Settimanale Nuova serie - Anno XXXIX - N. 45 - 10 dicembre 2015 Fondato il 15 dicembre 1969 2015 - 28 novembre – 1820. 195° Anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale e cofondatore del socialismo scientifico Engels: Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia PAGG. 7-9 Più di duemila eventi in oltre 150 Paesi chiedono un futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili Manifestazione a Roma dei lavoratori del pubblico impiego indetta da Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Gilda Due milioni di attivisti in “marcia” in tutto il mondo “Contratto Subito” per il pubblico impiego Si apre a Parigi la conferenza ONU sul clima poletti rivuole il cottimo e lo spaccia per “nuovo” modello contrattuale PAG. 3 Nella capitale francese la “Marcia per il Clima” è stata vietata per questioni di sicurezza. I francesi però si organizzano e non rinunciano alla piazza formando una catena umana e ricoprendo place de la Republique di scarpe. Nel pomeriggio la polizia carica il corteo non autorizzato PAG. 2 Volantinaggio a Borgo S. Lorenzo (Firenze) Non farsi ingannare dalla propaganda imperialista PAG. 12 DIALOGO LETTORI Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi. Non trovate delirante il comunicato dell’Isis sugli attentati di Parigi? PAG. 11 Venerdì 20 c’era stato lo sciopero proclamato dal sindacato USB Demagogia mussoliniana in uno stato di guerra dell’Italia Renzi indora la pillola della militarizzazione del Paese Mance elettorali ai poliziotti e ai 18enni Militarizzata la Forestale PAG. 3 Obama e i governanti imperialisti europei aiutano il bombardiere Hollande Putin: un’alleanza anche a guida Usa. La Germania invia aerei e navi. Cameron bombarderà Renzi: “L’IS ha colpito l’Europa e l’umanità non solo la Francia”, dobbiamo distruggerlo PAG. 15 Sicilia Nell’affollatissimo centro città La Cellula napoletana del PMLI diffonde il documento di critica alla giunta antipopolare De Magistris I volantini andavano via come il pane PAG. 12 Nasce il Crocetta quater, falso antimafioso e nemico delle masse Urban smaschera Un’accozzaglia di fascisti e filomafiosi. In giunta insieme al PD, l’UDC, tra cui la segretaria personale di Cuffaro, il PDR di Cardinale, l’NCD Non diamogli tregua. Difendiamo gli interessi delle masse PAG. 4 Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa Critiche al nuovo contratto dei chimici Il processo di Norimberga e alla propaganda fu necessario. Metterlo in dei governanti sui discussione vuol dire fare un conflitti in corso regalo ai nazisti di ieri e di oggi Cammilli: “Ritirarsi dalle guerre per 70° anniversario del processo di Norimberga Le potenze occidentali ostacolarono la denazificazione, demilitarizzazione e democratizzazione della Germania PAG. 6 Invitato ufficialmente il PMLI a un dibattito della “7ª festa per l’unità della sinistra d’alternativa” di Pray (Biella) far cessare gli attentati. La firma del contratto soddisfa solo la Confindustria” PAG. 4 Basta disperdere le forze. Serve un unico forte movimento studentesco della Commissione giovani del CC del PMLI PAG. 5 l’intervento di Ferrero PAG. 12 Ospite compiacente de “L’Unità” di Renzi Rizzo imbroglia su Gramsci e Berlinguer Il segretario generale del nuovo PC revisionista è onnipresente nei media. Come mai? Al PMLI non sono concessi né una riga sui giornali né un secondo in radio e tv PAG. 5 2 il bolscevico / conferenza mondiale sul clima N. 45 - 10 dicembre 2015 Più di duemila eventi in oltre 150 Paesi chiedono un futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili Due milioni di attivisti in “marcia” in tutto il mondo Nella capitale francese la “Marcia per il Clima” è stata vietata per questioni di sicurezza. I francesi però si organizzano e non rinunciano alla piazza formando una catena umana e ricoprendo place de la Republique di scarpe. Nel pomeriggio la polizia carica il corteo non autorizzato Si apre a Parigi la conferenza ONU sul clima La 21esima Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici si è aperta a Parigi nel pomeriggio di domenica 29 novembre. All’indomani partiranno in modo ufficiale i lavori ai quale partecipano i rappresentanti di 193 Paesi ed oltre 150 capi di Stato, a cominciare dal presidente americano Barack Obama, quello cinese Xi Jinping, l’indiano Narendra Modi e il russo Vladimir Putin. Per l’Italia partecipano il premier, Matteo Renzi, ed il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti. I negoziati andranno avanti fino all’11 dicembre; quasi due settimane di colloqui dunque, per raggiungere un nuovo accordo mondiale che superi Kyoto, protocollo in gran parte disatteso, in materia di gas serra e riscaldamento globale. Per quasi tutto il mondo della scienza ambientale, oggi più che mai in gioco c’è il futuro del pianeta, e da ciò la necessità di siglare un nuovo accordo globale sulla lotta ai cambiamenti climatici che rischiano di cambiare il volto della Terra, rendere invivibili ampie zone del pianeta e distruggere per sempre interi ecosistemi. Lo scenario attuale Nelle settimane che hanno preceduto l’apertura della Conferenza, tutti i portavoce dei paesi coinvolti hanno sottolineato come la volontà comune sia quella di frenare il riscaldamento del pianeta, limitare l’escalation delle emissioni di CO2 nell’aria, arginando così anche i disastri naturali provocati dall’aumento delle temperature medie di atmosfera ed oceani. Stando alle dichiarazioni, il primo obiettivo politico di Parigi è quello di far dimenticare al mondo intero il fallimento del summit di Copenaghen quando, nel dicembre del 2009, il tutto si concluse con un clamoroso fiasco, con intenti paralizzati dallo scontro fra le superpotenze USA, Cina ed India e con l’Europa poco più che spettatrice. In realtà la situazione alla vigilia della Conferenza di Parigi, aumento massimo “sostenibile”, e fissato in +2 gradi C. Anche un rapporto dell’ONU stessa conferma questa amara condizione di insufficienza: “Con i piani at- re parte attiva della Conferenza stessa, il 28 ed il 29 novembre più di duemila eventi in oltre 150 paesi del mondo, hanno composto la “Marcia Globale per il Parigi, 29 novembre 2015. Le violente cariche della polizia contro i manifestanti che rivendicavano la difesa e la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse all’apertura del summit mondiale sul clima tuali non si evita un aumento sostanziale delle emissioni da qui al 2030. La preoccupazione delle associazioni ambientaliste internazionali Più di un campanello d’allarme è suonato nella testa dei milioni di ambientalisti di tutto il mondo che, comprendendo la delicatezza del momento e memori delle “truffe” passate, stanno sottolineando da tempo che i cambiamenti climatici riguardano tutti da vicino e risultano essere oggi una vera e propria emergenza che ha ripercussioni in campo ambientale, sociale, economico ed anche geopolitico. La Coalizione Italiana “Parigi 2015: mobilitiamoci per il clima”, alla quale aderiscono oltre 150 soggetti fra sindacati dei lavoratori, organizzazioni di società civile, degli agricoltori, di solidarietà, confessionali, ambientaliste ecc., ha evidenziato, oltre alle problematiche strettamente legate alla questione ambientale, quanto la questione climatica sia intrecciata con le migrazioni, le guerre ed i drammatici even- Clima”. Alla base delle richieste comuni, giustizia climatica, un nuovo scenario energetico che fermi le emissioni di gas serra aprendo la strada ad equilibri nuovi e sostenibili che dovrebbero concretizzarsi in un accordo fra i governi in questione “ambizioso e vincolante” che consenta di limitare innanzitutto il riscaldamento globale almeno sotto i 2 gradi C, che acceleri la transizione verso la de carbonizzazione, per un mondo alimentato al cento per cento da energie rinnovabili nel 2050. E che dire poi dei pesticidi dannosi per l’uomo? Solo in Europa la Ue ha chiesto di ritirarne 320. Oltre due milioni di manifestanti in tutto il mondo “Non c’e’ un Planet B” era la parola d’ordine a Sydney, in Australia, dove 45mila persone si sono radunate, mentre 5mila erano ad Adelaide e un migliaio hanno sfilato sotto la pioggia a Seul. A dare il via alle manifestazioni, il grande evento a Melbourne venerdì, cui sono seguiti raduni di sabato dalla Nuova Zelanda, ad Aukland, dove si è tenuta una “Haka” di massa, la Roma, 29 novembre 2015. La marcia per il clima promesse a parte, è totalmente insoddisfacente poiché il totale dei piani nazionali dei 170 paesi che rappresentano il 90% del totale delle emissioni carboniche, ammesso poi che essi vengano rispettati al dettaglio, porterebbe comunque ad un aumento di 2,7 gradi della temperatura media del pianeta, sfondando anche la soglia di quel limite pressoché riconosciuto da tutti quale quenti, con le migliaia di manifestanti berlinesi alla Porta di Brandeburgo; i leader indigeni che a Bogotá hanno celebrato la “Madre Terra” e gli oltre 5.000 cicli- ti che scuotono il Medio Oriente, l’Europa ed il mondo intero. Il timore di tutto il mondo attivista ambientale è quello che la Conferenza di Parigi non riesca ad essere incisiva fino in fondo e capace di definire un nuovo scenario energetico ed un nuovo modello di sviluppo che punti alla tutela del bene comune e delle risorse naturali. Per questo, e con la volontà di diveni- tradizionale danza maori. Le Filippine hanno ospitato manifestazioni nelle sei maggiori città, coinvolgendo le comunità che hanno sofferto l’impatto devastante di cicloni sempre più violenti. La mobilitazione mondiale ha unito i masai della Tanzania, che hanno marciato per ottenere energie rinnovabili nel cratere di Ngorongoro minacciato da siccità estreme sempre più fre- sti che hanno attraversato Città del Messico per testimoniare la volontà comune di difendere il pianeta dai rischi dei mutamen- ga tradotto in azione”. Già diverso il polso di gran parte dei partecipanti che, pur animati dalla speranza possibilista dell’esito, pensano che non vi siano le basi per aspettarsi una soluzione definitiva proprio da coloro che hanno le responsabilità maggiori in ambito di riscaldamento globale e che non hanno mai fatto seguire alle proprie promesse, atti concreti per ridurre le emissioni di gas serra e CO2. Dure critiche anche al governo del Berlusconi democristiano Renzi che, alla stessa stregua degli altri in Europa e nel mondo, sembra non voler sentire le ragioni della terra e dei suoi abitanti. Il governo tira dritto col decreto “Sblocca Italia” e con le sue trivelle tese ad agevolare le estrazioni petrolifere in terra ed in mare; con il nuovo ricorso all’incenerimento dei rifiuti considerati gli inceneritori “di carattere strategico nazionale”, pare pensare più ai profitti degli quattro tonnellate ne sono state raccolte in appena una settimana, come affermato da Avaaz, il movimento globale per la mobilitazione dei cittadini che ha ideato l’iniziativa, a testimonianza della determinazione della popolazione ad essere ascoltata. Lungo Boulevard Voltaire oltre 10.000 persone si sono date la mano, alcuni dei quali mostrando cartelli con su scritto “sfruttano, inquinano, fanno profitti! l’emergenza è sociale e climatica”. I manifestanti hanno interrotto la catena umana di fronte al Bataclan, in segno di rispetto per le 90 persone rimaste uccise nella sala concerti durante gli attentati dello scorso 13 novembre. Non sono mancati però momenti di forte tensione; tutto è successo nel primo pomeriggio quando un gruppo di manifestanti ha tentato di forzare il cordone di polizia per far partire il corteo non autorizzato. Polizia e manifestanti si 29 novembre 2015. La marcia di Berlino per il clima ti climatici. Dal Bangladesh al Giappone, passando per il Sudafrica e la Gran Bretagna, ed eventi simili hanno avuto luogo a Rio de Janeiro, New York, Johannesburg, Madrid, Edimburgo ed tante altre città ancora, per un totale di oltre due milioni di manifestanti in tutto il mondo. amici privati che all’interesse del nostro territorio e dell’intero Pianeta, come appare evidente da tali scellerate scelte prese sulla pelle della popolazione. Le piazze italiane In realtà già all’indomani della notizia dell’annullamento della “marcia” di Parigi a causa degli attentati del 13 novembre scorso, gli attivisti francesi si sono organizzati per gridare il proprio sostegno alla necessità di frenare il cambiamento climatico: privati di fatto della possibilità di manifestare, gli ambientalisti hanno deciso di ricoprire una delle piazze più importanti della capitale francese quale place de la Republique, di scarpe. Più di In Italia la manifestazione principale si è tenuta a Roma dove secondo gli organizzatori sono stati 20 mila i partecipanti alla marcia partita da Campo dè Fiori e diretta ai Fori imperiali, dove si è tenuto un concerto conclusivo. Eventi minori che si sono svolti lungo tutto lo Stivale: a Torino, Milano, Trieste, Venezia, Genova, Catanzaro, Palermo. Dai cortei trapela un cauto ottimismo, in particolare dai rappresentanti degli organismi più istituzionali: secondo alcuni dirigenti del Wwf ad esempio, al termine delle due settimane di negoziati “un accordo globale e vincolante ci sarà, sarà tutta una questione di dettagli, la COP21 può essere un punto di svolta”. “Tutti vogliono arrivare a Parigi per ottenere un risultato, il punto è capire se riuscirà a tutelare i più vulnerabili oppure no”, precisano manifestanti un po’ più critici che incalzano: “la mobilitazione dovrà continuare, perché quanto concordato a Parigi ven- La manifestazione di Parigi sono fronteggiati per alcuni minuti poi la polizia ha caricato selvaggiamente disperdendo i manifestanti. Solo a quel punto e con la forza, tutta la place de la Republique è stata sgomberata. Strumentali le dichiarazioni del presidente della repubblica francese Hollande che ha definito “vergognosi” gli incidenti avvenuti nel pomeriggio, deprecando il fatto che la “la protesta sia avvenuta proprio dove c’erano candele, fiori e altri ricordi” in memoria delle vittime degli attentati, e rafforzando così l’opinione pubblica alla sua incalzante politica guerrafondaia imperialista che fa inevitabilmente da sfondo a questa Conferenza su di un tema di fondamentale importanza per il mondo intero che ha tutta l’aria di divenire complessa, contraddittoria e tutta interna al capitalismo. Los Angeles (USA) 29 novembre 2015. La marcia per il clima interni / il bolscevico 3 N. 45 - 10 dicembre 2015 Demagogia mussoliniana in uno stato di guerra dell’Italia “Italia, Europa. Una risposta al terrore”: con questo slogan Matteo Renzi ha presentato il 24 novembre le linee guida del suo governo per affrontare la “sfida del terrorismo islamico” dopo gli attentati di Parigi. E per farlo ha scelto lo sfondo solenne della sala degli Oriazi e Curiazi dei Musei capitolini, la stessa dove nel 1957 fu firmato il trattato di Roma che diede il via alla Comunità europea. Una “location” scelta a sommo studio, per tenere un discorso tale da esaltare al tempo stesso l’Europa e il ruolo dell’Italia nella sua costruzione e difesa, ma anche e soprattutto l’orgoglio nazionale nel rivendicare, sulle orme di Mussolini, un ruolo autonomo e specifico del nostro Paese in politica estera nella sua sfera di influenza storica - il Mediterraneo, l’Africa, il Medio Oriente - che risale fino alla storia di Roma, richiamata non a caso dal grande arazzo della battaglia tra gli Orazi e i Curiazi che campeggiava alle sue spalle. Con ciò Renzi ha voluto rispondere anche alle polemiche sollevate dalla sua presa di posizione più cauta rispetto alle burbanzose dichiarazioni di guerra di Hollande, negando che l’Italia sia in guerra ed evitando per il momento di impegnarsi nella partecipazione diretta ai bombardamenti sullo Stato islamico in Siria e Iraq. Una cautela dettata soprattutto dall’imminenza del Giubileo e dalla preoccupazione di non gelare la stentata “ripresa” economica, ma giustificata con la motivazione che “occorre evitare una Libia-bis” e che prima di bombardare “occorre avere una strategia chiara”: “L’Italia non si tira indietro, ma lo fa in uno scenario in cui non ci possiamo permettere una Libia-bis perché le conseguenze sarebbero superiori a quelle che è lecito attendersi”, aveva ripetuto infatti anche il giorno precedente, con un velato riferimento all’intervento militare deciso unilateralmente dalla Francia nel 2011. Col suo discorso, quindi, Renzi ha voluto dissipare ogni sospetto di mancanza di fermezza Renzi indora la pillola della militarizzazione del Paese Mance elettorali ai poliziotti e ai 18enni Militarizzata la Forestale nell’affrontare adeguatamente l’“emergenza terrorismo” sul piano militare all’esterno e poliziesco all’interno, ribadendo i già cospicui impegni militari internazionali dell’Italia, recentemente rinforzati in finanziamenti e soldati, e annunciando un robusto programma di militarizzazione del Paese, finanziato con un miliardo di euro. Ma contemporaneamente ha indorato la pillola dello stato di guerra di fatto e del nuovo giro di vite alla militarizzazione del Paese con l’annuncio dello stanziamento di un altro miliardo per la “cultura” e per mance elettorali ai poliziotti e ai diciottenni. Due miliardi in tutto da aggiungere alla legge di Stabilità, già approvata dal Senato e ora all’esame della Camera, da reperire confidando nell’allentamento dei vincoli di bilancio sulle spese per l’antiterrorismo promesso dalla Commissione europea. L’Italia è in guerra e mira alla Libia Il nuovo duce ha esordito infatti ribadendo che “l’Italia non cambia la propria posizione ma al contrario vede confermate le proprie priorità, a cominciare dalla centralità strategica per l’intero pianeta del Mediterraneo, dei Balcani e del Medio Oriente”, e che essa “si riconosce nella co- alizione internazionale più ampia possibile, in cui il ruolo degli Stati Uniti d’America è cruciale, per sconfiggere il fanatismo, l’estremismo, il terrorismo”. Il che equivale ad ammettere che l’Italia è invece effettivamente in guerra, tanto perché glielo impone la sua riconfermata ed anzi esaltata partecipazione alla santa alleanza imperialista internazionale contro l’Is capeggiata dagli Usa, quanto perché i suoi interessi nazionali “strategici” risiedono principalmente nelle regioni che sono teatro di questa guerra. E in particolare in Libia, che in questo momento rappresenta il vero e il più ambito obiettivo per l’imperialismo italiano, quello per cogliere il quale, non appena si presenterà la congiuntura favorevole, Renzi si tiene in serbo le nuove risorse finanziarie e militari, piuttosto che bruciarle ora in Siria per compiacere Hollande. Eccolo allora ricordare al presidente francese e agli altri guerrafondai che lo accusano velatamente di defilarsi sulla guerra totale all’Is, che “l’Italia onora le proprie responsabilità internazionali. Che sono particolarmente evidenti in Afghanistan, in Somalia, in Libia, in Libano, in Kosovo, in Iraq e in molti altri scenari di tensione”; cosa che gli ha riconosciuto anche il vicepresidente Usa Biden, nell’incontro avuto con lui all’ambasciata americana a Roma. Ma anche puntualizzare ai suoi critici che l’Italia “si mantiene fedele al principio per il quale una coalizione internazionale necessita del rispetto delle regole del diritto internazionale e di una visione strategica per il futuro dei territori in cui si interviene”. Un miliardo per militarizzare il Paese Ma che l’Italia sia in guerra a tutti gli effetti è confermato anche dal piano per la “sicurezza” che Renzi ha annunciato, che costerà un miliardo e che prevede un investimento di 150 milioni di euro per la cosiddetta cyber security, con la creazione di una gigantesca rete di telecamere, pubbliche e private, per spiare (“nel rispetto della privacy” ha sottolineato sfrontatamente il premier) tutto ciò che si muove nelle strade e nei locali pubblici delle città. A cui si aggiunge un investimento di 50 milioni “per rinnovare la strumentazione delle forze dell’ordine”, che dovranno essere “riorganizzate”, anche con l’assorbimento delle guardie forestali nell’arma dei carabinieri, il che rappresenta una loro militarizzazione a tutti gli effetti realizzata con un semplice atto burocratico. Segue poi un investimento supplementare di ben 500 milioni di euro “per la difesa italiana, con investimenti efficaci finalizzati a dare una risposta immediata” a non meglio precisate “esigenze organizzative e di rilancio”. “Siamo orgogliosi dei nostri militari, non faremo mancare loro il nostro sostegno”, ha commentato a questo proposito il premier, smentendo così nella maniera più efficace la favola che “l’Italia non è in guerra” che continua a raccontare agli italiani. E c’è infine l’estensione del bonus di 80 euro “a tutte le donne e gli uomini che lavorano per le forze dell’ordine a cominciare da chi sta sulla strada”: pare di capire, quindi, anche a tutti quelli che non l’hanno già avuto come pubblici dipendenti al di sotto di 1.500 euro di retribuzione lorda, il che rappresenta una palese discriminazione verso tutte le altre categorie di lavoratori, per le quali vale invece tale limite che non varrebbe più per poliziotti e carabinieri. Senza contare i pensionati, beffati ancora una volta da Renzi che usa spregiudicatamente gli 80 euro come una mancia elettorale da elargire quando e a chi gli fa più comodo. La demagogia dell’“investimento in cultura” Il massimo della demagogia il nuovo duce lo ha raggiunto con l’annuncio di un corrispondente finanziamento di un miliardo “per la cultura”, perché “la specificità italiana” vuole che la “risposta al terrorismo non sia soltanto emotiva”, e che “per ogni euro investito in più in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura”. E a questo proposito ha annunciato un investimento di 500 milioni alle città metropolitane per interventi di riqualificazione delle periferie urbane. Più altri 300 milioni per elargire un bonus di 500 euro ai diciottenni, senza distinzione di reddito delle famiglie, da spendere per “consumi culturali”: una sfacciata mancia elettorale, questa, come ha sottolineato anche il suo maestro Berlusconi, che di queste cose se ne intende. Poi altri 50 milioni per borse di studio a studenti universitari “più meritevoli”, anche qui pare senza distinzione di reddito, e infine altri 150 milioni per finanziare la possibilità di donare il due per mille anche ad associazioni culturali, scuole di musica, teatri locali ecc. “Tenere insieme sicurezza e identità, polizia e cultura è la proposta che l’Italia avanza con determinazione”, ha concluso il nuovo duce sintetizzando con una frase a effetto questa sua nuova operazione mediatica, che consiste nel far ingoiare meglio la pillola della militarizzazione del Paese indorandola con la sua demagogia che ha mutuato da Mussolini riadattandola in chiave moderna e tecnologica. E della quale ha voluto dare un ultimo e più eloquente saggio, chiudendo la sapiente rappresentazione con queste parole che riecheggiano i proclami nazionalistici del duce: “Perché tutto intorno a noi, anche questa sala, ci dice che la bellezza è più forte della barbarie. La sfida è difficile. E noi dobbiamo esserne all’altezza. Lo saremo, ne sono certo, se ci ricorderemo che noi – tutti insieme – siamo l’Italia”. Manifestazione a Roma dei lavoratori del pubblico impiego indetta da Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Gilda “Contratto Subito” per il pubblico impiego Venerdì 20 c’era stato lo sciopero proclamato dal sindacato USB poletti rivuole il cottimo e lo spaccia per “nuovo” modello contrattuale Grande manifestazione a Roma dei lavoratori pubblici. In 30mila hanno invaso le strade della capitale per rivendicare anzitutto il rinnovo del contratto nazionale bloccato oramai da quasi 7 anni, blocco che ha fatto perdere ai lavoratori del settore ben 4.800 euro. Del resto i dipendenti pubblici sono il bersaglio preferito di tutti gli ultimi governi, di qualsiasi tendenza: di destra, “tecnico”, di “sinistra”. Questo blocco dei salari è sempre stato una voce fondamentale dei cosiddetti tagli alla spesa pubblica fatti ricadere sulla parte più debole dei dipendenti della pubblica amministrazione e attuati indistintamente dai governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per considerare illegittima questa disparità di trattamento con gli altri lavoratori e giudicare come un diritto costituzionale l’adeguamento del contratto al costo della vita. Ma chi si era fatto delle illusioni di un pronto intervento del governo per rimediare a questa ingiustizia è stato smentito. Il nuovo duce Renzi e il ministro Madia hanno proposto la scandalosa cifra di 5 euro netti al mese in busta paga, giustamente e sdegnosamente rigettati da tutte le sigle sindacali. Non a caso questa misera ci- fra è stato uno dei bersagli principali dei manifestanti che sabato 28 novembre hanno sfilato per le strade di Roma. “Contratto subito” era la parola d’ordine del corteo assieme a “basta parole” e “non vogliamo l’elemosina”. Al concentramento in Piazza della Repubblica sono confluiti lavoratori provenienti da tutta Italia e di svariate professioni: molti dalla scuola e dalla sanità, i funzioni centrali, quelli dei servizi pubblici locali, di sicurezza e soccorso, università, ricerca. I dipendenti pubblici in Italia sono 3 milioni e trecentomila e al di là delle continue campagne denigratorie sono numericamente sotto la media europea, così come le retribuzioni. In Italia ci sono 58 dipendenti ogni mille abitanti, più o meno come in Germania ma molto meno che in Francia (94) per non parlare della Svezia (138). Essi “incidono” sul PIL per l’11%, in Danimarca per il 19,2, in Francia 13,4, in Spagna 11,9. Lo stesso vale per i salari mentre l’unica cosa dove superiamo tutti sono le retribuzioni dei manager pubblici che guadagnano stipendi simili a capi di Stato e l’altissimo numero di dirigenti, piazzati da questo o quel partito o politico borghese di turno. Dal palco in piazza Venezia, dove si concludeva la manifesta- zione, hanno preso la parola rappresentanti dei lavoratori e leader sindacali. Gli interventi si sono concentrati sulla richiesta immediata di un nuovo contratto, che tolga dal tavolo l’elemosina dei 5 euro. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha richiesto un aumento di “150 euro per recuperare almeno in parte il terreno perduto”. La Camusso ha detto che quei 300 milioni stanziati dalla Legge di Stabilità, che suddivisi fanno i famigerati 5 euro in busta paga, “i lavoratori se li sono già pagati da soli, visti i blocchi prolungati del salario accessorio e del turn over” L’altro tema caldo è proprio il blocco del turn over, che ha portato al crollo delle assunzioni pari al 4,7% dal 2010, equivalente a quasi 180mila posti di lavoro in meno mentre negli ultimi 15 anni i posti persi sono stati 300mila. Eppure la Madia, ha detto la Camusso, “ha un chiodo fisso, i licenziamenti” . Con l’inevitabile ricaduta sul peggioramento dei servizi pubblici ricordato dalla segretaria della Cgil “tagliano da anni la sanità, e con l’attuale legge di stabilità si prepara un nuovo pesante intervento. Inoltre, con il blocco del turn over, non si permette un rinnovamento delle pubbliche amministrazioni, mentre i giovani restano a casa”. Roma, 28 novembre 2015. Manifestazione nazionale dei lavoratori del pubblico impiego in lotta per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro insomma rivuole il cottimo, un siNon sono mancate frecciate stema vecchio come il cucco che al ministro del lavoro, l’esponeni lavoratori e il movimento operaio te del PD ed ex presidente delle hanno sempre combattuto. cooperative “rosse”, Graziano Per il ministro i lavoratori non Poletti, che il giorno prima aveva devono avere più né una dignidichiarato: “dovremo immagitosa retribuzione né diritti connare un contratto di lavoro che trattuali, questa è la posizione non abbia come unico riferimenportata avanti da tutto l’esecutivo to l’ora di lavoro ma la misura guidato dal nuovo duce Renzi, dell’apporto dell’opera. L’ora di perciò serve una mobilitazione lavoro è un attrezzo vecchio che più forte. I segretari confederali non permette l’innovazione”. Ma hanno dichiarato che se non ci che innovazione! Il ministro vuosaranno proposte serie da parte le un salario basato sui risultati del governo sarà sciopero di tutaziendali e addirittura personali, to il pubblico impiego. Staremo a vedere. Di certo i lavoratori, sia del pubblico che del privato sono sempre più insofferenti e pretendono rinnovi contrattuali che smettano di restituire soldi e diritti ai padroni. Una settimana prima, venerdì 20 novembre, c’è stata invece la mobilitazione lanciata dal sindacato USB (unione sindacale di base) che ha indetto uno sciopero per l’intera giornata. In 20mila sono scesi in piazza in quattro manifestazioni a Milano, Roma, Napoli e Cagliari. Nonostante le difficoltà relative al clima immediatamente successivo agli attentati di Parigi, con falsi allarmi e militarizzazione delle città, la questura della capitale non voleva neppure concedere il permesso di manifestare. Ad aprire i cortei gli striscioni “vostre le guerre nostri i morti” seguito da “la legge di stabilità che vogliamo: riconquistare servizi, salario, diritti”. Lo sciopero, oltre che per il contratto, era indetto contro la Legge di Stabilità e i continui tagli ai servizi pubblici e sociali. Le adesioni sono state particolarmente alte nelle municipalizzate e negli ospedali, specie delle grandi città. Anche l’USB ha promesso altri scioperi se il governo non si deciderà ad ascoltare le richieste dei lavoratori pubblici. 4 il bolscevico / interni N. 45 - 10 dicembre 2015 Sicilia Nasce il Crocetta quater, falso antimafioso e nemico delle masse Un’accozzaglia di fascisti e filomafiosi. In giunta insieme al PD, l’UDC, tra cui la segretaria personale di Cuffaro, il PDR di Cardinale, l’NCD Non diamogli tregua. Difendiamo gli interessi delle masse Dal nostro corrispondente della Sicilia Era evidente a luglio, dopo lo scandalo che aveva coinvolto il governatore in persona sul caso Borsellino, che la profonda crisi del Crocetta ter, nato a novembre 2014 e trascinatosi esattamente un anno, non era superata, nonostante il nuovo duce Renzi avesse dato la sua benedizione alla permanenza in carica. Dietro la crisi si nascondono infatti problematiche strutturali, non risolvibili con un colpo di teatro in stile renziano Problemi che nascono, in primo luogo, dal radicato atteggiamento ducesco del governatore, ormai arroccato in una gestione sempre più ingiustificata, sfacciata e personalistica del potere e degli snodi di finanziamenti e voti in Sicilia e concentrato nell’allargamento della sua cerchia clientelare a scapito del PD. Nell’ingestibile faida governativa, ormai aperta da mesi, si inserisce la violenta ascesa antidemocratica dei renziani siciliani. All’assalto del governo Crocetta, chiedono sempre più poltrone di spessore, con il fine ultimo di farlo fuori. La reazione a catena investe le altre correnti interne al PD: i franceschinani vengono messi al palo a favore dei renziani e dei cuperliani. Le nuove alleanze “centriste”, che inglobano l’NCD a sostegno di Renzi, chiedono più spazio in giunta. L’UDC non è disposto a concedere un millimetro. L’immagine di questo scorcio finale del potere di Crocetta, ci rimanda un governatore in fibrillazione politica per risolvere le contraddizioni da lui stesso scatenate, che, mentre più si agita, più finisce imbrigliato nei laccioli da lui stesso tesi. Un governatore sempre più isolato dalle masse, che non sopportano la sua arroganza antipopolare e l’ipocrisia della sua antimafia da salotto, emersa clamorosamente con la vicenda Borsellino e l’inchiesta per mafia nei confronti di Antonello Montante, presidente degli imprenditori siciliani, colui che dettava le linee politiche al governo Crocetta fino almeno al ritiro formale dell’appoggio avvenuto a luglio. Composizione del Crocetta quater La frattura tra Crocetta e Confindustria diventa evidente col ritiro a luglio della funzionaria confindustriale, Linda Vancheri, alla guida delle Attività produttive dal 2012. Crocetta se ne infischia del crollo di uno dei pilastri della sua legislatura, va avanti e, dopo aver retto lui stesso per qualche mese l’assessorato, sostituisce la Vancheri con l’interim a Mariella Lo Bello, sua fedelissima. Crocetta manovra un assessorato chiave tramite il suo braccio destro, già assessore alla formazione e Vicepresidente. Forte accentramento. Ma perché? Fatta salva la smania di potere di Crocetta, la motivazione principale è che il governatore ha interesse, è quasi “obbligato”, a gestire direttamente l’assessorato che nelle ultime settimane è stato al centro del nuovo scandalo in cui è implicato. È dentro quell’assessorato, infatti, che si è scatenato il terremoto che ha coinvolto i massimi vertici di Confindustria Sicilia, con cui Crocetta è compromesso. I contorni della vicenda ci mostrano ancora una volta come la mafia in Sicilia abbia la sua mente politica proprio dentro il governo in carica. A parlare è Marco Venturi che, lasciando la direzione di Confindustria “Centro Sicilia”, attacca duramente Antonello Montante, inquisito per mafia, e l’atteggiamento ignavo del presidente nazionale Squinzi. E, andandosene, Venturi ne ha pure per il governatore: “Montante, da diverso tempo portatore di poteri illimitati, domina il sistema di Confindustria, incide in alcuni settori ‘nevralgici’ del Paese e determina le scelte del presidente della Regione siciliana”. E sull’uomo che determina le scelte di Crocetta, Venturi racconta di “episodi inquietanti”: pretese di lettere riservate dove si chiedeva di certificare il falso, pressioni per condizionare l’azione di pulizia nelle aree industriali e fermare Alfonso Cicero, il presidente dell’Irsap, l’ente che ha sostituito gli undici consorzi industriali. Interviene il presidente dimissionario dell’Irsap: “Crocetta abbia il coraggio di riferire i motivi per i quali mi ha chiamato per incontrarmi nel febbraio del 2014 e nel luglio 2015: mi ha avanzato indicibili richieste. Non mi sentirei per nulla tranquillo a continuare a guidare l’Irsap con un presidente della Regione condizionato anche da altri soggetti”: tra i soggetti c’è Montante indagato per mafia. Crocetta risponde a colpi di querele ma, come già aveva tentato di fare con la sanità dopo lo scandalo delle intercettazioni sulla Borsellino, deve tentare di mettere le mani su un assessorato esplosivo, su cui si gioca la sua permanenza al governo e, forse, ben altro. I renziani, che tanto si sono agitati in questi ultimi mesi, chiedendo elezioni anticipate, mantengono intatto il loro potere, con tre assessorati di notevole peso: quello all’Economia con Alessandro Baccei. Con lui Renzi ha in mano le chiavi della cassaforte Sicilia. Dell’area maggioritaria del PD, rimane Vania Contrafatto, assessore all’Energia, un settore con il quale l’area del Berlusconi democristiano si assicura interventi milionari a pioggia. Già a luglio Baldo Gucciardi, renziano di ferro, aveva sostituito la Borsellino, considerata di area cuperliana, e messo uno stop ai tentativi del governatore di mettere le mani direttamente sull’assessorato più importante della Sicilia. Il “signore dei voti” del PD trapanese è uno di quelli che garantirà migliaia di voti ai renziani alle prossime regionali. Nel Crocetta quater entra il cuperliano Antonello Cracolici, come Assessore per l’agricoltura, sviluppo rurale e della pesca mediterranea, che va a sostituire Nico Caleca, area ex-MPA. Ai cuperliani appartiene Bruno Marziano, neo Assessore per l’istruzione e la formazione professionale, che ha lasciato dopo un disastro del boom di disoccupazione la poltrona dell’assessorato al Lavoro. I cuperliani perdono però una poltrona, perché la manager Cleo Li Calzi, inizialmente nominata in giunta come assessore al Turismo, sport e spettacolo deve cedere all’altra area rappresentata dai fedeli dell’ex-segretario Giuseppe Lupo, in progressivo allontanamento da Franceschini e avvicinamento al nuovo duce. Fuori la Li Calzi e dentro Anthony Barbagallo, campione di salto della quaglia ( DC, Partito Popolare Italiano, La Margherita per la Sicilia”, Partito Democratico). Antonio Fiumefreddo, presidente di Riscossione Sicilia, approdato al PD dopo un sostegno a FI, al MPA e al Megafono e vicino al governatore e a Salvatore Cardinale, è inizialmente nominato assessore delle autonomie locali e funzione pubblica, sostituendo l’esponente dell’UDC, Marcella Castonovo, legata all’ex ministro Gianpiero D’Alia, e al sindaco di Catania, Enzo Bianco (PD). Ma il veto del PD è durissimo. Fiumefreddo rinuncia. L’interim viene assunto dal governatore. E a tutt’oggi Crocetta sta tentando di nominare Luisa Lantieri, UDC, braccio destro ed ex-segretaria del detenuto per mafia Salvatore Cuffaro. Un tentativo di nomina che manda in fibrillazione la coalizione di maggioranza. I renziani, per i quali non è ancora chiusa la partita, minacciano il ritiro del sostegno. Scontentissimo, ovviamente anche Salvatore Cardinale, che potrebbe a breve ritirare il sostegno, anche se intanto rimane in giunta con l’Assessore per il Territorio e l’Ambiente Maurizio Croce, Sicilia Futura, PDR, (Patto dei Democratici per le Riforme), la formazione dell’ex-ministro vicina ai renziani e che si pone l’obbiettivo di un patto strategico con Alfano a sostegno di Crocetta. Giovanni Pistorio Assessore per le infrastrutture e la mobilità, UDC, va a sostituire Giovanni Pizzo UDC. In realtà, il responsabile regionale dell’UDC, già fondatore nel 2005 del Movimento per l’Autonomia, dal 2007 segretario alla Presidenza del Senato e segretario federale del Movimento per le Autonomie, era già entrato in giunta a fine giugno, come nuovo assessore alla Funzione pubblica. Il suo ingresso aveva sdoganato la presenza di assessori politici in giunta, mettendo fine all’ipocrisia degli esponenti di partito coperti. Ma aveva anche generato una reazione a catena, che avrebbe innescato la crisi finora irrisolta, con l’abbandono di Borsellino. La fidelizzazione dell’UDC continua con la nomina di Gianluca Miccichè, nuovo segretario regionale del partito dopo Pistorio, all’Assessorato alla famiglia, politiche sociali e lavoro. Carlo Vermiglio, AP-NCD in tre anni è il quinto assessore per i beni culturali e l’identità siciliana. Fa fuori il franceschiniano Antonio Purpura. Il nuovo assessore è espressione di quel riavvicinamento in prospettiva elettorale tra NCD e UDC. Con lui, anche se non formalmente, Alfano entra nel governo siciliano e partecipa alla spartizione della torta. Crocetta se ne deve andare Intanto è stata depositata la mozione di sfiducia al governatore, proposto dai 14 deputati del M5S e firmata anche dagli 8 parlamentari di Forza Italia e dai tre della Lista Musumeci. Viene discussa mentre scriviamo. Con buona probabilità la mozione in un parlamento ostaggio di Crocetta non sortirà nessun effetto. Certo è che la vicenda politica del governatore è giunta al termine e la spina va staccata. Le cifre sono sotto gli occhi di tutti: il disavanzo da 1,4 miliardi per il 2016, nonostante i micidiali tagli alle masse popolari, i 24 mila forestali che aspettano i fondi per poter tornare al lavoro, i 16 mila precari degli enti locali che attendono gli stipendi dalla Regione, i 12 mila dipendenti degli enti regionali cui manca la certezza dello stipendio a fine mese. Mentre a Palazzo d’Orleans i partiti borghesi da tre anni giocano a risiko con le poltrone di governo, il tasso di disoccupazione passa dal 19% al 22%. Al suo governo, al PD, a Renzi e al parlamento che lo hanno sostenuto, dobbiamo il record della disoccupazione, soprattutto giovanile, della cassa integrazione, dell’emigrazione e della miseria, il degrado delle strutture pubbliche, i crolli delle autostrade e delle scuole, la svendita dell’isola alle strategie militari degli Usa e della Nato, alle compagnie petrolifere. Ammesso che Crocetta possa venire fuori dalle contraddizioni scatenate nella cupola di governo, la verità è che ha miseramente fallito agli occhi delle masse popolari e se ne deve andare! Dietro la sua antimafia di facciata insieme ai suoi “compagni di viaggio”, da Montante, a Helg, ha tessuto intrecci di interessi milionari di stampo mafioso, di voti e clientele, esattamente come facevano Cuffaro e Lombardo, ma mostrando un totale disinteresse verso i problemi della masse popolari, i diritti e le regole della democrazia borghese. Per rimanere attaccato alla poltrona ha restaurato il potere dei filomafiosi dell’UDC in Sicila, cui assomiglia sempre di più, ha tirato dentro il governo il fascista Alfano. Crocetta è forma che lo spregiudicato, vessatorio, ipocrita, violento e antipopolare regime neofascita di stampo piduista renziano ha preso in Sicilia. Che le masse lavoratrici, tra cui i precari, i pensionati, i disoccupati, gli studenti, i sindacati e i movimenti, le forze politiche, socia- li, culturali e religiose antifasciste, antimafiose, democratiche e progressiste facciano propria la battaglia per cacciare via Crocetta, falso antimafioso e affamatore delle masse siciliane. La soluzione però non è certo quella di sostituire a quello di Crocetta l’apparato clientelare dei renziani in ascesa. Alle prossime elezioni regionali bisogna sfiduciare e delegittimare con una valanga di voti astensionisti i partiti e le istituzioni del regime capitalista, neofascista e mafioso, che hanno ridotto la Sicilia alla miseria, adottando la proposta del PMLI di costituire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo fondate sulla democrazia diretta, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari. Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa Critiche al nuovo contratto dei chimici e alla propaganda dei governanti sui conflitti in corso Cammilli: “Ritirarsi dalle guerre per far cessare gli attentati. La firma del contratto soddisfa solo la Confindustria” Redazione di Fucecchio Si è svolto martedì 17 novembre nei locali della Camera del Lavoro di Pisa il direttivo provinciale dei lavoratori del settore chimico-farmaceutico, tessile, abbigliamento e dell’energia (Filctem) della Cgil. La riunione è iniziata con un minuto di silenzio per ricordare i morti degli attentati di Parigi. Di quegli avvenimenti, nonostante non fossero all’ordine del giorno, inevitabilmente ne hanno parlato quasi tutti coloro che sono intervenuti al dibattito. Il compagno Andrea Cammilli nel suo intervento ha sottolineato come quei morti, pur essendo vittime innocenti, sono la diretta conseguenza delle guerre fatte da Usa, Francia, Regno Unito, Italia e Russia in Medio Oriente e Africa: Siria, Iraq, Libia, Afghanistan e in tanti altri Paesi. L’unico modo per far cessare gli attentati è ritirarsi da queste guerre anche se, ha detto il compagno, difficilmente rinunceranno a salvaguardare i loro interessi economici, geopolitici e allo sfruttamento delle risorse di questi paesi. I popoli, i lavoratori, non hanno alcun interesse ad appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi delle classi dominanti. Dobbiamo dire che molti hanno lanciato accuse contro i governi europei e americano, respingendo la propaganda che vuol ridurre i conflitti internazionali a una lotta tra la democrazia e la barbarie ovvero i paesi islamici e tutti quelli che non accettano le regole imposte dagli occidentali. Il resto della discussione si è incentrato sul rinnovo contrattuale della categoria. Cammilli ha esposto una critica circostanziata di una firma che ha soddisfatto soltanto i padroni e ha recepito in pieno il Jobs Act e il “nuovo modello contrattuale” voluto da Squinzi che riduce ai minimi termini il contratto nazionale e delega gli aumenti alla contrattazione e Roma, 21 novembre 2015. Il compagno Andrea Cammilli alla manifestazione nazionale della Fiom (foto Il Bolscevico) alla produttività aziendale. Federchimica e Farmindustria (le associazioni padronali) hanno ottenuto la restituzione dell’ultimo aumento del contratto in corso, risparmiato il pagamento della festività della Pasqua, la limitazione del diritto di sciopero attraverso le “clausole di raffreddamento dei conflitti”, mentre si dà sempre maggiore spazio agli enti bilaterali, alla previdenza e alla sanità integrativa, cioè privata. Le critiche su questi e altri punti sono stati riprese da altri lavoratori. In particolare una delegata di un’azienda farmaceutica ha chiesto spiegazioni su questi cedimenti a Cardinali, lì presente a nome della Filctem nazionale. Costui, nelle sue lunghissime conclusioni, ha cercato di ribaltare l’impressione negativa generale espressa dalla sala cercando di farlo apparire come un “buon contratto approvato nelle assemblee con oltre il 90%”. Ci chiediamo dove sono state svolte queste assemblee, sicuramente non nella provincia di Pisa. Nonostante la sua filippica il dirigente sindacale non ha convinto i lavoratori. interni / il bolscevico 5 N. 45 - 10 dicembre 2015 Basta disperdere le forze Serve un unico forte movimento studentesco Ripetendo un fenomeno che da diverso tempo caratterizza le mobilitazioni studentesche nel nostro Paese, si sono recentemente tenute due tornate di manifestazioni separate, il 13 e 17 novembre, pur essendo entrambe contro la “Buona scuola” e i tagli contenuti nella legge di stabilità. Lo stesso era avvenuto il 2 e il 9 ottobre. Le giornate del 2 ottobre e del 13 novembre erano promosse da autonomi, centri sociali e collettivi, quelle del 9 ottobre e 17 novembre dai “sindacati studenteschi”. La differenza (non di poco conto) stava nel fatto che la mobilitazione del 13 coincideva con lo sciopero generale della scuola proclamato dai “sindacati di base”. Le studentesse e gli studenti marxisti-leninisti hanno appoggiato e partecipato a queste mobilitazioni nell’interesse esclusivo della lotta contro la “Buona scuola”, pur senza condividerne in pieno la linea e i metodi. Da parte degli autonomi rileviamo tendenze avventuristiche e settarie; i sindacati studenteschi d’altro canto si rifiutano di uscire dal pantano del riformismo e del legalitarismo e sono spesso succubi del vertice della Commissione giovani del CC del PMLI della CGIL. Non ci spieghiamo altrimenti perché, ad esempio, non abbiano dato forza allo sciopero generale del 13 e non abbiano fatto pressione sulla CGIL affinché facesse altrettanto. Da dove nascono queste divisioni? E, in ultima analisi, a chi tornano utili? Nascono dal settarismo e dal frazionismo, in quanto ciascun raggruppamento cerca di portare acqua esclusivamente al proprio mulino e a quello dei partiti di riferimento. Di fatto, le questioni e i problemi generali delle masse studentesche cadono in secondo piano e ne escono danneggiati. Alla fine, chi vince è il governo, che non si trova di fronte a una forza studentesca davvero consistente. Per non muoversi alla cieca, bisogna sempre mettere a fuoco la contraddizione principale in ogni battaglia: in questo caso, la lotta contro la “Buona scuola” e le politiche del governo in materia d’istruzione è la lotta che deve unire tutte le masse studentesche che aspirano al cambiamento, a prescindere dai collettivi, organismi o organizzazioni di appartenenza. Su questo punto bisogna fare perno per dare vita ad un unico grande movimento studentesco che si batta senza tregua contro le politiche di fascistizzazione, aziendalizzazione e privatizzazione della scuola e dell’università e contro il governo che le ha partorite, quello del nuovo duce Renzi. Per uscire dal frazionismo che attualmente caratterizza il movimento, è necessario mobilitare la base, cioè le larghe masse studentesche, discutere dal basso sulle iniziative, sulle date e le modalità delle mobilitazioni per poterne mettere in campo di unitarie e forti, non frazionate e quindi divise e deboli. Ma non solo, va anche discussa una linea politica, programmatica e rivendicativa comune, che ora manca, e infatti il movimento studentesco risente moltissimo dell’assenza di un orientamento chiaro e condiviso, senza il quale non riesce a prendere in mano l’iniziativa e passare all’offensiva. È per questi motivi che da tempo battiamo sullo stesso chiodo: l’organizzazione del movimento studentesco. La nostra proposta è dare vita alle assemblee generali delle studentesse e degli studenti in ogni scuola e ateneo, inteso come luogo dove confrontarsi sugli indirizzi politici, programmatici, organizzativi, i metodi e le iniziative di lotta in modo da raggiungere la massima intesa possibile. Le proposte, le piattaforme, le decisioni e i documenti delle assemblee generali di scuola ed ateneo potrebbero poi essere messe a confronto in assemblee regionali e nazionali. L’assemblea generale è già stata sperimentata con successo nel Sessantotto, quando era la norma riunirsi ed elaborare iniziative e rivendicazioni dal basso. Anche la Pantera del 1990 si dotò di assemblee locali e nazionali, un accenno debolissimo si è avuto persino nell’Onda del 2008, ma in questi casi è mancata la forza di farla affermare e consolidare. Comunque si tratta di esperienze importanti da tenere presenti per imparare tanto dai punti di forza quanto dagli errori e difetti del passato. È chiaro che, parlando di organizzazione del movimento studentesco, noi non intendiamo assolutamente burocratizzarlo o imporgli strutture verticistiche. È vero invece l’esatto contrario. Addirittura potremmo dire che il movimento è ben più “burocratizzato” adesso, diviso fra tante organizzazioni diverse che cercano di lottizzare ed egemonizzare la protesta, rispetto a quanto lo sarebbe dotandosi dell’assemblea generale. Se non si hanno velleità leaderistiche e opportunistiche, che spesso nascondono ambizioni elettorali, non si può avere paura di aprire un dibattito su come dare concretamente un’organizzazione al movimento studentesco. Le forze attualmente più avanzate non devono nemmeno temere che prevalga il riformismo. Un fronte unito come questo prevede sia unità sull’obiettivo comune, sia lotta per l’egemonia, combattendo dia- letticamente tutte le posizioni sbagliate e fuorvianti. Grazie al lavoro degli studenti avanzati, fra cui i marxisti-leninisti, e attraverso l’esperienza, le masse studentesche arriveranno a capire la vera natura del riformismo, del legalitarismo, del costituzionalismo e del pacifismo, i limiti da essi imposti gli staranno sempre più stretti, finché non saranno conquistate ad una linea rivoluzionaria. In ogni caso, il riformismo a livello di massa non si sconfigge certo abbandonando il lungo e paziente lavoro di convincimento delle larghe masse e illudendosi di poter contare sulle sole avanguardie. Le divisioni, il frazionismo, il settarismo non portano a nulla di buono, anzi fanno il gioco del governo, mentre l’unità delle masse studentesche fondata sulla democrazia diretta, su una linea comune e discussa democraticamente e sull’autonomia delle rispettive organizzazioni, può portare veramente a conquiste e alla vittoria di una battaglia così essenziale per il presente e il futuro dell’istruzione pubblica in Italia. La Commissione Giovani del CC del PMLI Ospite compiacente de “L’Unità” di Renzi Rizzo imbroglia su Gramsci e Berlinguer Il segretario generale del nuovo PC revisionista è onnipresente nei media. Come mai? Al PMLI non sono concessi né una riga sui giornali né un secondo in radio e tv Che cosa ci fa un articolo di Marco Rizzo sulle pagine de “L’Unità” di Renzi? Il segretario generale del nuovo Partito Comunista revisionista firma infatti un suo intervento per il numero speciale dell’11 novembre scorso dedicato a Enrico Berlinguer, in cui si propone di spiegare “cosa ha portato il Partito di Antonio Gramsci a diventare oggi quello di Matteo Renzi”, ed è singolare che lo faccia da ospite compiacente e compiaciuto del megafono personale del nuovo duce. Ma poi l’operazione diventa chiara una volta letto l’articolo, che già nel titolo ne anticipa tutta l’ambiguità: “Berlinguer? Una persona onesta ma non comunista”. Rizzo individua nella politica conciliante post-resistenziale di Togliatti, poi sfociata nella “via italiana al socialismo”, l’inizio di quella che chiama la “consunzione della grande esperienza storica e politica dei comunisti in Italia”. Ma intanto giustifica tale politica (che tra l’altro omette significativamente di chiamare col suo vero nome, e cioè revisionista), perché la situazione di allora “era innegabilmente avversa ad una reale possibilità di ‘fare la rivoluzione’ in Italia”. E secondo lui sarebbe bastato che a prevalere fosse stata la linea trotzkista di Secchia, il quale diceva che “tra fare la rivoluzione e non fare nulla c’è una bella differenza”, per salvare il PCI dalla fine ingloriosa che ha fatto. Dalla sua fondazione nel 1921 fino alla “svolta” togliattiana, invece, per Rizzo il PCI è stato un partito autenticamente comunista. E Gramsci, “con la sua concezione della conquista dell’“egemonia’ e della ‘guerra di posizione’” non è stato a suo dire “l’antesignano delle vie nazionali al socialismo”, ma al contrario la sua concezione del partito e dello Stato “è sempre stata protesa alla conquista del potere politico”. Una falsificazione grossolana della storia, questa, perché sono proprio le teorie di matrice liberal-riformista di Gramsci, che sostituivano la costruzione dei Consigli operai a quella del partito marxista-leninista, il concetto di “blocco storico” a quello di lotta di classe, il concetto di “egemonia” (non come la concepiva Lenin) a quello della dittatura del proletariato, e il concetto di “guerra di posizione” a quello di insurrezione rivoluzionaria per il socialismo, che posero per prime le fondamenta revisioniste del PCI. Poi riprese e sviluppate da Togliatti nel dopoguerra con la “via italiana al socialismo”. Se Gramsci fosse stato un vero comunista, come mai settori della borghesia e del trotzkismo lo considerano ancora adesso uno dei loro punti di riferimento, in Italia e all’estero? Rizzo copre il revisionista Berlinguer Quanto al pensiero di Berlinguer, “persona onesta ma fuori dal comunismo”, Rizzo ne critica i “punti cardinali” che sono “il compromesso storico, la democrazia come valore universale, l’eurocomunismo, l’accettazione dell’ombrello della Nato, l’adesione alla UE ed infine le considerazioni sull’esaurimento della spinta propulsiva della Ri- voluzione sovietica”. Ma poi finisce per dipingerlo ambiguamente come un “isolato” in un partito ormai saldamente in mano alla corrente “migliorista” dei vari Amendola e Napolitano, tanto da ritrovarsi da solo di fronte ai cancelli della Fiat nel 1980 e nella lotta in difesa della scala mobile. Leader ormai “ininfluente” di fronte alla “mutazione genetica” già avvenuta nel partito e che “non aveva voluto contrastare”. Un’altra falsificazione della storia che si svela da sé, quando più avanti Rizzo rievoca l’intervista a Giampaolo Pansa sul “Corriere della Sera” del 15 giugno 1976, in cui Berlinguer “sentenziò l’accettazione definitiva dell’Occidente capitalistico e della sua micidiale alleanza militare, la NATO”. E l’intervista del 2 agosto 1978 ad Eugenio Scalfari, in cui sposò “il processo di unità europea e capitalistica”. Con ciò ammettendo implicitamente che era proprio lui, ancor prima degli anni ‘80, e non soltanto l’ala “migliorista”, a propugnare e guidare l’integrazione del PCI revisionista nel sistema capitalista e imperialista occidentale, completando il percorso revisionista aperto da Gramsci e portato avanti da Togliatti. Anche Rizzo ha contribuito all’avvento di Renzi D’altra parte, se come dice Rizzo la “mutazione genetica” del PCI era già compiuta alla fine degli anni ’70, come mai nel 1981 egli lasciò Lotta Continua per entrare in quel parti- L’articolo di Rizzo su l’Unità dell’11 novembre 2015 to, ricoprendovi vari incarichi dirigenti e restandovi fino al suo autoscioglimento nel 1991? E vi entra proprio nell’anno, il 1981, in cui da parte di Berlinguer, ricorda sempre Rizzo, “viene definitivamente reciso il ‘cordone ombelicale’ anche ideale, con la storia del movimento operaio e comunista”, con la famosa frase sull’esaurimento della “spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. Ma da buon trotzkista Rizzo non solo si guarda bene dall’accennare a questa contraddizione e fare quantomeno autocritica, ma conclude l’articolo con la blanda critica a Berlinguer e senza rispondere alla domanda che lui stesso si era posto all’inizio: senza spiegare cioè come si è passati da Berlinguer a Renzi, un processo di cui anche lui ha fatto parte come dirigente del PCI revisionista fino alla sua fine. Per non parlare della sua successiva carriera politica (anche come parlamentare europeo) nel PRC e nel PdCI, partiti che hanno sempre fiancheggiato e coperto a sinistra, anche go- vernandoci insieme, i partiti neoliberali PDS e DS eredi del PCI. E comunque Rizzo si è ben guardato dall’attaccare Renzi e la sua politica neofascista, piduista, filopadronale, antioperaia e interventista, a dimostrazione che la sua comparsata su “L’Unità” è frutto di una reciproca “legittimazione” tra i due imbroglioni politici. E il momento scelto non è casuale, visto che coincide con la nascita di Sinistra italiana, formata dall’alleanza parlamentare tra i fuorusciti riformisti di sinistra del PD guidati da Fassina e D’Attorre e il partito di Vendola. Rizzo coccolato dai media borghesi Così adesso anche “L’Unità” di Renzi si va ad aggiungere alla sempre più lunga lista di giornali che ospitano Rizzo sulle loro pagine; e di media borghesi, con in testa le reti tv della Rai e di Mediaset, che parlano spesso delle iniziative del suo partito personale, anche se inesistente tra le masse. Come è successo anche ultimamente per la sua iniziativa del 7 novembre in occasione dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre a Roma, in compagnia del segretario del KKE revisionista greco, che è stata sponsorizzata contemporaneamente da TG1, AdnKronos, Huffington Post-gruppo Espresso. Gli stessi media borghesi che lo invitano regolarmente ai loro talk show, come fa spesso Rai3Agorà, e ha fatto anche in occasione della suddetta iniziativa. Mentre invece al PMLI non è concesso né una riga sui giornali né un secondo di trasmissione in radio e tv. Ma evidentemente ad essi fa comodo ospitare un imbroglione trotzkista come lui, per fare da tappezzeria e presentarlo come unico vero “comunista” rimasto in Italia: per darsi una patente di “democraticità” e “pluralismo” a buon mercato dando voce al suo innocuo comunismo da salotto, così da oscurare l’unica autentica voce marxista-leninista rappresentata dal PMLI e impedire che arrivi alle larghe masse popolari. 6 il bolscevico / processo di Norimberga N. 45 - 10 dicembre 2015 70° anniversario del processo di Norimberga Il processo di Norimberga fu necessario. Metterlo in discussione vuol dire fare un regalo ai nazisti di ieri e di oggi Le potenze occidentali ostacolarono la denazificazione, demilitarizzazione e democratizzazione della Germania Il 20 novembre 1945 si apriva nella città di Norimberga il processo al termine del quale dei ventidue criminali nazisti alla sbarra tre vennero assolti, sette condannati a pene detentive e dodici condannati a morte per impiccagione. Hermann Göring pur condannato sfuggì al capestro suicidandosi al termine del processo così come aveva fatto Robert Ley in precedenza. Allora come oggi, a distanza di settanta anni, i nazisti, i loro eredi e i loro reggicoda hanno cercato con ogni mezzo di contestare la legittimità e la necessità di quel processo. Allora furono soprattutto i criminali caporioni hitleriani alla sbarra a contestare il diritto dei vincitori “alleati” a giudicarli ma anche esponenti liberali come Benedetto Croce, che di fatto nulla aveva fatto per contrastare la salita al potere di Mussolini e durante il ventennio non fu mai vittima del carcere e del confino che il regime riservava agli antifascisti conseguenti. In un discorso del 1947 alla Costituente così si esprimeva: “Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra”. Da allora il montante revisionismo storico si è dato l’obiettivo di rovesciare quei giusti verdetti storici emanati prima sui campi di battaglia, come la fucilazione di Mussolini decisa dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e dal Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà, e poi nelle aule dei tribunali durante i processi che giudicarono i criminali nazisti e fascisti, come fu nel caso del processo di Norimberga. Fino al punto che persino “Il Fatto quotidiano” ricorda questo settantesimo anniversario rilanciando un vergognoso articolo di Massimo Fini che si conclude con queste parole: “Oggi... si può dire che quei processi erano ingiusti, illegittimi, pericolosi”. Costui con scandalosa disinvoltura mette sullo stesso piano fascismo e antifascismo, Hitler e Stalin, aggressori e aggrediti: “Ma questioni giuridiche a parte, l’effetto a nostro parere più inquietante e gravido di conseguenze storiche dei processi di Norimberga e di Tokyo fu quello di ingenerare un pericoloso equivoco: che i vincitori fossero davvero migliori dei vinti nel momento in cui si chiudeva la guerra. Fa una certa specie, per esempio, pensare che sullo scranno dei giurati, a Norimberga, sedevano, per giudicare di “atti di aggressione”, i rappresentanti di un paese, l’Urss, che aveva assalito e squartato, con un attacco vilissimo e proditorio, concertato proprio con Hitler, la Polonia e che era responsabile delle fosse di Katyn. Fa specie sapere che, a quel processo su “crimini contro l’umanità”, fece la sua apparizione, fra coloro che giudicavano, il sovietico Visinskij, il pubblico ministero delle “purghe” di Mosca del 1936-37.” Fini ha tanta bile anticomunista da sposare in toto la propaganda fascista che accusa Stalin di aver invaso la Polonia di concerto con Hitler e gli attribuisce la responsabilità dell’eccidio di Katyn. Quest’ultimo caso fu una colossale provocazione contro l’Armata Rossa da parte dell’esercito del III Reich peraltro accompagnata dal verdetto fasullo di una commissione internazionale manipolata dai nazisti. Tant’è vero che alcuni membri di quella commissione, qualche anno dopo al Processo di Norimberga, testimoniarono e descrissero in quali condizioni di ricatto e di pressione psicologica furono costretti a dichiarare il falso sull’eccidio di Katyn. La macabra messa in scena ordita dai nazisti e diretta personalmente da Hitler, che in questo genere di cose aveva già dimostrato tutta la sua maestria il 27 febbraio del 1933 con l’incendio del Reichstag, si ritorse ancora una volta contro gli stessi nazisti che alla fine delle indagini, svolte da una commissione medico legale e da esperti di vari Paesi del mondo, furono ritenuti i veri responsabili dell’efferata strage di Katyn. Un verdetto che tre anni dopo verrà inequivocabilmente e definitivamente riconfermato anche al processo di Norimberga in cui furono esibite schiaccianti prove e innumerevoli testimonianze, molte delle quali scritte e controfirmate, che deponevano contro i nazisti e a favore dell’Unione Sovietica (si veda l’articolo http://www.pmli.it/eccidiokatynhitlernostalin.htm). In realtà la questione cruciale che faceva da sfondo al processo di Norimberga era la piena denazificazione, demilitarizzazione e democratizzazione della Germania, mentre le potenze occidentali erano già proiettate verso la guerra fredda e puntavano a servirsi di quanto restava del nazismo e del militarismo tedesco in funzione antisovietica. La posizione sovietica e quella delle potenze occidentali Le differenze tra i sovietici e le potenze occidentali emersero già durante la guerra. Cosa fare dei nazisti e del militarismo tedesco dopo la loro sconfitta? Come evitare ai popoli dell’Europa e del mondo una nuova guerra mondiale scatenata dalla Germania? Le posizioni dei sovietici e degli imperialisti occidentali non avrebbero potute essere più distanti. Anche se l’Unione Sovietica aveva pagato il prezzo più caro della guerra, più di ventidue milioni di morti tra militari e civili, essa non voleva la scomparsa della Germania. Il capitalismo e il militarismo tedesco erano i veri responsabili dell’aggressione all’Urss e dei terribili crimini ai danni del suo popolo. Stalin nel 1942, dunque nel momento in cui le armate hitleriane raggiungevano la loro massima espansione nell’occupazione dei territori sovietici, dichiarò: “A volte nella stampa straniera si diffonde la voce che l’Esercito rosso ha per scopo di sterminare il popolo tedesco e distruggere lo Stato tedesco. Questa è, certamente, una sciocca menzogna e una calunnia poco intelligente. (…) sarebbe ridicolo identificare la cricca di Hitler col popolo tedesco, con lo Stato tedesco. L’esperienza della storia inse- ta rossa e il coraggio e la forza del popolo sovietico che era stato in grado di annientare la belva nazista. L’Urss, e con essa il socialismo, si era affermata come un rosso faro di luce per i popoli oppressi. No, il rischio per gli imperialisti ed i capitalisti occidentali era davvero troppo grande. Molto meglio stringere accordi con quanto restava del nazismo e del militarismo tedesco. La Germania, insomma, doveva essere utilizzata in funzio- no invece circoscrivere la “portata” del processo limitandosi a processare i principali caporioni nazisti, quelli troppo noti per i loro crimini e quindi con cui sarebbe stato impossibile instaurare una collaborazione. Il processo doveva insomma limitarsi a perseguire i pochi imputati, addossare loro tutte le responsabilità e chiudere in questo modo la faccenda così da potere utilizzare l’apparato politico-militare nazista in funzione antisovieti- I gerarchi nazisti sugli scranni degli imputati nell’aula durante il processo di Norimberga gna che gli Hitler vengono e se ne vanno, mentre il popolo tedesco, lo Stato tedesco rimangono. La forza dell’Esercito rosso consiste, infine, nel fatto che esso non ha e non può avere un odio di razza verso gli altri popoli e quindi anche verso il popolo tedesco.” Chiara la posizione sovietica. Distruggere la cricca hitleriana ed il militarismo tedesco separando le loro criminali responsabilità da quelle del popolo tedesco. Ben diversa la posizione delle potenze occidentali. Infischiandosene del nazismo e dei suoi crimini, i capitalisti occidentali vedevano nella guerra una duplice opportunità: la riduzione della Germania a loro fedele alleata, dopo che era stata una pericolosissima “concorrente” nella competizione imperialista per il dominio del mondo, e un forte ridimensionamento dell’Unione sovietica. Mentre la gloriosa Armata rossa ricacciava a prezzo di perdite enormi le armate naziste gli “alleati” occidentali avanzavano lentamente e con poche perdite e, con la propria flotta aerea, radevano al suolo le città tedesche con indiscriminati bombardamenti a tappeto. In perfetta coerenza con i loro obiettivi gli americani e gli inglesi uccisero più di un milione di civili tedeschi nel corso dei loro raid aerei. Il ministro del tesoro degli Stati Uniti Henry Morgenthau, con il pieno sostegno di Roosevelt e Churchill, elaborò un piano (il “piano Morgenthau”) in cui veniva previsto il totale smantellamento dell’industria tedesca e l’obbligo per i tedeschi a praticare solo l’agricoltura e la pastorizia. Con l’avvicinarsi della fine della guerra però gli imperialisti occidentali si trovarono di fronte ad una amara sorpresa. L’Unione Sovietica di Stalin non era stata affatto piegata dalle armate naziste ma era invece più forte che mai! La vittoria sul nazifascismo aveva mostrato l’efficienza militare dell’Arma- ne antisovietica e per questo mantenuta come potenza economica e militare. Molto meglio per i capitalisti e gli imperialisti avere un concorrente in più nella guerra per i mercati che rischiare di perdere tutto con la vittoria del socialismo! Le diverse concezioni del processo Terminata la guerra i popoli del mondo vennero a conoscenza dei terribili crimini commessi dai nazisti. Campi di sterminio, camere a gas, schiavitù e oppressione di interi popoli. L’imperialismo tedesco si era reso responsabile di azioni criminali che non potevano restare impunite. Come già dichiarato nel corso della guerra i principali criminali nazisti dovevano essere giudicati pubblicamente in un processo che facesse luce sui loro crimini. Quali i principali criminali nazisti da processare? Quali, in concreto, le azioni da compiere affinché emergessero le responsabilità della guerra ed i terribili crimini perpetrati dai nazisti durante la stessa? Su questi fondamentali punti le posizioni dell’Urss e delle potenze occidentali si rivelarono subito contrastanti. Per Stalin e la dirigenza sovietica lo scopo principale del processo era accertare le reali responsabilità dell’ascesa del nazismo e dei suoi terribili crimini. Il nazismo non era certo piovuto dal cielo ma era stato finanziato dai banchieri e dagli industriali tedeschi. Erano questi i criminali che avevano creato Hitler, che lo avevano finanziato e con esso avevano fatto affari d’oro, non da ultimo sfruttando come schiavi i popoli dei paesi occupati. Per i sovietici non vi erano dubbi. Lo scopo ultimo del processo doveva essere la definitiva cancellazione del nazismo e del militarismo tedesco così da costruire la nuova Germania come paese democratico. Ben diversa la posizione delle potenze occidentali che voleva- ca. Le potenze occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia minacciarono in più occasioni i sovietici di celebrare processi separati con gli imputati da essi catturati. Interessante notare a questo riguardo come quasi tutti i caporioni nazisti sotto processo si erano consegnati, spesso spontaneamente, agli americani o agli inglesi. E si rifiutarono di includere tra i criminali di guerra il corpo dello stato maggiore hitleriano e del comando supremo delle forze armate del Reich nazista I criminali nazisti giudicati e quelli impuniti All’avvio del processo erano presenti al banco degli imputati alcuni dei principali criminali nazisti ma, come abbiamo detto, non erano invece presenti altri criminali altrettanto, se non addirittura in misura maggiore, responsabili. Mancavano i Krupp (come del resto in Italia mancavano gli Agnelli) che avevano finanziato il nazismo ed avevano armato le sue aggressioni. Al processo di Norimberga di fatto sfuggirono i veri e principali responsabili del nazismo e, con esso, della guerra. Le potenze occidentali decisero di rimandare l’accusa al “mondo economico nazista” in successivi processi del tutto minori che oltretutto, con la scusa della frattura con l’Urss dopo che essi stessi avevano scatenato la guerra fredda, svolsero da soli. A Norimberga per tutta la durata del processo, mentre venivano alla luce i crimini immani perpetrati dai nazisti, gli americani, assieme agli inglesi ed ai francesi, mantennero una posizione ambigua ed oscillante. Le norme processuali da essi imposte concessero agli imputati ben oltre il semplice diritto alla difesa. Venne loro concessa la possibilità di svolgere delle vere e proprie arringhe politiche. Göring ed altri caporioni nazisti in non poche occasio- ni pontificarono il loro operato esaltando il nazismo come l’unico baluardo contro il comunismo. Durante alcune sedute le parti parevano invertite. I nazisti al banco degli imputati trasformati in accusatori dell’Urss e del suo popolo, quello stesso popolo che essi avevano cercato di distruggere! Nonostante l’ostruzionismo dei magistrati e dei procuratori occidentali gli imputati nazisti vennero inchiodati nelle loro responsabilità poiché i principali crimini di guerra e contro l’umanità erano stati compiuti nell’Europa orientale e nell’Urss i sovietici avevano accesso diretto alle inoppugnabili prove di questi terribili delitti. Del resto mentre in occidente i nazisti si erano perlopiù limitati ad una occupazione militare era all’est che essi attuarono una politica di sterminio ed era qui che essi avevano costruito i campi di sterminio con le loro camere a gas ed i loro forni crematori. Dimostrate le loro terribili responsabilità i criminali nazisti Frank, Frick, Jodl, Kaltenbrunner, Keitel, Von Ribbentrop, Rosenberg, Sauchel, Streicher e Seyss-Inquart vennero riconosciuti colpevoli e condannati a morte. Stessa sorte per Göring, suicidatosi. Nonostante i loro crimini, grazie all’opposizione dei magistrati occidentali che misero il veto alla loro condanna a morte, vennero condannati solo a pene detentive Dönitz, successore di Hitler come presidente del Reich, Speer, il responsabile degli armamenti e dei campi di lavoro forzati, Raeder, grande ammiraglio del Reich, Funk, ministro dell’economia, Von Neurath, ministro degli esteri fino al 1938 e quindi governatore del “protettorato” di Boemia e di Moravia fino al 1942, Von Schirach, capo della gioventù hitleriana e governatore di Vienna ed Hess, l’ex segretario del partito nazista che nel maggio del 1941 era volato in Scozia per proporre agli inglesi una pace separata in previsione di una guerra comune contro l’Unione Sovietica. Tre imputati, Fritzsche, Von Papen e Schacht vennero invece assolti. Mentre però Fritzsche e Von Papen avevano svolto ruoli secondari e non criminali (Fritzsche era un semplice commentatore radiofonico mentre Von Papen era relegato in Turchia come ambasciatore) lo stesso non poteva davvero dirsi di Schacht. In qualità di banchiere e di ministro delle finanze Schacht rese possibile l’avvento del nazismo e, per il tramite dell’alta borghesia tedesca, fornì ad esso le indispensabili risorse economiche. Sfruttando le sue conoscenze nel mondo della finanza dei paesi capitalistici Schacht fu il garante di Hitler con il capitalismo mondiale, desideroso di usare la Germania nazista in funzione antisovietica. Mentre nella Germania orientale, poi Ddr, i sovietici aiutavano il popolo tedesco a risollevarsi dalle macerie della guerra ed a costruire un nuovo futuro di pace e democrazia, Schacht, assieme a molti altri criminali nazisti politici e militari, riebbe subito posizioni di prestigio nella Germania occidentale. N. 45 - 10 dicembre 2015 195° anniversario della nascita di Engels / il bolscevico 7 2015 - 28 novembre – 1820. 195° Anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale e cofondatore del socialismo scientifico Engels: Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia In occasione del 195° Anniversario della nascita di Engels, che cade il 28 novembre, pubblichiamo in questa pagina il fondamentale capitolo “Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia” scritto nel giugno 1876, dell’opera “Dialettica della natura” scritta dal 1873 al 1883, alcune integrazioni furono redatte nel 1855-1886. Ciononostante Engels non riuscì a portare a termine questa sua opera per sovraccarico di lavoro dopo la morte di Marx e per impegni più urgenti, tra cui la stesura dell’ “Anti- Dühring” scritto nel 1878. Della “Dialettica della natura” sul n. 31 de “Il Bolscevico” di quest’anno abbiamo pubblicato l’ “Introduzione” e “Prima prefazione all’“Anti-Dühring” sulla dialettica. Quest’opera è il risultato di approfondimenti e sistematici studi di matematica e di scienze naturali, tra cui l’opera di Darwin sull’origine della specie per selezione naturale, da parte di Engles, il quale nella sua “Prefazione alla seconda edizione dell’’Anti-Dühring’ scritta il 23 settembre del 1885 spiega il mo- Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, dicono gli studiosi di economia politica. Lo è, accanto alla natura, che offre al lavoro la materia greggia che esso trasforma in ricchezza. Ma il lavoro è ancora infinitamente più di ciò. È la prima, fondamentale condizione di tutta la vita umana; e lo è invero a tal punto, che noi possiamo dire in un certo senso: il lavoro ha creato lo stesso uomo. Centinaia di migliaia di anni fa, in una fase ancora non precisabile di quell’era che i geologi chiamano terziaria, probabilmente verso la sua fine, viveva in una qualche parte della zona torrida - verosimilmente su di un grande continente ora sprofondato nell’Oceano Indiano - una famiglia di scimmie antropomorfe giunta a uno stadio particolarmente alto di sviluppo. Darwin ci ha dato una descrizione approssimativa di questi nostri antenati. Erano estremamente pelosi, avevano la barba, le orecchie appuntite, e vivevano in branchi sugli alberi. A motivo anzitutto del loro modo di vivere (l’arrampicarsi porta a un impiego delle mani diverso da quello dei piedi) queste scimmie cominciarono a perdere l’abitudine di aiutarsi con le mani quando procedevano su terreno piano e ad assumere sempre più la posizione eretta. Con ciò era fatto il passo decisivo per il trapasso dalla scimmia all’uomo. Tutte le scimmie antropomorfe ancora viventi possono stare ritte e muoversi facendo uso solo dei due piedi. Ma solo in caso di necessità e in modo estremamente impacciato. Il loro modo naturale di camminare è in posizione semieretta e comporta l’impiego delle mani. La maggior parte di esse appoggia le articolazioni del polso sul terreno e fa oscillare il corpo, con le gambe contratte, tra le lunghe braccia. Proprio come uno storpio, che cammini con le gruc- ce. In generale, possiamo osservare ancor oggi nelle scimmie tutti i gradini di passaggio dall’andare a quattro zampe fino al camminare sui due piedi. Ma quest’ultimo modo di procedere, in tutte le specie di scimmie, non arriva mai ad essere più che un mezzo accessorio in caso di bisogno. Se il camminare eretti divenne per i nostri villosi antenati dapprima regola e col tempo una assoluta necessità, ciò vuol dire che alle mani spettarono frattanto, attività di natura via via sempre più diversa dall’originaria. Anche tra le scimmie regna una certa divisione di compiti nell’impiego della mano e del piede. Come si è già accennato, nell’arrampicarsi la mano viene usata in modo diverso dal piede. Essa viene usata di preferenza per cogliere il cibo e tenerlo fermo; cosa che accade già nel caso di mammiferi inferiori per le zampe anteriori. Con le mani, molte scimmie si costruiscono nidi sugli alberi o addirittura, come lo scimpanzé, tettoie tra i rami per ripararsi dai temporali. Con le mani afferrano randelli per difendersi dai loro nemici, o pietre e frutta per bombardarli. Con esse compiono in prigionia tutta una serie di piccole operazioni imitando gli uomini. Ma proprio in quest’ultimo caso si vede quanto è grande la differenza tra la mano non sviluppata della scimmia, anche della più simile all’uomo, e la mano dell’uomo altamente perfezionata dal lavoro di centinaia di migliaia di anni. Il numero delle articolazioni e dei muscoli, la loro disposizione generale sono, nei due casi, gli stessi; ma la mano del selvaggio più arretrato può compiere centinaia di operazioni che nessuna scimmia riesce ad imitare. Nessuna mano di scimmia ha mai prodotto il più rozzo coltello di pietra. Perciò le operazioni alle quali i nostri antenati impararono ad abituare la loro mano, a poco a tivo per cui l’ha redatta. Ecco le sue parole: “In questa mia ricapitolazione della matematica e delle scienze naturali si trattava di convincere me stesso, anche nei particolari singoli, cosa della quale, su un piano generale, per me non c’era nessun dubbio, - che nella natura sono operanti, nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti quelle stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia dominano le apparenti accidentalità degli avvenimenti... per me non poteva trattarsi di costruire le leggi dialettiche intro- ducendole nella natura, ma di rintracciarle in essa e di svilupparle da essa”. Il capitolo che qui pubblichiamo, che segue il passaggio dalle scienze naturali alle scienze sociali, spiega la funzione del lavoro e della natura, l’origine della vita, l’origine dell’essere umano, le differenze tra questi e gli altri animali, il rapporto tra l’essere umano e la natura, l’uso capitalistico della natura e la necessità di sopprimere gli effetti dell’attività produttiva del capitalismo cambiando sistema economico. Il tutto alla luce del materialismo storico e del materialismo dialettico. Merita qui sottolineare alcuni concetti fondamentali di Engels per quanto riguarda il rispetto della natura. Occorre “conoscere le sue leggi (della natura, ndr) e di impiegarle in modo appropriato”, perché “noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo”. Inoltre per dominare e regolare gli effetti negativi dell’attività produttiva,”occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi se- guito fino ad oggi, e con esso tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso”. Questo vuol dire che per risolvere alla radice il problema ecologico e ambientale ci vuole il socialismo. È quanto hanno proposto i fondatori del socialismo scientifico fin da “Il Manifesto del Partito comunista”. Il che comporta di portare fino in fondo la lotta di classe che può avere fine, come dice Engels, “solo con l’abbattimento della borghesia e l’abolizione di tutti i contrasti di classe”. ventata autonoma e poteva ora acquistare una crescente destrezza: la maggiore scioltezza così acquistata si trasmise e si accrebbe di generazione in generazione. La mano non è quindi soltanto l’organo del lavoro: è anche il suo prodotto. La mano dell’uomo ha raggiunto quell’alto grado di perfezione, sulla base del quale ha potuto compiere i miracoli dei dipinti di Raffaello, delle statue di Thorvaldsen, della musica di Paganini, solo attraverso il lavoro: attraverso l’abitudine a sempre nuove operazioni, attraverso la trasmissione ereditaria del particolare sviluppo dei muscoli, dei tendini, e, a più lungo andare, anche delle articolazioni, per questa via acquisito: attraverso la sempre rinnovata elaborazione dei perfezionamenti così ereditati per mezzo di nuove, e sempre più complicate, operazioni. Ma la mano non era isolata. Essa era soltanto un singolo membro di un organismo completo, estremamente complesso. E ciò che era acquisito per la mano, era acquisito anche per tutto il corpo, al servizio del quale la mano lavorava, e invero in duplice modo. In primo luogo, come conseguenza della legge che Darwin ha chiamato di correlazione dello sviluppo. Secondo questa legge, determinate forme di singole parti di un essere organico sono sempre collegate a certe forme di altre parti, che non hanno apparentemente alcun rapporto con le prime. Tutti gli animali, per esempio, che possiedono globuli rossi senza nucleo e il cui occipite è collegato alle prime vertebre dorsali mediante due articolazioni (i condili), hanno anche, senza eccezione, ghiandole mammarie per l’allattamento dei piccoli. E così, nei mammiferi, zoccoli bifidi sono regolarmente legati a uno stomaco plurimo per la ruminazione. Modificazioni di determinate forme portano con sé modificazioni della forma di altre parti del corpo, senza che noi siamo in grado di spiegare tale rapporto. Gatti completamente bianchi con occhi azzurri sono sempre, o con pochissime eccezioni, sordi. Il graduale raffinamento della mano umana e il parallelo sviluppo del piede per la necessità del cammino in posizione eretta hanno indubbiamente agito di riflesso su altre parti del corpo anche a causa di simili correlazioni. Ma una tale influenza è stata studiata ancora troppo poco, per poter qui andare al di là di una semplice constatazione della sua esistenza. Molto più importante è la reazione diretta, dimostrabile, del- lo sviluppo della mano sul resto dell’organismo. Come abbiamo già detto, i nostri antenati scimmieschi erano socievoli; è evidentemente impossibile far discendere l’uomo, il più socievole di tutti gli animali, da un progenitore prossimo non socievole. Il dominio sulla natura iniziatosi con lo sviluppo della mano, con il lavoro, ampliò, ad ogni passo in avanti che veniva fatto, l’orizzonte dell’uomo. Egli andava scoprendo, di continuo, nuove proprietà, fino ad allora sconosciute, nelle cose della natura. D’altro lato, lo sviluppo del lavoro ebbe come necessaria conseguenza quella di avvicinare di più tra di loro i membri della società, aumentando le occasioni in cui era necessario l’aiuto reciproco, la collaborazione, rendendo chiara a ogni singolo membro l’utilità di una tale collaborazione. Insomma: gli uomini in divenire giunsero al punto in cui avevano qualcosa da dirsi. Il bisogno sviluppò l’organo ad esso necessario: le corde vocali, non sviluppate, della scimmia, si andarono affinando, lentamente ma sicuramente, abituandosi a una modulazione sempre più accentuata; la bocca e gli organi vocali impararono a poco a poco a emettere una sillaba articolata dopo l’altra. Il paragone con le bestie dimostra che questa spiegazione della nascita del linguaggio dal lavoro e con il lavoro è l’unica giusta. Quel poco che le bestie, anche le più sviluppate, hanno da comunicarsi se lo possono comunicare anche senza linguaggio articolato. Nessuna bestia allo stato di natura sente come una mancanza il fatto di non parlare o di non poter comprendere il linguaggio umano. Le cose stanno in modo del tutto diverso per le bestie che sono state addomesticate dall’uomo. Nella consuetudine con l’uomo, il cane Engels. Londra 1890 poco, nel corso di molti millenni, non possono essere state all’inizio se non molto semplici. I selvaggi più arretrati, anche quelli nei quali c’è da supporre una ricaduta nello stato più propriamente animale con contemporanea involuzione dell’organismo, sono sempre a un livello molto superiore a quello di quegli esseri di transizione. Perché si arrivasse al momento in cui il primo ciottolo fu lavorato dalla mano dell’uomo fino ad essere trasformato in coltello, possono essere trascorse epoche di lunghezza tale che al confronto l’epoca storica a noi nota può apparire insignificante. Ma il passo decisivo era compiuto: la mano era di- SEGUE IN 8 e 9ª ë 8 il bolscevico / 195° anniversario della nascita di Engels ed il cavallo hanno fatto talmente l’orecchio al linguaggio articolato da poter comprendere facilmente qualsiasi lingua, nei limiti delle idee ad essi accessibili. Hanno inoltre acquistato la capacità di provare dei sentimenti, che prima erano ad essi estranei: come l’attaccamento all’uomo, la riconoscenza ecc. Chi ha avuto consuetudine con queste bestie non si sottrae facilmente all’idea che ci siano parecchi casi nei quali esse, adesso, sentono come una mancanza la loro incapacità di parlare; mancanza alla quale certo non si può più purtroppo portare un rimedio perché i loro organi vocali si sono ormai troppo nettamente differenziati in una ben determinata direzione. Ma là dove esiste un organo adatto, anche una tale incapacità viene a cadere, entro certi limiti. Gli organi vocali degli uccelli son certo diversi quanto è possibile immaginarlo da quelli umani, e tuttavia gli uccelli sono le sole bestie che imparino a parlare. L’uccello che ha la voce più sgradevole, il pappagallo, è quello che parla meglio. Non si dica che egli non comprende quello che dice. Senza dubbio, ripeterà ciarliero tutto il suo patrimonio di parole per ore ed ore, per il semplice gusto di parlare e per il fatto che sta in compagnia di uomini. Ma entro i limiti delle cose che comprende può imparare anche a capire quello che dice. Si insegnino a un pappagallo delle ingiurie, in modo che si faccia una idea del loro significato (è uno dei sommi piaceri dei marinai che tornano veleggiando dai paesi tropicali); lo si stuzzichi, e si vedrà ben presto che sa far uso dei suoi insulti non meno appropriatamente di un’erbivendola berlinese. Lo stesso si dica per quel che riguarda la richiesta di leccornie. In primo luogo il lavoro, dopo di esso e con esso il linguaggio: ecco i due stimoli più essenziali sotto la cui influenza il cervello di una scimmia si è trasformato gradualmente in un cervello umano, molto più grande e perfetto secondo ogni verosimile ipotesi. Al perfezionamento del cervello si accompagnò però di pari passo il perfezionamento dei suoi strumenti più immediati: gli organi sensoriali. Come il graduale sviluppo del linguaggio è necessariamente accompagnato da un corrispondente affinamento dell’organo dell’udito, cosi più in generale lo sviluppo del cervello è accompagnato da quello di tutti i sensi. L’aquila vede molto più lontano dell’uomo, ma l’occhio dell’uomo scorge molto di più nelle cose che non quello dell’aquila. Il cane ha narici assai più penetranti dell’uomo, ma non distingue fra di loro la centesima parte degli odori che per l’uomo sono ben determinati indici di cose differenti. E il tatto, che nella scimmia esiste solo al suo più grezzo stato iniziale, si è andato formando solo con la formazione della mano umana, attraverso il lavoro. Lo sviluppo del cervello e dei sensi al suo servizio, della coscienza che si andava facendo vieppiù chiara, della capacità di astrarre e di ragionare, esercitò di rimando la sua influenza sul lavoro e sul linguaggio, dando ad entrambi un nuovo impulso per un ulteriore sviluppo. Questo ulteriore sviluppo non arrivò davvero a una definitiva conclusione quando l’uomo arrivò a distinguersi in modo definitivo dalla scimmia. Tale sviluppo invece, nelle linee generali, è proseguito possente; certo in misura diversa a seconda dei popoli e delle epoche, qua e là perfino interrompendosi e subendo delle involuzioni in un dato posto e in una data epoca. Esso fu da un lato potentemente stimolato, dall’altro indirizzato in un senso determinato da un nuovo elemento che compare quando l’uomo diviene veramente tale: la società. Sono certamente trascorsi centinaia di migliaia di anni (non più, per la storia della terra, di quel che sia un secondo per la vita umana*) prima che dai branchi di scimmie arrampicatrici venisse fuori una società di uomini. Ma alla fine essa si trovò formata. E qual è la differenza che noi troviamo ancora una volta come differenza caratteristica tra il branco di scimmie e la tribù di uomini? Il lavoro. Il branco di:scimmie si limitava a devastare il proprio territorio di pascolo, quel territorio i cui limiti erano segnati o dalla posizione geografica o dalla resistenza di un branco confinante. Il branco intraprendeva sì migrazioni e battaglie, per conquistare nuovo terreno di pascolo, ma era incapace di trar fuori dal suo territorio di pascolo più di quel che la natura stessa offriva (a prescindere dal fatto che inconsapevolmente lo concimava con i suoi escrementi). Una volta che tutti i possibili territori di pascolo erano stati occupati non poteva più aver luogo nessun incremento della popolazione delle scimmie; il numero delle bestie poteva tutt’al più mantenersi costante. Ma presso tutte le bestie ha luogo, in misura elevata, lo spreco del nutrimento, e con esso l’uccisione in germe del nuovo nutrimento. Il lupo non risparmia, come fa il cacciatore, la femmina del capriolo, che gli deve fornire nel prossimo anno i piccoli. Le capre di Grecia, distruggendo con il loro pascolare i piccoli arbusti all’inizio della loro crescita, hanno spogliato di vegetazione tutti i monti del paese. Questa «depredazione» propria delle bestie riveste un importante ruolo nella graduale trasformazione delle specie animali, in quanto le costringe ad assuefarsi a un nutrimento diverso dal loro abituale: con ciò nuovi composti chimici entrano nel loro sangue, e tutta la costituzione dell’organismo si altera a poco a poco, finché si estinguono le vecchie specie nelle forme in cui si erano una volta fissate. Non v’è dubbio che tale depredazione ha potentemente contribuito all’umanizzazione dei nostri antenati. Una razza di scimmie, molto più avanti di tutte le altre per intelligenza e capacità di adattamento, dovette essere portata da questa depredazione ad allargare sempre di più il numero delle piante per il suo nutrimento, a scegliere di queste piante sempre di più le parti adatte alla nutrizione di modo che, insomma, Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 2/12/2015 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 Engels interviene al Congresso dell’Aia della Prima Internazionale (settembre 1872) che sanzionò l’espulsione degli anarchici dall’Associazione dei lavoratori. Marx siede appena dietro il nutrimento divenne sempre più vario e più varie con esso le sostanze immesse nell’organismo, i presupposti chimici dell’umanizzazione. Tutto ciò non era però ancora vero e proprio lavoro. Il lavoro comincia con la preparazione di strumenti. E quali sono gli strumenti più antichi, quelli che ritroviamo per primi? Quelli che dobbiamo ritenere come i più antichi, stando a ciò che è stato scoperto del patrimonio degli uomini preistorici, e stando a ciò che ci dice tanto il modo di vivere dei primi popoli di cui ci tramanda notizia la storia, che il modo di vivere attuale dei selvaggi più arretrati? Sono strumenti per la caccia e per la pesca: i primi, al tempo stesso, armi. Ma la caccia e la pesca presuppongono il passaggio dall’alimentazione puramente vegetale al gusto della carne: e questo è un altro passo essenziale nel processo di umanizzazione. L’alimentazione carnea conteneva, quasi bell’e pronte, le sostanze più essenziali delle quali l’organismo ha bisogno per rinnovare i suoi tessuti; abbreviò i tempi della digestione e con essa di tutti gli altri processi vegetativi dell’organismo, cioè di quei processi che hanno il loro corrispondente nel regno vegetale; e portò con ciò un acquisto di tempo, di sostanze, di energia, per l’attivazione della vita più propriamente animale. E quanto più l’uomo in divenire si allontanava dalla pianta, tanto più si elevava anche al disopra della bestia. Come l’abitudine al cibo vegetale, accanto alla carne, ha trasformato il cane e il gatto selvaggio in servitori dell’uomo, così l’assuefazione alla carne come cibo, accanto ai vegetali, ha contribuito a dare all’uomo in divenire forza fisica e indipendenza. Ma la nutrizione carnea esercitò la sua influenza più importante sul cervello, al quale pervenivano, in copia molto maggiore di prima, le sostanze necessarie per il suo nutrimento e per il suo sviluppo, e che si poté quindi sviluppare in modo più rapido e più completo di generazione in generazione. Col permesso dei signori vegetariani, l’uomo non si sarebbe formato senza alimentazione carnea; e se è pur vero che l’alimentazione carnea ha prima o poi, per un certo periodo, condotto tutti i popoli a noi conosciuti all’antropofagia (gli antenati dei berlinesi, i Veletabi o Velsi, mangiavano i loro genitori ancora nel X secolo), la cosa ormai non ci tocca più. L’alimentazione carnea portò a due nuovi progressi di importanza decisiva: l’uomo imparò a servirsi del fuoco e ad addomesticare le bestie. Il primo fatto abbreviò ancor di più il processo digestivo, portando alla bocca un cibo, potremmo dire, già per metà dige- rito; il secondo fatto rese più abbondante l’alimentazione carnea, aprendo, accanto alla caccia, una nuova regolare forma di rifornimento, e procurò inoltre, con il latte e i suoi prodotti, un nuovo nutrimento di valore certo non inferiore alla carne per composizione. I due fatti divennero così, già in modo diretto, nuovi mezzi di emancipazione per l’uomo; ci porterebbe ora troppo lontano il soffermarci nei dettagli sulla loro influenza indiretta, per quanto importante essa sia stata per lo sviluppo dell’uomo e della società. L’uomo imparò a vivere sotto ogni clima, cosi come imparò a mangiare tutto ciò che era commestibile. L’uomo, l’unico animale che possedesse in sé la compiuta capacità di farlo, si espanse su tutta la terra abitabile. Gli altri animali che si sono assuefatti ad ogni clima - gli animali domestici e gli insetti - lo hanno fatto non da soli, con i propri mezzi, ma al seguito dell’uomo. Il passaggio dal clima uniformemente caldo della patria d’origine a quello di regioni più fredde, nelle quali l’anno si divideva in estate e inverno, creò nuovi bisogni: abitazione e vestiario per proteggersi dal freddo e dall’umidità. Nuovi campi di lavoro e con essi nuove attività, che allontanarono sempre di più l’uomo dall’animale. Per l’azione congiunta del- N. 45 - 10 dicembre 2015 la mano, degli organi vocali e del cervello, che esercitò la sua influenza non soltanto su ogni singolo individuo, ma anche sulla società, gli uomini divennero capaci di compiere operazioni sempre più complicate, di proporsi mete sempre più elevate e di raggiungerle. Il lavoro stesso, col passare delle generazioni, divenne altra cosa: divenne più completo, più multiforme. Alla caccia e alla pesca seguì l’agricoltura, a quest’ultima la filatura e la tessitura, la lavorazione dei metalli, la ceramica, la navigazione. Insieme al commercio e all’industria comparvero infine l’arte e la scienza; dalle tribù venero fuori le nazioni e gli Stati. Si svilupparono il diritto e la politica, e con essi si sviluppò il riflesso fantastico delle cose umane nella mente umana: la religione. Di fronte a tutte queste creazioni che si presentavano come prodotti diretti della mente e che sembravano dominare le società umane, i più modesti prodotti del lavoro manuale furono relegati in un secondo piano; tanto più che la mente organizzatrice del lavoro poté far seguire da mani che non erano le proprie il lavoro ideato, e ciò sin dai primissimi stadi dello sviluppo sociale (per es., già nella famiglia semplice). Tutto il merito dei rapidi progressi della civiltà venne attribuito alla mente, allo sviluppo e all’attività del cervello; gli uomini si abituarono a spiegare la loro attività con il loro pensiero invece che con i loro bisogni (che senza dubbio nel cervello si riflettono, e giungono alla coscienza). Sorse così, col tempo, quella concezione idealistica della vita, che ha dominato le menti sin dalla fine della civiltà antica. Essa è ancora tanto dominante, che persino gli scienziati materialisti della scuola darwinista non riescono ancora a farsi un’idea chiara delle origini dell’uomo, perché, essendo ancora sotto l’influsso ideologico dell’idealismo, non riconoscono la funzione che ha avuto il lavoro in quel processo. Come si è già accennato, anche gli animali, proprio come l’uomo, seppure non nella stessa misura, modificano con la loro attività la natura che li circonda. E le modificazioni da essi apportate all’ambiente reagiscono a loro volta, come abbiamo visto, su quegli animali stessi che ne sono stata la causa. Poiché nella natura non esistono avvenimenti isolati. Ogni fatto agisce sull’altro e viceversa. Il più delle volte, è proprio la dimenticanza di questo movimento in tutte le direzioni, di questa azione mutua, che impedisce ai nostri scienziati di veder chiaro nei più semplici fenomeni. Abbiamo osservato come le capre abbiano impedito il rimboschimento della Grecia; le capre e i maiali sbarcati a Sant’Elena dai primi naviganti che vi approdarono hanno quasi portato a termine la loro opera di distruzione dell’antica vegetazione e hanno così preparato il terreno adatto all’espansione delle piante portate più tardi da nuovi navigatori e da colonizzatori. Ma SOTTOSCRIVI PER IL PMLI PER IL TRIONFO DELLA CAUSA DEL SOCIALISMO IN ITALIA Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze 195° anniversario della nascita di Engels / il bolscevico 9 N. 45 - 10 dicembre 2015 se gli animali esercitano un’influenza duratura sull’ambiente in cui vivono, la cosa avviene senza alcuna intenzione ed è, per gli animali stessi, qualcosa di casuale. Quanto, più però l’uomo si allontana dall’animale, tanto più la sua influenza sulla natura assume l’aspetto di attività premeditata, svolta secondo un piano indirizzato a ben determinati scopi, anticipatamente noti. L’animale distrugge la vegetazione di una regione senza sapere quello che fa. L’uomo la distrugge per seminare sul terreno così sgombrato e per piantarvi alberi e viti, e sa che egli riavrà la semente moltiplicata. Egli trasferisce da una regione all’altra piante utili e animali domestici, e modifica così la flora e la fauna di interi continenti. Ma v’è di più. Con l’allevamento, ad arte, tanto le piante che gli animali vengono modificati in modo tale dalla mano dell’uomo, da divenire irriconoscibili. Le piante selvagge, dalle quali discende la varietà del nostro grano, si cercano ancora invano. È ancor sempre in discussione da quali bestie selvagge derivino i nostri cani, che tante differenze hanno tra loro stessi, o le nostre altrettanto varie razze di cavalli. È del resto ovvio che a noi non viene in mente di contestare agli animali la capacità di agire secondo un piano, premeditatamente. Al contrario. Attività orientata secondo un piano esiste già, in germe, dovunque protoplasma, albume vivente, esiste e reagisce: compie cioè dei movimenti, sia pur semplici, in conseguenza di determinati stimoli esterni. Tali reazioni hanno luogo là dove ancora non ci sono addirittura cellule, per non parlare di cellule nervose. Il modo in cui le piante che divorano insetti afferrano la loro preda appare sotto un certo aspetto come un’azione predisposta secondo un piano, per quanto del tutto inconsapevole. Negli animali, nella misura in cui si sviluppa il sistema nervoso, si sviluppa la capacità di un’azione preordinata e cosciente, capacità che raggiunge già un alto livello nei mammiferi. Nella caccia alla volpe inglese si può osservare ogni giorno con quanta precisione la volpe sappia impiegare la sua grande conoscenza dei luoghi, per sfuggire ai suoi persecutori, e quanto ben conosca e utilizzi tutte le particolarità del terreno atte a interrompere la traccia. Nel caso dei nostri animali domestici più altamente sviluppatisi nella consuetudine con l’uomo, possiamo osservare ogni giorno atti di scaltrezza che stanno assolutamente allo stesso livello di quelli che fanno i piccoli dell’uomo. Poiché, come la storia dello sviluppo del seme umano nel grembo materno non rappresenta altro che un’abbreviata ripetizione della storia dello sviluppo, lunga milioni di anni, degli organismi degli animali nostri antenati, a partire dai vermi, così lo sviluppo spirituale del piccolo dell’uomo non rappresenta che una ripetizione, solo ancor più abbreviata, dello sviluppo intellettuale di quegli antenati, perlomeno dei più recenti. Ma nessuna preordinata azione di nessun animale è riuscita a imprimere sulla terra il sigillo della sua volontà. Ciò doveva essere proprio dell’uomo. Insomma, l’animale si limita a usufruire della natura. esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: fa domina. Questa è l’ultima, essenziale differenza tra l’uomo e gli altri -animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza1. Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell’Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l’attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi dell’umidità. Gli italiani della regione alpina, nel consumare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all’industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell’anno quell’acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l’epoca delle piogge. Coloro che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al tubero farinoso. Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato. E, in effetti, comprendiamo ogni giorno più esattamente le sue leggi e conosciamo ogni giorno di più quali sono gli effetti immediati e quelli remoti del nostro intervento nel corso abituale della natura. In particolare, dopo i poderosi progressi compiuti dalla scienza in questo secolo, siamo sempre più in condizione di conoscere, e quindi di imparare a dominare anche gli effetti naturali più remoti, perlomeno per quello che riguarda le nostre abituali attività produttive. Ma quanto più ciò ac- Richiedete la maglietta rossa del PMLI Possono richiederla, con una donazione volontaria, i militanti, i simpatizzanti e i sostenitori del PMLI La donazione va inviata con versamento su conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - via Antonio del Pollaiolo 172/a 50142 Firenze Engels nel suo studio di Londra nel 1885 cade, tanto più gli uomini non solo sentiranno, ma anche sapranno, di formare un’unità con la natura, e tanto più insostenibile si farà il concetto, assurdo e innaturale, di una contrapposizione tra spirito e materia, tra uomo e natura, tra anima e corpo, che è penetrato in Europa dopo il crollo del mondo dell’antichità classica e che ha raggiunto il suo massimo sviluppo nel cristianesimo. Ma se è stato necessario il lavoro di millenni sol perché noi imparassimo a calcolare, in una certa misura, gli effetti naturali più remoti della nostra attività rivolta alla produzione, la cosa si presentava come ancor più difficile per quanto riguarda i più remoti effetti sociali di tale attività. Abbiamo citato il caso delle patate e della scrofola, diffusasi col loro diffondersi. Ma cos’è la scrofola di fronte agli effetti che provocò sulle condizioni di vita delle masse popolari di interi paesi il fatto che i lavoratori fossero ridotti a cibarsi di sole patate? di fronte alla carestia che colpì l’lrlanda nel 1847 in conseguenza della malattia che distrusse le patate, e fece finire sotto terra un milione di irlandesi che si nutrivano di patate e quasi esclusivamente di patate, altri due milioni al di là del mare? Quando gli arabi impararono a distillare l’alcool non si sognavano neppure di aver creato la principale tra le armi destinate a cancellare dalla faccia della terra gli aborigeni della ancor non scoperta America. E quando Colombo scoprì questa America non sapeva che, così facendo, risvegliava a nuova vita la schiavitù già da lungo tempo superata in Europa e gettava le basi per il commercio dei negri. Gli uomini, che con il loro lavoro produssero la macchina a vapore, tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, non avevano affatto il presentimento di costruire lo strumento che più d’ogni altro era destinato a rivoluzionare la situazione sociale di tutto il mondo, a procurare in particolare alla borghesia, in un primo tempo, il predominio sociale e politico, attraverso la concentrazione della ricchezza nelle mani della minoranza e la totale espro- priazione della stragrande maggioranza, per generare poi tra borghesia e proletariato una lotta di classe, che può aver fine solo con l’abbattimento della borghesia e l’abolizione di tutti i contrasti di classe. Ma anche in questo campo noi riusciamo solo gradualmente ad acquistare una chiara visione degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva, attraverso una lunga e spesso dura esperienza, e attraverso la raccolta e il vaglio del materiale storico; e così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti. Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso. Tutti i modi di produzione fino ad oggi esistiti si sono sviluppati avendo di mira i risultati pratici più vicini, più immediati, del lavoro. Le ulteriori conseguenze manifestantisi solo in un tempo successivo, operanti solo per graduale accumulazione e ripetizione, rimanevano del tutto trascurate. L’iniziale proprietà collettiva del suolo corrispondeva da una parte a uno stadio di sviluppo dell’uomo, che limitava in generale il suo orizzonte alle cose più vicine, e presupponeva d’altra parte una certa abbondanza di terreno a disposizione, che consentiva un certo giuoco di fronte ad eventuali cattivi risultati di quell’economia primitiva di tipo forestale. Esauritasi questa sovrabbondanza di terreno, si disgregò anche la proprietà collettiva. Ma tutte le forme superiori di produzione hanno portato alla divisione della popolazione in diverse classi e con ciò al contrasto tra classi dominanti e classi oppresse; con ciò però l’interesse della classe dominante diveniva l’elemento che dava impulso alla produzione, nella misura in cui quest’ultima non si limitava alle più indispensabili necessità di vita degli oppressi. Questo processo si è sviluppato nella maniera più completa nel modo di produzione capitalistico oggi dominante nell’Europa occidentale. I singoli capitalisti, che dominano la produzione e lo scambio, possono preoccuparsi solo degli effetti pratici più immediati della loro attività. Anzi questi stessi effetti - per quel che concerne l’utilità dell’articolo prodotto o commerciato vengono posti completamente in secondo piano: l’unica molla della produzione diventa il profitto che si può realizzare nella vendita. La scienza borghese della società, l’economia politica classica, si occupa soprattutto degli effetti sociali immediatamente visibili dell’attività umana rivolta alla produzione e allo scambio. Ciò corrisponde completamente all’organizzazione sociale, di cui essa è l’espressione teorica. In una società in cui i singoli capitalisti producono e scambiano solo per il profitto immediato, possono esser presi in considerazione solo i risultati più vicini, più immediati. Il singolo industriale o commerciante è soddisfatto se vende la merce fabbricata o comprata con l’usuale profittarello e non lo preoccupa quello che in seguito accadrà alla merce o al compratore. Lo stesso si dica per gli effetti di tale attività sulla natura. Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una generazione di piante di caffè altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le piogge tropicali portassero via l’ormai indifeso humus e lasciassero dietro di sé solo nude rocce? Nell’attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo, più palpabile risultato. E poi ci si meraviglia ancora che gli effetti più remoti delle attività rivolte a un dato scopo siano completamente diversi e per lo più portino allo scopo opposto; che l’armonia tra la domanda e l’offerta si trasformi nella loro opposizione polare, come mostra l’andamento di ogni ciclo industriale decennale (e anche la Germania, nel “crac”, ne ha esperimentato un piccolo preludio); ci si meraviglia che la proprietà privata basata sul lavoro personale porti come necessaria conseguenza del suo sviluppo alla mancanza di ogni proprietà per i lavoratori, mentre tutti i possessi si concentrano sempre di più nelle mani di chi non lavora; che […] 2. * Sir W. Thomson, un’autorità di primo rango in questo senso, ha calcolato che devono essere trascorsi all’incirca cento milioni di anni dall’epoca in cui la terra è giunta a un tal punto del suo raffreddamento da permettere la vita su di essa a piante ed animali. 1 Annotazione a matita in margine al manoscritto: “Nobilitazione”. 2Qui il manoscritto si interrompe. (Marx-Engels, Opere complete, vol. 25, pagg. 458-470, Editori Riuniti) COSA FARE PER ENTRARE NEL PMLI Secondo l’art. 12 dello Statuto, per essere membro del PMLI occorre accettare il Programma e lo Statuto del Partito, militare e lavorare attivamente in una istanza del Partito, applicare le direttive del Partito e versare regolarmente le quote mensili, le quali ammontano: lavoratori euro 12,00; disoccupati e casalinghe euro 1,50; pensionati sociali e studenti euro 3,00. Lo stesso articolo dello Statuto specifica che “può essere membro del Partito qualunque elemento avanzato del proletariato industriale e agricolo, qualunque elemento avanzato dei contadini poveri e qualunque sincero rivoluzionario sulle posizioni della classe operaia... Non può essere membro del Partito chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa una religione o una filosofia non marxista”. Oltre a ciò occorre accettare la linea elettorale astensionista del Partito. L’ingresso al PMLI avviene dopo l’accettazione della domanda di ammissione il cui modulo va richiesto al Partito. N. 26 - 2 luglio 2015 Comunicato dell’Ufficio politicoesteri del/ ilPMLI bolscevico 15 Perché gli attacchi terroristici a Parigi. E' la barbarie dell'imperialismo che genera barbarie I marxisti-leninisti italiani si stringono solidali ai familiari delle vittime incolpevoli degli attentati terroristici a Parigi. Questi attentati, non condivisibili ma comprensibili, sono la diretta conseguenza della criminale guerra che la santa alleanza imperialista, della quale fa parte la Francia di Hollande, conduce contro lo Stato islamico. Ed è facilmente prevedibile che essi continueranno e investiranno tutti i paesi della suddetta coalizione. Per evitarli l'unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato islamico. I popoli non hanno alcun motivo per appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi degli imperialisti, cioè del capitalismo e delle classi dominanti borghesi, che per sostenere le loro economie e "spazi vitali" usano le armi per sottomettere i popoli che si ribellano al loro dominio e per depredare le ricchezze, soprattutto il petrolio e le materie prime, dei loro paesi. Attualmente è il Medio Oriente, in particolare la Siria, l'Iraq e la Libia, che fa gola all'imperialismo americano, europeo e russo. Nonostante essi siano in contraddizione e in lotta per l'egemonia in quella regione, ora sono uniti per combattere lo Stato islamico, che rappresenta il maggiore ostacolo per i loro piani di dominio nel Medio Oriente. Gli amanti della pace, della libertà e dell'autodeterminazione dei popoli, dell'indipendenza e della sovranità dei paesi, non possono quindi stare dalla parte degli aggressori imperialisti, ma da quella dello Stato islamico aggredito. Il PMLI, nonostante non condivida assolutamente la sua ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi metodi di lotta, azioni e obiettivi, non può non appoggiarlo nella sua lotta contro gli imperialisti. Perché è interesse comune liberare il mondo dall'imperialismo, che è la causa delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'esistenza delle classi, delle ingiustizie sociali, della fame, della disoccupazione, della disparità territoriale e dei sessi, del fascismo, del razzismo, dell'omofobia, dell'emigrazione. E' la barbarie dell'imperialismo che genera barbarie. Non esiste un imperialismo buono, quello russo o cinese, e un imperialismo cattivo, quello americano o europeo. Tutti gli imperialismi sono cattivi e nemici dell'umanità. Lottano tra di loro per il dominio sul globo anche a costo di scatenare una guerra mondiale. Devono essere fermati. Il contributo più grande che il popolo italiano possa dare a questa lotta antimperialista universale è quello di opporsi a ogni atto interventista e guerrafondaio del governo imperialista del nuovo duce Renzi. Esso è presente in armi in Iraq e Afghanistan, ed è pronto a bombardare con i Tornado e i Droni lo Stato islamico nel territorio che questo ha strappato all'Iraq. Aspetta solo di avere la contropartita a cui tiene tanto, quella della guida della missione militare in Libia. Il popolo italiano deve rifiutarsi di diventare carne da cannone per l'imperialismo italiano e, nel caso in cui l'Italia partecipasse a una eventuale guerra mondiale imperialista, deve sollevarsi anche in armi, se occorre, per imperdirla. Questo governo è una iattura per la sua politica interna ed estera, bisogna cacciarlo. stampato in pr. 14 novembre 2015, ore 9,04 l’Ufficio politico del PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it N. 45 - 10 dicembre 2015 attentati a Parigi e lotta all’imperialismo / il bolscevico 11 LETTORI DIALOGO Non trovate delirante il comunicato dell’Isis sugli attentati di Parigi? Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi. Trovo il comunicato dell’ISIS sugli attentati di Parigi assolutamente delirante. Il colpevole di quanto sta accadendo in Medio Oriente non è la popolazione ma, in questo caso, il governo francese, e chi governa l’ISIS dovrebbe saperlo. Fare azioni del genere, per far capire all’occidente l’orrore che si vive quotidianamente in quei martoriati paesi, oltre a mettersi sullo stesso piano di chi, bombardando indiscriminatamente, continua a fare vittime civili, non aiuta certo la convivenza pacifica tra credenti di opposte religioni! Sappiamo tutti benissimo di chi è la colpa di tutto questo, le vittime delle stragi altro non sono che figlie del cinismo imperialista occidentale e russo! Siamo tutti d’accordo nell’appoggiare l’autodeterminazione dei popoli e la loro lotta di liberazione, penso che chiunque abbia un briciolo di cervello sia per un fronte antimperialista, ma personalmente voglio scegliermi i compagni con cui fare questo fronte. Posso comprendere che i militanti dell’ISIS fanno parte di una generazione che ha vissuto una guerra d’invasione sulla propria pelle, una generazione che ha visto parenti e amici morire, però mi riesce impossibile giustificare certi atti. Non è uccidendo persone innocenti, infedeli che vivono in paesi dall’ISIS ritenuti luoghi di abominio e perversione, che si combatte l’imperialismo. Quanto aveva ragione Marx affermando che la religione è l’oppio dei popoli! Mi dispiace, ma non sono d’accordo, non ritengo secondari gli inneggiamenti religiosi, così come non ritengo secondari gli sgozzamenti e gli eccidi perpetrati nei confronti degli sciiti. Non sono d’accordo neppure sul fatto che quel che conta, in questi casi, sia l’unità antimperialista a prescindere, e quindi considerare l’ISIS membro del fronte antimperialista! Saluti rossi. Bob - Emilia Abbiamo l’impressione che tu abbia malinteso il motivo per il quale è stato pubblicato il comunicato dell’IS. “Il Bolscevico” non voleva appoggiare tale comunicato, bensì mostrare ai suoi lettori che la vera motivazione dell’attacco era il ruolo della Francia fra gli Stati che devastano il Medio Oriente da oltre un decennio. Ciò è specificato anche nella nota di introduzione al comunicato, dove peraltro si specifica: “Ovviamente noi consideriamo un errore grave considerare crociati le vittime incolpevoli e innocenti di tale intervento armato. I veri crociati sono i governanti imperialisti francesi con alla testa Hollande che hanno bombardato barbaramente persino la capitale dello Stato islamico. È inutile aggiungere che non possiamo nemmeno condividere gli inneggiamenti religiosi”. Fin qui, direi che ora ci siamo. Marx aveva ragione da vendere nel denunciare la religione come oppio dei popoli. Infatti l’islam è utilizzato dai governanti reaziona- ri arabi per garantirsi la stabilità. Al contempo però non possiamo ignorare che esistono movimenti islamici antimperialisti e persino governi islamici antimperialisti. Altrimenti dovremmo ripudiare l’eroica lotta del popolo palestinese solo perché è guidato prevalentemente da gruppi islamici come Hamas, o perché nella sua guerra contro lo Stato nazi-sionista d’Israele perdono la vita anche civili israeliani. In questo senso la religione è secondaria, ma solo in questa fase, quando si tratta di unire tutto il popolo contro l’aggressore e le contraddizioni interne a questo popolo passano momentaneamente in secondo piano. Quando Stalin evocava il famoso esempio dell’emiro afghano, non si sognava minimamente di appoggiare la sua visione religiosa o la sua monarchia reazionaria, semplicemente sosteneva la sua lotta contro i colonialisti, perché era una lotta che sarebbe tornata utile all’intero popolo afghano, con la stessa forza con cui avreb- Ritengo l’ISIS una creatura dell’imperialismo e Assad un coerente antimperialista Avendo saputo dell’apertura di una sezione de Il Bolscevico al dibattito sulla posizione del PMLI sull’ISIS, avevo progettato di “dire la mia” dopo qualche riflessione. I fatti di Parigi mi hanno definitivamente convinto a farlo. Premettendo che non condivi- be sostenuto, se fosse scoppiata in seguito, la lotta rivoluzionaria del popolo afghano per abbattere la monarchia. E quando Mao si alleò al Kuomintang per combattere i giapponesi che avevano invaso la Cina, non mise forse in secondo piano il fatto che il Kuomintang fosse ferocemente anticomunista e controrivoluzionario? Se certe forze che sono diametralmente opposte a noi per quanto riguarda ideologia, strategia e metodi di lotta, lottano contro il nostro stesso nemico, ciò è del tutto indipendente dalla nostra volontà. Dobbiamo prenderne atto. La resistenza antimperialista dei popoli che sono vittime dell’invasione americana ed europea ha partorito l’IS, che è figlio del suo tempo e delle condizioni in cui è nato. L’IS lotta contro gli imperialisti e rivendica la fine della loro guerra d’aggressione; è fuori discussione che lo faccia spesso con metodi sbagliatissimi, e infatti il nostro Partito li critica. Ma ciò non cambia che anche noi lottiamo per la fine di questa guerra. Ciò porta ad un fronte antimperialista di fatto, il che non toglie che noi rifiutiamo l’ideologia e i metodi dell’IS e auspichiamo il giorno in cui i popoli arabi, finalmente liberi dalle bombe americane ed europee, potranno liberarsi anche del califfato e costruire società migliori, progressiste, democratiche e, prima o poi, socialiste. La questione cruciale, tuttavia è che è in corso una guerra di aggressione imperialista contro l’Iraq, la Siria, lo Yemen, la Libia. Il nostro compito antimperialista è perciò rivendicare la fine immediata della guerra e combattere contro ogni sua escalation. Anche perché tu dici: “Sappiamo tutti benissimo di chi è la colpa di tutto questo, le vittime delle stragi altro non sono che figlie del cinismo imperialista occidentale e russo”, ma purtroppo non è così, la propaganda imperialista pompata dai media rischia di fare larga presa e noi dobbiamo opporci con tutte le nostre forze, perché ne va del- la pace e della sicurezza del nostro popolo. Non dobbiamo concedere nemmeno una virgola all’imperialismo, altrimenti facciamo il suo gioco. Sul fronte giornalistico, il nostro compito è quindi fare chiarezza sulle responsabilità, dire chiaro e tondo che gli Stati europei imperialisti sono gli aggressori e che quindi la responsabilità di mettere fine alla guerra sta interamente a loro. Su questo dobbiamo concentrare i nostri sforzi, perché questa è la lotta principale al momento. Specie ora che questa guerra è fatta anche di attacchi terroristici contro i civili europei, che non condividiamo, ripetiamo, ma che non possiamo non inquadrare all’interno di questa guerra, come ci sembri fare anche tu. Su tante cose importanti siamo d’accordo, mentre non sembra che riusciamo a intenderci sull’importanza eccessiva che tu dai all’aspetto religioso in questo momento. In ogni circostanza, in ogni frangente, in ogni lotta, noi dobbiamo mettere bene a fuoco la contraddizione principale: in questo caso, la contraddizione principale è fra i Paesi imperialisti aggressori e i popoli arabi aggrediti. La contraddizione fra il progresso sociale e storico di questi popoli da una parte, e la religione reazionaria dei loro governanti o dei movimenti che li dirigono dall’altra, passa momentaneamente in secondo piano, perché in questo momento questi popoli e i loro governanti e movimenti che li dirigono devono respingere uniti l’aggressione imperialista. Lo stesso vale per noi, antimperialisti dei Paesi imperialisti, a cui spetta il compito di combattere contro i rispettivi governi imperialisti. Solo un domani, quando l’imperialismo se ne sarà andato da quei luoghi, quando quei popoli non dovranno preoccuparsi di chi li bombarda giorno e notte, la religione diventerà parte della contraddizione principale. Come te pensiamo che gli inneggiamenti religiosi siano inaccettabili, come te pensiamo che considerare Parigi luogo di abomi- do assolutamente la tattica di difesa dell’ISIS, mi piacerebbe entrare nel merito della questione e chiarire anche, col vostro ausilio, qualche domanda che mi è sorta in questo tempo. Secondo me non è vero che non esistono forze antimperialiste nell’attuale situazione internazionale “a parte l’ISIS”. In Siria, l’unica figura coerentemente antimperialista è quella di Assad che, ben lungi dall’essere “dipendente dalla Russia”, ha portato avanti in questo quindicennio delle buonissime politiche economiche e sociali che hanno reso la Siria un paese avanzato e con molte meno piaghe sociali dei paesi occidentali: al 2010, per esempio, il PIL fu quadruplicato e la disoccupazione dimezzata. Tutte le religioni convivevano pacificamente. Poi gli imperialisti USA e i loro lacchè inglesi, francesi, israeliani, turchi e gli emirati oscurantisti del Golfo decisero di scatenare quella falsa “rivoluzione” che in quattro anni ha portato ben 300.000 morti. Tutto perché gli imperialisti volevano prendersi la Siria, ma il popolo siriano gliel’ha impedito e alle ultime elezioni Assad ha preso l’89% dei voti! Sulla Russia, trovo che in questa particolare congiuntura storica stia svolgendo un ruolo progressista d’opposizione alle mire egemoniche dell’imperialismo USA e contro l’egemonismo in generale, così come l’Iran, e ciò è testimoniato anche dalla fiducia che gli ucraini dell’est ripongono in essa. Non capisco perché definirla “imperialista” (nemmeno la Cina, pur essendo un paese revisionista e capitalista, mi sembra definibile tale almeno per ora), anzi, mi sembra una valida forza su cui appoggiarsi, come sta facendo anche la Corea socialista, e tra l’altro è l’unica che combatte davvero il terrorismo: sembra che il PMLI oggi non sostenga più alcun paese antimperialista. L’ISIS tra l’altro fu creato dagli stessi USA nel 2005, i quali tutt’oggi continuano a finanziarla insieme ai mostri di cui sopra, nell’ambito dell’invasione dell’Iraq che portò alla detronizzazione dell’altro antimperialista, Saddam. Non capisco perché chiamarli antimperialisti: Il loro obiettivo è l’instaurazione della Sharia mondiale, perseguitano i comunisti curdi, e lo Stato che vogliono creare non ha alcuna legittimità dirittuale perché non è mai esistito! Tutte le loro rivendicazioni muovono da posizioni religiose, non politiche. So bene che il PMLI dice di non appoggiare i metodi, le strategie, le tattiche e l’ideologia dell’ISIS: ma allora che cosa appoggia? Un’altra curiosità che mi è sorta è come mai nel 2001 il PMLI definì l’attentato alle Torri Gemelle “miope e folle” e ora, ne Il Bolscevico sull’ultima sessione plenaria del CC, quello sia diventato “l’inizio della stagione di lotta degli islamici antimperialisti”; come mai il PMLI, che ha sempre Un’immagine del raid russo su Ragga capiale dello Stato islamico nio e perversione da un punto di vista religioso sia un grave errore, però riteniamo che l’aspetto più importante del comunicato dell’IS non sia questo, bensì il passaggio in cui afferma che la Francia è stata colpita perché bombarda i popoli arabi; prova a rileggerti il comunicato, noterai anche tu che gli stessi islamici integralisti dell’IS pongono l’accento sui bombardamenti, non tanto sulla “perversione”. Lo stesso viene fatto nell’articolo di “Dabiq” pubblicato sul numero scorso de “Il Bolscevico”. Questo è importante perché richiama i governi europei, americano e russo alla loro responsabilità: cessare la guerra e ritirare i loro eserciti dal Medio Oriente e dall’Africa. Abbiamo con ciò voluto pubblicare due documenti che i media borghesi si guardano bene da rendere noti, da cui si capisce che sono proprio i circoli e i governi guerrafondai a parlare di guerra di civiltà per nascondere la natura economica e politica del conflitto che vede un pugno di potenze imperialiste nel ruolo di aggressori e i combattenti dell’IS e i popoli della regione in quello degli aggrediti. Purtroppo non siamo noi a decidere con chi avere a che fare nel fronte antimperialista, perché esso oggi non corrisponde ai nostri desideri soggettivi. Possiamo però decidere come rapportarci. Infatti appoggiamo la resistenza dei movimenti islamici antimperialisti, ma non gli attacchi terroristici contro i civili né la loro ideologia né le loro istituzioni né la guerra contro i curdi, ecc. L’importante comunque è che siamo d’accordo sulla lotta contro i nuovi piani di guerra all’imperialismo e contro gli appelli all’“unità nazionale” da parte dei governanti borghesi, compreso Renzi. Questa è la questione principale al momento sulla quale dobbiamo restare uniti senza vacillare. Sull’IS continuiamo a discutere, diamo tempo al tempo e lasciamo che gli avvenimenti ci dicano chi ha ragione e chi torto. Saluti rossi e antimperialisti. condannato ogni forma di terrorismo, adesso distingue tra “terrorismo rivoluzionario” e “terrorismo controrivoluzionario”: per come la vedo io, a paragone furono più rivoluzionari l’attentato a Berlusconi nel 2009, la sparatoria a Palazzo Chigi nel 2012 e quella nella Banca di Milano quest’anno, che se non altro esprimevano il forte disagio della vita sotto il capitalismo e l’impossibilità di andare avanti così. In conclusione, credo che l’unica posizione davvero comunista da adottare sia sì il solidarizzare con le vittime dell’attentato di Parigi, ma condannare l’ISIS come organizzazione messa su dall’imperialismo USA e dai suoi lacchè e fermare l’immigrazione incontrollata che, nascondendo tra i profughi elementi tutt’altro che impeccabili, mette ogni giorno che passa sempre più a rischio la sicurezza dei popoli europei. Jean-Claude - Firenze 12 il bolscevico / PMLI N. 45 - 10 dicembre 2015 Nell’affollatissimo centro città La Cellula napoletana del PMLI diffonde il documento di critica alla giunta antipopolare De Magistris Dal corrispondente della I volantini andavano via come il pane Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli Domenica 29 novembre in piazza S. Domenico Maggiore la Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del PMLI ha propagandato il suo ficcante documento relativo alle malefatte compiute nei quasi quattro anni di amministrazione dal falso rivoluzionario arancione Luigi De Magistris. La squadra di propaganda marxista-leninista ha ritenuto indispensabile questo largo volantinaggio, dato che in vista delle prossime elezioni il neopodestà napoletano e la sua giunta stanno tentando di ripulire la propria “faccia” rispetto al sostanziale immobilismo di questi anni sulle problematiche che attanagliano le masse popolari di Napoli. La diffusione si è svolta del migliore dei modi colorata da una magnifica giornata di sole con le strade gremite dalle masse e da turisti che, incuriositi dal nostro documento, in più riprese hanno chiesto maggiori approfondimenti sulla nostra posizione politica elettorale astensionista. L’iniziativa si è conclusa dopo aver distribuito diverse centinaia di copie del volantino, date via come il pane, una giornata che ha rinvigorito i compagni partenopei galvanizzandoli e proiettandoli a pianificare altri diffusioni con l’intento di smascherare il neopodestà De Magistris fino alla prossima tornata elettorale ribadendo che l’unica via in grado di creare una reale partecipazione popolare è l’astensionismo con la creazione di Assemblee popolare e Comita- ti popolari cittadino e di quartiere delle masse fautrici del socialismo, che facciano da contraltare Napoli, 29 novembre 2015. Il compagno Andrea discute con gli interessati la posizione della Cellula “Vesuvio Rosso” sulla giunta De Magistris (foto Il Bolscevico) Risposta dei compagni romani alla solidarietà del Partito Le intimidazioni ci hanno resi ancor più coscienti e sicuri nella lotta contro l’imperialismo e il capitalismo Ecco la lettera con la quale i compagni romani rispondono alla solidarietà ricevuta da istanze centrali e locali del Partito dopo l’intimidazione subìta nel corso della manifestazione studentesca del 17 novembre scorso e di cui è apparsa la cronaca sul numero scorso del nostro giornale. Cari compagne e compagni, grazie della solidarietà. È molto importante sentire tutto il Partito vicino e unito. Se questi provocatori in stile fascista pen- savano di intimidirci e metterci paura, hanno sbagliato di grosso. Possiamo affermare piuttosto che abbiano sortito l’effetto contrario: ossia siamo ancora più coscienti e sicuri della nostra linea politica e orgogliosi di essere l’unico Partito che ha analizzato la natura dello Stato Islamico in profondità, scansando via tutte le distorsioni, le iperboli, le sterili teorie complottistiche, le euforie guerrafondaie e il banale umanitarismo dei media occidentali, dei servi della borghesia e della propaganda alla dittatura delle istituzioni e dei politicanti borghesi che soffocano le masse partenopee. borghese. Nello scenario internazionale è impossibile oggi staccare l’IS dalla lotta all’imperialismo di Usa, UE e Russia. Lo capiranno presto anche questi falsi comunisti, travestiti male da cavalieri della democrazia e della libertà con le effigi russe sul petto raccolte dalle ceneri socialimperialiste, o verranno spazzati via dagli eventi storici in continuo divenire. Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma del PMLI Stiamo in cordata stretti l’uno all’altro sostenendoci reciprocamente tenendo ben alta la bandiera dell’antimperialismo Con i Maestri e il PMLI vinceremo! PMLI in azione a Borgo S. Lorenzo (Firenze) Interesse per il volantino “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista” Dal corrispondente dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello del PMLI L’Organizzazione di Vicchio del Mugello (Firenze) del PMLI nel pomeriggio di venerdì 27 novembre ha diffuso il volantino con l’importante editoriale de “Il Bolscevico” n° 44 dal titolo “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista”, al mercato settimanale di viale della Resistenza a Borgo San Lorenzo. L’obbiettivo del volantino è di mettere un argine al bombardamento dei mass-media borghesi nei confronti delle masse dopo gli attentati di Parigi. C’è stato interesse tra la popolazione per il volantino, un’anziana indicando il simbolo del Partito ha esclamato “Questo mi piace!”. Con alcuni abbiamo anche scambiato qualche parere e diversi sono i dubbi emersi sull’operato dei Paesi imperialisti. In generale rileviamo con piacere che il bombardamento mediatico Il compagno Franco Dreoni, , alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici (foto Il Bolscevico) lascia i segni ma non ha fatto “tabula rasa”. Insomma, questo volantino del nostro Partito è arrivato al momento giusto per chiarire le idee tra la popolazione. Invitato ufficialmente il PMLI a un dibattito della “7ª festa per l’unità della sinistra d’alternativa” di Pray (Biella) Urban smaschera l’intervento di Ferrero Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLI Sabato 28 novembre 2015 all’interno della “7ª festa per l’unità della sinistra d’alternativa” di Pray, in provincia di Biella, si è tenuto il dibattito pubblico “Unità dei Comunisti, unità della Sinistra un’esigenza e un impegno” che ha visto quali relatori il segretario nazionale del PRC, Paolo Ferrero e Paolo Comella della segreteria provinciale di SEL di Vercelli. Moderatrice del dibattito è stata Lucietta Bellomo, segretaria della federazione Biellese del PRC che ha ufficialmente invitato l’Organizzazione biellese del PMLI al dibattito. Ha preso subito la parola l’esponente di SEL che tra una frase vuota e l’altra ha incredibilmente difeso quelle amministrazioni locali, tra cui quella comunale di Torino, in cui il partito di Vendola appoggia senza vergogna il PD nelle comuni scelte antipopolari fatte di tagli ai servizi sociali ed assistenziali in diretto sfavore per le masse popolari. Successivamente è intervenuto Paolo Ferrero, che in prima battuta ha ringraziato per l’invito gli organizzatori della festa in Valsessera e ha affermato che ciò che conta per i dirigenti nazionali del PRC sarebbe “Mantenere un rapporto vivo e diretto con gli iscritti di base del partito”. Ha poi elencato molti mali che affliggono l’Italia d’oggi dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile alla pericolosa demagogia razzista e xenofoba della Lega Nord di Matteo Salvini sottolineando che i media dell’attuale regime neofascista lo interpellano unicamente quando accadono tristi fatti di cronaca nera, come gli omicidi, perché i giornalisti prezzolati di regime hanno l’esclusivo interesse nel fare scontrare, come in un ring di combattimento, gli esponenti razzisti e qualunquisti della Lega Nord con quelli ritenuti “comunisti” o, quantomeno, di “sinistra”. Ferrero ha tenuto a sottolineare che in oltre 7 anni da segretario nazionale di Rifondazione non è mai stato consultato per esporre le tesi del PRC sulle proposte di destinazione alternativa Il compagno Gabriele Urban interviene all’iniziativa del PRC. Al centro del tavolo della presidenza Paolo Ferrero (foto Il Bolscevico) delle risorse statali in favore dei giovani, della sanità e scuola pubbliche. Ha poi denunciato la totale sudditanza delle istituzioni politiche alle banche cui vengono letteralmente regalati milioni di euro, provenienti dalle tasse degli italiani, che poi gli istituti di credito prestano alle lavoratrici e ai lavoratori imponendo interessi altissimi, quasi al limite dello strozzinaggio. Al termine degli interventi dei relatori hanno portato i saluti gli invitati ufficiali tra cui Alex Villarboito, neosegretario di Coalizione Sociale di Vercelli, nonché RSU di una fabbrica metalmeccanica vercellese che ha riconfermato l’intenzione di Coalizione Sociale di non trasformarsi nell’ennesimo partito politico a sinistra del PD ma di rimanere un “Laboratorio di idee per la sinistra” dove chiunque e qualunque associazione può portare il proprio contributo. Anche qui, diciamo noi, nulla di nuovo sotto il sole. Ha poi preso la parola il compagno Gabriele Urban, Responsabile dell’Organizzazione biellese del PMLI, che dopo aver ringraziato la segretaria del PRC di Biella, Lucietta Bellomo, per l’invito ufficiale riconfermando il proficuo lavoro di fronte unito che a Biella vede il PMLI ed il PRC impegnati su comuni battaglie come la lotta contro le “grandi opere” inutili, quali le battaglie NO TAV, e contro il razzismo e il neofascismo, ha evidenziato le questioni principali del proprio intervento che verteva sulla necessità delle militanti e dei militanti di base del PRC di pretendere risolutivamente dai propri dirigenti nazionali delle politiche tattiche e strategiche sinceramente comuniste e non riformiste e socialdemocratiche come quelle realizzate fin dalla fondazione del PRC nel 1991. Nelle sue risposte Paolo Ferrero ha risposto direttamente al compagno Gabriele Urban facendo autocritica per l’appoggio diretto di Rifondazione al secondo governo Prodi, dove lui ha ricoperto il ruolo di ministro della solidarietà sociale, affermando che d’ora in avanti non faranno mai più alleanze col PD di Renzi in quanto questo è “Un partito che applica espressamente politiche di destra”. Incalzato dalla segretaria del PRC di Biella che gli chiedeva come sia possibile un’unità della sinistra con un partito come SEL di Nichi Vendola che appoggia direttamente, e con convinzione, molte amministrazioni locali con il PD, Ferrero ha fumosamente risposto che si dovrà “Conoscere caso per caso” per poi citare più volte papa Francesco ed il “Cattolicesimo sociale come una delle componenti ideologiche fondamentali su cui basare future alleanze programmatiche” lasciando molto confusi e perplessi le poche decine di militanti del PRC convenuti al pubblico dibattito. corrispondenze e contributi / il bolscevico 13 N. 45 - 10 dicembre 2015 In aumento le intimidazioni fasciste a Napoli Nazifascisti aggrediscono con un coltello una studentessa antifascista La giunta De Magistris quando prende provvedimenti? Redazione di Napoli Martedì 17 novembre alle 21 e 30 in via Caldieri, quartiere Vomero, si è consumata una vile grave aggressione ai danni di una studentessa liceale di 17 anni da parte di un fascista. La ragazza, in un video realizzato dai centri sociali napoletani, ha denunciato immediatamente l’aggressione che così si è sviluppata: mentre rincasava attraversando il quartiere, all’altezza di via Caldieri veniva fermata, con la scusa di un’indicazione, da un individuo sulla quarantina, da lei immediatamente riconosciuto come appartenente all’organizzazione nazifascista di Casapound, che già l’aveva provocata nei giorni precedenti. Il fascista, questa volta, l’ha afferrata, sbattuta con violenza contro il muro e poi le ha premuto un coltello contro la gola, minacciandola in vario modo, e cosa ancora peggiore, molestandola sessualmente. La ragazza aveva potuto notare che subito dietro a costui c’erano altri tre individui che controllavano la strada, come se l’agguato fosse premeditato. Nonostante le fosse stato imposto di non urlare e fosse minacciata col coltello premuto sulla pelle, la studentessa ha trovato la forza di gridare, costringendo i quattro a dileguarsi rapidamente. Un’aggressione che, secondo i giovani dei centri sociali, sarebbe riconducibile a Casapound, che “nelle settimane passate aveva promesso – addirittura con minacce sui social network – ‘vendetta’ con- tro i ragazzi dei collettivi che nel corso di un’iniziativa di pulizia della zona antistante alla succursale del Pansini, avevano ‘osato’ stracciare degli striscioni inneggianti all’odio e al razzismo”. D’altronde già i gravi accoltellamenti nel 2011 fuori all’università “Federico II”, all’altezza delle facoltà di Giurisprudenza e Scienze politiche, in piena campagna elettorale, bissati da altri episodi culminati nell’aggressione di una squadraccia nazifascista verso la fine di marzo del 2015 al liceo scientifico “Vincenzo Cuoco”, nel quartiere Sanità, storicamente denominata la “centrale rossa antifascista” per aver respinto i fascisti vecchi e nuovi. Per tutto aprile e maggio Casapound non è riuscita ad uscire dal suo covo di via Foria perché ogni giorno le studentesse e studenti del liceo presidiavano la strada, mentre i nazifascisti venivano ben protetti dalla Digos e dalle “forze dell’ordine” in assetto antisommossa agli ordini di Renzi e Alfano. Un segnale chiaro e forte dato dagli antifascisti che hanno poi manifestato lo scorso 20 novembre per ribadire il loro no a questa teppaglia chiedendo la chiusura dei covi nazifascisti a Napoli. Silenzio, invece, dalla giunta arancione del neopodestà De Magistris che, sbandiera il suo antifascismo con i suoi pomposi proclami, per poi non ricacciare, con i provvedimenti necessari, questi topi di fogna nella cloaca da dove sono venuti. Stalin molto ci insegna sulla lotta contro i pregiudizi religiosi di Eugen Galasso - Firenze Come sempre, dei grandi Maestri è la saggezza, che per un marxista-leninista è la capacità di capire la dinamica e la dialettica della lotta di classe, in rapporto a quella tra forze produttive e rapporti produttivi. Così le indicazioni di Stalin (ne “Il Bolscevico” n. 44) in rapporto alla sharia sono assolutamente opportune, come ovvio e comprensibile a priori, del resto. Così, riaffermare, nel novembre del 1920 che “Esso (il governo della Russia) ritiene lo shariat un diritto inoppugnabile, normale, che hanno anche altri popoli che abitano la Russia. Se il popolo daghestano desidera conservare le sue leggi e i suoi costumi, questi debbono essere conservati”. Al tempo stesso, riconoscendo che le masse del Daghestan (a maggioranza islamica ma chiaramente ciò varrebbe per ogni altra religione, che nasce da pregiudizi irrazionali, da paure a- scientifiche e i pregiudizi li porta con sé) “sono fortemente permeate da pregiudizi religiosi”, parla di “sistemi indiretti, più cauti”, al posto della “Lotta diretta contro i pregiudizi religiosi”. Tale “politica cauta e ponderata che incanali gradualmente queste masse nell’alveo generale dello sviluppo sovietico”, ci insegna molto per l’oggi: impossibile pretendere sic stantibus rebus (per come ora stanno le cose, ossia la situazione oggettiva dei combattenti dello Stato islamico) che rinuncino tout court al pregiudizio religioso ma, nel nome di una comune lotta anti-imperialista, è più che possibile che una gran parte di tali masse (di masse ormai si tratta), in un futuro prossimo, prenda atto realisticamente della situazione di sfruttamento da parte della “Santa alleanza” imperialista, avvicinandosi al marxismo-leninismo e rinunciando ai propri fantasmi religiosi, di cui la sharia è una delle espressioni. E’ necessario, come propone il PMLI, costruire un governo alternativo nelle scuole e nelle universita’ Il risultato dell’autonomia scolastica che dagli anni 90 ha avuto sempre il beneplacito dei vertici sindacali confederali reazionari, non ha portato altro che una scuola e un’istruzione sempre più in mano alla borghesia e ai padroni e all’asservimento al neo liberismo con le varie riforme che si sono succedute negli ultimi decenni e portate a conclusione dalla vigliacca legge 107 del nuovo duce Renzi. In sostanza questo percorso ha ridotto l’istruzione pubblica e la scuola italiana ad una merce, subordinandola di fatto agli interessi dei pescecani capitalisti di Confindustria; contemporaneamente sta distruggendo il sapere emancipante e i diritti garantiti per tutti, formando le nuove generazioni di cittadini acritici e consumatori anziché consapevoli ed emancipati. Il tutto funzionale ad un futuro di estremo sfruttamento e schiavismo nei confronti prima degli studenti e poi dei lavoratori. Gli studenti attraverso la scuola-lavoro, 400 ore per i tecnici e i professionali e 200 ore per i licei, vengono quasi sempre ingaggiati e ingannati da aziende ed enti sottoponendoli senza salario a svolgere lavori non compatibili con i loro indirizzi di studio ma funzionali a produrre solo profitti gratuiti; essi si ritroveranno poi con nessuna professionalità da presentare nei propri curriculum quando dovranno entrare nel “mercato del lavoro”. In pratica la scuola per gli studenti è come un parcheggio dove poi gli sfruttatori vanno ad attingere gli schiavi moderni con una minima preparazione. I lavoratori hanno invece, da ben sei anni, il contratto di lavoro scaduto e bloccato con una perdita salariale di circa 250-300 euro pari al 20% circa, ai quali il governo fascista di Renzi ha offerto in legge di stabilità il vergognoso aumento contrattuale che varia dagli 8 ai 12 euro mensili. Con il blocco delle assunzioni del personale ATA (ausiliariotecnico-amministrativo) con più di 36 mesi di servizio, sdoganando di fatto il precariato e non con- sentendo in caso di malattia la sostituzione in particolare per il settore amministrativo mettendo nel caos organizzativo le scuole, i dirigenti scolastici cercano di risolvere con intimidazioni gerarchiche e con l’aumento dei carichi di lavoro per i pochi rimasti certe mancanze d’organico. Per non parlare delle nuove assunzioni dei docenti che dopo 3 anni potranno rischiare anche il licenziamento se non si asserviranno ai voleri dei nuovi presidi-manager e ai precari con cattedre di poche ore che a tutt’oggi stanno lavorando senza essere retribuiti. Per questi motivi ho aderito allo sciopero generale indetto dai Cobas-scuola del 13 novembre scorso nell’attesa che anche i sindacati confederali si decida- no ad indirne un altro invece di convocare assemblee e manifestazioni che di fatto, a mio avviso, non fanno altro che soffocare la lotta degli studenti, dei docenti e del personale ATA, dando anche questa volta come su altre riforme un messaggio di resa e di appiattimento agli attacchi ai propri diritti (borghesi) che stanno subendo le masse lavoratrici e studentesche in generale e in questo caso della scuola pubblica. È necessario un fronte comune tra studenti, docenti e personale ATA per combattere, boicottare le istituzioni scolastiche gli organi collegiali di stampo fascista volute dalla “riforma” Renzi. Sarebbe veramente necessario, come propone il PMLI, costruire un governo alternativo nelle scuole e nelle università che si basi sull’autogestione anche dei piani formativi e della didattica che ad oggi è impregnata da valori borghesi al servizio dei capitalisti e non solo degli spazi. La scuola e l’istruzione in generale devono ritornare pubbliche e gratuite e culturalmente non funzionali agli interessi della borghesia capitalista ma funzionali agli interessi del proletariato e del popolo smascherando una volta per tutte il marciume dei valori borghesi corrotti dal capitalismo, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e le ingiustizie sociali. Ci vorrebbe infine un’istruzione socialista controllata dal proletariato al servizio del proletariato. Massimo - Pontassieve (Firenze) La “Buona scuola” mette il bavaglio alle voci critiche e dissidenti, vuol tacitare i soggetti più scomodi Un episodio quantomeno avvilente ed increscioso, è accaduto nella scuola dove insegno. Hanno promosso un convegno con i soliti personaggi politici (De Mita, ecc.) ed hanno costretto gli insegnanti ad essere presenti in seguito ad un ordine di servizio, convocando ufficialmente un collegio dei docenti che non si è mai tenuto. Un abile stratagemma per obbligare il corpo docente a fornire una platea gratuita alla mercé di questi notabili politici. Si è trattato di un vero abuso di potere, un atto illecito, un’inaccettabile imposizione nei nostri confronti. Per cui ho denunciato la cosa, divulgando un resoconto alla stampa, in seguito ripreso da un parlamentare di SEL, il quale Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] ha emanato un proprio comunicato ed ha promesso di presentare un’interrogazione parlamentare. Contestualmente, la CGIL scuola ha inviato una nota formale all’Ufficio Scolastico della Campania. D’ora innanzi potrei subire atti ritorsivi. Personalmente, non temo nulla. Nel malaugurato caso, userò le mie abituali “armi”, vale a dire la parola scritta. Questi signorotti politici devono capire che non possono spadroneggiare sempre, comunque e dovunque. Non si può non contestare tale iniziativa, platealmente strumentale, che piega la scuola agli scopi di alcuni politicanti. Come docenti, che hanno una dignità professionale, umana ed etica da tutelare, non possiamo prestarci a simili giochetti, a pretesti utili a promuovere passerelle politiche che non hanno alcuna attinenza diretta con gli interessi e i problemi reali della scuola. È una circostanza esemplare che attesta, in modo netto ed inequivocabile, come non esista alcuna discontinuità rispetto alla precedente gestione della scuola. Anzi, l’iniziativa si colloca in perfetta linea con il vecchio modello politico-direttivo. Mi sono espresso in ogni modo contro la “Buona scuola”. Il 5 maggio scorso si è astenuto dal lavoro l’80% circa dei dipendenti della scuola (si è trattato dello sciopero più imponente, massiccio e partecipato nella storia della scuola pubblica italiana), ho preso parte a numerose assemblee sindacali e a manifestazioni di piazza. Da oltre un anno e mezzo mi batto contro la barbarie renziana. Ho scritto e continuo a scrivere post, lettere e articoli contro l’inciviltà renziana. Ma invano. Tale vicenda testimonia come la legge 107/2015 serva solo a mettere il bavaglio alle voci critiche e dissidenti, a tacitare e far allineare i soggetti più scomodi. Lucio Garofalo - Lioni (Avellino) Sul piano morale la Chiesa cattolica è pluriomicida di Marcello Ranieri Pogliano Milanese (Milano) Quasi tutti sono a conoscenza dell’esistenza del Tribunale Penale Internazionale Dell’Aja. Tale organo di giurisdizione internazionale si occupa di giudicare in caso di Crimini contro l’umanità. Quelli più noti sono certamente il genocidio e la strage. Essi consistono nello sterminare sistematicamente e per lunghi periodi gruppi di persone e intere popolazioni. Molte condotte della Chiesa nel corso della storia, la più nota sono certamente le crociate, rientrano a pieno titolo in tali categorie. È fuori di dubbio che su di un piano morale la Chiesa cattolica è pluriomicida! La domanda che ci si pone è: se tali carneficine fossero perpetrate oggi, le gerarchie cattoliche sarebbero mai sbattute sul banco degli imputati? Vedremmo mai il falso vicario di Cristo (Cristo non ha lasciato alcun vicario) alla sbarra degli imputati? La Chiesa cattolica si è sempre posta come obiettivo quello di opprimere il popolo e i propri fedeli; come grazie al suo potere ha occultato il vero messaggio del dettato biblico, stravolgendone integralmente il contenuto, così comprerebbe anche il silenzio delle Autorità internazionali e tutti, ipocritamente, tacerebbero, in nome della cooperazione e dell’accoglienza di tutti, con buona pace di chi, in nome di Cristo, anziché ricevere amore, viene spedito al cimitero. 14 il bolscevico / lettere Lavoriamo e studiamo seriamente per trasformare noi stessi e il mondo Cari compagni, ho letto l’articolo del compagno Maurizio Littera sulle indicazioni di Mao ai marxisti-leninisti, articolo che secondo me rappresenta una sintesi ineccepibile della vita dei giovani marxistileninisti. Quello che noi giovani abbiamo è un fardello pesante poiché non sempre è facile riuscire a far breccia tra gli studenti che, come diceva il compagno, sono vittime di un’educazione individualista borghese (di cui noi cerchiamo sempre di liberarci). Ci sono tanti ostacoli nel cammino che supereremo fino a raggiungere i nostri nobili obiettivi lavorando e studiando seriamente, trasformando noi stessi e il mondo. Una compagna siciliana Grazie per avermi riportato sulla giusta via che avevo smarrito con il precedente impegno politico Care compagne e cari compagni, grazie per la mail di ringraziamento che mi avete inviato. Non vi nascondo che quanto avete scritto mi fa molto piacere ed è per me un ulteriore stimolo a continuare nella mia attività al servizio del Partito, della classe operaia e, in generale, delle masse popolari. Come ho già anticipato al compagno Franco, dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello, che ho come riferimento, verserò al Partito un ulteriore contributo al momento della riscossione della tredicesima mensilità. Per quanto riguarda il lavoro che svolgo per il PMLI, grazie per le belle ed importanti parole ma sono io che vi devo ringraziare per avermi riportato sulla giu- sta via; via che avevo smarrito con il precedente impegno politico (come sapete). In ultimo, l’appoggio sulla questione dell’Is è doveroso per chi crede che il capitalismo vada abbattuto e instaurato il socialismo, certo con le dovute distinzioni rispetto al nostro pensiero ma fermamente convinti che devono essere appoggiati i movimenti antimperialisti. La barbarie genera solo barbarie. Certo non è facile sostenere la nostra posizione alla luce del martellamento mediatico sulla questione, ma vi posso assicurare che sono molti quelli che sono stanchi di vivere nel terrore indotto dai macellai capitalisti. Nostro compito è far emergere le contraddizioni con la dialettica ed il confronto. Ancora grazie a voi, compagne e compagni e al PMLI, un caro saluto rosso e a presto. Coi Maestri e il PMLI, vinceremo! Andrea Borgo San Lorenzo (Firenze) Appoggio pienamente e senza riserve la linea politica estera e interna del PMLI Care compagne e cari compagni, esprimo la mia solidarietà al PMLI sull’attacco mediatico di tipo borghese e capitalista che ha subìto per il suo appoggio allo Stato islamico e ai compagni di Roma e Napoli aggrediti dai falsi comunisti durante le manifestazioni. Mi complimento e sono d’accordo con il compagno Erne riguardo all’analisi chiara e dettagliata sull’imperialismo durante la 5ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI pubblicata su “Il Bolscevico”. Sono solidale con i movimenti islamici antimperialisti che stanno combattendo contro la santa alleanza imperialista di cui fa parte anche l’Italia. Come marxista-leninista ap- CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI DICEMBRE 1 4 7 7 10 11 16 Unione Camere Penali Italiane – Sciopero avvocati Confsal Unsa - Comparto Ministeri - Presidenza Consiglio Ministri – Sciopero personale del Comparto Ministeri Cobas Pt, Cub-UsbSciopero dipendenti Poste Italiane SpA Feder.Mot. - Ministero della Giustizia – Sciopero Giudici onorari e Vice Procuratori onorari Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt Trasporti, Ugl-Ta, Flai-Ts, Usb-Lp Cub - Sciopero trasporto Aereo, Sea SpA - Aziende di Handling Aereoporti Italiani Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Fpl - Sanità privata, Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus – Sciopero lavoratori Fondazione Don Gnocchi Anaao-Cimo-Emac-Cgil-Fvm-Fassid-Cisl-Fesmed-AmpoUil-Fimgg-Snami-Smi-IS Cisl-Simet-Sumai-Fespa-FimpCipe-Andi - Servizio Sanitario Nazionale Sciopero Medici del Ssn e Medici dell’assistenza primaria, della medicina e dei servizi N. 45 - 10 dicembre 2015 poggio pienamente e senza riserve la linea politica estera e interna del PMLI. Il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, ha precisato tre cose per me importanti: la prima che tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza e che devono risolvere da loro le contraddizioni interne; la seconda che tra noi e l’Is esiste un abisso incolmabile dal punto di vista ideologico, culturale, tattico e strategico e, infine, che non condividiamo gli atti terroristici con cui l’Is si espone nonostante siano comprensibili. Saluti marxisti-leninisti. Sempre tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo! Teniamo alta la bandiera dell’antimperialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Claudio - Modena Bellissimo ed efficacissimo il volantino sulla propaganda imperialista Bellissimo ed efficacissimo il volantino del PMLI “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista”, che mette a nudo ciò che di marcio (in realtà tutto) è nell’imperialismo e nella sua logica. Eugen Galasso - Firenze D’accordissimo con Scuderi sulla lotta senza quartiere all’imperialismo A tutte le compagne e ai compagni del PMLI, sono del tutto solidale col compagno Scuderi, il quale sostiene che chi non perora la causa dell’Is contro la santa alleanza dell’imperialismo mondiale, che vuole distruggere lo Stato islamico, indirettamente appoggia l’imperialismo. E sono altresì d’accordissimo con Scuderi quando spiega e denuncia che fra i marxisti-leninisti e l’Is esiste un abisso incolmabile dal punto di vista ideologico, culturale, tattico e strategico e tutti i suoi metodi di lotta, atti e obiettivi. Ma una cosa fondamentale ci accomuna quello della lotta senza quartiere all’imperialismo. A conferma di quanto sopra detto non si può essere solidali con la carneficina che è avvenuta in Francia il 13 novembre, giacché lotte simili non hanno fatto altro che il gioco dell’imperialismo. Saluti marxisti-leninisti. Rino La Rosa, simpatizzante di Catania del PMLI Con molta commozione abbiamo ricevuto nella mia Federazione la bandiera dei Maestri Salve compagni! Ho ricevuto la bandiera dei Maestri: volevo portarmela a Roma per la manifestazione di sabato scorso ma i programmi hanno subito un brusco cambiamento a causa di una stirata al collo fenomenale (e 14 ore in pullman erano improponibili). Questa settimana mi sono mosso pochino per rimettermi, presto rifarò un versamento anche se il momento non è dei migliori, ho paura per il lavoro. Sono stagionale all’Arena di Verona, se cercate online vedrete tutti i disastri e nodi che stanno venendo al pettine, ci taglieranno gli stipendi, già bassi, di un terzo). Tranquilli che la bandiera (che ha ricevuto molta commozione nella mia Federazione) farà bella mostra di sé su un’asta. Saluti rossi. A presto. Dennis, FGCI-PCDI - Verona Vorrei studiare 4 opuscoli di Scuderi e avere la bandiera dei Maestri Rispettabilissimi compagni del PMLI, ho avuto il desiderio in questi ultimi mesi di leggere qualcosa sui due grandi Maestri (che tanto bene hanno fatto all’Europa), Lenin e Stalin. Così della Piccola Biblioteca marxista-leninista ho letto: “Lenin, la vita e l’opera”; “Lenin, Sullo Stato”; “Stalin, la vita e l’opera”; Stalin, “Trotzkismo o Leninismo”; Stalin, “Principi del leninismo - Questioni del leninismo; Stalin, “Problemi economici del socialismo nell’Urss”. Ho letto anche “Viva la Grande Rivolta del Sessantotto” a cura del PMLI. Un movimento, quest’ultimo, che è stato il maggiore dell’Europa occidentale dopo il ’45. Vorrei chiedervi quattro opuscoli di Giovanni Scuderi (sempre che non siano esauriti): il n. 1, “Solo il PMLI può riportare alla vittoria il socialismo; il n. 2, “Il socialismo tornerà di moda”; il n. 3, “L’astensionismo marxista-leninista è il voto dell’opposizione proletaria rivoluzionaria al regime neofascista per il socialismo”, il n. 11, “Impugniamo l’arma dell’astensionismo per l’Italia unita, rossa e socialista”. Tra parentesi io mi astengo alle elezioni ormai da 5 anni e 8 mesi. Poi vorrei richiedervi un gadget, cioè la bandiera dei Maestri, in cambio di una donazione. Saluti marxisti-leninisti. Giancarlo - Padova Il PMLI è l’unico Partito del socialismo Compagni, credo che gli ideali del PMLI siano bellissimi e vincenti. Il PMLI è l’unico (e vero) Partito del socialismo e, nonostante il blackout imposto dai governi italiani, la sua voce si diffonderà e, alla fine, vedremo il rosso trionfare! Viva, viva, viva il PMLI e i cinque Maestri! Massimiliano provincia de L’Aquila Posso fare propaganda e iniziative sulle posizioni del PMLI Se create volantini poco carichi di inchiostro colorato posso fare propaganda e iniziative correlate sugli argomenti, soprattutto sulla democrazia proletaria diretta, che reputo basilare per creare coscienza politica ed acquisizione del potere politico di massa ai diversi livelli. Le zone dove io posso agire per distanze chilometriche sono Lomellina cioè Mortara, Vigevano, Robbio, Sannazzaro de Burgundi- Ales- sandria e Monferrato e la parte di Vercelli città e zona verso Casale Monferrato. Posso agire quasi quotidianamente. Saluti proletari. Elfi - provincia di Pavia Gli autori del programma di Renzi Il governo non eletto da nessuno, ma paracadutato dall’alto grazie ai poteri forti, applica il seguente programma di governo: la riforma fascista, piduista, capitalista del lavoro (Jobs Act) è semplicemente un copia incolla del programma di governo di Silvio Berlusconi con il quale venne eletto nel 2001. Renzi e il falso comunista a cui piace la lasagna e la mortadella (Poletti) non ha fatto neanche fatica, ha copiato e incollato ciò che scriveva la destra nel 2001. Per le altre riforme il governo ha attinto a piene mani dal Piano di rinascita democratica della loggia massonica P2 di Gelli e dalla lettera della Bce. In entrambi i casi il governo si è limitato a applicare ciò che questi antiproletari, fascisti hanno scritto. Anche qui per il governo zero fatica. Una considerazione: cosa sarebbe successo se queste riforme le avesse fatte la destra berlusconiana? Ci sarebbe stata la sollevazione popolare, scioperi su scioperi. Perché quando queste pseudo riforme le fa questo governo non succede niente? Qui bisogna bloccare il Paese, paralizzarlo, scioperare a più non posso, qui c’è il rischio di un nuovo regime. E la CGIL che fa? Nulla, né scioperi né manifestazioni, niente. La Camusso se ne sta in silenzio non proferisce parola. Come mai sta in silenzio? Forse tramite il silenzio e la meditazione vuole raggiungere l’illuminazione come il Buddha? Alessandro - Firenze D’accordo con Mao sullo svolgimento delle lezioni scolastiche Ho letto stamattina il testo del discorso di Picerni su “Mao e l’istruzione nel socialismo”. Ho trovato alcuni spunti interessanti che non conoscevo di Mao, uno su tutti lo svolgimento delle sue lezioni intese come ricerca comune, anche al docente. L’ho sempre pensata così e non sapevo che l’illustre teorico fosse proprio il presidente Mao. Per il resto Picerni ha detto tante verità, che del resto sono sotto gli occhi di tutti, sempre che si vogliano vedere e non si giri la testa dall’altra parte. Auguri per tutto. Alessandro - Cervia (Ravenna) Il nostro Paese sta dalla parte sbagliata Condivido l’articolo de “Il Bolscevico” su “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista”. Tale propaganda è cibo per cani scemi. Renzi spera di salvare capra e cavoli. Il nostro Paese sta dalla parte sbagliata, certo in subordine rispetto agli alleati più potenti e bellicosi, eppure è coinvolto almeno dai tempi della prima guerra contro l’Iraq, in modo diretto o come supporto logistico. Faccio notare inoltre come i media più seguiti escludano le voci critiche. Cari saluti. Nicola Spinosi - Firenze Nel nome della “sicurezza” vengono sacrificate le libertà che ancora ci restano sulla carta Al di là delle questioni di ordine geopolitico internazionale, che sono senza dubbio serie, sto spostando la mia attenzione sul tema, non meno importante, delle dinamiche e dei processi sociali interni, ossia sul quadro dei conflitti di classe e dei rapporti di forza intestini al blocco politico borghese, che in simili casi trova giovamento e si ricompatta immediatamente. Insomma, è palese che il clima di panico e inquietudini generato dal terrorismo, giustifica l’invocazione di una maggiore sicurezza sociale da parte dell’opinione pubblica (ammaestrata come non mai) e da parte di quelle forze politiche che giocano e speculano sulla pelle della gente e della democrazia residua, che in tal modo va a farsi benedire definitivamente. Si stabilisce così, una sorta di compromesso politico interno in base al quale, sull’altare di una sicurezza, solo illusoria, vengono sacrificate le libertà che ancora ci restano sulla carta. Ed ecco che grandi capitali europee, come Parigi e Roma, vengono ad essere presidiate militarmente, in uno stato di belligeranza interna. Tra poco saranno revocati i diritti costituzionali allo sciopero e alla libera espressione del pensiero. Lucio Garofalo - Lioni (Avellino) Grillo vuole servirsi della legge che punisce gli assenteisti Salve compagni, Qui a Roma Grillo, se vince le elezioni, vuole licenziare gli operai assenteisti! Serve mobilitarsi! Mail da Roma INIZIATIVE DEL PMLI å MODENA Portico Via Emilia Centro tra Via Scudari e Piazza Ova Banchino di propaganda dalle ore 16 alle 18 l Domenica 13 dicembre 2015 l Sabato 19 dicembre 2015 l Giovedì 31 dicembre 2015 l Sabato 9 gennaio 2016 esteri / il bolscevico 15 N. 45 - 10 dicembre 2015 Obama e i governanti imperialisti europei aiutano il bombardiere Hollande Putin: un’alleanza anche a guida Usa. La Germania invia aerei e navi. Cameron bombarderà Renzi: “L’IS ha colpito l’Europa e l’umanità non solo la Francia”, dobbiamo distruggerlo Negli incontri tenuti fra il 24 e il 26 novembre il presidente francese François Hollande ha raccolto ampio sostegno dai colleghi imperialisti, da Obama ai governanti europei e infine a Putin, per il ruolo di punta che si è preso nella guerra allo Stato islamico (is) dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre. Dopo il primo incontro, quello alla Casa Bianca con Barack Obama del 24 novembre Hollande riferiva che il presidente americano gli aveva promesso “un aiuto illimitato” per raggiungere l’obiettivo di “distruggere l’Is”. Nella conferenza stampa tenuta al termine dell’incontro a Washington il bombardiere Hollande ripeteva che “gli alleati devono distruggere l’Isis ovunque si trovi e le sue risorse che sono sostanziose. Dobbiamo colpire gli impianti petroliferi, il traffico della droga e quello degli esseri umani. Bisogna ampliare i bombardamenti contro l’Is in Siria e Iraq ed è urgente chiudere il confine tra Turchia e Siria per prevenire il flusso di terroristi che arrivano in Europa”. Hollande confermava che “la Francia non interverrà militarmente sul campo in Siria” ma non si disinteressava certo del futuro del paese una volta che si era guadagnata la prima fila dell’attacco imperialista a suon di bombardamenti; infatti il presidente francese indicava che a Damasco doveva essere assicurata “una transizione politica che porti all’uscita Assad, perché non si può pensare che i siriani possano riunirsi con chi è all’origine di uno dei più grossi massacri di questi anni. Ci vuole un governo di unità”. Tornato a Parigi riceveva il 26 novembre all’Eliseo il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi che prima di tutto sottolineava quanto l’Italia sia impegnata “a livello militare in molti casi assieme alla Francia nella coalizione in Afghanistan, in Libano, nel Kosovo, in Africa dove è molto forte l’impegno dei nostri amici francesi e dove anche noi abbiamo alcuni interventi a partire dalla Somalia”. “Pensiamo però che ci sia la necessità di uno sforzo sempre più inclusivo, di una coalizione sempre più ampia - aggiungeva - che porti alla distruzione dello Stato islamico e del disegno atroce che esso rappresenta”. L’Is “ha colpito l’Europa e l’umanità non solo la Francia”, dobbiamo distruggerlo, ripeteva Renzi. Sempre il 26 novembre Hollande incassava il concreto aiuto della Germania. La cancelliera Merkel aveva già promesso il prolungamento al 31 maggio 2016 della missione dei 350 soldati inquadrati in una brigata mista franco-tedesca in Mali, in corso dal febbraio 2013, nell’ambito della European union training mission per la formazione delle forze armate locali. Il governo di Berlino decideva di inviare navi da guerra e aerei Tornado, seppur da ricognizione, per intervenire in Siria. Alla partita si vorrebbe unire anche l’inglese David Cameron Un caccia bombardiere Tornado tedesco come quelli messi a disposizione dalla Germania per la crociata anti-IS che richiedeva al parlamento il via libera per bombardare in Siria, permesso che lo scorso anno gli era stato negato. Il tour de force diplomatico del bombardiere Hollande si concludeva al Cremlino dal nuovo zar Vladimir Putin. “Il nostro nemico è il Daesh. Sono venuto qui a Mosca per vedere come possiamo agire insieme e coordinarci in modo da poter attaccare questo gruppo terroristico ma anche per raggiungere una soluzione politica per la pace in Siria”, affermava Hollande indicando gli obiettivi dell’incontro. L’intesa tra i due capofila imperialisti per combattere fianco a fianco il Daesh era già stata costruita sul campo nei bombardamenti su Raqqa, l’intesa sul futuro della Siria restava al palo; per Hollande il presidente siriano Bashar al-Assad “non può avere alcun ruolo nel futuro del Paese”, per Putin rimane un “alleato naturale” nella lotta contro l’Is e per tenere i piedi nel paese o quantomeno nella parte tra Damasco, Aleppo e la costa dove ha le basi. A tal fine Putin si dichiarava disposto a partecipare a una “larga coalizione comune” sotto l’egida dell’Onu ma anche a cooperare con la coalizione già esistente guidata dagli Stati Uniti. Obama: “Ankara ha il il diritto di difendere lo spazio aereo” La Turchia abbatte un caccia russo perché “aveva sconfinato” I paesi imperialisti uniti contro l’Is ma divisi per assicurarsi le spoglie della Siria e le zone di influenza nella regione Il 28 novembre il presidente russo Vladimir Putin dopo aver firmato il decreto che vieta l’importazione di alcuni tipi di prodotti turchi e introduce divieti e limitazioni alle attività delle organizzazioni facenti capo ad Ankara, vietava alle aziende russe di assumere lavoratori turchi dal prossimo primo gennaio, sospendeva i voli charter tra i due Paesi e ordinava a agenzie e operatori turistici di non vendere pacchetti di viaggi verso la Turchia. Dall’1 gennaio 2016 sarà inoltre ripristinato il regime dei visti tra Russia e Turchia. Queste sanzioni hanno una durata “provvisoria”, entreranno in vigore con la pubblicazione del decreto e resteranno valide finché non saranno cancellate dal governo russo. Il decreto di Putin è l’ultimo atto della crisi tra i due paesi aperto il 24 novembre dall’abbattimento di un aereo russo sul teatro di guerra siriano. Una crisi grave, seppur tenuta finora su toni bassi ma dagli sviluppi non ancora prevedibili perché dimostra che i paesi imperialisti sono uniti contro l’Is ma divisi per assicurarsi le spoglie della Siria e le zone di influenza nella regione; Russia e Turchia sono due fra i protagonisti della partita. I venti di guerra tra alleati imperialisti nei cieli del Medio Oriente sono soffiati molto forte il 24 novembre allorché il premier turco, Ahmet Davutoglu, dava l’ordine di abbattere il jet russo Sukhoi Su-24 che secondo Ankara aveva sconfinato lungo la frontiera con la Siria “per 17 secondi” e ignorato ripetuti avvertimenti di andarsene. Per il ministero della Difesa russo il Su-24 si trovava in territorio siriano e era stato abbattuto da un F16 turco mentre tornava alla base aerea di Khmeimim, nei pressi di Latakia, e cadeva in territorio siriano nel villaggio di Yamadi. La versione turca era accreditata dagli alleati Nato; “gli accertamenti di diversi alleati hanno confermato la versione della Turchia”, spiegava il segretario Nato, Jens Stoltenberg, che comunque lanciava un appello alla “calma e alla de-escalation” e sottolineava la necessità di “rafforzare il meccanismo per evitare questi inci- denti nel futuro”. Ai militari Nato rispondeva Viktor Bondarev, capo di Stato maggiore dell’aeronautica russa, che sosteneva come F16 fossero pronti a colpire tempo prima del passaggio dei jet russi che erano impegnati in territorio siriano a colpire le basi delle formazioni cecene e dei ribelli turcomanni contrari al regime di Assad e sostenuti da Ankara. Già alcuni giorni prima l’ambasciatore russo ad Ankara era stato convocato per dare spiegazioni dei bombardamenti di Mosca sui villaggi turcomanni. Secco il commento del presidente russo Vladimir Putin che definiva l’azione “una pugnalata alle spalle” e avvertiva che “avrà conseguenze tragiche nei rapporti tra Russia e Turchia”. Intanto saltava la visita a Ankara del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov prevista per il 25 novembre. I rapporti tra Mosca e Ankara erano andati peggiorando nel tempo in particolare dopo la decisione di Putin di intervenire militarmente in Siria a difendere Assad e per mantener il controllo delle zone dove ha le basi; pestando i piedi a Erdogan e alle ambizioni egemoniche locali dell’imperialismo turco. Nel recente G20 di Antalya, in casa di Erdogan, Putin aveva accusato che “i jihadisti dell’Is sono finanziati da persone provenienti da 40 Paesi, tra cui anche membri del G20”, puntando il dito in particolare sulla Turchia; “La Russia non sta combattendo davvero l’Is in Siria, sta uccidendo turcomanni e siriani a Latakia”, rilanciava Erdogan dopo l’abbattimento del jet di Mosca. Nel contenzioso tra i due galletti imperialisti interveniva Barack Obama affermando che “la Russia deve spostare l’obiettivo dei suoi interventi” per colpire l’Is e non i ribelli anti-Assad mentre Ankara “ha il diritto di difendere il proprio territorio”; era il segna- le che l’imperialismo americano stava col presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Anche se poi il 30 novembre a Parigi, alla conferenza sul clima, chiedeva a Turchia e Russia di “trovare un percorso diplomatico per risolvere la questione”, perché “abbiamo tutti un nemico comune e voglio essere sicuro che, insieme alla Turchia, alleato Nato, stiamo concentrando la nostra attenzione a garantire che l’Is non sia più una minaccia”. Le questioni legate alla spartizione delle spoglie della Siria e delle zone di influenza nella regione dovrebbero venire solo dopo. Facile a dirsi più difficile a farsi. In Turchia Assassinato l’avvocato dei curdi Aveva difeso in Tv il PKK. Manifestazioni di protesta a Diyarbakir e Istanbul Il capo dell’Ordine degli av- Istambul, 28 novembre 2015. In Piazza Taksim la protesta contro l’uccisione dell’avvocato curdo Tahir Elci vocati di Diyarbakir, Tahir Elci, è stato assassinato il 28 novembre in margine a una manifestazoine nel quartiere i Sur che era stata indetta in difesa dei diritti dei curdi e per denunciare lo stato di assedio cui il regime di Ankara ha sottoposto da tempo la città come il resto delle zone curde. La polizia imponeva immediatamente il coprifuoco a Diyarbakir che non impediva l’esplosione della rabbia curda; i manifestanti sfidavano gli idranti e i lacrimogeni della polizia per sfilare gridando “spalla a spalla contro il fascismo”. Altre manifestazioni di protesta per l’assassinio dell’avvocato dei curdi si svolgevano a Istanbul e Izmir. A Istanbul era già in corso una manifestazione lungo viale Istiklal a sostegno della libertà di stampa in seguito agli arresti con le accuse di spionaggio del diretto- re e del capo-redattore di Ankara del quotidiano di opposizione Cumhuriyet che aveva pubblicato un servizio sui legami tra i servizi turchi e militanti dell’Is. Il partito filocurdo Hdp definiva l’omicidio di Tahir Elci un “assassinio premeditato” e appoggiava le manifestazioni ricordando come Elci fosse nel mirino del partito di governo Akp e dei suoi media. L’avvocato era diventato un caso nazionale dopo che, il 14 ottobre scorso, aveva rilasciato una dichiarazione alla Cnn turca nella quale aveva sostenuto che il Pkk “è un movimento politico che ha importanti domande politiche e che gode di vasto supporto, anche se alcune sue azioni sono di natura terroristica”. Per questa dichiarazione il legale era stato arrestato il 19 ottobre a Diyarbakir e rinviato a giudizio con l’accusa di propaganda di organizzazione terroristica. Era stato rilasciato ma la procura di Istanbul aveva chiesto per lui la condanna a 7 anni e mezzo. Dopo la vittoria elettorale del primo novembre il presidente Erdogan ha rilanciato la repressione dei movimenti kurdi e col pretesto della lotta al terrorismo e all’Is ha continuato a colpire il suo bersaglio principale, il popolo curdo, imponendo il coprifuoco nelle principali province curde e assassinando almeno 30 manifestanti caduti sotto i colpi della polizia durante le proteste. Proteste che sono continuate il 29 novembre quando decine di migliaia di curdi hanno partecipato a Diyarbakir ai funerali di Elci che sono diventati l’occasione per manifestare contro la repressione in corso nel paese e accusare i leader turchi di assassinio. esteri / il bolscevico 15 N. 26 - 2 luglio 2015 stampato in pr. Per evitare gli attacchi terroristici cessare di bombardare l’Is PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it