Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 2 - 16 gennaio 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Documento della Commissione di massa del CC del PMLI
Diamo battaglia al XVII
congresso della Cgil
Uniamo la sinistra contro
la destra della Camusso
Appoggiamo la mozione 2
Rilanciamo la proposta del PMLI sul sindacato delle lavoratrici
e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
PAG. 8
Molte critiche alla dirigenza LaNdini accredita Renzi.
Andrea Cammilli giudica fallimentare Assurdo
la segreteria Camusso
della Cgil
Al direttivo provinciale della FILCTEM di Pisa
PAG. 9
PAG. 4
Il 9 gennaio 1950 furono 6 gli operai uccisi e
centinaia i feriti dalle “forze dell’ordine” del
criminale DC Scelba
Onore ai sei martiri
Non è vero che è stato abolito
dell’eccidio di
il finanziamento pubblico ai partiti
Modena
Continuerà fino al 2017
Il decreto legge del governo Letta-Alfano toglie soldi allo Stato, consente allo Stato di ingerirsi nella vita
interna dei partiti e di schedare i donatori, favorisce l’influenza dei capitalisti e dell’alta borghesia sui partiti
Il finanziamento dei partiti deve avvenire
senza l’intermediazione dello Stato
Migranti a Lampedusa
trattati come animali
Inchiesta di Spi CGIL e IPSOS
Nudi e al gelo, donne
e uomini, disinfestati
con un idrante PAG. 3
PAG. 5
Un incancellabile crimine
della borghesia
di Stefano (Modena)
PAG. 4
5 mila in corteo
antirazzista a roma
PAG. 3
Volantinaggio a
un anziano su
due non riesce ad 3,7 milioni di giovani non Fucecchio e banchino
per Stalin a Modena
arrivare a fine mese lavorano né IL PMLI
studiano
PAG. 11
il 37% riduce i consumi alimentari, in tanti
rinunciano alle cure
La metà nel
Il governo Letta-Alfano non fa
niente per i pensionati PAG. 2 Mezzogiorno
INVITATO AI
PAG. 2
CONGRESSI
DI PRC E SEL
Il neopodestà De Magistris apre a Renzi e A BIELLA
Nell’attesa che Bassolino e Caldoro sciolgano la riserva
al PD per ricandidarsi a sindaco di Napoli
In quasi tre anni non ha fatto nulla per lavoro, periferie, servizi sociali.
La raccolta differenziata ferma al palo
PAG. 6
Urban ha portato il
saluto del Partito
PAG. 12
Per il 90° anniversario della scomparsa del grande
Maestro del proletariato internazionale
Onoriamo Lenin
a Cavriago
il 19 gennaio
Partecipiamo numerosi
PAG. 13
2 il bolscevico / interni
N. 2 - 16 gennaio 2014
Inchiesta di Spi CGIL e IPSOS
Un anziano su due non riesce ad arrivare
a fine mese
Il 37% riduce i consumi alimentari, in tanti rinunciano alle cure
Il governo Letta-Alfano
non fa niente per i pensionati
Quasi un pensionato su due
non riesce ad arrivare a fine mese.
Il 46,2% si ritrova a dover rinviare pagamenti, intaccare risparmi
e chiedere prestiti e aiuti. Sono
tra i preoccupanti dati emersi da
un’analisi svolta da Spi-Cgil in
collaborazione con la società di
sondaggi IPSOS su consumi e
potere d’acquisto dei pensionati.
Solo il 29,5% del totale dei pensionati italiani riesce ad arrivare a
fine mese “senza problemi”. Un
altro 24% è costretto a spendere
quasi tutta la pensione, mentre
il 37% è addirittura costretto a
ridurre le spese per i generi alimentari o rinunciare a consumi
importanti, tra cui le spese mediche sempre più inaccessibili in
conseguenza di ticket sempre più
cari e la necessità di ricorrere ai
privati. Tra chi sopravvive grazie
al sostegno di amici e parenti, il
60% ha tagliato i consumi neces-
sari e il 23% consumi importanti.
Inoltre almeno il 22% dei pensionati vive il dramma della povertà,
con quasi l’8% alla fame.
Un dato significativo che
emerge dall’analisi di Spi-Cgil e
che contribuisce a rendere ancora più drammatica la situazione
economica degli oltre 18 milioni
di pensionati italiani, è che essi
sono costretti a svolgere un ruolo
di sostegno economico ai figli e
ai nipoti che sempre più spesso
hanno perso il posto di lavoro o
che non riescono a trovare un’occupazione. È infatti quasi la metà
di loro (il 42,6% ) che aiuta economicamente i propri familiari. Di
questi il 14,4% dichiara che negli
ultimi tre anni ha dovuto prodigarsi spesso in aiuti economici.
Gli interventi antipopolari dei
governi italiani, oltre che la crisi
internazionale del capitalismo,
dopo aver tolto alle pensioni più
povere un notevole potere d’acquisto, ha anche costretto la
stragrande massa dei pensionati
popolari a svolgere un compito di
assistenza sociale alle famiglie.
Una condizione insostenibile che
costringe i pensionati ad intaccare i risparmi, a ricorrere a prestiti
ed indebitarsi ed è l’ennesima
dimostrazione che il governo sta
scaricando sulle masse popolari tutto il peso della crisi. Non fa
niente il governo Letta-Alfano per
risollevare la sorte dei pensionati
italiani. Basti pensare che non è
stata reintrodotta nella legge di
stabilità, approvata il 27 dicembre dal parlamento nero, neanche
la promessa indicizzazione piena
al costo della vita delle pensioni
inferiori a quattro volte il trattamento minimo
Senza contare i provvedimenti che si abbatteranno come una
stangata sulle pensioni minime
e più povere, determinando un
ulteriore peggioramento delle
condizioni dei pensionati italiani.
Per migliorare la condizione dei
pensionati italiani è necessario in
primo luogo abrogare le controriforme pensionistiche Fornero,
Amato, Dini e Prodi, rilanciare un
sistema pensionistico pubblico,
universale, unificato, a ripartizione, fondato sulla contribuzione
obbligatoria e con una tassa sui
profitti dei capitalisti, rivalutare
automaticamente le pensioni in
base all’aumento del costo della
vita e alla media della dinamica
salariale nel lavoro dipendente,
elevare le pensioni minime da
lavoro, che comunque non siano
inferiori a mille euro netti mensili
indicizzati, aumentare la pensione sociale (assegno sociale)
fino alla metà del salario mensile
medio degli operai dell’industria,
con rivalutazione annuale sui dati
Istat. In ogni caso la più bassa
Richiedete
opuscolo
n. 16
3,7 milioni di giovani
non lavorano
né
studiano
La metà nel Mezzogiorno
Il 14 dicembre scorso l’Istat ha
pubblicato una stima sui cosiddetti Neet (giovani che non lavorano
né studiano, dall’acronimo inglese: Not in Education, Employment
or Training), che fotografa ancora
una volta la drammatica condizione della disoccupazione giovanile
nel nostro Paese. Secondo le rilevazioni, infatti, ben 3,75 milioni
di giovani tra i 15 e i 34 (uno su
quattro) rientrano in questa categoria, in notevole aumento rispetto ai 3,43 milioni del terzo trimestre 2012. Ben il 28,5% (nonché
la metà dei 29-34enni) si trova nel
Mezzogiorno. È una delle percentuali più alte d’Europa, vicino alla
Grecia.
Più nel merito, l’Istituto di
statistica precisa che la maggioranza dei Neet sono donne. In
gran parte (1,8 milioni) hanno
conseguito la maturità, seguiti da
chi ha solo il diploma di scuola
media (1,5 milioni) e dai laureati
(437mila).
Stiamo parlando di una urgentissima piaga sociale (che si aggiunge al 41,2% di disoccupazione giovanile ufficiale) prodotta
principalmente dalla disillusione
verso la possibilità di trovare lavoro (tanti Neet raccontano storie drammatiche di sfruttamento,
licenziamenti arbitrari e infiniti
tentativi andati a vuoto per ritro-
vare un posto) e che rischia di gettare tantissimi giovani nel lavoro
nero, nel precariato a vita, nella
miseria, nello sconforto e nel malessere sociale, quando non nella
criminalità, senza previdenza sociale. Infine, questi giovani rappresentano un ingente reggimento che si aggiunge all’“esercito di
riserva” (Marx) dei disoccupati
che i capitalisti possono, all’occorrenza, spolpare fino all’osso a
bassissimo costo.
Per capire quanto questo fenomeno si stia aggravando, oltre ai
dati statistici, basta pensare al fatto che il termine “Neet” fu coniato in Inghilterra sotto il governo
neoliberista di Tony Blair alla fine
degli anni ’90 per indicare i giovani fra i 16 e i 18 anni. In Italia,
fino a ieri la fascia arrivava ai 29
anni, nell’ultima rilevazione è stata alzata a 34 anni.
Per suo conto il governo Letta ha messo in campo proposte
del tutto evanescenti e insufficienti, come la “Garanzia giovani” che però interessa solo i neodiplomati e neo-laureati sotto i 29
anni ai quali vengono date briciole. Non che ci si possa aspettare
molto altro da un ministro del Lavoro come Enrico Giovannini che
quando era presidente dell’Istat
ha portato da 0 a 400 i precari in
questo Istituto.
Come ha scritto il PMLI
nell’appello “Giovani, date le
ali al vostro futuro”, il capitalismo “si è dimostrato incapace di
dare ai giovani lavoro e istruzione” e “continua, macelleria sociale dopo macelleria sociale, a rubare il futuro a migliaia di giovani
per ingrassare la grande finanza, il
pensione non deve essere al di
sotto dei mille euro netti mensili
indicizzati.
Ci chiediamo in ogni caso
cosa aspettino i sindacati confederali e i “sindacati di base” a
indire subito uno sciopero generale di 8 ore unitario con manifestazione nazionale a Roma per
fermare la macelleria sociale di
Letta e Alfano avallata da Napolitano?
Le richieste
vanno
effettuate a:
PMLI
[email protected]
grande capitale, gli speculatori e i
politicanti borghesi”. Perciò “l’unica vera alternativa passa dalla
distruzione di questo sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo e dalla sua sostituzione
con il socialismo, la società dei lavoratori, con classe operaia al potere”.
indirizzo postale:
PMLI
Via Antonio del
Pollaiolo, 172a
50142
Firenze
In alcune scuole sorteggiati i pochissimi che riceveranno lo stipendio
Letta ruba la 13ª ai docenti precari
Il programma liberista e di
massacro sociale del governo
Letta-Alfano è sempre lo stesso
dei governi che lo hanno preceduto: superare la crisi finanziaria
ed economica capitalistica a spese dei diritti e delle condizioni dei
lavoratori e delle masse popolari.
Il piatto forte, questa volta, per
fare cassa, “risanare” i conti dello
Stato e rilanciare l’economia capitalistica, è quello di torchiare i
lavoratori statali e fra questi, di
impoverire i più poveri, pescando nelle tasche, già abbondantemente vuote, dei precari della
scuola.
Il ministero dell’Istruzione,
a fronte dei tagli ai fondi per l’istruzione pubblica, non ha inviato i finanziamenti necessari alle
Numero di telefono e fax della Sede centrale
del pmli e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de
“Il Bolscevico” è il seguente: 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo.
scuole per pagare novembre e
dicembre ai supplenti. “Un’operazione che andava assolta entro
lo scorso 13 dicembre: per motivi
tecnici se ne riparlerà non prima
di gennaio – affermano i precari –
lasciando così ‘a bocca asciutta’,
senza nemmeno la percentuale di
tredicesima dovuta, le migliaia di
docenti e Ata che anche nel corrente anno scolastico hanno stipulato un contratto con la scuola
di servizio”. E visto che lo Stato
è moroso nei confronti di buona parte delle circa 8mila scuole
italiane, le segreterie scolastiche, oltre a che pagare in ritardo
quanto dovuto, hanno diluito i
pagamenti allo stesso lavoratore, nei limiti dei fondi disponibili
e in modo proporzionale oppure
hanno organizzato dei veri e propri sorteggi. Come otto mesi fa a
Grosseto, in una scuola la preside ha deciso di estrarre a sorte
5 supplenti su 18 a cui pagare
gli stipendi: in cassa, dallo Stato
sono arrivati solo 6mila euro, anziché 20mila. Come se il diritto al
lavoro e allo stipendio fosse una
lotteria.
Ma, come si suol dire, piove sul bagnato. Ai precari della
scuola, docenti e amministrativi,
è caduta un’altra tegola altrettanto onerosa; un provvedimento
inserito nella spending review varata dal governo Monti nel 2012 e
messo in atto con un’interpretazione ancora più letale dal governo Letta-Alfano, ha eliminato per
tutti i dipendenti pubblici il diritto
alla monetizzazione delle ferie
non godute. Il ministero dell’Economia il 4 settembre scorso ha
diramato una nota interpretativa
con la quale ha stabilito la retroattività del provvedimento, e cioè
la monetizzazione a partire dal 1
gennaio 2013, invece che dal 1
settembre 2013 (come prevedeva la legge di Stabilità); questo ha
reso il provvedimento ancor più
antipopolare e ingiusto. Almeno
duecentomila insegnanti precari,
dall’infanzia alle superiori, oltre a
dover convivere con contratti a
tempo determinato, non riceveranno a fine anno i mille euro a cui
avrebbero diritto. Per molti insegnanti era una risorsa economica
fondamentale, tra crisi economica e pause estive senza lavoro,
mentre per le casse dello Stato il
risparmio sarà invece minimo, tra
i 100 e i 200 milioni di euro.
Anche dal punto di vista giuridico è inaccettabile: “Si crea inoltre un pericoloso precedente che
apre la strada ad ulteriori disparità di trattamento fra lavoratori
dello stesso settore – affermano
in un volantino diffuso dai precari
della scuola di Milano - Lo scopo evidente è quello di mettere in
discussione il sistema stesso dei
Contratti Collettivi del Lavoro e lo
Statuto dei lavoratori”. La peculiarità per gli insegnanti è che, a
differenza di quanto accade negli
altri comparti, essi non possono
andare in ferie durante l’anno
ma solo a lezioni finite o quando
la scuola è chiusa. I supplenti in
quanto precari non potranno godere dello stesso diritto poiché a
lezioni finite vengono licenziati e
lasciati senza stipendio per poi,
forse, essere riassunti dopo le
vacanze natalizie e pasquali, o al
settembre successivo.
I precari, infine, chiedono “a
tutti i lavoratori della scuola di
scendere in piazza per un primo momento di protesta contro
quest’ennesimo attacco! E a sindacati, partiti, associazioni e cittadini solidali di sostenere questa
giusta lotta”.
interni / il bolscevico 3
N. 2 - 16 gennaio 2014
Migranti a Lampedusa trattati come animali
Nudi e al gelo, donne e uomini, disinfestati con un idrante
L’infame spettacolo di un filmato girato a Lampedusa – quello di un gruppo di migranti nudi e
al freddo che vengono irrorati con
un idrante per essere disinfestati
– ha inorridito il mondo intero e
mostrato dove può portare la politica xenofoba e razzista adottata
dalla Ue imperialista e dai suoi Paesi membri come l’Italia. Immagini che richiamano alla memoria
quelle dei lager nazisti.
Ovviamente costituiscono ipocrisia allo stato puro le prese di
posizione - a parole - durissi-
me contro tale trattamento, come
quelle del commissario europeo
Cecile Malstrom che minaccia lo
stop agli aiuti per l’Italia da parte
della Comunità, del ministro degli
Esteri Emma Bonino e della Salute Beatrice Lorenzin oltreché del
nuovo segretario del PD Matteo
Renzi che si indignano per le orribili immagini, ma sono corresponsabili della politica imperialista
che provoca guerre, saccheggio e
fame nei paesi del Sud del mondo.
Con sprezzante arroganza razzista il nuovo segretario della
Lega Matteo Salvini invita i migranti a tornare a casa loro, come
se essi fossero stati nella condizione di poter scegliere e non nella
disperata necessità di sopravvivere a guerre, fame e privazione dei
più elementari diritti provocati dal
sistema economico che è alla base
di tutto ciò, e che egli sostiene.
Ridicola e palesemente falsa
è poi la giustificazione del ministro degli Interni Angelino Alfano,
secondo cui i migranti spazientiti
si sarebbero spontaneamente denudati all’aperto come forma di
protesta, fatto sdegnosamente respinto dal deputato PD di origine
marocchina Khalid Chaouki che
ha parlato di “una balla colossale e
una presa in giro nei confronti dei
milioni di persone che in tutto il
mondo hanno visto quelle immagini”, cosa che non deve stupire
perché tali menzogne provengono
da chi fino a ieri era il tirapiedi di
un delinquente come Silvio Berlusconi e ora è il braccio destro di
Letta.
Nel frattempo il ministro Alfano ha avviato la procedura
di risoluzione della convenzione con la cooperativa affidataria
della gestione del centro di Lampedusa, per grave inadempienza contrattuale, risoluzione, che
sarà operativa tra 30 giorni, e che
consentirà l’affidamento del servizio a un nuovo gestore. Eppure
ben sappiamo che le responsabi-
lità di tale mostruoso trattamento
ai danni dei migranti non cadono
solo sulle spalle di quei lavoranti e degli aguzzini che dirigevano quella cooperativa ma pesano
come macigni sul governo e sulle
istituzioni borghesi italiane, sul
sistema economico capitalistico, sull’imperialismo e sulle politiche di sfruttamento e di rapina dei paesi più poveri e arretrati
del mondo.
Nel Centro di identificazione ed espulsione di Roma
Dieci migranti per protesta si
cuciono la bocca
“Trattati come animali in gabbia”
Un fotogramma tratto dal video fatto da un internato sui maltrattamenti subiti dai migranti nel Centro di prima accoglienza
e soccorso dell’Isola di Lampedusa e trasmesso dal TG2
Non si sono ancora spenti gli
echi della drammatica protesta che
tra il 21 e il 23 dicembre scorso ha
portato in totale dieci migranti reclusi nel Centro di identificazione
ed espulsione di Ponte Galeria vicino a Roma - a cucirsi la bocca
per protesta e a iniziare uno sciopero della fame. I migranti hanno preso la parte metallica di un
accendino trasformandolo in un
ago, poi hanno scucito una coperta prendendo del filo, e si sono cuciti la bocca. L’iniziativa è partita
da un giovane Imam maghrebino
di 32 anni, poi subito imitato da al-
tri tre fino ad arrivare a dieci, con
una forma di protesta senza precedenti nei confronti di quei veri
e propri lager che sono diventati i
Centri di identificazione ed espulsione (CIE).
Dei dieci manifestanti soltanto due sono ex detenuti in attesa
di espulsione, mentre gli altri otto
sono richiedenti asilo che - sbarcati a Lampedusa - hanno visto
immediatamente respinta la loro
domanda e sono in attesa di rimpatrio.
Il motivo fondamentale della protesta sono sia le condizioni
disumane in cui i migranti sono
costretti a vivere (con un notevole sovraffollamento ed anche con
penuria di viveri e dei più elementari generi di conforto) sia i tempi
lunghissimi di detenzione nei CIE
(che possono arrivare fino a 18
mesi), tanto che uno dei migranti
che ha partecipato alla protesta Ahmed - ha detto chiaramente che
vengono “trattati come animali in
gabbia”.
Eppure né il governo né il parlamento hanno preso una qualche
iniziativa per chiudere immediatamente i lager dei CIE.
5 mila in corteo antirazzista a roma
Il 18 dicembre, in contemporanea con tante città d’Italia e di Europa, Roma è stata testimone di
una bella e combattiva giornata di
lotta in occasione della Giornata di
azione globale contro il razzismo e
per i diritti dei migranti, rifugiati e
sfollati.
In 5 mila si sono dati appuntamento in piazza Esquilino, per dar
vita ad un colorato corteo con alla
testa lo striscione “Roma Meticcia,
le lotte contro l’austerità e la precarietà non hanno frontiere”. Un
corteo per immaginare una città e
mondo senza frontiere, quelle che
uccidono, come è accaduto soltan-
to recentemente a Lampedusa e
come continua ad accadere in tutto il Mediterraneo. “Frontiere che
costringono chi riesce a penetrare nelle spesse mura della ‘fortezza Europa’ ad essere perennemente ricattato - si leggeva nell’appello
diffuso per promuovere il corteo
-, soggiogato da un lavoro sempre
più precario, dentro una società che
vorrebbero individualista e divisa,
in preda a meccanismi di rivalità e concorrenza, di isolamento se
non di conflitto fra culture, territori, persone”.
Il serpentone, composto da migliaia di migranti, tra cui tanti ri-
chiedenti asilo e rifugiati, dai movimenti per il diritto all’abitare,
dalle associazioni antirazziste, e
dagli attivisti degli sportelli e le
scuole d’italiano autogestite, ha
sfilato per il quartiere multiculturale di Piazza Vittorio, ed è arrivato
a San Lorenzo per concludersi davanti a uno stabile occupato da tre
mesi da richiedenti asilo e rifugiati.
“Siamo tutti antifascisti” questo lo
slogan che risuona e rimbalza per
tutto il corteo.
La giornata romana inizia presto con un blitz a Fontana di Trevi, trasformata simbolicamente nel
Mediterraneo delle stragi di mi-
granti. Decine di sagome vengono lasciate galleggiare sull’acqua.
Ciascuna riporta la data e il numero delle vittime dei naufraghi e degli affondamenti. “Abbiamo voluto
denunciare l’ipocrisia delle lacrime
di coccodrillo e delle parole delle
istituzioni dopo l’ultima strage di
Lampedusa, dichiara un attivista
della rete Yo Migro. Questi non
sono incidenti ma una conseguenza delle politiche europee e italiane”. La richiesta è univoca: abolire
la Bossi-Fini, chiudere i Cie, modificare le regole europee sull’accoglienza, rivedere i respingimenti.
Altre manifestazioni si sono
svolte in Sicilia, alle porte del gigantesco centro di accoglienza di
Mineo. A Padova una nuova occupazione dedicata a Don Andrea
Gallo ha dato ospitalità a una cinquantina di richiedenti asilo e rifugiati.
A Bologna è sfilato un corteo
contro la riapertura del Cie cittadino. Qui i manifestanti sono stati caricati a freddo dalle “forze
dell’ordine” mentre si apprestavano a tracciare una semplice scritta
sul muro di cinta della struttura in
via Mattei: “La riapertura di questo luogo - spiegano - è un oltraggio alla nostra città. Qui nessuno
lo vuole, neanche le istituzioni, e
se Alfano non farà marcia indietro
continueremo la mobilitazione per
impedirlo”.
Tra i promotori italiani della giornata di mobilitazione ARCI
(Italia), Soleterre Onlus (Italia);
CGIL (Italia); Federazione Africana in Toscana (Italia); AceA Onlus
Associazione Consumi Etici e Stili di Vita Solidali (Italia); MAIRI
Mutuo Aiuto Immigrati Residenti in Italia; Rete Nazionale Primo
Marzo (Italia); Rete Antirazzista
Catanese; Confederazione Cobas
di Catania; Campagna Welcome
(Italia).
Il ministro della Difesa agli immigrati
Se andate come soldati in Afghanistan vi daremo la cittadinanza
“Penso che più di ius soli,
in Italia avremmo bisogno dello
‘ius culturae’. Perché non facciamo una piccola modifica alla
Costituzione in modo da poter
consentire a chi arriva in Italia
di poter far parte delle forze
armate? Questo naturalmente purché abbiano un minimo
di requisiti”: è la proposta che
il ministro della Difesa Mario
Mauro ha lanciato in un’intervista al quotidiano neofascista e
berlusconiano “Libero” del 27
dicembre scorso, dopo aver
magnificato l’operazione “Mare
nostrum” della marina militare
nel canale di Sicilia, missione a
suo dire umanitaria di “monitoraggio e aiuto agli immigrati”.
“Oggi – ha spiegato il ministro - si può fare il militare solo
se si è cittadini italiani. Bisognerebbe fare come negli Stati
Uniti dove, se si presta servizio
nelle forze armate per un certo
I nuovi ascari dell’Italia imperialista
periodo, si è agevolati nel conseguimento della cittadinanza”.
L’idea di Mauro, su cui nessuno
ha trovato nulla da obiettare o
tanto meno da indignarsi – né
da Palazzo Chigi, né dal Quirinale e nemmeno dalla nuova
Segreteria del PD – è dunque
quella di costituire una specie
di “legione straniera” italiana,
come quella in forza all’imperialismo francese che ne sta
facendo un intenso uso nelle
sue incursioni neocolonialiste
in Africa occidentale. O più precisamente una truppa di nuovi
ascari dell’imperialismo nostrano, sul modello delle truppe
mercenarie arruolate tra le popolazioni delle colonie italiane
dell’Africa orientale, e utilizzate
come bassa forza militare nelle
guerre coloniali in Eritrea, Abissinia, Somalia e Libia, e successivamente anche e soprattutto
da Mussolini per l’aggressio-
ne all’Etiopia e nella 2ª guerra
mondiale.
È disgustoso e intollerabile che mentre con una mano il
governo borghese attua tutta
una serie di persecuzioni e discriminazioni fasciste e razziste
nei confronti degli immigrati,
rinchiudendoli nei lager dei Cie,
criminalizzandoli come clandestini, negandogli il lavoro e i
diritti di cittadinanza e sottoponendoli al ricatto perpetuo del
permesso di soggiorno, con
l’altra offra loro l’opportunità
di “salvarsi” da questo inferno a patto che siano disposti
ad arruolarsi come ascari per
servire l’imperialismo italiano in
Afghanistan e in altre sue future
avventure neocolonialiste all’estero.
E non è un caso che questa
infame proposta venga da un
ciellino come il ministro Mauro,
avvezzo perciò a mascherare il
razzismo e il fascismo insiti nella sua proposta con l’ipocrisia
cattolica di “favorire l’integrazione” degli immigrati. Mentre
in realtà è un “falco” militarista
e guerrafondaio già distintosi
in diverse occasioni per altre
dichiarazioni e iniziative esplicitamente volte ad esaltare e
rafforzare le forze armate interventiste: come per esempio
la sua dichiarazione che “per
amare la pace bisogna armare
la pace”, come l’aver proceduto
d’ufficio all’acquisto degli F-35
ignorando il dissenso popolare
e parlamentare, o come l’aver
preteso e ottenuto due miliardi
nella legge di stabilità per riarmare la marina militare, o come
ancora l’aver annunciato che
in Afghanistan resteranno 800
militari italiani anche dopo il ritiro del 2015 già approvato dal
parlamento. Per non parlare del
Muos, dei droni, della portaerei
L’ipocrisia cattolica del ministro ciellino guerrafondaio Mauro in visita natalizia al contingente italiano in Afghanistan
Cavour mandata in giro per il
mondo a vendere armi italiane,
e così via.
È significativo altresì che il
ministro proponga di modificare la Costituzione, visto che
attualmente occorre essere
cittadini italiani per indossare
l’uniforme. Un suggerimento, il
suo, al parlamento nero e alla
Commissione incaricata della controriforma neofascista e
presidenzialista della Costituzione, per inserirvi anche una
deroga che permetta l’arruolamento di immigrati come nuovi
ascari dell’esercito interventista
col miraggio di guadagnare
punti per l’ottenimento della cittadinanza italiana.
4 il bolscevico / interni
N. 2 - 16 gennaio 2014
LaNdini accredita Renzi. Assurdo
Il dialogo sbocciato apparentemente all’improvviso alla vigilia delle primarie dell’8 dicembre, con un incontro a Firenze tra
il segretario della Fiom Maurizio
Landini e il democristiano Matteo
Renzi, si sta rivelando sempre più
come una vera e propria intesa
politico-sindacale, tanto più assurda e sconcertante dopo che, appena eletto, il neo segretario del
PD ha proclamato con grande enfasi la sua proposta liberista e antioperaia di “riforma” del mercato del lavoro basata sulla libertà di
licenziamento da lui denominata
“Job act”.
“Renzi ha un atteggiamento molto più libero sui temi della
democrazia, del lavoro, della lotta alla precarietà rispetto a chi lo
ha preceduto alla guida del Partito democratico”, aveva infatti dichiarato Landini, subito dopo la
vittoria di Renzi, in una compiacente intervista a La Repubblica, il
quotidiano di De Benedetti, Scalfari e Mauro che ha tirato la volata al neopodestà fiorentino. Un
modo per far capire che è pronto
ad appoggiarlo per cambiare anche la dirigenza della CGIL, dopo
aver “rottamato” il vecchio vertice dalemiano e bersaniano del PD.
Cosa che Renzi non ha mai nascosto di voler fare, dichiarando in
ogni occasione che “anche il sindacato deve cambiare”.
Poco importa a Landini se per
“cambiare verso” anche al sindacato Renzi intende spostarlo ancor
più a destra dell’attuale corso già
marcatamente opportunista e collaborazionista di Susanna Camusso, così come ha cambiato verso al PD liquidando l’eredità del
PCI revisionista e omologandolo
pienamente alla destra. Evidentemente al segretario della Fiom
questa appare una contraddizione
secondaria, rispetto all’occasione
che gli si è presentata per saltare
sul carro del vincitore che si appresta a cambiare gli assetti di potere anche nel sindacato.
Come interpretare questa sorprendente apertura del segretario
della Fiom per uno come il democristiano e liberista Renzi, che si
era sbracatamente schierato con
Marchionne e la sua politica antioperaia ultraliberista alla Fiat, e
quindi contro la Fiom e lo stesso
Landini, nel momento più duro e
difficile per il sindacato dei metalmeccanici della Cgil? E’ cambiato Renzi, o è cambiato Landini, da
allora? Di sicuro non Renzi, visto
che il suo “Job act” che sta preparando, e le cui linee generali ha
già annunciato, prevede un contratto unico per i giovani “a tempo
indeterminato”, ma con la sospensione per i primi tre anni dell’articolo 18, e con il pagamento dei
contributi a totale carico dello Stato. Chi perde il lavoro avrebbe un
sussidio di disoccupazione invece
della cassa integrazione (Cig), che
sarebbe totalmente abolita.
Un piano che
piace a Landini e a
Confindustria
Ciò secondo lui e i suoi “esperti” che ha voluto con sé nella
nuova Segreteria del PD – il responsabile del Welfare Davide Faraone e il suo consigliere economico Yoram Gutgeld, che hanno
per l’occasione ripescato la ricetta neoliberista della “flexecurity” elaborata dal giuslavorista ex
PD, Ichino - dovrebbe far finire
la giungla del precariato e incoraggiare le assunzioni, ma in re-
Firenze, 12 dicembre 2013. L’affabile incontro tra il segretario della Fiom Landini e il neosegretario del PD nonchè sindaco di Firenze Renzi
altà non farebbe altro che sostituire i diversi contratti di precariato
con quello più precario di tutti: la
possibilità pura e semplice di essere licenziati in qualsiasi momento, perfino senza lo straccio di
una motivazione economica come
adesso dopo la “riforma” Fornero.
E i costi sarebbero interamente a
carico della collettività, cioè dei
lavoratori stessi, visto che almeno
la cassa integrazione è pagata per
metà dalle aziende. In ogni caso,
poi, l’abolizione dell’articolo 18
per motivi economici prevista dalla legge Fornero ha già dimostrato
nella pratica di non aver prodotto
un sol posto di lavoro in più: anzi,
la disoccupazione è ulteriormente
aumentata, perché è diventato più
facile licenziare.
Non a caso la proposta di Renzi è piaciuta subito al presidente di
Confindustria, Squinzi, e a quello
di Assolombarda, Rocca (“Il piano di Renzi è decisamente convincente, questo paese deve essere al fianco delle imprese”, ha
dichiarato il capo degli industriali lombardi); mentre il gerarca di
Berlusconi, Brunetta, lo rivendica addirittura come farina del suo
sacco: “Quel piano sembra copiato dal nostro. Se il piano è questo
diciamo Forza Renzi, Forza Italia”. Alfano, poi, ha colto subito la
palla al balzo per rilanciare la posta, proponendo l’abolizione pura
e semplice del contratto collettivo,
lasciando al suo posto solo contratti aziendali e individuali. Perfino un seguace di Cuperlo, come
l’ex ministro del Lavoro nel governo Prodi, Cesare Damiano, inizialmente ostile al piano di Renzi ha finito per avallarlo, purché lo
si chiami ipocritamente “contratto
unico di inserimento” (una sorta
di “apprendistato lungo tre anni”,
lo ha definito) e non si rinunci alla
Cig.
Ma nonostante tutto ciò Landini fa finta di nulla e continua a
flirtare con Renzi, e pur dicendosi ovviamente contrario all’abolizione dell’articolo 18 e della Cig,
è arrivato a dichiarare tranquillamente, in un’altra intervista a La
Repubblica del 28 dicembre, che
“quella del contratto unico può es-
sere la strada per ridurre la precarietà”; e quanto alla sua durata (e
quindi della durata della sospensione dell’articolo 18), si è detto
disposto a discutere col padronato per la fissazione di un “periodo
congruo durante il quale verificare gli interessi delle imprese e dei
lavoratori”. Alla richiesta esplicita
se di questo ne avesse parlato con
Renzi quando lo ha incontrato, il
segretario della Fiom ha risposto
evasivamente: “Per ora ho capito
che Renzi vuole ridurre la precarietà e che condivide la necessità
di una legge sulla rappresentanza
sindacale”.
Quella stessa rappresentanza
sindacale prevista dall’accordo
collaborazionista su contrattazione e rappresentanza del 28 giugno 2011 che Landini aveva allora giustamente avversato, salvo
col tempo accettare e oggi addirittura esaltare. Così come oggi accetta e condivide con Renzi l’idea
neocorporativa di compartecipazione dei lavoratori alla gestione
aziendale, sul modello attuato alla
Volkswagen: idea sulla quale è
stato avviato “un interessante dialogo con Landini”, ha confermato
infatti il renziano Faraone.
Un asse
politico-sindacale
coltivato da tempo
Insomma, è un’apertura di credito totale quella di Landini a Renzi, fatta parlando solo dei punti di
convergenza e mettendo tra parentesi quelli di divergenza, e questo
dimostra che quella del sindacalista vendoliano non è una semplice
“sbandata”, ma un vero e proprio
asse politico-sindacale coltivato
in segreto da tempo con il “rotta-
matore” democristiano. Tanto che
a questo punto, considerate anche
le aperture della Cisl del crumiro
Bonanni (che ha definito l’apertura di Landini a Renzi “un’interessante novità”), e la freddezza
viceversa della Segreteria Cgil al
“Job act” di Renzi, si può ben dire
che Landini è arrivato a scavalcare
clamorosamente a destra la stessa
Camusso!
Lo ha efficacemente denunciato anche l’ex presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, primo firmatario
del documento di minoranza di sinistra al prossimo congresso della Cgil, intitolato “Il sindacato è
un’altra cosa” (mentre Landini
ha firmato il documento di destra
della Camusso), secondo il quale
“Matteo Renzi è il peggior lascito dell’era berlusconiana”, e che
sul comportamento di Landini ha
avanzato questo sospetto: “C’è
solo una spiegazione razionale in
quel che con spregiudicatezza sta
facendo Landini: diventare il segretario della Cgil con l’appoggio
di Renzi”.
Sospetto che trova piena conferma da parte dello stesso Renzi, stando alle sue dichiarazioni a
Il Fatto Quotidiano del 2 gennaio,
in cui alla domanda se la Fiom non
sembri “più renziana della Cgil”,
ha così risposto: “Non è renziano neanche il PD, figuriamoci la
Fiom. Certo, su alcune cose potrebbe esserci condivisione: dalla legge sulla rappresentanza alla
presenza di persone elette dai lavoratori nei consigli d’amministrazione. E poi condividiamo un
concetto semplice: chi ci ha portati fin qui, con polemiche ideologiche e scarsi risultati, non è adatto
a portarci fuori di qui”.
Il 9 gennaio 1950 furono 6 gli operai uccisi e centinaia i feriti dalle “forze dell’ordine” del criminale DC Scelba
Onore ai sei martiri dell’eccidio di Modena
di Stefano (Modena)
In questi giorni cade l’anniversario della cosiddetta “Strage
delle Fonderie”, uno dei fatti più
neri dal dopoguerra per le masse
lavoratrici italiane e per il movimento operaio. Il 9 gennaio 1950,
a Modena, sei operai furono trucidati a sangue freddo dalla polizia del fascista Scelba, e con la
benedizione di tutto il governo
democristiano di De Gasperi. La
dinamica dei fatti e, soprattutto
la natura della vertenza alla loro
origine, presenta inquietanti similitudini e non pochi parallelismi
con le attuali lotte di fabbrica nella grande industria italiana. Questa tragica verità, oltre alla necessità di tenere viva la lotta di classe,
impone a tutti noi di non dimenticare quanto successe in quel freddo mattino di gennaio di sessantaquattro anni fa.
Questi i fatti. Dopo una serie
di vertenze fallite con il sindacato
che chiedeva condizioni di lavoro
più umane (peraltro garantite sulla carta - dalla Costituzione repubblicana entratae in vigore solo
due anni prima), il padrone e “signore” delle Fonderie Riunite - il
conte Adolfo Orsi - dichiara la serrata il 5 dicembre 1949. Il piano di
Orsi, che si è arricchito con la produzione di armamenti durante il
ventennio fascista e che del fascismo fu sempre un fervente sostenitore, è quello di licenziare i 560
operai che lavorano nello stabilimento, per poi riassumerne solo
Un incancellabile crimine della borghesia
Il Bolscevico n. 2
del 17 gennaio 2008
Modena, 9 gennaio 1950. La manifestazione dei lavoratori delle Fonderie di
Modena (sullo sfondo) pochi attimi prima della strage operata dalla polizia
200 e sostituire i “non graditi” con
nuovi assunti. L’obiettivo dell’epurazione sono gli operai comunisti o iscritti alla CGIL. Alla riapertura degli impianti – prevista per
il 9 gennaio - Orsi punta quindi a
de-sindacalizzare completamente
le Fonderie ed a riaffermare il proprio potere assoluto non solo sulla
proprietà della fabbrica, ma anche
sulle stesse vite e sul lavoro degli operai.
Nei giorni precedenti la riapertura delle Fonderia il ministro
dell’interno, il democristiano fascista Mario Scelba, su richiesta
di Orsi e con la velata connivenza delle autorità cittadine, invia
rinforzi della celere da tutta la regione per presidiare la fabbrica e
reagire militarmente ad ogni azione da parte del sindacato e degli operai, anche al fine di preveni-
re un’eventuale occupazione degli
impianti.
In occasione della data dell’annunciata riapertura la Camera del
lavoro e il movimento operaio
modenese organizzarono una
grande manifestazione di protesta
che dalla periferia aveva l’obiettivo di convergere verso le Fonderie
e pretendere dal padrone fascista
Orsi la riassunzione di tutti gli operai oltre all’ingresso del sindacato in fabbrica.
Tra le 10 e le 11 il corteo giunse in vista delle Fonderie.
All’avvicinarsi degli operai la polizia e i carabinieri di Scelba e del
governo democristiano appostati sui tetti dell’impianto, oltre che
intorno al suo perimetro, cominciano a sparare sulla folla che fino
a quel momento non aveva reagito alle provocazioni e si era man-
tenuta compatta e determinata, ma
non violenta. Gli agenti della celere – molti dei quali reclutati tra i
picchiatori del regime mussoliniano – sparano in poche ore almeno 200 colpi. Nelle prime ore della
manifestazione tre operai vengono
uccisi, in quello che le cronache
dell’epoca descriveranno come
un tiro al piccione. Il primo ad essere trucidato è Arturo Chiappelli, di 43 anni, ucciso da un cecchino appostato sui tetti mentre si
dirigeva ai lati del corteo per evitare il fumo dei lacrimogeni. Poco
dopo è il turno di Angelo Appiani,
ex partigiano di 36 anni, che viene
freddato da un proiettile a bruciapelo. Roberto Rovatti, di 30 anni,
che portava un cartello di protesta
viene prima buttato in un fosso e
pestato a sangue e poi finito con
un colpo alla nuca. Mentre la folla
di operai e delle proprie famiglie
corre in ogni direzione per evitare
i proiettili assassini firmati-conte-Orsi, altri tre operai restano
uccisi nelle vicinanze delle Fonderie: Ennio Garagnani, Renzo
Bersani, ed Arturo Malagoli, tutti di 21 anni. Alla fine della giornata gli operai trucidati saranno
sei, mentre i feriti – che evitarono
gli ospedali per paura dell’arresto
- sono quasi duecento. L’11 gennaio le masse popolari modenesi
si presentarono compatte ai funerali dei sei martiri e idealmente ne
raccolsero la bandiera imbrattata
di sangue.
Come nel caso della carneficina di Portella della Ginestra che
inaugura questa stagione di stragi
ai danni del movimento operaio,
il governo neo-fascista democristiano di De Gasperi non spese
una parola per gli operai trucidati e mentre i celerini di Scelba furono assolti “d’ufficio”, molti operai e sindacalisti furono inquisiti
per numerosi reati di “turbativa
dell’ordine pubblico”. Gli operai
accusati sono finalmente assolti
solo nel 1954. Nei giorni successivi la strage, a seguito di interrogazioni di deputati comunisti e
socialisti, il governo non solo giustificò, ma supportò apertamente
la violenza della celere e le “ragioni” del conte Orsi. In particolare il ministro Scelba affermò che
i suoi uomini avevano risposto
alle provocazioni dei facinorosi e
avevano agito per garantire ordine
e tranquillità.
A sessantaquattro anni di distanza Arturo Chiappelli, Angelo
Appiani, Roberto Rovatti, Ennio
Garagnani, Renzo Bersani e Arturo Malagoli ci ricordano che non
bisogna mai abbassare la guardia
e che è necessario tenere alta la
bandiera della lotta di classe, ora
più che mai quando l’attacco ai diritti basilari dei lavoratori è sempre più frontale e sempre più numerosi novelli conti Orsi, primo
fra tutti l’infame Marchionne della FIAT, attuano la stessa strategia di de-sindacalizzazione di sessant’anni fa. I 560 operai licenziati
nel 1950 ci ricordano che solo un
paio di anni fa, a Pomigliano la dirigenza della FIAT ha attuato la
stessa ricetta di Orsi, licenziando
gli operai e praticando riassunzioni selettive, scartando gli operai
“non graditi” iscritti alla FIOM.
interni / il bolscevico 5
N. 2 - 16 gennaio 2014
Continuerà fino al 2017
Non è vero che è stato abolito
il finanziamento pubblico ai partiti
Il decreto legge del governo Letta-Alfano toglie soldi allo Stato, consente allo Stato di ingerirsi nella vita interna
dei partiti e di schedare i donatori, favorisce l’influenza dei capitalisti e dell’alta borghesia sui partiti
Il finanziamento dei partiti deve avvenire senza
l’intermediazione dello Stato
“Avevamo detto che avremmo
abolito il finanziamento pubblico
entro l’anno e l’abbiamo fatto”,
ha detto Enrico Letta il 13 dicembre presentando trionfalmente l’inaspettato decreto legge appena
approvato dal Consiglio dei ministri. Una “sorpresona” approvata a tambur battente per bruciare sul tempo la “sorpresina” che
il suo compare e rivale Matteo
Renzi, fresco di vittoria alle primarie, avrebbe annunciato di lì a
due giorni all’assemblea di Milano che lo ha incoronato nuovo segretario del PD.
La “sorpresona” consisterebbe
nel fatto che questa sedicente abolizione del finanziamento pubblico
ai partiti, mascherato sotto forma
di “rimborsi elettorali”, è stata fatta per decreto, e quindi entra in vigore subito, producendo i suoi effetti già dalla prima rata del 2014.
Solo che è del tutto falso che questo provvedimento abbia abolito e
da subito il finanziamento pubblico ai partiti: in realtà ha semplicemente abolito l’attuale sistema di
finanziamento pubblico, per sostituirlo, non subito ma gradualmente in tre anni, con un altro del tutto
equivalente ma ancor più ipocrita e
truffaldino del vecchio.
Il decreto del governo LettaAlfano, infatti, ha semplicemente riesumato il disegno di legge
già approvato il 16 ottobre scorso alla Camera e che giaceva fermo da due mesi al Senato, il quale stabiliva in soldoni tre cose: 1)
gli attuali “rimborsi elettorali”
non cessano subito, ma diminuiscono gradualmente azzerandosi
solo nel 2017; 2) contemporaneamente vengono rimpiazzati da un
sistema basato su un contributo
volontario del 2 per mille dell’Irpef, simile a quello dell’8 per mille per la chiesa, e su agevolazioni
fiscali per le donazioni da priva-
ti e aziende; 3) il gettito finale ai
partiti previsto col nuovo sistema
non sarà molto inferiore, se non
sarà addirittura uguale, al gettito
attuale, pari complessivamente a
91 milioni l’anno. Come si può
avere la faccia tosta di chiamare
tutto ciò “abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”?
Un’operazione
demagogica e
truffaldina
Il decreto-legge del governo ricalca in pieno questa logica truffaldina: esso taglia il fondo per i “rimborsi elettorali” ai partiti del 25%
l’anno a partire da quest’anno, fino
al suo azzeramento solo nel 2017.
Ma entra in vigore già da quest’anno anche la possibilità per i contribuenti di devolvere nella dichiarazione dei redditi il 2 per mille ad
un partito prescelto. Partono subito anche le detrazioni fiscali super
agevolate per le cosiddette donazioni liberali, che tra l’altro salgono
dal 26% già previsto dall’ormai decaduto ddl a ben il 37%, per quelle
da 30 euro fino a 20 mila euro da
parte di privati (26% per le società),
la fascia in cui si concentra statisticamente la maggioranza delle donazioni.
Per importi superiori la detrazione è del 26%, con limite fino
a 70 mila euro per i privati e fino
a 100 mila euro per le società. Se
poi le donazioni vanno a finanziare scuole di partito o corsi di
formazione politica, la detrazione
dal reddito sale addirittura al 75%
per un massimo di 750 euro annui (era del 52% fino a 500 euro
nel vecchio ddl). I massimali annui assoluti per le donazioni sono
di 300 mila euro per i privati e di
200 mila euro per le società. Se
poi l’importo delle detrazioni per
le elargizioni dovesse rivelarsi
inferiore al previsto, nella fattispecie inferiore a 15,65 milioni,
scatta un comma all’art. 11 della
legge che aggiunge la differenza
mancante al tetto di spesa per il 2
per mille, che da 45 milioni può
arrivare quindi a circa 61 milioni.
Per accedere alle donazioni e
alle agevolazioni fiscali i partiti dovranno iscriversi a un registro nazionale, dotarsi di uno statuto “democratico” e di bilanci
certificati da una società esterna,
nonché sottoporsi ad un’apposita Commissione di garanzia. Dovranno inoltre avere almeno un
eletto in parlamento o in un Consiglio regionale, o aver presentato
candidati in almeno tre circoscrizioni. Per accedere al 2 per mille ci vuole almeno un parlamentare eletto sotto il proprio simbolo
di partito, vale a dire che ne potranno usufruire solo i partiti più
grandi in grado di superare le soglie di sbarramento.
Per quanto i partiti borghesi piangano miseria e annuncino
scenari disastrosi, paventando licenziamenti di personale e chiusura di sedi, se non addirittura la
messa in liquidazione - tra questi in particolare SEL del narcisista liberale Vendola, che teme per
i suoi 5 milioni di finanziamento
pubblico e si oppone apertamente al provvedimento, parlando di
“riforma iniqua” perché il finanziamento pubblico dei partiti “c’è
in tutta Europa” - il governo ha
ben calcolato i rischi, tanto che
a regime il nuovo sistema non si
dovrebbe discostare troppo dal
vecchio in quanto a gettito complessivo: 72 milioni di euro l’anno contro i 91 attuali, soltanto 19
milioni in meno, cioè. A questa
cifra si arriva sommando i 45,1
milioni di tetto massimo stabilito per il 2 per mille, i 15,65 mi-
lioni dalle detrazioni per donazioni e gli 11,25 milioni dal 2016
stanziati per la cassa integrazione
straordinaria e i contratti di solidarietà per il personale in eccedenza dei partiti.
Finanziamento
mascherato
da contributo
“volontario”
Complessivamente, in tutto il
prossimo triennio, i partiti incasseranno 136,5 milioni dei vecchi
“rimborsi elettorali” ridotti progressivamente, a cui vanno aggiunti però 98 milioni per compensare detrazioni e 2 per mille e
quasi 35 milioni per gli ammortizzatori sociali: totale 269 milioni di
euro, anziché 273 spettanti loro se
fosse rimasto in vigore il vecchio
sistema dei “rimborsi elettorali”.
E l’hanno chiamata “soppressione immediata del finanziamento pubblico ai partiti”! La verità
è che non solo non è immediata e
diluita invece in tre anni, ma anche il contributo “volontario” del
2 per mille e le detrazioni fiscali
per le donazioni sono in realtà una
forma di finanziamento pubblico
ai partiti, dal momento che quei
soldi invece di andare allo Stato
per finanziare la sanità, le scuole, i
servizi sociali ecc., vanno a finire
con un volgare gioco di bussolotti sempre e comunque nelle casse
insaziabili dei partiti borghesi.
Ma ci sono anche altri aspetti
di questo decreto che in fatto di
gravità e pericolosità vanno addirittura oltre il sistema in vigore finora. Uno dei quali è che offre allo Stato la facoltà di ingerirsi
nella vita interna dei partiti, stabilendo su di loro un diretto controllo politico-fiscale attraverso
il registro nazionale, la Commis-
sione di garanzia, i controlli sugli
statuti e i bilanci ecc., nonché nella vita privata dei cittadini attraverso la vera e propria schedatura
delle adesioni e simpatie politiche
rappresentata dal contributo del 2
per mille indicato nella dichiarazione dei redditi. Schedatura che
potrebbe essere sfruttata anche
dalle aziende per discriminare
politicamente i lavoratori, specie
se questi ultimi utilizzassero i Caf
aziendali.
Uno strumento per
controllare i partiti
Inoltre le donazioni ai partiti,
sia da parte di privati che di società, con i loro tetti molto alti e per
giunta premiate anche dalle detrazioni fiscali a spese della collettività, rappresentano un formidabile strumento in mano ai capitalisti
e all’alta borghesia per finanziare
e controllare i propri partiti e le
proprie cosche parlamentari di riferimento, ottenendone per giunta
cospicui vantaggi fiscali. Che tra
l’altro sono in molti casi di gran
lunga superiori, anche del doppio (37% contro 19%), rispetto a
quelli consentiti per le donazioni
ad enti benefici, università, centri
di ricerca ecc, ciò che rappresenta un paradosso intollerabile che
sposta ulteriori risorse da opere di
utilità collettiva e sociale alla corruzione politica.
È vero che finora non c’erano
tetti alle donazioni, ed è per questo che Forza Italia accusa questo provvedimento di essere una
legge “contra personam”, contro cioè Berlusconi, che in teoria
potrebbe finanziare il suo partito
solo per un massimo di 300 mila
euro, e ciò vale anche per le fideiussioni bancarie. Ma in realtà le
scappatoie ci sono: una è che le
eccedenze al tetto non vengono
cancellate, ma riportate a scalare da quelle degli anni successivi.
Cosicché, per esempio, nessuno
potrebbe impedire al neoduce di
pompare una valanga di soldi su
Forza Italia nel 2014, per vincere
le elezioni europee e le probabili
elezioni politiche anticipate.
L’altra è rappresentata dal fatto che dal tetto sono escluse le
“fideiussioni o altre tipologie di
garanzia reale o personale concessa prima dell’entrata in vigore del decreto”. Il neoduce può
cioè continuare a garantire i prestiti bancari milionari di cui gode
da sempre il suo partito. Regole e
controlli non si applicano poi alle
fondazioni i cui organi direttivi
non siano direttamente “determinati in tutto o in parte” dai partiti,
e anche questa è una porta lasciata aperta dal governo per aggirare
i tetti alle donazioni.
Questa “abolizione” del finanziamento pubblico ai partiti è insomma una beffa, un altro
miserevole inganno per placare le masse facendo loro credere di aver risposto in qualche
modo alla loro sacrosanta rabbia per la corruzione politica dilagante, rabbia che si è espressa
con la clamorosa avanzata dell’astensionismo elettorale, e di cui
ha approfittato in parte anche il
milionario megalomane Grillo.
Perciò lo si può solo respingere
in blocco e affossare, e lo stesso vale per qualsiasi altra forma
di finanziamento pubblico che
dovesse escogitarsi in futuro. I
partiti devono autofinanziarsi,
attraverso esclusivamente il contributo dei propri aderenti e sostenitori e senza alcuna intermediazione e intromissione da parte
dello Stato, come da sempre fa il
PMLI che conta solo sul sostegno dei propri militanti, dei simpatizzanti e delle masse popolari.
Risposta seria al fgc (rizzo-mustillo)
Sul n. 46/2013 de “Il Bolscevico” avevamo pubblicato un articolo intitolato:
“Fronte della Gioventù comunista” o nuova operazione revisionista? (presente
sul sito del PMLI www.pmli.
it/20131218_fgc.html), nel
quale sottoponevamo a critica questa organizzazione diretta da Alessandro Mustillo,
responsabile del lavoro giovanile di Comunisti-Sinistra
Popolare di Marco Rizzo, in
particolare la sua incapacità (o non volontà) di liberarsi della linea e del lascito del
PCI revisionista nonostante
il richiamo formale al marxismo-leninismo, e chiedendoci come mai non avessero
nemmeno chiesto un confronto con il PMLI prima di fondare il Fronte. I dirigenti del
FGC, anziché impiegare il
loro tempo entrando seriamente in merito delle critiche argomentate che abbiamo loro rivolto, hanno deciso
(forse ispirati da Rizzo?) di
sprecarlo in una interminabile e noiosissima “Risposta
ironica al PMLI” (pubblicata
il 21 dicembre su “Senza tregua”, organo online del Fronte) che sostanzialmente pren-
de in giro il suddetto articolo
de “Il Bolscevico”, il PMLI
e il suo Segretario generale
compagno Giovanni Scuderi, l’importanza e il significato della battaglia fra marxismo-leninismo e revisionismo
e quindi il pensiero e l’opera di Mao, e tira in ballo dal
nulla l’opportunista storico
trotzkista Enver Hoxha. Per
non parlare della colossale
falsità secondo cui i militanti
del PMLI “sanno che il lavoro materiale nelle fabbriche,
nelle scuole, nelle università
è lavoro da ripudiare, se non
nella parola e nei grandi pro-
clami”. E pensare che nel nostro articolo rilevavamo “con
piacere” l’unità d’intenti sulle lotte immediate tra il PMLI
e il Fronte.
In chiusura, questi imbroglioni sostengono che il
PMLI “attende, attende, attende” la rivoluzione. Quando in realtà il nostro Partito
dice di insistere, insistere, insistere per creare le condizioni per far esplodere la lotta
per il socialismo, a differenza di chi è rivoluzionario solo
a parole.
Dovrebbe far riflettere che
la direzione del Fronte sia ri-
corsa all’ironia borghese e
anticomunista non sapendo
cosa rispondere alle nostre
critiche, osservazioni e richieste di chiarimenti. Nonostante le nostre riserve, abbiamo
provato lo stesso ad aprire un
confronto aperto, pubblico e
sincero col Fronte per il bene
dell’unità dei sinceri comunisti nello stesso partito. Ma
è andata male, non però per
nostra colpa. I responsabili
del fallimento del nostro tentativo sono Marco Rizzo, presumibilmente il mandante, e
Alessandro Mustillo, il sicuro
esecutore in quanto è il segre-
tario del Fronte.
Comunque abbiamo avuto
la controprova che costoro,
pur indossando un “nuovo”
abito “comunista marxistaleninista”, rimangono quelli
di sempre, degli imbroglioni
politici che agitano la bandiera del socialismo solo per
coprire la loro natura borghese e anticomunista. Come
l’abbiamo capito definitivamente noi, speriamo che lo
capiscano quanti in buona
fede continuano a credergli e
a seguirli pensando di lottare
contro il capitalismo e per il
socialismo.
6 il bolscevico / napoli
N. 2 - 16 gennaio 2014
Nell’attesa che Bassolino e Caldoro sciolgano la riserva
Il neopodestà De Magistris apre a Renzi e
al PD per ricandidarsi a sindaco di Napoli
In quasi tre anni non ha fatto nulla per lavoro, periferie, servizi sociali. La raccolta differenziata ferma al palo
‡‡Redazione di Napoli
Con una prosopopea sfrontata e senza limiti, il neopodestà De
Magistris ha rilasciato diverse interviste, di cui una significativa al
“Fatto TV” dove, in sostanza, ha
espresso la sua volontà di ricandidarsi a sindaco di Napoli. “Ritengo normale il fatto che ci siano napoletani che mi sostengono
come vi sono altri che dissentono
da me o si aspettavano di più da
me”. Questa la solfa che accompagna tutti i suoi interventi, assieme al disco rotto del bilancio in
dissesto “lasciato in eredità dai
governi di centro-sinistra precedenti” che non ha permesso a lui
e alla sua giunta antipopolare di
fare la “rivoluzione” e “scassare
tutto”. Con gli avvoltoi Bassolino
e Caldoro pronti a rientrare nell’arena elettoralistica borghese e
candidarsi alla massima poltrona
di Palazzo S. Giacomo alle elezioni comunali che si terranno
fra circa due anni, è ormai giunta
al capolinea l’opera di mascheramento di De Magistris tesa a
coprire l’ormai chiaro e limpido
fallimento della sua giunta.
Ricandidatura e
nuove illusioni
De Magistris si è addirittura
allineato al rinnegato Bassolino
nell’elogio del nuovo segretario
del PD, il democristiano Renzi,
auspicando una sua vittoria alle
primarie. Una manovra, in realtà,
tesa a costruire una nuova alleanza in vista della sua ricandidatura annunciata come fisiologica e
che vede un allargamento della
coalizione anche ad elementi di
destra del PD. Nulla di nuovo sotto il sole, visto che già in giunta
è entrato l’assessore al “Lavoro”
ex Segretario generale della FLCCGIL ora PD Enrico Panini e Nino
Daniele (sempre PD) assessore
al Turismo; a ciò di aggiungono i
buoni se non ottimi rapporti con
l’UDC (si pensi al presidente del
consiglio comunale Raimondo
Pasquino) al punto di nominare nel settore anticorruzione l’ex
prefetto Serra (esperienza conclusa senza alcun sussulto e in
pochi mesi). La nuova operazione di ricandidatura non potrebbe
essere non condita da nuove illusioni, al punto che l’ex magistrato le sparge nelle sue interviste
e nei suoi commenti attraverso
la stampa: si pensi alla zona ex
Nato che De Magistris spaccia
come “liberata” dai militari imperialisti che, invece, se sono andati
quando e come volevano e senza alcuna pressione dell’attuale
giunta; il lancio della raccolta differenziata che dovrebbe coprire
il 50% della popolazione, dopo
aver promesso il 70% in meno di
un anno e che è clamorosamente ferma, attualmente, al 27%;
l’inaugurazione del famigerato
“Forum delle Culture” a fine novembre, nella più completa indifferenza delle masse popolari partenopee; il varo di un trasporto
“pubblico e più efficiente”, tronfio
dell’inaugurazione della fermata della metropolitana di piazza
Garibaldi il 28 dicembre, ma che
collide con i clamorosi tagli alle linee cittadine, soprattutto speciali
e notturne, e coincide con il ritorno in città dei camioncini abusivi
per il trasporto delle persone a
un euro che vengono preferiti al
trasporto pubblico. Nuovi proclami che anche i giornali della “sinistra” borghese tendono ormai
a non catalogare più nei propri
articoli, snobbando o irridendo
lo stesso sindaco come è il caso
della rivista “Micromega” che tramite le penne di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino, lo scorso
13 dicembre, hanno sottolineato
punto per punto il fallimento della
giunta arancione affermando tra
l’altro: “ciò che si imputa al sindaco è sempre lo stesso, insomma:
dichiarazioni d’intenti a dir poco
audaci cui non seguono i fatti.
Esempio: trasformare la zona degradata dei quartieri spagnoli nel
quartiere parigino di Montmartre,
pedonalizzare il caotico corso
Umberto I, tra le dieci strade più
trafficate d’Europa, rendendolo
come la Rambla di Barcellona”.
Insomma il falso rivoluzionario
arancione non è altro, agli occhi
ormai di tutti, con esclusione dei
suoi ciechi servi incalliti, un narcisista megalomane pronto a fare
armi e bagagli per costruire una
alleanza con il PD renziano.
Il “sindaco più
accentratore d’Italia”
Il rilancio del programma arancione è in realtà un modo per nascondere le crepe presenti non
solo nella sua giunta ma anche
nell’impianto politico che doveva “scassare” tutto. In realtà i
primi disagi erano nati in giunta
con ben dieci assessori su dodici
mano mano cacciati o sostituiti da De Magistris; disagi che si
sono trasformati in mancanza di
numero legale per l’approvazione, tra l’altro, del bilancio, come
sta accadendo in consiglio comunale. Inizialmente, infatti, la
maggioranza che sosteneva Luigi
De Magistris era molto forte, con
un sostegno di ben ventinove
consiglieri comunali sui complessivi quarantotto. In due anni e
mezzo si sono ridotti a ventuno,
al punto che alcuni provvedimenti sono stati votati da ex transfughi del “centro-destra”. Ciò per
la nuova rottura consumata con
l’ex assessore alle politiche sociali, Sergio D’Angelo, trombato
alle elezioni politiche con la lista
“Rivoluzione civile” e poi escluso
dalle attività della giunta. Collegati con D’Angelo sono due consiglieri comunali, Pietro Rinaldi,
legato all’esperienza dei centri
sociali napoletani, e l’ex sessantottino Vittorio Vasquez che, lo
scorso settembre, hanno lasciato
la maggioranza di De Magistris
e sancito, dunque, la fine della
lista civica “Napoli è tua”, legata
al sindaco. Il 29 ottobre scorso,
in un’assemblea svoltasi a Napoli, davanti a oltre 300 persone, i
tre ex arancioni hanno attaccato
duramente la giunta, dichiarando
il suo fallimento: “temo che l’amministrazione ancora oggi, dopo
due anni e mezzo, non disponga
di un pensiero condiviso con la
città” ha affermato Sergio D’Angelo – “a furia di pretendere tutto
dalla città, ogni bene possibile, la
si priva della libertà di scegliere.
Quando si racconta di una Napoli
impegnata nella ricerca della felicità si rimuove il disagio ed espellere questo tema dalla discussione è l’ossessione del sindaco”.
Contemporaneamente,
in
consiglio comunale, rimescolate
le carte tra consiglieri a favore
e contro la giunta arancione, De
Magistris si è trovato a godere,
come si è detto, dell’appoggio,
nemmeno tanto velato, della
componente che fa capo all’UDC
grazie all’amicizia con Marilù Faraone Mennella. Moglie dell’ex
presidente di Confindustria Antonio D’Amato, la padrona armatrice aveva fortemente sostenuto
al secondo turno delle amministrative la lista arancione contro
il candidato della casa del fascio,
l’imprenditore Gianni Lettieri, e
non certo per un improvviso innamoramento del programma
propugnato dall’ex pm. Faraone
Mennella è, infatti, a capo della
cordata di imprenditori del progetto immobiliare “Naplest”, che
sta costruendo un vasto insediamento residenziale nella zona
orientale del capoluogo e gode
dell’appoggio della giunta comunale. Nel contempo, nelle ultime
settimane la moglie di D’Amato
è incappata in due diverse inchieste della procura di Napoli
relative ai reati di “dichiarazione
infedele” e “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture
o altri documenti per operazioni
inesistenti”, al punto che la Procura napoletana ha disposto un
sequestro preventivo di beni pari
addirittura a 5,5 milioni di euro.
Un’altra inchiesta la vede indagata, assieme all’eminenza grigia
di De Magistris, il falso comunista
vicesindaco Tommaso Sodano
(PRC) per il delitto di corruzione
relativamente all’esistenza di un
presunto accordo sottobanco
per favorire l’imprenditrice nella
realizzazione del nuovo stadio di
calcio, sempre a Napoli Est.
Luigi de Magistris, inoltre, è,
ad oggi, il sindaco di una metropoli italiana col maggior numero
di deleghe da gestire, al punto
da essere un vero e proprio accentratore. Ne ha ben diciotto (!),
tra quelle sue e quelle acquisite
ad interim, e non si sogna assolutamente di ridistribuirle: oltre ad
essere a capo della giunta della terza città d’Italia è, al tempo
stesso, assessore alla Mobilità,
alla Sicurezza, alla Polizia municipale, allo Sport, alla Sanità, ai
Fondi europei, agli Eventi internazionali, al Trasporto pubblico,
alle Politiche anticorruzione, ai
Rapporti con il consiglio comunale e le municipalità e infine alla
“Promozione della pace e alla
Difesa e attuazione della Costituzione”, una delega quest’ultima,
che rappresenta uno dei puntelli
demagogici del suo programma
per gettare fumo negli occhi alle
masse popolari napoletane.
Il flop del lavoro,
dell’edilizia popolare,
dei servizi sociali
e della raccolta
differenziata
La mancanza di dialogo con
la cittadinanza, che per l’ex giudice doveva essere “attiva”, è
una delle gravi mancanze dell’attuale giunta ed è sottolineata dai
suoi ormai ex sostenitori che lo
pungolano per ogni proclama
che De Magistris lascia puntualmente inevaso. In quella che è
stata considerata, secondo una
impietosa inchiesta del “Sole 24
Ore”, la città più invivibile d’Italia, manca un piano concreto per
l’edilizia popolare, che non soddisfa né lo stato di bisogno delle
famiglie indigenti o alla ricerca
di prima casa, ma nemmeno le
coppie, soprattutto giovani, che,
per la crisi, non riescono a trovare un alloggio degno o comunque
proporzionale alle loro esigenze.
Domenico Lopresto, segretario
dell’Unione inquilini, inizialmente
schierato con la giunta arancione, ora denuncia senza peli sulla
lingua che “si è parlato solo di
camorra senza pensare ai diseredati e ai poveracci. Il comune
doveva cacciare dalle case i condannati al 416 bis che a Napoli
sono 3.200 e assegnare questi
alloggi a chi è regolarmente in
graduatoria”.
Ancora peggio stanno i servizi
sociali, momento fondamentale
per il rilancio, la qualificazione e il
risanamento delle periferie urbane e dei quartieri popolari, con la
punta negativa della vasta zona
“grande evento” come l’America’s cup, sono stati non confermati o licenziati.
La raccolta differenziata sconta il gravissimo atto di non aver
risolto la questione dei precari
‘Bros’ che, con la loro assunzione tramite un tavolo congiunto
Comune-Regione,
avrebbero
potuto far fronte a un problema
senza precedenti e gravissimo.
È una delle macchie più vistose
della giunta e del suo assessore
con delega all’ambiente, Tommaso Sodano: una raccolta differenziata ferma al 27% quando era
di tutta la campagna elettorale
con Alberto Lucarelli eravamo
riusciti a ribadire che l’azione di
governo sarebbe ruotata intorno
a questo principio. Ci abbiamo
creduto. Venivamo da anni di
smarrimento politico e molti di
noi si erano messi intorno a De
Magistris con discrezione, senza far nemmeno parte del suo
comitato elettorale, proprio per
essere propositivi e non invasivi:
ma è stato un sindaco sordo alle
nostre richieste”. Significativa la
denuncia dell’ex girotondina sulla
fantomatica “democrazia parteci-
Napoli. Una combattiva manifestazione dei disoccupati Bros
che cinge Scampia lasciata ancora alla prepotenza e alla ferocia
del narcotraffico camorristico; né
più né meno di come avevano fatto i suoi predecessori Bassolino e
Iervolino. I dati sulla spesa sociale
sono inequivocabili: nel bilancio
comunale 2011-12 la spesa sociale era stata aumentata di venti
milioni, passando da settanta a
novanta. Nella manovra 2013, invece, è diminuita del quindici per
cento, al punto che il 31 ottobre
2013 circa duemila persone con
disabilità e anziani sono rimaste
senza assistenza domiciliare, con
conseguente licenziamento di
centocinquanta operatori sociali,
una delle categorie di lavoratori e
lavoratrici più colpite dall’avvento
della giunta. L’esecutivo di palazzo S. Giacomo non riesce a sanare un debito di quattro milioni da
oltre tre anni con le cooperative
sociali, compromettendo così il
settore delicatissimo del sistema
dei servizi domiciliari ai disabili:
inevitabili, dunque, i fortissimi i
disagi, soprattutto nell’assistenza
all’infanzia, con la sospensione
dei centri di educativa territoriale
nei quartieri periferici e i due anni
di ritardo nei pagamenti dei vitti
nelle case famiglia per i minori
a rischio. Un fatto gravissimo e
senza precedenti che aveva fatto scendere anche le mamme in
piazza per denunciare “una situazione da terzo mondo”, come la
mancanza di riscaldamento nelle
scuole o di una refezione degna
di questo nome.
Noi marxisti-leninisti denunciamo da tempo anche la mancanza di un piano sul lavoro e
sulla raccolta differenziata. Da
quando è entrato in giunta l’assessore Panini (PD) e quello ai
giovani, Alessandra Clemente
(area PD) praticamente non esiste un programma per affrontare
la dilagante disoccupazione giovanile al punto che ci si chiede
il senso di questi due dicasteri
comunali fantasma. La ricetta di
attrarre i turisti tramite i “grandi
eventi” e creare occupazione non
ha creato un solo posto di lavoro
stabile, ma solo fatto arricchire i
padroni di alberghi e i ristoratori,
che hanno assunto a part-time
o con contratti stagionali giovani che puntualmente, passato il
partita quasi tre anni fa dal 16%
ereditato dalla coppia IervolinoBassolino e fortemente al di sotto dell’ennesima promessa non
mantenuta da Sodano e De Magistris che spararono una balla
senza precedenti come quella del
70% della raccolta differenziata
in sette mesi. Sempre più ridicoli,
hanno ora annunciato che entro
la fine dell’anno sarà raggiunta la
metà della popolazione, ma i dati
anche qui, non lasciano dubbi:
siamo a poco più di 300mila abitanti raggiunti dal “porta a porta”
con risultati del ciclo dei rifiuti tutti da vedere e con più di 700mila
napoletani ancora senza un piano di rifiuti definito. Una vergogna
senza fine.
False autocritiche
Persino il “Fatto Tv” del 10 dicembre scorso gli ha contestato
una gestione familista, quasi una
“parentopoli” che De Magistris in
quasi tre anni ha costruito inserendo prima il fratello Claudio nello staff personale e poi la cugina
Lucia Russo all’assessorato allo
Sport, successivamente due suoi
amici, l’avvocato Anna Falcone e
Omero Ambrogi nel Consiglio di
Amministrazione di Bagnoli Futura, ma soprattutto la nomina degli
assessori ex compagni di scuola Carmine Piscopo e Roberta
Gaeta ai dicasteri locali rispettivamente delle Politiche Urbane
e del Welfare, fino al fidato Luigi
Acanfora come nuovo comandante dei vigili urbani, nonché
testimone di nozze del neopodestà. Ogni commento è superfluo.
Per la ricandidatura annunciata non basta le autocritiche sulle
troppe buche e sul trasporto inefficiente, come la troppa rigidità
espressa nel varo della ZTL che
portò 10mila manifestanti ad inscenare un corteo a piazza Municipio represso dalla giunta a suon
di manganellate. I sostenitori degli arancioni si stanno sottraendo
giorno dopo giorno al progetto
fallimentare dell’attuale esecutivo di palazzo S. Giacomo. L’ex
girotondina e avvocato Giuliana
Quattromini afferma senza mezzi termini: “avevamo pensato si
potesse realizzare la democrazia
partecipata dal basso. Nel corso
pata”: “a sei mesi dall’elezione gli
avevamo chiesto un’assemblea
che facesse il punto sulla prima
fase dell’esperienza amministrativa. Niente da fare. Il “palazzo di
vetro” è rimasto uno slogan. Oggi
intorno a lui sono rimasti solo i
politici di professione, si è scavato una sorta di trincea in cui temo
rimarrà intrappolato. Insomma,
non si è creata una cerniera tra
i movimenti e l’amministrazione.
E non mi riconosco nemmeno in
questi gruppi di opposizione perché vengono spesso cavalcati e
strumentalizzati dalla destra”. Già
al punto da rendere pubblica la
sua amicizia con il berlusconiano
Flavio Briatore.
La giunta antipopolare guidata di De Magistris, al pari se
non peggio di quelle precedenti, non ha risolto un problema
che attanaglia le masse popolari napoletane. Innanzitutto, per
noi marxisti-leninisti, va varato
immediatamente un piano comunale per il lavoro stabile, a
salario intero, a tempo pieno e
sindacalmente tutelato per tutti i disoccupati e i lavoratori che
preveda l’immediata assunzione
dei precari ‘Bros’ per la raccolta
differenziata, di concerto con la
Regione; il potenziamento della raccolta differenziata, il lancio
definitivo di quella “porta a porta” e la costruzione di siti per lo
smaltimenti dei rifiuti ingombranti
e speciali; il varo immediato di
piano comunale per il risanamento del centro storico, e la
riqualificazione e il risanamento
delle periferie urbane e dei quartieri popolari con finanziamenti
pubblici, senza che vi sia alcun
intervento dei privati o svendita
ai padroni pescecani come sta
avvenendo nella zona Ovest di
Napoli, in particolare nell’area ex
Edenlandia; un piano comunale
straordinario per dotare il territorio partenopeo, in particolare le
periferie, di una fitta rete di servizi pubblici e gratuiti per la prima
infanzia (nidi, scuole dell’infanzia,
trasporti, servizi di doposcuola,
centri estivi) fino a graduale ma
completa copertura delle necessità e con orari e prestazioni in
grado di soddisfare le esigenze
lavorative e sociali dei genitori, in
particolare delle donne.
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Comprovato in tutte le situazioni nei cinque continenti e verificato in mille e più battaglie, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una potente arma, ma se non lo si studia e non
lo si applica è un’arma scarica, da museo. Tutti i rivoluzionari italiani, specie i marxisti-leninisti, hanno perciò il dovere di studiarlo e applicarlo. Più a fondo andranno in questo studio, più contributi apporteranno alla nobile causa del
socialismo. Non bisogna mai stancarsi di studiarlo e ritenere di conoscerlo a sufficienza. C’è sempre qualcosa di nuovo
da scoprire e poi c’è bisogno di tenerlo fresco nella memoria.
Non potremo mai avere una concezione proletaria del mondo
se non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Anche se fossimo dei bravi organizzatori, oratori,
trascinatori, scrittori ma non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non faremo nemmeno il solletico alla borghesia e ai falsi amici del proletariato e delle masse.
Gli operai coscienti, avanzati e combattivi, in primo luogo,
devono studiarlo perché essi devono essere la testa e la colonna vertebrale del Partito, coloro che devono dirigere anche la lotta ideologica all’interno e all’esterno del Partito.
Studiare costa tempo, fatica e rinunce, specie agli operai e ai lavoratori che concludono la giornata spremuti come limoni dai capitalisti. Eppure bisogna studiare, costi quel che costi per essere sempre in prima linea nella lotta
di classe e con posizione d’avanguardia marxiste-leniniste.
Le opere dei nostri maestri riempiono decine e decine di volumi,
44 soltanto per Lenin, è quindi molto difficile riuscire a leggerle
tutte. Il nostro Partito ne ha selezionate cinque, ritenendole fondamentali per trasformare il mondo e se stessi. Esse sono: Marx
ed Engels “Il manifesto del Partito comunista”, Lenin “Stato e
rivoluzione”, Stalin “Principi del leninismo” e “Questioni del
leninismo”, Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in
seno al popolo”. Queste opere sono state ristampate dal PMLI.
Tutti i rivoluzionari, cominciando dai massimi dirigenti del
PMLI, dovrebbero tenere bene a mente questa esortazione di
Mao: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi.
Prendete nota di queste tre parole: ‘fare’, ‘duri’, ‘sforzi’.
Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso
alcuni compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare
a carte o a mahiong e per ballare: questa, secondo me, non
è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un’abitudine. Che cosa studiare?
Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c’è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po’. C’è il
giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui
bisogna intendersi un po’. Per farla breve, le discipline sono
molte e bisogna almeno farsene un’idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no!? Gente come noi in che
cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le
cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle? (Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, [9 ottobre 1957], in Rivoluzione e costruzione, Giulio Einaudi Editore, p. 680).
Giovanni Scuderi, “Mao e le due culture” discorso pronunciato il 16 settembre 2001 a Firenze per il XXV Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale, in Giovanni Scuderi Opuscolo n. 9, pagg. 67-69,
www.pmli.it/scuderimaoeledueculture.htm
8 il bolscevico / XVII congresso cgil
N. 2 - 16 gennaio 2014
Documento della Commissione di Massa del CC del PMLI
Diamo battaglia al XVII
congresso della Cgil
Uniamo la sinistra contro
la destra della Camusso
Appoggiamo la mozione 2
Rilanciamo la proposta del PMLI sul sindacato delle lavoratrici
e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
Ormai siamo nel mezzo del
percorso che porterà al 17° congresso nazionale della Cgil che si
terrà a maggio. L’11 luglio 2013
sono state istituite le tre commissioni che hanno preparato il terreno all’assise: quella politica, quella relativa alla organizzazione e
quella statutaria. Il 19 novembre il
direttivo nazionale ha aperto ufficialmente la fase congressuale. In
quella occasione sono stati discussi i documenti congressuali, ancora in fase di preparazione. Infine il
3 dicembre sono stati licenziati i
due documenti alternativi definitivi: quello della maggioranza, prima firmataria Susanna Camusso, e
quello della sinistra presentato da
Giorgio Cremaschi.
In questo mese di gennaio,
dopo le festività, inizieranno i congressi di base, poi seguiranno tutti
gli altri: delle Camere del Lavoro,
delle categorie e intercategoriali,
provinciali, regionali, fino a quello nazionale che si svolgerà il 6,7
e 8 maggio a Rimini. Fin da subito la segretaria Susanna Camusso
ha chiesto un congresso unitario.
Per essere più precisi la Camusso ha preteso che le aree programmatiche interne che si collocano a
sinistra nella Cgil, ossia “Lavoro
e Società” e “La Cgil che vogliamo”, convergessero sulle posizioni e sul documento che lei stessa
rappresenterà al 17° congresso, rinunciando a presentarne di alternativi. La segretaria nazionale della Cgil è stata accontentata: le due
suddette componenti hanno immediatamente dichiarato la resa.
Noi marxisti-leninisti invece
non vediamo nemmeno un motivo
che possa giustificare l’adesione
al documento della maggioranza
rappresentata dalla Camusso. Se
all’ultimo congresso del 2009 “La
Cgil che vogliamo” aveva giudicato necessario proporre un’altra
piattaforma e un’altra analisi politica diversa da quella della segreteria, aggregando la sinistra sindacale nel tentativo di cambiare
o quantomeno influenzare le scelte della Cgil giudicate sbagliate e
inefficaci, tanto più ve ne era la
necessità adesso.
La gestione
di destra
della Camusso
Facendo un bilancio basato sui
fatti, non possiamo che registrare una linea, una tattica, una conduzione del più grande sindacato italiano del tutto inadeguata a
fronteggiare il gigantesco attacco condotto dai governi borghesi
italiani ed europei e dai capitalisti nostrani contro i lavoratori e i
pensionati e le masse popolari. La
Cgil, prima di Epifani e poi della
Camusso, ha balbettato di fronte
agli attacchi del governo Berlusconi ed è stata debole o ha fatto
addirittura da sponda ai governi
Monti e Letta. Gravissimo l’atteggiamento tenuto di fronte alla
controriforma Fornero delle pensioni e allo svuotamento delle tutele contenute nell’articolo 18: anziché mettersi di traverso a difesa
dei lavoratori, dei pensionati, dei
precari e dei disoccupati ha indetto solo qualche ora di sciopero,
un’azione intrapresa più che altro
per salvare la faccia di fronte ai lavoratori.
La Cgil della Camusso ha firmato accordi di categoria che hanno derogato importanti spezzoni
e peggiorato i rispettivi contratti nazionali, ha ricercato l’unità sindacale con Cisl e Uil sulle
loro posizioni cogestionarie e capitolazioniste, si è legata al carro
della Confindustria, arrivando ad
appoggiare le rivendicazioni dei
padroni e a festeggiare il 1° Maggio assieme a loro, è stata accettata la politica di austerità portata avanti dai governi di Roma e di
Bruxelles che scarica sulle masse
la crisi economica e finanziaria
causata dal capitalismo. Non ha
mai cercato l’autonomia rispetto
ai partiti della “sinistra” borghese,
in particolare verso il PD e i governi da questo guidati o appoggiati.
Il documento congressuale di
Camusso, Landini e Nicolosi dal
titolo “Il lavoro decide il futuro”,
non esce da questa linea ed è quindi da rigettare in blocco. Non ci
dobbiamo far ingannare dalla premessa, che critica genericamente
la politica economica dell’Unione europea (UE) e degli ultimi governi del nostro Paese. Si vuol far
credere che un’istituzione come
l’UE, nata con lo scopo di competere con le altre potenze economiche nel mercato capitalistico, oggi
globalizzato, possa essere cambiata e diventare un’Europa sociale
vicina ai lavoratori, dando più potere al parlamento europeo e riformando la Banca centrale europea.
La politica di subordinazione
della CGIL a governo e Confindustria viene pienamente riconfermata, compresi gli accordi che
possono derogare i contratti nazionali che restringono la democrazia
sindacale e il diritto di sciopero.
Su questo non ci sarà spazio per
il dissenso interno, il documento della maggioranza a proposito
recita chiaro: “L’accordo del 28
giugno 2011, al di là dei diversi
giudizi, impegna tutta l’organizzazione e non è scindibile dall’accordo del 31maggio 2013. Accordo positivo, frutto dell’iniziativa
di tutta la CGIL, che rappresenta
un significativo cambiamento nel
sistema di regole e di rappresentanza per la contrattazione e su
cui tutta l’organizzazione è impegnata a garantirne l’esigibilità”.
Anche sull’assetto istituzionale
del nostro Paese non c’è la benché
minima denuncia del restringimento della democrazia borghese
che ha trasformato di fatto l’Italia in una repubblica presidenziale. Anzi! Nonostante ci sia un
vago richiamo alla Costituzione
del 1948 (che materialmente non
esiste più da tempo), si accettano
proposte di “riforma” che tendono
a sminuire i poteri del parlamento,
a cambiare da destra le procedure
istituzionali, a garantire la governabilità borghese. Riguardo al finanziamento pubblico ai partiti, se
ne chiede solo una riduzione, non
una totale abolizione come sarebbe necessario.
Nella parte rivendicativa ci
sono richieste di aggiustamenti e miglioramenti, che rimangono però sempre all’interno di una
logica di subordinazione alle esigenze della classe dominante borghese e delle sue istituzioni. Sono
misure che cercano di addolcire il
capitalismo per farlo meglio digerire ai lavoratori e ai pensionati, ben sapendo che la politica dei
governi italiani ed europei rimarrà
anche nei prossimi anni sui binari
dell’austerità. Per quanto riguarda
la rappresentanza e la democrazia
dentro la Cgil ci sono solo delle
enunciazioni, senza impegni concreti, e comunque poco credibili
perché il patto sulla rappresentanza del 31 maggio scorso, firmato
anche da Landini, va nella direzione opposta escludendo i sindacati
che non firmano gli accordi.
Gli undici emendamenti portati da Landini, Nicolosi, Moccia e
altri non incidono più di tanto perché nessuno di essi chiede un cambiamento dell’attuale linea della
Cgil e perché i loro firmatari fanno parte della nuova maggioranza
che fa capo a Susanna Camusso.
Questa operazione emendaria se
da un lato non cambia la sostanza, dall’altro offre una copertura a
sinistra alla Camusso, che in questo modo ha un argomento in più
per affermare che le richieste della
sinistra sono state accolte dal suo
documento e dalla maggioranza
della Cgil, nonostante questo sia
falso.
L’opportunismo
di Landini e
compagni
In sintesi il documento che
mira a conservare l’attuale linea
sindacale avrà il sostegno della
maggioranza uscita dal precedente congresso e in più le aree programmatiche, o quanto rimane di
esse, “Lavoro e Società” di Nicolosi e Patta e “La Cgil che vogliamo” a cui avevano contribuito Landini, Rinaldini, Airaudo
(vi avevano aderito anche i marxisti-leninisti). In essa aveva una
posizione di rilievo Cremaschi che
da tempo ne è uscito e assieme ad
altri 5 membri del direttivo nazionale ha presentato un documento
alternativo dal titolo “Il sindacato
è un’altra cosa”.
“Lavoro e Società” già al precedente congresso si era allineata
al tandem Epifani-Camusso. Con
un accordo preventivo aveva ottenuto importanti posti dirigenti, in
cambio Nicolosi non avrebbe presentato o aderito a documenti alternativi. Quest’area si dichiara
la sinistra della Cgil, ma al di là
di critiche generiche a cui non seguono mai i fatti, si è dimostrata
fin qui più interessata alla spartizione delle poltrone che a cambiare la Cgil, insomma una condotta
del tutto opportunista.
Più travagliata la vicenda di
“La Cgil che vogliamo” ma alla
fine anche in essa ha prevalso
l’opportunismo. Quest’area già
da tempo non dava più segnali di
opposizione alla linea della Camusso, stesso discorso vale per
la Fiom di Landini. L’unica Federazione della Cgil dove la sinistra aveva una maggioranza anche
consistente, ed è stata alla testa
di tutte le battaglie fatte in difesa dell’articolo 18, contro la Fiat
e il modello Marchionne, contro
la deindustrializzazione, riuscendo a legarsi con altri movimenti,
come ad esempio i No-Tav, prendendo posizioni spesso in contrasto con quelle della segreteria confederale.
Nella Fiom però alla fine è prevalsa la normalizzazione. Ne è responsabile Landini che via via è
scivolato sulle posizioni della Camusso e di conseguenza su quelle di Cisl e Uil. La sinistra è stata
emarginata dal direttivo nazionale
e la Fiom è tornata all’ovile della
confederazione.
Il segretario della Fiom in poco
tempo ha abbandonato i propositi
battaglieri deludendo tanti lavoratori che avevano riposto fiducia in
lui. Landini ha fatto proprio il patto interconfederale del 31 maggio
2013, figlio di quello del 28 giugno 2011, in precedenza giustamente respinto perché introduceva
le deroghe ai contratti nazionali e
restringeva la democrazia sindacale, e in vista del congresso si è
allineato alle posizioni della destra
riformista rinunciando a sostenere
un documento alternativo. Da più
parti si pensa che queste mosse siano funzionali alla sua ambizione
a diventare in futuro il segretario
generale della Cgil, per la quale
carica serve il più ampio consenso
da parte del gruppo dirigente.
Landini è arrivato a caldeggiare le primarie in stile PD per l’elezione del segretario nazionale
della Cgil, dulcis in fundo ha incontrato pubblicamente Matteo
Renzi, il nuovo segretario nazionale del PD, acerrimo nemico dei
lavoratori e ammiratore di Marchionne. Proprio mentre Landini
dichiarava di aver trovato punti in
comune con Renzi, quest’ultimo
attaccava nuovamente quel che resta dell’articolo 18 proponendo di
eliminarlo del tutto per i neo assunti.
Questi fatti hanno portato alla
ricostituzione della Rete 28 Aprile, l’Area programmatica guidata da Cremaschi che nel 2009 era
confluita nel documento congressuale “ La Cgil che vogliamo” per
cercare di ampliare il più possibile
il fronte dell’opposizione. Fronte
che ora si è disciolto e che la Rete
tenta di riorganizzare.
Sosteniamo
il documento 2
La Rete 28 Aprile e quella parte di Fiom, di Rsu e di lavoratori
che non si sono allineati a Landini
hanno deciso di dare battaglia alla
linea del gruppo dirigente uscente
presentando, come già detto il documento alternativo “Il sindacato
è un’altra cosa”. A fronte di questa
situazione il PMLI ha scelto di appoggiare questo documento: i militanti, i simpatizzanti del Partito e
chi si riconosce nella linea sindacale dei marxisti-leninisti sono tenuti a sostenerlo in modo leale e
collaborativo, pur senza rinunciare alla nostra visione politico-sindacale e al nostro modello di sindacato.
Noi non abbiamo attualmente le forze per presentare un nostro documento alternativo, quindi dobbiamo appoggiare quello di
Cremaschi che si avvicina molto di più alle nostre posizioni di
quello della Camusso, e di fatto riunisce la sinistra sindacale di cui
fanno parte a tutti gli effetti anche
i marxisti-leninisti. Dovremo attuare una politica di fronte unito
e lavorare organizzati, pur con la
nostra autonomia, con le variegate forze che appoggiano la mozione 2. Non sarà facile conquistare
il consenso a tale documento perché la scelta opportunista di Landini ha indebolito tanto la sinistra sindacale. La mozione 2 parte
quindi fortemente minoritaria, con
pochissimi mezzi e dirigenti a di-
sposizione, poggia tutto sui delegati, se agiremo in ordine sparso
tutto sarà ancora più difficile.
Non nascondiamo che la mozione 2 non ci soddisfa pienamente. L’analisi del quadro economico
e politico risulta raffazzonata, anche a causa dei tempi ristretti, ma
soprattutto carente perché la critica è fatta solo sulle conseguenze
della crisi e non sulle cause, cioè
il capitalismo che non viene nominato nemmeno una volta, al massimo si punta il dito sul neoliberismo. Nei nostri interventi invece
dobbiamo usare parole di fuoco
contro il capitalismo, il governo
Letta-Alfano e il capo dello Stato Napolitano che lo sostengono e
ne curano gli affari. Nel documento si chiede l’annullamento degli
accordi europei basati sull’austerità, ma non si chiede l’uscita dell’Italia dalla UE, anche l’attacco
all’imperialismo non viene portato fino in fondo. Sul governo Letta-Alfano il silenzio è addirittura
tombale, mentre sullo stravolgimento della repubblica democratica borghese e l’instaurazione del
presidenzialismo di fatto, gli vengono dedicate un paio di righe.
Non siamo d’accordo sul reddito minimo garantito, una specie di sussidio ai poveri che con
un elemosina si tengono ai margini della società, rivendichiamo invece la piena occupazione. Possiamo discutere la richiesta di salario
minimo, un tetto minimo orario
sotto il quale non si può scendere per nessun tipo di lavoro, non
va però toccata la centralità del
contratto nazionale. Per il resto la
parte rivendicativa ci trova sostanzialmente sulla stessa lunghezza
d’onda, sintetizzata dallo slogan
del documento “ RivendicAZIONI per una Cgil indipendente, democratica, che lotta”.
Tra le rivendicazioni più importanti e significative c’è la richiesta che le grandi aziende strategiche, come Fiat, Ilva, Telecom,
Alitalia, i grandi ospedali privati
come il San Raffaele, che rischiano tagli o chiusura, siano espropriate senza indennizzo e gestiti
dal potere pubblico, con partecipazione e controllo dei lavoratori
e delle popolazioni. Giustamente si sostiene la lotta per ridare al
contratto nazionale centralità nella
contrattazione, si sostiene la difesa e lo sviluppo dei servizi pubblici dalla sanità alla scuola, il controllo pubblico e popolare sui beni
comuni come l’acqua, l’effettiva
parità di diritti per i migranti, una
nuova scala mobile e un forte e inderogabile aumento dei salari e si
sostiene la lotta contro le grandi
opere come la Tav.
SEGUE IN 9ª
➫
XVII congresso cgil / il bolscevico 9
N. 2 - 16 gennaio 2014
Firenze, 23 febbraio 1993. Il PMLI lancia la grande parola d’ordine strategica per “Costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori” in occasione della manifestazione per lo sciopero generale sui temi della deindustrializzazione e occupazione a cui partecipa il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del Partito (foto il Bolscevico)
La proposta
sindacale
del PMLI
Nell’ultima parte si rivendicano forme più democratiche all’interno del sindacato. Perché, è scritto nel documento, “i lavoratori
hanno bisogno di organizzarsi in
forme flessibili e aperte, in comitati di lotta e consigli di delegati
per questo la Cgil decide di avviare un processo di organizzazione
nuovo tra tutte le lavoratrici e lavoratori, nel territorio tra i pensionati e i disoccupati”. Vi è una
denuncia sacrosanta di un apparato burocratico mastodontico che
decide tutto mentre la democrazia e la partecipazione dei lavoratori rimane in secondo piano, più
sulla carta che effettiva. La proposta strategica del PMLI di modello di sindacato va molto oltre. Noi
ci battiamo per la costruzione dal
basso di un grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle
pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e il
potere sindacale e contrattuale in
mano alle assemblee generali dei
lavoratori e dei pensionati.
Possiamo prendere spunto
dall’esigenza di una rappresentan-
Al direttivo provinciale
della FILCTEM di Pisa
Molte critiche alla
dirigenza della Cgil
Andrea Cammilli giudica
fallimentare la segreteria Camusso
‡‡Redazione di Fucecchio
Ultimo direttivo provinciale del
2013 della categoria dei chimici, svoltosi martedì 17 dicembre
nei locali della Camera del lavoro di Pisa. Alla sua conclusione
è seguito anche lo scioglimento
in quanto a gennaio inizieranno
i congressi di base che dopo un
lungo iter porteranno al congresso nazionale che si svolgerà a
maggio a Rimini.
Nonostante i congressi debbano ancora iniziare, su questo
argomento si è incentrato il dibattito a cui erano presenti una
quarantina di lavoratori. Sostanzialmente ci sono stati due tipi
d’intervento: quello dei dirigenti
che chiedevano unità ed esprimevano un giudizio positivo
sull’azione del sindacato e quello dei delegati che invece hanno
espresso molte critiche alla dirigenza della Cgil.
L’intervento di un lavoratore
del settore geotermico di Larderello ha giustamente sottolineato
che al prossimo congresso saranno presentati due documenti
alternativi. Questo perché molti
interventi, ascoltati anche in altre
riunioni, tendono a far credere
che ci sarà solo un documento
unitario, dando un’immagine distorta del congresso. Il lavoratore ha criticato anche le modalità dell’ultimo sciopero unitario
sulla finanziaria, disorganizzato
e spezzettato in tante piccole
manifestazioni tanto da risultare
meno partecipato di quelli indetti
solo dalla Cgil
Le critiche si sono incentrate
sulla mancanza di autonomia da
parte della Cgil verso i partiti e i
governi e verso scelte molto discutibili, prime tra tutte l’atteggiamento morbido verso la controriforma Fornero delle pensioni e
l’accettazione dello svuotamento
delle tutele contenute nell’articolo 18, critiche che il compagno
Andrea Cammilli aveva portato a
fondo nel suo intervento applaudito dalla sala.
Il nostro compagno ha ricordato come la segreteria Camusso
abbia dato una risposta del tutto
inadeguata rispetto alla gravità
dell’attacco ai lavoratori e sia stata praticamente connivente con i
governi Monti e Letta in particolare, ed abbia ritrovato l’unità con
Cisl e Uil ma sulle loro posizioni
e su quelle di Confindustria. Ma
la mancanza di autonomia viene
dimostrata anche a livello locale:
a Firenze la Cgil prende le distanze dai lavoratori Ataf perché il
sindaco della città è il segretario
del PD, in Emilia dai lavoratori
delle cooperative di facchinaggio
perché queste fanno parte della
Lega Coop di area PD e via discorrendo.
Rispondendo ad alcune osservazioni ha chiuso il suo intervento ricordando che se Camusso, Bonanni e Angeletti vanno a
fare un presidio a Roma per modificare la finanziaria è chiaro che
la partecipazione sarà scarsa,
ma se invece viene indetto uno
sciopero generale di 8 ore con
manifestazione unica nazionale,
con obiettivi chiari, vedrete che i
lavoratori si mobilitano in massa.
za sindacale di tipo nuovo, che in
parte si trova nella mozione 2, per
esporre il nostro modello di sindacato le cui caratteristiche principali sono: l’unità sindacale di
tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di
tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del sindacato fondata sulla
democrazia diretta dal basso verso l’alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle
Assemblee generali dei lavoratori
e dei pensionati, che comporta tra
le altre cose la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e
dei dirigenti non più riconosciuti
come tali dalla base; l’assunzione
di una piattaforma rivendicativa
che abbia come scopo la conquista di migliori condizioni di vita e
di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello
di principio della concertazione e
del “patto sociale” con le “controparti” (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe,
con l’uso di tutti i metodi di lotta
a disposizione che possono essere
conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e
gli oppressi.
Questo tipo di democrazia e di
sindacato va ben al di là dei refe-
rendum che sono importanti, ma
che comunque chiamano i lavoratori a esprimersi su decisioni già
prese. Noi la intendiamo come democrazia diretta che poggia sul
protagonismo nei luoghi di lavoro anzitutto, ma anche al di fuori,
pensando ai pensionati, che non si
limiti a un sì o un no ma che permetta ai lavoratori e ai pensionati di discutere i problemi, mettere a confronto le idee, assumere le
decisioni, approvare o rifiutare le
piattaforme e gli accordi con voto
palese, selezionare i loro rappresentanti più capaci e combattivi.
L’unica capace di unirli attorno ai
loro interessi di classe, di liberarli
dai cappi delle vecchie e “nuove’’
sigle sindacali e di renderli indipendenti dalle istituzioni, dal governo e dal padronato.
Per realizzare il nostro obiettivo di un grande sindacato delle
lavoratrici e dei lavoratori, delle
pensionate e dei pensionati fondato sull’idea forza della democrazia
diretta occorrerà che si sciolgano
tutte le sigle sindacali: Cgil, Cisl
e Uil oramai completamente succubi e complici del governo e del
padronato, i sindacati cosiddetti
di base (Usb, Cobas, Slai-Cobas,
ecc.) che si collocano più a sinistra
della Cgil ma che con la loro impostazione spontaneista e anarchi-
ca, le loro rivendicazioni tendenzialmente corporative, tendono
più a dividere che unire i lavoratori. Ovviamente finché non nascerà
questo tipo di sindacato, i marxisti-leninisti, fintanto che lo riterranno possibile e opportuno, continueranno a condurre la propria
battaglia preferibilmente all’interno della Cgil e a costruire la corrente sindacale di classe con tutti
coloro che, fuori e dentro i sindacati confederali e autorganizzati, condividono la nostra proposta
sindacale e vogliono battersi per
realizzarla.
Diamo battaglia al 17°congresso della Cgil, il che vuol dire tenere un atteggiamento combattivo,
attivo e propositivo. I sindacalisti
e i lavoratori marxisti-leninisti devono cogliere le occasioni che il
congresso presenterà loro per sostenere quanto possibile, le posizioni sindacali del Partito. Per far
questo occorre rinfrescarsi la memoria con i nostri documenti sul
tema, il regolamento del congresso e studiare i due documenti congressuali.
In primo luogo dobbiamo criticare a fondo il documento della
maggioranza e le scelte fallimentari fatte in questi anni dalla segreteria con a capo la Camusso, denunciando le scelte opportunistiche
di Landini e di Nicolosi in modo
chiaro ma dialettico cercando di
unire la sinistra contro la destra.
Dobbiamo appoggiare la mozione 2, prendendo contatti da subito con i suoi referenti. Nei nostri
interventi alle riunioni di tale mozione dobbiamo puntare sulle cose
che ci uniscono, mantenersi comunque liberi di esprimerci in termini fortemente anticapitalistici.
Dobbiamo rilanciare la nostra proposta del grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori,
delle pensionate e dei pensionati
in modo intelligente, legandola ai
temi congressuali, usando la dialettica, ovviamente senza tirare in
ballo il PMLI e intervenendo come
lavoratori e pensionati. Bisogna
studiare molto per chiarirci le idee
e per fare degli interventi concisi e
concreti, tenendo conto degli umori e del livello di coscienza dei partecipanti alle Assemblee congressuali a cui siamo presenti.
Avanti con forza e fiducia nella battaglia contro la destra riformista della Camusso, Landini e
Nicolosi, per l’unità e la vittoria
della sinistra sindacale e per il rilancio della proposta sindacale del
PMLI.
La Commissione per il lavoro
di massa del CC del PMLI
Firenze, 2 gennaio 2014
Pienamente riuscita la manifestazione regionale indetta da CGIL-CISL e UIL
20 mila in piazza A Torino contro
la legge di Stabilità e la giunta Cota
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Completamente riuscita la
manifestazione regionale indetta
dai sindacati confederali per la
mattina di sabato 14 dicembre
a Torino per dire no alla Legge di
stabilità economica del governo
del democristiano Letta e contro
la Giunta regionale piemontese di
Roberto Cota che, con lo scandalo di rimborsopoli, ha mostrato il volto marcio e corrotto della
Lega Nord e delle istituzioni borghesi che operano costantemente ai danni delle masse popolari
piemontesi.
In piazza Vittorio Veneto, luogo del concentramento, già dalle
9 si sono ritrovati migliaia di piemontesi determinati a far sentire
alle amministrazioni rappresentative borghesi tutta la loro rabbia e
disapprovazione. Gli oltre 20 mila
manifestanti hanno rappresentato la parte sana e battagliera d’Italia quella che viene spremuta e
sfruttata dal capitalismo che non
consente una vita dignitosa per
sé e per i propri figli ed è costretta
dalla spaventosa crisi economica
attuale a patire povertà e ristrettezze perché i politici borghesi
non sono interessati e incapaci di
risolvere i problemi occupazionali
e soddisfare i bisogni di vita delle
lavoratrici e dei lavoratori.
Presente
l’Organizzazione
biellese del PMLI che con la partecipazione attiva di militanti e
simpatizzanti ha diffuso centinaia
di copie del volantino “La stangata c’è in particolare sul pubblico
impiego” e portato le rosse bandiere di lotta del PMLI fin sotto
il palco degli oratori. Il naturale
posizionamento della delegazione marxista-leninista non poteva che essere quello all’interno
dello spezzone della FIOM-CGIL
cioè la parte più determinata e
cosciente della classe operaia;
qui i compagni del PMLI si sono
mossi come pesci nell’acqua accolti con sorrisi di approvazione e
stima dalle operaie e operai più
decisi nella lotta per un mondo
nuovo.
Lo spirito di combattimento
ha riscaldato il freddo clima in-
vernale ed il corteo si è snodato
per tutta via Po confluendo nella
bellissima piazza Castello, luogo
deputato per i comizi finali dei
rappresentanti di CGIL, CISL e
UIL dove questi ultimi due sindacati, dopo anni di accordi separati, paiono essersi risvegliati dal
letargo politico imposto dai loro
vertici in primis Raffaele Bonanni
e Luigi Angeletti. Dal palco Alberto Tomasso della CGIL piemontese ha sottolineato la necessita
“di un piano straordinario per il
lavoro e per ridare un futuro ai
giovani”. “Bisogna intervenire su
pensioni e retribuzioni per dare
respiro alle famiglie” ha aggiunto
l’esponente della CGIL. “Siamo in
piazza - ha continuato il segretario della CGIL, Tomasso - per far
sentire la nostra indignazione e
la nostra protesta per una Legge
di stabilità che non ci piace e per
le mancate politiche della regione” e ha voluto concludere con
“Dopo 6 anni di crisi in Piemonte ci sono oltre 200mila persone
che stanno cercando un lavoro,
servono misure idonee a dare alle
persone una speranza di occu-
pazione. La politica a tutti i livelli
deve dimostrare competenza e
moralità, deve dare l’esempio e
trovare soluzioni, basta con spese ingiustificate, con sprechi e
privilegi” ha concluso il sindacalista CGIL, riferendosi al recente
scandalo dei rimborsi facili per i
consiglieri regionali piemontesi.
Al termine della manifestazione dei sindacati confederali i
compagni del PMLI si sono spostati nella parte nord della piazza per accogliere, con un folto
volantinaggio del documento del
Partito, l’arrivo del corteo delle
studentesse e degli studenti torinesi che erano partiti da piazza
Albarello e anche loro diretti in
piazza Castello, ma sotto il Palazzo della Regione, per chiedere
più risorse per scuola e università e un finanziamento straordinario per il diritto allo studio.
Qui le studentesse e gli studenti
sono stati pesantemente caricati
dalla polizia e dai carabinieri per
essersi semplicemente permessi di lanciare alcuni palloncini di
vernice colorata contro il palazzo
regionale.
Calendario
2014
rosso
6 il bolscevico / regime neofascista
1924
1848
3FEBBRAIO
1943
5MARZO
1953
6MARZO
1919
8MARZO
1910
14
MARZO
1883
1895
Anniversario della fondazione della
Terza Internazionale
Giornata
internazionale
della donna
8 Marzo in fabbrica a Milano.
Sul cartello al centro si legge:”FLM 8 MARZO 1973
Le lavoratrici dellaPhilips in lotta
per il contratto di lavoro
W la Giornata Internazionale della Donna!!”
9APRILE
1945
1°
MAGGIO
1890
9
28
SETTEMBRE
Tessera di un
membro
dell’Internazionale
con la firma di Marx
(evidenziata in rosso)
1864
1°
OTTOBRE
A destra un disegno
celebrativo della
Associazione
internazionale dei
lavoratori
Anniversario della fondazione
della Repubblica popolare cinese
Anniversario della
28
NOVEMBRE nascita di Engels
Anniversario
della Grande
Rivoluzione
Socialista
d’Ottobre
O vince il potere
sovietico
o vince il
capitalismo
1820
Anniversario della
fondazione
DICEMBRE de “Il Bolscevico”
15
Anniversario della nascita di Lenin
Anniversario della
Liberazione dal
nazifascismo
25
APRILE
Anniversario della
morte di Mao
SETTEMBRE Anniversario della
1976
fondazione della
Prima Internazionale
1917
La targa della nuova sede del PMLI e della Redazione centrale
in Firenze, via Antonio del Pollaiolo, 172a tel: 055 5123164
1870
5AGOSTO
Anniversario
della morte
di Engels
7NOVEMBRE
Anniversario della
Fondazione
del PMLI
22
APRILE
1889
1949
Anniversario
della morte
di Marx
Anniversario della
Comune di Parigi
1977
14
LUGLIO
Anniversario della fondazione
della Seconda Internazionale
Anniversario
della morte
di Stalin
Tibilisi (Georgia).
Striscione in corteo per
la manifestazione per il Primo Maggio 2013
Berlino 1945 dopo la sconfitta del nazifascismo
16
MAGGIO
1966
Volgograd (Stalingrado) 2013
Festeggiamenti in occasione
del 70° Anniversario
della Vittoria di Stalingrado
Anniversario
della Liberazione
dell’Europa dal
nazifascismo
Anniversario del lancio ufficiale
della Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria cinese
Anniversario della pubblicazione del
“Manifesto del Partito Comunista”
Conclusione
della battaglia
di Stalingrado
18
MARZO
1871
8MAGGIO
1945
Cavriago (Reggio Emilia). Piazza Lenin
FEBBRAIO
1818
N. 7 - 23 febbraio 2012
Partigiani sfilano
a Milano per
la parata
della Liberazione
Giornata
internazionale
dei lavoratori
Manifesto per la proclamazione del primo
1° Maggio in Italia
1969
21
DICEMBRE
Il primo numero de “il Bolscevico” (n. 35-2013) pubblicato
sul sito del PMLI dopo la sospensione della pubblicazione cartacea
Anniversario della nascita di Stalin
1879
Anniversario
della nascita
DICEMBRE di Mao
26
1893
Anniversario
della fondazione
DICEMBRE dell’Urss
(Unione delle Repubbliche
30
1922
Socialiste Sovietiche)
lo stemma dell’URSS
Nota: sono indicate la data dell’avvenimento o dell’istituzione della celebrazione
21
GENNAIO
Anniversario
della morte
di Lenin
5MAGGIO
Anniversario
della nascita di Marx
PMLI / il bolscevico 11
N. 2 - 16 gennaio 2014
In provincia di Modena
Fucecchio
Volantinaggio
Stimolanti discussioni
della Cellula
e ingenti sottoscrizioni raccolte
“Falzarano” del pmli
segnano il successo
Nelle discussioni i marxisti-leninisti
raccolgono gli sfoghi di rabbia
della campagna per il proselitismo e sfiducia
delle masse nelle istituzioni
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Castelvetro di Modena
Nelle ultime settimane di dicembre, i militanti e i simpatizzanti del PMLI della provincia di
Modena hanno portato a termine
la campagna per il proselitismo
2013 e raccolta fondi per le amministrative 2014. I banchini precedenti erano stati il 28 settembre e
il 14 dicembre.
Il penultimo banchino si è tenuto il 21 dicembre, Anniversario
della nascita di Stalin, ricordato
per l’occasione con un suo ritratto (incorniciato da un simpatizzante) sul banchino e la diffusione
del Documento dell’Ufficio politico: “Il grande contributo di Stalin alla lotta contro il capitalismo,
per il socialismo”. Fra gli svariati confronti sull’attualità e sul
ruolo storico del “magnifico georgiano”, segnaliamo una stimolante discussione con una coppia
di giovani russi che, riportando-
Sul mio cuore rosso di
quattordicenne è inciso
il nome del PMLI
Sono Matteo ho 14 anni e vorrei
entrare nel Partito marxista-leninista italiano.
Per quale motivo? Da tanto
seguo il comunismo e, complessivamente, sono riuscito a “esaminarlo”, e sono arrivato alla conclusione, che le mie idee combaciano
con quelle dei cinque grandi Maestri del proletariato: Marx, Engels,
Lenin, Stalin e Mao.
Tutto è partito dallo studio storico di questi cinque Maestri, a
cominciare da Karl Marx. È il mio
mito, ho sempre pensato che egli
sia stato un bravo filosofo e un ottimo uomo con un cuore grande, per
tutti, soprattutto per gli operai. Per
non parlare di Lenin, egli ha portato
le idee di Marx sempre avanti, fino
alla grandissima rivoluzione d’Ottobre. Il mio cuore è rosso e ci sono
quattro lettere incise sopra: PMLI.
Amo l’Italia e questa è la vera strada per la libertà e la salvezza.
Matteo, via e-mail
Rossi auguri al PMLI
per il nuovo anno di lotte
Cari compagni,
a voi tutti auguri per un Rosso
Modena, 28 dicembre 2013. Interesse e discussioni attorno al banchino di propaganda per il proselitismo marxista-leninista. A sinistra il compagno Federico Picerni,
Responsabile della Commissione Giovani del CC del PMLI (foto Il Bolscevico)
ci i ricordi positivi dei loro nonni
vissuti nell’URSS di Stalin, hanno
voluto farsi fotografare accanto al
banchino e richiesto “Stato e rivoluzione” (Lenin) e “Trotzkismo o
2014 anche da parte di Anna e Maria, invio saluti marxisti-leninisti.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Liliana – Cuneo
Tanti auguri di buon anno rosso
2014 a tutti i militanti del PMLI, ai
simpatizzanti e ai lettori de Il Bolscevico.
Sono sicuro che sarà un altro
anno di crescita quantitativa (qualitativamente va benissimo) del
Partito, nel quadro della lotta al governo Letta e al capitalismo, per il
socialismo.
Solo il socialismo salverà l’Italia!
Giordano – Paola (Cosenza)
Cari compagni,
tanti auguri per un rosso 2014!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Saluti marxisti-leninisti.
Federico – provincia di Rovigo
Vi auguro buone feste e vi ringrazio delle lotte che continuate a
fare in nome dei nostri grandi, insuperabili Maestri. Potessi comprerei
Il Bolscevico e gli opuscoli ma proprio non posso, la crisi maledetta,
delinquenziale, creata dal capitalismo non me lo permette.
Saluti rossi e guerrieri!
Silvano - Teramo
Rossi auguri di Istanze e compagni
per l’anno nuovo al PMLI
Pubblichiamo come esemplificativi di tutti quelli ricevuti da
Istanze del Partito e da singoli
militanti e dirigenti gli auguri di un
buono e rosso anno nuovo.
Cari compagni, care compagne,
continuando la nostra lunga
marcia rossa con la stessa costanza della mente e del cuore. E ancora e di più con la forza e l’entusiasmo di sempre, buon anno 2014.
Patrizia Pierattini
L’Organizzazione di Buonalbergo del PMLI invia al PMLI.Campania, alle compagne e ai compagni
del CC del PMLI, alla Redazione
de “Il Bolscevico”, al Segretario
generale Scuderi e a tutte le compagne e i compagni delle Cellule e
Organizzazioni locali Rossi auguri
per un 2014 pieno di vittorie per il
PMLI e per il socialismo.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Organizzazione di Buonal-
bergo (Benevento) del PMLI
Rossi auguri per il nuovo anno
con affetto proletario a te, compagna Giovanna, al Segretario generale, Giovanni Scuderi, all’Ufficio
politico, al Comitato centrale e
alle Commissioni centrali.
Saluti marxisti-leninisti. Coi
Maestri e il PMLI vinceremo!
Sesto Schembri, Segretario
della Cellula “Stalin” della provincia di Catania
Auguri per l’anno nuovo. Che
il 2014 porti grandi cose al PMLI.
Che il compagno Segretario generale possa guidarci a lungo
affinché possa vedere il Partito
diventare il Gigante Rosso che
auspichiamo.
Per l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Saluti marxisti-leninisti.
Salvo - Palermo
leninismo” (Stalin).
Un successo in termini di interesse e partecipazione confermato dal banchino del 28 dicembre,
sul quale campeggiava un gran-
Buon anno a te, compagna Giovanna e a tutto il PMLI. Quel poco
che facciamo, in base ai nostri impegni, lo facciamo perché crediamo
nel PMLI.
Maria, Eleonora, Florinda – provincia di Catania
Auguri marxisti-leninisti a te cara
compagna Giovanna e a tutti i compagni del PMLI. Che il nuovo anno
possa essere ricco di possibilità per
tutti noi.
Un abbraccio e saluti rossi a tutti
voi.
Aurora - Palermo
Auguri cara compagna Giovanna a te e al PMLI, che sia veramente
un anno di conquiste.
Ludovico – Acireale (Catania)
Tanti auguri di un felice e rosso
anno nuovo.
Rossi saluti
Aurora – Caltagirone (Catania)
Buon 2014 a te compagna Giovanna e ai compagni di Firenze.
Patrizia - Catania
Tantissimi ed immensi auguri
a te compagna Giovanna e a tutti
i compagni e compagne del PMLI
per un 2014 pieno di conquiste politiche.
Gianni - Londra
Auguri per un prosperoso avvenire.
Nicola – Catania
Bellissimo il numero su Mao e la GRCP
Complimenti per il bellissimo
numero de Il Bolscevico su Mao e
la grande rivoluzione culturale proletaria.
Un saluto marxista-leninista.
Stefano, via e-mail
Nel 120° della nascita di Mao
Viva Mao Zedong! Viva la Rivoluzione culturale! Viva il PMLI che
sarà la guida della rivoluzione socialista in Italia!
Luca – provincia di Salerno
Un’importante goccia rossa
per il Partito
Contribuisco con una piccola goccia (100 euro) in un grande
mare rosso, certa dei giusti ideali
del Partito.
Avanti con forza! Viva il PMLI!
Elisa – Firenze
de ritratto di Mao dato che appena due giorni prima era caduto il
120° Anniversario della sua nascita. Diffuso per l’occasione il comunicato stampa “Omaggio del
PMLI a Mao”, corredato dalla citazione: “È giusto ribellarsi contro i reazionari”, in un volantino
a cura della locale Organizzazione
del PMLI.
In entrambe le occasioni, sono
stati diffusi complessivamente oltre mille volantini recanti l’Appello del PMLI ai giovani ed estratti dell’articolo de “Il Bolscevico”:
“Le masse non lasciano la piazza”. Le numerose discussioni con
i passanti circa la strategia per il
socialismo, la lotta di piazza e di
massa, l’attualità e questioni storiche del movimento comunista
internazionale, nonché le ingenti
sottoscrizioni raccolte, hanno reso
i compagni pienamente soddisfatti
dell’esito della campagna, conclusa immancabilmente con un brindisi ad un rosso 2014.
Serie perplessità sulla
legittimazione politica di questo
governo
Continuo ad avere serie perplessità sulla legittimazione politica di questo governo e di questo
parlamento a mettere comunque
mano alla Costituzione, sul fatto
che questa scelta sia davvero frutto di realismo; a mio parere, basta
guardarsi intorno per capire che
occorre mettere mano prioritariamente ad un vero piano del lavoro
e a misure idonee a risolvere la grave crisi sociale e a scongiurare gli
effetti nefasti della disperazione ed
esasperazione di tanti cittadini.
Carlo Smuraglia – Presidente
nazionale Anpi
Le primarie aperte ai non iscritti
sono la negazione dell’idea di
partito
Con la vittoria di Renzi si conclude l’ultimo capitolo di una storia
iniziata nel 1921 a Livorno; l’ultimo
capitolo era cominciato quando
Occhetto tolse via la denominazione originaria. I capitoli precedenti,
del resto, non erano stati sempre
confortanti.
Intile dire che le primarie aperte ai non iscritti sono la negazione
dell’idea di partito; in realtà io credo
che neppure essere iscritti basti a
pronunciarsi: infatti, si deve essere
iscritti e militanti, nel dettaglio aver
partecipato a congressi di base (e
sia pure nelle forme “a distanza”
oggi in voga).
Dunque, il PD non solo non è un
partito socialdemocratico, ma non
è neppure un partito. Preso atto di
ciò, vedremo.
Cari saluti e auguri di un buon
2014.
Nicola Spinosi - Firenze
Il “MUOStro” di Niscemi
Carissimi, ho appena pubblicato
il volume “Il MUOStro di Niscemi,
per le guerre globali del XXI secolo”
(EditPress, Firenze), in cui ho voluto
sistematizzare le problematiche di
tipo militare, ambientale, giuridicocostituzionale, sanitario, sociale
e criminale relative al famigerato
progetto d’installazione a Niscemi
del terminale terrestre del MUOS, il
nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina Usa.
Vi sono grato da adesso per
l’attenzione che darete a questo
lavoro.
Vi abbraccio e un grazie di cuore.
Antonio Mazzeo - Messina
e nei politicanti borghesi
Le masse devono
continuare a lottare
nelle piazze
Fucecchio (Firenze), 22 dicembre 2013. Un momento della diffusione (foto Il
Bolscevico)
‡‡Redazione di Fucecchio
I compagni di Fucecchio sono
tornati in piazza a far sentire la
voce del PMLI. L’occasione è stata il mercato straordinario di domenica 22 dicembre, che come
ogni anno, si tiene durante il periodo natalizio. Sono state diffuse
alcune centinaia di copie del volantino dove si illustra la posizione dei marxisti-leninisti sulle lotte
e i movimenti più recenti a partire dal Movimento 9 dicembre, più
noto come “forconi”.
Nel volantino si denunciano le
infiltrazioni della destra fascista
nel movimento (che vanno immediatamente isolate), chiaramente
favorite dalla latitanza della “sinistra” borghese che è lontana anni
luce dai problemi dei lavoratori e
anche degli autonomi e della piccola borghesia, classi e categorie
sociali su cui è stata scaricata la
crisi capitalistica.
Anche i nostri militanti hanno
potuto toccare con mano la rabbia delle masse popolari, la sfiducia nelle istituzioni e nei politicanti borghesi, Renzi compreso, e
ascoltare le loro difficoltà economiche nelle varie discussioni che
hanno avuto. C’è purtroppo una
grande confusione, non si capisce
quale deve essere l’obiettivo delle masse e chi, alla fine, accetta il
“meno peggio” ma anche chi, nonostante la deideologizzazione, si
avvicina senza pregiudizi ai marxisti-leninisti con l’intenzione di
chiarirsi le idee.
Comunicato del Comitato Lombardo del PMLI
W l’assalto delle masse
studentesche ai palazzi
del potere borghese
in difesa della scuola
pubblica!
Occupiamo le scuole e le
università
Il Comitato lombardo del Partito Marxista-Leninista Italiano
condanna con forza le brutali
cariche poliziesche subite dalle
studentesse e dagli studenti che
nella giornata di Lunedì 16 dicembre hanno assaltato il palazzo del Pirellone a Milano, simbolo
del potere borghese in Lombardia che dopo i vent’anni di dittatura del ciellino Formigoni ora col
fascioleghista Roberto Maroni al
governo non cambia la musica,
ma anzi inasprisce la vita delle
masse popolari, in questo caso
studentesche, decidendo nel bilancio regionale di quest’anno, la
spesa di 30 milioni di euro stanziati per scuole private dei ricchi,
scippandoli di fatto alla scuola
pubblica! Questo scippo di denaro pubblico in favore delle scuole
privare è inaccettabile!
Il PMLI sostiene in maniera
militante la lotta degli studenti,
rivendica il blocco immediato dei
finanziamenti alle scuole private
e invita le masse studentesche
ad occupare le scuole e le università lottando per la scuola e
l’università pubblica, gratuita,
governata dalle studentesse e
dagli studenti.
Solo unendosi alla classe
operaia, al PMLI sua avanguardia, e a tutti gli altri movimenti di
lotta delle masse, compreso chi
è sceso in piazza con i “forconi”
si potrà far divampare la lotta di
classe nella nostra regione e in
tutto il paese contro il Capitalismo e i suoi governanti, locali,
regionali, nazionali, consci che
solo il Socialismo e il potere del
proletariato potranno garantire il
sicuro futuro della scuola pubblica!
Il Comitato Lombardo
del PMLI
18 dicembre 2013
12 il bolscevico / cronache locali
N. 2 - 16 gennaio 2014
urban porta il saluto del PMLI
A sostegno di Renzi al Congresso provinciale di SEL a Biella
due liste
di centro-destra
Per le amministrative di primavera a Firenze
‡‡Dal corrispondente
Sono formate da ex PDL ed ex montiani
‡‡Redazione di Firenze
Il neopodestà Matteo Renzi
(PD) in vista delle prossime amministrative a Firenze, alle quali pare ripresenti la candidatura
a sindaco, sta portando alla ribalta il sostegno che non gli è
mai mancato da destra, caratterizzandosi sempre di più come
uomo della grande borghesia.
Da poco incoronato premier del
PD in vista delle elezioni amministrative si sta già sganciando
dal suo partito, presentandosi
sulle orme di Berlusconi in stile
personalistico e ducesco come
“capo” indiscusso e trasversale
agli schieramenti parlamentari.
Le liste annunciate sono
due. “Noi con Matteo Renzi”,
in cui confluiscono transfughi
dal PDL a UDC, bene impersonificata dal capolista Massimo
Pieri, eletto consigliere comunale nelle liste PDL, poi passato all’UDC e poi approdato alla
maggioranza renziana; seconda
candidata la consigliera Bianca
Maria Giocoli, che ha seguito lo
stesso percorso. In lista anche
Luca Galasso, consigliere del
Quartiere 4 (ex PDL, ex UDC),
Claudio Miceli, commercialista
e presidente dell’associazione
“Noi con Matteo Renzi”, Giuseppe Bergamaschi, avvocato
e segretario di Assoimpresa e
l’assicuratore Giovanni Simonetta.
L’altra lista nasce nell’alveo di “Scelta civica” di Mario Monti. “Siamo con Renzi attraverso una lista civica che sia
capace di schierare professionisti fiorentini” dice Mattia Alfano, coordinatore fiorentino di
“Scelta civica”; una scelta che
fa seguito a contatti tra i vertici nazionali renziani e quelli di
“Scelta Civica”.
Sembra inoltre che Renzi intenda presentarsi a capo di una
propria lista, non sotto le insegne del PD.
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Si è svolto sabato 30 novembre, presso il salone polivalente del Comitato interprovinciale
ARCI “Mauro Torlaschi”, il secondo congresso provinciale
di Sinistra Ecologia e Libertà
(SEL). All’assise sono stati invitati ufficialmente le organizzazioni politiche di sinistra e il Partito
Democratico (PD) con cui SEL
mantiene un rapporto strettissimo tanto da lasciar intendere
che, probabilmente, prima delle
prossime elezioni politiche esso
confluirà all’interno del PD. È stato un congresso ridotto al lumicino, con la presenza di una decina
di militanti, a indicare le fortissime
difficoltà di SEL nel radicarsi nel
biellese e farsi riconoscere come
soggetto politico attivo e capace
di modificare la drammatica realtà sociale; anche in conseguenza
del recente scandalo mediatico
che ha coinvolto il presidente nazionale di SEL, Nichi Vendola.
I lavori congressuali sono iniziati con la relazione del segretario uscente Vladimiro Celanti che,
nel suo intervento, ha cercato di
dare un indirizzo di cambiamento di rotta del partito nel biellese invitando il suo movimento a
“sporcarsi le mani” nelle organizzazioni di lotta e partecipando
attivamente alle proteste sociali.
ARRESTATO IL neopodestà
DEL PD ANTONIO CONCAS
Nella maxi inchiesta “clean city” coinvolti anche assessori e funzionari
comunali di quattro regioni. Sequestrati beni per 14 milioni di euro
della Lombardia
Il neopodestà di Pioltello (Milano) Antonio Concas, capolista
nel suo collegio nella “Lista Cuperlo” alle “primarie” del PD per
l’assemblea nazionale svoltasi l’8
dicembre scorso, è stato arrestato l’11 dicembre dalla guardia di
finanza nell’ambito di una maxi
inchiesta denominata “clean city”
(città pulita), coordinata dai pm di
Monza Salvatore Bellomo e Giulia Rizzo. Su richiesta del gip di
Monza Claudio Tranquillo sono
state arrestate complessivamente 26 persone (14 in carcere e 12
ai domiciliari) ed è stato disposto
l’obbligo di dimora per altri 15
indagati, con capi d’imputazione che variano dalla corruzione
alla turbativa d’asta, dalla truffa
aggravata ai danni di ente pubblico all’emissione di false fatture. Sono stati complessivamente
sequestrati beni per 14 milioni di
euro, corrispondenti al profitto e
al prezzo della corruzione contestata e l’inchiesta, oltre alla Lombardia, si è estesa a Piemonte,
Lazio (dove è stato arrestato il
viceneopodestà di Frosinone Fulvio De Santis) e Puglia.
L’accusa per Concas è di aver
ricevuto una tangente di 20mila
euro per rinnovare il contratto
Il Golfo, fine novembre 2013, pubblica un articolo sulla partecipazione del
compagno Gianni Vuoso, responsabile
dell’Organizzazione di Ischia del PMLI,
al congresso del PRC locale
con la società Sangalli Giancarlo
& C., un’azienda monzese specializzata nella gestione e smaltimento dei rifiuti per molte amministrazioni locali e che sarebbe
l’“epicentro del sistema corruttivo”, oltre che per aver adibito
un immobile a sede temporanea
della società BrianzAcque, cosa
che poi non è avvenuta a causa delle indagini in corso. Senza
vergogna, in una nota, il PD pioltellese ha avuto la faccia tosta di
affermare che “bisognerebbe andare avanti come se nulla fosse
accaduto”.
Tra gli altri indagati finiti in
manette vi sono due funzionari del servizio idrico integrato di
Metropolitana Milanese, Riccardo Zanella e Vincenzo Dodaro,
la dirigente del settore ambiente
del Comune di Monza, Gabriella
Di Giuseppe, l’ex assessore monzese Giovanni Antonicelli (PDL) e
l’ex presidente di BrianzAcque
Oronzo Raho. Tra gli indagati
cui è stato disposto l’obbligo di
dimora vi sono invece due ex dirigenti dell’Amsa, l’ex presidente
Sergio Galimberti e l’ex direttore
generale Salvatore Cappello, che
avrebbero ricevuto un milione e
mezzo di euro per tener fuori la
società dalla gara d’appalto per
la raccolta dei rifiuti a Monza.
La società Sangalli, secondo i
magistrati, aumentando la propria
fatturazione grazie alle società
complici Scau Ecologica e Stella
Plast, avrebbe creato un sistema di fondi neri da cui reperire
il denaro per corrompere politici
e funzionari. Le tangenti erogate
sarebbero di circa un milione di
euro, suddivise tra politici e funzionari del comune di Monza, per
pilotare gli appalti legati al ciclo
dei rifiuti e alla manutenzione dei
cimiteri. Sempre secondo quanto
sostengono i magistrati, questa
attività illecita sarebbe poi stata ripetuta anche in altre città italiane.
Biella, 30 novembre 2013. Un momento dell’intervento del compagno Urban, a
nome dell’Organizzazione biellese del PMLI (foto Il Bolscevico)
nizzativo con SEL nella direzione
di un populistico e interclassista
“Interesse delle italiane e degli
italiani”.
Il rappresentante del Partito
della Rifondazione Comunista
(PRC) di Biella, Renato Nuccio,
s’è concentrato sui problemi concreti delle masse popolari biellesi
che vedono costantemente la sanità pubblica sfasciarsi con ticket
da pagare sempre più alti e servizi resi insufficienti e scadenti; per
non parlare del trasporto pubblico locale e della linea ferroviaria
Santhià–Biella–Novara diventati il
simbolo piemontese per antono-
masia dell’inefficienza con corse
che saltano, treni che si fermano
a metà percorso in piena campagna, rendendo veri e propri calvari i viaggi di migliaia di lavoratrici
e lavoratori pendolari e delle studentesse e studenti universitari. Il
rappresentante del PRC ha voluto citare il lavoro comune svolto
dal suo partito insieme al PMLI
all’interno del movimento No Tav
biellese contro lo sperpero di denaro pubblico a vantaggio dei signori del cemento e per una spesa pubblica a favore della sanità
pubblica di qualità per le masse
popolari biellesi.
Congresso provinciale del prc di
Biella: invitato ufficialmente il PMLI
‡‡Dal corrispondente
A Pioltello (Milano)
‡‡Dal nostro corrispondente
Celanti in alcuni passaggi ha ricordato l’attualità del pensiero
di Marx che è ancora capace di
“indicarci la via dell’effettivo cambiamento sociale”.
Dopo la relazione sono stati
invitati a parlare i rappresentanti
ufficiali dei partiti tra cui il compagno Gabriele Urban, Responsabile dell’Organizzazione biellese del
PMLI, che ha illustrato l’enorme
divario tra le parole e i fatti messi
in campo da SEL che non è presente nei movimenti di massa
biellesi e che continua a coprire
a sinistra il “famigerato PD” curando così esclusivamente gli interessi della borghesia nostrana.
Poi ha preso la parola il giovane segretario biellese del PD,
Paolo Furia, che ha attaccato il
PMLI affermando che tale partito
propone solo slogan retorici ormai superati nel tempo e, a suo
dire, la società attuale sarebbe
“molto più complessa e stratificata” e dunque le analisi marxiste e, successivamente, del PMLI
sono definitivamente sorpassate
e inservibili. Il segretario del PD
ha auspicato un sempre maggiore avvicinamento politico e orga-
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Si è svolto sabato 23 novembre, presso il salone “Anello
Poma” del Comitato interprovinciale ARCI di Biella, il Congresso
provinciale del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) di
Biella. Il salone è stato addobbato con manifesti contro il governo del democristiano Letta ed in
favore del movimento valsusino
contro l’alta velocità ferroviaria;
mentre le bandiere ufficiali del
PRC si alternavano a quelle del
movimento No Tav.
Dopo la presentazione dei
rappresentanti delle tre mozioni
congressuali il segretario uscente, Valter Clemente, ha dato la
parola agli invitati ufficiali per i saluti tra cui il compagno Gabriele
Urban, rappresentante dell’Organizzazione biellese del PMLI. Nel
suo intervento Urban ha evidenziato gli errori politici compiuti dal
gruppo dirigente nazionale del
PRC che hanno portato ad un
evidente sfoltimento delle schiere
di militanti del PRC con un conseguente ridotto peso politico
e organizzativo; il nostro compagno ha ricordato l’importante
e positivo lavoro di fronte unito,
su determinate importanti lotte,
che i due partiti stanno portando
avanti da anni con profitto tra cui
spicca la costituzione e partecipazione attiva al movimento No
Tav biellese. In tale passaggio del
saluto il compagno Urban è stato
applaudito.
Hanno poi portato i loro saluti
il neosegretario venticinquenne
del Partito Democratico (PD) di
Biella, Paolo Furia, che, in perfetta copia con il modo di atteggiarsi e parlare del leader nazionale Matteo Renzi ha prodotto un
Biella, 23 novembre 2013. Il compagno Gabriele Urban porta i saluti del PMLI
ai delegati al congresso provinciale del PRC (foto Il Bolscevico)
fiume di parole e buoni propositi
distanti milioni di anni luce dalla politica del PD. In seguito ha
parlato il Segretario organizzativo
della Camera del Lavoro di Biella,
Adama Mbodji, amico del PMLI,
concentrandosi sulla crisi occupazionale presente in provincia
di Biella, soprattutto nell’industria
tessile, che ha visto negli anni la
perdita di migliaia di posti di lavoro; ora la tenuta occupazionale
cede anche in importanti settori
alternativi come l’eclatante caso
della Coca-Cola di Gaglianico
(Biella) che con l’arrivo del 2014
lascerà a spasso oltre 90 lavoratori per poi definitivamente chiudere lo stabilimento produttivo
della provincia laniera.
Nella sua relazione il Segretario uscente ha avuto il coraggio di
descrivere gli errori compiuti dal
gruppo dirigente nazionale del
PRC dichiarando che avrebbe
votato per la mozione di minoranza numero tre. Al momento del
voto dei tre documenti congressuali la federazione di biella del
PRC si è mostrata in netta controtendenza rispetto al nazionale
facendo vincere la Mozione 3 con
12 voti, a seguire la Mozione 1
del Segretario nazionale uscente,
Paolo Ferrero, che ha ottenuto
sette voti mentre il documento
del gruppo “Falce e Martello” ha
incassato solo 2 voti.
COMMEMORAto l’eccidio partigiano
IN PIAZZA SAN CASSIANO A BIELLA
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Puntualmente come ogni
anno domenica 22 dicembre si
è svolta a Biella, la commemorazione dell’eccidio partigiano di
Piazza San Cassiano ad opera
della teppaglia nazifascista nel
1944. Furono fucilati in sette tra
civili e combattenti. Un partigiano
riuscì incredibilmente a salvarsi,
fingendosi morto, e fuggendo
successivamente.
Presenti ufficialmente con le
proprie bandiere solo l’Organizzazione biellese del PMLI e Rifondazione Comunista di Biella.
Il primo a prendere la parola un
giovane rappresentante dell’ANPI
di Biella che, dopo una ricostruzione dei fatti accaduti 69 anni fa,
ha giustamente destato l’allarme
antifascista sottolineando come
l’attuale crisi economica stia facendo riemergere numerose organizzazioni di chiara ispirazione
nazifascista, e ha evidenziato
come i vertici di alcuni gruppi
che ruotano attorno al cosiddetto
“Movimento dei forconi”, non abbiano alcuna legittimità nel prendere le parti delle masse proletarie in quanto elementi riconosciuti
dell’estrema destra reazionaria.
Successivamente è stata la
volta del neopodestà di Biella,
Dino Gentile, eletto anche con i
voti della Fiamma Tricolore che,
con un discorso sulla libertà in
senso astratto e interclassista, si
è detto preoccupato per le precarie condizioni in cui versano le
masse, senza peraltro indicare
una benché minima soluzione
concreta, fatta salva la recente
invocazione alla madonna nera di
Oropa, da poco trasportata in pellegrinaggio dal Santuario di Oropa al duomo cittadino ultimamente ristrutturato con soldi pubblici,
cui s’è raccomandato per fare
uscire il biellese dalla devastante
crisi economica che lo attanaglia.
Alla fine della commemorazione l’Organizzazione di Biella del
PMLI ha discusso con i compagni di base del PRC, dandosi appuntamento alle prossime occasioni politiche di azione comune.
cronache locali / il bolscevico 13
N. 2 - 16 gennaio 2014
Per il 90° anniversario della scomparsa del grande
Maestro del proletariato internazionale
CONTRO IL PROGETTO DI DEVASTAZIONE DEL TERRITORIO
E DELL’AMBIENTE IN PROVINCIA DI AVELLINO
Centinaia di manifestanti
ONORIAMO LENIN
in corteo a Gesualdo per dire
A CAVRIAGO IL 19 GENNAIO No alle trivellazioni petrolifere
PARTECIPIAMO NUMEROSI
Domenica 19 gennaio il
PMLI.Emilia-Romagna
organizza a Cavriago (Reggio
Emilia) in Piazza Lenin una
commemorazione pubblica in
occasione del 90° anniversario
della scomparsa di Lenin.
Il ritrovo è alle ore 11. Il discorso ufficiale avrà inizio alle
ore 11,30. Lo pronuncerà De-
nis Branzanti, Responsabile del
PMLI per l’Emilia-Romagna.
Al termine si terrà un pranzo
collettivo in un ristorante della
zona.
Chi fosse interessato a partecipare lo comunichi il prima
possibile, anche per consentire
la prenotazione al ristorante.
Partecipiamo numerosi per
rendere omaggio al grande Maestro del proletariato internazionale Lenin!
Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo!
Con Lenin per sempre contro il capitalismo per il socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
I marxisti-leninisti sanniti sostengono e appoggiano
la battaglia dei Comitati No Triv avellinesi
 Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Buonalbergo del PMLI
Domenica 22 dicembre 2013
si è svolto a Gesualdo, un piccolo
comune dell’Irpinia in provincia di
Avellino, un corteo contro le trivellazioni petrolifere.
Oltre 500 manifestanti sono
scesi in strada per la protesta
dell’Irpinia contro le trivellazioni.
Erano presenti i Comitati No Triv, i
No Tav, sindaci, associazioni am-
EDILI E PRECARI IN PIAZZA A PALERMO
Il 13 dicembre 2013 in concomitanza con lo sciopero generale
di 8 ore dei lavoratori edili, svoltosi con imponenti manifestazioni
a Milano, Napoli, Roma per rivendicare il rinnovo del contratto nazionale, scaduto da 11 mesi, e il rilancio del lavoro, anche a Palermo
sono scesi in piazza in 10mila lavoratori edili e precari.
Due cortei hanno attraversato la città diretti da CGIL, CISL e
UIL. Il corteo degli edili è sfilato
dietro lo striscione con su scritto
“Contratto e lavoro”, con Feneal,
Uil, Filca, Cisl, Fillea, CGIL Sicilia. Formato da delegazioni sindacali unitari provenienti da tutte le province della Sicilia hanno
tenuto un sit-in davanti alla sede
dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) dopo la rottura della trattativa per il rinnovo
del contratto nazionale di lavoro e
poi in Prefettura per sollecitare lo
sblocco dei cantieri, dall’altro lato
il corteo dei precari diretti a palazzo D’Orleans, sede del governo
regionale.
La manifestazione degli edili
è stata compatta e partecipata, si
può dire “storica” rispetto a quelle
precedenti organizzate dalla sola
CGIL o dalla sola CISL.
I lavoratori della Fillea CGIL
oltre a sventolare le bandiere rosse
del sindacato indossavano una casacca rossa, con la scritta sul petto:
“senza lavoro non si vive”. Ogni
tanto, i dirigenti delle tre confederazioni posti davanti allo striscione arringavano i manifestanti con
la parola d’ordine: “Lavoro, lavoro, contratto, contratto” Qualche
volta veniva cantata “Bella Ciao”.
Ogni tanto venivano lanciate canzoni assordanti che non avevano
niente a che fare né col senso della
manifestazione, né con le tradizioni di lotta del movimento operaio,
come l’inno di Mameli.
Il corteo si concludeva con un
comizio davanti alla prefettura da
parte del segretario nazionale della Fillea CGIL e quello regionale
della Filca CISL.
Entrambi hanno ringraziato i
manifestanti per aver manifestato attenendosi al pacifismo e alla
legalità. Inoltre hanno espresso il
motivo dello sciopero che sono
stati costretti a proclamare perché
dopo vari incontri con l’ANCE e
dopo 11 mesi dalla scadenza del
vecchio contratto non si è riusciti
a trovare un accordo per rinnovare il contratto nazionale di lavoro.
I punti principali della rottura della trattativa sono: primo l’ANCE
non è disposta ad aumenti salariali, secondo non vuole dare ai lavoratori il premio di professionalità,
SECONDO UN’INCHIESTA FOTOGRAFICA DELLA REDAZIONE
PARTENOPEA DE “IL BOLSCEVICO”
Imminente una nuova
emergenza
rifiuti
a
Napoli
Silenzio connivente dei mass media di regime. gravi
responsabilità della giunta antipopolare De Magistris
 Redazione di Napoli
Nel mese di dicembre la nostra Redazione è stata impegnata
in un reportage fotografico sulla
situazione dei rifiuti a Napoli. Passeggiando o utilizzando mezzi di
locomozione, alcuni compagni e
compagne hanno fatto per diversi
giorni giri perlustrativi per il capoluogo campano per verificare
l’effettivo stato della situazione
rifiuti. Il risultato, scrutando alcuni quartieri centrali e periferici, è
sconvolgente, al punto che le foto
(che pubblichiamo a corredo) parlano più di mille parole.
In alcuni casi siamo già
all’emergenza con vie centrali o
di percorrenza quotidiana dove
non si raccolgono rifiuti: dalla trafficatissima via Stadera alla via Michele Pironti, che costeggia il rettifilo; da viale della Resistenza a
Scampia sino ai quartieri spagnoli
i cumuli di immondizia si sono
accumulati
vergognosamente
senza un piano di intervento serio da parte della “Asia” guidata
dall’“ambientalista” Raffaele Del
Giudice (ex responsabile campa-
no Legambiente). Materassi, elettrodomestici, tanti cartoni e carta
con scarti delle feste natalizie
che hanno letteralmente invaso i
marciapiedi. La raccolta ordinaria
avviene con fatica, mentre quella straordinaria relativa alle feste
risulta rallentata, se non quasi
inesistente: in sostanza né Del
Giudice, né tantomeno l’assessore all’Ambiente Tommaso Sodano
hanno approntato un piano per
una eventuale emergenza dei ri-
fiuti, sottovalutando gravemente
la questione.
Al degrado e alla miseria in
cui vive Napoli, si aggiunge una
vecchia e triste protagonista,
l’emergenza rifiuti, che la giunta
antipopolare De Magistris per ora
non riesce ad affrontare: una bolla
che non riesce a scoppiare a causa anche del silenzio connivente
dei mass media, soprattutto locali, che coprono i falsi rivoluzionari
arancioni e i loro lacchè.
Fine dicembre 2013. Cumuli di spazzatura soffocano ancora il centro di Napoli
terzo non vuole pagare l’indennità di malattia e infortunio, quarto
l’impresa che subappalta i lavori
ad altre imprese non vuole essere garante dei diritti dei lavoratori, qualora le ditte subappaltatrici violino il contratto nazionale e
quello integrativo territoriale. Per
cui entrambi i segretari incoraggiati dalla volontà di lotta dei lavoratori hanno sostenuto che non
cederanno di un millimetro nella
salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Inoltre hanno precisato che
intendono attraverso altre iniziative di lotta costringere il governo
Crocetta e quello Letta di mettere
al centro la questione lavoro dando vita ai finanziamenti per l’apertura dei cantieri che riguardano: la
ristrutturazione urgente di scuole
sicurezza ambientale, difesa del
suolo, ristrutturazione di ospedali
e centri storici ecc. Pertanto hanno
lanciato una manifestazione di lotta, a Catania per il lavoro.
A questa manifestazione di Palermo non poteva certo mancare
il compagno Francesco Campisi che, come sempre, ha cercato
di dare visibilità al Partito anche
sventolando la bandiera rossa con
falce e martello e l’effige di Mao
alla testa del corteo, dietro lo striscione unitario accanto ai lavoratori edili. Nel corso del corteo il
compagno ha scandito le seguenti parole d’ordine riprese e ripetute da tutti i lavoratori, dirigenti compresi: “Crocetta, Crocetta
oggi più che mai o ci dai il lavoro o te ne vai!”, “Lotta, lotta, lotta, non smetter di lottare, lavoro
e diritti dobbiamo conquistare!”.
E ancora: “Nord e Sud uniti nella lotta: governo Letta, cambia rotta!”. “Siamo sempre più incazzati
vogliamo salari e pensioni aumentati!”, “Lavoro! Lavoro! Lavoro!
Lavoro!”, “Il debito pubblico va
pagato dai partiti che ci hanno governato!”, “I grandi patrimoni occorre tassare, ai giovani il lavoro
bisogna dare!”, “Le spese militari,
occorre tagliare, i beni alla mafia
bisogna sequestrare, più posti di
lavoro bisogna creare!”, “Né flessibile, né precario, lavoro per tutti
pari salario!”.
Il compagno ha continuato a
sventolare la gloriosa bandiera del
PMLI a conclusione della manifestazione tra i lavoratori anche sino
sotto il palco dei comizi finali.
Francesco Campisi
- simpatizzante di Belpasso
(Catania)
bientaliste tra cui Legambiente e
il comitato Tutela Fiume Calore,
le Pro loco, delegati Anpas, lavoratori Irisbus e altri, per ribadire
il loro no alla trivellazione per la
ricerca improbabile di eventuale
petrolio che arricchirebbe solo le
compagine petrolifere a danno
dell’ambiente e del territorio in
una zona prettamente a vocazione agricola.
“La terra è nostra e non si tocca”. L’hanno urlato lungo tutto il
corteo. Una manifestazione organizzata a favore delle produzioni
locali, della storia di un territorio
che si è sempre contraddistinto
per le sue bellezze non solo storiche, culturali e architettoniche,
ma per la qualità dei prodotti provenienti dalla terra, dalle numerose coltivazioni, con aria e paesaggi sani. Una terra che, seppur
risparmiata negli ultimi anni dal
terremoto, è purtroppo ad altissimo rischio sismologico.
“Le trivellazioni sono il prologo
ad una nuova colonizzazione del
meridione d’Italia” ha ribadito Carmine Cogliano, uno dei rappresen-
spera e non si arrende. Il corteo è
terminato, in piazza Neviera, dove
era stato installato un palco per
chi voleva intervenire. Presenti
alla manifestazione anche rappresentanti della Basilicata con il
Comitato No Triv Basilicata, dove
le trivellazioni sono già all’opera,
i quali hanno rimarcato: “il nostro
augurio è che possiate vincere la
battaglia che noi, purtroppo, abbiamo perso”.
Presenti anche i rappresentanti del Codisam di Sant’Arcangelo
Trimonte, e No Triv Sannio provenienti da Benevento. Insomma, si
è trattato solo di una fase della
lotta cominciata un anno fa, e che
a singhiozzio è riuscita a coinvolgere, seppur con numerose difficoltà, le popolazioni irpine, ma
che non finirà sicuramente qui.
Un atto che è solo l’inizio del coro
di protesta che da qui ai prossimi
giorni si farà sentire sempre più
imponente. Una battaglia per la
difesa del territorio, per le acque,
per l’aria salubre, per la salute,
per la salvaguardia dell’agricoltura, dei beni paesaggistici e dei
Gesualdo (Avellino), 22 dicembre 2013. La manifestazione organizzata dai comitati No-Triv irpini contro le trivellazioni petrolifere (foto del Coordinamento
irpino No-Triv)
tanti del coordinamento No Triv.
“L’agricoltura, spina dorsale della
nostra verde Irpinia, sarà costretta a capitolare di fronte alle fiammelle accese dei pozzi petroliferi.
Il nostro bacino imbrifero, il più
grande del meridione d’Italia che
dà acqua a quattro regioni, sarà
irrimediabilmente compromesso
dall’avanzare delle compagnie
petrolifere”. Cogliano, ha continuato dicendo che era importante
manifestare il dissenso e la rabbia
rispetto ad “una devastazione del
territorio di per sé già annunciata,
memori di quanto sta accadendo
in Basilicata”. Così, rispondendo
all’appello, centinaia di persone
si sono raccolte nel piazzale Fiera per dare avvio al coro collettivo di dissenso contro i progetti
di estrazione petrolifera avanzati
dall’Italmin Exploration e dalla
Cogeid e su cui la Regione dovrà
pronunciarsi a breve. Ad aprire il
corteo uno striscione con la scritta
“No petrolio. Stessa terra, stessa
lotta”, retto da bambini e ragazzi,
parte attiva della manifestazione,
simbolo del futuro di una terra che
beni storico-architettonici.
Il coordinamento irpino No Triv
Irpinia Beni Comuni, da tempo
sta portando avanti un processo
di sensibilizzazione, con l’obiettivo di coinvolgere innanzitutto le
popolazione ad un’attiva partecipazione di massa.
L’Organizzazione di Buonalbergo del PMLI appoggia e sostiene la lotta dei Comitati No Triv
contro le trivellazione petrolifere,
contro la devastazione dell’ambiente e del territorio, contro la
speculazione delle holding capitalistiche che potranno trarre
grossi introiti finanziari dal petrolio
a discapito dei prodotti agricoli,
dell’aria e del sottosuolo.
I marxisti-leninisti sanniti ritengono che questa battaglia si possa vincere solo creando un largo
fronte unito che coordini stabilmente le lotte dei diversi territori
in conformità a una piattaforma
unica e condivisa che diventi patrimonio di un unico e grande movimento di massa indipendente e
autonomo dalle istituzioni rappresentative della borghesia.
Caricato dalla polizia il corteo
del 23 dicembre a Firenze
Indetto per portare nel centro dello
shopping natalizio le istanze dei senza casa
 Redazione di Firenze
Il 23 dicembre, nel pomeriggio, il corteo indetto dal Movimento di lotta per la casa per
portare nella vetrina dorata del
centro cittadino, decorato per
lo shopping natalizio, le istanze
dei senza casa e dei poveri, si è
tenuto nonostante il divieto della
questura.
Questa sfida alla Firenze del
turismo d’elite e dei ricchi bottegai del centro è costata ai manifestanti una violenta carica della
polizia, disposta a tutto pur di
non turbare il clima festaiolo.
14 il bolscevico / esteri
N. 2 - 16 gennaio 2014
Al vertice dell’Unione europea di Bruxelles la Germania della Merkel impone i suoi diktat
Via libera all’unione
bancaria nel 2014
I meccanismi di controllo partiranno entro il 2014 ma il fondo salvabanche comunitario
sarà operativo solo nel 2026
Il vertice europeo di Bruxelles del 19 dicembre ha ratificato
e approvato l’intesa raggiunta il
giorno precedente dall’Ecofin, il
consiglio dei ministri dell’Economia dei 28 paesi membri, in
merito alla definizione di un
meccanismo unico per il controllo e la gestione delle crisi delle
principali banche nazionali, affidato alla Banca centrale europea
(Bce). Un meccanismo per dare
maggior stabilità a un sistema
bancario ancora incerottato dagli
effetti della crisi e un tassello importante per la nascita, nel 2014,
dell’Unione bancaria. Unione
bancaria che sarebbe uno strumento “per tutelare risparmiatori e evitare nuove crisi. Un buon
passo verso una Ue più unita”,
commentava con enfasi il presi-
dente del consiglio italiano Enrico Letta. Certo l’accordo prevede anche la creazione di un fondo
comune per il salvataggio delle
banche in difficoltà ma tale fondo interverrà solo in seconda battuta, dopo che le banche in questione avranno dato fondo alle
risorse di azionisti, investitori e
correntisti oltre i 100 mila euro,
solo dopo un via libera non automatico ma deciso dalla Bce col
consenso dei governi e sarà operativo solo nel 2026. In ogni caso
il sistema tutela casomai le banche e non i risparmiatori e non è
detto che sia in grado di evitare
nuove crisi.
L’accordo, che prima di essere operativo dovrà passare al
giudizio del parlamento europeo
e poi ratificato di nuovo dall’E-
cofin, prevede che entro il primo
semestre del 2014 la Bce e l’Autorità bancaria europea (Eba) inizino a analizzare i requisiti patrimoniali e i bilanci delle banche
sottoposte alla vigilanza che finiranno sotto l’autorità di vigilanza unica in capo alla Bce entro
la fine dell’anno. Sotto la “tutela” della Bce finiranno le circa 130 principali banche della
Ue, gli istituti definiti sistemici, quelli che hanno almeno 30
miliardi di asset e un’incidenza
del 20 per cento sul prodotto interno lordo (pil) del proprio paese. Hanno invece mano libera,
perché al di sotto di questi parametri, le casse di risparmio tedesche, di proprietà pubblica, che
pure rappresentano quasi il 4%
dell’intero sistema bancario eu-
ropeo. Come voleva la Germania. Le regole di controllo devono valere soprattutto per gli altri
paesi che a Berlino considerano
meno “affidabili”.
L’accordo dovrebbe servire
a evitare che le banche dei singoli Stati falliscano in modo incontrollato e inneschino un effetto domino che metta a rischio il
sistema finanziario proprio e degli altri paesi. Le dovrebbe soccorrere il Single resolution fund
(Srf, nella sigla inglese) finanziato dalle stesse banche e che entrerà in funzione solo nel 2026
con una dotazione di 55 miliardi di euro. Una dotazione ridicola a fronte degli oltre 4.500 miliardi messi in campo dai governi
dell’Unione negli ultimi anni.
Certo non è detto che le banche
in crisi richiedano ancora tra 10
anni i finanziamenti ingenti spesi
dagli Stati per puntellarle durante l’attuale crisi ma è anche vero
che la filosofia del “mutuo soccorso” tra i paesi Ue prevede che
in prima battuta a pagare per la
eventuale crisi della banca siano
azionisti, obbligazionisti e tenutari di ricchi conti correnti come
nel primo caso messo in pratica
dalla Ue con le banche di Cipro.
In seconda battuta potrebbe intervenire il Srf, il fondo autofinanziato dalle banche che lo faranno
ovviamente pagare a tutti i loro
clienti e non solo quelli “ricchi”.
Difficile che intervenga il
fondo salva-Stati Esm (European stability mechanism) costituito dopo la crisi finanziaria della
Grecia ma utilizzato con parsi-
monia per l’opposizione della
Germania e se Berlino non vuole,
Bruxelles si adegua anche se alla
guida della Bce c’è l’italiano Mario Draghi.
Il sistema di protezione della Ue si affida quindi al mercato
che sostituisce l’intervento dello
Stato, che dovrebbe intervenire
quantomeno a tutela dei piccoli
risparmiatori e punire i responsabili delle banche nel caso di crisi generate dalle speculazioni con
la nazionalizzazione della banca.
E dovrebbe intervenire sempre a
tutela dei piccoli risparmiatori a
maggior ragione in caso di crisi
dovuta alla congiuntura economica che ha scosso e potrà scuotere in futuro anche il sistema finanziario capitalista. Con o senza
l’Unione bancaria.
Nel discorso per il 120° Anniversario della nascita di Mao
Il rinnegato Xi Jinping “recupera” Mao
per coprire la Cina imperialista
siti della sinistra cinese: “chiudere con la politica di riforma e apertura”
L’editoriale “Studiamo e applichiamo le opere di Mao per tenere fuori dal PMLI il revisionismo e il riformismo” sul numero
scorso de Il Bolscevico denunciava che la cricca a capo del Partito
comunista cinese, oggi un partito revisionista e fascista, ha visto
nel 120° anniversario della nascita di Mao (26 dicembre) un’occasione per riscoprirlo opportunisticamente e rifarsi la faccia
agli occhi delle masse oppresse e
sfruttate della Cina.
In effetti, con l’avvicinarsi
dell’anniversario, in Cina sono
state organizzate conferenze,
pubblicati un libro e serie televisive sulla sua vita, scritti articoli
di approfondimento su di lui, persino sono state ripulite le sue statue e restaurato il suo mausoleo
a Pechino.
Lo scopo palese dei rinnegati revisionisti cinesi è quello
di mettere a punto un cambio di
strategia, identificando in Mao
non più il tiranno sanguinario responsabile “delle più pesanti perdite subite dalla Cina” (così lo
tacciò Deng Xiaoping), bensì il
precursore del “socialismo con
caratteristiche cinesi” (leggi capitalismo) e del “sogno cinese
del rinnovamento nazionale”, lo
slogan lanciato nel 2012 dietro
cui la superpotenza socialimperialista cinese punta a inaugurare
una nuova fase caratterizzata dallo sdoganamento totale del libero
mercato, proclamato “elemento
decisivo” dell’economia dal terzo plenum del Comitato centrale del PCC svoltosi a novembre
(cfr. Il Bolscevico n. 43/2013).
Accanto ad una ancora più massiccia presenza sullo scacchiere
internazionale, che attualmente vede la Cina ai ferri corti con
l’imperialismo USA e giapponese per l’egemonia sul Pacifico.
Il discorso
di Xi Jinping
Il piatto forte di questa operazione antistorica revisionista è il
discorso tenuto da Xi Jinping, segretario generale del CC del PCC
revisionista e presidente della
Repubblica, al simposio commemorativo del 26 dicembre a Pechino.
In questo discorso, annacquato qua e là da frasi di lode per il
“grande marxista e grande rivoluzionario, stratega e teorico proletario”, Xi ha completamente
stravolto il grande contributo di
Mao alla causa del socialismo,
sostenendo che con la sua epocale opera rivoluzionaria questo
grande maestro del proletariato
avrebbe “prodotto l’esperienza
e posto le condizioni perché noi
potessimo intraprendere la strada
del socialismo con caratteristiche
cinesi”. Il discorso è una sequela
di assurdità e falsità, come quando vi si dice che “tutto il lavoro
svolto dal 18° Congresso del Partito” (novembre 2012) ha “avan-
zato e sviluppato al meglio” la
causa “del primo gruppo dirigente centrale del Partito diretto dal compagno Mao Zedong”,
fino ad affermare clamorosamente: “Oggi possiamo rassicurare il
compagno Mao Zedong e gli altri rivoluzionari anziani che, sulla base della costruzione del socialismo da parte del Partito e del
popolo da essi guidati, la politica di riforma e apertura e la modernizzazione della Cina hanno
conseguito risultati epocali e che
ora siamo più vicini che mai nella storia alla realizzazione dell’obiettivo del grande rinnovamento
della nazione cinese”.
Lo scopo è evidentemente
quello di colmare l’abisso fra la
fiorente epoca socialista di Mao,
dove la classe operaia dirigeva
tutto, e l’attuale dominio capitalista fondato sullo sfruttamento feroce e selvaggio della classe
operaia e dei lavoratori e sull’oppressione dei popoli nella maglia
del sempre più accanito imperialismo cinese. Nella stessa strategia rientra la campagna anticorruzione lanciata da Xi per lavare
l’immagine del PCC, dopo decenni di corruzione sbracata che
ha provocato il disgusto del popolo cinese, senza però cambiare la linea revisionista e anzi offrendo un’ottima occasione per
regolare i conti fra le consorterie di palazzo, favorendo al contempo una sempre più accentuata personalizzazione del potere in
Xi, presentato dalla propaganda
come affabile “uomo del popolo”
(nascondendo convenientemente
le sue enormi ricchezze). Lo stesso presidente cinese ha dovuto
ammettere che “il problema principale interno al Partito” è costituito dalla “insoddisfazione delle
masse popolari”.
Eppure, puntualmente, l’asino casca sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP),
condotta da Mao fra il 1966 e il
1976 per smascherare e sconfiggere i dirigenti del partito e dello Stato avviatisi sulla via capitalista. Non a caso Xi riafferma
che Mao “negli ultimi anni della sua vita commise gravi errori,
la ‘rivoluzione culturale’ prima
di tutti”. E non potrebbe essere
diversamente, dato che l’attuale dirigenza è filiazione diretta
dei vecchi revisionisti ai quali la
GRCP ha impedito per dieci anni
ciò che a Deng Xiaoping è riuscito nel 1978, ossia riportare la borghesia al potere.
Insomma, tutta l’operazione
fraudolenta si auto-smaschera
come tentativo di recuperare la
figura di Mao solo come guscio
vuoto, continuando a rinnegarne il pensiero e gli insegnamenti.
Come precisa categorico lo stesso Xi: “Senza riforma e apertura,
non ci sarebbe il presente della
Cina; se ci allontanassimo dalla
riforma e apertura, non ci sarebbe il domani della Cina”. In altre
parole: la restaurazione del capi-
talismo non è in discussione.
La verità è che il PCC ha rinnegato da tempo il marxismoleninismo-pensiero di Mao e il
socialismo, ha restaurato il capitalismo dietro la facciata del “socialismo di mercato” e rappresenta ora la garanzia del potere
della nuova e vecchia borghesia,
dei burocrati corrotti e arricchiti,
dei nuovi contadini ricchi. Ogni
tentativo di sfruttare Mao per
giustificare la Cina capitalista
e la sua corsa a superpotenza è
quindi inutile. Mao stesso, prevedendo questa possibilità, già nel
1966 con grande lungimiranza
aveva scritto: “Qualora in Cina
dovesse avere luogo un colpo di
Stato anticomunista, sono sicuro che non sarà una cosa pacifica e che avrà vita breve, perché
i rivoluzionari, che rappresentano gli interessi di più del 90%
della popolazione, difficilmente lo potranno tollerare. La destra potrà anche usare queste
mie parole per prendere il potere e tenerlo per un po’, ma la
sinistra sicuramente sfrutterà
le altre mie parole per organizzarsi e rovesciare la destra”.
Prese di posizione
della sinistra cinese
Di tutt’altro tenore rispetto alle “celebrazioni” ufficiali la
sincerità e l’emozione con cui il
popolo cinese ha partecipato alle
commemorazioni, portando fiori
alle statue di Mao e partecipando ad iniziative commemorative,
fra cui una camminata sulla strada di 5 chilometri percorsa per
raggiungere i monti Jinggang,
dai quali Mao avviò la rivoluzione a capo dell’Esercito Rosso.
Si ha notizia di commemorazioni spontanee a Shaoshan, suo villaggio natale, e viaggi a Yan’an,
quartier generale del PCC dopo
la Lunga Marcia.
A differenza di certi elementi ambigui della cosiddetta “nuova sinistra” (composta perlopiù da
universitari e funzionari a favore
del rafforzamento dell’economia
pubblica), caduti come pere cotte
nella trappola del partito revisionista, numerosi siti della sinistra cinese hanno pubblicato importanti
e incoraggianti articoli commemorativi, nei quali hanno anche criticato esplicitamente il PCC, venendo rimbeccati dal Global Times,
costola del Quotidiano del popolo,
come “ultrasinistri”.
È il caso di “Dongfanghong”
(L’Oriente è rosso) che ha definito il suddetto terzo plenum
del CC del PCC una “fase nuova e più intensa” della “lotta della
borghesia contro la classe operaia”, o di “Maoflag” (Bandiera di
Mao) che ha attaccato il “sogno
cinese” come “antimaoista, anticomunista e antipopolare”, fino
a “Redchina” (Cina Rossa) che
ha scritto: “Per salvare l’economia cinese bisogna chiudere con
la politica di riforma e apertura”.
ue / il bolscevico 15
N. 2 - 16 gennaio 2014
Il PD a braccetto con la reazione
e le destre al Parlamento europeo
Rigettata la risoluzione Estrela sulla “Salute ed i diritti sessuali e riproduttivi”
di Stefano
Ancora una volta il Parlamento
europeo si è fatto portabandiera di
istanze clericali e reazionarie, tra
le più becere della conservazione europea. All’inizio di dicembre l’Assemblea di Strasburgo ha
definitivamente affossato una risoluzione sulla “Salute ed i diritti
sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione, presentata dalla deputata
socialista portoghese Edite Estrela – vice-presidente della Commissione per i diritti della donna e
l’uguaglianza di genere – puntava
a promuovere l’uso della contraccezione, a prevenire le discriminazioni di genere e di inclinazione
sessuale, a stimolare la diffusione dell’educazione sessuale nelle scuole europee, e a tutelare l’aborto sicuro e legale in tutti i paesi
dell’UE.
In tre Stati membri dell’Unione
(Irlanda, Malta, e Polonia) le donne non hanno accesso a questo diritto primario, e pene molto severe
– che includono l’accusa di omicidio – sono contemplate dai rispettivi codici penali nel caso di aborti
“clandestini”. Spesso anche il recarsi all’estero, in un paese che lo
consente, per praticare l’interruzione di gravidanza viene considerato un reato ed è passibile di condanna. Di recente in Irlanda, una
donna di 31 anni, Savita Halappanavar, è morta (o, meglio è stata
assassinata) dopo che i medici le
hanno negato l’aborto nonostante
una evidente setticemia la stesse
lentamente uccidendo. Il feto, che
non permetteva la somministrazione delle cure è stato asportato
solo dopo che ne è stato constatato
il decesso cardiaco, ma ormai per
la donna era troppo tardi. Savita è
morta dopo un’ulteriore settimana
di agonia.
Sotto attacco
il diritto d’aborto
Come ben sappiamo, in Italia,
il diritto all’aborto è continuamente sotto attacco da parte della chiesa, delle lobby più reazionarie, e
da parte di buona parte delle forze politiche, che dalla destra alla
“sinistra” borghese si prostrano a
baciare gli anelli dei cardinali. Il
fenomeno dell’obiezione di coscienza, non solo tollerato, ma
ormai apertamente incentivato e
promosso dai direttori sanitari (in
quota a tutti i principali partiti borghesi) ha raggiunto un livello insostenibile, negando in molte realtà del Paese l’accesso ad un diritto
riconosciuto da una legge, la 194,
che in questo contesto rivela tutta
la sua insufficienza ed inadeguatezza.
Secondo quanto emerge dalla
“Relazione sulla attuazione della
legge 194/78”, rilasciata nell’ottobre 2012 dal Ministero della Salute, in Italia, negli ultimi cinque
anni il numero degli obiettori di
coscienza è cresciuto dal 58,7% al
69,3%. In alcune regioni come la
Basilicata, la Campania, il Molise,
la Sicilia, e la provincia autonoma
di Bolzano, la percentuale di ginecologi obiettori supera l’80%. Le
ripercussioni del fenomeno sui diritti delle donne ad un aborto sicuro e garantito hanno una chiara
dimensione di classe, in quanto la
possibilità di usufruire dei servizi di interruzione di gravidanza in
altre regioni o in cliniche private
– che speculano sulla salute delle
donne – è chiaramente determinata delle capacità economiche.
La cosiddetta “risoluzione
Estrela” aveva l’obiettivo di uniformare i diritti sessuali e riproduttivi dei cittadini comunitari e di
promuovere l’adozione di una legislazione minima (seppur insufficiente) in questo senso da parte
di tutti gli Stati membri. In particolare, per quanto riguarda il diritto all’aborto il progetto di risoluzione affermava: “[il Parlamento]
raccomanda che, come tematica
che tocca i diritti umani e la salute pubblica, i servizi di qualità per
l’aborto siano resi legali, sicuri,
ed accessibili a tutti, nell’ambito
dei sistemi di salute pubblica degli Stati membri, anche alle donne non residenti”. Un punto molto rilevante per il contesto italiano
sottolineava come “l’aborto, anche quando è legale, è spesso evitato o prorogato da ostacoli che
impediscono di accedere a servizi adeguati, come l’ampio ricorso
all’obiezione di coscienza, periodi
di attesa non necessari dal punto
di vista medico o consulenze non
obiettive; [il Parlamento] sottolinea che gli Stati membri dovrebbero regolarmente monitorare il
ricorso all’obiezione di coscienza […] in modo da assicurare che
l’assistenza sanitaria in materia di
salute riproduttiva sia garantita
come diritto individuale”. In chia-
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
Indirizzo postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
Iscrizione al Roc n. 8292
chiuso il 7/1/2014
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
Associato all’USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
ve opportunistica e tipicamente
socialdemocratica la risoluzione
riconosceva pari dignità all’obiezione di coscienza come “diritto individuale”, ma sottolineava
come essa non dovesse avere il carattere di “una politica collettiva”.
La risoluzione sottolineava poi il
ruolo della pianificazione familiare volontaria come strumento per
prevenire le gravidanze non desiderate, condannava (seppur con
molta moderazione) le interferenze clericali in materia, e “invitava”
i governi a non processare le donne che si sono sottoposte ad aborti
clandestini.
Tra le altre cose, la “risoluzione Estrela” invitava gli Stati
membri (e tuttavia, non li vincolava – e legalmente non avrebbe
avuto i poteri per farlo) a promuovere l’educazione sessuale completa e servizi su misura per gli
adolescenti, la prevenzione e la
cura delle infezioni sessualmente
trasmissibili, e la condanna della
violenza legata ai diritti sessuali,
riproduttivi, al genere ed all’inclinazione sessuale.
La risoluzione, che tuttavia non
ha natura vincolante per gli Stati
membri e che presentava evidenti
mancanze dato il suo obiettivo dichiarato di rappresentare una base
minima (ma garantita) di diritti per
tutti gli Stati membri, è stata valutata come un sostanziale – seppur insufficiente – passo avanti da
molte associazioni europee impegnate nel settore come la European Women Lobby Forum e lo European Parliamentary Forum on
Population and Development o
dall’Intergruppo per i Diritti delle persone LGBT. In particolare,
Amnesty International aveva definito il testo come “un atto di forte
consenso politico, capace di assicurare nel futuro il positivo sviluppo del diritto degli individui di
controllare le proprie scelte sessuali e riproduttive, la loro integrità e dignità fisica, nonché la libertà dalla violenza, dalla coercizione
e dalla discriminazione”.
La destra
e la “sinistra”
borghese contro
l’emancipazione
femminile
Tuttavia questo passo avanti, seppur limitato ed insufficiente, è parso troppo ambizioso per
un’Assemblea sempre più in preda ad una deriva conservatrice e
reazionaria. Fin dalla sua presentazione in aula la risoluzione ha
dovuto fronteggiare un fuoco di
fila incrociato che da una parte
vedeva schierate tutte le forze della destra (dai liberali, ai moderati, passando per i conservatori ed
i neo-fascisti), dall’altra mostrava una socialdemocrazia ed una
“sinistra” divise, sostanzialmente
rassegnate, e fortemente lacerate
da pulsioni clericali.
La relazione approvata in
Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere con uno stretto margine di
voti favorevoli è giunta in plenaria – al voto dei 766 deputati (73
italiani) che la compongono – in
ottobre e dopo uno scarno dibattito è stata rispedita in Commissione per un ulteriore esame del
testo. Il voto che determinò questo slittamento, tenutosi il 22 ottobre, è stato sostenuto da una
maggioranza composta dal Partito Popolare Europeo (di cui fanno
parte UDC, Forza Italia, e Nuovo Centro-Destra di Alfano), dai
Conservatori e Riformatori Europei, e dal gruppo dell’Europa della Libertà e della Democrazia (di
cui fa parte la Lega Nord, insieme a partiti dichiaratamente fascisti ed ultra-nazionalisti). In questa occasione – prima di una serie
– mentre le destre si sono dimostrate unite nella conservazione,
la socialdemocrazia e la “sinistra”
non sono state in grado di porre
un argine credibile. In particolare,
nel caso del Partito Democratico
ben cinque (su 22) deputati hanno fatto il gioco delle destre non
votando (2), astenendosi (2), o addirittura votando a favore (1, Patrizia Toia); mentre quattro deputati risultavano assenti. Dopo un
ulteriore voto in Commissione,
la risoluzione è stata accantonata il 10 dicembre, a favore di una
mozione delle destre che ipocritamente dichiarava la “non competenza dell’Unione europea in
questioni riguardanti la definizione dei diritti sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione alternativa è
stata approvata con 334 voti a favore e 327 contrari (35 astenuti).
In questo senso la responsabilità
del PD – e la doppiezza per quanto riguarda i diritti fondamentali della donna, e sulla pelle delle donne – emerge in tutta la sua
enormità. In occasione del secondo voto, ben 8 deputati “democratici” si sono astenuti o hanno
deciso di non votare (mentre tre
risultavano assenti), sancendo la
vittoria delle destre. Gli otto voti
del PD avrebbero garantito – seppur con lo scarto di un solo voto
– l’approvazione della risoluzione. Gli stessi otto deputati PD non
si erano precedentemente opposti
ad una mozione in tema di aborto e diritti sessuali e riproduttivi,
poi rigettata dal Parlamento, presentata dall’ultradestra del gruppo
dell’Europa della Libertà e della
Democrazia.
Di fronte all’enormità delle responsabilità, il PD evidentemente ormai totalmente vittima della
lobby clericale e reazionaria ha
preferito nascondere la testa sotto
la sabbia o addurre argomentazioni che non fanno che confermare
quanto è ormai sotto gli occhi di
tutti. La deputata PD Patrizia Toia
giustifica così il suo voto: “vi era
un impianto troppo concentrato
sull’aborto, delineato quasi come
un diritto fondamentale della persona [...]. Altro punto negativo era
la formulazione sull’obiezione di
coscienza: riteniamo che l’obiezione sia uno dei diritti da garantire agli operatori sanitari, come
da garantire è l’accesso a tutti i
servizi previsti dalla legislazione,
aborto compreso”.
Grazie alle sciagurate scelte
del “nuovo” PD di Renzi ed alle
esitazioni e all’inconcludenza della socialdemocrazia e della “sinistra” borghese europea gioiscono
i reazionari e le forze della conservazione di tutto il Continente,
mentre continuano a piangere le
donne, specie quelle delle masse
popolari che rappresentano le vittime designate.
Una direttiva della UE favorisce i padroni e supersfrutta i lavoratori
Il lavoro distaccato a basso costo
è una forma di schiavitù moderna
I ministri del Lavoro dei 28 Paesi dell’Unione europea (Ue) hanno
messo a punto nello scorso dicembre una direttiva che nelle loro intenzioni dovrebbe mettere fine o
quantomeno limitare fortemente
gli abusi nei contratti dei lavoratori
distaccati da un paese all’altro della comunità europea. Per i sindacati europei questa decisione codifica invece “una forma di schiavitù
moderna” per i lavoratori dei paesi
più poveri della Ue.
Le normative che riguardano
il lavoro distaccato a basso costo,
oggetto della revisione attuale,
erano state varate nel 1996 in seguito all’entrata di Spagna e Portogallo nella Ue per impedire la
“concorrenza sleale” dei lavoratori dei due paesi che allora avevano
salari più bassi della media europea. Secondo tali normative i lavoratori temporaneamente distaccati dovevano avere condizioni di
lavoro eguali a quelle del paese
dove erano inviati, dal salario alle
garanzie antinfortunistiche, mentre i contributi continuavano ad
essere pagati nel paese d’origine.
L’applicazione della legge ha
fatto registrare un elenco di abusi e irregolarità dei capitalisti dei
vari paesi che hanno trovato velocemente la maniera di aggirarla
a spese dei lavoratori e col via libera di fatto dei governi che non
organizzavano forme efficaci di
controllo. Prosperavano metodi
semi-illegali come quello di lavoratori assunti da una società straniera per essere pagati alle condizioni peggiori per loro, a quelli
illegali come l’uso di finte buste
paga che registravano un salario
superiore a quello effettivamente
pagato, le trattenute obbligatorie
per pagarsi vitto e alloggio a prezzi esorbitanti, straordinari e lavori
nei giorni festivi non pagati.
La questione delle condizioni dei lavoratori distaccati a basso
costo si è riproposta negli anni più
recenti in particolare tra il 2004 e
il 2007 con l’ingresso nella Ue dei
paesi dell’Est e successivamente
con l’esplosione della crisi economica che ha spinto disoccupati
e poveri dell’Est a cercare lavoro
e condizioni di vita migliori nella
parte ricca dell’Europa. Il numero
ufficiale dei lavoratori distaccati
è di 1,5 milioni, quello reale molto più alto, e concentrato in settori quali l’edilizia, l’agricoltura e la
ristorazione.
Già nel 2005 la Ue aveva cercato di modificare le normative
ma in peggio, con la famigerata
“direttiva Bolkestein” poi ritirata,
che avrebbe permesso di assumere i lavoratori ai livelli salariali del
paese d’origine. Nella realtà leggi
peggiorative per la tutela dei lavoratori erano messe in atto grazie
all’applicazione delle normative
sulla liberalizzazione delle “prestazioni di servizi”. Come confermano diversi casi di denunce finite alla Corte di giustizia europea
come quella dei sindacati svedesi
che sono stati condannati per aver
cercato di bloccare l’attività in
Svezia di una ditta lettone di lavori pubblici che assumeva a condizioni lavorative baltiche. La stessa Corte condannava invece nel
2008 il Lussemburgo per non aver
rispettato la direttiva del ’96 e permesso il pagamento dei lavoratori stranieri distaccati con stipendi
più alti di quanto previsto dal salario minimo.
Secondo il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini “con l’accordo
raggiunto alla fine di un lungo negoziato, la direttiva Distacco dei
lavoratori rafforza uno strumento efficace nel contrasto di abusi,
frodi e dumping sociale tra paesi
europei”. Per la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, non
uniformerà i diritti dei lavoratori ai livelli più alti di tutela e anzi
creerà forme “moderne” di schiavitù. Un nuovo regalo ai padroni
da parte della Ue capitalista.
16 il bolscevico / PMLI
N. 2 - 16 gennaio 2014
Il 7 Novembre abbiamo traslocato nella nuova Sede centrale del PMLI
e de “Il Bolscevico”, più
grande e più moderna rispetto alla precedente.
Si tratta di un grosso
impegno finanziario che
non possono sostenere da soli i militanti del
PMLI.
Pertanto lanciamo un
appello urgente a tutte
le simpatizzanti e i simpatizzanti, a tutte le amiche e gli amici del Partito
per aiutarci a sostenere
le spese iniziali e l’affitto
mensile, entrambi piuttosto rilevanti.
Le donazioni possono essere consegnate
di persona oppure attraverso il conto corrente
postale numero 85842383 intestato a PMLI – via Gioberti
101 – 50121 Firenze. Presto cambieremo l’indirizzo.
Nella causale scrivere: Donazione per la nuova Sede
centrale.
Grazie di cuore per tutto quello che potete fare. Anche
un euro ci è utile.
Che la nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” porti idealmente impresso il nome di tantissimi donatori.
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