava. “A me interessa dire che siamo di fronte a un conflitto e a un terrorismo diversi dal passato, innanzitutto perché è un terrorismo che si vuole fare stato” proseguiva il ministro: a suo dire la “minaccia” dell’Is sarebbe “stata inizialmente sottovalutata, ma oggi non lo è più”, mentre ripeteva che la risposta immediata internazionale può essere militare, quella a lungo termine “ha al centro il Mediterraneo, con il dialogo tra culture”.... ecc, ecc. Intanto la santa alleanza imperialista bombarda. Approvata dalla Camera La riforma della cittadinanza è parziale e restrittiva Limitazioni per un bambino figlio di immigrati di diventare cittadino italiano. Mantenuto l’impianto arbitrario e punitivo dell’attuale legge La riforma della cittadinanza, una legge attesa da almeno vent’anni dalla comunità degli immigrati, è stata approvata in prima lettura alla Camera il 13 ottobre e ora proseguirà al Senato, ma senza previsioni certe sui tempi della sua approvazione definitiva, visti i molti ostacoli e l’ostilità disseminati ancora sul suo cammino. Hanno votato a favore, in un’aula semivuota, la maggioranza PDNCD, a cui si è unita anche SEL; contrari Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia; astenuto il Movimento 5 Stelle. Trionfante il commento di Renzi, che su Facebook ha vantato l’approvazione contemporanea della controriforma neofascista e piduista del Senato e la legge sulla cittadinanza alla Camera come un segno che “la lunga stagione della politica inconcludente è terminata. Le riforme si fanno, l’Italia cambia”. Quello della necessità di una legge sullo ius soli, cioè del diritto di chi nasce in Italia di avere la cittadinanza italiana indipendentemente da quella dei propri genitori, era stato infatti uno degli argomenti sfruttati demagogicamente dal nuovo duce nella sua campagna elettorale per le primarie, e così adesso la rivendica come un suo merito personale. Solo che come al solito bara spudoratamente, perché questa riforma non garantisce affatto un riconoscimento pieno di questo diritto ai figli di immigrati, ma come vedremo è viziata da una serie di trappole giuridiche e di limitazioni che ne compromettono gravemente la reale efficacia, come denunciano anche le associazioni degli immigrati. La legge sulla cittadinanza che vige attualmente in Italia è la n. 91 del 1992, ed è una delle più restrittive del mondo. Essa stabilisce che la cittadinanza italiana viene prioritariamente concessa per diritto di sangue, ossia a chi nasce da cittadini italiani (ius sanguinis). I figli di stranieri nati in Italia possono chiedere la cittadinanza italiana solo al compimen- to della maggiore età, e se hanno risieduto legalmente e senza interruzione in Italia. Ma la devono ottenere entro due anni, pena cadere nella condizione di straniero a tutti gli effetti. E siccome l’accoglimento della richiesta è a discrezione del ministero degli Interni (cioè di Alfano), che notoriamente frappone mille ostacoli, non c’è nessuna certezza di avere la cittadinanza entro i 20 anni di età, e di non dover seguire la strada molto più lunga e difficile della naturalizzazione, per ottenerla. Con tutti i rischi del caso, fino a quello, in mancanza di reddito o abitazione adeguati, di cadere nella condizione di clandestini e poter essere addirittura espulsi. Una spada di Damocle escogitata apposta dal potere per tenere sempre sotto ricatto gli immigrati. Ius soli “temperato” e Ius culturae La legge approvata alla Camera è basata su un cosiddetto ius soli “temperato”, secondo il quale i figli di immigrati nati in Italia possono ottenere la cittadinanza prima del raggiungimento della maggiore età, ma non in maniera automatica come con un vero ius soli, bensì alla condizione che almeno un genitore sia in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso UE di lungo periodo. Un documento di non facile ottenimento, perché legato al reddito, all’abitazione, alla conoscenza della lingua e mille altri ostacoli burocratici che le autorità possono frapporre a propria discrezione, tanto che non è infrequente che possano passare anche 8-10 anni prima di averlo, anche avendo ottemperato a tutte le condizioni richieste. La richiesta deve essere presentata entro il 18° anno da un genitore, oppure, in mancanza di questa, anche dall’interessato, ma solo dopo il compimento del 18° anno ed entro i successivi due anni. Tutti ostacoli, insomma, utili a limitare il diritto di cittadinanza e a mantenere il più possibile in vita l’attuale potere discrezionale delle autorità. E l’aver legato il diritto di cittadinanza dei nati in Italia alle condizioni economiche dei genitori introduce una intollerabile discriminazione economica tra i figli di immigrati. In ogni caso è stata mantenuta pressoché intatta la logica antidemocratica e xenofoba della vecchia legge, secondo cui la cittadinanza è una concessione a propria discrezione da parte di chi esercita il potere, e non un diritto che spetta costituzionalmente a chi nasce in Italia, come avviene del resto in altri Paesi. A questo meccanismo ne è stato affiancato un altro denominato ius culturae, secondo il quale può ottenere la cittadinanza anche il minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, purché abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli di istruzione o di formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso del ciclo primario occorre aver anche conseguito il titolo finale. E fino ai 18 anni è sempre necessario il consenso di un genitore. C’è poi il percorso di naturalizzazione, che ha carattere dichiaratamente discrezionale, e riguarda gli stranieri che hanno fatto ingresso in Italia tra i 12 e i 18 anni di età. Per ottenerla occorre essere legalmente residente da almeno sei anni, aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico con il conseguimento del titolo conclusivo, o un corso di formazione professionale con il conseguimento del titolo. È stata inserita infine una disciplina transitoria per coloro che hanno maturato i requisiti ius culturae prima dell’entrata in vigore della legge ma abbiano già compiuto i 20 anni di età, termine ultimo per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza. Costoro possono farne richiesta entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, ma solo se residenti in Italia da almeno 5 anni. È comunque escluso chi ha già avuto in passato un diniego o un provvedimento di espulsione “per motivi di sicurezza della Repubblica”. A questo proposito il ministro dell’Interno si riserva ben 6 mesi di tempo per “verificare” che ogni richiedente non sia stato oggetto di tali provvedimenti. Le critiche delle associazioni dei migranti Nonostante l’impianto volutamente capzioso e truffaldino della legge, frutto di uno sporco compromesso tra Renzi ed Alfano, che all’interno della maggioranza rappresenta anche le istanze razziste e xenofobe di FI, Lega e FDI, questi ultimi hanno votato contro per motivi elettoralistici e demagogici, con la Lega che ha inscenato una gazzarra finale al grido di “vergogna, vergogna” e inalberando cartelli con la scritta “la cittadinanza non si regala”. La leader fascista di FDI, Giorgia Meloni, ha annunciato anche l’intenzione di presentare un referendum abrogativo se la legge sarà approvata in via definitiva. Il M5S si è invece astenuto, considerando questa legge “una scatola vuota”: posizione opportunista, confermata dal profilo basso tenuto durante tutto il suo iter in commissione e in aula, e motivata in realtà dalla paura di scontentare la parte di destra o quella di sinistra del suo elettorato, a seconda che avesse votato sì o no alla legge. In un comunicato stampa l’associazione l’“Italia sono anch’io”, che raggruppa le associazioni nazionali impegnate nella tutela dei diritti dei migranti, pur sottolineando che la legge rappresenta “comunque un passo avanti”, avanza chiare critiche da sinistra al provvedimento, auspicando che possa essere corretto al Senato. In particolare l’associazione, ricordan- do di aver raccolto e depositato in parlamento nel 2012 oltre 200 mila firme sulle sue proposte di modifica, ne sottolinea due che ritiene disattese ma assolutamente indispensabili: “La prima - dice il comunicato - riguarda l’assenza di una norma che consenta la semplificazione delle procedure relative alla naturalizzazione degli adulti, con un trasferimento di competenze dal ministero dell’Interno ai sindaci e il superamento, attraverso norme certe di riferimento, della discrezionalità che oggi caratterizza le decisioni in materia. L’altra questione riguarda la previsione di uno ius soli temperato che condiziona il futuro di bambine e bambini alla situazione economica della famiglia, introducendo, col requisito del permesso Ue per lun- go soggiornanti di uno dei genitori, una discriminazione che viola l’articolo 3 della Costituzione”. Purtroppo c’è da scommettere che se dei cambiamenti ci saranno al Senato, è più facile che questi siano in peggio, visto come al parolaio Renzi basta potersi vantare dell’annuncio, lasciando la sostanza del provvedimento ai maneggi di Alfano e della destra del PD. E sempre ammesso che anche questa riforma non finisca alle calende greche, o addirittura in un binario morto, come sta accadendo regolarmente per le “riforme” che non interessano realmente a Renzi ma minacciano di spaccare la maggioranza e lo stesso PD, come la legge sulle unioni civili, quella sull’allungamento della prescrizione e così via. Torino Condannato a 2 anni di carcere ventennne di origine marocchina che aveva inneggiato all’IS Dopo Bologna, Roma e Catania, la caccia al “terrorista” islamico scatenata dal nuovo duce Renzi e dal suo tirapiedi Alfano all’indomani degli attentati di Parigi continua a provocare i suoi nefasti effetti in tutto il territorio nazionale. A Torino il 26 novembre il giudice per l’udienza preliminare Potito Giorgio ha condannato a due anni di carcere Elmadhi HaIili, 20 anni, perito meccanico di origine marocchina residente a Lanzo Torinese accusato di apologia di reato aggravata dalla finalità terroristica. Elmadhi HaIili fu arrestato nel marzo scorso dalla Digos di Brescia per avere diffuso sul web un documento in lingua italiana di sostegno allo Stato Islamico dal titolo “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”. Il documento, datato dicembre 2014, racconta delle strutture e dell’organizzazione dell’Is e dei servizi che offre ai cittadini e nel finale contiene un appello ad accorrere in sua difesa. Tanto è bastato al Pm Antonio Rinaudo per procedere per apologia di reato aggravata dalla finalità terroristica. 4 il bolscevico / Conferenza Onu sul clima N. 47 - 24 dicembre 2015 Conferenza Onu di Parigi sulle emissioni di gas serra e sul clima, sponsorizzata da banche, multinazionali e inquinatori Nulla di fatto per frenare il cambiamento climatico. La terra e la vita ancora in pericolo Tutti i governi applaudono ad un accordo sostanzialmente inconsistente e pieno di promesse che possono non essere mantenute o fatte slittare. In piazza gli ambientalisti insoddisfatti L’unica soluzione radicale e definitiva è il socialismo Con l’accordo siglato nel pomeriggio di sabato 12 dicembre, con un giorno di ritardo sulla scadenza annunciata, si è chiusa ufficialmente la 21esima Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici a Parigi. Alla conferenza hanno partecipato i rappresentanti di 193 Paesi e oltre 150 capi di Stato, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere un nuovo accordo mondiale che superi Kyoto, in materia di emissioni di gas serra e di riscaldamento globale. L’evento già da molti mesi, ha destato enormi aspettative soprattutto da parte di tutta la “società civile” ambientalista e associativa che ha sottolineato la necessità di un intervento deciso sulle emissioni attraverso un susseguirsi di iniziative in tutto il mondo che hanno coinvolto milioni di partecipanti e che hanno avuto il loro massimo momento di mobilitazione lo scorso 29 novembre quando due milioni di attivisti hanno marciato in oltre 150 Paesi chiedendo un futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili. Le premesse della Conferenza e i primi negoziati Barack Obama alla cerimonia d’apertura ha affermato, “Questa non sarà una vittoria-lampo, ci vorrà del tempo ed è possibile che la nostra generazione non vedrà il successo delle nostre azioni di oggi, ma il successo è sapere che i nostri figli lo vedranno”. Questa affermazione è indicativa per capire quanto in realtà i Paesi, in particolare quelli cha hanno le maggiori responsabilità sulla produzione di gas serra, su tutti gli USA da un punto di vista storico, siano disposti a modificare rapidamente le proprie politiche energetiche e produttive in questo campo per dare un immediato respiro al nostro malandato pianeta. Alla vigilia dell’apertura dei lavori di Parigi, ben 180 Stati si sono impegnati a tagliare le emissioni, per un totale del 94% delle emissioni globali. Il totale dei tagli, però, non è stato ritenuto sufficiente dagli esperti a portare verso uno scenario di contenimento delle emissioni tale da scongiurare interferenze del clima pericolose per l’uomo, in quanto l’aumento delle temperature previsto è di 2,7°C. Attualmente, l’obiettivo di lungo termine considerato “politicamente accettabile” è di arrivare a una stabilizzazione delle temperature medie a 2°C, ma gli scienziati avvertono che anche questo livello è rischioso e non offre alcuna garanzia. Per perseguire un nuovo obiettivo di 1,5°C sarebbero necessarie azioni ancora più immediate e una rapida accelerata verso un’economia alimentata ad energia 100% rinnovabile il più in fretta possibile. Nel periodo immediatamente precedente alla Conferenza, indiscrezioni avevano già annunciato che non ci sa- rebbero stati in previsione nuovi annunci precisi sulla riduzione delle emissioni, ma piuttosto l’inserimento nel testo dell’accordo di un meccanismo di revisione degli impegni futuri, basati su un piano poco definito. Di fatto mentre l’accordo di Parigi coprirà il periodo oltre la fase II del Protocollo di Kyoto, ovvero dal 2020, il summit si sarebbe dovuto occupare di come tagliare le emissioni fin da subito, per arrivare pronti nel 2020 a iniziare con i propositi che sarebbero emersi dalla Conferenza di Parigi. Altro aspetto fondamentale che era nel mirino della “società civile” e degli scienziati a loro vicini, era rendere il nuovo accordo vincolante; su questo aspetto i precedenti non tranquillizzavano nessuno poiché tutti ricordano bene che, ad esempio, all’indomani della firma del Protocollo di Kyoto siglato da Clinton, il Senato americano non approvò e il Protocollo non venne mai ratificato dagli USA, con le conseguenze a tutti note. I negoziati ed i contrasti fra i Paesi Nei primi giorni è stato affrontato anche il tema dei contributi nazionali volontari (INDCs), che contengono la strategia di ogni Paese per diminuire le proprie emissioni e contrastare il cambiamento climatico. Attualmente le stime sull’effetto aggregato degli INDCs vedono proiezioni ben superiori all’obiettivo di mantenere l’aumento medio di temperatura globale al di sotto dei 2 gradi, concetto enfatizzato anche nell’intervento di Angela Merkel, che l’ha definita semplicemente “una brutta notizia”. Durante i lavori riguardanti la COP Decision, lo Stato di Saint Lucia col supporto del Nicaragua e Kiribati, tutte aree spesso devastate da fenomeni meteorologici di grande portata, ha richiesto ufficialmente che l’aggiornamento del rapporto di sintesi consideri gli scenari a 1.5°C di aumento di temperatura. Di tutt’altro avviso l’Arabia Saudita la quale non vede la ragione di includere nei negoziati tale questione, così come il Venezuela e gli altri paesi produttori. Sull’aspetto della “mitigazione” quindi, e cioè sulla necessità di attenuazione degli effetti incontrollati e catastrofici dei cambiamenti climatici, sono i Paesi più poveri e soggetti a catastrofi ambientali a chiedere la revisione a 1,5°C del limite massimo, mentre i maggiori produttori di petrolio hanno frenato più volte. Un capitolo a parte lo meriterebbe un altro tema spinoso quale quello dell’adattamento al cambiamento climatico ed alle conseguenti migrazioni di popolazioni. A partire dalla COP 16 (Cancún), il tema delle migrazioni dovute al clima ha acquisito un rilievo crescente all’interno del processo UNFCCC, venen- Parigi, 12 dicembre 2015. La grande manifestazione in difesa dell’ambiente e del clima do ufficialmente riconosciuto nell’ambito del Cancun Adaptation Framework come una strategia di adattamento. L’obiettivo dichiarato ed oggetto di dibattito all’ONU sarebbe quello di supportare e coordinare la rilocazione delle popolazioni colpite da eventi estremi nei paesi in via di sviluppo più vulnerabili. Nonostante la pressante attualità del tema, il dibattito intorno alle funzioni e alla necessità dil rendere operativa la proposta del G77 è stato piuttosto scarso. L’effettiva portata della proposta e la sua eventuale collocazione all’interno dei risultati della conferenza di Parigi è rimasta tutta da determinare a causa della difficoltà, nel delineare i rapporti causali tra cambiamenti climatici e fenomeni migratori. Tutti questi aspetti sui quali diverse, se non antagoniste, sono le posizioni dei Paesi sempre più divisi tra sfruttati e sfruttatori, hanno dato adito durante la settimana a una costante crescita della tensione fra i delegati governativi. Essi hanno cominciato ad accusarsi di ostacolare i negoziati e di perdere tempo dietro il “gioco delle colpe”; la Bolivia ad esempio, per conto di G77 e Cina, e la Malesia, hanno espresso forte preoccupazione sull’andamento dei negoziati, sostenendo di aver lavorato sodo ma di aver ricevuto sempre risposte negative dai paesi sviluppati. Il Brasile, nel commentare l’introduzione di numerose parentesi (testi in bozza da definire previo accordo ulteriore) ha evidenziato parere negativo al riguardo, con un’affermazione pungente:“ogni parentesi aggiunta nel testo è come una molecola di gas serra in più nell’atmosfera”. In pratica i Paesi additati come “ostacoli” nel cercare di risolvere a fondo il problema restano principalmente Cina (a conferma dell’insufficienza dell’accordo dello scorso anno USA-Cina sulle emissioni), India ed Arabia Saudita. Ma anche ai Paesi dell’Ue e del cosiddetto “gruppo-ombrello” (che include tra gli altri Usa, Canada, Giappone e Australia) alcuni osservatori delle Ong hanno imputato un atteggiamento troppo rigido, e un “gioco pesante” in particolare sul fronte dei finanziamenti. Mentre sulla scena emergono una serie di attori inediti e determinati - come Nigeria, Grenada o l’arcipelago polinesiano di Palau - che sono scesi in campo per difendere “passaggi chiave” dell’accordo sulla tutela delle aree vulnerabili. Dal 7 dicembre poi si è aperto il segmento “highlevel” della COP21 di Parigi che ha sancito l’intervento esclusivo dei ministeri governativi chiamati a prendere le decisioni politiche finali, scegliendo fra le proposte disponibili inserite in Conferenza nel testo negoziale, redatto e ultimato lo scorso sabato dagli esperti dopo mesi di conferenze e discussioni. Il testo definitivo e le reazioni Nel pomeriggio di sabato 12, un giorno oltre la scadenza prestabilita all’inizio della Conferenza, il presidente della Cop 21, nonché Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, ha entusiasticamente affermato il pieno successo del summit. “Siamo oggi vicini alla fine del percorso, siamo arrivati ad un progetto di accordo ambizioso ed equilibrato, che riflette le posizioni delle parti”. Gli fa eco il presidente della Repubblica francese Hollande poco prima del voto sull’accordo che dichiara: “Non tutte le richieste sono state soddisfatte” ma “saremo giudicati per un testo non per una parola, non per il lavoro di un giorno ma per un accordo che vale per un secolo (…) Siamo davanti a un testo storico”. “Il traguardo è in vista, ora finiamo l’opera”, ha affermato il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, aggiungendo che “è arrivato il momento di capire che gli interessi nazionali sono preservati al meglio agendo nell’interesse comune internazionale”. Ignorando che i governi degli USA hanno saccheggiato e devastato per oltre un secolo il pianeta e le sue risorse arrecando danni incalcolabili all’ambiente ed a tutto il genere umano, nonostante proprio in quel Paese l’estrazione dei gas da scisto (combustibili fossili altamente inquinanti) stia provocando disastri ambientali senza precedenti, il Presidente americano Barack Obama, presenta gli Usa come se fossero tra i primi nella lotta ecologica ed entusiasta twitta: “È un grande avvenimento: quasi tutti i paesi del mondo hanno appena firmato per l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, grazie alla leadership americana”. Per l’Italia, non tardano a farsi sentire i proclami di Renzi e del Ministro Galletti secondo i quali: “Siamo nella storia. E a questa storia ha contribuito anche l’Italia, che sin dall’inizio con tutta l’Europa ha creduto nell’obiettivo ambiziosissimo di 1,5 gradi”. Anche Italian Climate Network, Onlus istituzionale e vicina agli ambienti governativi, si dice soddisfatta dell’accordo raggiunto: “È un accordo bilanciato e positivo, che giunge dopo anni di negoziati. La strada che abbiamo davanti è segnata: verso emissioni nette zero. E’ il segnale che la trasformazione energetica è ormai in atto e inarrestabile. Toccherà a noi controllare e stimolare gli Stati affinché attuino le loro promesse nei tempi previsti e aumentino i loro impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra nei prossimi anni”. Un brodo di giuggiole globale ma, in sostanza, è giustificata questa reazione? Nel testo definitivo è stato inserito il concetto di “giustizia climatica”, sono stati mantenuti i riferimenti ai diritti umani, al diritto alla salute, alle comunità locali, ai migranti, ai bambini, alle persone con disabilità, alle persone in situazioni vulnerabili, al diritto allo sviluppo, alla parità di genere, e all’equità intergenerazionale. Non ha invece trovato posto un aspetto importante quale un paragrafo che esplicitasse le responsabilità storiche che vedono USA e Cina addossarsi le maggiori responsabilità della situazione attuale e conseguentemente anche il dovere di maggiori interventi di riduzione. Nell’articolo 2 è stato confermato l’obiettivo del mantenimento dell’aumento di temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C, con lo sforzo di raggiungere l’obiettivo più ambizioso di 1,5°C, raccomandato dalla scienza. Nell’articolo 4 è assente il target quantitativo di riduzione delle emissioni da raggiungere entro il 2050, conseguentemente l’obiettivo di raggiungere la “neutralità” delle emissioni nella seconda metà del secolo è stato esplicitato esclusivamente a fini propagandistici. Nell’articolo 6 sono stati introdotti due meccanismi di supporto per il cosiddetto “Sviluppo Sostenibile”: uno di mercato, finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas serra, di cui si specifica che le Parti devono assicurare integrità dal punto di vista ambientale e trasparenza ed il secondo, meccanismo non di mercato, con un approccio integrato e olistico, che vada a interessare azioni di mitigazione, l’adattamento, la finanza ed il trasferimento tecnologico. Rimane dunque il “mercato” a normare la questione, nonostante la sua inefficacia dimostrata finora, praticamente ovunque adottato. L’ONU riconosce l’importanza di scongiurare, minimizzare e affrontare le perdite ed i danni associati agli effetti avversi del cambiamento climatico. Tuttavia, e inspiegabilmente a fronte della premessa, la parte relativa all’azione di contrasto è stata indebolita, perdendo inoltre il riferimento all’impossibilità di violare i diritti stabiliti dalla legge internazionale. Tra le azioni di cooperazione, infine, non è più previsto il supporto ai rifugiati climatici il che appare assai grave. Nessun miglioramento poi sulla questione finanziaria che rimane come in premessa e cioè riguardo agli aspetti finanziari, è prevista la mobilitazione di un minimo di 100 miliardi di dollari all’anno che i Paesi Industrializzati dovrebbero mobilitare verso i paesi in via di sviluppo e l’implementazione del meccanismo di compensazione “loss and damage” per i Paesi più vulnerabili, con impegni non ancora sufficientemente stringenti e che ricordiamo essere un quinto dei sussidi forniti finora alle fonti energetiche fossili. Moderata soddisfazione di Legambiente e WWF: “Oggi a Parigi SEGUE IN 3ª ë Conferenza Onu sul clima / il bolscevico 5 N. 47 - 24 dicembre 2015 ë DALLA 2ª si è intrapresa una direzione di marcia irreversibile verso un futuro libero da fossili (…)Tuttavia non va dimenticato che si tratta di una strada in salita. Il pragmatismo politico dei governi ha impedito di prendere qui a Parigi tutte quelle scelte ambiziose e forti che la crisi climatica impone. Rimangono gli impegni inadeguati annunciati alla vigilia di Parigi, che non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2°C. E ancor meno rispetto al limite di 1.5°C.”. Di tutt’altro parere Oxfam, (Organizzazione di sviluppo, emergenza e campagne di opinione contro l’ingiustizia della povertà nel mondo) secondo cui l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici “è insufficiente per tutelare i paesi più poveri”. “Le conclusioni emerse non scongiurano l’innalzamento delle temperature di 3 gradi di qui al 2050”. L’accordo rappresenta “un significativo passo in avanti”, si legge in una nota, “ma non stanzia risorse finanziarie sufficienti per l’adattamento al cambiamento climatico per i Paesi in via di sviluppo. Nonostante gli impegni assunti per la prima volta da oltre 190 Paesi per salvare il clima, le conclusioni del vertice non appaiono perciò all’altezza delle ambizioni che erano state dichiarate nei discorsi di apertura da parte dei leader di tutto il mondo”. Secondo Oxfam l’accordo “riconosce che nei prossimi cinque anni c’è bisogno di maggiori risorse da destinare alle comunità per adattarsi ai cambiamenti climatici, eppure non include alcun impegno concreto per permettere che queste risorse siano realmente stanziate”. Al momento, prosegue Oxfam, “non c’è nulla nell’accordo che dia garanzia che gli attuali impegni di riduzione possano essere rafforzati prima che entrino in vigore. Ciò rende molto difficile mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2 gradi e pressoché impossibile evitare che il surriscaldamento globale superi 1,5 gradi”. Secondo le stime di Oxfam, quindi, alla luce del nuovo accordo, “i Paesi in via di sviluppo non vedono alcuna riduzione del rischio di dover far fronte entro il 2050 a costi che ammontano a circa 800 miliardi l’anno “. Altri elementi negativi I delegati alla Conferenza si congratulano con se stessi per aver raggiunto un accordo migliore di quanto si aspettassero, definendolo il migliore della storia, ma dovrebbero invece, secondo noi e non solo, scusarsi con tutti quelli che hanno tradito. La prima cosa che ci ha colpito, e che è stata rilanciata anche da altre forze politiche, è che la Renault Nissan sia fra gli sponsor principali della Conferenza dell’ONU. Elemento che dovrebbe lasciar tutti quantomeno perplessi, vista la poca comunanza fra industria automobilistica ed emissioni zero, per lo meno finchè i loro prodotti si alimenteranno a derivati del petrolio. Non di secondaria importanza la presenza, tra gli altri sponsor, di altre società che contribuiscono in modo massiccio alle emissioni di gas serra, che la Cop21 doveva combattere, quali banche (in primis BNP Paribas, una delle più importanti del mondo banche per finanziamento della produzione di carbone), compagnie aeree come AirFrance, Michelin produttore di pneumatici ed altre multinazionali. Su tutte Engie, formalmente conosciuta come GDF Suez, società di utility di maggior valore al mondo, che ottiene più di $ 80 miliardi di fatturato annuo principalmente derivanti dalla sua attività sui combustibili fossili poiché oltre il 70 per cento della produzione di energia della società proviene dal gas naturale e il carbone, rispetto al 13 per cento proveniente da fonti rinnovabili. Come una singola azienda, Engie ha emesso gas serra nel 2014 tanto quanto tutto il paese del Belgio. Engie non è l’unica società con legami con i combustibili fossili da inserire in qualità di sponsor ai colloqui di Parigi in quanto le fa buona compagnia Électricité de France (EDF), che gestisce 16 centrali a carbone più importanti in tutto il mondo. La longa manus dei potentati finanziari e delle lobby ha dunque avuto fin dall’inizio in pugno i negoziati. Sulla questione finanziaria l’elemento chiave è portato dai “cap and trade”: in pratica si stabilisce un tetto massimo di emissioni di CO2 così da favorire la compravendita dei diritti di emissione al di sotto di questo tetto. Questo meccanismo è già presente in Europa (ETS) e verrebbe adottato anche dalla Cina aprendo un nuovo mercato globale - quello delle quote di emissione - che moltiplicheranno le transazioni finanziarie. In Europa le emissioni non si sono ridotte: perché in Cina dovrebbe essere diverso? Perdura poi lo scandalo secondo il quale un paese come l’Italia, ad esempio, spende 3,5 miliardi di euro di fondi pubblici per sussidi alle fonti fossili, mentre impiega solo 84 milioni per il fondo verde per il clima. Nell’accordo non esiste alcun riferimento alle emissioni degli inquinanti derivanti da aerei e navi seppur l’inquinamento di aerei sia destinato ad aumentare del 300% entro i prossimi dieci anni. Un altro elemento di chiara natura oscurantista e lobbistica sta nella questione agricola: le emissioni di gas serra prodotte da agricoltura, silvicoltura e pesca sono quasi raddoppiate nel corso degli ultimi 50 anni e potrebbero aumentare di un ulteriore 30% entro il 2050, eppure il capitolo dell’agricoltura è stato immediatamente escluso dalla discussione sul cambiamento climatico. È cosa nota ormai che il business delle multinazionali del cibo sta provocando disastri: la FAO, nel suo rapporto del 2013 “Tackling climate change through livestock”, ha stimato che l’allevamento agricolo è responsabile di circa il 15%delle emissioni di gas serra dell’intero pianeta, influendo sul cambiamento climatico addirittura più dell’intero settore dei trasporti. E via via altre enormi criticità sia tempistiche che di metodo nell’affrontare gli obiettivi fissati di riduzione di emissioni. Il testo propone di raggiungere la GHG neutrality “nella seconda metà di questo secolo” - cioè in qualsiasi anno tra il 2051 e il 2099. Questo non solo è vago, ma anche una forte contraddizione con l’articolo 2 che impone di stare “ben al di sotto dei 2 gradi C” e invita a “a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura di 1,5 gradi C”. Le emissioni residue disponibili a livello globale e cumulativamente (il bilancio del carbonio) richiedono una decarbonizzazione completa dell’economia e approvvigionamento energetico al 100% da rinnovabili entro la metà del secolo, e quindi improrogabilmente entro il 2050. Le misure immediate e l’unica soluzione La debolezza dell’obiettivo di riduzione delle emissioni mondiali di gas a effetto serra è evidente, perché nel testo si parla soltanto di stabilire “quanto prima” un tetto, quindi tale formula è ben lontana dall’essere vincolante. Le ambizioni precedenti alla Conferenza appena conclusa, che miravano a una riduzione delle emissioni tra il 70 e il 95 In due immagini a confronto (1905 e 2003) lo scioglimento del ghiacciaio del Piz Boé (Bolzano) per cento, sono state abbandonate, ed è proprio questo tipo di arretramenti che ha reso possibile l’accordo “storico”. Le “parti” sono addirittura riuscite a fissarsi come obiettivo non più di ridurre le emissioni bensì semplicemente di equilibrarle attraverso “depositi “ di carbonio capaci di ridurre il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera, quali le piante in crescita e il plancton degli oceani. Fa riflettere inoltre che questo modestissimo obiettivo è previsto per la seconda metà del XXI secolo! Siamo ben lontani quindi dalle raccomandazioni degli esperti del Giec (Gruppo di esperti intergovernamentale sull’evoluzione del clima) , che ritengono indispensabile un abbassamento delle emissioni mondiali tra il 40 e il 70 per cento entro il 2050 se si vuole evitare uno sconvolgimento forse incontrollabile del clima. Oggi l’annuncio di un contributo finanziario annuo di100 miliardi di dollari (fino al 2020) ai Paesi in via di sviluppo ha ottenuto ovunque un’altissima risonanza. Tuttavia, oltre ad essere nei fatti un impegno già preso in passato dai paesi inquinatori del “nord” e mai rispettato, si tratta anche di una cifra irrisoria, equivalente a poche ore di speculazioni finanziarie nel mondo. Inoltre la mancanza di specifiche dettagliate sulle fonti di questa presunta sovvenzione lascia aperte più strade d’intesa, fra le quali la forma del prestito bancario che andrebbe nei fatti a indebitare ancora di più i Paesi poveri. Su questo punto urge poi precisare che non sono previste sanzioni a chi non verserà la propria quota e conseguentemente è fondato il rischio che questioni di politica interna portino qualcuno degli Stati più ricchi ad annullare o diradare i pagamenti. Come già detto, i fatti dicono che oggi 190 Stati su 195 si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra che farebbero rientrare il riscaldamento in una traiettoria che raggiunge i 3°C. Una concessione che colloca il pianeta in prospettive definite “catastrofiche”, tanto più che l’assunzione di impegni vincolanti era, fino a poco fa, presentata come una necessità assoluta. È ormai evidente che i partecipanti alla Cop21 hanno rinunciato in corso d’opera a molte delle ambizioni che nutrivano quando sono arrivati a Parigi. Non dobbiamo dimenticare che l’accordo in questione entrerà in vigore solo nel 2020 e che “in qualsiasi momento nell’arco dei tre anni successivi all’entrata in vigore” un Paese potrà ritirarsi dall’accordo. Per inciso, dopo il protocollo di Kyoto siglato nel 1997, le emissioni antropiche sono aumentate del 40 per cento mentre avrebbero dovuto essere ridotte del 5,2 per cento entro il 2012. Inoltre nessun azzeramento dei sussidi ai petrolieri e nessun aumento dei contributi per l’utilizzo massiccio delle rinnovabili è stato deliberato; insufficienti sono stati gli incentivi deliberati per promuovere pratiche agricole biologiche e quelle del riciclo e del riuso nella gestione dei rifiuti per far emergere la strategia “Rifiuti Zero” come modello globale. Cosa aspettarsi allora dall’accordo di Parigi? Sappiamo bene che la soluzione vera e definitiva all’enorme problema del riscaldamento climatico non potrà mai arrivare nell’ambito del capitalismo che ne è la causa assoluta. La natura predatoria dell’imperialismo dei paesi industrializzati nei confronti di quelli in via di sviluppo privandoli della loro “sovranità” con qualsiasi mezzo militare o economico che sia, gli obiettivi di massimizzazione dei profitti e di accumulazione nel minor tempo possibile che sono gli elementi cardine del capitalismo, non possono far altro che impoverire la natura fino al punto che essa non riesca più a rigenerarsi per compensarne lo sfruttamento, met- tendo a rischio come già accade e in misura sempre maggiore la qualità della vita dei popoli e a lungo termine anche la sopravvivenza delle specie, incluso quella umana. L’uso irresponsabile e indiscriminato delle risorse naturali e la distruzione dell’ambiente sono conseguenze di questo modello di produzione in nome del profitto e dell’imposizione delle cosiddette “esigenze del mercato”. Engels, in “Dialettica della Natura” così si esprimeva: “Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze.” Ed ancora: “Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato. (…) Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso.” Per chiudere quest’ampia pagina sui negoziati di Parigi, ci compiaciamo della grande mobilitazione di milioni di manifestanti che in tutto il mondo sono scesi nelle piazze per dare il proprio contributo a questa battaglia e portando la loro protesta in tutto il mondo. Se essi vogliono ottenere un mondo sano e pulito, in cui tutti abbiano le necessarie condizioni materiali per una vita stabile, in primis cibo a sufficienza e casa, un mondo in cui tutti possano avere accesso libero e gratuito all’acqua potabile, respirare aria pulita e nel quale tutti possano usufruire dell’energia che sotto tante forme la natura ci offre, nella sostanza devono lottare con i marxisti-leninisti contro il capitalismo, per il socialismo, l’unica società che può risolvere radicalmente il problema della salvaguardia della Terra e della vita. Quali conseguenze avranno in realtà gli aumenti delle temperature 1°C - Il 2015 è stato il primo anno ad aver raggiunto questo livello. 2°C - Molte specie ed ecosistemi con limitate capacità di adattamento a temperature più elevate saranno soggetti a “rischi molto alti” anche con un riscaldamento di 2 gradi centigradi. A rischio particolare sono le specie dipendenti dal ghiaccio dell’Artico - per esempio gli orsi polari e le barriere coralline. Un riscaldamento di questo tipo porterebbe a perdite economiche annue globali nell’ordine dello 0,2-2% dei redditi. L’estensione della superficie dei ghiacci dell’Artico a settembre cala del 43% rispetto alla media a lungo termine. La copertura nevosa nell’emisfero settentrionale a primavera si riduce del 7%. I mari si innalzano anche di 55 centimetri: rispetto al XX secolo sono già saliti di circa 20 centimetri. L’acidificazione degli oceani aumenta, e il pH della super- ficie oceanica diminuisce del 1517%. I ghiacciai perdono anche il 55% del loro volume globale (escludendo quelli alla periferia dell’Antartide e gli strati di ghiaccio di Antartide e Groenlandia). Ogni anno sono esposti a ondate di caldo 1,5 miliardi di esseri umani. Ogni anno sono esposti ad alluvioni 30 milioni di persone. Sono esposti a stress idrici 1,5 miliardi di persone. 3°C - Nelle regioni tropicali e temperate si hanno impatti negativi sulla produzione delle colture più importanti, tra i quali grano, riso e granturco. Calo nella produzione dei raccolti su 5,7 milioni di chilometri quadrati del mondo. Ogni anno sono esposti a ondate di caldo 4,5 miliardi di esseri umani. Ogni anno sono esposti ad alluvioni 60 milioni di persone. Sono esposti a stress idrici 1,75 miliardi di persone. L’acidificazione dell’acqua degli oceani aumenterebbe molto, e il pH dell’acqua in superficie scenderebbe anche del 62%. Superiore a 4°C - La copertura nevosa nell’emisfero settentrionale in primavera diminuisce del 25%. In estate l’Artico è pressoché privo di ghiacci già a partire dal 2050. In tutto il pianeta vi sono grossi rischi per la sicurezza alimentare. I livelli dei mari salgono di 82 centimetri. L’acidificazione degli oceani accelera enormemente, con il pH della superficie che scende anche del 109%. Nelle regioni già aride, la frequenza dei periodi di siccità verosimilmente aumenta. Probabile diminuzione delle precipitazioni nelle regioni alle medie latitudini, nelle aree aride subtropicali e semi-aride. Alle alte latitudini e nel Pacifico equatoriale le precipitazioni quasi certamente aumentano. I ghiacciai perdono fino all’85% del loro volume. Le specie naturali e gli ecosistemi sono colpiti da impatti “gravi” e “diffusi”, e un numero considerevole di specie si estingue. In alcune aree del pianeta per alcuni periodi dell’anno le condizioni di calore e umidità pregiudicano le normali attività umane, come la coltivazione dei campi e il lavoro all’aria aperta. La circolazione atmosferica ne risente, i flussi d’aria alle medie latitudini si spostano ancor più verso i poli di 1 o 2 gradi di latitudine in entrambi gli emisferi. Con un riscaldamento superiore a 5 gradi centigradi, ogni anno sarebbero esposti a ondate di caldo 12 miliardi di persone; i raccolti caleranno in 76 milioni di chilometri quadrati; ogni anno 120 milioni di persone saranno colpite dalle alluvioni e 2 miliardi di persone saranno esposte a più gravi stress idrici. Fonte, ADAM VAUGHAN (The Guardian) 6 il bolscevico / interni N. 47 - 24 dicembre 2015 Lottiamo per la piena libertà d’accesso all’istruzione per i figli del proletariato e del popolo Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI In una società capitalista la divisione in classi sociali e la lotta di classe si rispecchiano in ogni ambito della società. La scuola così come l’istruzione e la cultura sono da sempre poste sotto il controllo della classe sociale dominante. Anche oggi, in Italia, dove imperano il capitalismo e il potere della classe dominante borghese, l’accesso ai gradini più alti dell’istruzione si pone su una discriminazione di classe, e ci ritroviamo così davanti a un sistema che di fatto punta ad estromettere i figli della classe operaia, delle masse popolari e dei poveri dall’accesso all’istruzione, creando delle scuole e delle università elitarie solo per i figli della ricca borghesia. Questo progetto di esclusione non è un fatto casuale o frutto di politiche incompetenti da parte dei politicanti borghesi, ma fa parte di un piano ben preciso della borghesia che a partire dagli inizi degli anni ’80, attraverso i ministri dell’istruzione dei suoi governi, Ruberti, Zecchino, Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini e Giannini, dopo la lunga ondata rivoluzionaria del Sessantotto, partì alla controffensiva, per cancellare una a una le conquiste del movimento studentesco di allora e provocare lo sfascio della scuola e dell’università pubbliche, sempre più privatizzate, aziendalizzate, verticilizzate e irreggimentate. Oggi, il governo del nuovo duce Renzi, sulla stessa linea dei governi borghesi che l’hanno preceduto, sta portando a compimento questo piano di fascistizzazione ed esclusione sociale nelle scuole e nelle università, in primis, attraverso la cosiddetta “Buona scuola” fatta passare come una “riforma moderna e innovativa”, una “riforma di sinistra”, quando nella realtà altro non è che un ritorno al passato, alla scuola di Giovanni Gentile e di Mussolini, ferocemente gerarchizzata e classista, che esclude i figli degli operai e dei poveri condannati agli istituti professionali e tecnici e favorisce i figli dei ricchi quali futuri quadri delle aziende, burocrati istituzionali e imbonitori sociali. L’esclusione dall’istruzione Ma in che modo oltre le controriforme governative la borghesia e i suoi governi puntano all’esclusione dei figli del popolo dall’istruzione? Tasse universitarie cresciute del 63% in 10 anni, con un conseguente abbandono degli studi che si aggira sul 17%, taglio del fondo di finanziamento ordinario che ha portato gli atenei ad aumentare le tasse agli studenti, diventando così loro malgrado i maggiori finanziatori per scuole e università, il taglio delle borse di studio per migliaia di studenti (nell’anno 2013/2014 pur avendone diritto 46 mila studenti non hanno ricevuto la borsa di studio a causa dei tagli dello Stato e per le mancate risorse regionali), avendo così senza borsa in media 42.400 studenti ogni anno (le risorse regionali si fermano al 23,6% con percentuali diverse da regione a regione, come ad esempio l’Umbria col 52,9%, Veneto 7% e Piemonte zero euro), il sistema in questo caso resta in vita solo grazie alle tasse regionali versate dagli studenti: il 42,2% di borse esiste grazie a loro. Un altro gravissimo problema che si pone tra i giovani e il loro diritto all’istruzione è il numero chiuso nelle università. Oggi si chiude tutto, si sbarrano gli accessi alle facoltà e, soprattutto alle specializzazioni. Anche qui vige la legge borghese della ricchezza come sistema di valutazione per l’accesso all’istruzione, così vengono strette le maglie del numero chiuso (il 54% dei corsi di laurea), senza per questo risolvere il problema dell’accesso alle professioni. Per fare un esempio, un terzo dei circa 10 mila aspiranti medici che di solito passano il test di ammissione alle facoltà di medicina non accederanno alla spe- Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] cializzazione. Tutti questi aumenti delle tasse e tagli ai servizi, vanno in maniera odiosa a colpire maggiormente quelle studentesse e studenti fuori sede che non appartengono a famiglie abbienti e che, non trovando posti liberi nelle case dello studenti, dovendo pagare affitti esorbitanti per le loro vuote tasche sono costretti a lavori part-time molto spesso in nero e con salari da fame. Insomma, dagli idonei senza borsa di studio ai precari fuori corso la vita degli studenti è praticamente un incubo. I problemi di natura economica e sociale a cui sono esposte le masse studentesche vengono subiti anche da chi affronta un dottorato, il primo gradino per chi vuole fare ricerca. L’introduzione del vincolo di copertura con borsa di almeno il 75% dei posti al bando, adottato dalle “linee guida” su indicazione dell’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e di ricerca (ANVUR), ha generato una gravissima emorragia. Tra il 2013 e il 2014 si è passati da 12.338 a 9.189 posti, con una diminuzione del 25,5%. Gli atenei hanno ridotto le posizioni invece di aumentare le borse di studio. Ma il primo ostacolo che si pone all’avanzamento degli studenti ai livelli più alti della forma- zione è l’esame di Stato. Va abolito in tutte le scuole pubbliche, perché è selettivo e nozionistico, tanto più quando basato sulle logiche Invalsi, discriminatorie nei confronti degli studenti provenienti da famiglie più disagiate. Deve invece rimanere nelle private dove la commissione esaminatrice dev’essere interamente composta da commissari e presidente esterni al fine di valutare in maniera obiettiva la preparazione dei candidati e di verificare il raggiungimento degli standard qualitativi necessari al rilascio del diploma. Questo, insieme ai tagli al diritto allo studio a fronte di piogge di denaro sulle private, all’aumento delle tasse, alla paventata abolizione delle borse di studio a favore dei prestiti d’onore, al caro-libri e al caro-scuola sempre più insopportabili, allo scarico degli oneri sulla famiglia, mette fortemente in discussione la libertà d’insegnamento nel quadro costituzionale e il diritto universale all’istruzione. Anche la situazione di disagio e impoverimento sociale nel quale versano migliaia di famiglie attanagliate da disoccupazione, precarietà e bassi salari sono la causa dell’abbandono forzato di migliaia di giovani. Infatti, a causa dell’indigenza delle famiglie, dall’inizio della crisi, ogni anno in Italia oltre 600 mila ragazzi tra i 10 e 16 anni, 2 su 10, abbandonano la scuola alla ricerca di un lavoro supersfruttato e sottopagato, senza ottenere un titolo di studio e una formazione superiore alla scuola media inferiore. Per porre fine a questo tentativo della classe dominante borghese di distruggere completamente gli ultimi residui di libertà nell’accesso all’istruzione per i figli dei lavoratori, le stesse masse giovanili e studentesche devono scendere sul terreno della lotta per reclamare il loro diritto al libero accesso all’istruzione ponendo sul terreno della lotta delle rivendicazioni che oltre all’abrogazione di tutte le leggi antistudentesche degli ultimi decenni, partano da un miglioramento immediato delle proprie condizioni di studenti: 1) Libero accesso a tutte le facoltà per tutti gli studenti; 2) Abolizione del numero chiuso e ogni altra limitazione per gli accessi e il proseguimento degli studi; 3) Abolizione delle tasse universitarie e dei contributi per laboratorio; 4) Gratuità di vitto e alloggio per tutti i fuori sede; 5) L’università deve provvedere ad allestire studentati in numero sufficiente e adeguato alle effettive necessità; 6) Potenziamento delle mense universitarie, gratuite per gli studenti, con cibo di buona qualità; 7) Gratuità per gli studenti del materiale didattico, informatico e di laboratorio e dei mezzi di trasporto pubblici. Su questi punti bisogna fare perno, ma le mobilitazioni non riusciranno ad essere incisive se si presentano frazionate dai vari sindacati e delle varie organizzazioni studentesche riformiste o “ultrasinistre”, che organizzano e dirigono oggi le masse studentesche e che cercano di portare acqua esclusivamente al proprio mulino e a quello dei partiti di riferimento. Di fatto, le questioni e i problemi generali delle masse studentesche cadono in secondo piano e ne escono danneggiati. Alla fine, chi vince è il governo, che non si trova di fronte a una forza studentesca davvero consistente. Per dare slancio e peso alla lotta occorre dare vita a un unico grande movimento studentesco che si batta senza tregua contro le politiche di fascistizzazione, aziendalizzazione, privatizzazione ed esclusione dei figli del popolo da scuole e univesità e contro il governo Renzi che oggi è il portabandiera delle politiche di fascistizzazione della borghesia sul fronte dell’istruzione. La Commissione giovani del CC del PMLI Avrebbero percepito i gettoni di presenza “in maniera fraudolenta” Indagato per truffa aggravata più della metà del Consiglio comunale di Messina Coinvolti tutti i gruppi consiliari tranne la lista Accorinti Sono 23, su un totale di 40, i membri del Consiglio comunale di Messina che sono finiti nei registro degli indagati con l’accusa di avere percepito i gettoni di presenza “in maniera fraudolenta” come si legge testualmente nell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Messina, Maria Militello: in quanto consiglieri attestavano falsamente la loro partecipazione a numerose riunioni consiliari, alle quali ovviamente non partecipavano ma che venivano comunque retribuite sotto forma di gettone di presenza. Per dodici di loro - Carlo Abbate, Pietro Adamo, Pio Amodeo, Angelo Burrascano, Giovanna Crifò, Nicola Salvatore Crisafi, Nicola Cucinotta, Carmela David, Paolo David, Fabrizio Sottile, Benedetto Vaccarino e Daniele Santi Zuccarello - il giudice ha emesso la misura cautelare, ed è la prima volta che accade in Italia, dell’obbligo di firma davanti a un funzionario della Polizia municipale sia prima che dopo lo svolgimento dei lavori consiliari. Tutti i 23 indagati sono ritenuti, a vario titolo, responsabili dei reati continuati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d’ufficio. Gli altri 11 consiglieri, per i quali non è stato preso alcun provvedimento cautelare, sono Carlo Cantali, Nino Carreri, Andrea Consolo, Libero Gioveni, Pietro Iannello, Rita La Paglia, Maria Amelia Perrone, Nora Scuderi, Donatella Sindoni, Santi Sorrenti e Giuseppe Trischitta. I 23 politici coinvolti nella truffa appartengono a tutti gli schieramenti politici rappresentati in Comune - Pd, Ncd, Udc, Forza Italia, Il Megafono-Lista Crocetta, Partito democratici riformisti, Movimento Siamo Messina, Articolo 4 e Movimento Progressisti Democratici - tranne che alla lista civica “Cambiamo Messina dal basso” del sindaco Renato Accorinti. Le indagini, promosse dal procuratore aggiunto messinese Vincenzo Barbaro, hanno accertato che il meccanismo fraudolento era piuttosto semplice: poiché nel dicembre del 2013 l’indennità mensile massima è aumentata a 2.184 euro, raggiungibile solo con un minimo di 39 presenze mensili nelle varie commissioni, agli inquirenti è subito balzato agli occhi che, guarda caso, proprio da tale data 23 consiglieri su 40 avevano sistematicamente e per tutti i mesi raggiunto la soglia minima delle 39 presenze sia attraverso le commissioni, sia apponendo la sottoscrizione in sostituzione del capo gruppo, frutto di un preventivo accordo tra delegante e delegato per massimizzare la fruizione dei gettoni di presenza. A questo punto, a partire dal mese di novembre del 2014, il PM Vincenzo Barbaro ha fatto piazzare delle telecamere direttamente nelle sale di Palazzo Zanca, dove hanno sede il Consiglio e le sue varie commissioni, dimostrando che i suoi sospetti erano tutt’altro che infondati, in quanto meno della metà dei consiglieri, la cui presenza risultava dai verbali, partecipava effettivamente alle sedute, mentre gli altri restavano pochi minuti, o addirittura pochi secondi, per poi uscire dall’aula. Gli indebiti gettoni di presenza sono costati al Comune di Messina più di un milione di euro solo nell’ultimo anno, e questo fatto, unito alla sistematicità delle condotte dei politici coinvolti, ha fatto scrivere al Giudice per le indagini preliminari che da tali azioni “traspare una spregiudicatezza e una non comune inclinazione a delinquere di tutti gli indagati”. Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno poi accertato che, a dimostrazione che la truffa era sistematica e strutturata, vari consiglieri comunali, in virtù di un mutuo accordo, firmavano in sostituzione di un consigliere dello stesso gruppo o del capogruppo, senza essere però minimamente muniti di delega scritta da parte del delegante. La Procura di Messina poi sta ancora indagando su un effetto collaterale dell’inchiesta, che dal punto di vista economico non è meno importante, ovvero gli oneri riflessi, cioè le varie somme che l’amministrazione comunale ha pagato, a titolo di risarcimento, alle varie aziende delle quali sono dipendenti alcuni consiglieri comunali in quanto, sospettano i magistrati, i consiglieri che si recavano fittiziamente in commissione ed uscivano immediatamente potrebbero aver ingannato anche le aziende dalle quali dipendono in quanto, per legge, costrette a dar loro il giorno di libertà, risarcito, però, dal Comune e, se le varie commissioni si concludevano anche un solo minuto dopo la mezzanotte, i consiglieri, sempre per legge, avrebbero avuto la possibilità di rimanere a casa, con l’azienda risarcita dal Comune. interni / il bolscevico 7 N. 47 - 24 dicembre 2015 Al Sud stipendi più bassi del 30% Le famigerate “gabbie salariali”, formalmente abolite nel 1969 ma di fatto mai cancellate, sono una triste realtà nell’Italia di Renzi e confermano l’aggravamento del divario che separa il Nord dal resto del Paese. A certificarlo sono i dati pubblicati dall’Osservatorio JobPricing e Repubblica.it elaborati sulla base di 140mila rilevazioni su 350mila utenti rilevati nel luogo della loro produzione escluso le fonti di guadagno (da pensione, da attività in proprio, da rendite ecc...) che normalmente vengono incluse nelle statistiche Istat. Lo studio evidenzia che, mentre a Milano un lavoratore guadagna in media 2.500 euro lordi al mese (circa 34.508 euro lordi all’anno) nel Medio Campidano, nel Sud della Sardegna, lo stesso dipendente guadagna circa il 30% in meno e la sua busta paga media lorda scende ad appena 1.600 euro pari a circa 22.500 lordi all’anno. Il solco comincia ad approfondorsi a partire già dalla seconda in classifica: Bolzano che arriva a 32.897 euro. Gli assegni più poveri si trova- no tutti al Sud. Roma occupa l’undicesimo posto, con assegni da 30.126 euro. Ma per trovare le altre province laziali bisogna scendere fin nella seconda metà della classifica: Latina al 52° posto, con 27.258 euro, poi Viterbo al 63°, Frosinone al 73°e Rieti al 79°. Anche a livello regionale il Centro-Nord svetta su tutte. Fatto 100 il reddito annuo medio lordo che in Italia ammonta a 28.653 euro, risulta che in Lombardia si sale a 108,8, in Trentino Alto Adige a 107,5 e in Emilia Romagna a 104,3. In Calabria, fanalino di coda, non si arriva a 82 euro. D’altra parte, a testimoniare il baratro che divide il Nord dal Sud ci sono anche i dati forniti recentemente dall’Istat nell’approfondimento sui conti economici territoriali del 2014. Numeri che dimostrano il nesso tra remunerazione dei lavoratori e produttività tanto che il Nord-ovest è l’area con il Prodotto interno lordo (che considera la ricchezza di tutti i soggetti economici) per abitante più elevato: con 32.500 euro, già l’anno scorso ha segnato una leggera risalita rispetto al 2013, anticipando la timida ripresa che si sarebbe manifestata a livello nazionale solo quest’anno. Il divario con il Mezzogiorno è impressionante: il Sud si ferma a 17.600 euro, poco più della metà della parte settentrionale del Paese. Se si parla di valore aggiunto per abitante, cioè la cifra che sintetizza la crescita del sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi a disposizione della popolazione, Milano svetta ancora con 45mila euro, seguita da Bolzano e Bologna. Al fondo di quest’altra classifica troviamo ancora il Medio Campidano, Barletta-Andria-Trani, Carbonia-Iglesias, Vibo Valentia, Crotone e Agrigento, con circa 13mila euro per abitante, contro i 23.900 a livello nazionale. Questi dati sono la prova provata che il governo Renzi non solo non ha adottato politiche in grado di colmare i devastanti effetti della crisi economica capitalistica sul già martoriato Meridione ma peggiorato sensibilmente la già grave situazione con le controriforme come il Jobs Act e le leggi di stabilità approvate. Rapporto Bankitalia relativo al 2014 Il 30% delle famiglie piu’ povere detengono appena l’1% della ricchezza Altro che “timidi elementi di ripresa”: nell’Italia del nuovo duce Renzi la stragrande maggioranza delle famiglie di estrazione popolare continua a languire nella povertà, nella precarietà e nella disoccupazione mentre le disuguaglianze economiche e sociali con le famiglie più ricche continuano a crescere. A certificarlo è l’indagine annuale della Banca d’Italia sul reddito delle famiglie diffuso il 3 dicembre e relativo ai dati del 2014. Dal rapporto di Palazzo Koch emerge infatti che il patrimonio del 30% delle famiglie più povere (7 mila euro in media) rappresenta meno dell’1%, della ricchezza complessiva. Per contro, appena il 5% delle famiglie più ricche, con un patrimonio di 1,3 milioni di euro a nucleo, detiene oltre il 30% della ricchezza complessiva. Mentre il 10% delle famiglie più ricche ha un patrimonio medio di circa 950mila euro e detiene il 44% del totale. Gli studiosi di Bankitalia spiegano che per larga parte delle famiglie italiane il patrimonio è costituito in prevalenza dalla casa di abitazione, mentre il dato della concentrazione della ricchezza in pochi nuclei sia costante negli ultimi 20 anni. Segno evidente che tutti i governi che si sono succeduti fino ad oggi non hanno mosso un dito per correggere la distribuzione della ricchezza a favore delle fasce più deboli. Nel 2014 il reddito familiare annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali è risultato in media pari a circa 30.500 euro, circa 2.500 euro al mese. La mediana del reddito familiare cioè (il reddito della Aumentano i morti sul lavoro Manca ancora un mese alla fine del 2015 ma nelle fabbriche, nei cantieri, nelle officine e fra i campi la conta dei morti sul lavoro ha già superato l’ecatombe dell’anno scorso segnando un nuovo record. Secondo i dati diffusi dall’ Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) gli incidenti mortali tra gennaio e ottobre del 2015 sono stati 729 contro i 628 del 2014. 101 morti in più che certificano un rialzo significativo pari ad oltre il 16% in più rispetto all’anno scorso. Un dato già di per sé drammatico che “preoccupa” anche l’Inail ma che diventa inammissibile se si pensa che il numero totale degli infortuni, inclusi quelli non mortali, segna invece un ribasso complessivo tra il 4,5% e il 5% nei primi dieci mesi dell’anno. Se ne contano 25.623 in meno, includendo anche i casi definiti dall’Inail “in itinere” ovvero nei tragitti intrapresi per motivi strettamente legati all’impiego. Una decisa flessione si rileva anche focalizzando l’attenzione solo sugli incidenti accaduti mentre si lavora (17 mila in meno). E il divario aumenta se si aggiungono anche le perdite “in itinere” (155 in più) con il totale che sfiora il milione (988) solo nei primi dieci mesi del 2015. Ma non è tutto, perché la stessa Inail avverte che purtroppo si tratta di dati basati solo sulle denunce pervenute presso i suoi uffici che ancora “sono in fase di assestamento” e che purtroppo possono solo peggiorare. E pensare che il Rapporto annuale dell’Inail per il 2014 confermava invece la tendenza al calo, visto che gli incidenti si erano di- mezzati negli ultimi dieci anni: nel 2005 le morti bianche erano state 1.278. Insomma nell’Italia di Renzi si muore non solo di fame, di miserie e di povertà, ma anche e soprattutto di lavoro. E il vertiginoso aumento dei casi mortali tra gli over60 (+38,3%) sono la diretta conseguenza delle leggi liberticide e dell’azzeramento dei diritti e delle tutele dei lavoratori imposti dal nuovo duce di Rignano. famiglia che occupa la posizione centrale della distribuzìone) è inferiore alla media, e pari a 25.700 euro (cioè circa 2.100 al mese. Il 10% delle famiglie a più alto reddito percepisce più di 55 mila euro, cioè circa 4.600 euro al mese. Alla fine del 2014 la ricchezza netta delle famiglie (immobili, aziende, oggetti di valore, depositi, titoli di Stato, azioni) al netto delle passività finanziarie (mutui e debiti) è risultata pari a 218mila euro. Il reddito familiare annuo, al netto di imposte sul reddito e contributi sociali, è in media pari a 30.500 euro, 2.500 euro al mese e solo il 10% delle famiglie a più alto reddito percepisce più di 55mila euro (4.600 euro al mese). Per contro, l’indagine di Bankitalia evidenzia che, negli ultimi 9 anni sono notevolmente aumentati gli individui a basso reddito, cioè con un reddito equivalente (una misura del benessere che tiene conto della dimensione e della struttura demografica della famiglia in cui vive) inferiore al 60% di quello mediano (che è di 16 mila euro). Nel 2014 le persone costrette a sopravvivere con meno di 9.600 euro annui sono risultate il 22,3% del totale; erano il 19,6% nel 2006 e il 20,6 nel 2012. Nel’ultimo decennio l’incidenza degli individui a basso reddito è cresciuta soprattutto nelle fasce di età centrali fino a 54 anni e rappresentano la diretta conseguenza della progressiva cancellazio- ne dei diritti sociali e previdenziali operata da Renzi, Berlusconi, Letta e Monti soprattutto. A farne le spese sono soprattutto le fasce giovanili. L’indagine rileva infatti che la ricchezza netta degli anziani è superiore di oltre tre volte quella dei giovani. Negli ultimi 20 anni si sono ampliati i divari di ricchezza tra i più giovani e i più anziani, che riflettono solo parzialmente il fisiologico processo di accumulazione dei risparmi lungo il ciclo di vita. La ricchezza media delle famiglie con capofamiglia tra i 18 e i 34 anni è meno della metà di quella registrata nel 1995, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60 per cento. Comunicato di CUB Trasporti e CAT-Coordinamento Autorganizzato Trasporti Grande successo dello sciopero del 26/27 novembre dei lavoratori delle Ferrovie Riceviamo e volentieri pubblichiamo. I ferrovieri hanno dato vita, unica categoria in Italia, all’ottavo sciopero nazionale in poco più di un anno e mezzo, per la dignità e la sicurezza del lavoro, per un regime pensionistico equo, contro la precarietà sistematica e la legittimazione dei licenziamenti del Jobs Act, contro la repressione dei diritti e del legittimo dissenso. Il grande successo dello sciopero, convocato unitariamente da CUB Trasporti e CAT-Coordinamento Autorganizzato Trasporti (e successivamente proclamato anche da USB, seppur con una diversa piattaforma di rivendicazione) dimostra come siano falsate le misurazioni della rap- presentanza volute da governo, Confindustria e sindacati concertativi, che consegnano con i rinnovi Rsu (in conformità con il nuovo vergognoso Testo Unico sulla Rappresentanza) la rappresentanza ufficiale a organismi ormai inutili e impotenti a fronteggiare le sfide che i lavoratori hanno davanti. La nuova accelerazione del governo sulla privatizzazione e svendita del comparto ferroviario, le proposte di nuove norme per ridurre ulteriormente il diritto di sciopero, già soggetto in Italia ad una delle normative più restrittive del mondo e i prossimi rinnovi contrattuali che ancora una volta i falsi alfieri dei lavoratori stanno concordando con le aziende del comparto sulla testa dei lavoratori, necessitano di continuare la lotta con sempre maggior determinazione e coraggio. Di fatto le nuove misure concordate di “regolamentazione” degli scioperi a tutela del Giubileo, così come già avvenuto per Expo, dimostrano il disinteresse di governo e Confederali per le vertenze dei lavoratori. Proseguiremo nel percorso di lotta per le legittime rivendicazioni e le giuste aspettative dei lavoratori. Complimenti a tutti i lavoratori che, scioperando, hanno lottato con noi. CUB Trasporti, CAT-Coordinamento Autorganizzato Trasporti 27 novembre 2015 8 il bolscevico / interni N. 47 - 24 dicembre 2015 Il Rapporto Cgil denuncia che sono irregolari il 50% delle aziende Ridotti in schiavitu’ i braccianti immigrati nelle campagne pugliesi La strage di braccianti verificatasi nelle campagne pugliesi nel corso di questa estate ha portato allo scoperto le brutali condizioni di schiavitù imposte da padroni senza scrupoli e dai caporalinegrieri a decine di migliai di immigrati e di lavoratori italiani costretti a lavorare nei campi come bestie anche per 15 ore al giorno in cambio di un “salario” di 15 – 20 euro al giorno. È questa l’agghiacciante realtà che emerge dalle 300 pagine del terzo report «Agricoltura e lavoro migrante in Puglia» redatto dalla federazione della Flai Cgil pugliese e presentato il 12 novembre a Bari. Secondo i dati della Flai i braccianti assunti in Puglia nel 2014 sono oltre 180mila, un quinto dell’intero paese. Se si analizza il rapporto dei soli braccianti stranieri sul totale - 40mila gli assunti registrati nella regione dall’Inps – la percentuale è del 29%, contro una media Italia del 35,2. “Dato che può trovare una spiegazione nella più forte vocazione al lavoro agricolo italiano ma di sicuro anche nel ricorso al nero degli stranieri”. Non reale per la Cgil anche il dato relativo alle provenienze geografiche: dei 40mila braccianti stranieri regolarmente assunti in Puglia nel 2014, 19mila sono ru- meni, 9mila tra albanesi e bulgari, “eppure basta attraversare le nostre campagne durante il periodo della raccolta del pomodoro perché ci si renda conto della grande presenza di lavoratori ‘neri’ sfuggita alle registrazioni Inps”. Non tornano nemmeno i numeri delle giornate lavorate dagli stranieri: nel 2014 i cosiddetti “non aventi diritto”, ovvero quei braccianti che non superando le 50 giornate non accedono all’indennità di disoccupazione, sono 23mila, con punte del 65 per cento in provincia di Foggia, dove è registrata la metà dei 40mila braccianti stranieri assunti in Puglia. Dato che segnala due fenomeni congiunti ormai strutturali nel mercato del lavoro regionale: il ricorso importante a forme di lavoro nero o grigio, con giornate solo parzialmente registrate, e risulta davvero poco credibile che migliaia di uomini e donne si spostino in Puglia nella stagione delle grandi raccolte per lavorare solo dieci giorni. Elusioni riguardano anche la qualità dei contratti con i quali vengono assunti: “L’agricoltura pugliese non è all’anno zero, necessita di lavorazioni particolari, manodopera specializzata, ma prevale una contrattualizzazione al ribasso”. Il report della Flai Puglia dedica un approfondimento anche Braccianti schiavi al lavoro nei campi pugliesi al “sistema di accoglienza” dei lavoratori stranieri e in particolar modo ai lager per i braccianti agricoli costretti a vivere in baraccopoli fatiscenti e tendopoli auto costruite, senza servizi igienici, acqua potabile o energia elettrica. Un sistema “ideato da mediatori e caporali – in combutta con le amministrazioni locali che fanno finta di non vedere - in quanto vi è l’interesse del sistema produttivo agricolo a stipare manodopera ricattabile in grandi quantità e in pochi luoghi, lontani dagli occhi delle comunità e indifferenti anche alle forze dell’ordine”. Questi lager sono gestiti direttamente dai pescecani capitalisti e dalla criminalità organizzata che speculano perfino sulla quota di affitto per un posto letto richiesta agli stagionali e sul trasporto per condurre i braccianti nelle campagne. “Uno spazio dove ciascuno ha il suo ruolo: chi lavora, chi paga, chi sfrutta, chi lucra” una manodopera – denunciano i rapporto redatti da Emergency e Medici per i Diritti Umani – che presenta sempre più diverse patologie muscolari e articolari in quanto “sfruttata, stanca, usurata, sottoposta a regimi di lavoro paurosi”. Non a caso i dati della Flai confermano che, su 1.818 ispezioni effettuate nelle imprese agricole pugliesi dal ministero del Lavoro nel 2014, “925 (circa il 50%) si sono concluse con irregolarità”. Una media impressionante di irregolarità che però rappresenta solo la punta dell’iceberg. In Puglia “il numero totale di operai a tempo determinato (Otd) dal 2013 al 2014 è passato da 180.748 a 181.273, registrando un aumento di 525 unità (+0,3%)”. La componente straniera “è passata da 39.599 a 40.707 unità mentre quella italiana è diminuita di 583 unità: il peso degli stranieri sul totale è passato dal 21,9% del 2013, al 22,5% del 2014, con la componente extracomunitaria che prende sempre più piede passando dal 33,9% del totale al 34,7%». Irregolarità diffusa dunque. Che significa guadagni in nero per le aziende agricole e salari da fame per i braccianti. Milioni di euro che confluiscono nelle casse di imprese che operano nella totale illegalità con la connivenza e la compiacenza di padroni, caporali, boss politici, amministrazioni e istituzioni locali. “La quantità di denaro che gira nel bestiale sistema del caporalato, nel solo periodo della raccolta del pomodoro, va dai 21 ai 30 milioni di euro”, è scritto nel rapporto. Un fenomeno da sempre vigente nelle campagne pugliesi, ma che negli ultimi anni è andato sempre più incancrenendosi, sino a raggiungere soglie di brutalità e di violenza mai viste prima. Secondo il rapporto “il caporale specula da ogni schiavo da 1 a 2 euro a cassone e 5 euro a viaggio per accompagnarlo al lavoro”. Inoltre “gestiscono le abitazioni, si fanno pagare il fitto (circa 200 euro mese a testa). Speculano sul panino che forniscono con altri 2–3 euro di rincaro medio a pezzo, senza considerare quella sulla ricarica elettrica del cellulare (circa 3 euro a ricarica)”. Altro che “rivoluzione gentile” e “rivoluzione copernicana” di cui cianciano l’ex governatore trotzkista e anticomunista Nichi Vendola (PRC) e il suo successore Michele Emiliano (PD): la Puglia governata per oltre un decennio dal “centro-sinistra” sul fronte dell’emancipazione del lavoro è tornata al Medio evo. In mille avevano manifestato ad Ancona: “Vogliamo difendere il territorio dal saccheggio delle multinazionali del petrolio’’ I Comitati antitrivellazioni contro il governo dei petrolieri Le popolazioni si ribellano allo “Sblocca Italia” che prevede di perforare 4-5 pozzi a 5 chilometri dalla Costa dei Trabocchi in Abruzzo Si è tenuta sabato 28 novembre la manifestazione regionale marchigiana ad Ancona contro le trivellazioni nell’Adriatico, alla quale hanno partecipato in oltre un migliaio. Una folta delegazione di manifestanti è giunta dall’Abruzzo con alcuni pullman appartenenti ai comitati “No Ombrina”. Delegazioni sono giunte anche dall’Emilia-Romagna, dall’Umbria e dalla Basilicata. La manifestazione, inserita in un week-end ricco di mobilitazioni in tutto il Paese contro lo Sblocca Italia ed in vista del vertice mondiale sul clima Cop-21 di Parigi, continua la campagna contro la devastazione e saccheggio del territorio, per dire stop alle trivellazioni petrolifere, ma anche ai gasdotti, ai rigassificatori e a tutte le grandi opere costose, dannose ed inutili che hanno ottenuto il via libera con il decreto. Alla testa del corteo, un grande striscione: “No Trivelle, no petrolio, no guerre”, a testimoniare il legame evidente tra il petrolio e le fonti energetiche in generale e la guerra, in particolare nel Medio Oriente. Una grande mobilitazione che però non ha avuto alcuno spazio sui media nazionali e solo pochi accenni su quelli locali. La manifestazione si è conclusa in Piazza Roma, dove hanno preso parola i vari comitati ed associazioni della rete Trivelle Zero. Abruzzo in primo piano poiché il ministero dello Sviluppo economico ha recentemente concesso il definitivo via a perforare e a tirar su greggio ad una manciata di miglia dalle spiagge della provincia di Chieti. La devastante e contestata piattaforma “Ombrina Mare”, con annessa nave-raffineria galleggiante, si farà: questo è stato deciso al termine della Conferenza dei servizi a Roma, tra le proteste e le bandiere “No Oil” che sventolavano all’esterno. I comitati annunciano ricorsi al TAR e si dicono pronti a presentare esposti alla magistratura e in tutte le sedi, passando per la Commissione europea. “Vedremo di affondare Ombrina prima che compaia all’orizzonte… Ci difenderemo in ogni maniera perché questo progetto non solo colpisce l’ambiente ma anche il Pil e noi stiamo tutelando pure la nostra economia” sostengono gli attivisti, lanciando un coraggioso grido di battaglia. Fra l’altro, l’“One Adriatic”, l’insieme di associazioni ambientaliste, comitati e movimenti dei Paesi adriatici che comprende gruppi e comitati di Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Italia, Montenegro e Slovenia, nel momento cruciale della Cop21 di Parigi, ha scritto alla Commissione europea e ai ministri dell’ambiente dei Paesi che si affacciano sull’Adriatico. L’appello è quello di fermare la corsa all’oro nero intrapresa in questo mare poiché tale scelta, miope, oltretutto di breve durata e anacronistica, non solo non tiene conto dell’importanza che nell’economia mondiale rivestono le nuove forme di energia derivanti da fonti rinnovabili per uscire dalla dipendenza da quelle fossili, ma non tiene conto nemmeno dell’impatto negativo Ancona, 28 novembre 2015. La manifestazione regionale NoTriv sulle altre economie che vivono e si sviluppano intorno al mare, come la pesca ed il turismo, e che sono la vera ricchezza dei territori. Un importante presidio contro lo Sblocca Italia si era tenuto anche mercoledì 15 e giovedì 16 ottobre scorsi davanti alla Camera dei Deputati. Tante associazioni, reti e comitati che lavorano quotidianamente su varie tematiche, principalmente economiche ed ambientali, avevano individuato collettivamente il Decreto Sblocca Italia come un grave pericolo per ambiente, territorio, paesaggio, patrimonio pubblico e diritto allo studio. Inaccettabile innanzitutto lo stanziamento di 3,9 miliardi per grandi opere e di soli 110 milioni di euro per la riduzione del rischio idrogeologico: i numeri palesano le cause profonde di eventi drammatici come le sempre più frequenti alluvioni che si sono verificate in particolare in Liguria, e la responsabilità di politiche dannose per l’interesse collettivo, ma interessanti per gli appetiti privati di grandi gruppi economici. Ora più che mai risuona il monito dell’Associazione mondiale di Meteorologia che, al pari di tantissimi esperti internazionali, ha lanciato l’ennesimo allarme sulla necessità del taglio di emissioni capaci di modificare il clima, in particolare quelle provenienti da carbone, petrolio e gas; contestualmente il governo Renzi de- creta che l’Abruzzo dovrà ospitare pozzi e raffineria galleggiante per i prossimi decenni affossando l’economia dell’agricoltura di qualità e quella turistica della bellissima Costa dei Trabocchi, a dispetto di due leggi regionali che hanno sancito la presenza del “Parco marino” della costa stessa e il limite vigente (e comunque insufficiente) delle 12 miglia marine per le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. All’interno di questa battaglia, va ricordato che la Corte costituzionale, entro febbraio, si dovrà pronunciare sull’ammissibilità del referendum antitrivelle voluto da 10 regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Ve- neto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) e da tutto il movimento “No Triv” che intende abrogare alcuni articoli dello Sblocca Italia e del decreto Sviluppo, al fine di neutralizzare la centralizzazione nelle mani dello Stato delle competenze in materia energetica. In questo modo, così come previsto per gli altrettanto dannosi inceneritori, nessun potere avranno le amministrazioni locali sulle decisioni prese direttamente dal governo su impianti che la legge definisce come di “interesse nazionale”. La Cassazione, pochi giorni fa, ha dato il via libera ai quesiti referendari. Il fronte “No Triv” è in continua espansione e la sua formazione appare sempre più trasversale e variegata com’è stato evidenziato anche nella prima assemblea nazionale che si è svolta a Roma al Parco delle energie. Per il governo del nuovo duce Renzi, sono gli interessi delle multinazionali, in particolare quelle del petrolio, a essere strategici e per essi è disposto a tutto; anche a calpestare gli interessi e ignorare la volontà della popolazione. Così come emerso in quasi tutti i contenuti dello Sblocca Italia e del Decreto sviluppo, appare sempre più evidente che il governo Renzi è completamente votato alla causa dei potenti e dei petrolieri, e se ne infischia degli allarmi che gli scienziati da tutto il mondo stanno lanciando sull’uso dei combustibili fossili e le loro catastrofiche conseguenze sia a livello climatico che a livello sanitario ed economico. metalmeccanici / il bolscevico 9 N. 47 - 24 dicembre 2015 La piattaforma contrattuale della FIOM vince il referendum. ContRaria la sinistra dei metalmeccanici Una proposta calata dall’alto, un referendum poco partecipato Landini allinea la Fiom alla Camusso e a Cisl e Uil La Fiom ha reso noti i risultati del referendum che si è svolto a novembre tra i metalmeccanici della Cgil sulla piattaforma contrattuale. I dati evidenziano come i voti favorevoli siano stati molto alti, quasi un plebiscito, in linea con la media ottenuta dalle rispettive proposte nelle altre categorie della Cgil. In tutte le regioni i favorevoli superano il 90% dei voti validi, anche se dobbiamo rimarcare come importanti aziende metalmeccaniche hanno bocciato la piattaforma. In Lombardia ricordiamo il netto NO della Same di Treviglio e della FGS di Ticino Olona, in Emilia-Romagna alla Motovario di Modena, alla Marcegaglia di Forlì, all’Ocme di Parma, in Piemonte alla Oerlikon di Rivoli, in Veneto alla Somec di Treviso e alla All-co di Padova, in Toscana i No hanno prevalso alla Perini di Lucca e alla GKN di Campi Bisenzio. Il voto era aperto anche ai non tesserati, al momento del voto erano presenti in azienda 424.870 lavoratrici e lavoratori e hanno votato in 238.034 (il 56%): 219.686 i sì, 14.208 i no, 6.040 le bianche e nulle. La Fiom ha archiviato il referendum dandone una lettura positiva che potremmo riassumere con queste parole: alta partecipazione e democrazia, consenso e mandato molto forte, “certificato”, ritrovata unione con Fim e Uilm. Tutti fattori che, secondo il gruppo dirigente dei metalmeccanici della Cgil, favoriranno la firma di un contratto che riuscirà ad invertire i risultati negativi ottenuti con gli ultimi accordi separati. Partecipato e democratico certo non lo è stato. Non lo diciamo solo noi, sono stati i lavoratori che hanno criticato il metodo usato dalla Fiom. In alcune aziende le Rsu si sono persino rifiutate di organizzare la consultazione perché la piattaforma era stata calata dall’alto, senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori, chiamati poi a votare in tempi ristretti, spesso direttamente nelle sedi sindacali senza nemmeno avere la possibilità di discuterne in fabbrica nelle assemblee. Alcuni delegati della Rsu della Elettrolux di Forlì hanno denunciato che le modalità di voto, in quella ma anche in altre aziende “non è né certificato né trasparente”. Alcuni delegati Fiom della Piaggio di Pontedera (PI) aderenti all’area Il sindacato è un’altra cosa della Cgil hanno emesso un comunicato dall’eloquente titolo “la lezione di un referendum inaccettabile”. Oltre alle critiche alla piattaforma vi si legge che la Fiom ha deciso di “chiudere in fretta il confronto con i lavoratori sulla Piattaforma, far conoscere il meno possibile i suoi contenuti, tanto meno discuterli, fino al punto di dare inizio alla trattativa sul Contratto Nazionale senza nemmeno aspettare la conclusione dei Referendum”. Alla fine alla Piaggio, pur vincendo il Sì, i tre quarti dei lavoratori non ha votato, “risultato sia della difficoltà a esprimersi in mancanza di informazioni adeguate, sia della percezione della irrilevanza del proprio voto”. Anche noi marxisti-leninisti giudichiamo particolarmente grave l’inizio della trattativa prima ancora che i lavoratori si fossero espressi con il loro voto. Segnale inequivocabile che il gruppo dirigente avesse come obiettivo principale quello di evitare a tutti i costi un accordo separato che escludesse la Fiom, mostrando fin da subito la volontà di sedersi al tavolo contrattuale con la massima apertura verso la controparte padronale nonostante l’atteggiamento arrogante di Confindustria e Federmeccanica. Non a caso nei comunicati della Fiom sul rinnovo contrattuale fin dall’inizio si sottolineava con insistenza la necessità di uscire dalla logica degli accordi separati partendo “dalla certificazione della rappresentanza e dalla pratica del voto referendario delle lavoratrici e dei lavoratori per la validazione degli accordi, come del resto previsto dall’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014”. Più che conquistare nuovo salario e difendere i diritti la Fiom ha scelto l’unità con Cisl e Uil sulla base del famigerato accordo sulla rappresentanza. Un accordo voluto dai padroni che frena la lotta e il dissenso sindacale colpendo la libertà dei lavoratori di scegliere i loro rappresentanti e il diritto di sciopero. La piattaforma approvata il 24 ottobre a Cervia rinnega le lotte che la stessa Fiom ha portato avanti contro il famigerato modello Marchionne cedendo a tutte le richieste di Confindustria. Oltre alle clausole di “raffredda- mento” (limitazione del diritto di sciopero) si accettano le deroghe al Contratto Nazionale, il salario legato principalmente alla produttività, l’aumento della disponibilità ai turni e al lavoro festivo, la restituzione di una parte di salario ottenuto dal contratto precedente e, dopo la previdenza l’introduzione della Sanità integrativa che porta sostegno alla sanità privata a discapito di quella pubblica. Si capitola di fronte alle nuove relazioni industriali di stampo mussoliniano introdotte per la prima volta in Fiat da Marchion- ne ma adesso fatte proprie anche dalla Confindustria e dal governo del nuovo duce Renzi, accettate fin da subito da Cisl e Uil e, seppur in seguito e con molti mugugni dalla Cgil e adesso, di fatto, anche dalla Fiom. Con la piattaforma di Cervia Landini riporta la Fiom all’ovile, normalizzando la categoria e allineandola alla segreteria e alla Camusso annullando quelle differenze che avevano posto i metalmeccanici alla testa della lotta contro la politica economica del governo Berlusconi, contro il modello Marchionne, per la difesa dell’articolo 18, dello Statuto e dei diritti dei lavoratori, trascinando spesso nella battaglia tutto il resto della Cgil. Intanto il 4 dicembre la trattativa tra Confindustria e Fiom, Fim e Uilm è ripresa. Al momento le distanze tra le parti sembrano difficili da colmare ma Federmeccanica ha fretta di concludere è ha già fatto capire che non è disposta a concedere nulla, né sul salario, legato solo alla produttività aziendale, né sulla parte normativa, dove il contratto nazionale si vuole sostituire quasi completamente con la contrattazione aziendale. Fiom e Cgil avevano promesso che i contratti sarebbero stati uno strumento per contrastare le nuove norme sul lavoro introdotte dal governo Renzi e invece anche quello dei metalmeccanici, dopo quello dei chimici, bancari e commercio, si sta dimostrando solo un adattamento al Jobs Act, alle deroghe, alle compatibilità aziendali. Delegati Fiom Piaggio aderenti a Il sindacato è un’altra cosa La lezione di un Referendum inaccettabile La mancanza di informazione e di discussione sulla Piattaforma FIOM, la fretta di chiudere il Referendum e il suo fallimento in termini di partecipazione al voto, alla Piaggio come in tante altre fabbriche, sollevano interrogativi pesanti sulle iniziative e sul ruolo che i dirigenti della FIOM stanno assumendo. In una fase di attacco padronale, frontale e continuativo da diversi anni, a livello nazionale e di fabbrica, se si intendesse davvero dar vita a una iniziativa di difesa e di reale contrasto, la prima cosa da fare sarebbe coinvolgere e attivare il maggior numero possibile di lavoratori nella discussione e nella costruzione delle Piattaforme rivendicative e delle azioni di lotta. La Direzione FIOM ha de- ciso l’esatto contrario: chiudere in fretta il confronto con i lavoratori sulla Piattaforma, far conoscere il meno possibile i suoi contenuti, tanto meno discuterli, fino al punto di dare inizio alla trattativa sul Contratto Nazionale senza nemmeno aspettare la conclusione dei Referendum. Non è un caso, perché i contenuti della Piattaforma FIOM non sono altro che la rinuncia a quelle battaglie che i lavoratori hanno fatto in questi anni e l’accettazione di praticamente tutte le pretese della Confindustria, dalla limitazione al diritto di sciopero alle deroghe ai CCNL, dall’aumento della produttività al lavoro festivo, dagli aumenti salariali minimi all’eliminazione della perequazione tra grandi e piccole fabbriche. Per questo abbiamo rifiutato di partecipare all’organizzazione del Referendum e abbiamo espresso la nostra totale contrarietà ai contenuti della Piattaforma. La nostra valutazione è che il reale obiettivo della dirigenza FIOM era e rimane solo quello di essere riammessi alle trattative per il Contratto, sugli stessi contenuti dei Contratti separati di FIM e UILM che la FIOM ha giustamente respinto fino a ieri. In questo quadro, l’astensione dal Referendum dei 3/4 dei lavoratori Piaggio è chiaramente comprensibile. Per la maggior parte, è stata il risultato sia della difficoltà a esprimersi in mancanza di informazioni adeguate, sia della percezione della irrilevanza del proprio voto. Ma per tanti lavoratori l’astensione e` stata il modo di esprimere il rifiuto consapevole di un metodo che non ammette altro che un SI o un NO. Insieme al NO di 224 lavoratori, più di un terzo dei votanti, che sono andati a esprimere il loro rifiuto esplicito di questa Piattaforma, questi comportamenti e questa coscienza, che vengono dalle battaglie di questi anni, indicano la determinazione a continuare a combattere, in Piaggio come in tante altre fabbriche, per respingere gli attacchi ai diritti e affermare i principi e gli interessi della classe lavoratrice. Delegati FIOM Piaggio aderenti a Il sindacato è un’altra cosa La CGIL prepara il referendum abrogativo sul Jobs Act Con un voto a maggioranza, il direttivo della CGIL ha deciso che consulterà i propri iscritti per ricevere il mandato a indire un referendum abrogativo delle parti del Jobs Act che contraddicono il nuovo Statuto dei lavoratori. Il direttivo ha approvato anche un odg di critica alla legge di Stabilità. Ma se da una parte il vertice CGIL ha aderito a tutte le manifestazioni di protesta programmate dalle categorie, ha però respinto un emendamento che chiedeva lo sciope- ro generale. E sempre grazie alla legge di Stabilità che prevede un taglio di 100 milioni di euro ai Caf quasi la metà dei contribuenti italiani rischia di rimanere senza assistenza fiscale. Se la legge andrà in porto così com’è, denuncia il coordinatore della consulta nazionale dei Caf, Valerio Canepari, a pagarne le maggiori conseguenze sarebbero le persone anziane e i più poveri che non hanno strumenti per orientarsi nella materia fiscale. N. 26 - 2 luglio 2015 Comunicato dell’Ufficio politicoesteri del/ ilPMLI bolscevico 15 Perché gli attacchi terroristici a Parigi. E' la barbarie dell'imperialismo che genera barbarie I marxisti-leninisti italiani si stringono solidali ai familiari delle vittime incolpevoli degli attentati terroristici a Parigi. Questi attentati, non condivisibili ma comprensibili, sono la diretta conseguenza della criminale guerra che la santa alleanza imperialista, della quale fa parte la Francia di Hollande, conduce contro lo Stato islamico. Ed è facilmente prevedibile che essi continueranno e investiranno tutti i paesi della suddetta coalizione. Per evitarli l'unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato islamico. I popoli non hanno alcun motivo per appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi degli imperialisti, cioè del capitalismo e delle classi dominanti borghesi, che per sostenere le loro economie e "spazi vitali" usano le armi per sottomettere i popoli che si ribellano al loro dominio e per depredare le ricchezze, soprattutto il petrolio e le materie prime, dei loro paesi. Attualmente è il Medio Oriente, in particolare la Siria, l'Iraq e la Libia, che fa gola all'imperialismo americano, europeo e russo. Nonostante essi siano in contraddizione e in lotta per l'egemonia in quella regione, ora sono uniti per combattere lo Stato islamico, che rappresenta il maggiore ostacolo per i loro piani di dominio nel Medio Oriente. Gli amanti della pace, della libertà e dell'autodeterminazione dei popoli, dell'indipendenza e della sovranità dei paesi, non possono quindi stare dalla parte degli aggressori imperialisti, ma da quella dello Stato islamico aggredito. Il PMLI, nonostante non condivida assolutamente la sua ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi metodi di lotta, azioni e obiettivi, non può non appoggiarlo nella sua lotta contro gli imperialisti. Perché è interesse comune liberare il mondo dall'imperialismo, che è la causa delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'esistenza delle classi, delle ingiustizie sociali, della fame, della disoccupazione, della disparità territoriale e dei sessi, del fascismo, del razzismo, dell'omofobia, dell'emigrazione. E' la barbarie dell'imperialismo che genera barbarie. Non esiste un imperialismo buono, quello russo o cinese, e un imperialismo cattivo, quello americano o europeo. Tutti gli imperialismi sono cattivi e nemici dell'umanità. Lottano tra di loro per il dominio sul globo anche a costo di scatenare una guerra mondiale. Devono essere fermati. Il contributo più grande che il popolo italiano possa dare a questa lotta antimperialista universale è quello di opporsi a ogni atto interventista e guerrafondaio del governo imperialista del nuovo duce Renzi. Esso è presente in armi in Iraq e Afghanistan, ed è pronto a bombardare con i Tornado e i Droni lo Stato islamico nel territorio che questo ha strappato all'Iraq. Aspetta solo di avere la contropartita a cui tiene tanto, quella della guida della missione militare in Libia. Il popolo italiano deve rifiutarsi di diventare carne da cannone per l'imperialismo italiano e, nel caso in cui l'Italia partecipasse a una eventuale guerra mondiale imperialista, deve sollevarsi anche in armi, se occorre, per imperdirla. Questo governo è una iattura per la sua politica interna ed estera, bisogna cacciarlo. stampato in pr. 14 novembre 2015, ore 9,04 l’Ufficio politico del PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it lotte antigovernative / il bolscevico 11 N. 47 - 24 dicembre 2015 Dieci anni dopo la Valle ancora in lotta Imponente manifestazione NO TAV Ben accolto il PMLI col cartello “Cancellare la sentenza fascista contro i NO TAV e cancellare la TAV. E’ giusto ribellarsi contro i reazionari”. Lo storico leader del movimento sottolinea “Abbiamo resistito 10 anni ne resisteremo altri 10 e per tutto il tempo necessario Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLI Martedì 8 dicembre si è svolta la marcia da Susa a Venaus, entrambe nella neocostituita città metropolitana di Torino, in occasione del 10° anniversario della liberazione simbolo di Venaus, quando a nulla valsero le cariche della polizia a fronte della determinazione dei manifestanti nell’impedire lo scempio del loro territorio da parte dei signori del cemento. Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005, quando il presidio permanente che si teneva a Venaus, sui terreni sui quali doveva essere costruita la TAV, fu sgomberato in maniera violenta da parte delle “forze dell’ordine”. Fu riconquistato due giorni dopo con una marcia di popolo di 50 mila valsusini, che ruppero le staccionate, cacciarono le “forze dell’ordine” e si riappropriarono del presidio. Era allora in carica il governo Berlusconi ter, ministro dell’interno Pisanu (FI), che ricevettero una durissima batosta dalla manifestazione popolare. Era precisamente l’8 dicembre 2005 il giorno della riconquista e a seguito di quella battaglia di massa, la lotta No-TAV è diventata un simbolo per l’Italia intera. In dieci anni i governi borghesi, passando per Prodi, Monti, Letta e l’attuale governo Renzi, le hanno provate tutte per indebolire il movimento e favorire i fautori della mostruosa opera, innalzando il livello dello scontro e la militarizzazione della Valle, ma niente ha piegato i valsusini in lotta. Così martedì 8 dicembre, oltre 20 mila manifestanti hanno dato vita ad una grandiosa marcia partita dalla città di Susa e giunta fino al presidio NO TAV di Venaus: “8 dicembre 2005-8 dicembre 2015. Ora come allora la resistenza continua!”, diceva lo striscione di apertura del colorato e combattivo corteo del movimento, composto prevalentemente da valsusini, da famiglie con bambini piccoli, anche loro con indosso magliette di protesta NO TAV, movimenti ambientalisti, PMLI, oltre a ciò che resta di Rifondazione Comunista e la rappresentanza della Federazione Anarchica Italiana (FAI). Imponente manifestazione, non scontata del resto, soprattutto dopo le solite perquisizio- ni, i fermi, i rallentamenti e le provocazioni delle “forze dell’ordine”. Fin dalle prime ore del mattino, tanti i posti di blocco ai caselli dell’autostrada A12 e sulle statali. Sono stati fermati i pullman da Bergamo e del Terzo Valico. I manifestanti sono stati filmati, identifcati e fotografati uno per uno, ma non si sono mai arresi o intimiditi. Nella città di partenza ci si poteva rendere immediatamente conto di cosa i valsusini intendano per disgustosa destinazione delle risorse economiche da parte delle amministrazioni pubbliche. Infatti lo storico ospedale di Susa è stato chiuso sulla base dei tagli alla spesa sanitaria della regione Piemonte. Qui i militanti NO TAV hanno riempito di lumini mortuari accesi e striscioni di protesta il giardinetto attiguo all’ingresso dell’exospedale per far comprendere alla popolazione a cosa portano i tagli alle risorse per i servizi popolari quando vengono dirottati per le inutili grandi opere. L’importanza del movimento NO TAV valsusino è incalcolabile, considerato che è sempre stato d’ispirazione per la nascita di tutta una serie di fondamentali movimenti di protesta che hanno impedito negli anni ai vari potentati economici di distruggere l’ambiente a loro piacimento sperando di non esse- 1 Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. Lo striscione di apertura del corteo NoTav. Si notano la bandiera e il cartello del PMLI (foto pubblicata sul web da Luca Perino) testa si sposterà in tribunale, dove venerdì riprenderà il processo d’appello a quattro attivisti, Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, condannati in primo grado a tre anni e mezzo per il “sabotaggio” al cantiere di Chiomonte nel maggio 2013. Il procuratore generale Marcello Maddalena, nonostante una sentenza della Cassazione abbia detto a chiare lettere che non si trattò di torio della Val Susa e alle sue masse popolari. Per questo va spazzato via senza indugio e con la massima determinazione, conducendo contro di esso una dura opposizione di clas- se e di massa nelle fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle piazze, nelle organizzazioni di massa, specie sindacali e studentesche. A Firenze, in occasione della kermesse della Leopolda Lavoratori e giovani contestano Renzi Redazione di Firenze Non è mancata una sonora contestazione al nuovo duce Renzi durante la stomachevole kermesse governativa della Leopolda, che purtroppo Firenze deve subire ciclicamente. All’appello contro “Renzi e le politiche di devasta- tro e arrivare davanti alla Leopolda. Tante le bandiere rosse e gli slogan come “Scuola, Jobs Act e privatizzazioni: queste riforme sono da cialtroni”. Davanti alla Leopolda i manifestanti hanno fronteggiato il nutrito cordone di polizia e simbolicamente Valsusa (Torino), 8 dicembre 2015. La delegazione del PMLI prende posto dietro lo striscione di apertura del corteo NoTav (foto Il Bolscevico) re contestati e combattuti. Tra gli esempi più rappresentativi possiamo citare il No Mose a Venezia contro l’installazione delle paratoie alle boc- CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI GENNAIO che d’ingresso della laguna di Venezia, che hanno, fra l’altro, visto inquisito il parlamentare forzista Giancarlo Galan, il movimento contro la costruzione dei caccia F35 a Novara oppure il No Muos in Sicilia contro l’impianto satellitare della Marina militare degli Stati Uniti. Presente una delegazione piemontese del PMLI che per tutto il tempo del corteo è stata super fotografata mentre sfilava orgogliosamente portando il cartello “Cancellare la sentenza fascista contro i NO TAV e cancellare la TAV. È giusto ribellarsi contro i reazionari” e issando la bandiera rossa del PMLI. Le musiche risuonate durante il percorso sono state quelle storiche della Resistenza contro il nazi-fascismo, come “Bella ciao” e “Fischia il vento”, oltre a quelle di alcuni gruppi musicali e cantanti politicamente impegnati come, la banda “No TAV”, “Assalti frontali”, la “Banda Bassotti”, gli Egin e Caparezza. Il clima favorevole ha accompagnato i manifestanti fino alla destinazione nel campo di Venaus dove intorno al presidio NO TAV gli organizzatori hanno sfamato tutti i partecipanti offrendo, con la sola sottoscrizione libera, polenta concia, spezzatino e formaggi tipici della Val di Susa. Nell’ultimo valico prima di Cisal Comunicazione, Telecomunicazioni, Telecom Italia Spa - Sciopero Personale Operation, Network e Wholsale di Telecom Italia a livello nazionale a eccezione del Lazio entrare al campo di Venaus, nel preciso punto dove 10 anni fa il movimento ebbe la meglio contro la repressione delle forze di polizia, lo storico leader del movimento, Lele Rizzo, ha tenuto un emozionante discorso commemorativo che si è trasformato in un’arringa di lotta e di buon auspicio quando ha sottolineato con forza che “Abbiamo resistito 10 anni ne resisteremo altri 10 e per tutto il tempo necessario”. Belle fotografie della manifestazione e della delegazione marxista-leninista, scattate dal fotografo del movimento Luca Perino, si possono vedere al link: https://plus.google.com/ photos/+LucaPerino/albums/6225961058015250641 Nei prossimi giorni la pro- terrorismo, ha ripresentato l’accusa da cui i giovani NO TAV erano stati assolti. Il PMLI saluta con entusiasmo l’imponente manifestazione in occasione del decennale di un movimento che si mostra vitale e forte, con tutte le carte in regola per arrivare all’obbiettivo finale della cancellazione del TAV. Oggi dopo dieci anni di lotta ci ritroviamo con un governo, quello del nuovo duce Renzi, che, seguendo la linea politica dei governi che lo hanno preceduto, ha ribadito la volontà di portare a termine questa mostruosa opera, peraltro innalzando il livello dello scontro e della repressione. Oggi è Renzi il massimo responsabile della politica di aggressione del terri- Firenze, 12 dicembre 2015. Il concentramento dei manifestanti contro la Leopolda di Renzi zione e sfruttamento del governo e del Pd”, lanciato da vari organismi della sinistra fiorentina hanno risposto numerosi lavoratori, tra cui quelli dei Cobas Ataf, giovani, immigrati. Circa un migliaio di manifestanti sono convenuti in piazza San Lorenzo nel pomeriggio di sabato 12 dicembre per percorrere in un combattivo corteo, punteggiato di bandiere rosse, le vie del cen- abbattuto alcune delle transenne messe a protezione della kermesse renziana. Il nuovo duce è stato contestato il giorno seguente anche dai piccoli risparmiatori rovinati dalle 4 banche salvate da Renzi e della sua ministra Boschi, contestazione questa che ha trovato più spazio sui mass-media, mentre il corteo di sabato è stato sostanzialmente ignorato. 12 il bolscevico / cronache locali N. 47 - 24 dicembre 2015 “E’ l’unico modo per farci ascoltare” Gli studenti occupano i Licei Artistici a Firenze Il neopodestà Nardella attacca la coraggiosa e sacrosanta lotta invece di impegnarsi per risolvere gli annosi problemi Repressione fascista: denunce dei presidi alla magistratura e sospesi 39 studenti per 21 giorni, con rischio bocciatura Redazione di Firenze Le studentesse e gli studenti del Liceo Artistico di Porta Romana e quelli del Leon Battista Alberti di via San Gallo a Firenze in novembre hanno occupato i plessi dichiarando: “Non possiamo continuare a vivere e studiare in una scuola che cade a pezzi, mancano la palestra e i laboratori, quelli esistenti sono mal forniti, abbiamo bisogno di riprenderci i nostri spazi, non siamo ascoltati, non abbiamo altra strada che quella di provocare il massimo disagio per attirare l’attenzione”. La battaglia è anche contro la “Buona scuola” di Renzi. Certamente l’attenzione l’hanno attirata dal momento che questa forma di lotta, sacrosanta ed efficace ieri come oggi, ha suscitato l’interesse dei media fino a scatenare la reazione del sindaco piddino di Firenze, Dario Nardella, che ha speso due parole, bontà sua, per dire che i ragazzi hanno delle ragioni, poi li ha attaccati dicendo: “Si levino dalla testa di ottenere ascolto attraverso le occupazioni”. Insomma, iI neopodestà prende a pretesto la cosiddetta illegalità delle occupazioni per non assumere impegni concreti per quanto di sua competenza in riferimento agli anno- si problemi che gli studenti vivono sulla propria pelle ogni giorno. Tanto meno intende andare contro la “riforma” della “Buona scuola” del suo padrino Matteo Renzi. Come gli studenti sono usciti dagli schemi e hanno inasprito la lotta ecco che la macchina repressiva si è messa subito in moto, e così sono arrivate le denunce per interruzione del servizio da parte delle presidi Annamaria Addabbo (Porta Romana) e Anna De Sanctis (via San Gallo). Il Leon Battista Alberti è stato sgomberato dalle “forze dell’ordine”. Identificati le studentesse e gli studen- ti partecipanti alle occupazioni, ai quali sono state minacciate sospensioni dalle lezioni fino alla bocciatura. Che sono puntualmente arrivate per 39 di loro: 21 giorni di sospensione e il rischio di perdere l’anno scolastico. Esprimiamo solidarietà militante ai coraggiosi studenti dei Licei Artistici fiorentini e li invitiamo a non abbassare la testa perché sono dalla parte della ragione e non devono cedere ai ricatti e alle pressioni delle autorità scolastiche e istituzionali. La storia dimostra che la lotta paga è così che sono stati conquistati tanti diritti. Roma Gli studenti mettono fine all’occupazione del Liceo Virgilio con un corteo fino al Miur Dal corrispondente della Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma Quindici giorni di braccio di ferro. Fino alla mattina di venerdì 11 dicembre quando i duecento occupanti del Liceo Virgilio di Roma hanno deciso di lasciare la scuola. Vi erano entrati il 26 novembre scorso per protesta contro la “riforma” della “Buona scuola” e la gestione “No Jobs Act” e fumogeni colorati, per arrivare al ministero dell’Istruzione in viale Trastevere. “Sfilare in centro sfidando i divieti del Giubileo e le restrizioni del dopo attentati di Parigi sarebbe la nostra vittoria”, avevano spiegato. “Non vogliamo chinare la testa né farci dettare i tempi della protesta dalle minacce di sgombero” avevano detto. Roma, 11 dicembre 2015. Il combattivo corteo degli studenti del Virgilio Mentre “Sinistra Italiana” ufficializza l’appoggio al neopodestà De Magistris I renziani avanzano la candidatura del pm Corona L’altro candidato certo alle primarie per Napoli è Bassolino. Fermi al palo e ancora nel silenzio i grillini Redazione di Napoli Dalle giornate della “Leopolda” dove si sta svolgendo il summit del PD spunta il candidato dei renziani alternativo al rinnegato del comunismo Bassolino alle prossime primarie del PD per scegliere chi dei neoliberali dovrà affrontare le elezioni amministrative di Napoli della prossima primavera. Si tratta del magistrato anticamorra Giovanni Corona che ha fatto un intervento proprio a Firenze per testimoniare il suo impegno di pubblico ministero anticlan; ma si tratterebbe solo di un incontro ben organizzato e captato dalla segreteria del neoduce Renzi per rappresentare la sua corrente alle primarie. Corona, infatti, rappresenterebbe quella parte di “società civile” che tanto stanno cercando i fedelissimi di Renzi - primo fra tutti il capogruppo PD alla Regione Campania, Mario Casillo -, “contro un sindaco fallimentare e con un centro-destra diviso abbiamo il dovere di avanzare una proposta vincente per battere Bassolino alle primarie e poi vincere e governare”. Contemporaneamente si fa avanti la componente politica vicina al nuovo duce che invece non concorda con l’affidare ad un non iscritto al PD la possibilità di concorrere alla primarie PD; corrente che fa capo a Gennaro Migliore e Valeria Valente, già in passato sostenitori di Bassolino ma ora pronti ad affrontare la disputa elettorale. Nel frattempo Bassolino non perde tempo e incassa l’appoggio di una parte della CGIL, quella facente capo alla segretaria Susanna Camusso che ha invitato gli iscritti a votare alle primarie del PD. Visto che ancora si deve scegliere la griglia di partenza dei candidati, i neoliberali sono concordi nel far slittare la data delle primarie a marzo. Inaspettata, invece, la candidatura, ufficializzata al caffè Gambrinus di Napoli il 9 dicembre, dell’oncologo Antonio Marfella, espressione di “Medici per l’ambiente” che punta sui voti dei diversi Comitati ambientali sparsi sul territorio e recuperare parte dell’astensionismo ambientalista. In ritardo sembra essere il Movimento 5 Stelle che, tramite il parlamentare e presidente della Commissione Vigilanza Rai, Roberto Fico, ha fatto sapere che devono essere completati i tavoli di lavoro per definire il programma comunale e solo a quel punto (si pensa a gennaio prossimo) si darebbe il via alle consultazioni on line. Il neopodestà De Magistris, nel frattempo, incassa il sì del nuovo mostriciattolo della “sinistra” borghese, “Sinistra Italiana”, presente alla Domus ars di Santa Chiara a Napoli. Nichi Vendola, Sergio Cofferati, Stefano Fassina e i parlamentari Arturo Scotto e Giuseppe De Cristofaro hanno fatto dichiarazioni di appoggio all’ex pm per le prossime elezioni amministrative a Napoli, chia- mando a “coprire un vuoto clamoroso apertosi con l’ascesa di Renzi e la trasformazione del PD”, come ha tenuto a precisare il narcisista trotzkista Vendola. Alla conferenza di “Sinistra Italiana” è chiaro il riferimento di coprire il vuoto a sinistra dal PD, ma anche la chiara intenzione di recuperare voti dal largo bacino degli astensionisti che hanno superato il 50% degli aventi diritto al voto e stimolano l’appetito dei pescecani delle diverse cosche pronte a spartirsi le poltrone alle prossime elezioni amministrative a Napoli. Per questo motivo sembra essere ormai sempre più inevitabile la scelta di disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco; una scelta che i marxisti-leninisti trasformano in un invito diretto al proletariato e alle masse popolari, cominciando dal lasciare deserte le urne delle primarie PD nei prossimi mesi. da parte della dirigente scolastica dell’istituto classico, uno dei più famosi nella capitale frequentato da circa 1.500 alunni tra sede centrale e succursale (il Cattaneo in corso Vittorio Emanuele). Da qui sono nate molte polemiche con la preside Irene Baldriga, fortemente contraria a quel presidio definito “violento e pericoloso” e alcuni genitori pronti a chiedere anche l’intervento delle “forze dell’ordine” per far finire l’occupazione. La mattina di venerdì 11 dicembre era in programma un corteo non autorizzato con partenza da Piramide alle ore 9, l’ultima mobilitazione prima delle vacanze di fine anno. Ma i ragazzi dei collettivi autorganizzati delle altre scuole di Roma hanno deciso alla fine di radunarsi davanti al Virgilio in via Giulia: da lì, dietro lo striscione “Dalle scuole alle strade, non un passo indietro”, si sono mossi in corteo attraversando un tratto del lungotevere tra gli slogan “No alla Buona Scuola”, “No al carovita”, “Roma Libera”, E così hanno atteso la mediazione del sottosegretario all’istruzione Davide Faraone (PD) che mercoledì 9 aveva già incontrato separatamente occupanti e dirigente e giovedì 10 dicembre era riuscito a riunirli insieme, attorno a un unico tavolo convocato al Miur, assieme ai genitori e ai professori del Consiglio di istituto e al direttore dell’Ufficio scolastico regionale Gildo De Angelis. Nel dicastero di viale Trastevere si è parlato della forma di protesta e delle tredici richieste avanzate dai ragazzi: dalla concessione di un’auletta autogestita alla rimozione della telecamera interna di sorveglianza, dall’anticipo dell’apertura dei cancelli per fare colazione al bar interno a prezzi “popolari” alla richiesta di importanti lavori di edilizia e messa in sicurezza dei due edifici scolastici. Di fronte a un’apertura da parte della dirigenza gli studenti hanno deciso di restare una notte ancora, l’ultima, nel liceo di via Giulia. Stiamo in cordata stretti l’uno all’altro sostenendoci reciprocamente SOTTOSCRIVI PER IL PMLI PER IL TRIONFO tenendo ben alta la bandiera dell’antimperialismo DELLA CAUSA DEL SOCIALISMO IN ITALIA Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze Con i Maestri e il PMLI vinceremo! PMLI / il bolscevico 13 N. 47 - 24 dicembre 2015 Opinioni sulla posizione del PMLI Alcuni dubbi sulla posizione del PMLI sull’imperialismo sullo Stato islamico e lo Stato Islamico L’imperialismo è una tigre di carta e prima o poi finirà, esso è il nemico giurato di ogni marxista-leninista Non bisogna dimenticare quanto male gli americani hanno prodotto nel passato nel mondo, quanto la loro sete di dominio ha prodotto, sconvolgendo esseri umani, territori, clima e via discorrendo. In qualsiasi posto hanno messo piede hanno creato quello che noi oggi vediamo. Non le ricordiamo tutte ma la più importante come la conquista delle Americhe nel 1400 quando le allora sacre corone papali trucidarono interi popoli di credenti di un dio buono e misericordioso, sottraendo loro ogni bene accessibile in quelle terre, oro, diamanti legno, eccetera. Sono stati schiavizzati e brutalmente assassinati dalla più fervida cristiana religiosità. Dopodiché per continuare la loro espansione evangelica questi dominatori dovettero esportare materiale umano da altri continenti cristianamente conquistati, anch’essi dalla più brutale violenza. Milioni di poveri, uomini, donne, bambini, ridotti nella più assoluta schiavitù per rendere quel paradiso del catto-borghese schiavista al massimo del suo progetto, lavoravano come bestie pagati poco o nulla. Le mire espansionistiche europee sono state a questo livello, ovunque hanno depredato le materie prime e schiavizzato i popoli. Lenin lo spiega nel suo celebre libro del 1916 “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”. L’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. 1) la concentrazione della produzione del capitale che ha raggiunto un grado talmente grosso di sviluppo da creare monopoli con funzione decisiva nella vita economica. 2) la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e il formarsi, nella base di questo capitale finanziario, di una oligarchia finanziaria (schiavisti). 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci. 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si spartiscono il mondo (da buoni cristiani). 5) la conquista, ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche (per farci il paradiso terrestre). Allora dobbiamo ancora pensare che tutto ciò che questa crisi che adesso sta attraversando l’Europa sia un miope risentimento generico contro un torto subito. Pensiamo veramente che il buonismo cristiano euro-americano vada a liberare le masse da un integralismo religioso assassino (i catto-protestanti ne sanno qualcosa) o a difendere la libertà e l’uguaglianza? Mentre nelle società capitaliste esiste la rigida divisione in classi. O vanno lì a distruggere come facevano i loro avi per accaparrarsi le materie prime, come il petrolio, che produce profitti inimmaginabili? Ogni marxista-leninista deve essere nemico di ogni imperialismo, nemico di ogni Stato borghese come dice Lenin, perché “il fine del comunismo è l’abolizione dello Stato”. Abolire il capitalismo, la proprietà privata dei mezzi di produzione, abolire la società divisa in classi e ogni imperialismo, ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo e ogni sfruttamento della terra che ci offre le materie per vivere, abolire ogni arricchimen- to personale, perché come dice Mao il materiale più prezioso è l’uomo nella sua manifestazione naturale con gli altri e con l’ambiente che lo circonda nel soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali della società. “Da ognuno secondo le sue capacità a ognuno in base ai suoi bisogni”. Ritengo sia da rigettare totalmente la tesi che secondo cui bisogna respingere i profughi per timore di infiltrazioni terroristiche. I profughi sono le vittime e i segni più lampanti di cosa l’imperialismo produce distruggendo ogni forma di vita e depredando territori. Questi poveri esseri umani non hanno la possibilità di combattere, di ribellarsi se non fuggire. Cosa faremmo noi al loro posto quando non ti rimane niente e la disperazione ti toglie la forza di reagire? L’imperialismo è una tigre di carta e prima o poi finirà, esso è il nostro nemico giurato e, come dice Mao, “è quello di tutti i popoli del mondo”. Gli insegnamenti di Stalin sulla guerra imperialista serrare i ranghi. Senza questo siamo perduti. Una Russia (non URSS, ovviamente! e.g.) indebolita costituisce un immenso pericolo per la causa della pace e l’inviolabilità del nostro impero. Abbiamo bisogno di una Russia forte, molto forte”. Ma ancora: “Trotzky è un perfetto diavolaccio. Egli è una forza distruttrice, non costruttiva. Sono del tutto a favore di Stalin” (In “Le Monde diplomatique”, ottobre 2015). Giustamente, in vari interventi, il compagno Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi ribadisce la necessità di riconoscere pienamente l’opera di Stalin, che ricercò la politica di alleanze militari provvisorie (cioè nel periodo bellico) con le potenze occidentali per schiacciare l’imperialismo nazifascista. Per due anni Stalin dirotta la furia dell’imperialismo nazifascista verso Occidente, preparando l’URSS alla guerra, come necessario, ossia alla difesa dall’aggressione nazifascista, appunto. Leggendo tutte le opere di Stalin si capisce come il Maestro, in piena e perfetta continuità con la scienza marxistaleninista intenda la guerra non come “un errore di alcuni uomini di Stato”, ma “come lo sviluppo inevitabile dello sviluppo delle forze economiche e politiche sulla base dell’odierno capitalismo monopolista” (Discorso del 9 febbraio 1946 alla Riunione elettorale della circoscrizione “Stalin” di Mosca, Mosca, Edizione in lingue estere, 1946, p.2). È, in realtà, la riflessione di Stalin sul problema della guerra, contro le deviazioni (gravi e irreparabili) di Trotzky come di Kamenev e di Zinoviev, per non dire della socialdemocrazia (che già Lenin giustamente bollava come socialfascismo). L’imperialismo porta necessariamente alla guerra, quando i diversi imperialismi confliggono, per affermare il proprio potere a scapito degli altri (cfr. oggi anche la volontà aggressiva degli imperialismi Usa, britannico, francese, italiano ecc., verso lo Stato islamico), per dominare sui mercati, ecc. L’accorta diplomazia di Stalin in occasione della Seconda guerra mondiale, come poi la strenua difesa dell’unico Stato socialista nel mondo all’epoca, fu l’u- nica risposta possibile alle volontà imperialistiche dei paesi occidentali e in specie di Germania, Italia, Giappone (“potenze dell’Asse”) come intelligente prosecuzione della conclusione della Prima guerra mondiale da parte di Lenin, con il trattato di Brest-Litovsk, ancora una volta contro le posizioni di Trotzky, dei “socialisti rivoluzionari” e dei menscevichi. Nelle carte dell’ambasciatore dell’Unione sovietica al tempo della Seconda guerra mondiale, Ivan Maisky, ambasciatore dell’URSS a Londra dal 1932 al 1943, cui ha avuto accesso lo storico Gabriel Gorodetsky (si tratta di 1.500 pagine), emerge, al di là quanto poi indusse lo stesso Maisky a essere troppo accondiscendente alle istanze occidentali, il grande Maestro Stalin. Persino Winston Churchill, l’iper-conservatore, il nemico assoluto del comunismo, tanto da aver inizialmente lodato Mussolini quale principale “argine” anti-comunista, con il noto carteggio (vergognoso ma nella logica capitalista) “Dear Benito”. Ecco alcune sue dichiarazioni: “il nostro compito principale è di difendere la pace, di Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze chiuso il 16/12/2015 Editore: PMLI ISSN: 0392-3886 ore 16,00 Maurizio – Figline Valdarno (Firenze) Eugen Galasso – Firenze Grazie ai vostri opuscoli sto studiando l’opera del grande Stalin Buonasera compagni, continuo a seguirvi e a propagandare la vostra azione nonostante la distanza. Qui in Francia conoscete la situazione e, al di là della politica imperialista d’Hollande l’azione anti-proletariato di Vals e del suo lacché Macron, la destra reazionaria sciovinista petenista avanza incontrastata. I cosiddetti socialisti e ancora più il PCF (nonostante i suoi 70.000 aderenti) sono incapaci non dico d’una politica popolare ma si sono gettati nelle braccia del capitale; ovvio ma difficile da vivere. In questo periodo mi sono gettato nello studio di Marx di Lenin e grazie ai vostri opuscoli nell’opera del grande Stalin Cari compagni del PMLI, ho apprezzato molto l’iniziativa di aprire una rubrica su “Il Bolscevico” dedicata alla vostra posizione sull’imperialismo e lo Stato islamico. Sinceramente non aspettavo altro, soprattutto da quando avete redatto il noto comunicato stampa sulla 5ª Sessione plenaria del vostro Comitato centrale dedicata alla politica estera e antimperialista del PMLI. Un comunicato quello contro la santa alleanza imperialista e di appoggio all’Is che, seppur ignorato e oscurato dalla maggioranza dei media di regime, è riuscito a filtrare nel web aprendo una discussione a tratti anche violenta contro di voi e i vostri militanti nelle piazze del nostro Paese. Da compagno e simpatizzante del vostro Partito vorrei esporvi francamente i miei dubbi sulla posizione che avete preso sullo Stato islamico e i movimenti islamici presenti nello scenario internazionale. A partire dalla domanda che sento spesso in giro e che mi sono fatto anch’io, sull’analisi del neonato Stato islamico, in particolare per quanto riguarda le sue capacità economiche e finanziarie. Vorrei capire da chi è finanziato, visti in passato i precedenti dei finanziamenti degli americani ai mujaheddin afghani, sorge il dubbio che qualcuno abbia potuto finanziare l’Is per destabilizzare la regione e penetrarvi più facilmente. Insomma faccio molta fatica ad appoggiare un gruppo armato dalla dubbia provenienza e dal dubbio finanziamento. I combattenti dell’Is non mi sembrano così genuini ed autoctoni come lo furono in passato ad esempio i Viet Cong o i Khmer rossi. Come possiamo dunque appoggiarli e pensare che siano realmente antimperialisti? Voi parlate di Stato islamico come entità realmente esistente, a me sembra un’organizzazione terroristica con più disciplina e capacità militari di altre. Che ne pensate? Visto che attualmente occupa dei territori delimitati da confini stabiliti dal diritto internazionale un secolo fa. E qual è il suo consenso a livello di massa? Altresì come possiamo fare asse, noi atei e comunisti, con chi fa del fanatismo religioso il suo cavallo di battaglia e compie stragi di civili e innocenti in nome di Dio? Che predica ed ostenta una cultura e una visione del mondo oscurantista e reazionaria? Ed ancora si può essere d’accordo con le teste tagliate e tutte le altre pratiche ostentate dai militanti dell’Is? Altro dubbio che mi è venuto dopo gli ultimi attacchi di Parigi, che considero una barbarie, e il profondo eco emozionale provocato a livello generale è se fosse corretto il minuto di silenzio e il canto de “La Marsigliese” a cui tutti noi siamo stati chiamati in tutte le manifestazioni pubbliche svoltesi nel nostro Paese. Convinto che ogni confronto dialettico, come è questo con voi, sia indispensabile per esprimere schiettamente e sinceramente le contraddizioni che viviamo quotidianamente, vi saluto con immutata stima. Un compagno, simpatizzante del PMLI terrore dei padroni e dei fascisti che è qui accanto a me nel vostro mirabile manifesto “Con Stalin per sempre”. Come sempre contribuirò con un piccolo gesto al vostro lavoro rosso e eccezionale. Saluti marxisti-leninisti. Con Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per sempre! In Polonia i conservatori cattolici di destra hanno vinto le elezioni Marcello – Francia Ecco da dove nasce il mio interesse verso Lenin Buonasera, vi posso raccontare da dove nasce il mio interesse verso Lenin. Io sono cresciuta con il mito di “Dedushka Lenin” che mi veniva narrato dalla mia nonna di origine sovietica. Lei quando ero piccola mi raccontava fiabe delle mirabolanti imprese di Nonno Lenin, come viene familiarmente chiamato in russo. Crescendo ho iniziato a esplorare da sola questa parte di storia che mi ha affascinato e mi ha portato a vivere in Russia per due anni. Ho vissuto cosi a Ekaterinburg (città della morte dei Romanov) e a Mosca. Spero di incontrarvi presto a Cavriago, visto che torno in Italia a inizio gennaio. Cordiali saluti. Irene, via e-mail Il 25 ottobre scorso, i conservatori cattolici di destra anti-Ue di Diritto e Giustizia (Pis), del leader Jaroslaw Kaczynski e della candidata premier Beata Szydlo, hanno vinto le elezioni politiche in Polonia raggiungendo i numeri per formare un governo da soli. Il ruolo del leader del partito, Jaroslaw Kaczynski, rinomato per le sue uscite autoritarie, sarà particolare: una sorta di “generalissimo” della scena politica polacca. Le due principali cariche nel Paese saranno infatti nelle mani di persone indicate da lui, che non gli nascondono certo la propria gratitudine. A guidare il nuovo governo, che sta dimostrando disprezzo per la legge, per le usanze democratiche e per la costituzione, è Beata Szydlo, in prima linea nel difendere l’importanza dei valori cattolici e patriottici. Fra le decisioni del nuovo governo c’è da aspettarsi una marcia indietro rispetto agli immigrati: Kaczynski non li vuole e la sua posizione è condivisa dal capo dello Stato Duda. Roberto – provincia di Modena esteri / il bolscevico 15 N. 26 - 2 luglio 2015 stampato in pr. Per evitare gli attacchi terroristici cessare di bombardare l’Is PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it esteri / il bolscevico 15 N. 47 - 24 dicembre 2015 Elezioni regionali in Francia Al ballottaggio il 42,05% dell’elettorato diserta le urne Il voto dei socialisti al centro destra blocca il Front nazional fascista e razzista I risultati dei ballottaggi delle elezioni regionali francesi del 13 dicembre assegnano la vittoria in sette regioni, su tredici, alla destra di Les Républicains (LR), il nuovo nome del partito UMP di Nicolas Sarkozy, in cinque regioni ai socialisti del presidente François Hollande e in Corsica a una coalizione locale. Nessuna regione sarà amministrata dalla destra del Front national (Fn) guidato da Marine Le Pen che al primo turno del 6 dicembre aveva ottenuto la maggioranza relativa in sei regioni. Il Fn triplica i consi- glieri regionali e ottiene il suo numero record di consensi, con 6,7 milioni di voti supera il dato del primo turno delle presidenziali del 2012, quando aveva toccato quota 6,42 milioni. Uno dei dati principali del voto regionale francese è comunque quello della diserzione del voto che il 13 dicembre ha toccato il 42,05%, poco meno della metà del corpo elettorale. Al primo turno del 6 dicembre la diserzione del voto aveva raggiunto il 51%. L’appello dei partiti della destra e della “sinistra” borghese ad anda- re a votare per fare sbarramento contro la destra fascista e razzista del Fn ha contribuito fra i due turni elettorali a far calare la diserzione che resta comunque a livelli alti, quasi un elettore su due fra quelli iscritti alle liste elettorali. E conferma in ogni caso che la diserzione delle urne è una scelta, un vero e proprio “voto” ragionato e usato all’occasione dagli elettori. Il dato del 51% si riferisce comunque soltanto agli iscritti sulle liste elettorali e non al totale degli aventi diritto. In Francia il dirit- to di voto non è automatico come in Italia, per poterlo esercitare occorre iscriversi sulle liste elettorali. Quanti siano quelli non iscritti non lo sappiamo ma determina in ogni caso un numero ancora maggiore di chi rifiuta il meccanismo elettorale borghese. Rispetto ai voti validi, la forza elettorale delle principali formazioni francesi misurata sui voti del primo turno è del 28,4% su base nazionale per il Fn, del 26,8% di LR e del 23,4% per i socialisti del Ps. Ovvero della metà rispetto al corpo elettorale, per effetto della diserzione del voto. Fra il primo e il secondo turno i voti del Fn sono cresciuti di poco, in alcune regioni dove la sconfitta era più che certa sono anche diminuiti; sono invece aumentati anche di un terzo quelli del candidato meglio piazzato di LR o del Ps che poi ha vinto. In particolare è stato il voto dei socialisti che è transitato al centro destra su indicazione di Hollande e del premier Valls per bloccare il Fn. Dalle prime analisi del voto risulta che a dare la vittoria al partito della diserzione del voto sono stati in particolare i giovani, quelli che nel 2012 avevano votato in massa socialista; non a caso Hollande alla Bastiglia di Parigi, il giorno della vittoria delle presidenziali, aveva affermato che “voglio essere ricordato come il Presidente dei giovani”. Oggi molti di quelli che avevano creduto allo slogan “Le changement c’est maintenant (Il cambiamento è ora, ndr)” non sono andati a votare denunciando delusi che “Hollande ha pensato a imprese e finanza mentre la disoccupazione giovanile è sempre alta”. Venezuela Il socialdemocratico Maduro perde le elezioni Fallito il cosiddetto “socialismo del XXI secolo” La coalizione antichavista Mud (Mesa de Unidad Democratica) formata da 18 partiti ha conquistato la maggioranza dei due terzi del parlamento, con 112 seggi su 167; solo 55 seggi sono andati al Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), il partito del presidente, il socialidemocratico Nicolas Maduro nelle elezioni politiche del 6 dicembre. Il risultato, convalidato dal Consiglio nazionale elettorale, consegna al Mud la maggioranza qualificata che gli potrebbe permettere di riformare la Costituzione, approvare leggi autonomamente, scavalcare veti dell’esecutivo, rimuovere magistrati del Tribunale Superiore di Giustizia e financo convocare un referendum per porre fine al mandato presidenziale dell’erede di Chavez e chiudere la parentesi bolivariana durata 17 anni. Uno dei leader del Mud, Henrique Capriles, chiedeva a Maduro “di mettersi agli ordini del parlamento al fine di lanciare il dialogo nel paese”. Il presidente invece dichiarava una “guerra istituzio- nale” all’Assemblea non appena si sarà insediata all’inizio di gennaio; ad ogni misura che prenderà il parlamento “risponderemo con una reazione, costituzionale, rivoluzionaria, e soprattutto socialista” affermava a caldo, a urne appena chiuse. A mente fredda definiva la pesante sconfitta subita dalla coalizione di governo alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale come una vittoria della democrazia e della Costituzione. E tentava di spiegare la sconfitta elettorale come una conseguenza della guerra economica lanciata dal capitalismo contro il governo: “Ha vinto la guerra economica, il capitalismo selvaggio e parassitario, e ora si impone un piano controrivoluzionario per smantellare lo stato democratico di giustizia e diritto. Ma noi, con la costituzione in mano, difenderemo il nostro popolo. Non è tempo di piangere, ma di lottare. Consideriamo questa sconfitta come una sberla salutare per svegliarci. Un’occasione per ri- flettere sugli errori e per uscire dalle catacombe, come i cristiani dopo la morte di Gesù: e per costruire, uniti, nuove vittorie. Abbiamo perso una battaglia. Per adesso”. Un proclama che la dice tutta sulla capitolazione di Maduro al capitalismo, neanche scalfito dai 17 anni della “rivoluzione bolivariana” avviata dal suo mae- stro e predecessore Hugo Rafael Frias Chavez. La sconfitta del socialdemocratico Maduro segna anche il fallimento della teoria del cosiddetto “socialismo del siglo XXI”, ossia la “nuova” teoria di conquista del socialismo lanciata da Chavez, che altro non era che una rimasticatura di revisionismo. In Ucraina diserta le urne il 53,3% dell’elettorato Al 68,35% nelle aree della regione di Donetsk non controllate dagli autonomisti Le elezioni locali per l’elezione di 358 sindaci e il rinnovo dei consigli comunali e regionali in Ucraina del 25 ottobre a detta di molti osservatori potevano essere una specie di referendum pro o contro il presidente Petro Poroshenko, che col suo partito il Blocco si giocava la maggioranza relativa con alte formazioni tra le quali quella di Patria, il partito dell’ex primo ministro Yulia Timoshenko. L’esito è al momento sospeso dato che nelle più importanti città il risultato sarà determinato dall’esito del ballottaggio in programma a metà novembre. Urne chiuse in Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, e nella parte del Donbass controllata dai separatisti russi. Quello che già si può mettere in evidenza è in ogni caso l’alta diserzione delle urne che è stata del 53,3%. Più della metà dei circa 26 milioni di aventi diritto al voto per le amministrative del 25 ottobre non sono andati alle urne; in alcune zone del paese come nella regione di Donetsk non controllate dagli autonomisti la diserzione ha toccato il record del 68,35%. Una sonora bocciatura per il presidente Poroshenko e il governo reazionario di Kiev. In alcune città le elezioni sono state rimandate, come nel caso della città di Mariupol, per i forti sospetti di brogli di tutti i partiti in lizza, a cominciare da una denuncia rilanciata dalle agenzie sulla quantità di schede stampate “forse in numero superiore al necessario”. Le elezioni sarebbero state “democratiche” e “trasparenti” secondo gli osservatori occidentali presenti in Ucraina che pure hanno dovuto rilevare “la complessità del quadro giuridico, il dominio di potenti gruppi economici sul processo elettorale e la mancanza di indipendenza dei media”. Quel che conta è che Kiev stia dalla parte dell’imperialismo occidentale, il resto non conta. UTILIZZATE Invito agli operai, lavoratori, compresi i precari, disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi lettori non membri del PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizzativa, fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate esprimere liberamente il vostro pensiero e dare il vostro contributo personale alla lotta contro la classe dominante borghese e il suo governo, le giunte locali e regionali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista. Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di sostegno al Bolscevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche di base, nonché le proposte e i consigli tendenti a migliorare il nostro lavoro politico e giornalistico. rare le 3.600 battute spazi inclusi. Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indirizzate le opinioni riguardanti l’attualità politica, sindacale, sociale e culturale in Italia e nel mondo. Tali opinioni non necessariamente debbono coincidere in tutto con quelle del PMLI, ma non devono nemmeno essere contrapposte alla linea del nostro Partito. In tal caso non si tratterebbe di un contributo alla discussione e all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un intervento contraddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dialogo con i lettori”. sindacali, sociali e culturali, o che vogliono informare le lettrici e i lettori de “Il Bolscevico” sulla situazione, sugli avvenimenti e sulle lotte della loro azienda Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le denunce e le cronache di avvenimenti sociali, politici, sindacali che interessano la propria fabbrica, scuola e università e ambiente di vita, quartiere di abitazione, città o regione. Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina Libere denunce dei lettori Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PALAZZO IN 1ª PAGINA” vanno indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie, soprusi, malefatte e mascalzonate che commettono ministri, governatori, sindaci, assessori, funzionari pubblici, insomma chiunque detenga del potere nelle istituzioni borghesi. Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate le questioni ideologiche e politiche che si intendono dibattere con “Il Bolscevico”, anche Questa rubrica è a disposizione delle operaie e degli operai non membri se sono in contraddizione con la linea del PMLI. Le lettere non devono supe- del PMLI che vogliono esprimere la loro opinione sugli avvenimenti politici, Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari... e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per trafiggere i nemici del popolo, come un maglio per abbattere il governo del Berlusconi democristiano Renzi, come scope per far pulizia delle idee errate e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque mascherati inculcano al proletariato e alle masse lavoratrici, giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo. GLI ARTICOLI VANNO INVIATI A: [email protected] IL BOLSCEVICO - Via del Pollaiolo 172a - 50142 FIRENZE - Fax 055 5123164 La Redazione centrale de “Il Bolscevico” 1879 - 21 DICEMBRE - 2015 136° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DEL GRANDE MAESTRO DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE Con Stalin per sempre Contro il capitalismo per ilil socialismo socialismo PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it