Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 3 - 23 gennaio 2014 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Camminare con le proprie gambe PAG. 11 Il livello più alto dal 1977 La disoccupazione giovanile sale al 41,6% Le cause stanno nel capitalismo e nei governi che gli reggono il sacco Dalla Valle D’Aosta alla Campania 4 arrestati e 4 indagati, tra cui il vicesindaco di “centro-sinistra” e un ex assessore del PDL Tangentopoli a L’Aquila sulla pelle dei terremotati Il neopodestà PD Cialente costretto a dimettersi Arrestato il boss delle discariche Cerroni 21 gli indagati, tra cui l’ex governatore del Lazio Marrazzo (“centro-sinistra”), per reati che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, alla truffa e al falso ideologico PAG. 10 PAG. 3 Le Regioni in mano a ladri di Stato Un eletto su quattro è sotto inchiesta PAG. 5 PAG. 7 Si allarga la forbice tra ricchi e poveri 4 milioni di italiani hanno in tasca il 34% del reddito nazionale Al Congresso della Lega a Torino Al Sud le disuguaglianze più forti Sotto i Livelli minimi i servizi comunali per bambini e anziani al Sud PAG. 2 Per il 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale Onoriamo Lenin a Cavriago il 19 gennaio Partecipiamo numerosi PAG. 11 PAG. 2 Mentre in Italia non investe, chiude stabilimenti e colloca 11 mila lavoratori in cassa integrazione La Fiat compra Chrysler Condizioni capestro per i lavoratori americani PAG. 6 Salvini rilancia l’indipendenza del Nord Italia Il neosegretario eredita e sviluppa il razzismo di Bossi e Maroni PAG. 4 Secondo Pieczenik, consulente della Cia Gli USA volevano l’uccisione di Moro per impedire al PCI di accedere al governo PAG. 9 con la Dc 2 il bolscevico / interni N. 3 - 23 gennaio 2014 Si allarga la forbice tra ricchi e poveri 4 milioni di italiani hanno in tasca il 34% del reddito nazionale Al Sud le disuguaglianze più forti Sono appena 4 milioni gli italiani più ricchi che nel 2007, poco prima dell’inizio della crisi, avevano in tasca il 34% del reddito nazionale. Il dato è presente in uno studio pubblicato da Bankitalia. Numerosi studi dimostrano peraltro che la concentrazione di ricchezza nazionale in poche mani è cresciuta progressivamente negli ultimi trent’anni e che tale processo ha avuto un’accelerazione proprio a ridosso della crisi, subendo un lievissimo arretramento fra il 2007 e il 2009, quando la percen- tuale concentrata nelle mani del 10% della popolazione (i 4milioni) scende dal 34,12 al 33,87. Nel 1983 assorbivano il 26 per cento del reddito nazionale. Nel 1993 intascavano il 30% del reddito. Nel 2003 più del 33% del reddito. La concentrazione della ricchezza è tra le concause o tra gli effetti della crisi economica capitalistica? Dibattono ancora gli economisti borghesi se “è nato prima l’uovo o la gallina”. Tuttavia la domanda giusta è: come i governi nazionali hanno operato prima, a ridosso e durante la crisi, per favorire e accentuare tale concentrazione della ricchezza in poche mani? La misura in Italia dell’indice di Gini (misura la disuguaglianza economica), rilevata dal rapporto 2011 dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) è tra le più alte a livello internazionale, mostrando che in Italia le disparità sociali e territoriali sono più pesanti che in altri Paesi nel pieno della crisi. Ciò può e deve essere spiegato anche e soprattutto con le politi- che governative che, negli ultimi decenni, certo a partire da quegli anni Ottanta presi in considerazione dalla ricerca di Bankitalia, hanno attaccato i salari dei lavora- tori a tutto vantaggio delle rendite finanziarie e dei profitti capitalistici. Hanno depredato le ricchezze e le risorse delle masse e annullato i servizi pubblici, attraverso una criminale serie di privatizzazioni e dismissioni a favore di pochi ricchissimi, e simultaneamente hanno tagliato redditi da lavoro salariato e da pensioni attraverso una serie di controriforme. Basta mettere in correlazione la politica spoliatrice dei governi con l’ulteriore arricchimento dei 40mila supericchi italiani, lo 0,1% della popolazione, coloro che hanno stipendi, pensioni e rendite superiori ai 250mila euro: nel 1983, costoro detenevano meno dell’1,5% per cento del red- dito nazionale, nel 1993 il 2%, nel 2007 si accaparravano il 3%. Alcuni studi sottolineano, inoltre, come l’Italia sia l’unica tra le potenze economiche capitalistiche a registrare divari territoriali così ampi e come la più elevata disuguaglianza tra i redditi nel Mezzogiorno sia imputabile soprattutto a una maggiore presenza nel Sud di redditi medio-bassi e di tasso di inattività estremamente elevato. Si potrebbe pensare che in fondo è sempre stato così dall’unità d’Italia. Il punto però è ancora una volta che tutti i governi succedutisi in questi anni hanno peggiorato le diseguaglianze tra ricchi e poveri e tra Nord e Sud. Protestano gli operai di Termini Imerese contro i licenziamenti Dal nostro corrispondente della Sicilia Tornano a protestare i metalmeccanici di Termini Imerese che, ormai dall’8 gennaio, in centinaia occupano l’autostrada PalermoCatania e la stazione ferroviaria di Fiumetorto che serve il paese della provincia di Palermo. Alla testa della lotta le 180 tute blu delle aziende dell’indotto Lear, che produce sedile, e della Clerpem, che produce le spugne per i sedili. Le azioni unitarie sono state decise nelle assemblee svoltesi in questi giorni davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat, chiuso ormai da due anni, per chiedere un autentico piano di rilancio del polo industriale imerese. Peraltro, gli operai usufruiranno della cassa integrazione in deroga solo fino al prossimo 30 giugno. Dopo si apre soltanto la prospettiva del licenziamento in tronco. Da troppo tempo durano le chiacchiere su un rilancio del sito produttivo. Un rilancio, tuttavia mai partito, ma neanche mai effettivamente formulato dalle istituzioni borghesi, che avrebbero do- vuto gestire una crisi di così vaste proporzioni sul piano lavorativo e sociale determinata dal Lingotto. Sono passati ormai dodici anni da quando lo stabilimento siciliano venne preso di mira dai progetti di dismissione dei vertici aziendali e cinque anni, da quando il Lingotto ha deciso di abbandonare la Sicilia e siamo ancora all’anno zero. Sono state fin troppe le farse d’alto livello messe in piedi da politicanti borghesi e imprenditori. In tutti questi anni ci hanno “provato” Simone Cimino, che vantava entrature con Cuffaro (ex- UDC): l’imprenditore dovette ritirarsi giocoforza travolto da guai finanziari e giudiziari ancor prima di mettere le mani su Termini. Si fece avanti Gian Mario Rossignolo, padrone della De Tomaso, ma anche questa trattativa non andò in porto. Poi fu la volta di Corrado Ciccolella, padrone della maggiore azienda floreale italiana, che voleva impiantare un vivaio nello stabilimento. Anche il suo “progetto” si arenò su una presunta truffa con fondi UE, dopo aver firmato un pre-contratto col ministro dello sviluppo economico del go- Sotto i Livelli minimi i servizi comunali per bambini e anziani al Sud In quale misura i comuni riescono a coprire i cosiddetti LEP, Livelli Essenziali delle Prestazioni, “garantiti” formalmente dall’articolo 117 della Costituzione e gestiti, dopo la famigerata “riforma” del Titolo V della Costituzione, in regime di sussidiarietà dagli Enti locali? È questa la domanda cui hanno risposto i ricercatori dello Svimez, prendendo in considerazione i Comuni di Milano, Torino, Roma, Napoli, Bari, Palermo. Prima di addentrarci nell’esposizione dei risultati chiariamo che la catastrofe dei servizi al Sud risiede negli stessi LEP che prevedono che lo Stato stabilisca l’ammontare complessivo della spesa, che è cosa diversa dalla copertura di tutte le effettive necessità delle masse popolari, determinando poi quali sono le prestazioni, le modalità, e il costo di esse (costo standard cui si riferisce lo Svimez). La gestione concreta, in regime di sussidiarietà, è a carico dei comuni e dove questi comuni sono in una condizione finanziaria difficile e stretti nei lacci dei patti di stabilità i problemi per gli utenti dei servizi sono enormi. Premesso ciò, nell’indagine dello Svimez è stata calcolata la spesa standard per ogni servizio in base ai criteri stabiliti dallo Stato. Il fabbisogno preso in considerazione non è quello reale della popolazione risiedente nei comuni, ma è quello determinato applicando il livello medio di spesa risultante dagli Enti che erogano il servizio al più alto livello secondo i criteri LEP. I servizi presi in considerazione sono assistenza pubblica, servizi cimiteriali, smaltimento dei rifiuti, illuminazione pubblica, acqua, scuola materna, istruzione elementare e media, assistenza scolastica, asili nido e servizi per l’infanzia, trasporti pubblici locali, protezione civile, assistenza agli anziani. Roma guida questa classifica della copertura dei fabbisogni, con uno 0,94, seguito da Milano, con 0,90, Torino, con 0,76, Napoli con 0,58, Bari con lo 0,47. Palermo è in fondo alla classifica con 0,40. Il Sud invece è molto al di sotto persino del “fabbisogno” LEP per tredici dei quattordici servizi presi in considerazione. Le diseguaglianze sono consistenti soprattutto in due settori, l’assistenza ai bambini e agli anziani. Ad esempio, per quanto riguarda gli asili e i servizi per l’infanzia a fronte di una spesa standard di 2.865 euro e 23 centesimi, Roma e Milano sono sopra la media, mentre tutti i comuni del Sud presi in considerazione sono molto sotto la media. Palermo chiude la lista con soltanto 834 euro. È anche la condizione degli anziani a preoccupare. La copertura delle necessità di strutture per ricovero di anziani arriva appena alla decima parte del “fabbisogno” nel Sud ed è Palermo in coda. Dunque emerge un’Italia spaccata a metà nella qualità e quantità nell’erogazione di servizi. Il Sud è la macroarea che soffre particolarmente questa condizione di disagio che ha certamente profonde radici nelle disparità socio-economiche territoriali su cui si regge lo Stato borghese italiano. È vero anche che nel corso della crisi del capitalismo i governi nazionali e regionali hanno manovrato per togliere risorse al Mezzogiorno, determinando un aumento delle disparità territoriali. Inoltre non siamo troppo lontani dal vero se affermiamo che il Sud ha ricevuto solo il peggio, neanche edulcorato da “aggiustamenti”, del federalismo fiscale e della controriforma costituzionale del titolo V. Ad oggi l’autonomia amministrativa e fiscale, i poteri di programmazione, organizzazione, gestione e verifica del sistema di servizi sociali assegnati ai comuni si concretizzano in gran parte, grazie ai tagli dei fondi trasferiti dallo Stato e ai patti di stabilità, in poteri di soppressione e privatizzazione dei servizi. Ma dai dati dell’indagine viene fuori anche un altro dato politico rilevante di cui generalmente non si parla. Anche al Nord il regime di sussidiarietà e i tagli hanno prodotto i loro consistenti danni. Persino rispetto ai “fabbisogni” sottostimati in base al criterio dei LEP sono più le carenze che altro. Se, infatti, in media, i comuni del Sud non riescono a coprire il “fabbisogno” sottostimato su 13 dei 14 servizi, quelli del Centro-Nord non riescono a coprirlo per 9 dei 14 servizi presi in considerazione. Il che non è certo poco. Questa situazione di sofferenza delle masse popolari italiane può essere alleviata abrogando le controriforme federali dello Stato e obbligando il governo Letta-Alfano a stanziare fondi per la piena copertura in tutta Italia di tutti i reali fabbisogni delle masse popolari in tema di servizi. verno Berlusconi IV, Paolo Romani, FI. Nel 2012 arrivò la “proposta” di Massimo Di Risio, padrone della Dr Motors, lanciato dal governatore Lombardo (MPA). Poi Di Risio, costretto a ritirarsi nel mezzo di una crisi aziendale. Nulla di fatto e a partire da aprile 2014 potrebbero partire già le prime lettere di licenziamento per gli operai. L’unica soluzione che risolva alla radice il problema non può che essere la nazionalizzazione dell’intero gruppo Fiat senza indennizzo, e la riconversione produttiva della Fiat auto nell’ambito di una nuova politica dei trasporti basati principalmente su rotaie, via mare e via acqua. Solo con tale iniziativa si potrà salvare il settore automobilistico e porre i presup- posti per il rilancio dello stabilimento di Termini e del suo indotto entrato in una crisi altrimenti irreversibile. Questa è la nostra proposta forte già avanzata nel 2002, all’inizio della lotta degli operai termitani. Appoggeremo in ogni caso le decisioni e le soluzioni che troveranno il consenso convinto dei lavoratori della Fiat e dell’indotto. In questa ottica ci batteremo perché qualsiasi accordo sul rilancio di Termini, per raggiungere il quale chiediamo che si attivino immediatamente i governi Letta-Alfano e il regionale Crocetta, sia preso solo dopo la loro consultazione e approvazione. Nessun operaio deve essere licenziato! Avanti nella lotta fino alla vittoria! Viva le lavoratrici e i lavoratori della Fiat di Termini Imerese e dell’indotto in lotta! 9 gennaio 2014. Operai della Fiat e dell'indotto bloccano l'autostrada A19 Palermo-Catania, all'altezza dello svincolo di Termini Imerese, per manifestare in difesa del posto di lavoro. Sotto il blocco della stazione di Fiumetorto avvenuto il 10 gennaio al termine di un corteo partito dalla zona industriale interni / il bolscevico 3 N. 3 - 23 gennaio 2014 Il livello più alto dal 1977 La disoccupazione giovanile sale al 41,6% Le cause stanno nel capitalismo e nei governi che gli reggono il sacco La piaga della disoccupazione giovanile segna un nuovo record dal 1977, ossia dall’inizio delle rilevazioni Istat, e si assesta al 41,6%, cioè 659mila giovani fra i 15 e i 24 anni senza lavoro. Che vanno ad aggiungersi ai 3,7 milioni che non studiano né lavorano rilevati il mese scorso dall’Istituto di statistica. Ormai, la tendenza è tutta proiettata verso il 50% di giovani disoccupati, soglia finora superata (abbondantemente) solo da paesi dove la crisi del capitalismo morde più ferocemente, nella fattispecie Grecia, Spagna e Croazia. Il gravissimo dato, oltre a confermare l’aumento galoppante di questa emergenza sociale, va a braccetto con l’altrettanto inaccettabile aumento della disoccupazione generale, che passa al 12,5% a novembre 2013, ossia 351 milioni aspiranti lavoratori e lavoratrici in più rispetto al novembre 2012 che non riescono a trovare un posto. La CGIL segnala infine che il Si chiamano “Corpi Civili di Pace” e sono previsti dalla Legge di stabilità approvata il 27 dicembre dal parlamento nero sulla base dell’emendamento 77 di Giulio Marcon, (SEL), portavoce della campagna “Sbilanciamoci!” ed ex-Segretario generale per l’Italia del Servizio civile internazionale. Nove milioni di euro nel triennio 2014-2016, tre milioni all’anno, verranno spesi per l’istituzione del contingente formato da 500 giovani volontari in “aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale”. Il finanziamento è legato alla legge sul servizio civile nazionale, la 64/01, che regola anche il servizio civile oltre confine. Per chi nutrisse qualche illusione sul senso e sull’autonomia di tali “corpi civili di pace” dall’iniziativa del guerrafondaio governo italiano rifletta, anzitutto, sul fatto che il servizio civile internazionale può essere svolto nelle modalità definite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che, “di concerto con il ministro degli esteri”, leggasi ministro 2013 è stato il terzo anno peggiore dall’inizio della crisi per quanto concerne il ricorso alla cassa integrazione, che nelle sue diverse forme ha superato il miliardo di ore. A fronte di questa autentica piaga sociale, la segretaria della CGIL Susanna Camusso ha detto che “serve una svolta politica, investire e creare nuovi posti”. Giusto. Ma allora cosa aspetta a proclamare lo sciopero generale di otto ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi contro le politiche di massacro sociale attualmente in atto? Perché si ostina a restare sul carro del governo e di Confindustria anziché soffiare sul fuoco dell’opposizione di classe e di massa? Tutti motivi in più per appoggiare la mozione di sinistra “Il sindacato è un’altra cosa” agli imminenti congressi della CGIL e soprattutto per dare forza alla piattaforma sindacale dei marxisti-leninisti. Sì perché l’aumento endemico della disoccupazione giovanile e Una manifestazione sindacale sui temi dell'occupazione generale ha una causa precisa, che è la politica economica perseguita dal governo Letta-Alfano in perfetta continuità con i suoi predecessori Monti e Berlusconi, tutta a vantaggio del grande capitale e della grande finanza a spese delle masse lavoratrici, popolari e giovanili. La soluzione sarebbe mettere in campo un piano urgente per l’oc- cupazione giovanile stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelata, ma questo non è nei programmi dei partiti inciucisti neofascisti di maggioranza, né di quelli dell’opposizione parlamentare, interessati soltanto a garantire ai padroni un vasto bacino di giovani sfruttabili a piacimento e facilmente ricattabili. Non fa ec- cezione il truffaldino “Jobs Act” del democristiano Renzi: un “contratto unico” ma senza diritti, garanzie e tutele e soprattutto senza articolo 18, quindi più precario dei contratti precari attualmente esistenti! Per questo “l’unica vera alternativa passa dalla distruzione di questo sistema fondato sullo sfrut- No ai “Corpi di Pace”, strumento dell’imperialismo italiano della guerra, e in stretto collegamento con le analoghe iniziative della UE, deciderà chi gestirà i fondi, per quali progetti, con quali modalità, ed eserciterà, possiamo immaginare, un controllo capillare su chi vi prenderà parte. I “corpi civili di pace” sono un ingannevole strumento dell’imperialismo europeo sui quali si discute con posizioni contrastanti nel movimento pacifista italiano a partire dall’iniziativa dell’anticomunista deputato europeo Alexander Langer, ex-Lotta Continua e cofondatore dei Verdi, morto suicida nel 1995. Fu lui che, accogliendo la teorizzazione dell’exsegretario ONU, Boutros Ghali, sulla necessità del coinvolgimento dei civili nelle “missioni di pace”, presentò nel 1992 una proposta di legge al Parlamento europeo, per l’istituzione dei “corpi di pace” a disposizione dell’UE da impiegare in scenari di conflitto, reale o ipotizzato, anche al di fuori dei confini dell’Unione. Nel dibattito e nei vari documenti relativi all’elaborazione sulla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e sulla Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) si dà un sempre maggior peso ai volontari civili, il cui ruolo subisce un cammino di istituzionalizzazione, regolamentazione e di inclusione nella globale strategia militare europea di supporto agli interessi dei Paesi imperialisti da cui sono finanziati. Ciò perché, anzitutto negli ultimi anni, gli eserciti interventisti si sono trovati a dover svolgere, oltre alle tradizionali azioni di aggressione, anche missioni non militari che hanno favorito e richiesto forme di collaborazione con i volontari civili. Questi, dietro irrealizzabili, o realizzate in parte infinitesimale, teorizzazioni circa la “prevenzione dei conflitti”, il “creare la pace”, il favorire “la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti”, finiscono unicamente per gestire quegli ambiti non direttamente gestibili dai militari, come la ricostruzione, la stabilizzazione delle strutture economiche imposte e guidate dalle Potenze occupanti, la gestione delle amministrazioni provvisorie, la propaganda tesa “ad eliminare i pregiudizi e i sen- timenti di ostilità, e campagne d’informazione e d’istruzione della popolazione sulle attività in corso a favore della pace”, tutti pilastri collaterali dell’intervento militare imperialista e dell’occupazione dei territori. È proprio la “sinistra” borghese a macchiarsi della teorizzazione di tale inganno, basti pensare che in Italia, per la prima volta si parla di “invio di contingenti civili in funzione umanitaria” nell’ordine del giorno del Verde Mauro Paissan, approvato alla Camera nel 1998. Un altro Verde, Stefano Semenzato, nello stesso anno ripresenta lo stesso ordine del giorno al Senato e il governo D’Alema I, proprio mentre si preparava ad impegnare l’Italia nell’aggressione imperiali- tamento dell’uomo sull’uomo e dalla sua sostituzione con il socialismo, la società dei lavoratori, con la classe operaia al potere”. Perché non si può immaginare un futuro “senza fare piazza pulita del sistema capitalistico che produce ciclicamente crisi come quella che stiamo vivendo, che si è dimostrato incapace di dare ai giovani lavoro e istruzione pubblica e gratuita, che ha creato il mostro del precariato, che permette ai padroni di chiudere le fabbriche e delocalizzare la produzione, che vorrebbe tagliare fuori dalla vita politica i giovani, che chiude gli occhi di fronte al problema della droga, al lavoro minorile, all’emigrazione giovanile e continua, macelleria sociale dopo macelleria sociale, a rubare il futuro a migliaia di giovani per ingrassare la grande finanza, il grande capitale, gli speculatori e i politicanti borghesi” (dall’Appello del PMLI “Giovani, date le ali al vostro futuro”). sta alla Serbia, lo accoglie come raccomandazione. Ben lungi dall’essere animata da un fantomatico sentimento pacifista del governo Letta-Alfano, l’istituzione in via sperimentale dei “corpi civili di pace”, promossa da SEL, va letto, dunque, proprio nel senso opposto, come appoggio alla politica interventista dell’imperialismo italiano e il loro finanziamento nell’ambito del complessivo aumento degli stanziamenti per le guerre d’aggressione. Non è con l’istituzione dei costosissimi “corpi civili di pace” che si potrà raggiungere l’obbiettivo di fermare la politica interventista guerrafondaia del governo italiano. A questo scopo potrà essere utile solo la mobilitazione delle masse popolari e l’opposizione di classe e di massa nelle fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, nelle piazze per l’abrogazione delle spese militari imperialiste, la chiusura delle basi Usa e Nato in Italia, a partire da Sigonella, l’abrogazione delle autorizzazioni alla costruzione del MUOS. Napolitano non risponde alle mamme della Terra dei fuochi Il rinnegato del comunismo non si era accorto per niente del traffico dei rifiuti in Campania quando era ministro dell’Interno contestato a napoli: “Napolitano non sei il mio presidente” Due donne che vivono nella Terra dei fuochi e che hanno visto morire di cancro i loro figli, Marzia Caccioppoli e Tina Zaccaria, hanno chiesto risposte precise a Giorgio Napolitano nell’inchiesta televisiva “Inferno atomico”, andata in onda su La 7 del 29 dicembre scorso. Napolitano, che è stato ministro dell’Interno dal 1996 al 1998, proprio durante l’audizione del camorrista Schiavone alla Commissione parlamentare antimafia del ’97, avrebbe potuto rispondere due giorni dopo con il suo messaggio di fine d’anno, ma non lo ha fatto. Con i loro bambini morti non per caso ma per precise scelte a suo tempo fatte, come sottolinea il boss Schiavone nella stessa trasmissione, da tantissime imprese dell’intera Europa in combutta con la camorra e con il beneplacito implicito di svariate autorità che si sono voltate dall’altra parte pur di non vedere, le due madri rappresentano in realtà tante migliaia di madri che hanno visto negli ultimi anni i loro figli morire di cancro in numero di gran lunga superiore al normale, uccisi da quel lurido groviglio di interessi che per un trentennio ha dominato il ciclo dei rifiuti soprattutto nelle province di Napoli e Caserta, ma in realtà in tante altre parti del Meridione italiano. Le mamme hanno inviato centocinquantamila cartoline con le foto dei loro figli al presidente Napolitano, al capo del Governo Letta e al presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, (FI), per sollecitare la bonifica del territorio e per chiedere verità sulla tragedia dei rifiuti, ma le cartoline sono soprattutto un implicito atto di accusa nei confronti di chi, Giorgio Napolitano, era ministro dell’Interno nel 1997, quando il boss camorrista Schiavone depose dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, mostrando già allora dettagliatamente e con crudezza l’entità del disastro, la rete di complicità istituzionali e politiche che per decenni hanno assistito l’affare scandaloso dei rifiuti nella stessa terra d’origine, non lo si dimentichi, di Napolitano. Costui sapeva bene, da ministro dell’Interno, ciò che dettagliatamente Schiavone aveva riferito alla Commissione e, anche volendo ammettere la liceità della secretazione dei verbali per non allarmare l’opinione pubblica, avrebbe dovuto almeno fare qualcosa, intraprendere qualche iniziativa di bonifica di concerto con il suo governo, iniziare a invertire la tendenza fatta di inerzie e di responsabilità che sarebbe continuata per i successivi sedici anni, e non solo non ha fatto nulla, ma addirittura non risponde a chi ha avuto nella vita la disgrazia peggiore, quella di seppellire il proprio figlio. Non appena iniziano ad infuria- re le prime polemiche a seguito del suo discorso di capodanno, dove ci si aspettava almeno un cenno al problema dei rifiuti tossici e dove non si è degnato di rispondere alle madri, il rinnegato del comunismo si è limitato a scrivere una lettera a don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano (Napoli), impegnato da anni in prima linea nella denuncia dei crimini ambientali. Giusta e meritata dunque la contestazione che ha preso di mira Napolitano il 6 gennaio scorso, quando un gruppo di manifestanti proveniente dalla Terra dei fuochi lo ha raggiunto sotto villa Rosebery, a Napoli, dove egli trascorreva le vacanze natalizie. “Stop al biocidio” e “Napolitano non sei il mio presidente” c’era scritto sugli striscioni. “Volevamo consegnare un dossier di 54 pagine al presidente per fargli capire cosa è successo nelle nostre terre, come hanno avvelenato i nostri figli e ucciso il nostro futuro”. La polizia ha allontanato i manifestanti, diversi provenienti da Giugliano, la cittadina alle porte di Napoli avvelenata dalle discariche abusive e ufficiali. Egli non si è neppure degnato di rispondere a delle madri che portano sulle loro spalle la più atroce delle sofferenze: e così ha confermato di essere una controparte nella lotta delle masse popolari contro il biocidio e per il risanamento ambientale in Campania e nel Mezzogiorno. 4 il bolscevico / interni N. 3 - 23 gennaio 2014 No all’arrivo in Italia delle armi chimiche sottratte alla Siria Se ne facciano carico gli USA di Obama e la Federazione russa di Putin È l’ennesima bomba che minaccia la salute e il territorio Sarà annunciato entro la settimana il nome del porto in cui il governo Letta-Alfano consentirà, nella seconda metà di gennaio, l’attracco della nave mercantile in cui sono stipate le centinaia di tonnellate di gas micidiali che l’OPAC, Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, ha sequestrato in Siria. Si tratta complessivamente di 500 tonnellate, forse anche un migliaio, di Sarin, Iprite ed altri veleni che possono causare la morte per asfissia, se respirati, ingeriti o anche se soltanto vengono a contatto con organi esterni, come la pelle o gli occhi. Tra i porti candidati a ricevere la nave scortata da un imponente schieramento militare britannico, russo, cinese e statunitense vi è Augusta (Siracusa), ma sono stati fatti anche i nomi dei porti di Gioia Tauro (Reggio Calabria), Brindisi, dell’isola di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena (Olbia-Tempia), Oristano e Arbatax (Ogliastra). I proiettili di gas utilizzati in Siria e che dovrebbero essere stipati ad Augusta Tutti i Paesi che avevano precedentemente dato la loro disponibilità, Albania, Croazia, Danimarca, Germania e Norvegia hanno fatto marcia indietro, dopo aver considerato i concreti e micidiali rischi dell’intera operazione. Non così il governo italiano che, peraltro, mostra ancora una volta, costruendo attorno alla vicenda un muro di omertà, la sua natura reazionaria, sprezzante dell’opinione delle masse popolari, della loro salute e della loro sicurezza. Dopo la sosta, per un tempo imprecisato nel porto italiano “prescelto”, la nave proveniente dalla Siria andrà ad incontrare l’unità militare statunitense Cape Ray, sulla quale verrà trasbordato il carico di 345 tonnellate arrivate in Italia. Secondo il progetto dell’OPAC il carico verrà “neutralizzato” nel reattore chimico della Cape Ray in un punto imprecisato del Mediterraneo. Da Bruxelles, il primo ministro Pieter De Crem, nell’offrire la collaborazione belga per “neutralizzare” i gas nervini, ha rivelato che “solo il trasporto di queste armi è già una missione difficile” ed ha invitato, per evitare incidenti la cui probabilità sale nell’attraversare il Mediterraneo, ad operare vicino alla Siria. Dichiarazione che lascia supporre la non assoluta certezza della riuscita dell’operazione. Passaggio critico sul quale non vi è alcuna chiarezza è quello che riguarda la consegna delle scorie a “basso livello di tossicità” a società private specializzate nell’“eliminazione” dei prodotti chimici. C’è da tremare al solo pensiero che tali micidiali prodotti chimici vengano consegnati o finiscano in mano a quel sottobosco di società camorristiche e mafiose che hanno già avvelenato con smaltimenti selvaggi e irregolari di rifiuti il territorio del Sud. Lo stesso discorso può farsi per quelle società di trattamento dei rifiuti con sede al Nord e che operano in stretta collaborazione con le organizzazioni criminali del territorio meridionale. L’OPAC non ha tuttavia ancora la disponibilità finanziaria sufficiente a completare l’ultima fase dello smaltimento, cioè per pagare i privati. Ciò rischia di allungare ancora i tempi dell’operazione, e, dunque, di permanenza delle armi chimiche nel porto italiano “prescelto”. Una vicenda che ha tutti i requisiti per trasformarsi nell’ennesima bomba che minaccia la salute del territorio del Mezzogiorno italiano e non solo, nell’ennesimo atto di biocidio istituzionalizzato nei confronti delle masse popolari meridionali e non solo. Ci chiediamo perché di tali veleni non si faccia carico la Federazione russa, la principale fornitrice di armi chimiche alla Siria, o gli USA che hanno enormi responsabilità in ciò che accade in Siria. È evidente che anche a livello internazionale il territorio del Sud Ita- lia è considerato ormai come una base da utilizzare per le necessità dell’imperialismo internazionale. Ci chiediamo, inoltre, se il governo Letta-Alfano, con questa sporca operazione oltre a tentare di acquisire punti agli occhi della NATO e delle potenze imperialiste mondiali, non voglia anche favorire il business italiano dello smaltimento rifiuti. Condanniamo duramente la criminale scelta di coinvolgere l’Italia nell’operazione e siamo certi di interpretare il sentimento delle masse popolari italiane, violentemente calpestato dal governo Letta-Alfano, gridando “NO!” al transito in acque italiane, all’attracco in porti italiani, al trattamento e allo smaltimento delle armi chimiche sul territorio e nei mari italiani. Auspichiamo, inoltre che su questa posizione si mobilitino al più presto le organizzazioni politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore la salute delle masse popolari e la tutela ambientale in Italia. Al Congresso della Lega a Torino Salvini rilancia l’indipendenza del Nord Italia Al congresso della Lega Nord, che il 17 dicembre scorso lo ha incoronato nuovo segretario federale al Lingotto di Torino, Matteo Salvini rilancia in grande stile la linea neofascista, xenofoba, razzista e secessionista dei suoi predecessori Maroni e Bossi (confermato presidente) e promette: “Se ritroviamo le nostre radici, arriviamo al 10%”. “La Lega deve tornare a fare la Lega. Il tempo delle mediazioni è finito, le imprese non ce la fanno più. E allora noi dobbiamo disubbidire allo Stato. È arrivato il momento della disubbidienza” ha proclamato Salvini sotto lo sguardo compiaciuto dei tre governatori delle regioni del Nord: Rober- Il neosegretario eredita e sviluppa il razzismo di Bossi e Maroni to Cota, Roberto Maroni e Luca Zaia che lo sostengono e annuiscono con ampi cenni di approvazione. Il nuovo segretario della Lega ha poi precisato in poche battute il suo programma di secessione dall’Italia: “Non ci fermeremo fino all’indipendenza”, minacciando la discesa in campo di una sorta di esercito neofascista di camicie verdi: “Se arrivano i forconi leghisti – ha minacciato ancora Salvini - i forconi di adesso sembreranno una passeggiata della salute”. Diretto, esplicito e violento anche l’attacco ai sindacati: “Proporremo un referendum per rivedere il ruolo dei sindacati che ormai sono un ostacolo per i lavoratori e per le imprese”. Abolire i sindacati, dunque, o renderli pienamente concertativi e funzionali agli interessi padronali. Un antico progetto mussoliniano, ripreso dalla P2 e, ora anche dalla Lega, come dai partiti più reazionari e antioperai. Un progetto che rivela chiaramente, se ve ne fosse ancora bisogno, come Salvini e il vertice leghista siano rappresentanti di settori della borghesia locale più reazionaria, quelli che vogliono mettere il bavaglio ai lavoratori e impedirne le lotte. Per quanto riguarda invece la politica sull’immigrazione è venuto fuori ancora una volta l’ideologia profondamente reazionaria del vertice della Lega. Per Salvini coloro che, proprio grazie alla criminale legge Bossi-Fini sono costretti ad arrivare in Italia di nascosto e con mezzi di fortuna “Non sono migranti, non sono profughi, non sono richiedenti asilo, sono clandestini. E devono essere respinti a calci nel sedere. Tutti, tutti gli immigrati. Via. Via. Via”. Un invito accolto da un plateale applauso partito dall’ex ministro degli Interni Maroni e con- diviso a scena aperta da tutti i congressisti e che, non a caso, prepara il terreno per la salita sul palco degli oratori in qualità di invitati speciali della peggiore feccia nazi-fascista istituzionale europea, ossia il politicante olandese Geert Wilders, autore del film antislamico Fitna, dell’austriaco HeinzChristian Strache, erede del neonazista Jörg Haider, e del francese Ludovic de Danne, portavoce di Marine Le Pen. Ma Salvini non è certo da meno e, nonostante le batoste elettorali che la Lega ha preso alle ultime tornate elettorali, rilancia una nuova ondata di crociate leghiste contro gli immigrati. Fa la “voce grossa” Salvini poi contro gli attuali vertici politici ed economici europei, ma la sua “critica” è unicamente funzionale a conquistare poltrone per i neo-nazisti nelle stesse istituzioni europee che finge di attaccare. Proprio come succede con la partecipazione al parlamento e alle massime istituzioni borghesi italiane in cui i vertici leghisti ingrassano. Infatti Salvini annuncia “una manifestazione comune a Bruxelles a marzo e una piattaforma unitaria per le Europee. La Lega se fa la Lega può arrivare al 10 per cento”. Come dire: la Lega perde i voti ma non il “vizio”. Secondo l’ex tesoriere della Lega Nord Tutti i dirigenti leghisti mangiano coi soldi pubblici e i fondi neri Non solo il cosiddetto “cerchio magico” di Bossi, ma tutti i dirigenti leghisti, vecchi e nuovi, sguazzano nella mangiatoia dei finanziamenti pubblici, delle tangenti, dei fondi neri, del riciclaggio e della corruzione internazionale e utilizzano il potere politico per incrementare i conti personali e il tornaconto elettorale. A rivelarlo è lo stesso ex tesoriere di via Bellerio, Francesco Belsito, che a fine novembre è stato ascoltato dai Pubblici ministeri (Pm) milanesi Alfredo Robledo, Paolo Filippini e Roberto Pellicano, a conclusione del primo troncone d’inchiesta “The Family” inerente i finanziamenti pubblici del Carroccio. Una quarantina di milioni rubati al popolo sotto forma di rimborsi elettorali e sperperati da Bossi e dal suo clan con alla testa i suoi figli Riccardo e Ren- zo e l’ex numero due del Senato, Rosy Mauro e utilizzati per comprare case, diamanti, lingotti d’oro e ristruturare ville. Corruttele di cui, accusa ancora Belsito, erano a conoscenza tutti i caporioni in camicia verde ivi compreso i nuovi vertici della Lega a cominciare dal nuovo segretario federale Matteo Salvini, dal governatore veneto Luca Zaia e dal neopodestà di Verona Flavio Tosi. Belsito, che dal 2009 al 2012, su incarico di Bossi, ha tenuto i cordoni della borsa in via Bellerio, ha aggiunto che: “tutti i mesi percepivo duemila euro come tesoriere”. Ma, ha sottolineato, si trattava di denaro che non risultava da nessuna parte, perché “tutti i rimborsi in Lega sono in nero”. L’ex tesoriere ricorda anche che tra la montagna di finanziamenti pubblici e privati che arrivavano alla Lega, molti arrivavano da parte di aziende private e non erano contabilizzati. “So di rapporti tra esponenti della Lega e imprenditori perché ne avevo personalmente notati nel corso di mie presenze a Roma, nei locali frequentati da politici”. Belsito tira pesantemente in ballo i vecchi e i nuovi vertici del Carroccio e accenna fra l’altro agli incontri tra l’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti, appartenente al “cerchio magico” di Bossi, con il banchiere della BPM (Banca popolare di Milano) Massimo Ponzellini o con il fondatore di ICS Grandi Lavori, Claudio Salini e parla espressamente di fondi neri: “Il nero che gli imprenditori versavano — mette a verbale — veniva utilizzato a volte per la campagna elettorale dagli esponenti politici e veniva gestito sen- za passare dalle casse del partito... Ricordo che Giuseppe Bonomi, in quota Lega alla Sea, diede in contanti 20 mila euro a Matteo Salvini (eletto segretario del partito il 15 dicembre scorso ndr). Salvini (all’epoca consigliere comunale a Milano ndr) per sanare i suoi obblighi verso la Lega, intendeva girare al partito questa somma, cosa che non mi risulta sia avvenuta”. Riguardo all’ex ministro e senatore Roberto Calderoli, già coinvolto nell’inchiesta, l’ex tesoriere sostiene di aver “pagato in contanti una signora di Bergamo che mi è stato detto essere la sua bambinaia”. E ancora. “Pagavo inoltre in contante 2.500 euro a una persona che non so cosa facesse, ma che si diceva fosse un vecchio leghista picchiatore”. Poi tocca all’ex capogruppo Reguzzoni, a cui “ho pagato per- sonalmente in nero 15 mila euro per donazione che avrebbe dovuto dare alla Lega, ma che invece aveva trattenuto in parte per sé”. Belsito parla anche dell’attuale governatore del Piemonte Cota: “Aveva in dotazione un’auto della Lega, con il suo autista pagato da noi”. Infine Belsito ricostruisce il pagamento di una maxi tangente di milione di euro alla Lega Nord del Veneto da parte di Siram, multinazionale francese specializzata in appalti ospedalieri e per i quali due ex manager sono indagati. Belsito fa capire ai Pm che tutto lo stato maggiore del partito era informato di quel finanziamento. “La Lega Nord del Veneto aveva chiesto un milione al finanziere Stefano Bonet”, mette a verbale l’ex tesoriere leghista, ricordando come il soggetto fosse il tramite con la società francese. “Siamo nel 2010, dissi a Bossi e Calderoli che tale Cavaliere (ex presidente leghista del consiglio regionale del Veneto-ndr), aveva chiesto questi denari alla Siram. So che tale somma è stata pagata tramite bonifico a favore di una società, credo riconducibile a Cavaliere”. Secondo Belsito “verosimilmente questa richiesta di denaro serviva a non avere problemi da parte di Siram per gli affari in Veneto o comunque per avere i favori della politica locale. Anche Zaia (governatore del Veneto, ndr) fu informato di tale pagamento”. Mentre “Cavaliere trattava su incarico del sindaco di Verona Flavio Tosi e, da quello che ricordo — conclude l’ex tesoriere ai magistrati milanesi — la somma degli appalti di Bonet e Siram in Veneto era di circa 25 milioni in un triennio”. rimborsopoli nelle regioni / il bolscevico 5 N. 3 - 23 gennaio 2014 Dalla Valle D’Aosta alla Campania Le Regioni in mano a ladri di Stato Un eletto su quattro è sotto inchiesta Sedici Regioni su venti; 280 consiglieri su 1.356 eletti in amministrazioni di destra, centro e “sinistra” borghesi senza eccezioni di sorta e a tutte le latitudini, da Nord al Centro e al Sud Italia, risultano pesantemente coinvolti in almeno una delle centinaia di inchieste giudiziarie e amministrative avviate dalla magistratura e/o dalla Corte dei Conti per le scandalose vicende legate alla “rimborsopoli” regionale e le relative spese folli, ricevute gonfiate e scontrini fasulli pagati a piè di lista coi soldi rubati al popolo e messi a disposizione delle cosche parlamentari. Le quattro regioni fino a ora rimaste “immuni” a questo verminaio, ossia Veneto, Abruzzo, Toscana e Trentino Alto Adige risultano comunque coinvolte in varie altre scandalose vicende giudiziarie legate a “tangentopoli” Dalle mutande color verde leghista del governatore del Piemonte, Roberto Cota, alla scandalosa gestione della sanità di Roberto Formigoni in Lombardia; dai libri erotici nelle Marche, alle interviste a pagamento in Emilia-Romagna, tanto per citare i casi più clamorosi, quello che emerge è una vergognosa mangiatoia di Stato in cui sguazzano i boss politici regionali e i cui costi spesso sono di gran lunga superiori a quelli dei loro colleghi che siedono a Montecitorio e Palazzo Madama. Basti pensare che la spesa totale, al netto dei rimborsi elettorali ai partiti, per il funzionamento dei 20 consigli regionali è di 985 milioni di euro all’anno, contro i 45 milioni dei consigli provinciali (la Camera costa 970 milioni e il Senato 479). Solo per gli stipendi dei consiglieri regionali lo Stato spende ben 228 milioni all’anno; per i loro colleghi delle Province ne occorrono altri 40, mentre per il resto del personale se ne vanno altri 326 milioni. Me ecco una breve carrellata sulle cifre rapinate da questi autentici ladri di Stato e i casi più eclatanti. Valle D’Aosta Dalle indagini in corso non è ancora emerso l’esatto ammontare dei rimborsi concessi illegittimamente ai vari gruppi del Consiglio regionale. Di sicuro ci sono per ora solo le ipotesi di reato: peculato e finanziamento illecito ai partiti politici, formulate dalla magistratura nei confronti di sei gruppi regionali: Union Valdotaine, Federation autonomiste, Stella Alpina, Pdl, Alpe e Pd. Le indagini erano iniziate più di un anno fa a partire dalle spese sospette del Partito democratico per l’acquisto di alimenti e premi per la Festa Democratica, oltre che sul pagamento dei contributi dei consiglieri. Ad agosto la sezione di controllo della Corte dei conti ha diffuso un rapporto sui rimborsi ai gruppi consiliari nel 2012 da cui emerge che 101.236 euro sono andati al l’Alpe, 40,5 mila alla Federation Au- tonomiste, 81 mila per il Pdl, quasi 61 mila per il Pd, 81 mila pure per “Stella alpina” e ben 236.217 euro all’Union Valdotain. Piemonte Nella regione che il Tar ha rimandato alle urne per le irregolarità nella presentazione delle liste, i consiglieri indagati sono 43 su 60 eletti e si sono pappati quasi 2 milioni di euro di rimborsi. Dalle migliaia di pagine dell’indagine emerge di tutto. Si sono fatti rimborsare il tosaerba, i campanacci per i bovini, le consolle per i figli e perfino una fattura da oltre 9 mila euro presentata da Roberto Boniperti (Gruppo Misto) per pagare gadget di paccottiglia fascista e busti di Mussolini. Poi c’è il regalo di nozze fatto dal presidente Roberto Cota (Lega) all’assessore Michele Coppola e le ormai famigerate mutande verde leghista comprate a Boston. In tutto Cota si è fatto rimborsare più di 25 mila euro per cene (di cui cinque in una sola sera), caffè presi a Torino mentre lui era a Bruxelles, regali per vari altri matrimoni, 1.500 euro di eleganti penne da regalare in occasioni ufficiali, 530 euro di foulard per portavoce e cravatte per collaboratori e autisti, e un libro antico per Giulio Tremonti. Ma i più spendaccioni risultano nell’ordine: Michele Dell’Utri del gruppo monoconsigliere “Moderati” che si è fatto restituire 190 mila euro destinati a sondaggi telefonici sulla popolazione; Michele Giovine dei “Pensionati per Cota” che ha ottenuto 144 mila euro di rimborsi per carburante, medicine, cosmetici, biglietti per teatro o per Juventus-Milan e altro ancora non solo per sé ma anche per la compagna, sorella, madre e padre. Liguria Gli indagati sono 11, ma gli inquirenti nelle settimane scorse hanno acquisito altri documenti di Pd, Lega Nord, Sel, FdS e delle liste civiche Noi con Burlando e Liguria Viva. I tronconi delle indagini sono due. Il primo vede indagati per peculato quattro consiglieri dell’Idv: Marylin Fusco e Nicolò Scialfa (passati a Diritti e Libertà), Stefano Quaini (passato a Sel) e Maruska Piredda. Poi è toccato a cinque consiglieri del centro-destra: Luigi Morgillo, Alessio Saso e Franco Rocca (Pdl), Aldo Siri (Lista Biasotti) e Raffaella Della Bianca (Gruppo Misto). Infine due indagati dell’Udc: Marco Limoncini e l’ex presidente del consiglio Rosario Monteleone, che si è dimesso a ottobre proprio in seguito allo scandalo. I due centristi hanno prelevato 189 mila euro in contanti dai conti del gruppo, metà dei quali sarebbe sparito senza giustificativi. Tra i beni rimborsati figurano anche mutandine di pizzo, cibo per gatti, cento animali in ceramica, soggiorni alle terme e altro ancora. Lombardia Al Pirellone va il record di in- dagati con alla testa l’ex governatore Formigoni e l’ex presidente del consiglio regionale Davide Boni (Lega). In tutto risultano indagati 62 consiglieri che hanno gonfiato gli scontrini e ricevuto rimborsi per circa due milioni di euro. Il più vergognoso risulta però l’ex capogruppo della Lega Nord, Stefano Galli che si è fatto rimborsare il pranzo di nozze della figlia ed è riuscito ad assegnare una consulenza al neogenero con la licenza di terza media. Senza dimenticare le multe, lo shopping, la benzina e perfino i cioccolatini che Renzo Bossi metteva in nota spese insieme ai diecimila euro in sushi di Nicole Minetti (PDL). Friuli Venezia Giulia La Procura di Trieste indaga su oltre venti consiglieri regionali, con l’ipotesi di peculato. Nel solo 2011 gli otto gruppi consiliari avrebbero speso una cifra pari a 2,7 milioni di euro. Tra le voci di spesa rimborsate figurano pranzi, cene, viaggi e pernottamenti. Al capogruppo Pdl Alessandro Colautti, per esempio, sono contestati una cena da 58 euro a San Valentino, un soggiorno in Austria da 403 euro, 98 euro pagati per il parcheggio a Udine, 123 per una notte a Parigi e perfino 35 per la pulizia del cane. Le indagini coinvolgono anche cinque consiglieri dell’attuale legislatura, presieduta da Debora Serracchiani (PD). Emilia Romagna La Procura di Bologna ha iscritto nel registro degli indagati tutti e nove i capigruppo dei partiti eletti in consiglio regionale perché si sono fatti rimborsare di tutto e di più. Dai 30 euro che Silvia Noè (Udc) ha speso per un regalo al figlio dell’assessore Gian Carlo Muzzarelli, agli 8.000 euro che nel 2010 il PD pagò per zamponi e panettoni, fino ai 50 centesimi che Thomas Casadei (PD) s’è fatto restituire dopo aver usato un wc pubblico a gettoni. Marco Monari, capogruppo del PD fino allo scandalo ‘spese pazze’, che avrebbe pagato 500 euro per una penna e, assieme a Roberto Montanari (PD), 1.700 euro per un viaggio ad Amalfi. Mentre Matteo Riva, gruppo misto, e l’ex capogruppo PDL, Luigi Giuseppe Villani, che addirittura hanno portato a rimborso i gioielli e collane di Tiffany. Recordman delle cene risulta invece il pidiellino Luca Bartolini, che al ristorante ha speso 44.000 euro in 19 mesi, seguito da Villani, 43.000 euro, e da Monari con circa 30.000 euro. Senza dimenticare i 20.000 euro per le auto blu, spesi tra giugno 2010 e agosto 2011, del governatore PD Vasco Errani. Umbria La corte dei Conti ha scoperto che nel 2012 i boss dei partiti rappresentati in Regione hanno ottenuto rimborsi per circa un milione e mezzo. In particolare su collaboratori co. co. pro pagati a nero e non riportati sui rispettivi bilanci. Più le immancabili fatture gonfiate per cene, alberghi ed eventi vari. Sotto processo è finito anche il presidente del consiglio regionale, Eros Brega (PD) per la gestione dei fondi devoluti per gli Eventi Valentiniani nel periodo compreso fra il 2000 e il 2004, quando era assessore alla Cultura a Terni. Marche Sono 42 i consiglieri (di tutti i partiti) sotto inchiesta per peculato. Le spese folli dei gruppi regionali ammontano a un milione di euro complessivi per il 2011 e il 2012. Soldi per ristoranti, telefoni, viaggi, ritiri spirituali. C’è addirittura chi ha fatto beneficienza privata con i rimborsi pubblici. Mentre Raffaele Bucciarelli, consigliere del Pdci, si è fatto rimbordare 16 euro per l’acquisto di un manuale erotico sull’orgasmo femminile e si è giustificato affermando di averlo fatto in quanto “fondatore della commissione pari opportunità”. Il gruppo del Psi, invece, si è contraddistinto per esser riuscito nell’impresa di organizzare addirittura quattro convegni in una sola giornata e nella stessa città, Chiaravalle. Erminio Marinelli, unico consigliere del gruppo “per le Marche”, è riuscito a farsi rimborsare le spese dell’organizzazione di un congresso sulla sanità regionale che si sarebbe tenuto il 31 dicembre 2012, tra un fuoco d’artificio e un brindisi al nuovo anno. Lazio A mungere la Regione Lazio non c’era solo Franco Fiorito e il PDL: l’ultima inchiesta sui rimborsi della Pisana parte dalla Procura di Rieti e investe in pieno il PD a cui vengono contestati oltre 2 milioni di euro di rimborsi fasulli e mosse accuse gravi e infamanti che vanno dal “falso” al “peculato”. Nel registro degli indagati ci sono il tesoriere regionale, Mario Perilli, il sindaco di Fiumicino (all’epoca capogruppo in Regione) Esterino Montino, l’ex consigliere regionale Giuseppe Parroncini e infine di Enzo Foschi, oggi capo della segreteria del sindaco di Roma. Nel mirino degli inquirenti spese ingenti che riguardano televisioni e giornalisti, compensi per collaboratori, circa 700mila euro per stampa e manifesti, spese d’albergo e noleggio auto, bar e ristoranti. Tra le cifre sospette ben 4.500 euro spesi in un’enoteca. Lo scandalo dei rimorsi PD segue di oltre un anno quello del PDL che ha visto come protagonista Fiorito, condannato in primo grado a tre anni e quattro mesi per essersi appropriato di oltre un milione di euro dei fondi del gruppo del Pdl e utilizzati per acquistare auto, case e vacanze in Costa Smeralda. Tra gli indagati c’è anche Carlo De Romanis, organizzatore delle squallide feste in maschera nella capitale, che deve rispondere dei finanziamenti all’Associazione giovani del Ppe. Indagato anche l’ex tesoriere dell’Idv, Vincenzo Maruccio che ha sperperato oltre 100 mila euro di finanziamenti pubblici alle slot machine. Campania Sono 53 i consiglieri regionali indagati dalla Procura di Napoli. L’accusa per tutti è di peculato. Gli inquirenti hanno ricostruito le modalità di spesa, per 2,5 milioni di euro, nel biennio 2010-2012. Rimborsate perfino le cialde di caffè, sigarette, sfogliatelle, la tintura per capelli, gli occhiali da vista, farmaci, una Barbie, la tassa sulla spazzatura e perfino un furto di 190 euro al PDL. Dagli atti dell’inchiesta è possibile ricavare la speciale classifica dei rimborsi intascati dai partiti: al primo posto si piazzano Idv e Udeur – a pari merito – con il 95 per cento delle spese sospette. Segue il Nuovo Psi, con il 91 per cento. Al quarto posto c’è il PDL, con l’89 per cento, che deve spiegare agli inquirenti come ha speso 728 mila euro. Nell’indagine sono coinvolti anche tre parlamentari: il senatore Domenico De Siano e la deputata Eva Longo (entrambi del PDL) e il piddino Umberto Del Basso De Caro. Molise Oltre alle centinaia di gelati, pizze, cd, regali, pranzi e cene al ristorante messi a rimborso tra il 2009 e il 2011, tra le spese pagate con i soldi pubblici dai 30 consiglieri del Molise c’è anche chi ha messo in nota uno spettacolo di lap dance in un locale notturno della Capitale. Lo sperpero ammonta a oltre 2 milioni di euro. L’indagine coinvolge molti consiglieri della passata consigliatura accusati di appropriazione indebita e peculato. Basilicata La “rimborsopoli” lucana conta 48 indagati e un sequestro di 170 mila euro. Ad aprile scorso sono finiti agli arresti domiciliari tre assessori: Vincenzo Viti (Pd), Rosa Mastrosimone (Idv) e Nicola Pagliuca (Pdl). Per altri 8 consiglieri è scattato il divieto di dimora costringendo alle dimissioni il governatore Vito De Filippo e dell’intera giunta. Tra i rimborsi più assurdi spicca quello di Vincenzo Ruggiero (ex Udc): 15 mila euro spesi per le presunte prestazioni di una “collaboratrice” che, secondo l’accusa, non sembrano collegate ad “attività lavorative”. Interrogata, la donna racconta di aver eseguito il suo lavoro direttamente a casa di Ruggiero e di aver tenuto segreta la collaborazione al marito. Calabria La “rimborsopoli” conta tredici indagati: ci di “centro-sinistra” “centro-destra” che si calabrese sei politie sette di sono pap- pati tra i 600 mila e il milione di euro di rimborsi illeciti. Tra gli indagati figurano l’ex governatore del PD Agazio Loiero e il senatore (eletto con Grande Sud, ora nel Ncd) Giovanni Bilardi. Le accuse vanno dal peculato al falso alla truffa. Rimborsati perfino i biglietti per assistere a uno spettacolo di lap dance, un tagliando del gratta e vinci, tanti viaggi ingiustificati sia all’estero sia in Italia e le cene da 66 coperti nel solito ristorante con fatture per i vini che che passano dai 30 ai 780 euro. Tra le spese spacciate per “attività consiliare” anche materiale elettrico acquistato nei ferramenta e l’arredo bagni e detersivi. Il “rimborso” per le bollette della Tarsu e persino una multa della polizia stradale. Puglia Il rapporto della Corte dei Conti evidenzia che nel 2012, nove degli undici rendiconti presentati dai gruppi regionali sono risultati essere irregolari. I consiglieri di opposizione tanto quanto gli assessori di Vendola non si sono certo vergognati di presentare richieste di rimborso anche per il caffè, bottigliette d’acqua, cornetti e cappuccini. Spiccano gli 800 euro di panettoni rimborsati al gruppo I Moderati e Popolari, le richieste del PDL per gli abbonamenti a Gazzetta, Corriere dello Sport e Tuttosport e le sponsorizzazioni dell’Udc ad alcuni tornei di calcetto. Sicilia A fine 2012 l’ex presidente dell’Ars, Francesco Cascio (PDL), si è presentato spontaneamente in procura per consegnare la documentazione contabile del consiglio regionale. Solo in quell’anno, i gruppi del parlamentino siciliano hanno speso 12,6 milioni di euro. I magistrati indagano sui capigruppo Antonello Cracolici (PD), Giulia Adamo (PDL), Francesco Musotto (Mpa) e Rudy Maira (Pid). Tra le fatture messe a rimborso anche l’acquisto di auto e i regali di nozze. Sardegna In Sardegna le inchieste sono due. L’ex capogruppo del PDL in consiglio regionale, Mario Diana, è finito in carcere in custodia cautelare per aver distratto circa 250 mila euro di fondi pubblici e aver utilizzato decine di migliaia di euro per incontri e dibattiti non attinenti – secondo la procura – all’attività politica. In carcere anche Carlo Sanjust (PDL) che si è appropriato di 23 mila euro pubblici per pagare le spese del suo matrimonio e altri 27 mila euro destinati a corsi di formazione. L’inchiesta-bis riguarda altri 38 consiglieri regionali di PDL, Udc e PD (tra cui anche Francesca Barracciu, vincitrice delle primarie del centro-sinistra). In tutto, ad oggi, risultano indagati complessivamente 53 consiglieri sardi (alcuni ancora in carica). 6 il bolscevico / fiat-chrysler N. 3 - 23 gennaio 2014 Mentre in Italia non investe, chiude stabilimenti e colloca 11 mila lavoratori in cassa integrazione La Fiat compra Chrysler Con una lettera indirizzata ai 300 mila lavoratori del gruppo automobilistico in tutto il mondo, sussiegos amente appellati “cari colleghi”, il presidente della Fiat, John Elkann, e l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, hanno annunciato il 1° gennaio il raggiungimento di un “accordo storico per far nascere un’azienda globale”, con l’acquisto del 100% della Chrysler di cui il gruppo torinese deteneva già il 58,5%. L’accordo è stato raggiunto da Marchionne dopo una lunga trattativa con il fondo assistenziale e pensionistico Veba, gestito dal sin- Condizioni capestro per i lavoratori americani dacato dei lavoratori della Chrysler, Uaw, che deteneva ancora il 41,5% del pacchetto azionario, dopo che la Fiat, grazie al megaprestito miliardario di Obama, era entrata dal 2009 nell’industria di Detroit acquisendone il 20% della proprietà e la direzione effettiva a costo zero; per poi arrivare nel gennaio 2012, attraverso vari passaggi e un esborso complessivo di 2,3 miliardi di dollari, a controllare quasi il 60% del capitale, mentre Veba rimaneva l’unico altro azionista con la restante parte. In base a questo accordo, che avrà valore dal 20 gennaio, Fiat rileverà l’intera quota di Veba per 4,3 miliardi di dollari (il fondo americano ne chiedeva 5), acquisendo perciò il 100% della proprietà di Chrysler. Ma in realtà di questa somma il Lingotto ne dovrà versare in contanti solo 1,75 miliardi di dollari. Altri 1,9 miliardi arriveranno dalla stessa Chrysler, attraverso un dividendo straordinario che pagherà ai suoi due soli azionisti, di cui 1,1 miliardo andrà alla Fiat che lo girerà a Veba. La restante quota di 700 milioni di dollari sarà pagata da Fiat, o meglio dalla nuova società globale risultante dalla fusione con Chrysler, in quattro anni attraverso premi di produzione e “investimenti sul processo lavorativo”. Sembra di capire, insomma, che saranno gli stessi lavoratori americani a finanziare parte dell’operazione, attraverso un ulteriore aumento della produttività e dei carichi di lavoro. E questo dopo che già con l’arrivo di Marchionne sotto l’egida di Obama e del Tesoro americano avevano dovuto accettare condizioni durissime per non veder chiudere la fabbrica, tra cui la spostando rapidamente dall’Italia e dall’Europa al di là dell’Atlantico, tanto che il Financial Times ha rivelato, e lo stesso Marchionne ha fatto capire, che la nuova società sarà quotata a Wall Street (“andremo dove ci sono i soldi”, ha detto il nuovo Valletta), mentre oggi la Fiat è ancora quotata alla Borsa di Milano. Ed è facile immaginare che anche il centro decisionale e la progettazione, oggi stanziati al Lingotto, faranno con tutta probabilità la stessa fine migrando da Torino a Detroit, o verso altre sedi in America e nel resto del mondo, Marchionne in visita ad uno stabilimento Chrysler. Accanto una protesta di operai della Chrysler in lotta per aumenti salariali riduzione del 30% della paga oraria, l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, la rinuncia agli scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo denominato World Class Manufacturing, con il licenziamento di ben 28 mila lavoratori: lo stesso modello che Marchionne ha poi esportato anche in Italia, con la complicità dei sindacalisti collaborazionisti di CISL e UIL, applicandolo in forma e misura diverse ma con identici intenti a Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco, Melfi, per non parlare dello stabilimento di Termini Imerese in Sicilia e della Irisbus in Campania, che sono stati addirittura cancellati. Spostamento del baricentro oltreoceano Attraverso la fusione con Chrysler la Fiat diventa il settimo produttore mondiale, dietro Renault-Nissan, Hyundai-Kia, Ford, Volkswagen, General motors e Toyota, e punta ad espandersi sul mercato americano, una delle aree mondiali più in crescita insieme alla Cina, trainata dal successo di vendite della Chrysler, che a novembre ha fatto registrare un balzo del 16% (9% su base annua). Altre aree in cui punta ad espandersi, dando per scontato il perdurare della contrazione del mercato europeo (dove nel 2013 ha registrato le peggiori perdite dal 1990), sono il Messico e l’America Latina, dove vanta già una posizione di primato in Brasile. Più a media-lunga scadenza l’assunzione di una dimensione globale risponde all’obiettivo di entrare nel ricchissimo mercato cinese, oggi il più in espansione in assoluto, dove finora era praticamente assente e dove da tempo dominano Volkswagen e Toyota. Ciò fa capire chiaramente come il baricentro finanziario e industriale di Fiat-Chrysler si stia ormai per stare più vicini al cuore finanziario del gruppo. E quale sarà, in questo quadro di vasti cambiamenti, la sorte degli stabilimenti italiani, dove già oggi si producono solo 350 mila auto contro il milione e mezzo di Fiat vendute in Italia, mentre se ne produceva un milione quando in Fiat è entrato Marchionne e due milioni appena dieci anni fa? E dove su 30.700 lavoratori più di un terzo, ben 11.000, sono tenuti in cassa integrazione permanente o periodica? A ben vedere non c’è niente da festeggiare per questo accordo, come ha fatto la Borsa facendo fare alle azioni Fiat un balzo del 16%, e come hanno fatto il governo, la stampa di regime e i crumiri Bonanni e Angeletti, che si sono ascritti il merito di aver favorito la “vittoria” di Marchionne firmando i suoi accordi capestro a Pomigliano e negli altri stabilimenti Fiat: “Con quegli accordi abbiamo salvato l’industria dell’auto”; “se ora la Fiat è un gruppo globale il merito è anche dei sindacati italiani”, hanno dichiarato entusiasti i due traditori commentando la “fausta” notizia. Dopo la beffa del progetto “Fabbrica Italia”, tirato fuori dal cappello per giustificare quegli accordi di stampo mussoliniano dietro la promessa di investimenti per 20 miliardi, poi abbandonato accampando la crisi del mercato, il nuovo Valletta cerca ancora di seminare illusioni di fantasmagoriche prospettive di investimenti e sviluppo che avrebbe in mente per l’Italia: come ha ventilato in un’intervista a Ezio Mauro su la Repubblica del 10 gennaio, in cui ha favoleggiato di “capannoni-fantasma, mimetizzati in giro per l’Italia”, dove “squadre di uomini nostri stanno preparando i nuovi modelli Alfa Romeo che annunceremo ad aprile”, e promettendo che i lavoratori attualmente a cassa integrazione, “col tempo – se non crolla un’altra volta il mercato – rientre- ranno tutti”. I dubbi sull’operazione finanziaria Ma ammesso che si debba credere anche stavolta alle sue bugie, e facendo pure finta di scordare la chiusura di Termini Imerese, che intanto va avanti buttando sul lastrico migliaia di lavoratori dello stabilimento siciliano e del suo indotto, nonché il quasi certo trasferimento della direzione e della progettazione all’estero, dove prenderà la Fiat i miliardi necessari per un simile piano di rilancio della produzione in Italia? La domanda è lecita, giacché anche i risvolti finanziari dell’operazione Fiat-Chrysler sono tutt’altro che chiari e univoci. Intanto gli Agnelli, che controllano Fiat tramite la finanziaria di famiglia Exor, come al solito non hanno intenzione di sborsare un euro, tant’è che hanno già annunciato che la Fiat non ricorrerà ad un aumento di capitale (cioè frugandosi in tasca) per coprire l’acquisizione di Chrysler, il che vuol dire che le risorse saranno cercate sul mercato finanziario (banche, fondi di investimento), con altro indebitamento del gruppo che è già il più indebitato tra i produttori europei. Se non addirittura anche attraverso la cessione di altre attività, come è stato fatto con l’Iveco venduta agli olandesi, col rischio del trasferimento all’estero di altri pezzi pregiati, come potrebbe essere per esempio con la Ferrari. Marchionne ha ventilato che i soldi per investire in Italia verrebbero dalla liquidità di Chrysler, che grazie al buon andamento delle vendite negli Stati Uniti vanta oggi 20 miliardi di euro di cassa. Ma è vero anche che è gravata da un debito industriale netto di quasi 10 miliardi, e che deve far fronte ad altri 8 di investimenti già decisi per quest’anno, più l’enorme onere delle pensioni dei dipendenti. Tanto che le agenzie di rating, in particolare Moody’s e Fitch, minacciano di declassare la Fiat, il cui debito è considerato dagli analisti internazionali poco più del livello “spazzatura”. E c’è perfino chi mette in dubbio che sia stata la Fiat ad avvantaggiarsi da questa operazione, come l’ex ad (amministratore delegato) della Fiat Cesare Romiti, il quale ha dichiarato a la Repubblica: “È indubbio che Marchionne sia stato un ottimo negoziatore. Ma non saprei dire chi ha salvato chi tra le due società”. E ricordando di aver già desistito nel 1990, d’accordo con la famiglia Agnelli, dal tentativo di acquistare la Chrysler per via dei troppi debiti da cui era gravata, ha così concluso: “Spero ora abbiano fatto bene i conti e che i numeri siano cambiati. Se non fosse così, faccio i miei auguri”. Dunque, altro che in piani e investimenti mirabolanti c’è da credere per il futuro delle fabbriche della Fiat in Italia, dopo questa operazione di ingegneria finanziaria dai molti lati oscuri. Oggi più che mai l’unica strada certa per salvare i posti di lavoro è la nazionalizzazione senza indennizzo della Fiat da parte dello Stato, e la sua riconversione produttiva in base a un grande piano collettivo per sviluppare i trasporti pubblici e l’innovazione tecnologica orientata a ridurre i consumi e l’inquinamento. corruzione / il bolscevico 7 N. 3 - 23 gennaio 2014 4 arrestati e 4 indagati, tra cui il vicesindaco di “centro-sinistra” e un ex assessore del PDL Tangentopoli a L’Aquila sulla pelle dei terremotati Il neopodestà PD Cialente costretto a dimettersi A quasi cinque anni dal sisma che il 6 aprile del 2009 provocò 309 morti, 1.600 feriti e oltre 65.000 sfollati, l’Aquila si ritrova al centro di un nuovo terremoto, questa volta politico giudiziario, che ha già costretto alle dimissioni il neopodestà piddino Massimo Cialente e che vede il suo vice, funzionari, assessori ed ex assessori finire sott’inchiesta e agli arresti per reati gravi e infamanti che vanno dal millantato credito alla corruzione, dalla falsità materiale ed ideologica all’appropriazione indebita in riferimento alla scandalosa gestione degli appalti per la ricostruzione. Tra le 4 persone finite in manette l’8 gennaio spiccano: Pierluigi Tancredi, ex assessore di Forza Italia ed ex consigliere comunale Pdl alla “salvaguardia dei beni artistici dell’Aquila” e Vladimiro Placidi, ex assessore comunale nominato come tecnico nella giunta di “centro-sinistra”, delegato alla ricostruzione dei beni culturali. Gli altri due arrestati sono Daniela Sibilla, collaboratrice di Tancredi e l’imprenditore abruzzese Pasqualino Macera. Tra gli indagati, invece, c’è an- che il vicesindaco de L’Aquila, Roberto Riga “centro-sinistra”, accusato di aver ricevuto una tangente di 10 mila euro, dei 30 mila promessi, nascosta in pezzi da 500 euro dentro un pacco dono con una confezione di grappa, per la promessa di un appalto. Le indagini sono partite dai lavori di puntellamento di Palazzo Carli, sede del Rettorato dell’Università de L’Aquila, nel centro storico della città. Oltre a Riga, sono indagati un dirigenti del Comune, un tecnico e un imprenditore, tutti sottoposti a perquisizione domiciliare e presso gli uffici di appartenenza, per gli stessi reati contestati agli arrestati. Si tratta di Mario Di Gregorio, direttore del settore Ricostruzione Pubblica e Patrimonio del Comune dell’Aquila (ora sospeso dall’incarico), all’epoca dei fatti responsabile dell’Ufficio Ricostruzione; Fabrizio Menestò, ingegnere, all’epoca dei fatti direttore e progettista dei lavori per le opere provvisionali di messa in sicurezza di Palazzo Carli e di Daniele Lago, imprenditore. Dalle carte è emerso anche che alcuni indagati si sono indebitamente appropriati, previa con- L'Aquila. Un significativo striscione sui ritardi per la ricostruzione nel centro della città traffazione della documentazione contabile, di circa 1.250.000 euro, relativa al pagamento di parte dei lavori. A svelare il vergognoso mercimonio consumato sulla pelle dei terremotati è stato un imprenditore veneto, Daniele Lago, amministratore delegato della “Steda spa”. Messo alle strette dagli inquirenti per l’assegnazione illecita di un appalto da oltre 1 milione di euro, Lago ha deciso di confessare e di raccontare tutti i loschi retroscena del sistema delle tangenti per gli appalti nella ricostruzione de L’Aquila al procuratore Fausto Cardella e ai pubblici ministreri (pm) David Mancini e Antonietta Picardi. “Gli indagati hanno rivelato una dedizione costante ad attività predatorie in danno della collettività, arrivando a suggerire i meto- Ritorsione contro il movimento No MUOS dopo l’occupazione della base militare statunitense Denunciati gli attivisti del Presidio permanente di Niscemi Dal nostro corrispondente della Sicilia Giro di vite nella repressione del movimento No MUOS: il 4 gennaio quindici attivisti hanno ricevuto altrettanti avvisi di garanzia per “invasione di suolo militare”. Il “reato” sarebbe stato compiuto dai quindici giovani il 9 agosto 2013, quando l’intero corteo, oltre un migliaio di manifestanti, al termine della storica, vittoriosa, vivacissima e qualificata manifestazione nazionale entrò nella base statunitense dove dovrebbe sorgere il MUOS. Fu un’azione di massa: famiglie, bambini, anziani, lavoratori, donne, tutti insieme ad occupare la base per difendere se stessi ed il proprio territorio contro un criminale progetto di guerra e di morte. Ci chiediamo, come sia possibile, se non sospendendo i principi della stessa democrazia borghese, far pagare a 15 giovani un’azione di tutto il movimento? La strategia di repressione delle istituzioni borghesi ci fa pensare anzitutto alle decimazioni e alle ritorsioni nazifasciste che colpivano gli obbiettivi più esposti per disseminare il terrore e spezzare le reni alla Resistenza. Il metodo è lo stesso. Questo in primo luogo, ma ci sono ulteriori elementi politici da rilevare. Il PMLI esprime la massima solidarietà ai giovani attivisti col- ti dai provvedimenti repressivi e chiede l’immediata archiviazione del procedimento. La polizia di Alfano e i magistrati della Cancellieri non potranno certo fermare la popolazione di Niscemi, appoggiata da tutti i siciliani consapevoli che lottano per la propria salute e per la liberazione del territorio dalla schiavitù militare dell’imperialismo americano. Registriamo con gioa che le masse niscemesi non si sono lasciate intimidire, anzi, il 12 gennaio hanno sfilato ancora una volta contro il MUOS, allargando la protesta contro lo smantellamento dell’ospedale dei Niscemi, vittima dei tagli regiona- li del governo Crocetta (PD). Basta con le ritorsioni contro le masse popolari di Niscemi! Il governo Letta-Alfano deve fare un passo indietro e cancellare l’accordo con gli USA sul MUOS. Archiviare immediatamente le denunce ai giovani attivisti No MUOS! Viva la storica occupazione della base USA di Niscemi! Viva le masse di Niscemi e i Comitati in lotta contro il MUOS! Crocetta, traditore, vattene! Pubblicazione e revoca degli accordi nazionali firmati dai governi Berlusconi e Prodi per l’installazione del MUOS! Niscemi (Caltanissetta), 9 agosto 2013, manifestazione nazionale contro il MUOS. Il PMLI schierato davanti alla base Usa prima dell’occupazione (foto Il Bolscevico) Revoca dei protocolli regionali di autorizzazione del MUOS! Chiusura della base di Sigonella e sua conversione in aeroporto civile! Divieto di ospitare sul territorio nazionale e siciliano droni e armamenti nucleari! Revoca dell’autorizzazione alla base NRTF-8 di Niscemi e smantellamento delle antenne! Smilitarizzare la Sicilia! Via le basi Usa e Nato dall’Italia! Via l’Italia dalla Nato! No MUOS! No Ponte! No Tav! No allo smantellamento dell’ospedale di Niscemi! di corruttivi, a costituire società ad hoc, a rappresentare realtà fittizie, anche in momenti (il post sisma) in cui il dramma sociale e umano avrebbe suggerito onestà e trasparenza. Da ciò si ricava la certezza della reiterazione di reati della stessa specie - scrive il giudice per le indagini preliminari (gip) Romano Gargarella nell’ordinanza d’arresto -Tancredi anche in virtù del suo ruolo politico pubblico si è posto nel dopo-sisma, caratterizzato dalla fase dell’emergenza, come collettore di compensi di imprese in cambio di agevolazioni per il conferimento di lavori”. Non solo. Tancredi, secondo il Gip, attraverso una società creata appositamente per riciclare i proventi illeciti, oltre alle tangenti della “Steda” ha arraffato anche cinque Map (Moduli abitativi provvisori) del valore di 40 mila euro l’uno che poi, secondo l’accusa, ha in parte rivenduto. Un verminaio a cui hanno preso parte anche i massimi vertici dell’amministrazione comunale di “centro-sinistra” de L’Aquila e in particolare il vicesindaco Riga sul cui conto il Gip Gargarella scrive che: “L’amministratore della Steda spa ha riferito che uno degli appalti che gli vennero ‘offerti’ riguardava quello relativo all’esecuzione delle opere provvisionali di messa in sicurezza di un immobile della dottoressa Sabrina Cicogna, medico presso l’ospedale de L’Aquila. Dalle dichiarazioni del Lago emerge che l’assegnazione di quell’intervento gli venne garantita oltre che da Tancredi, anche da Riga, vicesindaco de L’Aqui- la”. E per ottenere quell’appalto a Lago fu chiesto di finanziare con un contributo elettorale di 5mila euro il partito politico ‘La Destra’, di cui “la Cicogna era esponente locale”. Accuse che chiamano direttamente in causa anche il dimissionario Cialente, sindaco della città da due legislature, che non risulta indagato ma che certamente ha delle gravi responsabilità politiche prima di tutto perché è stato lui a scegliere Placidi e Tancredi e quindi era perfettamente a conoscenza del modo truffaldino in un cui si operava nell’ufficio Viabilità. Dunque Cialente non è stato “tradito” e non è certo una “vittima” del mercimonio consumato dai suoi uomini sulla pelle dei terremotati. Anzi egli sapeva benissimo che ad esempio in almeno due occasioni l’ex assessore Udeur Ermanno Lisi si è accordato con il responsabile del reparto, il geometra Carlo Bolino, circa l’aumento dell’importo di alcuni lavori; così come sapeva benissimo delle procedure di favore utilizzate da Bolino per l’assegnazione degli appalti a parenti e amici e non si è mai sognato di intervenire e di togliere l’incarico a Bolino. Secondo le confessioni dell’imprenditore Daniele Lago, dalle casse del comune de L’Aquila sarebbe uscita una tangente da un milione di euro destinata a tre boss politici. Lisi, tra l’altro già coinvolto in un’altra inchiesta del post terremoto a L’Aquila, addirittura commentava che il sisma è stato un “colpo di culo... Una fortunosa” occasione per poter far soldi sulla pelle dei morti, dei terremotati e degli sfollati. Infamità che richiamano alla memoria le risate al telefono tra l’imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli e il cognato che già poche ore dopo il sisma pregustavano i grandi affari legati alla ricostruzione. Dunque altro che “bravura e capacità tecniche” di cui ciancia Cialente che evidentemente continua a fare il pesce in barile. L’ennesimo scandalo sul post terremoto a L’Aquila conferma che siamo governati da una banda di criminali che fanno capo a tutte le varie cosche politiche di destra, “sinistra” e centro e che pensano solo al proprio tornaconto e non si fermano nemmeno di fronte ai morti e alle tragedie del terremoto. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI Indirizzo postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI Iscrizione al Roc n. 8292 chiuso il 15/1/2014 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiuolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 - recapito postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze e-mail: [email protected] www.pmli.it interni / il bolscevico 9 N. 3 - 23 gennaio 2014 Secondo Pieczenik, consulente della Cia Gli Usa volevano l’uccisione di Moro per impedire al PCI di accedere al governo con la DC Dal Viminale, durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, un inviato del governo americano per seguire il caso, Steve Pieczenik, manipolò le cose insieme al picconatore golpista Cossiga per favorire l’uccisione dello statista DC da parte delle sedicenti “Brigate rosse”: a rivelarlo è stato lo stesso agente Usa in un’intervista a Giovanni Minoli trasmessa il 30 settembre 2013 su Radio 24, la radio del quotidiano confindustriale Il Sole 24 ore. Obiettivo della manipolazione era evitare la liberazione Moro e costringere le “Br” ad ucciderlo, perché la sua morte sarebbe servita a “stabilizzare il Paese” ed evitare che il PCI potesse andare al governo. Pieczenik, psichiatra, esperto di “gestione di crisi” e controterrorismo, consulente di Kissinger durante la presidenza di Nixon e di tutti i segretari di Stato delle successive amministrazioni Usa, nonché consulente della Cia per la guerra psicologica, nella primavera del 1978 fu inviato a Roma dall’allora segretario di Stato Cyrus Vance per seguire la vicenda del sequestro di Moro, agendo in stretto contatto con l’allora ministro dell’Interno Cossiga, che dirigeva il comitato di crisi incaricato di gestire le ricerche. “Appena arrivato in Italia – racconta nell’intervista - per le strade c’erano continui disordini, continue proteste. Si sparava contro gli avvocati, contro i giudici, c’erano morti in continuazione. Erano tutti concordi che se i comunisti fossero arrivati al potere e la Democrazia cristiana avesse perso, ci sarebbe stato un effetto valanga, gli italiani non avrebbero più controllato la situazione. Gli Stati Uniti avevano un preciso interesse riguardo alla sicurezza nazionale, soprattutto per quanto riguardava l’Europa del sud. La mia preoccupazione era estremamente concreta: Qual era il centro di gravità per stabilizzare l’Italia? A mio giudizio quel centro di gravità si sarebbe creato sacrificando Aldo Moro”. Pieczenik rivela poi che la de- cisione di sacrificare Moro fu presa da lui e Cossiga dopo che nelle sue lettere il prigioniero, preoccupato unicamente di salvarsi la vita, cominciò a lanciare accuse ai dirigenti della DC e minacciare rivelazioni destabilizzanti sullo Stato, il suo partito e i suoi stessi amici: “Quando mi resi conto della sua strategia, dissi: quest’uomo si sta trasformando in un peso, e non in un bene da salvaguardare”, spiega l’agente Usa. Da quel momento anche Cossiga se ne sarebbe convinto, e sarebbe quindi partita la “manipolazione” per provocare la morte di Moro per mano dei suoi sequestratori: cominciando con l’opera di discredito sulle piene facoltà mentali dello stesso Moro attraverso la propagazione dell’idea che le lettere non fossero state scritte da lui, o scritte sotto dettatura, e che il prigioniero fosse drogato o psicologicamente condizionato dai suoi carcerieri. Un altro atto saliente di questa strategia fu la diffusione del falso comunicato delle “Br” che il corpo di Moro si trovava in fondo al lago della Duchessa, “per preparare il Paese alla sua morte” e per far capire ai brigatisti che tutte le ipotesi di trattativa si stavano chiudendo, e che non rimaneva loro che ucciderlo. Tanto che a tale scopo Pieczenik racconta di aver convinto Cossiga a bloccare perfino il tentativo di trattativa del Vaticano, che aveva raccolto un’ingente somma per pagare il riscatto di Moro. A suo dire questa strategia riuscì così bene che se ne tornò in America ancor prima del ritrovamento del cadavere di Moro, perché era ormai sicuro che le “Br” erano cadute nella sua “trappola” e che l’esecuzione del presidente DC era solo questione di settimane. “Rivelazioni” ambigue e reticenti L’intervista a Minoli è stata acquisita dal pm romano Luca Palamara, titolare dell’ultimo procedimento aperto sul sequestro e l’omicidio di Moro, e non si esclu- Roma, 9 maggio 1978, via Caetani. Il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro de che possa chiamare il consulente americano a testimoniare, anche tramite rogatoria internazionale. Del resto Pieczenik non è nuovo a simili dichiarazioni. Già in passato la Commissione stragi aveva tentato inutilmente di chiamarlo a testimoniare. In un librointervista pubblicato qualche anno fa, dall’eloquente titolo “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra”, aveva fatto più o meno le stesse rivelazioni di oggi, che però erano passate stranamente sotto silenzio. A Minoli ha raccontato di essersi deciso a parlare perché sono ormai passati trent’anni e “per dovere verso il popolo italiano”. Ovviamente non c’è da credergli, e bisognerebbe invece capire quale sia il suo vero gioco. Anche le sue “rivelazioni” sono parecchio sospette, reticenti e piene di contraddizioni. Soprattutto perché in ultima analisi tendono a minimizzare il ruolo del governo Usa nella vicenda, limitandone l’intervento alla sola fase finale del sequestro di Moro e solo attraverso Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: IL BOLSCEVICO - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze Fax 055 5123164 e-mail: [email protected] un solo agente, per quanto plenipotenziario. Dalla sua ricostruzione sembra inoltre che la decisione di sacrificare Moro sia stata presa solo da un certo punto in poi del sequestro, quando con le sue lettere stava diventando pericoloso per la “stabilità” del sistema, mentre altrove si accenna al fatto che l’interesse preminente del governo americano era di impedire la salita del PCI al governo insieme alla DC: e chi era l’artefice di questa integrazione del partito revisionista nel sistema di governo se non Aldo Moro, tanto da aver ricevuto le minacce dirette di Kissinger in occasione di un ricevimento a Washington? Dunque se lo scopo era quello di eliminare Aldo Moro per liqui- dare il “compromesso storico” che stava realizzando insieme a Berlinguer, la decisione di farlo fuori era stata presa dal governo Usa ancor prima del suo rapimento in via Fani. Sotto questa luce le rivelazioni di Pieczenik sembrano dirette ad ammettere solo una parte della verità per stornare l’attenzione dal ruolo onnipresente e determinante dei servizi segreti americani in tutta la vicenda: fin dalla sua ideazione, e non soltanto per quanto attiene al suo tragico epilogo. Ma con alcune importanti conferme Tuttavia l’intervista di Piecznik è importante se non altro perché conferma da parte di una fonte diretta alcuni punti che già erano emersi e che noi abbiamo sempre sostenuto fin dal primo momento: e cioè che lo scopo del rapimento e dell’uccisione di Moro era di impedire che il PCI revisionista andasse al governo con la DC, e che questo era un interesse preminente del governo americano, che difatti vi ha giocato un ruolo sicuramente chiave. Tanto è vero che con la morte di Moro è abortita prematuramente anche l’esperienza dei governi di “solidarietà nazionale” propedeutici alla cooptazione del PCI nel governo del Paese, aprendo invece la strada ai governi pentapartito di Craxi e alla seconda repubblica neofascista e piduista. Conferma altresì che il referente diretto in Italia del governo Usa e dei suoi agenti era Francesco Cossiga, in quanto capo della struttura segreta anticomunista “Stay behind” (detta anche “Gladio”), e in stretto contatto con la P2 di Gelli, tanto che guarda caso Pieczenik alloggiava in quei giorni nello stesso albergo Excelsior in cui riceveva il “maestro venerabile”: il che spiega i depistaggi, il mancato ritrovamento della prigione di Moro in via Gradoli (in un appartamento di proprietà dei servizi segreti), e tutti gli altri misteri riscontrati durante e dopo quei 55 giorni di prigionia. E conferma infine che le sedicenti “Br”, che allora cercavano di irretire e ingannare i sinceri rivoluzionari, che noi non ci stancavamo di mettere in guardia, erano invece infiltrate ed eterodirette da tali forze occulte reazionarie, come burattini i cui fili vengono tirati da abili burattinai che si nascondono dietro le quinte, e che recitano soltanto un copione già scritto da qualcun altro e dal finale scontato. Gasparri (FI) accusato di peculato Ha usato 600 mila euro di fondi PDL per stipulare una polizza sulla vita Il 17 dicembre la procura di Roma ha notificato un avviso di conclusione indagini al senatore di FI-PDL, Maurizio Gasparri, accusato del reato di peculato nell’ambito dell’inchiesta inerente la scandalosa gestione dei contributi pubblici erogati ai gruppi parlamentari nella passata legislatura. Secondo i magistrati della Capitale, l’ex fascista ripulito e attuale vicepresidente del Senato, in qualità di presidente del gruppo parlamentare del PDL nella XVI legislatura, si è appropriato - tramite la banca Bnl del Senato - di 600mila euro (fondi del gruppo PDL a Palazzo Madama), utilizzandoli per scopi personali e in particolare per l’acquisto di una polizza vita a lui intestata e i cui beneficiari, in caso di morte dell’assicurato, erano i suoi eredi legittimi. Soldi poi restituiti l’anno successivo – si difende Gasparri – che sostiene di aver riversato al suo gruppo parlamentare il primo febbraio del 2013. Una tesi che non ha convinto gli inquirenti a cominciare dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, dagli aggiunti Rossi e Caporale e dai sostituti procuratori Orano e Pioletti che hanno firmato l’avviso di conclusione indagini: un atto che in genere prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Secondo i Pm, il regolamento vigente all’epoca dei fatti “non prevedeva alcuno specifico obbligo di rendicontazione sugli impieghi dei contributi” ai gruppi parlamentari. Dalle indagini della Finanza, è così emerso che il gruppo PDL al Senato, composto da circa 150 unità, era dotato - in virtù di numerosi dipendenti - di una struttura amministrativa che provvedeva alle spese utilizzando “sistematicamente” denaro contante. In poco più di due anni (2010-2012) il contante prelevato ammonta alla somma di 2milioni e 800mila euro, “da ritenersi considerevole”. Per chi indaga “è certamente singolare che nell’utilizzo di contributi pubblici per siffatti importi, si sia adottata per anni una tale modalità di gestione, scarsamente rispondente ad esigenze di controllo e trasparenza. Ma occorre considerare che tale prassi è stata introdotta e realizzata in un contesto normativo che nella sostanza autorizzava a non tenere alcuna rendicontazione”. 10 il bolscevico / corruzione N. 3 - 23 gennaio 2014 21 gli indagati, tra cui l’ex governatore del Lazio Marrazzo (“centro-sinistra”), per reati che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, alla truffa e al falso ideologico Arrestato il boss delle discariche Cerroni Godeva della protezione di parlamentari e politici della “sinistra” e destra borghese grazie a scambi di favori e a un fiume di finanziamenti come alla fondazione dell’ex ministro verde Ronchi. Aveva regolari rapporti di complicità con esponenti politici come coi PD Fioroni e Realacci. Sequestrati 18 milioni di euro proventi di reati Lo scorso 9 gennaio sette persone sono state arrestate su disposizione del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma Massimo Battistini nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio. Un vero e proprio terremoto giudiziario che ha avuto effetti dirompenti anche nel mondo della politica romana e laziale. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse nell’ambito del procedimento penale - diretto dai pm romani Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia - n. 7449/2008 r.g.n.r., procedimento in cui convergono diversi filoni di indagine sviluppati dal 2008 fino ad oggi, ed a cui ha collaborato anche il pm (pubblico ministero) di Velletri Giuseppe Travaglini. Tra gli arrestati il nome più importante è sicuramente quello del boss dell’immondizia romana e laziale Manlio Cerroni, titolare del Consorzio Laziale Rifiuti (Colari) e di altre imprese che complessivamente fatturano 700 milioni di euro, potentissimo imprenditore legato da decenni con parlamentari e amministratori lo- cali sia di “centro-destra” sia di “centro-sinistra”, di fatto il monopolista nella gestione dello smaltimento dei rifiuti di Roma e del Lazio, e non solo. Proprietario tra l’altro dell’area che ospita la famigerata discarica romana di Malagrotta, la più grande d’Europa, ha per decenni ostacolato e di fatto impedito la diffusione della raccolta differenziata nella capitale. Nell’ambito dell’inchiesta sono 21 i personaggi finiti nel registro degli indagati, sette dei quali finiti in manette: con Cerroni infatti sono state arrestate altre 6 persone, i dirigenti regionali (anche con la giunta Zingaretti PD) Luca Fegatelli e Raniero De Filippis, il manager della Pontina Ambiente srl e della E. Giovi srl società del gruppo Cerroni - nonché stretto collaboratore del re dei rifiuti, Francesco Rando, il direttore della discarica di Albano Laziale, Pino Sicignano, ed il titolare della E. Giovi srl, Piero Giovi. Arrestato anche il politicante borghese Bruno Landi (Nuovo PSI). Per tutti e sette le accuse sono gravissime, ossia associazione a La protetsa degli abitanti della zona contro le discariche di Malagrotta e Valle Galeria delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode in pubbliche forniture, falso ideologico e truffa, con contestuale sequestro di beni mobili ed immobili per 18 milioni di euro. Nella stessa operazione sono state eseguite 22 perquisizioni locali presso i domicili e gli uffici degli indagati, oltre che presso le sedi delle so- cietà coinvolte. Secondo l’ordinanza firmata dal gip (giudice per le indagini preliminari) si trattava di un vero e proprio sodalizio criminale capace di condizionare l’attività di tutti gli enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti nel Lazio, a partire dalla Regione. L’organizzazione faceva ovvia- Calcioscommesse: 4 arresti Truccavano le partite Indagati Gattuso e Brocchi, accusati di associazione a delinquere finalizzata a truffa e frode sportiva Lo scorso 17 dicembre la polizia ha eseguito - per ordine della procura di Cremona che indaga da tempo sul calcioscommesse con l’inchiesta “Last Bet” (ultima scommessa) - quattro ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva tra Milano, Bologna, Rimini e Messina. Agli arresti sono finiti Salvatore Spadaro, Francesco Bazzani, Cosimo Rinci e Fabio Quadri che i magistrati cremonesi ritengono essere il collegamento tra il mondo delle scommesse clandestine, i giocatori e le società di calcio. Oltre ai quattro arresti, ci sono oltre venti indagati, tra cui ex calciatori famosi come Gennaro Gattuso, ex giocatore del Milan e campione del mondo a Berlino, e Cristian Brocchi, ex giocatore del Milan e della Lazio, le cui abitazioni sono state perquisite e che secondo l’accusa erano in contatto con due degli arrestati, in particolare con Francesco Bazzani. Oltre a loro altri otto sportivi, tra calciatori in attività ed ex calciatori, sono finiti sotto indagine: Claudio Bellucci (ex giocatore di Modena, Napoli, Bologna e Sampdoria ed attualmente allenatore giovanile), Davide Bombardini (ex giocatore di Roma, Bologna, Atalanta e Albinoleffe), Leonardo Colucci (ex giocatore di Modena e Bologna ed attualmente allenatore giovanile), Lorenzo D’Anna (ex giocatore del Chievo e oggi allenatore giovanile), Nicola Mingazzini (ex giocatore di Bologna e Albinoleffe, attualmente calciatore al Pisa), Claudio Terzi (giocatore in attività del Siena), Samuele Olivi (ex calciatore di Salernitana, Piacenza e Pescara, oggi al Grosseto) e Fabrizio Grillo (giocatore del Siena). L’accusa per tutti i dieci tesserati è di aver truccato le partite dietro compenso. L’inchiesta cremonese, partita a giugno del 2010, ha già travolto decine di giocatori ed ex giocatori anche di serie A, tra cu Beppe Signori, Cristiano Doni e Stefano Mauri. I magistrati hanno individuato due diverse associazioni, in parte legate tra loro, che avevano il medesimo obiettivo di manipolare le partite di calcio, in modo particolare la prima (che fa capo a Spadaro e Bazzani) impegnata a organizzare le frodi sportive in serie A e la seconda (che fa capo a Rinci e Quadri) che ha avuto come obiettivo l’organizzazione delle frodi su oltre duecento partite di serie B e lega Pro. Per le partite di serie A i magistrati cremonesi ritengono che i calciatori abbiano percepito fino a 25.000 euro a partita, come confermano le intercettazioni telefoniche e il contenuto degli sms tra loro e gli arrestati, mentre agli allenatori andavano fino a 70.000 euro. Dalle intercettazioni emergono anche i nomi di Fabio Cannavaro e Gigi Buffon i quali, pur non essendo indagati, sono comunque finiti sotto la lente di ingrandimento dei magistrati per l’enorme e anomala quantità di denaro (fino a 200.000 euro) da essi impiegata in media mensilmente in scommesse per anni. Le partite che si sospettano essere state manipolate nel 2013 dal gruppo degli arrestati oggi sono 53, di cui quattro di Serie A, che sono Palermo-Bologna e Pescara- Siena giocate il 13 aprile, PalermoInter, giocata il 28 aprile e ParmaAtalanta, disputata il 5 maggio. I marxisti-leninisti da tempo hanno denunciato con forza più volte il marciume e il malaffare che rendono il calcio capitalista non riformabile e legato indissolubilmente con la struttura economica nella quale tale popolare sport si innesta, da ultimo con l’articolo del 13 maggio 2012 intitolato “Questo calcio è da buttare. Va rifondato” che prende le mosse proprio dalla stessa inchiesta “Last Bet” che anche all’epoca portò in carcere altri personaggi sportivi, e non era la prima volta. Non vi sono dubbi infatti che la corruzione e il malcostume che regna nello sport calcistico - al pari della delinquenza, del degrado e del malaffare che ammorbano tutte le istituzioni borghesi - sono una conseguenza diretta del fiume di denaro gestito dalle mani dei privati, denaro che è in grado ormai di comperare tutto, dai calciatori per truccare le partite ai pubblici ufficiali per chiudere tutti e due gli occhi su questo andazzo. mente capo a Cerroni che aveva come suo braccio destro Landi il quale, secondo i magistrati romani, condizionava l’attività dei vari enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti al fine di consentire al gruppo imprenditoriale riconducibile a Cerroni di realizzare e mantenere un sostanziale monopolio nella gestione dei rifiuti solidi urbani prodotti nell’intero Lazio. Per consentire tutto questo ovviamente Cerroni doveva costantemente intrallazzare con esponenti politici borghesi, ed anzi, per assicurarsi di vedere pienamente riconfermata la sua posizione di monopolio, favoriva abbondantemente e finanziava sia la destra sia la “sinistra” borghese. Ed è proprio un nome di “centro-sinistra”, quello dell’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, che fa più rumore tra gli indagati, accusato dai magistrati romani di falso in atto pubblico per l’autorizzazione illegittimamente concessa per la realizzazione del termovalorizzatore di Albano Laziale da parte del consorzio Coema - dietro al quale c’è sempre stato Cerroni dallo stesso Marrazzo il 22 ottobre 2008, ossia quasi quattro mesi dopo che l’uomo politico aveva lasciato l’incarico di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti del Lazio. Altro esponente politico eccellente arrestato nell’ambito dell’inchiesta è Bruno Landi, fedelissimo di Bettino Craxi ed ex presidente della Regione Lazio tra il 1983 e il 1984 e poi ancora tra il 1987 e il 1990, attualmente presidente di FederLazio Ambiente, che ha ricoperto diversi ruoli nelle società di Cerroni da Viterbo a Latina. Landi è stato il punto di contatto con le istituzioni borghesi nella sua doppia veste di collaboratore di Cerroni e di ex politico. Ma i rapporti di Cerroni con le istituzioni non finiscono qui, perché sia nell’ordinanza del gip sia nelle informative dei carabinieri che hanno svolto le indagini, si parla abbondantemente dei rapporti di complicità intrattenuti da Cerroni con gli assessori della giunta Marrazzo di “centrosinistra”, ossia il defunto Mario Di Carlo e Giovanni Hermanin, nonché con parlamentari del PD come Giuseppe Fioroni, Ermete Realacci e soprattutto Edo Ronchi del quale finanziava la fondazione. È chiaro ed evidente ai magistrati romani che il boss delle discariche non avrebbe mai potuto compiere i suoi gravissimi illeciti senza una collaborazione più che attiva con esponenti dei partiti parlamentari che, abbondantemente foraggiati, hanno sempre restituito con gli interessi al magnate della spazzatura i favori ricevuti. L’inchiesta è partita nel 2009, originariamente per iniziativa della procura di Velletri che ha messo sotto osservazione la gestione del polo industriale di Albano Laziale, dove Cerroni, con la società Pontina Ambiente, gestisce una discarica e un impianto di Trattamento meccanico biologico (Tmb) per la produzione di Combustibile derivato dai rifiuti (Cdr): secondo i magistrati di Velletri il combustibile prodotto era sensibilmente di quantità inferiore, rispetto a quanto veniva poi fatto pagare ai comuni che conferivano la spazzatura, semplicemente perché i rifiuti venivano smaltiti in discarica, il tutto ovviamente con notevoli e indebiti profitti lucrati da Cerroni ai danni dei comuni. Da tale verifica sono poi emerse altre ipotesi di reato a carico di Cerroni, tanto da portare l’inchiesta a Roma dove, analizzato in tutte le sue sfaccettature, il metodo imprenditoriale illegale di Cerroni emergeva in tutta la sua evidenza, a cominciare da Malagrotta: venivano acquistati terreni, quindi venivano realizzati gli impianti di smaltimento, prima ancora di ottenere l’autorizzazione definitiva, sulla base di titoli autorizzativi provvisori o sperimentali in modo da indurre o costringere le amministrazioni ad adeguare la situazione di diritto a quella di fatto, con la sciagurata alternativa, nel caso di diniego dell’autorizzazione, di provocare una emergenza rifiuti paragonabile a quella di Napoli. Cerroni sfruttava abilmente le situazioni di emergenza al fine di aggirare l’obbligo di rispetto della normativa nazionale e regionale, nonché di consolidare una posizione di sostanziale monopolio nella Regione Lazio. Per ciò che riguarda il finanziamento illecito ai partiti, un importante contributo allo sviluppo finale dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Cerroni fu dato nel 2008 da Claudio Vittorio Di Francesco, tesoriere del Comitato ‘”Veltroni sindaco - Prestipino presidente”, legato all’allora Margherita e nato per sostenere nel 2006 la candidatura di Patrizia Prestipino al XII Municipio di Roma, che nell’ambito del procedimento penale n. 12203/2008 r.g.n.r. accusò espressamente Manlio Cerroni davanti al pm Caterina Caputo, documentando le accuse, di avere finanziato illegalmente la campagna elettorale del comitato per centinaia di migliaia di euro, in un territorio, quello del XII Municipio romano, particolarmente sensibile alla tematica delle discariche. Accuse confermate un anno più tardi anche dal coordinatore del circolo romano PD del Torrino. PMLI / il bolscevico 11 N. 3 - 23 gennaio 2014 Camminare con le proprie gambe Per orientare la lotta di classe verso la lotta contro il capitalismo per il socialismo c’è un estremo bisogno di un grande, forte e radicato PMLI con una testa e un corpo da Gigante Rosso. Altrimenti le lotte di piazza e le mobilitazioni delle masse continueranno a risentire della mancanza di una chiara strategia per il socialismo, rischiando di cadere sotto l’egemonia dei riformisti, della piccola borghesia o di loschi avventurieri politici. Il radicamento nei luoghi di lavoro, di studio e di vita è la chiave dello sviluppo del PMLI. Protagonisti assoluti sono le istanze di base: le Cellule e le Organizzazioni del Partito, ma anche i simpatizzanti attivi, specie dove mancano i militanti. Come detta lo Statuto del PMLI: “Il Partito cura la sua composizione di classe, nelle sue file possono militare solo gli elementi più avanzati, coscienti e coraggiosi della classe operaia e coloro che con decisione e generosità combattono in prima fila sulle posizioni del proletariato, sono capaci di educare, organizzare e mobilitare il proletariato e le grandi masse popolari italiane contro la borghesia e i revisionisti”. È perciò essenziale che ogni militante del Partito, ma anche ogni simpatizzante attivo, specialmente chi si trova momentaneamente da solo nella propria città ad alzare la bandiera del PMLI, sia consapevole del proprio ruolo e prenda l’iniziativa per sforzarsi di assimilare rapidamente e a fondo il marxismo- leninismo-pensiero di Mao, partendo dallo studio delle cinque opere fondamentali - “Manifesto del Partito comunista” (MarxEngels), “Stato e rivoluzione” (Lenin), “Principi/Questioni del leninismo” (Stalin), “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” (Mao) – e la linea del Partito, soprattutto quella di massa. Al contempo è necessario conoscere le condizioni nelle quali si opera. Nessuno meglio dei compagni residenti può conoscere al meglio la situazione concreta che esiste in un determinato luogo, toccare con mano i problemi delle masse, ascoltare dal vivo le loro aspirazioni e richieste, e quindi calare la linea del Partito in questa realtà. Alle istanze di base spetta l’analisi dei problemi locali e lo studio dei metodi per risolverli. Innanzitutto perché, in generale, è necessario che ogni istanza di base assuma pienamente la propria funzione e sia quindi in grado di individuare e occuparsi autonomamente e con spirito di iniziativa dei problemi che affronta nel corso del proprio lavoro. Tra i compiti delle Cellule fissati dallo Statuto figura proprio quello di “prendere parte attiva alla lotta di classe, legarsi strettamente alle masse, conoscerne i problemi, opinioni e aspirazioni, organizzarle, mobilitarle ed esercitare nei loro confronti una giusta, sicura e riconosciuta direzione politica”. Con la precisazione: “Ogni membro della Cellula deve assolvere ad un preciso incarico nel quadro dell’attività Per il 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale Onoriamo Lenin a Cavriago il 19 gennaio Partecipiamo numerosi Domenica 19 gennaio il PMLI.Emilia-Romagna organizza a Cavriago (Reggio Emilia) in Piazza Lenin una commemorazione pubblica in occasione del 90° anniversario della scomparsa di Lenin. Il ritrovo è alle ore 11. Il discorso ufficiale avrà inizio alle ore 11,30. Lo pronuncerà Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’EmiliaRomagna. Al termine si terrà un pranzo collettivo in un ristorante della zona. Chi fosse interessato a partecipare lo comunichi il prima possibile, anche per consentire la prenotazione al ristorante. Partecipiamo numerosi per rendere omaggio al grande Maestro del proletariato internazionale Lenin! Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo! Con Lenin per sempre contro il capitalismo per il socialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Modena, 28 dicembre 2013. Interesse e discussioni attorno al banchino di propaganda per il proselitismo marxista-leninista. A sinistra il compagno Federico Picerni, Responsabile della Commissione Giovani del CC del PMLI (foto Il Bolscevico) generale dell’istanza”. Allo stesso modo, i simpatizzanti attivi che operano da soli o senza Cellula di riferimento non devono aspettarsi dal Centro la “pappa scodellata” e la risoluzio- ne dei problemi locali, che spetta a loro nella misura in cui vogliono contribuire alla causa pur non militando nel Partito. Ovviamente ciò non significa fare tutto da sé e senza consultarsi con Totalmente d’accordo con “Il Bolscevico” riguardo al “Fronte della gioventù comunista” zata nei loro Paesi, siano perfettamente in linea con se stessi. Non è così. La sola via che conduce al socialismo, è quella che percorrono i veri marxisti-leninisti italiani. Il Partito, aperto a quanti vogliono cambiare il mondo, è quello marxista-leninista italiano. Esso è il solo Partito che si batte contro il capitalismo e per l’Italia unita, rossa e socialista. Quindi, coloro i quali, sbagliando ulteriormente, ritengono di giungere al socialismo, senza raggiungere accordi veri con il Partito marxista-leninista italiano, sono destinati a subire un totale fallimento. Il Partito marxista-leninista italiano è sorto sulla base dell’esperienza del movimento operaio italiano e internazionale, nonché, sull’esperienza della grande Rivoluzione Bolscevica d’Ottobre. Quindi, a ragion veduta, è il Partito che porta avanti gli interessi della classe operaia e di tutti i lavoratori. Esso è il Partito che porta avanti i diritti dei veri comunisti italiani, sotto la guida del compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, al quale auguro lunga vita, esprimendo altresì, fiducia nel suo operato. Cari compagni, care compagne. leggo su Il Bolscevico n. 46 del 26 dicembre 2013 l’articolo che così recita: “Fronte della gioventù comunista” o nuova operazione revisionista? Da vecchio militante comunista, esprimo il mio totale accordo sul giudizio che dà il nostro giornale, in merito all’avvenimento. Sono totalmente convinto dell’errore fatto dalla stragrande maggioranza di coloro che hanno deciso di dare vita ad una organizzazione di giovani comunisti, senza avere fatto una loro necessaria autocritica. Sono altrettanto convinto della estraneità dei principi marxisti-leninisti, con cui gli organizzatori credono di agire per giungere al socialismo. Costoro, sbagliando, credono altresì che imboccare la via, senza fare riferimento ai grandi Maestri, siano essi Stalin o Mao, artefici entrambi della Rivoluzione realiz- il diretto referente politico del Partito quando necessario e sulle questioni più importanti e controverse. Lo stesso vale per le istanze di base, le quali possono e devono consultarsi e centralizzarsi con le istanze superiori in presenza di particolari problemi. Si tratta insomma di imparare a camminare con le proprie gambe, parafrasando una importante indicazione di Mao: “Noi sosteniamo che bisogna contare sulle proprie forze. Noi speriamo di ricevere un aiuto dall’esterno, ma non dobbiamo farcene dipendenti; noi contiamo sui nostri sforzi, sulla forza creativa di tutto il nostro esercito, di tutto il nostro popolo”. Un principio politico-organizzativo valido per tutte le istanze e i militanti, ma raccomandato anche ai simpatizzanti attivi che vogliono dare il loro contributo concreto e maturo alla lotta per l’Italia unita, rossa e socialista. La grave situazione economi- ca del Partito costringe inoltre le istanze locali a reinventarsi e rendersi più autonome anche sul piano economico. Occorre trovare dove stampare il materiale di propaganda, organizzare iniziative come campagne di raccolta fondi che possono essere utili anche alla propaganda generale, e così via. Se ogni istanza di base, ogni militante e ogni simpatizzante attivo cammina stabilmente con le proprie gambe, saremo in grado di dare al PMLI due robuste gambe collettive da Gigante Rosso. Stiamo certi che, attraverso un lavoro mirato, intelligente, continuativo, tenace ma allo stesso tempo sereno e senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà, arriveranno i risultati. Più cureremo la semina, più avremo un raccolto rosso e abbondante. L’importante è non perdere mai le cinque fiducie: nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi. Bernardo Urzì - simpatizzante della Cellula “Stalin” di Catania del PMLI Non so se mi sarà possibile partecipare alla commemorazione di Lenin a Cavriago, comunque vorrei partecipare con voi anche ai vari cortei tipo Roma, Firenze, anche in futuro. Spero di conoscervi presto e venire nelle piazze con voi. Saluti rossi. Sara, Perugia Landini accredita Renzi, sosteniamo la mozione 2 Cari compagni, concordo pienamente su quanto detto dal Partito rispetto all’accreditamento di Renzi da parte del Landini. Una ragione in più per sostenere ancora con più forza, seppur criticamente, la mozione 2 al prossimo Congresso della CGIL. Inoltre, colgo l’occasione per ringraziarvi per l’esaustivo comunicato riguardante la nostra posizione da tenere al Congresso stesso, che mi avete fatto pervenire. Saluti rossi, coi Maestri e il PMLI vinceremo! Andrea, operaio del Mugello Sono stata sempre una vostra simpatizzante Cari compagni, sono stata sempre una vostra simpatizzante. La mia collocazione politica è la vostra. Sono marxista-leninista-stalinista convinta e odio il vaticano e le religioni. Oggi condivido in pieno la linea astensionista da voi consigliata e credo che il PMLI sia l’unico vero Partito italiano non revisionista. La parabola revisionista della Corea Cari compagni, in base ai miei studi universitari ho appreso che negli anni ’80 il Partito del lavoro di Corea sotto Kim Il Sung dichiara di non riconoscersi nel materialismo dialettico; nel 1980 al 6° Congresso toglie il marxismo-leninismo dallo statuto a favore del Juché, chiudendo la parabola nel 2012 quando adotta il “kimilsungismo-kimjongilismo”. Fra gli anni ’90 e 2000 Kim Jong Il, esplicito ammiratore delle riforme cinesi, ne favorisce piccole e limitate imitazioni in Corea e adotta la politica Songun dichiarando che la forza dirigente della rivoluzione non è il partito coreano ma l’esercito. Saluti marxisti-leninisti Fedele Numero di telefono e fax della Sede centrale del pmli e de “Il Bolscevico” Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente: 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo. l i e r a i d u St o m s i x r ma o m s i n i len o r e i s n e p o a di M Comprovato in tutte le situazioni nei cinque continenti e verificato in mille e più battaglie, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una potente arma, ma se non lo si studia e non lo si applica è un’arma scarica, da museo. Tutti i rivoluzionari italiani, specie i marxisti-leninisti, hanno perciò il dovere di studiarlo e applicarlo. Più a fondo andranno in questo studio, più contributi apporteranno alla nobile causa del socialismo. Non bisogna mai stancarsi di studiarlo e ritenere di conoscerlo a sufficienza. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e poi c’è bisogno di tenerlo fresco nella memoria. Non potremo mai avere una concezione proletaria del mondo se non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Anche se fossimo dei bravi organizzatori, oratori, trascinatori, scrittori ma non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non faremo nemmeno il solletico alla borghesia e ai falsi amici del proletariato e delle masse. Gli operai coscienti, avanzati e combattivi, in primo luogo, devono studiarlo perché essi devono essere la testa e la colonna vertebrale del Partito, coloro che devono dirigere anche la lotta ideologica all’interno e all’esterno del Partito. Studiare costa tempo, fatica e rinunce, specie agli operai e ai lavoratori che concludono la giornata spremuti come limoni dai capitalisti. Eppure bisogna studiare, costi quel che costi per essere sempre in prima linea nella lotta di classe e con posizione d’avanguardia marxiste-leniniste. Le opere dei nostri maestri riempiono decine e decine di volumi, 44 soltanto per Lenin, è quindi molto difficile riuscire a leggerle tutte. Il nostro Partito ne ha selezionate cinque, ritenendole fondamentali per trasformare il mondo e se stessi. Esse sono: Marx ed Engels “Il manifesto del Partito comunista”, Lenin “Stato e rivoluzione”, Stalin “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo”, Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”. Queste opere sono state ristampate dal PMLI. Tutti i rivoluzionari, cominciando dai massimi dirigenti del PMLI, dovrebbero tenere bene a mente questa esortazione di Mao: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi. Prendete nota di queste tre parole: ‘fare’, ‘duri’, ‘sforzi’. Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso alcuni compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare a carte o a mahiong e per ballare: questa, secondo me, non è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un’abitudine. Che cosa studiare? Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c’è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po’. C’è il giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui bisogna intendersi un po’. Per farla breve, le discipline sono molte e bisogna almeno farsene un’idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no!? Gente come noi in che cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle? (Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, [9 ottobre 1957], in Rivoluzione e costruzione, Giulio Einaudi Editore, p. 680). Giovanni Scuderi, “Mao e le due culture” discorso pronunciato il 16 settembre 2001 a Firenze per il XXV Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale, in Giovanni Scuderi Opuscolo n. 9, pagg. 67-69, www.pmli.it/scuderimaoeledueculture.htm cronache locali / il bolscevico 13 N. 3 - 23 gennaio 2014 Renzi doppia faccia: critica il prelievo forzoso agli insegnanti ma ha fatto lo stesso con i dipendenti comunali A gennaio 2013 chiesta ai lavoratori di Palazzo Vecchio una restituzione da 100 a 300 euro mensili Redazione di Firenze Il rampante Matteo Renzi, superattivo nel ruolo di segretario del PD, nella sua opera di imbonitore borghese ha rivelato appieno la sua doppia faccia sostenendo, in un tweet, che il governo non può chiedere i soldi indietro agli insegnanti. Ma proprio lui a gennaio 2013 ha fatto la stessa cosa con i dipendenti comunali di Fi- renze ed è stato prontamente smascherato dalla RSU dei lavoratori di Palazzo Vecchio. Renzi infatti con una lettera di quasi un anno fa ha “messo in mora” i dipendenti comunali per scaricare su di loro l’onere di un presunto danno erariale di decine di milioni di euro causato, secondo il ministero delle Finanze dell’allora governo Monti e la Procura della Corte dei Conti, dalla lievitazione, nel corso degli ultimi 10 anni, del fondo per il salario accessorio del Comune di Firenze, da cui sono prelevate indennità, incentivi e altre voci legate ai contratti integrativi (vedi Il Bolscevico n. 6/13). L’indagine della Corte dei Conti è ancora in corso e se verrà riconosciuto il danno, secondo il neopodestà fiorentino, esso dovrà essere rimborsato effettuando tagli consistenti agli stipendi dei lavoratori da qui al 2028 recuperando circa 3 milioni l’anno per un totale di 46 milioni di euro. Un autentico salasso per migliaia di lavoratori che vedrebbero decurtate dalla busta paga mensile cifre variabili tra i 100 e i 300 euro. I lavoratori del comune di Fi- renze sono in lotta da un anno con assemblee e scioperi, e ora gli ascari di Renzi, come la vicesindaco Stefania Saccardi, alzano gli scudi in sua difesa, sostenendo che i “Cobas mentono” e che fra le due vicende non ci sono termini di paragone, ma non possono nascondere che alla prova della pratica Matteo Renzi si è rivelato il sindaco che ha tartassato i di- pendenti comunali, azzerato come Marchionne le relazioni sindacali, impegnato a svendere e privatizzare il patrimonio comunale, il più contestato dai dipendenti da decenni, talmente inviso da costringere anche i sindacati confederali e in particolare la CGIL, storicamente dedita alla concertazione con le amministrazioni di “centrosinistra” a prendere posizione. A MILANO I SENZATETTO AUMENTANO VERTIGINOSAMENTE Uno su due arriva da altri comuni e dal Sud Italia Redazione di Milano Nella città che ospiterà Expo 2015 i senzatetto sono sempre di più e circa la metà di questi arrivano da altri comuni dell’hinterland, ma anche dalle regioni meridionali. Questo emerge dalle statistiche del Comune di Milano riguardanti 3mila senzattto censiti: il 46% non sono residenti a Milano ma in altri comuni, soprattutto lombardi, non hanno una residenza, pur essendo italiani, perché l’hanno persa o perché il Comune di origine gliel’ha tolta in quanto senzatetto. Senza residenza non si ha un’assistenza sanitaria e sociale continuativa (per ciò che di essa è rimasto): è forte il sospetto, quindi, che la decisione dipenda proprio dal non volersi fare carico delle fragilità estreme della popolazione. Se da un lato una parte di costoro vengono a Milano per la presenza di molti servizi offerti dal volontariato, quali mense (solo quelle principali servono 5.500 pasti al giorno) e dormitori, molti non richiedono assistenza per paura della condizione di clandestinità in cui si trovano. Nelle statistiche aggiornate quotidianamente dall’assessorato al Welfare il 55%, oltre la metà, sono senza dimora da meno di un anno. Una quota, sicuramente, è fatta dai profughi - la situazione dei siriani, dopo i bagliori dei flash dei primi mesi, non è cambiata - che, una volta finiti i programmi di protezione umanitaria, entrano di diritto sotto la voce dei senza dimora. Tantissimi sono diventati senzatetto nell’ultimo anno perché la crisi Milano, due senza tetto hanno trovato rifugio nella sede di uno sportello bancario ha portato la perdita del lavoro e poi, di maceria in maceria, della famiglia e della casa: gli italiani senzatetto sono aumentati del 25% nel giro di un anno. “Noi ci occupiamo dell’accoglienza e continueremo a farlo, convinti che per ragioni umanitarie e civili sia giusto farlo: ma chiediamo, viste le difficoltà e le ri- chieste sempre maggiori che ci arrivano anche da fuori Milano, che questo ci venga riconosciuto con risorse straordinarie dal governo e dalla Regione”. Così parla l’assessore al Welfare, il PD Pierfrancesco Majorino. “Manca qualsiasi coordinamento tra i comuni dell’area metropolitana sulle politiche socia- li, mentre c’è sull’ambiente, sui trasporti: è naturale che sia Milano a farsi carico dei bisogni più degli altri, ma c’è bisogno che ognuno faccia la sua parte. Inviteremo i sindaci al Forum del Terzo settore per mettere su questo coordinamento. Il paradosso è che mentre noi abbiamo istituito l’indirizzo per la residenza anagrafica dei senzatetto in zona 1, altri comuni lo eliminano. È una corsa a chi è più ostile a cui non parteciperemo”. La cosa giusta da fare però non è “occuparsi dell’accoglienza”, servizio scaricato peraltro ai privati del “terzo settore” che sfrut- tano a costo zero lo spirito di altruismo dei volontari e che sono tutt’altro che all’altezza di tale compito, né creare anagrafi, ma risolvere alla radice l’emergenza; anzitutto rimunicipalizzando le aziende di servizi e impedendo ulteriori privatizzazioni formando e creando posti di lavoro stabili, a tempo pieno e sindacalmente tutelati per tutti, garantendo poi il diritto alla casa a tutti con un cospicuo finanziamento da parte del governo alla politica abitativa (i soldi ci sono, per Expo, Tav, spese militari, ecc… ne hanno trovati assai), con la requisizione degli edifici sfitti da più di un anno da parte del Comune, che a sua volta li affitterà a prezzi popolari, con cospicui contributi economici per ristrutturare le vecchie abitazioni dati alle famiglie che possiedono una sola casa e con l’abrogazione della legge Zagatti 431 del 9 dicembre 1998 sulla liberalizzazione degli affitti. In ogni caso questa situazione è frutto del capitalismo e delle conseguenze della sua politica finalizzata al perseguimento del massimo profitto; pertanto questo sistema va abbattuto dalle masse lavoratrici e popolari e sostituito col socialismo, la cui politica è il profitto collettivo, ottenuto con la piena occupazione lavorativa di tutti, come mezzo per soddisfare di diritto i bisogni del popolo come quelli di avere una dimora e di usufruire di un servizio sanitario universale, pubblico e gratuito estirpando così alla radice le cause della miseria. Makhno, l’anarchismo al servizio della controrivoluzione ucraina di Eugen Galasso L’Ucraina torna in “auge”, nei mass-media (ovviamente inclusi i siti Internet, come ci è stato giustamente ricordato durante la bellissima commemorazione di Mao, lo scorso 8 settembre), giornali italiani e in genere europei (quelli italiani sono totalmente “infeudati”, dalla destra di “il Giornale” alla pseudo-sinistra revisionista de “il manifesto” e “Il Fatto Quotidiano”, per non dire di mensili “radical-chic” come “Internazionale”, ma anche in Francia e Germania le cose non vanno meglio, con gli scivolamenti a destra di “Le Monde Diplomatique” e di “Konkret”, mentre in Spagna “El Paìs” e “El Paìs Semanal” suonano una grancassa “progressista” in stile scalfarianvisettiano) per i recenti movimen- ti di piazza ispirati da “Svoboda”, il nazionalismo di estrema destra ora, certo strumentalmente “filoeuropeo”, con la distruzione della statua di Lenin, chissà perché ancora formalmente onorata dal duo iper-revisionista al potere in Ucraina Viktor Janukovic (presidente della Repubblica)-Mykola Azarov (Primo ministro), distruzione promossa notoriamente dal citato gruppo neo-nazista. Ma la tradizione di estrema destra in Ucraina, non è cosa nuova, anzi: a parte la serpeggiante polemica anti-russa e poi anti-sovietica, fortissima quando l’URSS era socialista e non ancora revisionista, un po’ “silenziata” in epoca revisionista, appoggiata dall’indottrinamento delle masse contadine da parte della Chiesa Uniate, chiesa greco-cattolica, anche l’opera dell’anarchico ucraino Nestor Makhno (1889-1934) è segno di profonda corrosione della Rivoluzione d’Ottobre, già fin dai primi mesi. Notoriamente Makhno, come tutti gli anarchici, era ferocemente avverso al bolscevismo, ma anche a un partito vagamente “di sinistra”, ma giustamente considerato di tendenza anarcoide se non anarchico come quello dei “Socialisti rivoluzionari”, inclini alla pratica individuale degli attentati (di sinistra, vista la scissione originaria tra una componente “di destra” e una “di sinistra”, per cui i cosiddetti “Socialisti rivoluzionari” erano divisi in due partiti; una tipica esponente di tale partito in Russia era Marija Alexsandrova Spiridinova, 18841941), fin dallo scoppio della Rivoluzione. Makhno, che da ragazzo aveva lavorato come contadino per i ricchi “kulaki” tedeschi che detenevano le terre nella zona in cui nacque, era interessato solo agli interessi dei contadini, per nulla a quella degli operai, dei soldati, degli studenti. Giustamente bollato anche come anti-semita (nonostante che la questione, in sede storiografica, sia ancora dibattuta), fu da sempre un impedimento all’affermazione della Rivoluzione bolscevica in Ucraina. Se è vero che lottava contro Denikin, il comandante dell’Armata bianca anticomunista (Petljura) sostenuta dalle truppe austro-germaniche, Makhno non da meno si batteva contro il governo dei Soviet, secondo lui dominato dalla “cricca bolscevica”. Tra le sue azioni, sempre e solo controrivoluzionarie, merita concentrarsi solo su una, probabilmente la più significativa ed emblematica: l’opposizione durissima al trattato di Brest-Litovsk, che il 3 marzo 1918 sigla la fine della guerra per l’URSS, rispondendo a uno dei tre principi enunciati da Lenin: “La pace ai popoli” (gli altri due erano “La terra ai contadini” e “Il potere ai soviet”). Leggiamo, proprio, ne “Il Bolscevico”, dello scorso 2 gennaio 2014, a pag.13, dalle “Memorie” di Wang Li, riferite al 26 dicembre 1966, 73esimo compleanno del Grande Maestro e Timoniere, delle “ripetute critiche all’anarchismo” del Presidente Mao. Da non dimenticare mai, come principio generale: ho cercato di fornirne, in breve, un esempio, riferito a una situazione specifica ma importante nel corso del divenire storico della Rivoluzione, frenata ma per fortuna allora non interrotta, da un personaggio modesto ma influente della realtà ucraina. Certo, ancora per ricordare l’insegnamento dei Maestri, sarebbe un esempio di “idealismo storico” fermarsi alle invidualità non guardando alle masse popolari, quando invece sono queste ultime a fare la storia, ma concentrarsi su alcune figure tipiche può servire, per brevità, per riassumere un processo in corso. Difficile peraltro, definire l’anarchismo come “revisionismo” (di destra o di sinistra), in quanto estraneo (e ferocemente avverso da sempre) alla tradizione marxista-leninista, ma non c’è dubbio che all’azione definita “makhnovista” nell’Ucraina dei mesi immediatamente successivi abbiano partecipato elementi revisionisti. Con conseguenze, appunto, per fortuna non fatali ma indubbie pietre d’inciampo al processo rivoluzionario. 14 il bolscevico / cronache locali N. 3 - 23 gennaio 2014 Riflessioni e sensazioni del protagonista di un viaggio nel cuore del capitalismo e dell’imperialismo USA: la realtà che stride con la propaganda filo statunitense Ho visto l’America quella vera È passato un po’ di tempo ma il ricordo del primo viaggio è tuttora vivido nei miei ricordi: un’esperienza che è rimasta impressa nella mia coscienza e ha persino influenzato grandemente il mio modo di vedere il mondo e di pensare. Vorrei qui dare qualche sonoro colpo di martello sull’immensa falsità mediatica e culturale che è sparsa per elogiare gli USA in quanto tali. A circa dieci anni ero in viaggio coi miei genitori in America: i miei sono da sempre grandi viaggiatori e amano allontanarsi per vedere da vicino com’è la vita altrove. Ricordo bene che l’impatto con gli USA fu duro e travolgente e non in senso positivo: arrivammo all’aeroporto di New York a notte fonda, riuscimmo a salire per caso su di uno di quei taxi gialli e giganti che abbiamo visto in chissà quanti film. Io ero seduto dietro con mia madre e la prima cosa che mi colpì fu che la parte anteriore dell’abitacolo era divisa dal posteriore da una pesante parete di plexiglass. Mi diede subito una sensazione di claustrofobia. Papà continuava a chiacchierare col tassista, un uomo di colore grosso e simpatico con cui non doveva esser difficile fare amicizia. In America è facile legare con molti, lo capii subito ma la ragione la compresi solo più tardi: è la solitudine tipica delle metropoli e di paesi spersonalizzati e ultracapitalisti, la ragione che ho potuto intuire solo crescendo. Il tassista ci aveva dato qualche “dritta”: la mattina tutti i newyorkesi sono preda di frenesia, i ristoranti a pranzo sono quasi deserti e il momento migliore per godersi la città è nel primissimo pomeriggio ma era indispensabile evitare di muoversi la sera dopo le 19. Come in un racconto del terrore, a quell’ora la città si popolava di persone diverse dalla conformistica folla urbana del mattino e il silenzio poteva esser interrotto dalle urla di ubriachi o tossicodipendenti nelle vie laterali dei grandi viali metropolitani. Ci volle poco affinché trovassi conferma dell’assoluta veridicità delle parole del tassista. Spesso la sera decidevamo di “fare la spesa” in uno store aperto 24 ore, situato dietro un angolo nelle strade vicine al nostro hotel. Era un posto pieno di luce e una tv via cavo sempre accesa che strideva col buio e il silenzio delle strade del centro. Una sera capitò che un poliziotto fuori dal negozio ci fermasse in modo duro e autoritario. Chiese i nostri documenti e riferì a mio padre che la notte, sebbene fossimo in un quartiere prospiciente a Central Park nel cuore di New York, quelle strade erano pericolosissime e frequentate da “urban men” normalmente bazzicanti i vicoli laterali fra i grandi edifici neri e scuri di vetro e cemento. Questi tizi erano pericolosi come una pantera (testuali parole del poliziotto) e se ci avessero agguantati sarebbero iniziati i guai. Spaventati, rientrammo quasi correndo in camera. Ultimo ricordo di quel viaggio fu un fatto orribile cui ci capitò di assistere mentre passeggiavamo per una delle vie centrali di Manhattan quando, dietro un angolo, trovammo un ragazzo e una ragazza seminudi e avvolti in un impermeabile: erano pallidissimi, tremavano e avevano gli occhi sbarrati. Ero impietrito: mio padre, essendo medico, li soccorse come meglio poteva. Ricordo bene e con disgusto che la folla continuava a superarli, indifferenti. Fummo solo noi a fermarci e l’ambulanza arrivò dopo la telefonata di mio padre: ancora non sapevo però che negli USA devi essere assicurato e danaroso per avere il “lusso” di esser curato e spesso neanche basta. Il secondo viaggio risale a qualche anno fa, avevo ventuno anni, ed ero sempre con i miei genitori e un mio grande amico. Fu un viaggio lungo, fatto in auto e che ci ha permesso di vedere molte cose che generalmente non puoi vedere se arrivi in aereo. Il viaggio iniziò da Boston e da lì ci spostammo in Vermont, poi a Buffalo vicino alle Cascate del Niagara, quindi a Pittsburgh in Pennsylvania, a Philadelphia e per finire a Hartford nel Connecticut passando solo di mattina a New York. Abbiamo sempre dormito, a parte a Boston, in motel e alberghi trovati a caso e così posso dire di non essermi distaccato tanto dalla realtà quotidiana degli americani. Spesso io e il mio amico gira- vamo da soli anche la sera e così abbiamo spesso provato sulla nostra pelle varie e strane sensazioni che confermano la tesi generale che gli USA sono forse affascinanti ma di sicuro non un bel posto dove vivere se si è lavoratori, onesti e senza molti quattrini. A Boston ebbi l’occasione di parlare, fuori da uno dei loro bar, con i lavoratori della “Dunkin’ Donuts” in sciopero fuori da uno dei loro bar contro i licenziamenti e i continui tagli ai salari: non ho mai trovato donne e uomini così disponibili e aperti nell’accogliere le idee di eguaglianza nonché giustizia sociale come gemmo su un cartello, della città che aveva “donato” più carne da cannone in quasi tutte le guerre degli Stati Uniti. Qualcosa di raggelante e deplorevole ci risalì sino in gola; ovunque, in qualsiasi negozio o bar ma anche nelle strade, c’erano uomini massacrati dalle guerre: senza una gamba, con le mani paralizzate, oppure con la faccia sfregiata e la schiena curva. Era uno spettacolo raccapricciante e a ciò si univa la desolazione di interi isolati con negozi chiusi, sporcizia e abbandono. All’uscita della città, brillava sulla facciata di un palazzo un’insegna oro e argento con simboli massonici e la scrit- Una recente manifestazione contro la povertà in USA qui. Arrivai davvero a esporre le idee tipiche di un marxistaleninista e loro continuavano a sostenermi, ad apprezzare ogni mia singola parola: forse perché qui, al centro del paese capitalista e imperialista più potente, lo sfruttamento è ancora più forte e l’oppressione ancor più violenta. Per il resto del viaggio io e il mio amico boicottammo la “Dunkin’ Donuts”. Ci sembrava poco ma indispensabile. Nello stato di New York, nel bel mezzo di colline boscose e paesaggi mozzafiato, ci fermammo nella cittadina di provincia di Butler: si trattava, da come leg- ta “Masonic Union of Butler” o una cosa simile. Restammo senza parole. A Buffalo, dopo le ore 20 le strade del centro erano deserte per quella sorta di osceno coprifuoco. A Pittsburgh andammo in una piazza centrale, famosa perché appare in qualche film. Anche qui la desolazione era totale: la famosa “vita notturna” delle città yankee è pura propaganda o relegata a qualche pub o via sicura e chiusa al traffico. Sino in albergo fummo seguiti da poliziotti: il clima che si respira da quelle parti è pieno di tensione pronta a esplodere com’è giusto che sia. La guerra fra bande mafiose continua BARI IN balia dei CRIMINali e LE ISTITUZIONI BORGHESI LATITANO Dal corrispondente della Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Bari Il nuovo anno ha avuto inizio a Bari con il rumore dello sparo di una pistola. La guerra fra bande mafiose rivali, ringalluzzite dall’ennesima grave crisi del sistema capitalista e dall’assoluta assenza delle istituzioni borghe- si, continua a terrorizzare l’intera città. Un ventenne pregiudicato, Michele Sciacovelli, è stato ferito qualche sera dopo la notte di capodanno, al Quartiere “S. Paolo” con due colpi d’arma da fuoco: colpito dai proiettili sulla parte bassa della schiena mentre era sul motorino è riuscito a raggiungere da solo l’ospedale dove è stato soccorso e cura- Ho dimenticato di dire che già dall’atterraggio notai che tutti i lavori più umili e manuali erano appannaggio totale di afroamericani e ispanici: dal netturbino sino alla donna che lucida il corrimano nei corridoi dell’aeroporto di Boston. A Philadelphia le cose sembravano esser diverse. Di pomeriggio la strada principale nei pressi della “Liberty Bell” è candida e frequentata da bambini. Calata la sera, tutto ci sembrò tetro e senza speranza; non c’era più nessuno neanche nelle vicine stradine. Una luce da lontano, in una delle traverse, ci attirò: camminammo per qualche mi- to. Il giovane delinquente ha affermato di esser stato sparato in viale Europa ma, sul posto, non è stato possibile trovare alcuna traccia dell’agguato, neanche un bossolo. Al “S. Paolo” è in atto, ormai da tempo, una lotta truculenta fra famiglie mafiose per poter determinare il predominio assoluto sul traffico di droga: le forze dell’ordine, colpite anch’esse dai tagli, non tutelano in alcun modo le masse e i politicanti borghesi – chissà perché – sono assolutamente silenti di fronte a tali gravi fatti di sangue. La guerra criminale è puro panico per la popolazione visto che tutti possono rischiare di essere colpiti da proiettili vaganti. nuto nell’oscurità più completa e arrivammo nella locale “China Town”. Qui non c’era neanche un occidentale. Nei ristoranti solo cinesi, così come nei bar o per strada e nei negozi aperti 24 ore; la stragrande maggioranza dei film e dei giornali era in cinese. La tanto decantata unione delle culture è una bufala bella e buona: qui la segregazione nei fatti c’è eccome. La notammo anche fuori dal centro quando, rien- trando in auto in albergo, vedemmo interi quartieri abitati solo da afroamericani. Ci accoglievano sempre calorosamente e volevano spesso parlarci, chiedendoci di come fosse da noi: siamo sempre stati sinceri raccontando la nostra cruda realtà. In questi come in altri quartieri suburbani assistemmo a un altro spettacolo raggelante: casa dopo casa notavamo delle candele accese dietro le finestre nel cuore della notte. Ci spiegarono che si trattava delle case di famiglie con soldati in guerra: lasciano una candela accesa aspettando che tornino vivi dal fronte. Eravamo quasi commossi per le sofferenze che patisce un intero popolo per le smanie imperialistiche dei governanti yankee. A Hartford: il solito vuoto del centro cittadino ci aveva ormai annoiato: rientrammo in motel, dopo aver fatto un giretto a piedi. Hartford è la città in cui nacque la Colt o la Smith & Wesson, è necessario ricordarlo. La mattina dopo il telegiornale locale annunciava che c’erano stati due morti a Hartford la sera prima, a causa di una sparatoria, mentre noi ce ne andavamo in giro … In chiusura posso solo affermare che il centro dell’imperialismo USA, di cui l’Italia capitalista è solo la periferia, è come una di quelle strutture usate nei film sul vecchio West: a una prima occhiata sembra tutto vero e reale nonché affascinante ma basta sbirciare all’interno e si capisce che si tratta solo di una struttura di legno e cartone. L’America è così: la povertà, la segregazione, la solitudine l’emarginazione e l’ingiustizia sociale, che sono i crimini maggiori commessi dal capitalismo e dall’imperialismo americano, sono prodotti nazionali come la Coca Cola, il burro d’arachidi e le automobili enormi. Dovremmo smetterla forse di importare certa roba da noi: la povertà, le ingiustizie sociali e l’emarginazione già ce le fornisce il capitalismo nostrano. Vittorio, via email Richiedete opuscolo n. 16 Le richieste vanno effettuate a: PMLI [email protected] indirizzo postale: PMLI Via Antonio del Pollaiolo, 172a 50142 Firenze esteri / il bolscevico 15 N. 3 - 23 gennaio 2014 Cambogia La polizia spara sugli operai tessili in sciopero La lotta è per il raddoppio della misera paga e per migliori condizioni di lavoro Dall’ultima settimana dello scorso dicembre decine di migliaia di operai tessili, guidati dai due principali sindacati del paese, sono scesi più volte in piazza a Phnom Penh, bloccando la circolazione e assediando il ministero del Lavoro per avere consistenti aumenti salariali e per migliori condizioni di lavoro. Il governo del rinnegato Hun Sen ha tentato di far cessare la protesta con una misera offerta di aumenti salariali e poi ha inviato la polizia a sparare sui manifestanti anche per impedire che la lotta dei lavoratori possa unirsi alla protesta delle opposizioni, che denunciano brogli e contestano i risultati del voto dello scorso luglio vinte di stretta misura dal suo partito al potere da 28 anni. Da quando, appoggiato dai revisionisti vietnamiti, distrusse l’esperienza socialista del Kampuchea Democratico diretto dal compagno Pol Pot e ripiombò il paese sotto capitalismo. La situazione attuale ne evidenzia gli amari frutti per i lavoratori e le masse popolari cambogiane. I sindacati di categoria avevano organizzato la forte protesta degli operai tessili a sostegno della richiesta del raddoppio del misero salario minimo, dagli attuali 80 dollari a 160 dollari al mese. Un aumento necessario per garantire migliori condizioni di vita agli operai e alle loro famiglie, molti lavoratori sono costretti a pagare dai 30 ai 60 dollari al mese per l’affitto di una sola stanza nelle baracche dei quartieri dormitorio costruiti nella periferia della capitale presso le zone industriali. Nella manifestazione del 27 di- cembre decine di migliaia di operai bloccavano le vie di accesso al ministero del Lavoro e affrontavano col lancio di sassi e molotov la polizia che cercava di disperderli. Il bilancio degli scontri era di una decina di feriti e altrettanti lavoratori arrestati. Il governo prometteva un aumento del salario minimo da 80 a 95 dollari al mese; una proposta ritenuta insufficiente dai sindacati e dai lavoratori che continuavano le proteste. La mobilitazione dei lavoratori tessili si estendeva e minacciava di paralizzare l’industria manifatturiera del paese, fra le più importanti con oltre 650 mila occupati e un giro di affari di oltre 5 miliardi di dollari che copre oltre l’80% delle esportazioni cambogiane; esportazioni verso l’Unione europea e gli Usa cresciute a dismisura negli ultimi anni che hanno garantito crescenti profitti ai capitalisti cambogiani permettendo loro tra l’altro di sfilare fette di mercato ai pur potenti concorrenti capitalisti cinesi. Le quasi 600 fabbriche tessili cambogiane, delle quali quasi 400 sono nella capitale Phnom Penh, producono a bassissimi costi per le principali multinazionali del settore dall’Adidas a Calvin Klein, Clarcks, Levi’s, Nike, Puma, Reebok e per numerose marche cinesi e di Hong Kong. Nella capitale le manifestazioni operaie si affiancavano a quelle dei sostenitori del principale partito di opposizione, il Partito di salvezza nazionale, che da mesi avevano costruito un accampamento di tende e baracche nel Parco della Libertà, da dove il 29 dicembre era partito il corteo degli oltre 100 mila manifestanti, lavoratori, contadini, monaci, che protestavano contro il Partito del popolo di Hun Sen chiedendo le dimissioni del premier e una nuova tornata elettorale. Il regime del rinnegato Hun Sen vista fallire la tecnica della carota ha impugnato il bastone inviando le squadre speciali della polizia a sparare sui lavoratori in sciopero. Già il 2 gennaio le squadre speciali della polizia scioglievano con la forza un corteo di protesta alla periferia di Phnom Penh arrestando una quindicina di persone fra le quali cinque monaci buddisti. Gli arrestati erano rilasciati la sera stessa dopo che migliaia di manifestanti avevano bloccato una delle principali autostrade che collegano la capitale chiedendo la loro liberazione. I corpi speciali della polizia entravano in azione anche il 3 gennaio e sparavano sul corteo dei lavoratori; al termine degli scontri il pesante bilancio era di 4 morti, almeno 10 i feriti e più di una ventina di manifestanti arrestati. Il pugno di ferro usato sui lavoratori in sciopero si abbatteva il 4 gennaio anche suIl’opposizione; toccava all’esercito il compito di sgomberare e distruggere l’accampamento nel Parco della Libertà a Phnom Penh. Mentre l’Onu, che ha sostenuto Hun Sen nel ripristinare la “democrazia borghese” nel paese, faceva sentire un flebile vagito lamentandosi per “l’uso eccessivo” della forza contro i lavoratori. Ipocrisia imperialista. Misure fasciste di Rajoy Vietato protestare in Spagna No alle manifestazioni davanti ai palazzi istituzionali e multe a chi insulta i poliziotti Il governo di Mariano Rajoy ha preparato a fine dicembre il testo di una nuova legge che prevede misure fasciste per impedire le proteste di piazza, vietando in particolare qualsiasi manifestazione davanti ai palazzi istituzionali, dai cortei ai semplici sit in. Divieti accompagnati da pesanti multe a chi insulta o fotografa i poliziotti. Se questa legge fosse già stata in vigore non sarebbe stata possibile la nascita in quelle forme del movimento degli indignados, costruito attorno alle iniziative organizzate dalla tendopoli che per settimane occupò la Puerta del Sol a Madrid nel 2011, come le manifestazioni del gruppo “circondiamo il congresso” che ha fatto sentire la sua voce assediando le sedi delle istituzioni e le innumerevoli contesta- Aumenta del 5% le spese militari Riarmo imperialista del Giappone Il governo di destra di Shinzo Abe lo scorso 17 dicembre ha dato il via libera a spese per quasi 25 miliardi di yen, 175 miliardi di euro, che nei prossimi 5 anni doteranno le forze armate del paese di aerei senza pilota (droni) e aerei a decollo verticale comprati negli Usa, elicotteri per il trasporto truppe, missili, veicoli anfibi e sottomarini allo scopo di rafforzare la capacità di difesa del Giappone in particolare nei territori delle isole dell’ovest e del sud dell’arcipelago. Un riarmo imperialista che straccia di fatto la stessa costituzione del paese che vieterebbe la creazione di forze armate se non a scopo di ”autodifesa”. Per aggirare l’ostacolo costituzionale il governo Abe ha parlato appunto della necessità di meglio difendere l’arcipelago nipponico e in particolare le isole SenkakuDiaoyu, controllate dal Giappone ma rivendicate da Pechino e al centro, negli ultimi mesi, di una esibizione dei muscoli militari tra i due vicini paesi imperialisti con la partecipazione non casuale di quello americano. La ragione del riarmo imperialista del Giappone sta scritta a chiare lettere nel nuovo documento di Phnom Penh, 3 gennaio 2014. Gli scontri degli operai tessili contro la polizia del regime durante le manifestazioni di protesta per salari più alti e migliori condizioni di vita e di lavoro sicurezza prodotto dal governo di Tokyo dove il governo Abe enfatizza l’importanza della solidità delle relazioni con gli Stati Uniti per limitare la crescente influenza militare cinese nella regione. L’imperialismo americano ha spostato il baricentro della sua iniziativa nel Pacifico per contenere il suo principale concorrente, quel socialimperialismo del rinnegato Xi Jinping che sta sviluppando il suo arsenale militare di pari passo con lo sviluppo dei suoi appetiti economici e militari nella stessa area. E così il Giappone di Abe non sta alla finestra a guardare ma punta a fare la sua parte anche con una politica di riarmo. A conferma che il Pacifico è diventata l’area del confronto tra le economie più forti del pianeta, un confronto finora solo economico, in attesa di diventare anche militare. Il governo Abe, con la complicità e le sollecitazioni degli Stati Uniti di Obama, riarma il paese e apre una strada che potrebbe portare alla piena ricostituzione di un esercito e forze armate regolari, che già esistono, per poter assolvere al compito di diventare intanto un freno alle ambizioni di Pechino. zioni sociali di denuncia degli effetti della pesante crisi economica sulle masse popolari. Secondo il governo di destra spagnolo la protesta delle masse non dovrebbe in nessun modo “disturbare” l’operato di governo e parlamento, dei ministeri o delle assemblee regionali, neanche collocando striscioni o bandiere sugli edifici, e dovrebbe essere il più possibile irreggimentata dalla polizia tanto che le “forze dell’ordine” potranno stabilire delle zone di sicurezza ulteriori entro le quali saranno proibite semplici riunioni di persone. I poliziotti diventeranno degli intoccabili, chi li insulta potrà esser punito con pesanti multe, multe che potranno arrivare fino alla cifra di 400 mila euro per chi fotografa o filma gli agenti. Altri gravi aspetti della legge fascista sono quelli che prevedono la cosiddetta “presunzione di verità” delle denunce degli agenti che sposta sul presunto colpevole l’onere di dimostrare la sua innocenza, non il contrario, e la possibilità per le guardie private di intervenire anche al di fuori degli edifici che devono sorvegliare per controllare, perquisire o arrestare un sospetto. Misure che limitano le libertà democratiche e che sono state criticate financo dal commissario dei Diritti umani del Consiglio d’Europa. Attivisti di Democracia Real Ya, il movimento nato dalla protesta degli indignados del 15 marzo 2011, denunciavano che alcune misure sono state concepite “contro di noi, come il divieto di concentrazione delle persone in uno spazio pubblico o quello delle proteste davanti al parlamento. Un provvedimento così forte indica che il governo ci teme. Hanno paura. Ma noi no e siamo pronti a sfidare la legge” e annunciava le manifestazioni di protesta in programma davanti al parlamento catalano in occasione dell’approvazione della legge di bilancio. Gli attivisti di Democracia Real Ya respingevano anche il divieto di scattare e pubblicare foto di poliziotti in azione contro i manifestanti, immagini diffuse in passato sui social network che documentavano e denunciavano la repressione poliziesca. Contro il progetto di legge fascista di Rajoy scendeva in piazza il 15 dicembre a Madrid anche il collettivo “Rodea el Congreso (circondiamo il Congresso, ndr)”; i manifestanti affrontavano le cariche della polizia che cercava di fermare il corteo nei pressi della stazione di Atocha. Al ballottaggio per l’elezione del presidente della Repubblica oltre il 59% dell’elettorato cileno diserta le urne La socialista Bachelet eletta da appena un quarto dell’elettorato Al ballottaggio del 15 dicembre la socialista Michelle Bachelet ha battuto la candidata della destra Evelyn Matthei e ha riconquistato la poltrona presidenziale che aveva già occupato nel quadriennio 2006-2010, riprendendola per conto della “sinistra” borghese dopo la parentesi del presidente uscente Sebastian Pinera, unico capo di Stato di centrodestra dopo la fine della dittatura militare. Ma come già al primo turno del 17 novembre il dato politico più evidente è la conferma della diserzione delle urne a livelli oltre il 59%, un chiaro segnale di delegittima- zione della presidenza Bachelet della prossima amministrazione di Santiago. Rispetto ai voti validi la Bachelet che era sostenuta da “Nuova Maggioranza”, la coalizione composta da 8 formazioni che vanno dal Partito comunista revisionista a quello socialista, dalla Sinistra cittadina alla Democrazia cristiana, ha ottenuto oltre il 62% dei consensi sui voti validi e quasi doppiato il risultato della concorrente Matthei, arrivata a poco più del 37%. Un risultato ampiamente previsto dopo il primo turno che aveva visto la Bachelet superare Ha battuto la destra Matthei il 46% e sfiorare la vittoria immediata; così come era prevista la diserzione delle urne tanto che le due candidate avevano entrambe concluso la campagna elettorale lanciando appelli per convincere gli elettori ad andare a votare. Ma il 15 dicembre si sono recati alle urne poco più di cinque milioni e mezzo di elettori su un totale di 13 milioni e mezzo, oltre il 59% degli aventi diritto ha disertato i seggi. Fra i parlamentari eletti il 17 novembre ci sono diversi dei leader studenteschi che avevano guidato la protesta degli ultimi due anni nelle università, da Camila Vallejo e Karol Cariola, militanti del Partito comunista revisionista, agli indipendenti Giorgio Jackson e Gabriel Boric. Afflitti dal cretinismo parlamentare questi opportunisti hanno portato acqua al mulino della socialdemocratica Bachelet e tuttavia non sono riusciti ad arginare l’ondata dell’astensionismo. Dopo la conferma dei risultati del ballottaggio la Bachelet ha ribadito l’intenzione di mettere in pratica un programma di profonde riforme, incluse “una Costituzione che diventi quel patto sociale nuovo, moderno e rinnovato che il Cile chiede e di cui ha bisogno” e che i precedenti presidenti e governi di centrosinistra tra l’altro si erano ben guardati dal modificare, lasciando inalterata la carta varata dalla dittatura di Pinochet e messa in discussione solo a partire dal 2011 dalle centinaia di migliaia di giovani studenti che invasero le piazze per rivendicare il diritto allo studio e dell’Università pubblica. La Bachelet nel festeg- giare la vittoria elettorale ringraziava “specialmente i giovani che hanno espresso con forza il loro desiderio di costruire un sistema educativo pubblico, gratuito e di alta qualità. Oggi ormai nessuno può dubitare che il lucro non può essere il motore dell’educazione, perché i sogni non sono un bene del mercato, sono un diritto di tutti”. Intascato il consenso di molti dei leader delle lotte studentesche che stavano nella sua coalizione, rilanciava promesse di cambiamento che intanto però non hanno convinto la maggioranza degli elettori. 16 il bolscevico / PMLI N. 3 - 23 gennaio 2014 Il 7 Novembre abbiamo traslocato nella nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”, più grande e più moderna rispetto alla precedente. Si tratta di un grosso impegno finanziario che non possono sostenere da soli i militanti del PMLI. Pertanto lanciamo un appello urgente a tutte le simpatizzanti e i simpatizzanti, a tutte le amiche e gli amici del Partito per aiutarci a sostenere le spese iniziali e l’affitto mensile, entrambi piuttosto rilevanti. Le donazioni possono essere consegnate di persona oppure attraverso il conto corrente postale numero 85842383 intestato a PMLI – via Gioberti 101 – 50121 Firenze. Presto cambieremo l’indirizzo. Nella causale scrivere: Donazione per la nuova Sede centrale. Grazie di cuore per tutto quello che potete fare. Anche un euro ci è utile. Che la nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” porti idealmente impresso il nome di tantissimi donatori.