Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 2 - 16 gennaio 2014 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Documento della Commissione di massa del CC del PMLI Diamo battaglia al XVII congresso della Cgil Uniamo la sinistra contro la destra della Camusso Appoggiamo la mozione 2 Rilanciamo la proposta del PMLI sul sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati PAG. 8 Molte critiche alla dirigenza LaNdini accredita Renzi. Andrea Cammilli giudica fallimentare Assurdo la segreteria Camusso della Cgil Al direttivo provinciale della FILCTEM di Pisa PAG. 9 PAG. 4 Il 9 gennaio 1950 furono 6 gli operai uccisi e centinaia i feriti dalle “forze dell’ordine” del criminale DC Scelba Onore ai sei martiri Non è vero che è stato abolito dell’eccidio di il finanziamento pubblico ai partiti Modena Continuerà fino al 2017 Il decreto legge del governo Letta-Alfano toglie soldi allo Stato, consente allo Stato di ingerirsi nella vita interna dei partiti e di schedare i donatori, favorisce l’influenza dei capitalisti e dell’alta borghesia sui partiti Il finanziamento dei partiti deve avvenire senza l’intermediazione dello Stato Migranti a Lampedusa trattati come animali Inchiesta di Spi CGIL e IPSOS Nudi e al gelo, donne e uomini, disinfestati con un idrante PAG. 3 PAG. 5 Un incancellabile crimine della borghesia di Stefano (Modena) PAG. 4 5 mila in corteo antirazzista a roma PAG. 3 Volantinaggio a un anziano su due non riesce ad 3,7 milioni di giovani non Fucecchio e banchino per Stalin a Modena arrivare a fine mese lavorano né IL PMLI studiano PAG. 11 il 37% riduce i consumi alimentari, in tanti rinunciano alle cure La metà nel Il governo Letta-Alfano non fa niente per i pensionati PAG. 2 Mezzogiorno INVITATO AI PAG. 2 CONGRESSI DI PRC E SEL Il neopodestà De Magistris apre a Renzi e A BIELLA Nell’attesa che Bassolino e Caldoro sciolgano la riserva al PD per ricandidarsi a sindaco di Napoli In quasi tre anni non ha fatto nulla per lavoro, periferie, servizi sociali. La raccolta differenziata ferma al palo PAG. 6 Urban ha portato il saluto del Partito PAG. 12 Per il 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale Onoriamo Lenin a Cavriago il 19 gennaio Partecipiamo numerosi PAG. 13 2 il bolscevico / interni N. 2 - 16 gennaio 2014 Inchiesta di Spi CGIL e IPSOS Un anziano su due non riesce ad arrivare a fine mese Il 37% riduce i consumi alimentari, in tanti rinunciano alle cure Il governo Letta-Alfano non fa niente per i pensionati Quasi un pensionato su due non riesce ad arrivare a fine mese. Il 46,2% si ritrova a dover rinviare pagamenti, intaccare risparmi e chiedere prestiti e aiuti. Sono tra i preoccupanti dati emersi da un’analisi svolta da Spi-Cgil in collaborazione con la società di sondaggi IPSOS su consumi e potere d’acquisto dei pensionati. Solo il 29,5% del totale dei pensionati italiani riesce ad arrivare a fine mese “senza problemi”. Un altro 24% è costretto a spendere quasi tutta la pensione, mentre il 37% è addirittura costretto a ridurre le spese per i generi alimentari o rinunciare a consumi importanti, tra cui le spese mediche sempre più inaccessibili in conseguenza di ticket sempre più cari e la necessità di ricorrere ai privati. Tra chi sopravvive grazie al sostegno di amici e parenti, il 60% ha tagliato i consumi neces- sari e il 23% consumi importanti. Inoltre almeno il 22% dei pensionati vive il dramma della povertà, con quasi l’8% alla fame. Un dato significativo che emerge dall’analisi di Spi-Cgil e che contribuisce a rendere ancora più drammatica la situazione economica degli oltre 18 milioni di pensionati italiani, è che essi sono costretti a svolgere un ruolo di sostegno economico ai figli e ai nipoti che sempre più spesso hanno perso il posto di lavoro o che non riescono a trovare un’occupazione. È infatti quasi la metà di loro (il 42,6% ) che aiuta economicamente i propri familiari. Di questi il 14,4% dichiara che negli ultimi tre anni ha dovuto prodigarsi spesso in aiuti economici. Gli interventi antipopolari dei governi italiani, oltre che la crisi internazionale del capitalismo, dopo aver tolto alle pensioni più povere un notevole potere d’acquisto, ha anche costretto la stragrande massa dei pensionati popolari a svolgere un compito di assistenza sociale alle famiglie. Una condizione insostenibile che costringe i pensionati ad intaccare i risparmi, a ricorrere a prestiti ed indebitarsi ed è l’ennesima dimostrazione che il governo sta scaricando sulle masse popolari tutto il peso della crisi. Non fa niente il governo Letta-Alfano per risollevare la sorte dei pensionati italiani. Basti pensare che non è stata reintrodotta nella legge di stabilità, approvata il 27 dicembre dal parlamento nero, neanche la promessa indicizzazione piena al costo della vita delle pensioni inferiori a quattro volte il trattamento minimo Senza contare i provvedimenti che si abbatteranno come una stangata sulle pensioni minime e più povere, determinando un ulteriore peggioramento delle condizioni dei pensionati italiani. Per migliorare la condizione dei pensionati italiani è necessario in primo luogo abrogare le controriforme pensionistiche Fornero, Amato, Dini e Prodi, rilanciare un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, fondato sulla contribuzione obbligatoria e con una tassa sui profitti dei capitalisti, rivalutare automaticamente le pensioni in base all’aumento del costo della vita e alla media della dinamica salariale nel lavoro dipendente, elevare le pensioni minime da lavoro, che comunque non siano inferiori a mille euro netti mensili indicizzati, aumentare la pensione sociale (assegno sociale) fino alla metà del salario mensile medio degli operai dell’industria, con rivalutazione annuale sui dati Istat. In ogni caso la più bassa Richiedete opuscolo n. 16 3,7 milioni di giovani non lavorano né studiano La metà nel Mezzogiorno Il 14 dicembre scorso l’Istat ha pubblicato una stima sui cosiddetti Neet (giovani che non lavorano né studiano, dall’acronimo inglese: Not in Education, Employment or Training), che fotografa ancora una volta la drammatica condizione della disoccupazione giovanile nel nostro Paese. Secondo le rilevazioni, infatti, ben 3,75 milioni di giovani tra i 15 e i 34 (uno su quattro) rientrano in questa categoria, in notevole aumento rispetto ai 3,43 milioni del terzo trimestre 2012. Ben il 28,5% (nonché la metà dei 29-34enni) si trova nel Mezzogiorno. È una delle percentuali più alte d’Europa, vicino alla Grecia. Più nel merito, l’Istituto di statistica precisa che la maggioranza dei Neet sono donne. In gran parte (1,8 milioni) hanno conseguito la maturità, seguiti da chi ha solo il diploma di scuola media (1,5 milioni) e dai laureati (437mila). Stiamo parlando di una urgentissima piaga sociale (che si aggiunge al 41,2% di disoccupazione giovanile ufficiale) prodotta principalmente dalla disillusione verso la possibilità di trovare lavoro (tanti Neet raccontano storie drammatiche di sfruttamento, licenziamenti arbitrari e infiniti tentativi andati a vuoto per ritro- vare un posto) e che rischia di gettare tantissimi giovani nel lavoro nero, nel precariato a vita, nella miseria, nello sconforto e nel malessere sociale, quando non nella criminalità, senza previdenza sociale. Infine, questi giovani rappresentano un ingente reggimento che si aggiunge all’“esercito di riserva” (Marx) dei disoccupati che i capitalisti possono, all’occorrenza, spolpare fino all’osso a bassissimo costo. Per capire quanto questo fenomeno si stia aggravando, oltre ai dati statistici, basta pensare al fatto che il termine “Neet” fu coniato in Inghilterra sotto il governo neoliberista di Tony Blair alla fine degli anni ’90 per indicare i giovani fra i 16 e i 18 anni. In Italia, fino a ieri la fascia arrivava ai 29 anni, nell’ultima rilevazione è stata alzata a 34 anni. Per suo conto il governo Letta ha messo in campo proposte del tutto evanescenti e insufficienti, come la “Garanzia giovani” che però interessa solo i neodiplomati e neo-laureati sotto i 29 anni ai quali vengono date briciole. Non che ci si possa aspettare molto altro da un ministro del Lavoro come Enrico Giovannini che quando era presidente dell’Istat ha portato da 0 a 400 i precari in questo Istituto. Come ha scritto il PMLI nell’appello “Giovani, date le ali al vostro futuro”, il capitalismo “si è dimostrato incapace di dare ai giovani lavoro e istruzione” e “continua, macelleria sociale dopo macelleria sociale, a rubare il futuro a migliaia di giovani per ingrassare la grande finanza, il pensione non deve essere al di sotto dei mille euro netti mensili indicizzati. Ci chiediamo in ogni caso cosa aspettino i sindacati confederali e i “sindacati di base” a indire subito uno sciopero generale di 8 ore unitario con manifestazione nazionale a Roma per fermare la macelleria sociale di Letta e Alfano avallata da Napolitano? Le richieste vanno effettuate a: PMLI [email protected] grande capitale, gli speculatori e i politicanti borghesi”. Perciò “l’unica vera alternativa passa dalla distruzione di questo sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dalla sua sostituzione con il socialismo, la società dei lavoratori, con classe operaia al potere”. indirizzo postale: PMLI Via Antonio del Pollaiolo, 172a 50142 Firenze In alcune scuole sorteggiati i pochissimi che riceveranno lo stipendio Letta ruba la 13ª ai docenti precari Il programma liberista e di massacro sociale del governo Letta-Alfano è sempre lo stesso dei governi che lo hanno preceduto: superare la crisi finanziaria ed economica capitalistica a spese dei diritti e delle condizioni dei lavoratori e delle masse popolari. Il piatto forte, questa volta, per fare cassa, “risanare” i conti dello Stato e rilanciare l’economia capitalistica, è quello di torchiare i lavoratori statali e fra questi, di impoverire i più poveri, pescando nelle tasche, già abbondantemente vuote, dei precari della scuola. Il ministero dell’Istruzione, a fronte dei tagli ai fondi per l’istruzione pubblica, non ha inviato i finanziamenti necessari alle Numero di telefono e fax della Sede centrale del pmli e de “Il Bolscevico” Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente: 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo. scuole per pagare novembre e dicembre ai supplenti. “Un’operazione che andava assolta entro lo scorso 13 dicembre: per motivi tecnici se ne riparlerà non prima di gennaio – affermano i precari – lasciando così ‘a bocca asciutta’, senza nemmeno la percentuale di tredicesima dovuta, le migliaia di docenti e Ata che anche nel corrente anno scolastico hanno stipulato un contratto con la scuola di servizio”. E visto che lo Stato è moroso nei confronti di buona parte delle circa 8mila scuole italiane, le segreterie scolastiche, oltre a che pagare in ritardo quanto dovuto, hanno diluito i pagamenti allo stesso lavoratore, nei limiti dei fondi disponibili e in modo proporzionale oppure hanno organizzato dei veri e propri sorteggi. Come otto mesi fa a Grosseto, in una scuola la preside ha deciso di estrarre a sorte 5 supplenti su 18 a cui pagare gli stipendi: in cassa, dallo Stato sono arrivati solo 6mila euro, anziché 20mila. Come se il diritto al lavoro e allo stipendio fosse una lotteria. Ma, come si suol dire, piove sul bagnato. Ai precari della scuola, docenti e amministrativi, è caduta un’altra tegola altrettanto onerosa; un provvedimento inserito nella spending review varata dal governo Monti nel 2012 e messo in atto con un’interpretazione ancora più letale dal governo Letta-Alfano, ha eliminato per tutti i dipendenti pubblici il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute. Il ministero dell’Economia il 4 settembre scorso ha diramato una nota interpretativa con la quale ha stabilito la retroattività del provvedimento, e cioè la monetizzazione a partire dal 1 gennaio 2013, invece che dal 1 settembre 2013 (come prevedeva la legge di Stabilità); questo ha reso il provvedimento ancor più antipopolare e ingiusto. Almeno duecentomila insegnanti precari, dall’infanzia alle superiori, oltre a dover convivere con contratti a tempo determinato, non riceveranno a fine anno i mille euro a cui avrebbero diritto. Per molti insegnanti era una risorsa economica fondamentale, tra crisi economica e pause estive senza lavoro, mentre per le casse dello Stato il risparmio sarà invece minimo, tra i 100 e i 200 milioni di euro. Anche dal punto di vista giuridico è inaccettabile: “Si crea inoltre un pericoloso precedente che apre la strada ad ulteriori disparità di trattamento fra lavoratori dello stesso settore – affermano in un volantino diffuso dai precari della scuola di Milano - Lo scopo evidente è quello di mettere in discussione il sistema stesso dei Contratti Collettivi del Lavoro e lo Statuto dei lavoratori”. La peculiarità per gli insegnanti è che, a differenza di quanto accade negli altri comparti, essi non possono andare in ferie durante l’anno ma solo a lezioni finite o quando la scuola è chiusa. I supplenti in quanto precari non potranno godere dello stesso diritto poiché a lezioni finite vengono licenziati e lasciati senza stipendio per poi, forse, essere riassunti dopo le vacanze natalizie e pasquali, o al settembre successivo. I precari, infine, chiedono “a tutti i lavoratori della scuola di scendere in piazza per un primo momento di protesta contro quest’ennesimo attacco! E a sindacati, partiti, associazioni e cittadini solidali di sostenere questa giusta lotta”. interni / il bolscevico 3 N. 2 - 16 gennaio 2014 Migranti a Lampedusa trattati come animali Nudi e al gelo, donne e uomini, disinfestati con un idrante L’infame spettacolo di un filmato girato a Lampedusa – quello di un gruppo di migranti nudi e al freddo che vengono irrorati con un idrante per essere disinfestati – ha inorridito il mondo intero e mostrato dove può portare la politica xenofoba e razzista adottata dalla Ue imperialista e dai suoi Paesi membri come l’Italia. Immagini che richiamano alla memoria quelle dei lager nazisti. Ovviamente costituiscono ipocrisia allo stato puro le prese di posizione - a parole - durissi- me contro tale trattamento, come quelle del commissario europeo Cecile Malstrom che minaccia lo stop agli aiuti per l’Italia da parte della Comunità, del ministro degli Esteri Emma Bonino e della Salute Beatrice Lorenzin oltreché del nuovo segretario del PD Matteo Renzi che si indignano per le orribili immagini, ma sono corresponsabili della politica imperialista che provoca guerre, saccheggio e fame nei paesi del Sud del mondo. Con sprezzante arroganza razzista il nuovo segretario della Lega Matteo Salvini invita i migranti a tornare a casa loro, come se essi fossero stati nella condizione di poter scegliere e non nella disperata necessità di sopravvivere a guerre, fame e privazione dei più elementari diritti provocati dal sistema economico che è alla base di tutto ciò, e che egli sostiene. Ridicola e palesemente falsa è poi la giustificazione del ministro degli Interni Angelino Alfano, secondo cui i migranti spazientiti si sarebbero spontaneamente denudati all’aperto come forma di protesta, fatto sdegnosamente respinto dal deputato PD di origine marocchina Khalid Chaouki che ha parlato di “una balla colossale e una presa in giro nei confronti dei milioni di persone che in tutto il mondo hanno visto quelle immagini”, cosa che non deve stupire perché tali menzogne provengono da chi fino a ieri era il tirapiedi di un delinquente come Silvio Berlusconi e ora è il braccio destro di Letta. Nel frattempo il ministro Alfano ha avviato la procedura di risoluzione della convenzione con la cooperativa affidataria della gestione del centro di Lampedusa, per grave inadempienza contrattuale, risoluzione, che sarà operativa tra 30 giorni, e che consentirà l’affidamento del servizio a un nuovo gestore. Eppure ben sappiamo che le responsabi- lità di tale mostruoso trattamento ai danni dei migranti non cadono solo sulle spalle di quei lavoranti e degli aguzzini che dirigevano quella cooperativa ma pesano come macigni sul governo e sulle istituzioni borghesi italiane, sul sistema economico capitalistico, sull’imperialismo e sulle politiche di sfruttamento e di rapina dei paesi più poveri e arretrati del mondo. Nel Centro di identificazione ed espulsione di Roma Dieci migranti per protesta si cuciono la bocca “Trattati come animali in gabbia” Un fotogramma tratto dal video fatto da un internato sui maltrattamenti subiti dai migranti nel Centro di prima accoglienza e soccorso dell’Isola di Lampedusa e trasmesso dal TG2 Non si sono ancora spenti gli echi della drammatica protesta che tra il 21 e il 23 dicembre scorso ha portato in totale dieci migranti reclusi nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria vicino a Roma - a cucirsi la bocca per protesta e a iniziare uno sciopero della fame. I migranti hanno preso la parte metallica di un accendino trasformandolo in un ago, poi hanno scucito una coperta prendendo del filo, e si sono cuciti la bocca. L’iniziativa è partita da un giovane Imam maghrebino di 32 anni, poi subito imitato da al- tri tre fino ad arrivare a dieci, con una forma di protesta senza precedenti nei confronti di quei veri e propri lager che sono diventati i Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Dei dieci manifestanti soltanto due sono ex detenuti in attesa di espulsione, mentre gli altri otto sono richiedenti asilo che - sbarcati a Lampedusa - hanno visto immediatamente respinta la loro domanda e sono in attesa di rimpatrio. Il motivo fondamentale della protesta sono sia le condizioni disumane in cui i migranti sono costretti a vivere (con un notevole sovraffollamento ed anche con penuria di viveri e dei più elementari generi di conforto) sia i tempi lunghissimi di detenzione nei CIE (che possono arrivare fino a 18 mesi), tanto che uno dei migranti che ha partecipato alla protesta Ahmed - ha detto chiaramente che vengono “trattati come animali in gabbia”. Eppure né il governo né il parlamento hanno preso una qualche iniziativa per chiudere immediatamente i lager dei CIE. 5 mila in corteo antirazzista a roma Il 18 dicembre, in contemporanea con tante città d’Italia e di Europa, Roma è stata testimone di una bella e combattiva giornata di lotta in occasione della Giornata di azione globale contro il razzismo e per i diritti dei migranti, rifugiati e sfollati. In 5 mila si sono dati appuntamento in piazza Esquilino, per dar vita ad un colorato corteo con alla testa lo striscione “Roma Meticcia, le lotte contro l’austerità e la precarietà non hanno frontiere”. Un corteo per immaginare una città e mondo senza frontiere, quelle che uccidono, come è accaduto soltan- to recentemente a Lampedusa e come continua ad accadere in tutto il Mediterraneo. “Frontiere che costringono chi riesce a penetrare nelle spesse mura della ‘fortezza Europa’ ad essere perennemente ricattato - si leggeva nell’appello diffuso per promuovere il corteo -, soggiogato da un lavoro sempre più precario, dentro una società che vorrebbero individualista e divisa, in preda a meccanismi di rivalità e concorrenza, di isolamento se non di conflitto fra culture, territori, persone”. Il serpentone, composto da migliaia di migranti, tra cui tanti ri- chiedenti asilo e rifugiati, dai movimenti per il diritto all’abitare, dalle associazioni antirazziste, e dagli attivisti degli sportelli e le scuole d’italiano autogestite, ha sfilato per il quartiere multiculturale di Piazza Vittorio, ed è arrivato a San Lorenzo per concludersi davanti a uno stabile occupato da tre mesi da richiedenti asilo e rifugiati. “Siamo tutti antifascisti” questo lo slogan che risuona e rimbalza per tutto il corteo. La giornata romana inizia presto con un blitz a Fontana di Trevi, trasformata simbolicamente nel Mediterraneo delle stragi di mi- granti. Decine di sagome vengono lasciate galleggiare sull’acqua. Ciascuna riporta la data e il numero delle vittime dei naufraghi e degli affondamenti. “Abbiamo voluto denunciare l’ipocrisia delle lacrime di coccodrillo e delle parole delle istituzioni dopo l’ultima strage di Lampedusa, dichiara un attivista della rete Yo Migro. Questi non sono incidenti ma una conseguenza delle politiche europee e italiane”. La richiesta è univoca: abolire la Bossi-Fini, chiudere i Cie, modificare le regole europee sull’accoglienza, rivedere i respingimenti. Altre manifestazioni si sono svolte in Sicilia, alle porte del gigantesco centro di accoglienza di Mineo. A Padova una nuova occupazione dedicata a Don Andrea Gallo ha dato ospitalità a una cinquantina di richiedenti asilo e rifugiati. A Bologna è sfilato un corteo contro la riapertura del Cie cittadino. Qui i manifestanti sono stati caricati a freddo dalle “forze dell’ordine” mentre si apprestavano a tracciare una semplice scritta sul muro di cinta della struttura in via Mattei: “La riapertura di questo luogo - spiegano - è un oltraggio alla nostra città. Qui nessuno lo vuole, neanche le istituzioni, e se Alfano non farà marcia indietro continueremo la mobilitazione per impedirlo”. Tra i promotori italiani della giornata di mobilitazione ARCI (Italia), Soleterre Onlus (Italia); CGIL (Italia); Federazione Africana in Toscana (Italia); AceA Onlus Associazione Consumi Etici e Stili di Vita Solidali (Italia); MAIRI Mutuo Aiuto Immigrati Residenti in Italia; Rete Nazionale Primo Marzo (Italia); Rete Antirazzista Catanese; Confederazione Cobas di Catania; Campagna Welcome (Italia). Il ministro della Difesa agli immigrati Se andate come soldati in Afghanistan vi daremo la cittadinanza “Penso che più di ius soli, in Italia avremmo bisogno dello ‘ius culturae’. Perché non facciamo una piccola modifica alla Costituzione in modo da poter consentire a chi arriva in Italia di poter far parte delle forze armate? Questo naturalmente purché abbiano un minimo di requisiti”: è la proposta che il ministro della Difesa Mario Mauro ha lanciato in un’intervista al quotidiano neofascista e berlusconiano “Libero” del 27 dicembre scorso, dopo aver magnificato l’operazione “Mare nostrum” della marina militare nel canale di Sicilia, missione a suo dire umanitaria di “monitoraggio e aiuto agli immigrati”. “Oggi – ha spiegato il ministro - si può fare il militare solo se si è cittadini italiani. Bisognerebbe fare come negli Stati Uniti dove, se si presta servizio nelle forze armate per un certo I nuovi ascari dell’Italia imperialista periodo, si è agevolati nel conseguimento della cittadinanza”. L’idea di Mauro, su cui nessuno ha trovato nulla da obiettare o tanto meno da indignarsi – né da Palazzo Chigi, né dal Quirinale e nemmeno dalla nuova Segreteria del PD – è dunque quella di costituire una specie di “legione straniera” italiana, come quella in forza all’imperialismo francese che ne sta facendo un intenso uso nelle sue incursioni neocolonialiste in Africa occidentale. O più precisamente una truppa di nuovi ascari dell’imperialismo nostrano, sul modello delle truppe mercenarie arruolate tra le popolazioni delle colonie italiane dell’Africa orientale, e utilizzate come bassa forza militare nelle guerre coloniali in Eritrea, Abissinia, Somalia e Libia, e successivamente anche e soprattutto da Mussolini per l’aggressio- ne all’Etiopia e nella 2ª guerra mondiale. È disgustoso e intollerabile che mentre con una mano il governo borghese attua tutta una serie di persecuzioni e discriminazioni fasciste e razziste nei confronti degli immigrati, rinchiudendoli nei lager dei Cie, criminalizzandoli come clandestini, negandogli il lavoro e i diritti di cittadinanza e sottoponendoli al ricatto perpetuo del permesso di soggiorno, con l’altra offra loro l’opportunità di “salvarsi” da questo inferno a patto che siano disposti ad arruolarsi come ascari per servire l’imperialismo italiano in Afghanistan e in altre sue future avventure neocolonialiste all’estero. E non è un caso che questa infame proposta venga da un ciellino come il ministro Mauro, avvezzo perciò a mascherare il razzismo e il fascismo insiti nella sua proposta con l’ipocrisia cattolica di “favorire l’integrazione” degli immigrati. Mentre in realtà è un “falco” militarista e guerrafondaio già distintosi in diverse occasioni per altre dichiarazioni e iniziative esplicitamente volte ad esaltare e rafforzare le forze armate interventiste: come per esempio la sua dichiarazione che “per amare la pace bisogna armare la pace”, come l’aver proceduto d’ufficio all’acquisto degli F-35 ignorando il dissenso popolare e parlamentare, o come l’aver preteso e ottenuto due miliardi nella legge di stabilità per riarmare la marina militare, o come ancora l’aver annunciato che in Afghanistan resteranno 800 militari italiani anche dopo il ritiro del 2015 già approvato dal parlamento. Per non parlare del Muos, dei droni, della portaerei L’ipocrisia cattolica del ministro ciellino guerrafondaio Mauro in visita natalizia al contingente italiano in Afghanistan Cavour mandata in giro per il mondo a vendere armi italiane, e così via. È significativo altresì che il ministro proponga di modificare la Costituzione, visto che attualmente occorre essere cittadini italiani per indossare l’uniforme. Un suggerimento, il suo, al parlamento nero e alla Commissione incaricata della controriforma neofascista e presidenzialista della Costituzione, per inserirvi anche una deroga che permetta l’arruolamento di immigrati come nuovi ascari dell’esercito interventista col miraggio di guadagnare punti per l’ottenimento della cittadinanza italiana. 4 il bolscevico / interni N. 2 - 16 gennaio 2014 LaNdini accredita Renzi. Assurdo Il dialogo sbocciato apparentemente all’improvviso alla vigilia delle primarie dell’8 dicembre, con un incontro a Firenze tra il segretario della Fiom Maurizio Landini e il democristiano Matteo Renzi, si sta rivelando sempre più come una vera e propria intesa politico-sindacale, tanto più assurda e sconcertante dopo che, appena eletto, il neo segretario del PD ha proclamato con grande enfasi la sua proposta liberista e antioperaia di “riforma” del mercato del lavoro basata sulla libertà di licenziamento da lui denominata “Job act”. “Renzi ha un atteggiamento molto più libero sui temi della democrazia, del lavoro, della lotta alla precarietà rispetto a chi lo ha preceduto alla guida del Partito democratico”, aveva infatti dichiarato Landini, subito dopo la vittoria di Renzi, in una compiacente intervista a La Repubblica, il quotidiano di De Benedetti, Scalfari e Mauro che ha tirato la volata al neopodestà fiorentino. Un modo per far capire che è pronto ad appoggiarlo per cambiare anche la dirigenza della CGIL, dopo aver “rottamato” il vecchio vertice dalemiano e bersaniano del PD. Cosa che Renzi non ha mai nascosto di voler fare, dichiarando in ogni occasione che “anche il sindacato deve cambiare”. Poco importa a Landini se per “cambiare verso” anche al sindacato Renzi intende spostarlo ancor più a destra dell’attuale corso già marcatamente opportunista e collaborazionista di Susanna Camusso, così come ha cambiato verso al PD liquidando l’eredità del PCI revisionista e omologandolo pienamente alla destra. Evidentemente al segretario della Fiom questa appare una contraddizione secondaria, rispetto all’occasione che gli si è presentata per saltare sul carro del vincitore che si appresta a cambiare gli assetti di potere anche nel sindacato. Come interpretare questa sorprendente apertura del segretario della Fiom per uno come il democristiano e liberista Renzi, che si era sbracatamente schierato con Marchionne e la sua politica antioperaia ultraliberista alla Fiat, e quindi contro la Fiom e lo stesso Landini, nel momento più duro e difficile per il sindacato dei metalmeccanici della Cgil? E’ cambiato Renzi, o è cambiato Landini, da allora? Di sicuro non Renzi, visto che il suo “Job act” che sta preparando, e le cui linee generali ha già annunciato, prevede un contratto unico per i giovani “a tempo indeterminato”, ma con la sospensione per i primi tre anni dell’articolo 18, e con il pagamento dei contributi a totale carico dello Stato. Chi perde il lavoro avrebbe un sussidio di disoccupazione invece della cassa integrazione (Cig), che sarebbe totalmente abolita. Un piano che piace a Landini e a Confindustria Ciò secondo lui e i suoi “esperti” che ha voluto con sé nella nuova Segreteria del PD – il responsabile del Welfare Davide Faraone e il suo consigliere economico Yoram Gutgeld, che hanno per l’occasione ripescato la ricetta neoliberista della “flexecurity” elaborata dal giuslavorista ex PD, Ichino - dovrebbe far finire la giungla del precariato e incoraggiare le assunzioni, ma in re- Firenze, 12 dicembre 2013. L’affabile incontro tra il segretario della Fiom Landini e il neosegretario del PD nonchè sindaco di Firenze Renzi altà non farebbe altro che sostituire i diversi contratti di precariato con quello più precario di tutti: la possibilità pura e semplice di essere licenziati in qualsiasi momento, perfino senza lo straccio di una motivazione economica come adesso dopo la “riforma” Fornero. E i costi sarebbero interamente a carico della collettività, cioè dei lavoratori stessi, visto che almeno la cassa integrazione è pagata per metà dalle aziende. In ogni caso, poi, l’abolizione dell’articolo 18 per motivi economici prevista dalla legge Fornero ha già dimostrato nella pratica di non aver prodotto un sol posto di lavoro in più: anzi, la disoccupazione è ulteriormente aumentata, perché è diventato più facile licenziare. Non a caso la proposta di Renzi è piaciuta subito al presidente di Confindustria, Squinzi, e a quello di Assolombarda, Rocca (“Il piano di Renzi è decisamente convincente, questo paese deve essere al fianco delle imprese”, ha dichiarato il capo degli industriali lombardi); mentre il gerarca di Berlusconi, Brunetta, lo rivendica addirittura come farina del suo sacco: “Quel piano sembra copiato dal nostro. Se il piano è questo diciamo Forza Renzi, Forza Italia”. Alfano, poi, ha colto subito la palla al balzo per rilanciare la posta, proponendo l’abolizione pura e semplice del contratto collettivo, lasciando al suo posto solo contratti aziendali e individuali. Perfino un seguace di Cuperlo, come l’ex ministro del Lavoro nel governo Prodi, Cesare Damiano, inizialmente ostile al piano di Renzi ha finito per avallarlo, purché lo si chiami ipocritamente “contratto unico di inserimento” (una sorta di “apprendistato lungo tre anni”, lo ha definito) e non si rinunci alla Cig. Ma nonostante tutto ciò Landini fa finta di nulla e continua a flirtare con Renzi, e pur dicendosi ovviamente contrario all’abolizione dell’articolo 18 e della Cig, è arrivato a dichiarare tranquillamente, in un’altra intervista a La Repubblica del 28 dicembre, che “quella del contratto unico può es- sere la strada per ridurre la precarietà”; e quanto alla sua durata (e quindi della durata della sospensione dell’articolo 18), si è detto disposto a discutere col padronato per la fissazione di un “periodo congruo durante il quale verificare gli interessi delle imprese e dei lavoratori”. Alla richiesta esplicita se di questo ne avesse parlato con Renzi quando lo ha incontrato, il segretario della Fiom ha risposto evasivamente: “Per ora ho capito che Renzi vuole ridurre la precarietà e che condivide la necessità di una legge sulla rappresentanza sindacale”. Quella stessa rappresentanza sindacale prevista dall’accordo collaborazionista su contrattazione e rappresentanza del 28 giugno 2011 che Landini aveva allora giustamente avversato, salvo col tempo accettare e oggi addirittura esaltare. Così come oggi accetta e condivide con Renzi l’idea neocorporativa di compartecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, sul modello attuato alla Volkswagen: idea sulla quale è stato avviato “un interessante dialogo con Landini”, ha confermato infatti il renziano Faraone. Un asse politico-sindacale coltivato da tempo Insomma, è un’apertura di credito totale quella di Landini a Renzi, fatta parlando solo dei punti di convergenza e mettendo tra parentesi quelli di divergenza, e questo dimostra che quella del sindacalista vendoliano non è una semplice “sbandata”, ma un vero e proprio asse politico-sindacale coltivato in segreto da tempo con il “rotta- matore” democristiano. Tanto che a questo punto, considerate anche le aperture della Cisl del crumiro Bonanni (che ha definito l’apertura di Landini a Renzi “un’interessante novità”), e la freddezza viceversa della Segreteria Cgil al “Job act” di Renzi, si può ben dire che Landini è arrivato a scavalcare clamorosamente a destra la stessa Camusso! Lo ha efficacemente denunciato anche l’ex presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, primo firmatario del documento di minoranza di sinistra al prossimo congresso della Cgil, intitolato “Il sindacato è un’altra cosa” (mentre Landini ha firmato il documento di destra della Camusso), secondo il quale “Matteo Renzi è il peggior lascito dell’era berlusconiana”, e che sul comportamento di Landini ha avanzato questo sospetto: “C’è solo una spiegazione razionale in quel che con spregiudicatezza sta facendo Landini: diventare il segretario della Cgil con l’appoggio di Renzi”. Sospetto che trova piena conferma da parte dello stesso Renzi, stando alle sue dichiarazioni a Il Fatto Quotidiano del 2 gennaio, in cui alla domanda se la Fiom non sembri “più renziana della Cgil”, ha così risposto: “Non è renziano neanche il PD, figuriamoci la Fiom. Certo, su alcune cose potrebbe esserci condivisione: dalla legge sulla rappresentanza alla presenza di persone elette dai lavoratori nei consigli d’amministrazione. E poi condividiamo un concetto semplice: chi ci ha portati fin qui, con polemiche ideologiche e scarsi risultati, non è adatto a portarci fuori di qui”. Il 9 gennaio 1950 furono 6 gli operai uccisi e centinaia i feriti dalle “forze dell’ordine” del criminale DC Scelba Onore ai sei martiri dell’eccidio di Modena di Stefano (Modena) In questi giorni cade l’anniversario della cosiddetta “Strage delle Fonderie”, uno dei fatti più neri dal dopoguerra per le masse lavoratrici italiane e per il movimento operaio. Il 9 gennaio 1950, a Modena, sei operai furono trucidati a sangue freddo dalla polizia del fascista Scelba, e con la benedizione di tutto il governo democristiano di De Gasperi. La dinamica dei fatti e, soprattutto la natura della vertenza alla loro origine, presenta inquietanti similitudini e non pochi parallelismi con le attuali lotte di fabbrica nella grande industria italiana. Questa tragica verità, oltre alla necessità di tenere viva la lotta di classe, impone a tutti noi di non dimenticare quanto successe in quel freddo mattino di gennaio di sessantaquattro anni fa. Questi i fatti. Dopo una serie di vertenze fallite con il sindacato che chiedeva condizioni di lavoro più umane (peraltro garantite sulla carta - dalla Costituzione repubblicana entratae in vigore solo due anni prima), il padrone e “signore” delle Fonderie Riunite - il conte Adolfo Orsi - dichiara la serrata il 5 dicembre 1949. Il piano di Orsi, che si è arricchito con la produzione di armamenti durante il ventennio fascista e che del fascismo fu sempre un fervente sostenitore, è quello di licenziare i 560 operai che lavorano nello stabilimento, per poi riassumerne solo Un incancellabile crimine della borghesia Il Bolscevico n. 2 del 17 gennaio 2008 Modena, 9 gennaio 1950. La manifestazione dei lavoratori delle Fonderie di Modena (sullo sfondo) pochi attimi prima della strage operata dalla polizia 200 e sostituire i “non graditi” con nuovi assunti. L’obiettivo dell’epurazione sono gli operai comunisti o iscritti alla CGIL. Alla riapertura degli impianti – prevista per il 9 gennaio - Orsi punta quindi a de-sindacalizzare completamente le Fonderie ed a riaffermare il proprio potere assoluto non solo sulla proprietà della fabbrica, ma anche sulle stesse vite e sul lavoro degli operai. Nei giorni precedenti la riapertura delle Fonderia il ministro dell’interno, il democristiano fascista Mario Scelba, su richiesta di Orsi e con la velata connivenza delle autorità cittadine, invia rinforzi della celere da tutta la regione per presidiare la fabbrica e reagire militarmente ad ogni azione da parte del sindacato e degli operai, anche al fine di preveni- re un’eventuale occupazione degli impianti. In occasione della data dell’annunciata riapertura la Camera del lavoro e il movimento operaio modenese organizzarono una grande manifestazione di protesta che dalla periferia aveva l’obiettivo di convergere verso le Fonderie e pretendere dal padrone fascista Orsi la riassunzione di tutti gli operai oltre all’ingresso del sindacato in fabbrica. Tra le 10 e le 11 il corteo giunse in vista delle Fonderie. All’avvicinarsi degli operai la polizia e i carabinieri di Scelba e del governo democristiano appostati sui tetti dell’impianto, oltre che intorno al suo perimetro, cominciano a sparare sulla folla che fino a quel momento non aveva reagito alle provocazioni e si era man- tenuta compatta e determinata, ma non violenta. Gli agenti della celere – molti dei quali reclutati tra i picchiatori del regime mussoliniano – sparano in poche ore almeno 200 colpi. Nelle prime ore della manifestazione tre operai vengono uccisi, in quello che le cronache dell’epoca descriveranno come un tiro al piccione. Il primo ad essere trucidato è Arturo Chiappelli, di 43 anni, ucciso da un cecchino appostato sui tetti mentre si dirigeva ai lati del corteo per evitare il fumo dei lacrimogeni. Poco dopo è il turno di Angelo Appiani, ex partigiano di 36 anni, che viene freddato da un proiettile a bruciapelo. Roberto Rovatti, di 30 anni, che portava un cartello di protesta viene prima buttato in un fosso e pestato a sangue e poi finito con un colpo alla nuca. Mentre la folla di operai e delle proprie famiglie corre in ogni direzione per evitare i proiettili assassini firmati-conte-Orsi, altri tre operai restano uccisi nelle vicinanze delle Fonderie: Ennio Garagnani, Renzo Bersani, ed Arturo Malagoli, tutti di 21 anni. Alla fine della giornata gli operai trucidati saranno sei, mentre i feriti – che evitarono gli ospedali per paura dell’arresto - sono quasi duecento. L’11 gennaio le masse popolari modenesi si presentarono compatte ai funerali dei sei martiri e idealmente ne raccolsero la bandiera imbrattata di sangue. Come nel caso della carneficina di Portella della Ginestra che inaugura questa stagione di stragi ai danni del movimento operaio, il governo neo-fascista democristiano di De Gasperi non spese una parola per gli operai trucidati e mentre i celerini di Scelba furono assolti “d’ufficio”, molti operai e sindacalisti furono inquisiti per numerosi reati di “turbativa dell’ordine pubblico”. Gli operai accusati sono finalmente assolti solo nel 1954. Nei giorni successivi la strage, a seguito di interrogazioni di deputati comunisti e socialisti, il governo non solo giustificò, ma supportò apertamente la violenza della celere e le “ragioni” del conte Orsi. In particolare il ministro Scelba affermò che i suoi uomini avevano risposto alle provocazioni dei facinorosi e avevano agito per garantire ordine e tranquillità. A sessantaquattro anni di distanza Arturo Chiappelli, Angelo Appiani, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani e Arturo Malagoli ci ricordano che non bisogna mai abbassare la guardia e che è necessario tenere alta la bandiera della lotta di classe, ora più che mai quando l’attacco ai diritti basilari dei lavoratori è sempre più frontale e sempre più numerosi novelli conti Orsi, primo fra tutti l’infame Marchionne della FIAT, attuano la stessa strategia di de-sindacalizzazione di sessant’anni fa. I 560 operai licenziati nel 1950 ci ricordano che solo un paio di anni fa, a Pomigliano la dirigenza della FIAT ha attuato la stessa ricetta di Orsi, licenziando gli operai e praticando riassunzioni selettive, scartando gli operai “non graditi” iscritti alla FIOM. interni / il bolscevico 5 N. 2 - 16 gennaio 2014 Continuerà fino al 2017 Non è vero che è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti Il decreto legge del governo Letta-Alfano toglie soldi allo Stato, consente allo Stato di ingerirsi nella vita interna dei partiti e di schedare i donatori, favorisce l’influenza dei capitalisti e dell’alta borghesia sui partiti Il finanziamento dei partiti deve avvenire senza l’intermediazione dello Stato “Avevamo detto che avremmo abolito il finanziamento pubblico entro l’anno e l’abbiamo fatto”, ha detto Enrico Letta il 13 dicembre presentando trionfalmente l’inaspettato decreto legge appena approvato dal Consiglio dei ministri. Una “sorpresona” approvata a tambur battente per bruciare sul tempo la “sorpresina” che il suo compare e rivale Matteo Renzi, fresco di vittoria alle primarie, avrebbe annunciato di lì a due giorni all’assemblea di Milano che lo ha incoronato nuovo segretario del PD. La “sorpresona” consisterebbe nel fatto che questa sedicente abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, mascherato sotto forma di “rimborsi elettorali”, è stata fatta per decreto, e quindi entra in vigore subito, producendo i suoi effetti già dalla prima rata del 2014. Solo che è del tutto falso che questo provvedimento abbia abolito e da subito il finanziamento pubblico ai partiti: in realtà ha semplicemente abolito l’attuale sistema di finanziamento pubblico, per sostituirlo, non subito ma gradualmente in tre anni, con un altro del tutto equivalente ma ancor più ipocrita e truffaldino del vecchio. Il decreto del governo LettaAlfano, infatti, ha semplicemente riesumato il disegno di legge già approvato il 16 ottobre scorso alla Camera e che giaceva fermo da due mesi al Senato, il quale stabiliva in soldoni tre cose: 1) gli attuali “rimborsi elettorali” non cessano subito, ma diminuiscono gradualmente azzerandosi solo nel 2017; 2) contemporaneamente vengono rimpiazzati da un sistema basato su un contributo volontario del 2 per mille dell’Irpef, simile a quello dell’8 per mille per la chiesa, e su agevolazioni fiscali per le donazioni da priva- ti e aziende; 3) il gettito finale ai partiti previsto col nuovo sistema non sarà molto inferiore, se non sarà addirittura uguale, al gettito attuale, pari complessivamente a 91 milioni l’anno. Come si può avere la faccia tosta di chiamare tutto ciò “abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”? Un’operazione demagogica e truffaldina Il decreto-legge del governo ricalca in pieno questa logica truffaldina: esso taglia il fondo per i “rimborsi elettorali” ai partiti del 25% l’anno a partire da quest’anno, fino al suo azzeramento solo nel 2017. Ma entra in vigore già da quest’anno anche la possibilità per i contribuenti di devolvere nella dichiarazione dei redditi il 2 per mille ad un partito prescelto. Partono subito anche le detrazioni fiscali super agevolate per le cosiddette donazioni liberali, che tra l’altro salgono dal 26% già previsto dall’ormai decaduto ddl a ben il 37%, per quelle da 30 euro fino a 20 mila euro da parte di privati (26% per le società), la fascia in cui si concentra statisticamente la maggioranza delle donazioni. Per importi superiori la detrazione è del 26%, con limite fino a 70 mila euro per i privati e fino a 100 mila euro per le società. Se poi le donazioni vanno a finanziare scuole di partito o corsi di formazione politica, la detrazione dal reddito sale addirittura al 75% per un massimo di 750 euro annui (era del 52% fino a 500 euro nel vecchio ddl). I massimali annui assoluti per le donazioni sono di 300 mila euro per i privati e di 200 mila euro per le società. Se poi l’importo delle detrazioni per le elargizioni dovesse rivelarsi inferiore al previsto, nella fattispecie inferiore a 15,65 milioni, scatta un comma all’art. 11 della legge che aggiunge la differenza mancante al tetto di spesa per il 2 per mille, che da 45 milioni può arrivare quindi a circa 61 milioni. Per accedere alle donazioni e alle agevolazioni fiscali i partiti dovranno iscriversi a un registro nazionale, dotarsi di uno statuto “democratico” e di bilanci certificati da una società esterna, nonché sottoporsi ad un’apposita Commissione di garanzia. Dovranno inoltre avere almeno un eletto in parlamento o in un Consiglio regionale, o aver presentato candidati in almeno tre circoscrizioni. Per accedere al 2 per mille ci vuole almeno un parlamentare eletto sotto il proprio simbolo di partito, vale a dire che ne potranno usufruire solo i partiti più grandi in grado di superare le soglie di sbarramento. Per quanto i partiti borghesi piangano miseria e annuncino scenari disastrosi, paventando licenziamenti di personale e chiusura di sedi, se non addirittura la messa in liquidazione - tra questi in particolare SEL del narcisista liberale Vendola, che teme per i suoi 5 milioni di finanziamento pubblico e si oppone apertamente al provvedimento, parlando di “riforma iniqua” perché il finanziamento pubblico dei partiti “c’è in tutta Europa” - il governo ha ben calcolato i rischi, tanto che a regime il nuovo sistema non si dovrebbe discostare troppo dal vecchio in quanto a gettito complessivo: 72 milioni di euro l’anno contro i 91 attuali, soltanto 19 milioni in meno, cioè. A questa cifra si arriva sommando i 45,1 milioni di tetto massimo stabilito per il 2 per mille, i 15,65 mi- lioni dalle detrazioni per donazioni e gli 11,25 milioni dal 2016 stanziati per la cassa integrazione straordinaria e i contratti di solidarietà per il personale in eccedenza dei partiti. Finanziamento mascherato da contributo “volontario” Complessivamente, in tutto il prossimo triennio, i partiti incasseranno 136,5 milioni dei vecchi “rimborsi elettorali” ridotti progressivamente, a cui vanno aggiunti però 98 milioni per compensare detrazioni e 2 per mille e quasi 35 milioni per gli ammortizzatori sociali: totale 269 milioni di euro, anziché 273 spettanti loro se fosse rimasto in vigore il vecchio sistema dei “rimborsi elettorali”. E l’hanno chiamata “soppressione immediata del finanziamento pubblico ai partiti”! La verità è che non solo non è immediata e diluita invece in tre anni, ma anche il contributo “volontario” del 2 per mille e le detrazioni fiscali per le donazioni sono in realtà una forma di finanziamento pubblico ai partiti, dal momento che quei soldi invece di andare allo Stato per finanziare la sanità, le scuole, i servizi sociali ecc., vanno a finire con un volgare gioco di bussolotti sempre e comunque nelle casse insaziabili dei partiti borghesi. Ma ci sono anche altri aspetti di questo decreto che in fatto di gravità e pericolosità vanno addirittura oltre il sistema in vigore finora. Uno dei quali è che offre allo Stato la facoltà di ingerirsi nella vita interna dei partiti, stabilendo su di loro un diretto controllo politico-fiscale attraverso il registro nazionale, la Commis- sione di garanzia, i controlli sugli statuti e i bilanci ecc., nonché nella vita privata dei cittadini attraverso la vera e propria schedatura delle adesioni e simpatie politiche rappresentata dal contributo del 2 per mille indicato nella dichiarazione dei redditi. Schedatura che potrebbe essere sfruttata anche dalle aziende per discriminare politicamente i lavoratori, specie se questi ultimi utilizzassero i Caf aziendali. Uno strumento per controllare i partiti Inoltre le donazioni ai partiti, sia da parte di privati che di società, con i loro tetti molto alti e per giunta premiate anche dalle detrazioni fiscali a spese della collettività, rappresentano un formidabile strumento in mano ai capitalisti e all’alta borghesia per finanziare e controllare i propri partiti e le proprie cosche parlamentari di riferimento, ottenendone per giunta cospicui vantaggi fiscali. Che tra l’altro sono in molti casi di gran lunga superiori, anche del doppio (37% contro 19%), rispetto a quelli consentiti per le donazioni ad enti benefici, università, centri di ricerca ecc, ciò che rappresenta un paradosso intollerabile che sposta ulteriori risorse da opere di utilità collettiva e sociale alla corruzione politica. È vero che finora non c’erano tetti alle donazioni, ed è per questo che Forza Italia accusa questo provvedimento di essere una legge “contra personam”, contro cioè Berlusconi, che in teoria potrebbe finanziare il suo partito solo per un massimo di 300 mila euro, e ciò vale anche per le fideiussioni bancarie. Ma in realtà le scappatoie ci sono: una è che le eccedenze al tetto non vengono cancellate, ma riportate a scalare da quelle degli anni successivi. Cosicché, per esempio, nessuno potrebbe impedire al neoduce di pompare una valanga di soldi su Forza Italia nel 2014, per vincere le elezioni europee e le probabili elezioni politiche anticipate. L’altra è rappresentata dal fatto che dal tetto sono escluse le “fideiussioni o altre tipologie di garanzia reale o personale concessa prima dell’entrata in vigore del decreto”. Il neoduce può cioè continuare a garantire i prestiti bancari milionari di cui gode da sempre il suo partito. Regole e controlli non si applicano poi alle fondazioni i cui organi direttivi non siano direttamente “determinati in tutto o in parte” dai partiti, e anche questa è una porta lasciata aperta dal governo per aggirare i tetti alle donazioni. Questa “abolizione” del finanziamento pubblico ai partiti è insomma una beffa, un altro miserevole inganno per placare le masse facendo loro credere di aver risposto in qualche modo alla loro sacrosanta rabbia per la corruzione politica dilagante, rabbia che si è espressa con la clamorosa avanzata dell’astensionismo elettorale, e di cui ha approfittato in parte anche il milionario megalomane Grillo. Perciò lo si può solo respingere in blocco e affossare, e lo stesso vale per qualsiasi altra forma di finanziamento pubblico che dovesse escogitarsi in futuro. I partiti devono autofinanziarsi, attraverso esclusivamente il contributo dei propri aderenti e sostenitori e senza alcuna intermediazione e intromissione da parte dello Stato, come da sempre fa il PMLI che conta solo sul sostegno dei propri militanti, dei simpatizzanti e delle masse popolari. Risposta seria al fgc (rizzo-mustillo) Sul n. 46/2013 de “Il Bolscevico” avevamo pubblicato un articolo intitolato: “Fronte della Gioventù comunista” o nuova operazione revisionista? (presente sul sito del PMLI www.pmli. it/20131218_fgc.html), nel quale sottoponevamo a critica questa organizzazione diretta da Alessandro Mustillo, responsabile del lavoro giovanile di Comunisti-Sinistra Popolare di Marco Rizzo, in particolare la sua incapacità (o non volontà) di liberarsi della linea e del lascito del PCI revisionista nonostante il richiamo formale al marxismo-leninismo, e chiedendoci come mai non avessero nemmeno chiesto un confronto con il PMLI prima di fondare il Fronte. I dirigenti del FGC, anziché impiegare il loro tempo entrando seriamente in merito delle critiche argomentate che abbiamo loro rivolto, hanno deciso (forse ispirati da Rizzo?) di sprecarlo in una interminabile e noiosissima “Risposta ironica al PMLI” (pubblicata il 21 dicembre su “Senza tregua”, organo online del Fronte) che sostanzialmente pren- de in giro il suddetto articolo de “Il Bolscevico”, il PMLI e il suo Segretario generale compagno Giovanni Scuderi, l’importanza e il significato della battaglia fra marxismo-leninismo e revisionismo e quindi il pensiero e l’opera di Mao, e tira in ballo dal nulla l’opportunista storico trotzkista Enver Hoxha. Per non parlare della colossale falsità secondo cui i militanti del PMLI “sanno che il lavoro materiale nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università è lavoro da ripudiare, se non nella parola e nei grandi pro- clami”. E pensare che nel nostro articolo rilevavamo “con piacere” l’unità d’intenti sulle lotte immediate tra il PMLI e il Fronte. In chiusura, questi imbroglioni sostengono che il PMLI “attende, attende, attende” la rivoluzione. Quando in realtà il nostro Partito dice di insistere, insistere, insistere per creare le condizioni per far esplodere la lotta per il socialismo, a differenza di chi è rivoluzionario solo a parole. Dovrebbe far riflettere che la direzione del Fronte sia ri- corsa all’ironia borghese e anticomunista non sapendo cosa rispondere alle nostre critiche, osservazioni e richieste di chiarimenti. Nonostante le nostre riserve, abbiamo provato lo stesso ad aprire un confronto aperto, pubblico e sincero col Fronte per il bene dell’unità dei sinceri comunisti nello stesso partito. Ma è andata male, non però per nostra colpa. I responsabili del fallimento del nostro tentativo sono Marco Rizzo, presumibilmente il mandante, e Alessandro Mustillo, il sicuro esecutore in quanto è il segre- tario del Fronte. Comunque abbiamo avuto la controprova che costoro, pur indossando un “nuovo” abito “comunista marxistaleninista”, rimangono quelli di sempre, degli imbroglioni politici che agitano la bandiera del socialismo solo per coprire la loro natura borghese e anticomunista. Come l’abbiamo capito definitivamente noi, speriamo che lo capiscano quanti in buona fede continuano a credergli e a seguirli pensando di lottare contro il capitalismo e per il socialismo. 6 il bolscevico / napoli N. 2 - 16 gennaio 2014 Nell’attesa che Bassolino e Caldoro sciolgano la riserva Il neopodestà De Magistris apre a Renzi e al PD per ricandidarsi a sindaco di Napoli In quasi tre anni non ha fatto nulla per lavoro, periferie, servizi sociali. La raccolta differenziata ferma al palo Redazione di Napoli Con una prosopopea sfrontata e senza limiti, il neopodestà De Magistris ha rilasciato diverse interviste, di cui una significativa al “Fatto TV” dove, in sostanza, ha espresso la sua volontà di ricandidarsi a sindaco di Napoli. “Ritengo normale il fatto che ci siano napoletani che mi sostengono come vi sono altri che dissentono da me o si aspettavano di più da me”. Questa la solfa che accompagna tutti i suoi interventi, assieme al disco rotto del bilancio in dissesto “lasciato in eredità dai governi di centro-sinistra precedenti” che non ha permesso a lui e alla sua giunta antipopolare di fare la “rivoluzione” e “scassare tutto”. Con gli avvoltoi Bassolino e Caldoro pronti a rientrare nell’arena elettoralistica borghese e candidarsi alla massima poltrona di Palazzo S. Giacomo alle elezioni comunali che si terranno fra circa due anni, è ormai giunta al capolinea l’opera di mascheramento di De Magistris tesa a coprire l’ormai chiaro e limpido fallimento della sua giunta. Ricandidatura e nuove illusioni De Magistris si è addirittura allineato al rinnegato Bassolino nell’elogio del nuovo segretario del PD, il democristiano Renzi, auspicando una sua vittoria alle primarie. Una manovra, in realtà, tesa a costruire una nuova alleanza in vista della sua ricandidatura annunciata come fisiologica e che vede un allargamento della coalizione anche ad elementi di destra del PD. Nulla di nuovo sotto il sole, visto che già in giunta è entrato l’assessore al “Lavoro” ex Segretario generale della FLCCGIL ora PD Enrico Panini e Nino Daniele (sempre PD) assessore al Turismo; a ciò di aggiungono i buoni se non ottimi rapporti con l’UDC (si pensi al presidente del consiglio comunale Raimondo Pasquino) al punto di nominare nel settore anticorruzione l’ex prefetto Serra (esperienza conclusa senza alcun sussulto e in pochi mesi). La nuova operazione di ricandidatura non potrebbe essere non condita da nuove illusioni, al punto che l’ex magistrato le sparge nelle sue interviste e nei suoi commenti attraverso la stampa: si pensi alla zona ex Nato che De Magistris spaccia come “liberata” dai militari imperialisti che, invece, se sono andati quando e come volevano e senza alcuna pressione dell’attuale giunta; il lancio della raccolta differenziata che dovrebbe coprire il 50% della popolazione, dopo aver promesso il 70% in meno di un anno e che è clamorosamente ferma, attualmente, al 27%; l’inaugurazione del famigerato “Forum delle Culture” a fine novembre, nella più completa indifferenza delle masse popolari partenopee; il varo di un trasporto “pubblico e più efficiente”, tronfio dell’inaugurazione della fermata della metropolitana di piazza Garibaldi il 28 dicembre, ma che collide con i clamorosi tagli alle linee cittadine, soprattutto speciali e notturne, e coincide con il ritorno in città dei camioncini abusivi per il trasporto delle persone a un euro che vengono preferiti al trasporto pubblico. Nuovi proclami che anche i giornali della “sinistra” borghese tendono ormai a non catalogare più nei propri articoli, snobbando o irridendo lo stesso sindaco come è il caso della rivista “Micromega” che tramite le penne di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino, lo scorso 13 dicembre, hanno sottolineato punto per punto il fallimento della giunta arancione affermando tra l’altro: “ciò che si imputa al sindaco è sempre lo stesso, insomma: dichiarazioni d’intenti a dir poco audaci cui non seguono i fatti. Esempio: trasformare la zona degradata dei quartieri spagnoli nel quartiere parigino di Montmartre, pedonalizzare il caotico corso Umberto I, tra le dieci strade più trafficate d’Europa, rendendolo come la Rambla di Barcellona”. Insomma il falso rivoluzionario arancione non è altro, agli occhi ormai di tutti, con esclusione dei suoi ciechi servi incalliti, un narcisista megalomane pronto a fare armi e bagagli per costruire una alleanza con il PD renziano. Il “sindaco più accentratore d’Italia” Il rilancio del programma arancione è in realtà un modo per nascondere le crepe presenti non solo nella sua giunta ma anche nell’impianto politico che doveva “scassare” tutto. In realtà i primi disagi erano nati in giunta con ben dieci assessori su dodici mano mano cacciati o sostituiti da De Magistris; disagi che si sono trasformati in mancanza di numero legale per l’approvazione, tra l’altro, del bilancio, come sta accadendo in consiglio comunale. Inizialmente, infatti, la maggioranza che sosteneva Luigi De Magistris era molto forte, con un sostegno di ben ventinove consiglieri comunali sui complessivi quarantotto. In due anni e mezzo si sono ridotti a ventuno, al punto che alcuni provvedimenti sono stati votati da ex transfughi del “centro-destra”. Ciò per la nuova rottura consumata con l’ex assessore alle politiche sociali, Sergio D’Angelo, trombato alle elezioni politiche con la lista “Rivoluzione civile” e poi escluso dalle attività della giunta. Collegati con D’Angelo sono due consiglieri comunali, Pietro Rinaldi, legato all’esperienza dei centri sociali napoletani, e l’ex sessantottino Vittorio Vasquez che, lo scorso settembre, hanno lasciato la maggioranza di De Magistris e sancito, dunque, la fine della lista civica “Napoli è tua”, legata al sindaco. Il 29 ottobre scorso, in un’assemblea svoltasi a Napoli, davanti a oltre 300 persone, i tre ex arancioni hanno attaccato duramente la giunta, dichiarando il suo fallimento: “temo che l’amministrazione ancora oggi, dopo due anni e mezzo, non disponga di un pensiero condiviso con la città” ha affermato Sergio D’Angelo – “a furia di pretendere tutto dalla città, ogni bene possibile, la si priva della libertà di scegliere. Quando si racconta di una Napoli impegnata nella ricerca della felicità si rimuove il disagio ed espellere questo tema dalla discussione è l’ossessione del sindaco”. Contemporaneamente, in consiglio comunale, rimescolate le carte tra consiglieri a favore e contro la giunta arancione, De Magistris si è trovato a godere, come si è detto, dell’appoggio, nemmeno tanto velato, della componente che fa capo all’UDC grazie all’amicizia con Marilù Faraone Mennella. Moglie dell’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, la padrona armatrice aveva fortemente sostenuto al secondo turno delle amministrative la lista arancione contro il candidato della casa del fascio, l’imprenditore Gianni Lettieri, e non certo per un improvviso innamoramento del programma propugnato dall’ex pm. Faraone Mennella è, infatti, a capo della cordata di imprenditori del progetto immobiliare “Naplest”, che sta costruendo un vasto insediamento residenziale nella zona orientale del capoluogo e gode dell’appoggio della giunta comunale. Nel contempo, nelle ultime settimane la moglie di D’Amato è incappata in due diverse inchieste della procura di Napoli relative ai reati di “dichiarazione infedele” e “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, al punto che la Procura napoletana ha disposto un sequestro preventivo di beni pari addirittura a 5,5 milioni di euro. Un’altra inchiesta la vede indagata, assieme all’eminenza grigia di De Magistris, il falso comunista vicesindaco Tommaso Sodano (PRC) per il delitto di corruzione relativamente all’esistenza di un presunto accordo sottobanco per favorire l’imprenditrice nella realizzazione del nuovo stadio di calcio, sempre a Napoli Est. Luigi de Magistris, inoltre, è, ad oggi, il sindaco di una metropoli italiana col maggior numero di deleghe da gestire, al punto da essere un vero e proprio accentratore. Ne ha ben diciotto (!), tra quelle sue e quelle acquisite ad interim, e non si sogna assolutamente di ridistribuirle: oltre ad essere a capo della giunta della terza città d’Italia è, al tempo stesso, assessore alla Mobilità, alla Sicurezza, alla Polizia municipale, allo Sport, alla Sanità, ai Fondi europei, agli Eventi internazionali, al Trasporto pubblico, alle Politiche anticorruzione, ai Rapporti con il consiglio comunale e le municipalità e infine alla “Promozione della pace e alla Difesa e attuazione della Costituzione”, una delega quest’ultima, che rappresenta uno dei puntelli demagogici del suo programma per gettare fumo negli occhi alle masse popolari napoletane. Il flop del lavoro, dell’edilizia popolare, dei servizi sociali e della raccolta differenziata La mancanza di dialogo con la cittadinanza, che per l’ex giudice doveva essere “attiva”, è una delle gravi mancanze dell’attuale giunta ed è sottolineata dai suoi ormai ex sostenitori che lo pungolano per ogni proclama che De Magistris lascia puntualmente inevaso. In quella che è stata considerata, secondo una impietosa inchiesta del “Sole 24 Ore”, la città più invivibile d’Italia, manca un piano concreto per l’edilizia popolare, che non soddisfa né lo stato di bisogno delle famiglie indigenti o alla ricerca di prima casa, ma nemmeno le coppie, soprattutto giovani, che, per la crisi, non riescono a trovare un alloggio degno o comunque proporzionale alle loro esigenze. Domenico Lopresto, segretario dell’Unione inquilini, inizialmente schierato con la giunta arancione, ora denuncia senza peli sulla lingua che “si è parlato solo di camorra senza pensare ai diseredati e ai poveracci. Il comune doveva cacciare dalle case i condannati al 416 bis che a Napoli sono 3.200 e assegnare questi alloggi a chi è regolarmente in graduatoria”. Ancora peggio stanno i servizi sociali, momento fondamentale per il rilancio, la qualificazione e il risanamento delle periferie urbane e dei quartieri popolari, con la punta negativa della vasta zona “grande evento” come l’America’s cup, sono stati non confermati o licenziati. La raccolta differenziata sconta il gravissimo atto di non aver risolto la questione dei precari ‘Bros’ che, con la loro assunzione tramite un tavolo congiunto Comune-Regione, avrebbero potuto far fronte a un problema senza precedenti e gravissimo. È una delle macchie più vistose della giunta e del suo assessore con delega all’ambiente, Tommaso Sodano: una raccolta differenziata ferma al 27% quando era di tutta la campagna elettorale con Alberto Lucarelli eravamo riusciti a ribadire che l’azione di governo sarebbe ruotata intorno a questo principio. Ci abbiamo creduto. Venivamo da anni di smarrimento politico e molti di noi si erano messi intorno a De Magistris con discrezione, senza far nemmeno parte del suo comitato elettorale, proprio per essere propositivi e non invasivi: ma è stato un sindaco sordo alle nostre richieste”. Significativa la denuncia dell’ex girotondina sulla fantomatica “democrazia parteci- Napoli. Una combattiva manifestazione dei disoccupati Bros che cinge Scampia lasciata ancora alla prepotenza e alla ferocia del narcotraffico camorristico; né più né meno di come avevano fatto i suoi predecessori Bassolino e Iervolino. I dati sulla spesa sociale sono inequivocabili: nel bilancio comunale 2011-12 la spesa sociale era stata aumentata di venti milioni, passando da settanta a novanta. Nella manovra 2013, invece, è diminuita del quindici per cento, al punto che il 31 ottobre 2013 circa duemila persone con disabilità e anziani sono rimaste senza assistenza domiciliare, con conseguente licenziamento di centocinquanta operatori sociali, una delle categorie di lavoratori e lavoratrici più colpite dall’avvento della giunta. L’esecutivo di palazzo S. Giacomo non riesce a sanare un debito di quattro milioni da oltre tre anni con le cooperative sociali, compromettendo così il settore delicatissimo del sistema dei servizi domiciliari ai disabili: inevitabili, dunque, i fortissimi i disagi, soprattutto nell’assistenza all’infanzia, con la sospensione dei centri di educativa territoriale nei quartieri periferici e i due anni di ritardo nei pagamenti dei vitti nelle case famiglia per i minori a rischio. Un fatto gravissimo e senza precedenti che aveva fatto scendere anche le mamme in piazza per denunciare “una situazione da terzo mondo”, come la mancanza di riscaldamento nelle scuole o di una refezione degna di questo nome. Noi marxisti-leninisti denunciamo da tempo anche la mancanza di un piano sul lavoro e sulla raccolta differenziata. Da quando è entrato in giunta l’assessore Panini (PD) e quello ai giovani, Alessandra Clemente (area PD) praticamente non esiste un programma per affrontare la dilagante disoccupazione giovanile al punto che ci si chiede il senso di questi due dicasteri comunali fantasma. La ricetta di attrarre i turisti tramite i “grandi eventi” e creare occupazione non ha creato un solo posto di lavoro stabile, ma solo fatto arricchire i padroni di alberghi e i ristoratori, che hanno assunto a part-time o con contratti stagionali giovani che puntualmente, passato il partita quasi tre anni fa dal 16% ereditato dalla coppia IervolinoBassolino e fortemente al di sotto dell’ennesima promessa non mantenuta da Sodano e De Magistris che spararono una balla senza precedenti come quella del 70% della raccolta differenziata in sette mesi. Sempre più ridicoli, hanno ora annunciato che entro la fine dell’anno sarà raggiunta la metà della popolazione, ma i dati anche qui, non lasciano dubbi: siamo a poco più di 300mila abitanti raggiunti dal “porta a porta” con risultati del ciclo dei rifiuti tutti da vedere e con più di 700mila napoletani ancora senza un piano di rifiuti definito. Una vergogna senza fine. False autocritiche Persino il “Fatto Tv” del 10 dicembre scorso gli ha contestato una gestione familista, quasi una “parentopoli” che De Magistris in quasi tre anni ha costruito inserendo prima il fratello Claudio nello staff personale e poi la cugina Lucia Russo all’assessorato allo Sport, successivamente due suoi amici, l’avvocato Anna Falcone e Omero Ambrogi nel Consiglio di Amministrazione di Bagnoli Futura, ma soprattutto la nomina degli assessori ex compagni di scuola Carmine Piscopo e Roberta Gaeta ai dicasteri locali rispettivamente delle Politiche Urbane e del Welfare, fino al fidato Luigi Acanfora come nuovo comandante dei vigili urbani, nonché testimone di nozze del neopodestà. Ogni commento è superfluo. Per la ricandidatura annunciata non basta le autocritiche sulle troppe buche e sul trasporto inefficiente, come la troppa rigidità espressa nel varo della ZTL che portò 10mila manifestanti ad inscenare un corteo a piazza Municipio represso dalla giunta a suon di manganellate. I sostenitori degli arancioni si stanno sottraendo giorno dopo giorno al progetto fallimentare dell’attuale esecutivo di palazzo S. Giacomo. L’ex girotondina e avvocato Giuliana Quattromini afferma senza mezzi termini: “avevamo pensato si potesse realizzare la democrazia partecipata dal basso. Nel corso pata”: “a sei mesi dall’elezione gli avevamo chiesto un’assemblea che facesse il punto sulla prima fase dell’esperienza amministrativa. Niente da fare. Il “palazzo di vetro” è rimasto uno slogan. Oggi intorno a lui sono rimasti solo i politici di professione, si è scavato una sorta di trincea in cui temo rimarrà intrappolato. Insomma, non si è creata una cerniera tra i movimenti e l’amministrazione. E non mi riconosco nemmeno in questi gruppi di opposizione perché vengono spesso cavalcati e strumentalizzati dalla destra”. Già al punto da rendere pubblica la sua amicizia con il berlusconiano Flavio Briatore. La giunta antipopolare guidata di De Magistris, al pari se non peggio di quelle precedenti, non ha risolto un problema che attanaglia le masse popolari napoletane. Innanzitutto, per noi marxisti-leninisti, va varato immediatamente un piano comunale per il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutti i disoccupati e i lavoratori che preveda l’immediata assunzione dei precari ‘Bros’ per la raccolta differenziata, di concerto con la Regione; il potenziamento della raccolta differenziata, il lancio definitivo di quella “porta a porta” e la costruzione di siti per lo smaltimenti dei rifiuti ingombranti e speciali; il varo immediato di piano comunale per il risanamento del centro storico, e la riqualificazione e il risanamento delle periferie urbane e dei quartieri popolari con finanziamenti pubblici, senza che vi sia alcun intervento dei privati o svendita ai padroni pescecani come sta avvenendo nella zona Ovest di Napoli, in particolare nell’area ex Edenlandia; un piano comunale straordinario per dotare il territorio partenopeo, in particolare le periferie, di una fitta rete di servizi pubblici e gratuiti per la prima infanzia (nidi, scuole dell’infanzia, trasporti, servizi di doposcuola, centri estivi) fino a graduale ma completa copertura delle necessità e con orari e prestazioni in grado di soddisfare le esigenze lavorative e sociali dei genitori, in particolare delle donne. l i e r a i d u St o m s i x r ma o m s i n i len o r e i s n e p o a di M Comprovato in tutte le situazioni nei cinque continenti e verificato in mille e più battaglie, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una potente arma, ma se non lo si studia e non lo si applica è un’arma scarica, da museo. Tutti i rivoluzionari italiani, specie i marxisti-leninisti, hanno perciò il dovere di studiarlo e applicarlo. Più a fondo andranno in questo studio, più contributi apporteranno alla nobile causa del socialismo. Non bisogna mai stancarsi di studiarlo e ritenere di conoscerlo a sufficienza. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e poi c’è bisogno di tenerlo fresco nella memoria. Non potremo mai avere una concezione proletaria del mondo se non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Anche se fossimo dei bravi organizzatori, oratori, trascinatori, scrittori ma non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non faremo nemmeno il solletico alla borghesia e ai falsi amici del proletariato e delle masse. Gli operai coscienti, avanzati e combattivi, in primo luogo, devono studiarlo perché essi devono essere la testa e la colonna vertebrale del Partito, coloro che devono dirigere anche la lotta ideologica all’interno e all’esterno del Partito. Studiare costa tempo, fatica e rinunce, specie agli operai e ai lavoratori che concludono la giornata spremuti come limoni dai capitalisti. Eppure bisogna studiare, costi quel che costi per essere sempre in prima linea nella lotta di classe e con posizione d’avanguardia marxiste-leniniste. Le opere dei nostri maestri riempiono decine e decine di volumi, 44 soltanto per Lenin, è quindi molto difficile riuscire a leggerle tutte. Il nostro Partito ne ha selezionate cinque, ritenendole fondamentali per trasformare il mondo e se stessi. Esse sono: Marx ed Engels “Il manifesto del Partito comunista”, Lenin “Stato e rivoluzione”, Stalin “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo”, Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”. Queste opere sono state ristampate dal PMLI. Tutti i rivoluzionari, cominciando dai massimi dirigenti del PMLI, dovrebbero tenere bene a mente questa esortazione di Mao: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi. Prendete nota di queste tre parole: ‘fare’, ‘duri’, ‘sforzi’. Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso alcuni compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare a carte o a mahiong e per ballare: questa, secondo me, non è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un’abitudine. Che cosa studiare? Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c’è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po’. C’è il giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui bisogna intendersi un po’. Per farla breve, le discipline sono molte e bisogna almeno farsene un’idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no!? Gente come noi in che cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle? (Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, [9 ottobre 1957], in Rivoluzione e costruzione, Giulio Einaudi Editore, p. 680). Giovanni Scuderi, “Mao e le due culture” discorso pronunciato il 16 settembre 2001 a Firenze per il XXV Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale, in Giovanni Scuderi Opuscolo n. 9, pagg. 67-69, www.pmli.it/scuderimaoeledueculture.htm 8 il bolscevico / XVII congresso cgil N. 2 - 16 gennaio 2014 Documento della Commissione di Massa del CC del PMLI Diamo battaglia al XVII congresso della Cgil Uniamo la sinistra contro la destra della Camusso Appoggiamo la mozione 2 Rilanciamo la proposta del PMLI sul sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati Ormai siamo nel mezzo del percorso che porterà al 17° congresso nazionale della Cgil che si terrà a maggio. L’11 luglio 2013 sono state istituite le tre commissioni che hanno preparato il terreno all’assise: quella politica, quella relativa alla organizzazione e quella statutaria. Il 19 novembre il direttivo nazionale ha aperto ufficialmente la fase congressuale. In quella occasione sono stati discussi i documenti congressuali, ancora in fase di preparazione. Infine il 3 dicembre sono stati licenziati i due documenti alternativi definitivi: quello della maggioranza, prima firmataria Susanna Camusso, e quello della sinistra presentato da Giorgio Cremaschi. In questo mese di gennaio, dopo le festività, inizieranno i congressi di base, poi seguiranno tutti gli altri: delle Camere del Lavoro, delle categorie e intercategoriali, provinciali, regionali, fino a quello nazionale che si svolgerà il 6,7 e 8 maggio a Rimini. Fin da subito la segretaria Susanna Camusso ha chiesto un congresso unitario. Per essere più precisi la Camusso ha preteso che le aree programmatiche interne che si collocano a sinistra nella Cgil, ossia “Lavoro e Società” e “La Cgil che vogliamo”, convergessero sulle posizioni e sul documento che lei stessa rappresenterà al 17° congresso, rinunciando a presentarne di alternativi. La segretaria nazionale della Cgil è stata accontentata: le due suddette componenti hanno immediatamente dichiarato la resa. Noi marxisti-leninisti invece non vediamo nemmeno un motivo che possa giustificare l’adesione al documento della maggioranza rappresentata dalla Camusso. Se all’ultimo congresso del 2009 “La Cgil che vogliamo” aveva giudicato necessario proporre un’altra piattaforma e un’altra analisi politica diversa da quella della segreteria, aggregando la sinistra sindacale nel tentativo di cambiare o quantomeno influenzare le scelte della Cgil giudicate sbagliate e inefficaci, tanto più ve ne era la necessità adesso. La gestione di destra della Camusso Facendo un bilancio basato sui fatti, non possiamo che registrare una linea, una tattica, una conduzione del più grande sindacato italiano del tutto inadeguata a fronteggiare il gigantesco attacco condotto dai governi borghesi italiani ed europei e dai capitalisti nostrani contro i lavoratori e i pensionati e le masse popolari. La Cgil, prima di Epifani e poi della Camusso, ha balbettato di fronte agli attacchi del governo Berlusconi ed è stata debole o ha fatto addirittura da sponda ai governi Monti e Letta. Gravissimo l’atteggiamento tenuto di fronte alla controriforma Fornero delle pensioni e allo svuotamento delle tutele contenute nell’articolo 18: anziché mettersi di traverso a difesa dei lavoratori, dei pensionati, dei precari e dei disoccupati ha indetto solo qualche ora di sciopero, un’azione intrapresa più che altro per salvare la faccia di fronte ai lavoratori. La Cgil della Camusso ha firmato accordi di categoria che hanno derogato importanti spezzoni e peggiorato i rispettivi contratti nazionali, ha ricercato l’unità sindacale con Cisl e Uil sulle loro posizioni cogestionarie e capitolazioniste, si è legata al carro della Confindustria, arrivando ad appoggiare le rivendicazioni dei padroni e a festeggiare il 1° Maggio assieme a loro, è stata accettata la politica di austerità portata avanti dai governi di Roma e di Bruxelles che scarica sulle masse la crisi economica e finanziaria causata dal capitalismo. Non ha mai cercato l’autonomia rispetto ai partiti della “sinistra” borghese, in particolare verso il PD e i governi da questo guidati o appoggiati. Il documento congressuale di Camusso, Landini e Nicolosi dal titolo “Il lavoro decide il futuro”, non esce da questa linea ed è quindi da rigettare in blocco. Non ci dobbiamo far ingannare dalla premessa, che critica genericamente la politica economica dell’Unione europea (UE) e degli ultimi governi del nostro Paese. Si vuol far credere che un’istituzione come l’UE, nata con lo scopo di competere con le altre potenze economiche nel mercato capitalistico, oggi globalizzato, possa essere cambiata e diventare un’Europa sociale vicina ai lavoratori, dando più potere al parlamento europeo e riformando la Banca centrale europea. La politica di subordinazione della CGIL a governo e Confindustria viene pienamente riconfermata, compresi gli accordi che possono derogare i contratti nazionali che restringono la democrazia sindacale e il diritto di sciopero. Su questo non ci sarà spazio per il dissenso interno, il documento della maggioranza a proposito recita chiaro: “L’accordo del 28 giugno 2011, al di là dei diversi giudizi, impegna tutta l’organizzazione e non è scindibile dall’accordo del 31maggio 2013. Accordo positivo, frutto dell’iniziativa di tutta la CGIL, che rappresenta un significativo cambiamento nel sistema di regole e di rappresentanza per la contrattazione e su cui tutta l’organizzazione è impegnata a garantirne l’esigibilità”. Anche sull’assetto istituzionale del nostro Paese non c’è la benché minima denuncia del restringimento della democrazia borghese che ha trasformato di fatto l’Italia in una repubblica presidenziale. Anzi! Nonostante ci sia un vago richiamo alla Costituzione del 1948 (che materialmente non esiste più da tempo), si accettano proposte di “riforma” che tendono a sminuire i poteri del parlamento, a cambiare da destra le procedure istituzionali, a garantire la governabilità borghese. Riguardo al finanziamento pubblico ai partiti, se ne chiede solo una riduzione, non una totale abolizione come sarebbe necessario. Nella parte rivendicativa ci sono richieste di aggiustamenti e miglioramenti, che rimangono però sempre all’interno di una logica di subordinazione alle esigenze della classe dominante borghese e delle sue istituzioni. Sono misure che cercano di addolcire il capitalismo per farlo meglio digerire ai lavoratori e ai pensionati, ben sapendo che la politica dei governi italiani ed europei rimarrà anche nei prossimi anni sui binari dell’austerità. Per quanto riguarda la rappresentanza e la democrazia dentro la Cgil ci sono solo delle enunciazioni, senza impegni concreti, e comunque poco credibili perché il patto sulla rappresentanza del 31 maggio scorso, firmato anche da Landini, va nella direzione opposta escludendo i sindacati che non firmano gli accordi. Gli undici emendamenti portati da Landini, Nicolosi, Moccia e altri non incidono più di tanto perché nessuno di essi chiede un cambiamento dell’attuale linea della Cgil e perché i loro firmatari fanno parte della nuova maggioranza che fa capo a Susanna Camusso. Questa operazione emendaria se da un lato non cambia la sostanza, dall’altro offre una copertura a sinistra alla Camusso, che in questo modo ha un argomento in più per affermare che le richieste della sinistra sono state accolte dal suo documento e dalla maggioranza della Cgil, nonostante questo sia falso. L’opportunismo di Landini e compagni In sintesi il documento che mira a conservare l’attuale linea sindacale avrà il sostegno della maggioranza uscita dal precedente congresso e in più le aree programmatiche, o quanto rimane di esse, “Lavoro e Società” di Nicolosi e Patta e “La Cgil che vogliamo” a cui avevano contribuito Landini, Rinaldini, Airaudo (vi avevano aderito anche i marxisti-leninisti). In essa aveva una posizione di rilievo Cremaschi che da tempo ne è uscito e assieme ad altri 5 membri del direttivo nazionale ha presentato un documento alternativo dal titolo “Il sindacato è un’altra cosa”. “Lavoro e Società” già al precedente congresso si era allineata al tandem Epifani-Camusso. Con un accordo preventivo aveva ottenuto importanti posti dirigenti, in cambio Nicolosi non avrebbe presentato o aderito a documenti alternativi. Quest’area si dichiara la sinistra della Cgil, ma al di là di critiche generiche a cui non seguono mai i fatti, si è dimostrata fin qui più interessata alla spartizione delle poltrone che a cambiare la Cgil, insomma una condotta del tutto opportunista. Più travagliata la vicenda di “La Cgil che vogliamo” ma alla fine anche in essa ha prevalso l’opportunismo. Quest’area già da tempo non dava più segnali di opposizione alla linea della Camusso, stesso discorso vale per la Fiom di Landini. L’unica Federazione della Cgil dove la sinistra aveva una maggioranza anche consistente, ed è stata alla testa di tutte le battaglie fatte in difesa dell’articolo 18, contro la Fiat e il modello Marchionne, contro la deindustrializzazione, riuscendo a legarsi con altri movimenti, come ad esempio i No-Tav, prendendo posizioni spesso in contrasto con quelle della segreteria confederale. Nella Fiom però alla fine è prevalsa la normalizzazione. Ne è responsabile Landini che via via è scivolato sulle posizioni della Camusso e di conseguenza su quelle di Cisl e Uil. La sinistra è stata emarginata dal direttivo nazionale e la Fiom è tornata all’ovile della confederazione. Il segretario della Fiom in poco tempo ha abbandonato i propositi battaglieri deludendo tanti lavoratori che avevano riposto fiducia in lui. Landini ha fatto proprio il patto interconfederale del 31 maggio 2013, figlio di quello del 28 giugno 2011, in precedenza giustamente respinto perché introduceva le deroghe ai contratti nazionali e restringeva la democrazia sindacale, e in vista del congresso si è allineato alle posizioni della destra riformista rinunciando a sostenere un documento alternativo. Da più parti si pensa che queste mosse siano funzionali alla sua ambizione a diventare in futuro il segretario generale della Cgil, per la quale carica serve il più ampio consenso da parte del gruppo dirigente. Landini è arrivato a caldeggiare le primarie in stile PD per l’elezione del segretario nazionale della Cgil, dulcis in fundo ha incontrato pubblicamente Matteo Renzi, il nuovo segretario nazionale del PD, acerrimo nemico dei lavoratori e ammiratore di Marchionne. Proprio mentre Landini dichiarava di aver trovato punti in comune con Renzi, quest’ultimo attaccava nuovamente quel che resta dell’articolo 18 proponendo di eliminarlo del tutto per i neo assunti. Questi fatti hanno portato alla ricostituzione della Rete 28 Aprile, l’Area programmatica guidata da Cremaschi che nel 2009 era confluita nel documento congressuale “ La Cgil che vogliamo” per cercare di ampliare il più possibile il fronte dell’opposizione. Fronte che ora si è disciolto e che la Rete tenta di riorganizzare. Sosteniamo il documento 2 La Rete 28 Aprile e quella parte di Fiom, di Rsu e di lavoratori che non si sono allineati a Landini hanno deciso di dare battaglia alla linea del gruppo dirigente uscente presentando, come già detto il documento alternativo “Il sindacato è un’altra cosa”. A fronte di questa situazione il PMLI ha scelto di appoggiare questo documento: i militanti, i simpatizzanti del Partito e chi si riconosce nella linea sindacale dei marxisti-leninisti sono tenuti a sostenerlo in modo leale e collaborativo, pur senza rinunciare alla nostra visione politico-sindacale e al nostro modello di sindacato. Noi non abbiamo attualmente le forze per presentare un nostro documento alternativo, quindi dobbiamo appoggiare quello di Cremaschi che si avvicina molto di più alle nostre posizioni di quello della Camusso, e di fatto riunisce la sinistra sindacale di cui fanno parte a tutti gli effetti anche i marxisti-leninisti. Dovremo attuare una politica di fronte unito e lavorare organizzati, pur con la nostra autonomia, con le variegate forze che appoggiano la mozione 2. Non sarà facile conquistare il consenso a tale documento perché la scelta opportunista di Landini ha indebolito tanto la sinistra sindacale. La mozione 2 parte quindi fortemente minoritaria, con pochissimi mezzi e dirigenti a di- sposizione, poggia tutto sui delegati, se agiremo in ordine sparso tutto sarà ancora più difficile. Non nascondiamo che la mozione 2 non ci soddisfa pienamente. L’analisi del quadro economico e politico risulta raffazzonata, anche a causa dei tempi ristretti, ma soprattutto carente perché la critica è fatta solo sulle conseguenze della crisi e non sulle cause, cioè il capitalismo che non viene nominato nemmeno una volta, al massimo si punta il dito sul neoliberismo. Nei nostri interventi invece dobbiamo usare parole di fuoco contro il capitalismo, il governo Letta-Alfano e il capo dello Stato Napolitano che lo sostengono e ne curano gli affari. Nel documento si chiede l’annullamento degli accordi europei basati sull’austerità, ma non si chiede l’uscita dell’Italia dalla UE, anche l’attacco all’imperialismo non viene portato fino in fondo. Sul governo Letta-Alfano il silenzio è addirittura tombale, mentre sullo stravolgimento della repubblica democratica borghese e l’instaurazione del presidenzialismo di fatto, gli vengono dedicate un paio di righe. Non siamo d’accordo sul reddito minimo garantito, una specie di sussidio ai poveri che con un elemosina si tengono ai margini della società, rivendichiamo invece la piena occupazione. Possiamo discutere la richiesta di salario minimo, un tetto minimo orario sotto il quale non si può scendere per nessun tipo di lavoro, non va però toccata la centralità del contratto nazionale. Per il resto la parte rivendicativa ci trova sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda, sintetizzata dallo slogan del documento “ RivendicAZIONI per una Cgil indipendente, democratica, che lotta”. Tra le rivendicazioni più importanti e significative c’è la richiesta che le grandi aziende strategiche, come Fiat, Ilva, Telecom, Alitalia, i grandi ospedali privati come il San Raffaele, che rischiano tagli o chiusura, siano espropriate senza indennizzo e gestiti dal potere pubblico, con partecipazione e controllo dei lavoratori e delle popolazioni. Giustamente si sostiene la lotta per ridare al contratto nazionale centralità nella contrattazione, si sostiene la difesa e lo sviluppo dei servizi pubblici dalla sanità alla scuola, il controllo pubblico e popolare sui beni comuni come l’acqua, l’effettiva parità di diritti per i migranti, una nuova scala mobile e un forte e inderogabile aumento dei salari e si sostiene la lotta contro le grandi opere come la Tav. SEGUE IN 9ª ➫ XVII congresso cgil / il bolscevico 9 N. 2 - 16 gennaio 2014 Firenze, 23 febbraio 1993. Il PMLI lancia la grande parola d’ordine strategica per “Costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori” in occasione della manifestazione per lo sciopero generale sui temi della deindustrializzazione e occupazione a cui partecipa il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del Partito (foto il Bolscevico) La proposta sindacale del PMLI Nell’ultima parte si rivendicano forme più democratiche all’interno del sindacato. Perché, è scritto nel documento, “i lavoratori hanno bisogno di organizzarsi in forme flessibili e aperte, in comitati di lotta e consigli di delegati per questo la Cgil decide di avviare un processo di organizzazione nuovo tra tutte le lavoratrici e lavoratori, nel territorio tra i pensionati e i disoccupati”. Vi è una denuncia sacrosanta di un apparato burocratico mastodontico che decide tutto mentre la democrazia e la partecipazione dei lavoratori rimane in secondo piano, più sulla carta che effettiva. La proposta strategica del PMLI di modello di sindacato va molto oltre. Noi ci battiamo per la costruzione dal basso di un grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e il potere sindacale e contrattuale in mano alle assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati. Possiamo prendere spunto dall’esigenza di una rappresentan- Al direttivo provinciale della FILCTEM di Pisa Molte critiche alla dirigenza della Cgil Andrea Cammilli giudica fallimentare la segreteria Camusso Redazione di Fucecchio Ultimo direttivo provinciale del 2013 della categoria dei chimici, svoltosi martedì 17 dicembre nei locali della Camera del lavoro di Pisa. Alla sua conclusione è seguito anche lo scioglimento in quanto a gennaio inizieranno i congressi di base che dopo un lungo iter porteranno al congresso nazionale che si svolgerà a maggio a Rimini. Nonostante i congressi debbano ancora iniziare, su questo argomento si è incentrato il dibattito a cui erano presenti una quarantina di lavoratori. Sostanzialmente ci sono stati due tipi d’intervento: quello dei dirigenti che chiedevano unità ed esprimevano un giudizio positivo sull’azione del sindacato e quello dei delegati che invece hanno espresso molte critiche alla dirigenza della Cgil. L’intervento di un lavoratore del settore geotermico di Larderello ha giustamente sottolineato che al prossimo congresso saranno presentati due documenti alternativi. Questo perché molti interventi, ascoltati anche in altre riunioni, tendono a far credere che ci sarà solo un documento unitario, dando un’immagine distorta del congresso. Il lavoratore ha criticato anche le modalità dell’ultimo sciopero unitario sulla finanziaria, disorganizzato e spezzettato in tante piccole manifestazioni tanto da risultare meno partecipato di quelli indetti solo dalla Cgil Le critiche si sono incentrate sulla mancanza di autonomia da parte della Cgil verso i partiti e i governi e verso scelte molto discutibili, prime tra tutte l’atteggiamento morbido verso la controriforma Fornero delle pensioni e l’accettazione dello svuotamento delle tutele contenute nell’articolo 18, critiche che il compagno Andrea Cammilli aveva portato a fondo nel suo intervento applaudito dalla sala. Il nostro compagno ha ricordato come la segreteria Camusso abbia dato una risposta del tutto inadeguata rispetto alla gravità dell’attacco ai lavoratori e sia stata praticamente connivente con i governi Monti e Letta in particolare, ed abbia ritrovato l’unità con Cisl e Uil ma sulle loro posizioni e su quelle di Confindustria. Ma la mancanza di autonomia viene dimostrata anche a livello locale: a Firenze la Cgil prende le distanze dai lavoratori Ataf perché il sindaco della città è il segretario del PD, in Emilia dai lavoratori delle cooperative di facchinaggio perché queste fanno parte della Lega Coop di area PD e via discorrendo. Rispondendo ad alcune osservazioni ha chiuso il suo intervento ricordando che se Camusso, Bonanni e Angeletti vanno a fare un presidio a Roma per modificare la finanziaria è chiaro che la partecipazione sarà scarsa, ma se invece viene indetto uno sciopero generale di 8 ore con manifestazione unica nazionale, con obiettivi chiari, vedrete che i lavoratori si mobilitano in massa. za sindacale di tipo nuovo, che in parte si trova nella mozione 2, per esporre il nostro modello di sindacato le cui caratteristiche principali sono: l’unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l’alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati, che comporta tra le altre cose la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l’assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del “patto sociale” con le “controparti” (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi. Questo tipo di democrazia e di sindacato va ben al di là dei refe- rendum che sono importanti, ma che comunque chiamano i lavoratori a esprimersi su decisioni già prese. Noi la intendiamo come democrazia diretta che poggia sul protagonismo nei luoghi di lavoro anzitutto, ma anche al di fuori, pensando ai pensionati, che non si limiti a un sì o un no ma che permetta ai lavoratori e ai pensionati di discutere i problemi, mettere a confronto le idee, assumere le decisioni, approvare o rifiutare le piattaforme e gli accordi con voto palese, selezionare i loro rappresentanti più capaci e combattivi. L’unica capace di unirli attorno ai loro interessi di classe, di liberarli dai cappi delle vecchie e “nuove’’ sigle sindacali e di renderli indipendenti dalle istituzioni, dal governo e dal padronato. Per realizzare il nostro obiettivo di un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sull’idea forza della democrazia diretta occorrerà che si sciolgano tutte le sigle sindacali: Cgil, Cisl e Uil oramai completamente succubi e complici del governo e del padronato, i sindacati cosiddetti di base (Usb, Cobas, Slai-Cobas, ecc.) che si collocano più a sinistra della Cgil ma che con la loro impostazione spontaneista e anarchi- ca, le loro rivendicazioni tendenzialmente corporative, tendono più a dividere che unire i lavoratori. Ovviamente finché non nascerà questo tipo di sindacato, i marxisti-leninisti, fintanto che lo riterranno possibile e opportuno, continueranno a condurre la propria battaglia preferibilmente all’interno della Cgil e a costruire la corrente sindacale di classe con tutti coloro che, fuori e dentro i sindacati confederali e autorganizzati, condividono la nostra proposta sindacale e vogliono battersi per realizzarla. Diamo battaglia al 17°congresso della Cgil, il che vuol dire tenere un atteggiamento combattivo, attivo e propositivo. I sindacalisti e i lavoratori marxisti-leninisti devono cogliere le occasioni che il congresso presenterà loro per sostenere quanto possibile, le posizioni sindacali del Partito. Per far questo occorre rinfrescarsi la memoria con i nostri documenti sul tema, il regolamento del congresso e studiare i due documenti congressuali. In primo luogo dobbiamo criticare a fondo il documento della maggioranza e le scelte fallimentari fatte in questi anni dalla segreteria con a capo la Camusso, denunciando le scelte opportunistiche di Landini e di Nicolosi in modo chiaro ma dialettico cercando di unire la sinistra contro la destra. Dobbiamo appoggiare la mozione 2, prendendo contatti da subito con i suoi referenti. Nei nostri interventi alle riunioni di tale mozione dobbiamo puntare sulle cose che ci uniscono, mantenersi comunque liberi di esprimerci in termini fortemente anticapitalistici. Dobbiamo rilanciare la nostra proposta del grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati in modo intelligente, legandola ai temi congressuali, usando la dialettica, ovviamente senza tirare in ballo il PMLI e intervenendo come lavoratori e pensionati. Bisogna studiare molto per chiarirci le idee e per fare degli interventi concisi e concreti, tenendo conto degli umori e del livello di coscienza dei partecipanti alle Assemblee congressuali a cui siamo presenti. Avanti con forza e fiducia nella battaglia contro la destra riformista della Camusso, Landini e Nicolosi, per l’unità e la vittoria della sinistra sindacale e per il rilancio della proposta sindacale del PMLI. La Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI Firenze, 2 gennaio 2014 Pienamente riuscita la manifestazione regionale indetta da CGIL-CISL e UIL 20 mila in piazza A Torino contro la legge di Stabilità e la giunta Cota Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLI Completamente riuscita la manifestazione regionale indetta dai sindacati confederali per la mattina di sabato 14 dicembre a Torino per dire no alla Legge di stabilità economica del governo del democristiano Letta e contro la Giunta regionale piemontese di Roberto Cota che, con lo scandalo di rimborsopoli, ha mostrato il volto marcio e corrotto della Lega Nord e delle istituzioni borghesi che operano costantemente ai danni delle masse popolari piemontesi. In piazza Vittorio Veneto, luogo del concentramento, già dalle 9 si sono ritrovati migliaia di piemontesi determinati a far sentire alle amministrazioni rappresentative borghesi tutta la loro rabbia e disapprovazione. Gli oltre 20 mila manifestanti hanno rappresentato la parte sana e battagliera d’Italia quella che viene spremuta e sfruttata dal capitalismo che non consente una vita dignitosa per sé e per i propri figli ed è costretta dalla spaventosa crisi economica attuale a patire povertà e ristrettezze perché i politici borghesi non sono interessati e incapaci di risolvere i problemi occupazionali e soddisfare i bisogni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Presente l’Organizzazione biellese del PMLI che con la partecipazione attiva di militanti e simpatizzanti ha diffuso centinaia di copie del volantino “La stangata c’è in particolare sul pubblico impiego” e portato le rosse bandiere di lotta del PMLI fin sotto il palco degli oratori. Il naturale posizionamento della delegazione marxista-leninista non poteva che essere quello all’interno dello spezzone della FIOM-CGIL cioè la parte più determinata e cosciente della classe operaia; qui i compagni del PMLI si sono mossi come pesci nell’acqua accolti con sorrisi di approvazione e stima dalle operaie e operai più decisi nella lotta per un mondo nuovo. Lo spirito di combattimento ha riscaldato il freddo clima in- vernale ed il corteo si è snodato per tutta via Po confluendo nella bellissima piazza Castello, luogo deputato per i comizi finali dei rappresentanti di CGIL, CISL e UIL dove questi ultimi due sindacati, dopo anni di accordi separati, paiono essersi risvegliati dal letargo politico imposto dai loro vertici in primis Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Dal palco Alberto Tomasso della CGIL piemontese ha sottolineato la necessita “di un piano straordinario per il lavoro e per ridare un futuro ai giovani”. “Bisogna intervenire su pensioni e retribuzioni per dare respiro alle famiglie” ha aggiunto l’esponente della CGIL. “Siamo in piazza - ha continuato il segretario della CGIL, Tomasso - per far sentire la nostra indignazione e la nostra protesta per una Legge di stabilità che non ci piace e per le mancate politiche della regione” e ha voluto concludere con “Dopo 6 anni di crisi in Piemonte ci sono oltre 200mila persone che stanno cercando un lavoro, servono misure idonee a dare alle persone una speranza di occu- pazione. La politica a tutti i livelli deve dimostrare competenza e moralità, deve dare l’esempio e trovare soluzioni, basta con spese ingiustificate, con sprechi e privilegi” ha concluso il sindacalista CGIL, riferendosi al recente scandalo dei rimborsi facili per i consiglieri regionali piemontesi. Al termine della manifestazione dei sindacati confederali i compagni del PMLI si sono spostati nella parte nord della piazza per accogliere, con un folto volantinaggio del documento del Partito, l’arrivo del corteo delle studentesse e degli studenti torinesi che erano partiti da piazza Albarello e anche loro diretti in piazza Castello, ma sotto il Palazzo della Regione, per chiedere più risorse per scuola e università e un finanziamento straordinario per il diritto allo studio. Qui le studentesse e gli studenti sono stati pesantemente caricati dalla polizia e dai carabinieri per essersi semplicemente permessi di lanciare alcuni palloncini di vernice colorata contro il palazzo regionale. Calendario 2014 rosso 6 il bolscevico / regime neofascista 1924 1848 3FEBBRAIO 1943 5MARZO 1953 6MARZO 1919 8MARZO 1910 14 MARZO 1883 1895 Anniversario della fondazione della Terza Internazionale Giornata internazionale della donna 8 Marzo in fabbrica a Milano. Sul cartello al centro si legge:”FLM 8 MARZO 1973 Le lavoratrici dellaPhilips in lotta per il contratto di lavoro W la Giornata Internazionale della Donna!!” 9APRILE 1945 1° MAGGIO 1890 9 28 SETTEMBRE Tessera di un membro dell’Internazionale con la firma di Marx (evidenziata in rosso) 1864 1° OTTOBRE A destra un disegno celebrativo della Associazione internazionale dei lavoratori Anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese Anniversario della 28 NOVEMBRE nascita di Engels Anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre O vince il potere sovietico o vince il capitalismo 1820 Anniversario della fondazione DICEMBRE de “Il Bolscevico” 15 Anniversario della nascita di Lenin Anniversario della Liberazione dal nazifascismo 25 APRILE Anniversario della morte di Mao SETTEMBRE Anniversario della 1976 fondazione della Prima Internazionale 1917 La targa della nuova sede del PMLI e della Redazione centrale in Firenze, via Antonio del Pollaiolo, 172a tel: 055 5123164 1870 5AGOSTO Anniversario della morte di Engels 7NOVEMBRE Anniversario della Fondazione del PMLI 22 APRILE 1889 1949 Anniversario della morte di Marx Anniversario della Comune di Parigi 1977 14 LUGLIO Anniversario della fondazione della Seconda Internazionale Anniversario della morte di Stalin Tibilisi (Georgia). Striscione in corteo per la manifestazione per il Primo Maggio 2013 Berlino 1945 dopo la sconfitta del nazifascismo 16 MAGGIO 1966 Volgograd (Stalingrado) 2013 Festeggiamenti in occasione del 70° Anniversario della Vittoria di Stalingrado Anniversario della Liberazione dell’Europa dal nazifascismo Anniversario del lancio ufficiale della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese Anniversario della pubblicazione del “Manifesto del Partito Comunista” Conclusione della battaglia di Stalingrado 18 MARZO 1871 8MAGGIO 1945 Cavriago (Reggio Emilia). Piazza Lenin FEBBRAIO 1818 N. 7 - 23 febbraio 2012 Partigiani sfilano a Milano per la parata della Liberazione Giornata internazionale dei lavoratori Manifesto per la proclamazione del primo 1° Maggio in Italia 1969 21 DICEMBRE Il primo numero de “il Bolscevico” (n. 35-2013) pubblicato sul sito del PMLI dopo la sospensione della pubblicazione cartacea Anniversario della nascita di Stalin 1879 Anniversario della nascita DICEMBRE di Mao 26 1893 Anniversario della fondazione DICEMBRE dell’Urss (Unione delle Repubbliche 30 1922 Socialiste Sovietiche) lo stemma dell’URSS Nota: sono indicate la data dell’avvenimento o dell’istituzione della celebrazione 21 GENNAIO Anniversario della morte di Lenin 5MAGGIO Anniversario della nascita di Marx PMLI / il bolscevico 11 N. 2 - 16 gennaio 2014 In provincia di Modena Fucecchio Volantinaggio Stimolanti discussioni della Cellula e ingenti sottoscrizioni raccolte “Falzarano” del pmli segnano il successo Nelle discussioni i marxisti-leninisti raccolgono gli sfoghi di rabbia della campagna per il proselitismo e sfiducia delle masse nelle istituzioni Dal corrispondente dell’Organizzazione di Castelvetro di Modena Nelle ultime settimane di dicembre, i militanti e i simpatizzanti del PMLI della provincia di Modena hanno portato a termine la campagna per il proselitismo 2013 e raccolta fondi per le amministrative 2014. I banchini precedenti erano stati il 28 settembre e il 14 dicembre. Il penultimo banchino si è tenuto il 21 dicembre, Anniversario della nascita di Stalin, ricordato per l’occasione con un suo ritratto (incorniciato da un simpatizzante) sul banchino e la diffusione del Documento dell’Ufficio politico: “Il grande contributo di Stalin alla lotta contro il capitalismo, per il socialismo”. Fra gli svariati confronti sull’attualità e sul ruolo storico del “magnifico georgiano”, segnaliamo una stimolante discussione con una coppia di giovani russi che, riportando- Sul mio cuore rosso di quattordicenne è inciso il nome del PMLI Sono Matteo ho 14 anni e vorrei entrare nel Partito marxista-leninista italiano. Per quale motivo? Da tanto seguo il comunismo e, complessivamente, sono riuscito a “esaminarlo”, e sono arrivato alla conclusione, che le mie idee combaciano con quelle dei cinque grandi Maestri del proletariato: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Tutto è partito dallo studio storico di questi cinque Maestri, a cominciare da Karl Marx. È il mio mito, ho sempre pensato che egli sia stato un bravo filosofo e un ottimo uomo con un cuore grande, per tutti, soprattutto per gli operai. Per non parlare di Lenin, egli ha portato le idee di Marx sempre avanti, fino alla grandissima rivoluzione d’Ottobre. Il mio cuore è rosso e ci sono quattro lettere incise sopra: PMLI. Amo l’Italia e questa è la vera strada per la libertà e la salvezza. Matteo, via e-mail Rossi auguri al PMLI per il nuovo anno di lotte Cari compagni, a voi tutti auguri per un Rosso Modena, 28 dicembre 2013. Interesse e discussioni attorno al banchino di propaganda per il proselitismo marxista-leninista. A sinistra il compagno Federico Picerni, Responsabile della Commissione Giovani del CC del PMLI (foto Il Bolscevico) ci i ricordi positivi dei loro nonni vissuti nell’URSS di Stalin, hanno voluto farsi fotografare accanto al banchino e richiesto “Stato e rivoluzione” (Lenin) e “Trotzkismo o 2014 anche da parte di Anna e Maria, invio saluti marxisti-leninisti. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Liliana – Cuneo Tanti auguri di buon anno rosso 2014 a tutti i militanti del PMLI, ai simpatizzanti e ai lettori de Il Bolscevico. Sono sicuro che sarà un altro anno di crescita quantitativa (qualitativamente va benissimo) del Partito, nel quadro della lotta al governo Letta e al capitalismo, per il socialismo. Solo il socialismo salverà l’Italia! Giordano – Paola (Cosenza) Cari compagni, tanti auguri per un rosso 2014! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Saluti marxisti-leninisti. Federico – provincia di Rovigo Vi auguro buone feste e vi ringrazio delle lotte che continuate a fare in nome dei nostri grandi, insuperabili Maestri. Potessi comprerei Il Bolscevico e gli opuscoli ma proprio non posso, la crisi maledetta, delinquenziale, creata dal capitalismo non me lo permette. Saluti rossi e guerrieri! Silvano - Teramo Rossi auguri di Istanze e compagni per l’anno nuovo al PMLI Pubblichiamo come esemplificativi di tutti quelli ricevuti da Istanze del Partito e da singoli militanti e dirigenti gli auguri di un buono e rosso anno nuovo. Cari compagni, care compagne, continuando la nostra lunga marcia rossa con la stessa costanza della mente e del cuore. E ancora e di più con la forza e l’entusiasmo di sempre, buon anno 2014. Patrizia Pierattini L’Organizzazione di Buonalbergo del PMLI invia al PMLI.Campania, alle compagne e ai compagni del CC del PMLI, alla Redazione de “Il Bolscevico”, al Segretario generale Scuderi e a tutte le compagne e i compagni delle Cellule e Organizzazioni locali Rossi auguri per un 2014 pieno di vittorie per il PMLI e per il socialismo. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Organizzazione di Buonal- bergo (Benevento) del PMLI Rossi auguri per il nuovo anno con affetto proletario a te, compagna Giovanna, al Segretario generale, Giovanni Scuderi, all’Ufficio politico, al Comitato centrale e alle Commissioni centrali. Saluti marxisti-leninisti. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Sesto Schembri, Segretario della Cellula “Stalin” della provincia di Catania Auguri per l’anno nuovo. Che il 2014 porti grandi cose al PMLI. Che il compagno Segretario generale possa guidarci a lungo affinché possa vedere il Partito diventare il Gigante Rosso che auspichiamo. Per l’Italia unita, rossa e socialista! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Saluti marxisti-leninisti. Salvo - Palermo leninismo” (Stalin). Un successo in termini di interesse e partecipazione confermato dal banchino del 28 dicembre, sul quale campeggiava un gran- Buon anno a te, compagna Giovanna e a tutto il PMLI. Quel poco che facciamo, in base ai nostri impegni, lo facciamo perché crediamo nel PMLI. Maria, Eleonora, Florinda – provincia di Catania Auguri marxisti-leninisti a te cara compagna Giovanna e a tutti i compagni del PMLI. Che il nuovo anno possa essere ricco di possibilità per tutti noi. Un abbraccio e saluti rossi a tutti voi. Aurora - Palermo Auguri cara compagna Giovanna a te e al PMLI, che sia veramente un anno di conquiste. Ludovico – Acireale (Catania) Tanti auguri di un felice e rosso anno nuovo. Rossi saluti Aurora – Caltagirone (Catania) Buon 2014 a te compagna Giovanna e ai compagni di Firenze. Patrizia - Catania Tantissimi ed immensi auguri a te compagna Giovanna e a tutti i compagni e compagne del PMLI per un 2014 pieno di conquiste politiche. Gianni - Londra Auguri per un prosperoso avvenire. Nicola – Catania Bellissimo il numero su Mao e la GRCP Complimenti per il bellissimo numero de Il Bolscevico su Mao e la grande rivoluzione culturale proletaria. Un saluto marxista-leninista. Stefano, via e-mail Nel 120° della nascita di Mao Viva Mao Zedong! Viva la Rivoluzione culturale! Viva il PMLI che sarà la guida della rivoluzione socialista in Italia! Luca – provincia di Salerno Un’importante goccia rossa per il Partito Contribuisco con una piccola goccia (100 euro) in un grande mare rosso, certa dei giusti ideali del Partito. Avanti con forza! Viva il PMLI! Elisa – Firenze de ritratto di Mao dato che appena due giorni prima era caduto il 120° Anniversario della sua nascita. Diffuso per l’occasione il comunicato stampa “Omaggio del PMLI a Mao”, corredato dalla citazione: “È giusto ribellarsi contro i reazionari”, in un volantino a cura della locale Organizzazione del PMLI. In entrambe le occasioni, sono stati diffusi complessivamente oltre mille volantini recanti l’Appello del PMLI ai giovani ed estratti dell’articolo de “Il Bolscevico”: “Le masse non lasciano la piazza”. Le numerose discussioni con i passanti circa la strategia per il socialismo, la lotta di piazza e di massa, l’attualità e questioni storiche del movimento comunista internazionale, nonché le ingenti sottoscrizioni raccolte, hanno reso i compagni pienamente soddisfatti dell’esito della campagna, conclusa immancabilmente con un brindisi ad un rosso 2014. Serie perplessità sulla legittimazione politica di questo governo Continuo ad avere serie perplessità sulla legittimazione politica di questo governo e di questo parlamento a mettere comunque mano alla Costituzione, sul fatto che questa scelta sia davvero frutto di realismo; a mio parere, basta guardarsi intorno per capire che occorre mettere mano prioritariamente ad un vero piano del lavoro e a misure idonee a risolvere la grave crisi sociale e a scongiurare gli effetti nefasti della disperazione ed esasperazione di tanti cittadini. Carlo Smuraglia – Presidente nazionale Anpi Le primarie aperte ai non iscritti sono la negazione dell’idea di partito Con la vittoria di Renzi si conclude l’ultimo capitolo di una storia iniziata nel 1921 a Livorno; l’ultimo capitolo era cominciato quando Occhetto tolse via la denominazione originaria. I capitoli precedenti, del resto, non erano stati sempre confortanti. Intile dire che le primarie aperte ai non iscritti sono la negazione dell’idea di partito; in realtà io credo che neppure essere iscritti basti a pronunciarsi: infatti, si deve essere iscritti e militanti, nel dettaglio aver partecipato a congressi di base (e sia pure nelle forme “a distanza” oggi in voga). Dunque, il PD non solo non è un partito socialdemocratico, ma non è neppure un partito. Preso atto di ciò, vedremo. Cari saluti e auguri di un buon 2014. Nicola Spinosi - Firenze Il “MUOStro” di Niscemi Carissimi, ho appena pubblicato il volume “Il MUOStro di Niscemi, per le guerre globali del XXI secolo” (EditPress, Firenze), in cui ho voluto sistematizzare le problematiche di tipo militare, ambientale, giuridicocostituzionale, sanitario, sociale e criminale relative al famigerato progetto d’installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina Usa. Vi sono grato da adesso per l’attenzione che darete a questo lavoro. Vi abbraccio e un grazie di cuore. Antonio Mazzeo - Messina e nei politicanti borghesi Le masse devono continuare a lottare nelle piazze Fucecchio (Firenze), 22 dicembre 2013. Un momento della diffusione (foto Il Bolscevico) Redazione di Fucecchio I compagni di Fucecchio sono tornati in piazza a far sentire la voce del PMLI. L’occasione è stata il mercato straordinario di domenica 22 dicembre, che come ogni anno, si tiene durante il periodo natalizio. Sono state diffuse alcune centinaia di copie del volantino dove si illustra la posizione dei marxisti-leninisti sulle lotte e i movimenti più recenti a partire dal Movimento 9 dicembre, più noto come “forconi”. Nel volantino si denunciano le infiltrazioni della destra fascista nel movimento (che vanno immediatamente isolate), chiaramente favorite dalla latitanza della “sinistra” borghese che è lontana anni luce dai problemi dei lavoratori e anche degli autonomi e della piccola borghesia, classi e categorie sociali su cui è stata scaricata la crisi capitalistica. Anche i nostri militanti hanno potuto toccare con mano la rabbia delle masse popolari, la sfiducia nelle istituzioni e nei politicanti borghesi, Renzi compreso, e ascoltare le loro difficoltà economiche nelle varie discussioni che hanno avuto. C’è purtroppo una grande confusione, non si capisce quale deve essere l’obiettivo delle masse e chi, alla fine, accetta il “meno peggio” ma anche chi, nonostante la deideologizzazione, si avvicina senza pregiudizi ai marxisti-leninisti con l’intenzione di chiarirsi le idee. Comunicato del Comitato Lombardo del PMLI W l’assalto delle masse studentesche ai palazzi del potere borghese in difesa della scuola pubblica! Occupiamo le scuole e le università Il Comitato lombardo del Partito Marxista-Leninista Italiano condanna con forza le brutali cariche poliziesche subite dalle studentesse e dagli studenti che nella giornata di Lunedì 16 dicembre hanno assaltato il palazzo del Pirellone a Milano, simbolo del potere borghese in Lombardia che dopo i vent’anni di dittatura del ciellino Formigoni ora col fascioleghista Roberto Maroni al governo non cambia la musica, ma anzi inasprisce la vita delle masse popolari, in questo caso studentesche, decidendo nel bilancio regionale di quest’anno, la spesa di 30 milioni di euro stanziati per scuole private dei ricchi, scippandoli di fatto alla scuola pubblica! Questo scippo di denaro pubblico in favore delle scuole privare è inaccettabile! Il PMLI sostiene in maniera militante la lotta degli studenti, rivendica il blocco immediato dei finanziamenti alle scuole private e invita le masse studentesche ad occupare le scuole e le università lottando per la scuola e l’università pubblica, gratuita, governata dalle studentesse e dagli studenti. Solo unendosi alla classe operaia, al PMLI sua avanguardia, e a tutti gli altri movimenti di lotta delle masse, compreso chi è sceso in piazza con i “forconi” si potrà far divampare la lotta di classe nella nostra regione e in tutto il paese contro il Capitalismo e i suoi governanti, locali, regionali, nazionali, consci che solo il Socialismo e il potere del proletariato potranno garantire il sicuro futuro della scuola pubblica! Il Comitato Lombardo del PMLI 18 dicembre 2013 12 il bolscevico / cronache locali N. 2 - 16 gennaio 2014 urban porta il saluto del PMLI A sostegno di Renzi al Congresso provinciale di SEL a Biella due liste di centro-destra Per le amministrative di primavera a Firenze Dal corrispondente Sono formate da ex PDL ed ex montiani Redazione di Firenze Il neopodestà Matteo Renzi (PD) in vista delle prossime amministrative a Firenze, alle quali pare ripresenti la candidatura a sindaco, sta portando alla ribalta il sostegno che non gli è mai mancato da destra, caratterizzandosi sempre di più come uomo della grande borghesia. Da poco incoronato premier del PD in vista delle elezioni amministrative si sta già sganciando dal suo partito, presentandosi sulle orme di Berlusconi in stile personalistico e ducesco come “capo” indiscusso e trasversale agli schieramenti parlamentari. Le liste annunciate sono due. “Noi con Matteo Renzi”, in cui confluiscono transfughi dal PDL a UDC, bene impersonificata dal capolista Massimo Pieri, eletto consigliere comunale nelle liste PDL, poi passato all’UDC e poi approdato alla maggioranza renziana; seconda candidata la consigliera Bianca Maria Giocoli, che ha seguito lo stesso percorso. In lista anche Luca Galasso, consigliere del Quartiere 4 (ex PDL, ex UDC), Claudio Miceli, commercialista e presidente dell’associazione “Noi con Matteo Renzi”, Giuseppe Bergamaschi, avvocato e segretario di Assoimpresa e l’assicuratore Giovanni Simonetta. L’altra lista nasce nell’alveo di “Scelta civica” di Mario Monti. “Siamo con Renzi attraverso una lista civica che sia capace di schierare professionisti fiorentini” dice Mattia Alfano, coordinatore fiorentino di “Scelta civica”; una scelta che fa seguito a contatti tra i vertici nazionali renziani e quelli di “Scelta Civica”. Sembra inoltre che Renzi intenda presentarsi a capo di una propria lista, non sotto le insegne del PD. dell’Organizzazione di Biella del PMLI Si è svolto sabato 30 novembre, presso il salone polivalente del Comitato interprovinciale ARCI “Mauro Torlaschi”, il secondo congresso provinciale di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL). All’assise sono stati invitati ufficialmente le organizzazioni politiche di sinistra e il Partito Democratico (PD) con cui SEL mantiene un rapporto strettissimo tanto da lasciar intendere che, probabilmente, prima delle prossime elezioni politiche esso confluirà all’interno del PD. È stato un congresso ridotto al lumicino, con la presenza di una decina di militanti, a indicare le fortissime difficoltà di SEL nel radicarsi nel biellese e farsi riconoscere come soggetto politico attivo e capace di modificare la drammatica realtà sociale; anche in conseguenza del recente scandalo mediatico che ha coinvolto il presidente nazionale di SEL, Nichi Vendola. I lavori congressuali sono iniziati con la relazione del segretario uscente Vladimiro Celanti che, nel suo intervento, ha cercato di dare un indirizzo di cambiamento di rotta del partito nel biellese invitando il suo movimento a “sporcarsi le mani” nelle organizzazioni di lotta e partecipando attivamente alle proteste sociali. ARRESTATO IL neopodestà DEL PD ANTONIO CONCAS Nella maxi inchiesta “clean city” coinvolti anche assessori e funzionari comunali di quattro regioni. Sequestrati beni per 14 milioni di euro della Lombardia Il neopodestà di Pioltello (Milano) Antonio Concas, capolista nel suo collegio nella “Lista Cuperlo” alle “primarie” del PD per l’assemblea nazionale svoltasi l’8 dicembre scorso, è stato arrestato l’11 dicembre dalla guardia di finanza nell’ambito di una maxi inchiesta denominata “clean city” (città pulita), coordinata dai pm di Monza Salvatore Bellomo e Giulia Rizzo. Su richiesta del gip di Monza Claudio Tranquillo sono state arrestate complessivamente 26 persone (14 in carcere e 12 ai domiciliari) ed è stato disposto l’obbligo di dimora per altri 15 indagati, con capi d’imputazione che variano dalla corruzione alla turbativa d’asta, dalla truffa aggravata ai danni di ente pubblico all’emissione di false fatture. Sono stati complessivamente sequestrati beni per 14 milioni di euro, corrispondenti al profitto e al prezzo della corruzione contestata e l’inchiesta, oltre alla Lombardia, si è estesa a Piemonte, Lazio (dove è stato arrestato il viceneopodestà di Frosinone Fulvio De Santis) e Puglia. L’accusa per Concas è di aver ricevuto una tangente di 20mila euro per rinnovare il contratto Il Golfo, fine novembre 2013, pubblica un articolo sulla partecipazione del compagno Gianni Vuoso, responsabile dell’Organizzazione di Ischia del PMLI, al congresso del PRC locale con la società Sangalli Giancarlo & C., un’azienda monzese specializzata nella gestione e smaltimento dei rifiuti per molte amministrazioni locali e che sarebbe l’“epicentro del sistema corruttivo”, oltre che per aver adibito un immobile a sede temporanea della società BrianzAcque, cosa che poi non è avvenuta a causa delle indagini in corso. Senza vergogna, in una nota, il PD pioltellese ha avuto la faccia tosta di affermare che “bisognerebbe andare avanti come se nulla fosse accaduto”. Tra gli altri indagati finiti in manette vi sono due funzionari del servizio idrico integrato di Metropolitana Milanese, Riccardo Zanella e Vincenzo Dodaro, la dirigente del settore ambiente del Comune di Monza, Gabriella Di Giuseppe, l’ex assessore monzese Giovanni Antonicelli (PDL) e l’ex presidente di BrianzAcque Oronzo Raho. Tra gli indagati cui è stato disposto l’obbligo di dimora vi sono invece due ex dirigenti dell’Amsa, l’ex presidente Sergio Galimberti e l’ex direttore generale Salvatore Cappello, che avrebbero ricevuto un milione e mezzo di euro per tener fuori la società dalla gara d’appalto per la raccolta dei rifiuti a Monza. La società Sangalli, secondo i magistrati, aumentando la propria fatturazione grazie alle società complici Scau Ecologica e Stella Plast, avrebbe creato un sistema di fondi neri da cui reperire il denaro per corrompere politici e funzionari. Le tangenti erogate sarebbero di circa un milione di euro, suddivise tra politici e funzionari del comune di Monza, per pilotare gli appalti legati al ciclo dei rifiuti e alla manutenzione dei cimiteri. Sempre secondo quanto sostengono i magistrati, questa attività illecita sarebbe poi stata ripetuta anche in altre città italiane. Biella, 30 novembre 2013. Un momento dell’intervento del compagno Urban, a nome dell’Organizzazione biellese del PMLI (foto Il Bolscevico) nizzativo con SEL nella direzione di un populistico e interclassista “Interesse delle italiane e degli italiani”. Il rappresentante del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) di Biella, Renato Nuccio, s’è concentrato sui problemi concreti delle masse popolari biellesi che vedono costantemente la sanità pubblica sfasciarsi con ticket da pagare sempre più alti e servizi resi insufficienti e scadenti; per non parlare del trasporto pubblico locale e della linea ferroviaria Santhià–Biella–Novara diventati il simbolo piemontese per antono- masia dell’inefficienza con corse che saltano, treni che si fermano a metà percorso in piena campagna, rendendo veri e propri calvari i viaggi di migliaia di lavoratrici e lavoratori pendolari e delle studentesse e studenti universitari. Il rappresentante del PRC ha voluto citare il lavoro comune svolto dal suo partito insieme al PMLI all’interno del movimento No Tav biellese contro lo sperpero di denaro pubblico a vantaggio dei signori del cemento e per una spesa pubblica a favore della sanità pubblica di qualità per le masse popolari biellesi. Congresso provinciale del prc di Biella: invitato ufficialmente il PMLI Dal corrispondente A Pioltello (Milano) Dal nostro corrispondente Celanti in alcuni passaggi ha ricordato l’attualità del pensiero di Marx che è ancora capace di “indicarci la via dell’effettivo cambiamento sociale”. Dopo la relazione sono stati invitati a parlare i rappresentanti ufficiali dei partiti tra cui il compagno Gabriele Urban, Responsabile dell’Organizzazione biellese del PMLI, che ha illustrato l’enorme divario tra le parole e i fatti messi in campo da SEL che non è presente nei movimenti di massa biellesi e che continua a coprire a sinistra il “famigerato PD” curando così esclusivamente gli interessi della borghesia nostrana. Poi ha preso la parola il giovane segretario biellese del PD, Paolo Furia, che ha attaccato il PMLI affermando che tale partito propone solo slogan retorici ormai superati nel tempo e, a suo dire, la società attuale sarebbe “molto più complessa e stratificata” e dunque le analisi marxiste e, successivamente, del PMLI sono definitivamente sorpassate e inservibili. Il segretario del PD ha auspicato un sempre maggiore avvicinamento politico e orga- dell’Organizzazione di Biella del PMLI Si è svolto sabato 23 novembre, presso il salone “Anello Poma” del Comitato interprovinciale ARCI di Biella, il Congresso provinciale del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) di Biella. Il salone è stato addobbato con manifesti contro il governo del democristiano Letta ed in favore del movimento valsusino contro l’alta velocità ferroviaria; mentre le bandiere ufficiali del PRC si alternavano a quelle del movimento No Tav. Dopo la presentazione dei rappresentanti delle tre mozioni congressuali il segretario uscente, Valter Clemente, ha dato la parola agli invitati ufficiali per i saluti tra cui il compagno Gabriele Urban, rappresentante dell’Organizzazione biellese del PMLI. Nel suo intervento Urban ha evidenziato gli errori politici compiuti dal gruppo dirigente nazionale del PRC che hanno portato ad un evidente sfoltimento delle schiere di militanti del PRC con un conseguente ridotto peso politico e organizzativo; il nostro compagno ha ricordato l’importante e positivo lavoro di fronte unito, su determinate importanti lotte, che i due partiti stanno portando avanti da anni con profitto tra cui spicca la costituzione e partecipazione attiva al movimento No Tav biellese. In tale passaggio del saluto il compagno Urban è stato applaudito. Hanno poi portato i loro saluti il neosegretario venticinquenne del Partito Democratico (PD) di Biella, Paolo Furia, che, in perfetta copia con il modo di atteggiarsi e parlare del leader nazionale Matteo Renzi ha prodotto un Biella, 23 novembre 2013. Il compagno Gabriele Urban porta i saluti del PMLI ai delegati al congresso provinciale del PRC (foto Il Bolscevico) fiume di parole e buoni propositi distanti milioni di anni luce dalla politica del PD. In seguito ha parlato il Segretario organizzativo della Camera del Lavoro di Biella, Adama Mbodji, amico del PMLI, concentrandosi sulla crisi occupazionale presente in provincia di Biella, soprattutto nell’industria tessile, che ha visto negli anni la perdita di migliaia di posti di lavoro; ora la tenuta occupazionale cede anche in importanti settori alternativi come l’eclatante caso della Coca-Cola di Gaglianico (Biella) che con l’arrivo del 2014 lascerà a spasso oltre 90 lavoratori per poi definitivamente chiudere lo stabilimento produttivo della provincia laniera. Nella sua relazione il Segretario uscente ha avuto il coraggio di descrivere gli errori compiuti dal gruppo dirigente nazionale del PRC dichiarando che avrebbe votato per la mozione di minoranza numero tre. Al momento del voto dei tre documenti congressuali la federazione di biella del PRC si è mostrata in netta controtendenza rispetto al nazionale facendo vincere la Mozione 3 con 12 voti, a seguire la Mozione 1 del Segretario nazionale uscente, Paolo Ferrero, che ha ottenuto sette voti mentre il documento del gruppo “Falce e Martello” ha incassato solo 2 voti. COMMEMORAto l’eccidio partigiano IN PIAZZA SAN CASSIANO A BIELLA Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLI Puntualmente come ogni anno domenica 22 dicembre si è svolta a Biella, la commemorazione dell’eccidio partigiano di Piazza San Cassiano ad opera della teppaglia nazifascista nel 1944. Furono fucilati in sette tra civili e combattenti. Un partigiano riuscì incredibilmente a salvarsi, fingendosi morto, e fuggendo successivamente. Presenti ufficialmente con le proprie bandiere solo l’Organizzazione biellese del PMLI e Rifondazione Comunista di Biella. Il primo a prendere la parola un giovane rappresentante dell’ANPI di Biella che, dopo una ricostruzione dei fatti accaduti 69 anni fa, ha giustamente destato l’allarme antifascista sottolineando come l’attuale crisi economica stia facendo riemergere numerose organizzazioni di chiara ispirazione nazifascista, e ha evidenziato come i vertici di alcuni gruppi che ruotano attorno al cosiddetto “Movimento dei forconi”, non abbiano alcuna legittimità nel prendere le parti delle masse proletarie in quanto elementi riconosciuti dell’estrema destra reazionaria. Successivamente è stata la volta del neopodestà di Biella, Dino Gentile, eletto anche con i voti della Fiamma Tricolore che, con un discorso sulla libertà in senso astratto e interclassista, si è detto preoccupato per le precarie condizioni in cui versano le masse, senza peraltro indicare una benché minima soluzione concreta, fatta salva la recente invocazione alla madonna nera di Oropa, da poco trasportata in pellegrinaggio dal Santuario di Oropa al duomo cittadino ultimamente ristrutturato con soldi pubblici, cui s’è raccomandato per fare uscire il biellese dalla devastante crisi economica che lo attanaglia. Alla fine della commemorazione l’Organizzazione di Biella del PMLI ha discusso con i compagni di base del PRC, dandosi appuntamento alle prossime occasioni politiche di azione comune. cronache locali / il bolscevico 13 N. 2 - 16 gennaio 2014 Per il 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale CONTRO IL PROGETTO DI DEVASTAZIONE DEL TERRITORIO E DELL’AMBIENTE IN PROVINCIA DI AVELLINO Centinaia di manifestanti ONORIAMO LENIN in corteo a Gesualdo per dire A CAVRIAGO IL 19 GENNAIO No alle trivellazioni petrolifere PARTECIPIAMO NUMEROSI Domenica 19 gennaio il PMLI.Emilia-Romagna organizza a Cavriago (Reggio Emilia) in Piazza Lenin una commemorazione pubblica in occasione del 90° anniversario della scomparsa di Lenin. Il ritrovo è alle ore 11. Il discorso ufficiale avrà inizio alle ore 11,30. Lo pronuncerà De- nis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna. Al termine si terrà un pranzo collettivo in un ristorante della zona. Chi fosse interessato a partecipare lo comunichi il prima possibile, anche per consentire la prenotazione al ristorante. Partecipiamo numerosi per rendere omaggio al grande Maestro del proletariato internazionale Lenin! Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo! Con Lenin per sempre contro il capitalismo per il socialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! I marxisti-leninisti sanniti sostengono e appoggiano la battaglia dei Comitati No Triv avellinesi Dal corrispondente dell’Organizzazione di Buonalbergo del PMLI Domenica 22 dicembre 2013 si è svolto a Gesualdo, un piccolo comune dell’Irpinia in provincia di Avellino, un corteo contro le trivellazioni petrolifere. Oltre 500 manifestanti sono scesi in strada per la protesta dell’Irpinia contro le trivellazioni. Erano presenti i Comitati No Triv, i No Tav, sindaci, associazioni am- EDILI E PRECARI IN PIAZZA A PALERMO Il 13 dicembre 2013 in concomitanza con lo sciopero generale di 8 ore dei lavoratori edili, svoltosi con imponenti manifestazioni a Milano, Napoli, Roma per rivendicare il rinnovo del contratto nazionale, scaduto da 11 mesi, e il rilancio del lavoro, anche a Palermo sono scesi in piazza in 10mila lavoratori edili e precari. Due cortei hanno attraversato la città diretti da CGIL, CISL e UIL. Il corteo degli edili è sfilato dietro lo striscione con su scritto “Contratto e lavoro”, con Feneal, Uil, Filca, Cisl, Fillea, CGIL Sicilia. Formato da delegazioni sindacali unitari provenienti da tutte le province della Sicilia hanno tenuto un sit-in davanti alla sede dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) dopo la rottura della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro e poi in Prefettura per sollecitare lo sblocco dei cantieri, dall’altro lato il corteo dei precari diretti a palazzo D’Orleans, sede del governo regionale. La manifestazione degli edili è stata compatta e partecipata, si può dire “storica” rispetto a quelle precedenti organizzate dalla sola CGIL o dalla sola CISL. I lavoratori della Fillea CGIL oltre a sventolare le bandiere rosse del sindacato indossavano una casacca rossa, con la scritta sul petto: “senza lavoro non si vive”. Ogni tanto, i dirigenti delle tre confederazioni posti davanti allo striscione arringavano i manifestanti con la parola d’ordine: “Lavoro, lavoro, contratto, contratto” Qualche volta veniva cantata “Bella Ciao”. Ogni tanto venivano lanciate canzoni assordanti che non avevano niente a che fare né col senso della manifestazione, né con le tradizioni di lotta del movimento operaio, come l’inno di Mameli. Il corteo si concludeva con un comizio davanti alla prefettura da parte del segretario nazionale della Fillea CGIL e quello regionale della Filca CISL. Entrambi hanno ringraziato i manifestanti per aver manifestato attenendosi al pacifismo e alla legalità. Inoltre hanno espresso il motivo dello sciopero che sono stati costretti a proclamare perché dopo vari incontri con l’ANCE e dopo 11 mesi dalla scadenza del vecchio contratto non si è riusciti a trovare un accordo per rinnovare il contratto nazionale di lavoro. I punti principali della rottura della trattativa sono: primo l’ANCE non è disposta ad aumenti salariali, secondo non vuole dare ai lavoratori il premio di professionalità, SECONDO UN’INCHIESTA FOTOGRAFICA DELLA REDAZIONE PARTENOPEA DE “IL BOLSCEVICO” Imminente una nuova emergenza rifiuti a Napoli Silenzio connivente dei mass media di regime. gravi responsabilità della giunta antipopolare De Magistris Redazione di Napoli Nel mese di dicembre la nostra Redazione è stata impegnata in un reportage fotografico sulla situazione dei rifiuti a Napoli. Passeggiando o utilizzando mezzi di locomozione, alcuni compagni e compagne hanno fatto per diversi giorni giri perlustrativi per il capoluogo campano per verificare l’effettivo stato della situazione rifiuti. Il risultato, scrutando alcuni quartieri centrali e periferici, è sconvolgente, al punto che le foto (che pubblichiamo a corredo) parlano più di mille parole. In alcuni casi siamo già all’emergenza con vie centrali o di percorrenza quotidiana dove non si raccolgono rifiuti: dalla trafficatissima via Stadera alla via Michele Pironti, che costeggia il rettifilo; da viale della Resistenza a Scampia sino ai quartieri spagnoli i cumuli di immondizia si sono accumulati vergognosamente senza un piano di intervento serio da parte della “Asia” guidata dall’“ambientalista” Raffaele Del Giudice (ex responsabile campa- no Legambiente). Materassi, elettrodomestici, tanti cartoni e carta con scarti delle feste natalizie che hanno letteralmente invaso i marciapiedi. La raccolta ordinaria avviene con fatica, mentre quella straordinaria relativa alle feste risulta rallentata, se non quasi inesistente: in sostanza né Del Giudice, né tantomeno l’assessore all’Ambiente Tommaso Sodano hanno approntato un piano per una eventuale emergenza dei ri- fiuti, sottovalutando gravemente la questione. Al degrado e alla miseria in cui vive Napoli, si aggiunge una vecchia e triste protagonista, l’emergenza rifiuti, che la giunta antipopolare De Magistris per ora non riesce ad affrontare: una bolla che non riesce a scoppiare a causa anche del silenzio connivente dei mass media, soprattutto locali, che coprono i falsi rivoluzionari arancioni e i loro lacchè. Fine dicembre 2013. Cumuli di spazzatura soffocano ancora il centro di Napoli terzo non vuole pagare l’indennità di malattia e infortunio, quarto l’impresa che subappalta i lavori ad altre imprese non vuole essere garante dei diritti dei lavoratori, qualora le ditte subappaltatrici violino il contratto nazionale e quello integrativo territoriale. Per cui entrambi i segretari incoraggiati dalla volontà di lotta dei lavoratori hanno sostenuto che non cederanno di un millimetro nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Inoltre hanno precisato che intendono attraverso altre iniziative di lotta costringere il governo Crocetta e quello Letta di mettere al centro la questione lavoro dando vita ai finanziamenti per l’apertura dei cantieri che riguardano: la ristrutturazione urgente di scuole sicurezza ambientale, difesa del suolo, ristrutturazione di ospedali e centri storici ecc. Pertanto hanno lanciato una manifestazione di lotta, a Catania per il lavoro. A questa manifestazione di Palermo non poteva certo mancare il compagno Francesco Campisi che, come sempre, ha cercato di dare visibilità al Partito anche sventolando la bandiera rossa con falce e martello e l’effige di Mao alla testa del corteo, dietro lo striscione unitario accanto ai lavoratori edili. Nel corso del corteo il compagno ha scandito le seguenti parole d’ordine riprese e ripetute da tutti i lavoratori, dirigenti compresi: “Crocetta, Crocetta oggi più che mai o ci dai il lavoro o te ne vai!”, “Lotta, lotta, lotta, non smetter di lottare, lavoro e diritti dobbiamo conquistare!”. E ancora: “Nord e Sud uniti nella lotta: governo Letta, cambia rotta!”. “Siamo sempre più incazzati vogliamo salari e pensioni aumentati!”, “Lavoro! Lavoro! Lavoro! Lavoro!”, “Il debito pubblico va pagato dai partiti che ci hanno governato!”, “I grandi patrimoni occorre tassare, ai giovani il lavoro bisogna dare!”, “Le spese militari, occorre tagliare, i beni alla mafia bisogna sequestrare, più posti di lavoro bisogna creare!”, “Né flessibile, né precario, lavoro per tutti pari salario!”. Il compagno ha continuato a sventolare la gloriosa bandiera del PMLI a conclusione della manifestazione tra i lavoratori anche sino sotto il palco dei comizi finali. Francesco Campisi - simpatizzante di Belpasso (Catania) bientaliste tra cui Legambiente e il comitato Tutela Fiume Calore, le Pro loco, delegati Anpas, lavoratori Irisbus e altri, per ribadire il loro no alla trivellazione per la ricerca improbabile di eventuale petrolio che arricchirebbe solo le compagine petrolifere a danno dell’ambiente e del territorio in una zona prettamente a vocazione agricola. “La terra è nostra e non si tocca”. L’hanno urlato lungo tutto il corteo. Una manifestazione organizzata a favore delle produzioni locali, della storia di un territorio che si è sempre contraddistinto per le sue bellezze non solo storiche, culturali e architettoniche, ma per la qualità dei prodotti provenienti dalla terra, dalle numerose coltivazioni, con aria e paesaggi sani. Una terra che, seppur risparmiata negli ultimi anni dal terremoto, è purtroppo ad altissimo rischio sismologico. “Le trivellazioni sono il prologo ad una nuova colonizzazione del meridione d’Italia” ha ribadito Carmine Cogliano, uno dei rappresen- spera e non si arrende. Il corteo è terminato, in piazza Neviera, dove era stato installato un palco per chi voleva intervenire. Presenti alla manifestazione anche rappresentanti della Basilicata con il Comitato No Triv Basilicata, dove le trivellazioni sono già all’opera, i quali hanno rimarcato: “il nostro augurio è che possiate vincere la battaglia che noi, purtroppo, abbiamo perso”. Presenti anche i rappresentanti del Codisam di Sant’Arcangelo Trimonte, e No Triv Sannio provenienti da Benevento. Insomma, si è trattato solo di una fase della lotta cominciata un anno fa, e che a singhiozzio è riuscita a coinvolgere, seppur con numerose difficoltà, le popolazioni irpine, ma che non finirà sicuramente qui. Un atto che è solo l’inizio del coro di protesta che da qui ai prossimi giorni si farà sentire sempre più imponente. Una battaglia per la difesa del territorio, per le acque, per l’aria salubre, per la salute, per la salvaguardia dell’agricoltura, dei beni paesaggistici e dei Gesualdo (Avellino), 22 dicembre 2013. La manifestazione organizzata dai comitati No-Triv irpini contro le trivellazioni petrolifere (foto del Coordinamento irpino No-Triv) tanti del coordinamento No Triv. “L’agricoltura, spina dorsale della nostra verde Irpinia, sarà costretta a capitolare di fronte alle fiammelle accese dei pozzi petroliferi. Il nostro bacino imbrifero, il più grande del meridione d’Italia che dà acqua a quattro regioni, sarà irrimediabilmente compromesso dall’avanzare delle compagnie petrolifere”. Cogliano, ha continuato dicendo che era importante manifestare il dissenso e la rabbia rispetto ad “una devastazione del territorio di per sé già annunciata, memori di quanto sta accadendo in Basilicata”. Così, rispondendo all’appello, centinaia di persone si sono raccolte nel piazzale Fiera per dare avvio al coro collettivo di dissenso contro i progetti di estrazione petrolifera avanzati dall’Italmin Exploration e dalla Cogeid e su cui la Regione dovrà pronunciarsi a breve. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “No petrolio. Stessa terra, stessa lotta”, retto da bambini e ragazzi, parte attiva della manifestazione, simbolo del futuro di una terra che beni storico-architettonici. Il coordinamento irpino No Triv Irpinia Beni Comuni, da tempo sta portando avanti un processo di sensibilizzazione, con l’obiettivo di coinvolgere innanzitutto le popolazione ad un’attiva partecipazione di massa. L’Organizzazione di Buonalbergo del PMLI appoggia e sostiene la lotta dei Comitati No Triv contro le trivellazione petrolifere, contro la devastazione dell’ambiente e del territorio, contro la speculazione delle holding capitalistiche che potranno trarre grossi introiti finanziari dal petrolio a discapito dei prodotti agricoli, dell’aria e del sottosuolo. I marxisti-leninisti sanniti ritengono che questa battaglia si possa vincere solo creando un largo fronte unito che coordini stabilmente le lotte dei diversi territori in conformità a una piattaforma unica e condivisa che diventi patrimonio di un unico e grande movimento di massa indipendente e autonomo dalle istituzioni rappresentative della borghesia. Caricato dalla polizia il corteo del 23 dicembre a Firenze Indetto per portare nel centro dello shopping natalizio le istanze dei senza casa Redazione di Firenze Il 23 dicembre, nel pomeriggio, il corteo indetto dal Movimento di lotta per la casa per portare nella vetrina dorata del centro cittadino, decorato per lo shopping natalizio, le istanze dei senza casa e dei poveri, si è tenuto nonostante il divieto della questura. Questa sfida alla Firenze del turismo d’elite e dei ricchi bottegai del centro è costata ai manifestanti una violenta carica della polizia, disposta a tutto pur di non turbare il clima festaiolo. 14 il bolscevico / esteri N. 2 - 16 gennaio 2014 Al vertice dell’Unione europea di Bruxelles la Germania della Merkel impone i suoi diktat Via libera all’unione bancaria nel 2014 I meccanismi di controllo partiranno entro il 2014 ma il fondo salvabanche comunitario sarà operativo solo nel 2026 Il vertice europeo di Bruxelles del 19 dicembre ha ratificato e approvato l’intesa raggiunta il giorno precedente dall’Ecofin, il consiglio dei ministri dell’Economia dei 28 paesi membri, in merito alla definizione di un meccanismo unico per il controllo e la gestione delle crisi delle principali banche nazionali, affidato alla Banca centrale europea (Bce). Un meccanismo per dare maggior stabilità a un sistema bancario ancora incerottato dagli effetti della crisi e un tassello importante per la nascita, nel 2014, dell’Unione bancaria. Unione bancaria che sarebbe uno strumento “per tutelare risparmiatori e evitare nuove crisi. Un buon passo verso una Ue più unita”, commentava con enfasi il presi- dente del consiglio italiano Enrico Letta. Certo l’accordo prevede anche la creazione di un fondo comune per il salvataggio delle banche in difficoltà ma tale fondo interverrà solo in seconda battuta, dopo che le banche in questione avranno dato fondo alle risorse di azionisti, investitori e correntisti oltre i 100 mila euro, solo dopo un via libera non automatico ma deciso dalla Bce col consenso dei governi e sarà operativo solo nel 2026. In ogni caso il sistema tutela casomai le banche e non i risparmiatori e non è detto che sia in grado di evitare nuove crisi. L’accordo, che prima di essere operativo dovrà passare al giudizio del parlamento europeo e poi ratificato di nuovo dall’E- cofin, prevede che entro il primo semestre del 2014 la Bce e l’Autorità bancaria europea (Eba) inizino a analizzare i requisiti patrimoniali e i bilanci delle banche sottoposte alla vigilanza che finiranno sotto l’autorità di vigilanza unica in capo alla Bce entro la fine dell’anno. Sotto la “tutela” della Bce finiranno le circa 130 principali banche della Ue, gli istituti definiti sistemici, quelli che hanno almeno 30 miliardi di asset e un’incidenza del 20 per cento sul prodotto interno lordo (pil) del proprio paese. Hanno invece mano libera, perché al di sotto di questi parametri, le casse di risparmio tedesche, di proprietà pubblica, che pure rappresentano quasi il 4% dell’intero sistema bancario eu- ropeo. Come voleva la Germania. Le regole di controllo devono valere soprattutto per gli altri paesi che a Berlino considerano meno “affidabili”. L’accordo dovrebbe servire a evitare che le banche dei singoli Stati falliscano in modo incontrollato e inneschino un effetto domino che metta a rischio il sistema finanziario proprio e degli altri paesi. Le dovrebbe soccorrere il Single resolution fund (Srf, nella sigla inglese) finanziato dalle stesse banche e che entrerà in funzione solo nel 2026 con una dotazione di 55 miliardi di euro. Una dotazione ridicola a fronte degli oltre 4.500 miliardi messi in campo dai governi dell’Unione negli ultimi anni. Certo non è detto che le banche in crisi richiedano ancora tra 10 anni i finanziamenti ingenti spesi dagli Stati per puntellarle durante l’attuale crisi ma è anche vero che la filosofia del “mutuo soccorso” tra i paesi Ue prevede che in prima battuta a pagare per la eventuale crisi della banca siano azionisti, obbligazionisti e tenutari di ricchi conti correnti come nel primo caso messo in pratica dalla Ue con le banche di Cipro. In seconda battuta potrebbe intervenire il Srf, il fondo autofinanziato dalle banche che lo faranno ovviamente pagare a tutti i loro clienti e non solo quelli “ricchi”. Difficile che intervenga il fondo salva-Stati Esm (European stability mechanism) costituito dopo la crisi finanziaria della Grecia ma utilizzato con parsi- monia per l’opposizione della Germania e se Berlino non vuole, Bruxelles si adegua anche se alla guida della Bce c’è l’italiano Mario Draghi. Il sistema di protezione della Ue si affida quindi al mercato che sostituisce l’intervento dello Stato, che dovrebbe intervenire quantomeno a tutela dei piccoli risparmiatori e punire i responsabili delle banche nel caso di crisi generate dalle speculazioni con la nazionalizzazione della banca. E dovrebbe intervenire sempre a tutela dei piccoli risparmiatori a maggior ragione in caso di crisi dovuta alla congiuntura economica che ha scosso e potrà scuotere in futuro anche il sistema finanziario capitalista. Con o senza l’Unione bancaria. Nel discorso per il 120° Anniversario della nascita di Mao Il rinnegato Xi Jinping “recupera” Mao per coprire la Cina imperialista siti della sinistra cinese: “chiudere con la politica di riforma e apertura” L’editoriale “Studiamo e applichiamo le opere di Mao per tenere fuori dal PMLI il revisionismo e il riformismo” sul numero scorso de Il Bolscevico denunciava che la cricca a capo del Partito comunista cinese, oggi un partito revisionista e fascista, ha visto nel 120° anniversario della nascita di Mao (26 dicembre) un’occasione per riscoprirlo opportunisticamente e rifarsi la faccia agli occhi delle masse oppresse e sfruttate della Cina. In effetti, con l’avvicinarsi dell’anniversario, in Cina sono state organizzate conferenze, pubblicati un libro e serie televisive sulla sua vita, scritti articoli di approfondimento su di lui, persino sono state ripulite le sue statue e restaurato il suo mausoleo a Pechino. Lo scopo palese dei rinnegati revisionisti cinesi è quello di mettere a punto un cambio di strategia, identificando in Mao non più il tiranno sanguinario responsabile “delle più pesanti perdite subite dalla Cina” (così lo tacciò Deng Xiaoping), bensì il precursore del “socialismo con caratteristiche cinesi” (leggi capitalismo) e del “sogno cinese del rinnovamento nazionale”, lo slogan lanciato nel 2012 dietro cui la superpotenza socialimperialista cinese punta a inaugurare una nuova fase caratterizzata dallo sdoganamento totale del libero mercato, proclamato “elemento decisivo” dell’economia dal terzo plenum del Comitato centrale del PCC svoltosi a novembre (cfr. Il Bolscevico n. 43/2013). Accanto ad una ancora più massiccia presenza sullo scacchiere internazionale, che attualmente vede la Cina ai ferri corti con l’imperialismo USA e giapponese per l’egemonia sul Pacifico. Il discorso di Xi Jinping Il piatto forte di questa operazione antistorica revisionista è il discorso tenuto da Xi Jinping, segretario generale del CC del PCC revisionista e presidente della Repubblica, al simposio commemorativo del 26 dicembre a Pechino. In questo discorso, annacquato qua e là da frasi di lode per il “grande marxista e grande rivoluzionario, stratega e teorico proletario”, Xi ha completamente stravolto il grande contributo di Mao alla causa del socialismo, sostenendo che con la sua epocale opera rivoluzionaria questo grande maestro del proletariato avrebbe “prodotto l’esperienza e posto le condizioni perché noi potessimo intraprendere la strada del socialismo con caratteristiche cinesi”. Il discorso è una sequela di assurdità e falsità, come quando vi si dice che “tutto il lavoro svolto dal 18° Congresso del Partito” (novembre 2012) ha “avan- zato e sviluppato al meglio” la causa “del primo gruppo dirigente centrale del Partito diretto dal compagno Mao Zedong”, fino ad affermare clamorosamente: “Oggi possiamo rassicurare il compagno Mao Zedong e gli altri rivoluzionari anziani che, sulla base della costruzione del socialismo da parte del Partito e del popolo da essi guidati, la politica di riforma e apertura e la modernizzazione della Cina hanno conseguito risultati epocali e che ora siamo più vicini che mai nella storia alla realizzazione dell’obiettivo del grande rinnovamento della nazione cinese”. Lo scopo è evidentemente quello di colmare l’abisso fra la fiorente epoca socialista di Mao, dove la classe operaia dirigeva tutto, e l’attuale dominio capitalista fondato sullo sfruttamento feroce e selvaggio della classe operaia e dei lavoratori e sull’oppressione dei popoli nella maglia del sempre più accanito imperialismo cinese. Nella stessa strategia rientra la campagna anticorruzione lanciata da Xi per lavare l’immagine del PCC, dopo decenni di corruzione sbracata che ha provocato il disgusto del popolo cinese, senza però cambiare la linea revisionista e anzi offrendo un’ottima occasione per regolare i conti fra le consorterie di palazzo, favorendo al contempo una sempre più accentuata personalizzazione del potere in Xi, presentato dalla propaganda come affabile “uomo del popolo” (nascondendo convenientemente le sue enormi ricchezze). Lo stesso presidente cinese ha dovuto ammettere che “il problema principale interno al Partito” è costituito dalla “insoddisfazione delle masse popolari”. Eppure, puntualmente, l’asino casca sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP), condotta da Mao fra il 1966 e il 1976 per smascherare e sconfiggere i dirigenti del partito e dello Stato avviatisi sulla via capitalista. Non a caso Xi riafferma che Mao “negli ultimi anni della sua vita commise gravi errori, la ‘rivoluzione culturale’ prima di tutti”. E non potrebbe essere diversamente, dato che l’attuale dirigenza è filiazione diretta dei vecchi revisionisti ai quali la GRCP ha impedito per dieci anni ciò che a Deng Xiaoping è riuscito nel 1978, ossia riportare la borghesia al potere. Insomma, tutta l’operazione fraudolenta si auto-smaschera come tentativo di recuperare la figura di Mao solo come guscio vuoto, continuando a rinnegarne il pensiero e gli insegnamenti. Come precisa categorico lo stesso Xi: “Senza riforma e apertura, non ci sarebbe il presente della Cina; se ci allontanassimo dalla riforma e apertura, non ci sarebbe il domani della Cina”. In altre parole: la restaurazione del capi- talismo non è in discussione. La verità è che il PCC ha rinnegato da tempo il marxismoleninismo-pensiero di Mao e il socialismo, ha restaurato il capitalismo dietro la facciata del “socialismo di mercato” e rappresenta ora la garanzia del potere della nuova e vecchia borghesia, dei burocrati corrotti e arricchiti, dei nuovi contadini ricchi. Ogni tentativo di sfruttare Mao per giustificare la Cina capitalista e la sua corsa a superpotenza è quindi inutile. Mao stesso, prevedendo questa possibilità, già nel 1966 con grande lungimiranza aveva scritto: “Qualora in Cina dovesse avere luogo un colpo di Stato anticomunista, sono sicuro che non sarà una cosa pacifica e che avrà vita breve, perché i rivoluzionari, che rappresentano gli interessi di più del 90% della popolazione, difficilmente lo potranno tollerare. La destra potrà anche usare queste mie parole per prendere il potere e tenerlo per un po’, ma la sinistra sicuramente sfrutterà le altre mie parole per organizzarsi e rovesciare la destra”. Prese di posizione della sinistra cinese Di tutt’altro tenore rispetto alle “celebrazioni” ufficiali la sincerità e l’emozione con cui il popolo cinese ha partecipato alle commemorazioni, portando fiori alle statue di Mao e partecipando ad iniziative commemorative, fra cui una camminata sulla strada di 5 chilometri percorsa per raggiungere i monti Jinggang, dai quali Mao avviò la rivoluzione a capo dell’Esercito Rosso. Si ha notizia di commemorazioni spontanee a Shaoshan, suo villaggio natale, e viaggi a Yan’an, quartier generale del PCC dopo la Lunga Marcia. A differenza di certi elementi ambigui della cosiddetta “nuova sinistra” (composta perlopiù da universitari e funzionari a favore del rafforzamento dell’economia pubblica), caduti come pere cotte nella trappola del partito revisionista, numerosi siti della sinistra cinese hanno pubblicato importanti e incoraggianti articoli commemorativi, nei quali hanno anche criticato esplicitamente il PCC, venendo rimbeccati dal Global Times, costola del Quotidiano del popolo, come “ultrasinistri”. È il caso di “Dongfanghong” (L’Oriente è rosso) che ha definito il suddetto terzo plenum del CC del PCC una “fase nuova e più intensa” della “lotta della borghesia contro la classe operaia”, o di “Maoflag” (Bandiera di Mao) che ha attaccato il “sogno cinese” come “antimaoista, anticomunista e antipopolare”, fino a “Redchina” (Cina Rossa) che ha scritto: “Per salvare l’economia cinese bisogna chiudere con la politica di riforma e apertura”. ue / il bolscevico 15 N. 2 - 16 gennaio 2014 Il PD a braccetto con la reazione e le destre al Parlamento europeo Rigettata la risoluzione Estrela sulla “Salute ed i diritti sessuali e riproduttivi” di Stefano Ancora una volta il Parlamento europeo si è fatto portabandiera di istanze clericali e reazionarie, tra le più becere della conservazione europea. All’inizio di dicembre l’Assemblea di Strasburgo ha definitivamente affossato una risoluzione sulla “Salute ed i diritti sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione, presentata dalla deputata socialista portoghese Edite Estrela – vice-presidente della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere – puntava a promuovere l’uso della contraccezione, a prevenire le discriminazioni di genere e di inclinazione sessuale, a stimolare la diffusione dell’educazione sessuale nelle scuole europee, e a tutelare l’aborto sicuro e legale in tutti i paesi dell’UE. In tre Stati membri dell’Unione (Irlanda, Malta, e Polonia) le donne non hanno accesso a questo diritto primario, e pene molto severe – che includono l’accusa di omicidio – sono contemplate dai rispettivi codici penali nel caso di aborti “clandestini”. Spesso anche il recarsi all’estero, in un paese che lo consente, per praticare l’interruzione di gravidanza viene considerato un reato ed è passibile di condanna. Di recente in Irlanda, una donna di 31 anni, Savita Halappanavar, è morta (o, meglio è stata assassinata) dopo che i medici le hanno negato l’aborto nonostante una evidente setticemia la stesse lentamente uccidendo. Il feto, che non permetteva la somministrazione delle cure è stato asportato solo dopo che ne è stato constatato il decesso cardiaco, ma ormai per la donna era troppo tardi. Savita è morta dopo un’ulteriore settimana di agonia. Sotto attacco il diritto d’aborto Come ben sappiamo, in Italia, il diritto all’aborto è continuamente sotto attacco da parte della chiesa, delle lobby più reazionarie, e da parte di buona parte delle forze politiche, che dalla destra alla “sinistra” borghese si prostrano a baciare gli anelli dei cardinali. Il fenomeno dell’obiezione di coscienza, non solo tollerato, ma ormai apertamente incentivato e promosso dai direttori sanitari (in quota a tutti i principali partiti borghesi) ha raggiunto un livello insostenibile, negando in molte realtà del Paese l’accesso ad un diritto riconosciuto da una legge, la 194, che in questo contesto rivela tutta la sua insufficienza ed inadeguatezza. Secondo quanto emerge dalla “Relazione sulla attuazione della legge 194/78”, rilasciata nell’ottobre 2012 dal Ministero della Salute, in Italia, negli ultimi cinque anni il numero degli obiettori di coscienza è cresciuto dal 58,7% al 69,3%. In alcune regioni come la Basilicata, la Campania, il Molise, la Sicilia, e la provincia autonoma di Bolzano, la percentuale di ginecologi obiettori supera l’80%. Le ripercussioni del fenomeno sui diritti delle donne ad un aborto sicuro e garantito hanno una chiara dimensione di classe, in quanto la possibilità di usufruire dei servizi di interruzione di gravidanza in altre regioni o in cliniche private – che speculano sulla salute delle donne – è chiaramente determinata delle capacità economiche. La cosiddetta “risoluzione Estrela” aveva l’obiettivo di uniformare i diritti sessuali e riproduttivi dei cittadini comunitari e di promuovere l’adozione di una legislazione minima (seppur insufficiente) in questo senso da parte di tutti gli Stati membri. In particolare, per quanto riguarda il diritto all’aborto il progetto di risoluzione affermava: “[il Parlamento] raccomanda che, come tematica che tocca i diritti umani e la salute pubblica, i servizi di qualità per l’aborto siano resi legali, sicuri, ed accessibili a tutti, nell’ambito dei sistemi di salute pubblica degli Stati membri, anche alle donne non residenti”. Un punto molto rilevante per il contesto italiano sottolineava come “l’aborto, anche quando è legale, è spesso evitato o prorogato da ostacoli che impediscono di accedere a servizi adeguati, come l’ampio ricorso all’obiezione di coscienza, periodi di attesa non necessari dal punto di vista medico o consulenze non obiettive; [il Parlamento] sottolinea che gli Stati membri dovrebbero regolarmente monitorare il ricorso all’obiezione di coscienza […] in modo da assicurare che l’assistenza sanitaria in materia di salute riproduttiva sia garantita come diritto individuale”. In chia- Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI Indirizzo postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI Iscrizione al Roc n. 8292 chiuso il 7/1/2014 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana ve opportunistica e tipicamente socialdemocratica la risoluzione riconosceva pari dignità all’obiezione di coscienza come “diritto individuale”, ma sottolineava come essa non dovesse avere il carattere di “una politica collettiva”. La risoluzione sottolineava poi il ruolo della pianificazione familiare volontaria come strumento per prevenire le gravidanze non desiderate, condannava (seppur con molta moderazione) le interferenze clericali in materia, e “invitava” i governi a non processare le donne che si sono sottoposte ad aborti clandestini. Tra le altre cose, la “risoluzione Estrela” invitava gli Stati membri (e tuttavia, non li vincolava – e legalmente non avrebbe avuto i poteri per farlo) a promuovere l’educazione sessuale completa e servizi su misura per gli adolescenti, la prevenzione e la cura delle infezioni sessualmente trasmissibili, e la condanna della violenza legata ai diritti sessuali, riproduttivi, al genere ed all’inclinazione sessuale. La risoluzione, che tuttavia non ha natura vincolante per gli Stati membri e che presentava evidenti mancanze dato il suo obiettivo dichiarato di rappresentare una base minima (ma garantita) di diritti per tutti gli Stati membri, è stata valutata come un sostanziale – seppur insufficiente – passo avanti da molte associazioni europee impegnate nel settore come la European Women Lobby Forum e lo European Parliamentary Forum on Population and Development o dall’Intergruppo per i Diritti delle persone LGBT. In particolare, Amnesty International aveva definito il testo come “un atto di forte consenso politico, capace di assicurare nel futuro il positivo sviluppo del diritto degli individui di controllare le proprie scelte sessuali e riproduttive, la loro integrità e dignità fisica, nonché la libertà dalla violenza, dalla coercizione e dalla discriminazione”. La destra e la “sinistra” borghese contro l’emancipazione femminile Tuttavia questo passo avanti, seppur limitato ed insufficiente, è parso troppo ambizioso per un’Assemblea sempre più in preda ad una deriva conservatrice e reazionaria. Fin dalla sua presentazione in aula la risoluzione ha dovuto fronteggiare un fuoco di fila incrociato che da una parte vedeva schierate tutte le forze della destra (dai liberali, ai moderati, passando per i conservatori ed i neo-fascisti), dall’altra mostrava una socialdemocrazia ed una “sinistra” divise, sostanzialmente rassegnate, e fortemente lacerate da pulsioni clericali. La relazione approvata in Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere con uno stretto margine di voti favorevoli è giunta in plenaria – al voto dei 766 deputati (73 italiani) che la compongono – in ottobre e dopo uno scarno dibattito è stata rispedita in Commissione per un ulteriore esame del testo. Il voto che determinò questo slittamento, tenutosi il 22 ottobre, è stato sostenuto da una maggioranza composta dal Partito Popolare Europeo (di cui fanno parte UDC, Forza Italia, e Nuovo Centro-Destra di Alfano), dai Conservatori e Riformatori Europei, e dal gruppo dell’Europa della Libertà e della Democrazia (di cui fa parte la Lega Nord, insieme a partiti dichiaratamente fascisti ed ultra-nazionalisti). In questa occasione – prima di una serie – mentre le destre si sono dimostrate unite nella conservazione, la socialdemocrazia e la “sinistra” non sono state in grado di porre un argine credibile. In particolare, nel caso del Partito Democratico ben cinque (su 22) deputati hanno fatto il gioco delle destre non votando (2), astenendosi (2), o addirittura votando a favore (1, Patrizia Toia); mentre quattro deputati risultavano assenti. Dopo un ulteriore voto in Commissione, la risoluzione è stata accantonata il 10 dicembre, a favore di una mozione delle destre che ipocritamente dichiarava la “non competenza dell’Unione europea in questioni riguardanti la definizione dei diritti sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione alternativa è stata approvata con 334 voti a favore e 327 contrari (35 astenuti). In questo senso la responsabilità del PD – e la doppiezza per quanto riguarda i diritti fondamentali della donna, e sulla pelle delle donne – emerge in tutta la sua enormità. In occasione del secondo voto, ben 8 deputati “democratici” si sono astenuti o hanno deciso di non votare (mentre tre risultavano assenti), sancendo la vittoria delle destre. Gli otto voti del PD avrebbero garantito – seppur con lo scarto di un solo voto – l’approvazione della risoluzione. Gli stessi otto deputati PD non si erano precedentemente opposti ad una mozione in tema di aborto e diritti sessuali e riproduttivi, poi rigettata dal Parlamento, presentata dall’ultradestra del gruppo dell’Europa della Libertà e della Democrazia. Di fronte all’enormità delle responsabilità, il PD evidentemente ormai totalmente vittima della lobby clericale e reazionaria ha preferito nascondere la testa sotto la sabbia o addurre argomentazioni che non fanno che confermare quanto è ormai sotto gli occhi di tutti. La deputata PD Patrizia Toia giustifica così il suo voto: “vi era un impianto troppo concentrato sull’aborto, delineato quasi come un diritto fondamentale della persona [...]. Altro punto negativo era la formulazione sull’obiezione di coscienza: riteniamo che l’obiezione sia uno dei diritti da garantire agli operatori sanitari, come da garantire è l’accesso a tutti i servizi previsti dalla legislazione, aborto compreso”. Grazie alle sciagurate scelte del “nuovo” PD di Renzi ed alle esitazioni e all’inconcludenza della socialdemocrazia e della “sinistra” borghese europea gioiscono i reazionari e le forze della conservazione di tutto il Continente, mentre continuano a piangere le donne, specie quelle delle masse popolari che rappresentano le vittime designate. Una direttiva della UE favorisce i padroni e supersfrutta i lavoratori Il lavoro distaccato a basso costo è una forma di schiavitù moderna I ministri del Lavoro dei 28 Paesi dell’Unione europea (Ue) hanno messo a punto nello scorso dicembre una direttiva che nelle loro intenzioni dovrebbe mettere fine o quantomeno limitare fortemente gli abusi nei contratti dei lavoratori distaccati da un paese all’altro della comunità europea. Per i sindacati europei questa decisione codifica invece “una forma di schiavitù moderna” per i lavoratori dei paesi più poveri della Ue. Le normative che riguardano il lavoro distaccato a basso costo, oggetto della revisione attuale, erano state varate nel 1996 in seguito all’entrata di Spagna e Portogallo nella Ue per impedire la “concorrenza sleale” dei lavoratori dei due paesi che allora avevano salari più bassi della media europea. Secondo tali normative i lavoratori temporaneamente distaccati dovevano avere condizioni di lavoro eguali a quelle del paese dove erano inviati, dal salario alle garanzie antinfortunistiche, mentre i contributi continuavano ad essere pagati nel paese d’origine. L’applicazione della legge ha fatto registrare un elenco di abusi e irregolarità dei capitalisti dei vari paesi che hanno trovato velocemente la maniera di aggirarla a spese dei lavoratori e col via libera di fatto dei governi che non organizzavano forme efficaci di controllo. Prosperavano metodi semi-illegali come quello di lavoratori assunti da una società straniera per essere pagati alle condizioni peggiori per loro, a quelli illegali come l’uso di finte buste paga che registravano un salario superiore a quello effettivamente pagato, le trattenute obbligatorie per pagarsi vitto e alloggio a prezzi esorbitanti, straordinari e lavori nei giorni festivi non pagati. La questione delle condizioni dei lavoratori distaccati a basso costo si è riproposta negli anni più recenti in particolare tra il 2004 e il 2007 con l’ingresso nella Ue dei paesi dell’Est e successivamente con l’esplosione della crisi economica che ha spinto disoccupati e poveri dell’Est a cercare lavoro e condizioni di vita migliori nella parte ricca dell’Europa. Il numero ufficiale dei lavoratori distaccati è di 1,5 milioni, quello reale molto più alto, e concentrato in settori quali l’edilizia, l’agricoltura e la ristorazione. Già nel 2005 la Ue aveva cercato di modificare le normative ma in peggio, con la famigerata “direttiva Bolkestein” poi ritirata, che avrebbe permesso di assumere i lavoratori ai livelli salariali del paese d’origine. Nella realtà leggi peggiorative per la tutela dei lavoratori erano messe in atto grazie all’applicazione delle normative sulla liberalizzazione delle “prestazioni di servizi”. Come confermano diversi casi di denunce finite alla Corte di giustizia europea come quella dei sindacati svedesi che sono stati condannati per aver cercato di bloccare l’attività in Svezia di una ditta lettone di lavori pubblici che assumeva a condizioni lavorative baltiche. La stessa Corte condannava invece nel 2008 il Lussemburgo per non aver rispettato la direttiva del ’96 e permesso il pagamento dei lavoratori stranieri distaccati con stipendi più alti di quanto previsto dal salario minimo. Secondo il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini “con l’accordo raggiunto alla fine di un lungo negoziato, la direttiva Distacco dei lavoratori rafforza uno strumento efficace nel contrasto di abusi, frodi e dumping sociale tra paesi europei”. Per la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, non uniformerà i diritti dei lavoratori ai livelli più alti di tutela e anzi creerà forme “moderne” di schiavitù. Un nuovo regalo ai padroni da parte della Ue capitalista. 16 il bolscevico / PMLI N. 2 - 16 gennaio 2014 Il 7 Novembre abbiamo traslocato nella nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”, più grande e più moderna rispetto alla precedente. Si tratta di un grosso impegno finanziario che non possono sostenere da soli i militanti del PMLI. Pertanto lanciamo un appello urgente a tutte le simpatizzanti e i simpatizzanti, a tutte le amiche e gli amici del Partito per aiutarci a sostenere le spese iniziali e l’affitto mensile, entrambi piuttosto rilevanti. Le donazioni possono essere consegnate di persona oppure attraverso il conto corrente postale numero 85842383 intestato a PMLI – via Gioberti 101 – 50121 Firenze. Presto cambieremo l’indirizzo. Nella causale scrivere: Donazione per la nuova Sede centrale. Grazie di cuore per tutto quello che potete fare. Anche un euro ci è utile. Che la nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” porti idealmente impresso il nome di tantissimi donatori.