Settimanale
Nuova serie - Anno XXXX - N. 13 - 31 marzo 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
Comunicato dell’Ufficio stampa del Pmli
Condanniamo gli attentati di Bruxelles
Cessare la guerra
allo Stato islamico per evitarli
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I soldati dell’esercito
dell’IS sono dei
combattenti
antimperialisti
PAG. 2
Al Senato nero, in un clima consociativo nazionalista
Passa la legge quadro sulle
missioni internazionali imperialiste
Le missioni di guerra travestite da “missioni di pace”
Intervento di Denis Branzanti al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena
No al “museo del fascismo”,
alla controriforma
del Senato,
alla guerra allo
Stato islamico
PAG. 3
Al referendum del 17 aprile
per salvaguardare la salute
la natura e l’ambiente
per le energie rinnovabili
PAG. 4
Il compagno Denis Branzanti alla Commemorazione di Lenin a Cavriago (foto Il
Bolscevico)
A Milano e Fucecchio
Il PMLI volantina per il Sì
Stampato in proprio
Organizziamo banchini
e Squadre di propaganda
per il Sì al referendum
Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
PAG. 12
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it
Al referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile
Il PD si asterra’ per impedire
al referendum contro le trivellazioni che si raggiunga il quorum
Un bel regalo ai petrolieri e un danno alla
Costituita la Squadra di propaganda del
Mugello-Val di Sieve
PAG. 11
salute, alla natura ed all’ambiente
Crollate le
La cultura
assunzioni stabili, borghese
alle stelle i voucher genera
Con il sistema degli assegni viene scavalcato il sistema
contrattuale e favorito il lavoro nero PAG. 6
mostri
PAG. 9
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Intervista esclusiva de “Il Bolscevico” al partigiano Giovanni Gerbi in
occasione della presentazione a Ivrea del video “La rivoluzione che
doveva venire. La rivoluzione che verrà”
“Sono stato, sono e sempre rimarrò
comunista rivoluzionario per fare in
Italia come nella Russia di Lenin e Stalin”
La storia dell’insurrezione di Santa Libera del 1946 contro l’amnistia concessa ai
fascisti da Togliatti. Il PCI frenò la lotta rivoluzionaria degli operai e delle masse
“solidarizzo con la lotta antimperialista dello stato
islamico e dei suoi combattenti”
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2 il bolscevico / attentati di Bruxelles e la guerra imperialista all’Is
N. 13 - 31 marzo 2016
Comunicato stampa
Condanniamo
gli attentati di Bruxelles
Cessare la guerra
allo Stato islamico per evitarli
Il PMLI condanna gli attentati terroristici di Bruxelles,
esprime sentite condoglianze
ai familiari delle vittime incolpevoli e innocenti e augura
pronta guarigione ai feriti.
Questi attentati, come gli
altri precedenti a Parigi e in
altri Paesi europei e non, non
sono un attacco alla “cultura
della libertà e democrazia”,
come ha detto Mattarella che
ha già indossato l’elmetto.
Sono invece la diretta conseguenza della guerra che gli
imperialisti americani ed europei conducono sistematicamente da tempo contro lo
Stato islamico.
Questi attentati, purtrop-
po, sono destinati a moltiplicarsi nei Paesi aggressori, inclusa l’Italia, se non si mette
fine a questa guerra attraverso la quale i Paesi aggressori contano di spartirsi il Medio
Oriente e il Nord Africa.
“Innalzare il livello di sicurezza”, con il conseguente restringimento delle libertà de-
mocratico-borghesi, serve a
ben poco se non si cessa di
bombardare lo Stato islamico
e se non si tratta con esso.
L’auspicio del PMLI è che
il nuovo duce Renzi, che sta
seguendo la politica nazionalista, colonialista e interventista di Mussolini, rinunci a
guidare la coalizione interna-
zionale per avere la fetta più
grossa della torta libica.
Invitiamo le masse popolari, in particolare la classe
operaia e le ragazze e i ragazzi antimperialisti, e tutte le
forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose pacifiste a far sentire la loro voce
e a scendere senza indugio
in piazza per cacciare Renzi nel caso coinvolga l’Italia
nell’avventura libica.
L’Ufficio stampa
del PMLI
Firenze, 22 marzo 2016,
ore 16,00
I soldati dell’esercito dell’IS
sono dei combattenti antimperialisti
Da quando il PMLI ha pubblicamente espresso l’appoggio allo Stato islamico contro
la santa alleanza imperialista,
allargandolo a tutti i movimenti
islamici antimperialisti, resistenza palestinese e movimenti curdi
compresi, ossia dal discorso di
apertura del Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi,
alla quinta Sessione plenaria del
quinto Comitato centrale del Partito, svoltasi a Firenze l’11 ottobre
scorso, siamo stati attaccati da
destra, come era inevitabile, ma
soprattutto da “sinistra” dai falsi
comunisti, dai trotzkisti e dagli
“ultrasinistri” incapaci di leggere
l’attuale situazione internazionale. Costoro stanno riversando
quintali di spazzatura sul web
sullo Stato islamico e i combattenti antimperialisti del suo esercito e di conseguenza su chi li appoggia, noi per primi e pressoché
unici in Italia. Ci insultano e sono
lividi di rabbia perché consideriamo l’IS antimperialista. E come
potrebbe essere diversamente?
Costoro stanno ripercorrendo la
linea dei socialtraditori prima e
durante la prima guerra mondiale
che, col loro “né aderire né sabotare”, dettero di fatto alle borghesie nazionali il beneplacito alla
carneficina imperialista, oggi non
torcono un capello alle coalizioni
di aggressione che da decenni
stanno martoriando quella Regione e tutto il Medioriente. Anzi demonizzando l’IS e auspicandone
una veloce caduta dimostrano di
ragionare da piccoli borghesi “ultrasinistri” che non capiscono le
indicazioni ideologiche, politiche
e tattiche dei grandi Maestri del
proletariato internazionale ed in
particolare di Stalin, perché essi
sognano un movimento di liberazione nazionale “puro” e “tutto
proletario” che non esiste e non
potrebbe esistere nella realtà.
Noi marxisti-leninisti italiani
abbiamo imparato la lezione di
Stalin e la stiamo mettendo in
pratica. E certo non da ora ma
ormai da decenni. Nel sostegno
e nell’aiuto ai movimenti in lotta
non dobbiamo guardare tanto
a chi guida il movimento, ma la
direzione in cui si muove tale movimento. Se esso va nella direzione giusta, se cioè indebolisce e
toglie spazio all’imperialismo noi
abbiamo il dovere di appoggiarlo
risolutamente e senza riserve, anche se alla sua testa vi sono degli
anti marxisti-leninisti. Le definizioni vengono di conseguenza.
Se consideriamo l’IS antimperialista ne consegue che i soldati del
suo esercito sono dei combattenti antimperialisti.
Il nostro giudizio sull’IS non si
basa sulla sua strategia, che non
condividiamo e che non abbiamo
mai definito antimperialista, tanto
che nel Rapporto del compagno
Erne alla richiamata Sessione plenaria del CC abbiamo rilevato la
contraddizione dell’aggressione
dello Stato islamico alla regione
del Kurdistan siriano, la Rojava, contro le legittime ambizioni
autonomiste del popolo locale,
ma sulla sua attuale lotta contro le coalizioni occidentali, della Russia e di diversi Stati arabi,
che è antimperialista. Altro che
condivisione cieca dell’assioma
“il nemico del mio nemico è mio
amico”, come ci rinfacciano i falsi
comunisti. I combattenti antimperialisti islamici non solo resistono
eroicamente ai bombardamenti
incessanti ma controbattono, tanto che gli hanno portato in casa
quella stessa guerra che essi subiscono da lustri. Il loro scopo è
far sentire gli imperialisti insicuri
persino nelle loro retrovie e indurli
a ritirarsi dai Paesi che occupano
o bombardano. Per questo è dunque errato definirli terroristi. Non
si farebbe che il gioco dei guerrafondai imperialisti e i loro tirapiedi.
Da sempre tutti gli aggressori e
gli occupanti imperialisti si rifiutano di riconoscere coloro che li
combattono con le armi in pugno
come combattenti di un esercito
nemico e preferiscono bollarli con
il marchio di banditi e terroristi,
come facevano appunto le truppe
nazifasciste con i partigiani.
Piano piano abbiamo visto che
nel mondo non siamo soli a pensarla così, alle nostre posizioni si
sono affiancati il Partito comunista d’India (maoista) e il Partito
comunista marxista-leninista di
Panama. Dalla sinistra laburista
inglese e da certi siti vicini all’ideologia comunista e all’antimperialismo sta, seppur faticosamente,
partendo una certa discussione
sull’antimperialismo dello Stato
islamico e dei suoi combattenti.
Nel nostro Paese ultimamente è
stata Loretta Napoleoni, vicina al
Movimento 5 Stelle, a ventilarlo
nella prefazione all’edizione aggiornata del suo libro, “ISIS. Lo
Stato del terrore”, uscito a febbraio: “Come previsto, – scrive la
Napoleoni – la campagna di bombardamenti, sostenuta dalla più
ampia coalizione che si sia formata dalla seconda guerra mondiale, non ha sconfitto lo Stato
islamico. Al contrario, all’inizio del
2016 il suo progetto di edificazione nazionale continua ad allarmare il mondo, al pari della sua propaganda patriottica, nazionalista
e antimperialista... Sarà possibile
sconfiggere un simile nemico
con le armi? Potremo cancellare
a suon di bombe l’ideologia an-
timperialista dell’Isis? La storia ci
insegna che quando ci si trova di
fronte a un’ondata antimperialista globale di queste dimensioni,
a volte quella del contenimento è
una strategia migliore della guerra aperta”.
Combattenti dell’Is entrano in una città dello Stato islamico
“Bruxelles, dopo la strage dialogo e basta guerre”
Potrebbe sembrare che qualcuno ci abbia dichiarato guerra:
l’islam radicale o, più in generale,
“i musulmani” secondo i media
della destra e i fomentatori del
cosiddetto scontro di civiltà. In
realtà la guerra l’abbiamo esportata noi, europei e statunitensi,
con una serie di disastrosi interventi militari in Medio Oriente e
oltre che possiamo far risalire alla
prima Guerra del Golfo (19901991). (…)
Si continua ad agitare lo
spauracchio dello Stato islamico
che vorrebbe attaccare l’Europa e forse le indagini – lunghe e
complesse in questi casi – confermeranno legami tra l’ISIS e alcuni terroristi di casa nostra, che
possono aver avuto contatti con
il califfato in Iraq e Siria. Ma bisognerebbe cercare le origini (non
le giustificazioni!) di questo terro-
rismo anche nelle nostre società
e nelle nostre politiche.
Una politica estera come
quella francese o statunitense o
britannica, non favorisce forse il
radicalismo e il vittimismo di giovani islamici tagliati fuori dalle comunità metropolitane mainstream in occidente? C’è un fatto che
continuiamo a ignorare o a far finta di non vedere: ogni musulmano si sente parte della umma, la
comunità mondiale degli islamici.
Un islamico europeo o statunitense di 20/30 anni che negli ultimi 15 anni abbia visto, in tv o su
internet, milioni di suoi “fratelli”
massacrati dalle bombe europee
o statunitensi o israeliane in Iraq,
Afghanistan, Palestina, Siria… si
può trasformare in una bomba
umana pronta a farsi esplodere
tra la folla delle nostre società democratiche. È una realtà tragica,
ma toccherebbe prenderne atto.
Chiunque muova questi terroristi,
ormai è evidente, in Europa ha un
discreto serbatoio all’interno del
quale reclutarli.
Non esistono ricette facili per
provare a invertire la parabola
di barbarie inaugurata il 7 luglio
2005 con gli attentati di Londra.
Ma, dopo la strage di Bruxelles
che rischia di produrre in Europa
derive securitarie e un’ulteriore
avanzata delle destre xenofobe e
islamofobe, due segnali occorrerebbe lanciarli, prima possibile.
Anzitutto smettere di pretendere di risolvere le crisi internazionali con i bombardamenti, e in
questo senso auspichiamo che il
governo italiano non prenda parte ad alcuna operazione militare
in Libia.
Inoltre, in un’epoca in cui si
straparla di “integrazione” ma in
cui le bombe umane nelle capitali
europee ci restituiscono un panorama di “disintegrazione”, sarebbe meglio porsi un obiettivo, più
realistico: il dialogo. Soltanto con
il confronto con le comunità islamiche, anche con chi a Bruxelles
nei giorni scorsi ha provato a difendere Abdeslam dalla cattura
della polizia, si può procedere
verso qualche forma di integrazione.
Se non analizziamo la natura
del malessere che attraversa una
parte di queste comunità – con le
quali conviviamo da separati in
casa ma con cui siamo destinati
a confrontarci a lungo, in società
sempre più multietniche -, noi, i
bombardieri degli ultimi 15 anni,
non potremo essere i fautori di
nessuna “integrazione”.
(tratto da un editoriale apparso
su www.cinaforum.net)
interni / il bolscevico 3
N. 13 - 31 marzo 2016
Al Senato nero, in un clima consociativo nazionalista
Passa la legge quadro sulle missioni
internazionali imperialiste
Le missioni di guerra travestite da “missioni di pace”
Il 9 marzo, immediatamente prima del dibattito col ministro
Gentiloni sulla Libia, in sordina e
nel silenzio totale di tutta l’informazione borghese, il Senato ha
approvato in seconda lettura il disegno di legge quadro del governo sulle missioni internazionali,
dopo la prima approvazione praticamente all’unanimità avvenuta a
maggio dello scorso anno a Montecitorio.
Il provvedimento nasce dall’esigenza di inquadrare in una legge
organica tutta la materia coinvolta nelle missioni militari all’estero
(ambito di applicazione, modalità
di deliberazione e finanziamenti,
stato giuridico e trattamento economico del personale, ecc.). Questioni che a tutt’oggi sono decise
attraverso decreti legge del governo, soggetti quindi a conversione
in legge entro 60 giorni dal parlamento, e che per di più necessitano di successive deliberazioni
periodiche (finora trimestrali, con
questa legge diventeranno annuali) per quanto riguarda il loro prolungamento e rifinanziamento.
Lo stesso ambito di applicazione
dei decreti era incerto (quando e a
quali condizioni si può deliberare l’invio di una missione militare all’estero?), e rimaneva sempre
aperto il problema se quella determinata missione violasse o meno
l’articolo 11 della Costituzione.
Ora con questa legge quadro
tali problemi non esisteranno più,
perché già al suo articolo 1 si stabilisce che “la partecipazione delle Forze armate, delle Forze di
polizia ad ordinamento militare
o civile e dei corpi civili di pace
a missioni internazionali istituite
nell’ambito dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite (ONU) o di
altre organizzazioni internazionali
cui l’Italia appartiene o comunque
istituite in conformità al diritto internazionale, comprese le opera-
zioni militari e le missioni civili
di polizia e per lo Stato di diritto dell’Unione europea, nonché a
missioni finalizzate ad eccezionali interventi umanitari, è consentita, in conformità a quanto disposto
dalla presente legge, a condizione che avvenga nel rispetto dei
princìpi di cui all’articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del
diritto internazionale umanitario e
del diritto penale internazionale”.
In sostanza, cioè, è sempre e
comunque consentita, dal momento che l’Italia fa parte dell’Onu,
della Nato, della Ue e di “altre
organizzazioni internazionali”, e
perché sarà sempre possibile appellarsi ai “diritti umani” e al “diritto penale internazionale” per inviare missioni di guerra travestite
da “missioni di pace”.
Il governo “delibera”,
il parlamento
“discute”
Risolto così una volta per tutte il problema dell’articolo 11, la
legge stabilisce poi, con l’articolo
2, la procedura per la deliberazione delle suddette missioni. Non ci
sarà più quindi un decreto da convertire successivamente, con tutte
le incognite annesse, ma una semplice “deliberazione” del governo,
che viene “trasmessa” alle Camere
“che tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo,
secondo le norme dei rispettivi regolamenti, le autorizzano per ciascun anno, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero
ne negano l’autorizzazione”.
Sembrerebbe a prima vista che
al parlamento spetti quindi l’ultima parola, ma ciò non è affatto
chiaro, come è emerso anche in
alcuni interventi in dichiarazione
di voto. Intanto non sono indicati i tempi in cui tale “trasmissione” deve avvenire, e non è chiaro
nemmeno se nel frattempo le operazioni militari possano iniziare e
andare avanti o no. Non è chiaro
in altre parole se la decisione del
parlamento è preventiva e vincolante oppure è solo una discussione ex post, a cose già avvenute. Il
che fa una bella differenza.
Vedremo se e come verrà chiarito questo punto fondamentale in
sede di discussione alla Camera,
anche perché se la decisione del
parlamento fosse vincolante, non
si capisce allora perché il comma
4 dello stesso articolo 2 stabilisca
che i decreti governativi per il finanziamento delle missioni deliberate debbano sottostare solo ad
un parere consultivo delle commissioni parlamentari. E parimenti
non è chiaro se l’esame parlamentare della relazione che il ministro degli Esteri, di concerto coi
ministri della Difesa e dell’Interno, deve presentare entro il 31 dicembre di ogni anno per il rinnovo
delle missioni e i relativi finanziamenti (articolo 3), debba concludersi con un voto vincolante delle
Camere oppure no.
Il famigerato
“emendamento
Parigi”
Senza addentrarci ulteriormente negli altri articoli della legge,
che riguardano in gran parte il
trattamento economico delle forze
impiegate all’estero, mentre per
quanto riguarda gli aspetti giuridici (immunità concesse ai militari,
applicazione del codice di pace o
di guerra, ecc.) converrà aspettare
il testo definitivo, vale la pena comunque di riferire su alcuni aspetti che la dicono lunga sul contesto
politico in cui si è andato a inse-
Libano, base Unifil di Shama, sede del comando italiano, 22 dicembre 2015. Il nuovo duce Matteo Renzi
arringa i caschi blu italiani esaltando l’interventismo con queste parole: “siamo qui, con la consapevolezza e l’orgoglio di essere italiani” e “siamo orgogliosi dei nostri soldati”
rire questo provvedimento, e cioè
quello dell’imminente intervento
in Libia a guida italiana e all’unità nazionalista e imperialista a cui
tutti i partiti parlamentari vengono
chiamati ad adeguarsi.
Bisogna fare un passo indietro e ricordare che in questa legge era previsto anche l’articolo (il
19) che concedeva al presidente
del Consiglio la facoltà di ordinare direttamente alle forze speciali,
dotate per l’occasione di immunità speciali e licenza di commettere reati, azioni di supporto ai servizi segreti in territori stranieri in
caso di “pericolo” per la sicurezza
nazionale e altri casi di “emergenza”, tramite una catena di comando svincolata dalla stessa Difesa e
rispondente solo a Palazzo Chigi.
Con il solo obbligo di riferire entro 24 mesi al Copasir (Comitato
interparlamentare per i servizi e la
sicurezza), tenuto peraltro a mantenere il segreto. Su proposta del
presidente della commissione Difesa del Senato, il PD ex dalemiano e ora renzianissimo Latorre,
questo articolo venne inserito anticipatamente come emendamento
al decreto di rifinanziamento delle
missioni internazionali approvato
lo scorso dicembre (il famigerato “emendamento Parigi”, perché
l’operazione fu fatta approfittando dei recenti attentati di Parigi).
E passò tra l’altro con il voto favorevole del M5S e l’astensione
di SEL.
Coinvolti nell’unità
patriottarda anche
SEL e M5S
Ora è stato lo stesso Latorre a
proporre e far approvare lo stralcio dell’articolo 19 dal ddl quadro,
con la motivazione che essendo
già stato approvato a dicembre col
decreto missioni non era più necessario. È evidente invece che il
vero motivo dello stralcio era evitare che questo articolo guerrafondaio venisse discusso in aula,
e magari che passasse anche qualcuno dei tanti emendamenti pre-
parati, rischiando di riaccendere
i riflettori e le polemiche sull’intervento delle forze speciali in Libia che Palazzo Chigi aveva già
preparato e poi dovuto rinviare ai
primi di marzo. Sicché l’articolo
stralciato sarà oggetto di un apposito ddl, ma nel frattempo resta
pienamente utilizzabile da Renzi
in qualsiasi momento.
Inoltre, sempre su proposta del
rinnegato Latorre, l’aula ha approvato l’allargamento del Copasir ad un altro senatore e un altro
deputato, apposta per inserire due
rappresentanti di Forza Italia che
in questa legislatura non ne aveva
nessuno. Si aggiunga a questo anche il fatto che sia SEL che il M5S
si sono astenuti sulla votazione finale del provvedimento, e si avrà
un quadro piuttosto eloquente del
clima consociativo di unità nazionale patriottarda che si è instaurato tra i partiti borghesi di maggioranza e “opposizione” col governo
e le forze armate, in vista dell’imminente intervento imperialista
contro lo Stato islamico in Libia.
In manette sei giudici e decine di commercialisti, avvocati, dirigenti, funzionari e dipendenti dell’Erario corrotti
Tangenti alla Commissione tributaria
Da Milano a Catania passando per Roma si profila una nuova Tangentopoli giudiziaria all’ombra della P3
Dopo la “cricca degli appalti
pubblici” dell’ex presidente del
Consiglio superiore dei lavori
pubblici Angelo Balducci in cui
venne coinvolto anche l’allora
capo della Protezione civile nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Bertolaso, attuale candidato di Silvio
Berlusconi a sindaco di Roma;
adesso tocca alla “cricca dei
giudici tributari” che in cambio di
laute tangenti pilotavano i ricorsi
in commissione in modo da far
ottenere ai loro corruttori ingenti
sgravi fiscali grazie anche a una
fitta rete di losche relazioni con
dipendenti dell’amministrazione
finanziaria, civile e militare corrotti, avvocati, consulenti e commercialisti.
Il 9 marzo con l’accusa di
associazione a delinquere finalizzata alla concussione e corruzione anche in atti giudiziari,
tredici persone sono state arrestate dalla Guardia di Finanza del
comando provinciale di Roma
nell’ambito dell’operazione denominata “Pactum sceleris” che ha
portato alla luce una vera e propria organizzazione criminale in
grado di garantire a uno stuolo di
grossi evasori fiscali scovati dagli
accertamenti del Fisco di uscire
vittoriosi nei ricorsi presentati innanzi alle commissioni tributarie
o di ottenere consistenti sgravi di
imposte dagli uffici finanziari.
In manette sono finiti i giudici
tributari Onofrio D’Onghia Di Paola, Salvatore Castello e il recidivo
Luigi De Gregori, che già nel 2013
ebbe una condanna a 4 anni e 4
mesi di reclusione perché fu pizzicato in flagranza di reato con una
tangente di 6 mila euro che gli era
stata girata da un avvocato di 71
anni per “chiudere da gentiluomini
un contenzioso con il Fisco”.
I nove capi di imputazione
che gravano ora sulla testa di
De Gregori abbracciano un arco
temporale che va dal maggio
2011 al giugno 2013, quindi prima dell’episodio che ha determinato la prima condanna. Gli
atti d’inchiesta che lo riguardano
partono infatti dal maggio del
2011 quando De Gregori convo-
cò telefonicamente a casa sua il
commercialista Arturo Mascetti
per “presunti problemi ostativi
all’accoglimento di due ricorsi”
presentati per conto del Centro
Equestre Chiara Piccola Scarl
contro una serie di accertamenti
emessi dall’Agenzia delle Entrate. Mascetti, durante l’incontro,
si sentì chiedere da De Gregori
il pagamento di 15mila euro per
vedere accolti i suoi ricorsi e condannare la pubblica amministrazione al pagamento delle spese,
quantificate in 6mila euro. Non
solo. De Gregori spiegò al commercialista che la sentenza “poteva essere predisposta” dallo
stesso diretto interessato. L’affare non andò in porto perché Mascetti si rifiutò di pagare e preferì
denunciare tutto ai finanzieri della
compagnia di Velletri, i cui accertamenti diedero così il via all’indagine della Procura di Roma.
Le altre persone finite in carcere sono l’avvocato Giuseppe
Natola, i commercialisti Rossella
Paoletti e Salvatore Buellis, gli ex
dipendenti di Agenzia delle Entra-
te Daniele Campanile e Sandro
Magistri, il funzionario dell’Erario
Tommaso Foggetti e il finanziere Franco Iannella. Ai domiciliari
invece sono finiti i commercialisti
David De Paolis e Aldo Boccanera nonché Alberto Bossi, dipendente della commissione tributaria regionale di Roma.
Tra gli indagati a piede libero
c’è anche l’attore e doppiatore romano Massimo Giuliani, al quale
viene contestato il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso
per aver pagato una tangente da
65 mila euro per aggiustare una
causa da tre milioni.
Il percorso, spiegano gli investigatori, era noto solo agli addetti ai lavori ed era così rodato
da garantire, dietro pagamento di
ingenti somme o alla consegna
di regalie di vario genere, il pieno
successo di tutti i ricorsi proposti
contro gli atti di accertamento del
Fisco, anche dei più improbabili.
Ma non è tutto. Perché a giudicare dagli sviluppi di varie altre
inchieste aperte in diverse procure dal Nord al Sud dell’Italia,
quella di Roma potrebbe essere
solo la punta di un gigantesco
iceberg che potrebbe dare avvio
a una nuova Tangentopoli giudiziaria. Anche perché, come nel
caso della “cricca degli appalti
pubblici” e di avarie altre inchieste giudiziarie fra cui ultimo lo
scandalo finanziario di Banca
Etruria in cui è coinvolto il papà
della ministra Boschi, anche in
questo caso dietro al mercimonio
aleggia sempre più inquietante
l’omba della P3 i cui protagonisti
si vantavano proprio del fatto di
essere in grado di pilotare grandi
processi tributari.
A febbraio infatti in una inchiesta analoga condotta dalla procura di Catania è stato arrestato
il giudice Filippo Impallomeni, 71
anni, presidente di sezione della
commissione tributaria provinciale della città etnea, accusato
insieme a due imprenditori, un
commercialista e un cancelliere,
di aver preteso tangenti in cambio di decisioni favorevoli. Mentre
tra dicembre e gennaio scorso a
Milano sono stati arrestati il giudi-
ce Luigi Vassallo e il giudice onorario Marina Seregni. I due tributaristi sono accusati di corruzione
in atti giudiziari per il caso della
Dow Europe Gmbh, ma anche di
aver pilotato un contenzioso da
14,5 milioni a favore della società
Swe-Co, dell’imprenditore Luciano Ballarin (indagato) in cambio
di 65mila euro. Il Gip Manuela
Cannavale cita esplicitamente
la “spregiudicatezza con cui si
muoveva Vassallo, che sapeva
di poter fare affidamento su Seregni e verosimilmente anche su
altri giudici tributari e funzionari
dell’Agenzia delle Entrare, per
pilotare ricorsi, influenzare i giudizi dei collegi, sostituirsi nella
redazione delle sentenze, a fronte
della corresponsione di dazioni illecite da ripartire con i complici”.
Infatti nell’inchiesta è indagato
anche un giudice togato, Francesco Pinto, ex presidente del
tribunale di Imperia, ex giudice a
Monza, ora presidente della sezione 18 della Commissione tributaria provinciale di Milano.
4 il bolscevico / referendum 17 aprile
N. 13 - 31 marzo 2016
Organizzare banchini per il Sì al referendum
Occorre approfittare della campagna referendaria
per organizzare banchini il più possibile, visto anche
che per motivi organizzativi ed economici non è previsto di tenere dibattiti e comizi, salvo eccezioni, e
che in questa occasione non c’è nulla da pagare per
bolli e occupazione di suolo pubblico, l’autorizzazione va richiesta al Comune da un maggiorenne. I banchini sono molto importanti per una maggiore visibilità del Partito e per avere l’opportunità di un rapporto
diretto con le masse per informarle dei contenuti e
Creare Squadre di propaganda
marxista-leninista per il Sì al referendum
In occasione della campagna referendaria bisogna creare ovunque è possibile delle Squadre di propaganda del Sì al referendum contro le trivellazioni.
Tale iniziativa può essere portata avanti anche da un
solo militante o simpatizzante del PMLI, purché possa essere affiancato da almeno un simpatizzante o
un amico del Partito che condivida la nostra parola
d’ordine.
Buona e proficua campagna referendaria, facciamo in modo che si raggiunga il quorum necessario
alla validità del referendum, che non è scontato visto
anche che il PD invita all’astensione, e che vincano
i Sì.
Lottiamo uniti per la vittoria del SI il 17 aprile!
Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo
Antonio del Polla
iolo,
172a - 50142 FIR
ENZE -- Tel. e fax
055.5123164
e-mail: commiss
[email protected] -
responsabile:
M. MARTE
NGHI (art.
3 - Legge
10.12.93
Sede centrale: Via
Committente
PARTITO M
ARXISTA-LE
NINISTA ITA
LIANO
in proprio
scopi del referendum ed invitarle ad andare a votare
e votare SI. Per organizzarli basta un tavolo e magari anche un gazebo, addobbati e attrezzati con il materiale di propaganda referendaria, il Documento del
Partito, manifesti e volantini, Il Bolscevico, opuscoli di
Scuderi e altre pubblicazioni, le bandiere dei maestri
e del PMLI, un megafono o un impianto voce, dandone notizia alla stampa e media locali con un comunicato.
Stampato
Al referendum del 17 aprile per salvaguardare la
salute, la natura e l’ambiente, per le energie rinnovabili il PMLI invita a votare SI CONTRO LE TRIVELLAZIONI come ha ben argomentato nel Documento
dell’Ufficio politico pubblicato sul n. 11/2016 de “Il Bolscevico”. “La vittoria del Sì bloccherà tutte le concessioni per estrarre petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana quando scadranno i contratti…- afferma il
Documento - La nostra indicazione di partecipare al
suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione tattica di astenersi (disertare
le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle
elezioni amministrative politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo”.
Il Documento dell’Ufficio politico riporta anche delle
indicazioni preziose per svolgere al meglio la campagna referendaria:
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per il Sì al referendum
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Il quesito referendario
a cui votare Sì
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in
materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la
durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard
di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?” Sì
Al referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile
Il PD si asterra’ per impedire
che si raggiunga il quorum
Un bel regalo ai petrolieri e un danno alla salute, alla natura ed all’ambiente
Il PD, attraverso il suo rappresentante Lino Paganelli, ex bersaniano poi passato a Renzi dal
2012, ha comunicato che il PD
farà campagna per l’astensione
al referendum del prossimo 17
aprile sulle trivellazioni in mare,
con il chiaro intento non dichiarato
di farlo fallire. La conferma ufficiale
arriva in una nota firmata da Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani.
“Questo referendum è inutile. Non
riguarda le energie rinnovabili e
non blocca le trivelle”, affermano
i vicesegretari del PD. Si dichiara
stupita la minoranza PD e afferma di non capire come e quando la scelta sia maturata e quale
criterio numerico è stato adottato
per poter dire che il PD sostiene
l’astensione. Timidamente costoro rivendicano quanto prima una
conta per stabilire il merito o meno
dell’uso del simbolo anche se ormai i giochi sono fatti.
Nel partito di governo esplodono le polemiche poiché se è
vero che, come annunciato dal
presidente Matteo Orfini voterà
alla riunione della direzione del
PD (poi rinviata), è altrettanto vero
che di fatto questa consultazione
non potrà essere nulla di più della
ratifica di una deliberazione già
presa e già prepotentemente comunicata all’Agcom. Ecco dunque l’ennesimo sberleffo di Renzi
ad una minoranza che continua
a subire continui colpi di mano
senza reagire come dovrebbe,
se davvero volesse porre rime-
dio alla deriva fascista di Renzi in
seno al suo partito, e rimanendo
timidamente polemica ma certamente accucciata al fianco del
suo padrone.
A ribadire le posizioni della segreteria PD, i cui componenti secondo alcune ricostruzioni giornalistiche non sarebbero neppure
stati informati nella loro totalità rispetto alla scelta dell’astensione,
è Ettore Rosato, capogruppo alla
Camera, che opportunisticamente dichiara l’inutilità del referendum e paventa il rischio di posti
di lavoro qualora le piattaforme
d’estrazione fossero chiuse. In
pratica, “se il referendum passerà
l’Italia dovrà licenziare migliaia di
persone e comprare all’estero più
gas e più petrolio” è il motto col
quale il PD sostiene gli interessi
dei petrolieri. Una menzogna colossale che mostra la vera demagogia dei dirigenti del PD, messi
con le spalle al muro dal timore
di vedersi sottratta la norma col
referendum; in realtà le estrazioni perdurerebbero fino al termine
delle concessioni, dando tutto il
tempo per variare il modello di
produzione energetica verso le
rinnovabili, riconvertendo tutto il
personale impiegato nelle piattaforme che andranno via via dismesse ed offrendo nuove possibilità occupazionali.
Il timore per questo passaggio, di fatto in parte forzato dalla
vittoria del Sì, potrebbe creare
numerosi grattacapi ai petrolieri
se la scarsa quantità e qualità del
gas e petrolio ora estratto, fosse
superata dalla quantità e dalla
qualità, unitamente al risparmio
economico, alla maggiore tutela
della salute pubblica e dell’ambiente, dalle nuove produzioni
“verdi” delle neonascenti “centrali” alimentate da rinnovabili.
Quale futuro allora si prospetterebbe per le piattaforme ubicate
oltre le 12 miglia che rimangono,
referendum a parte, i due terzi del
totale? Un esperimento che il governo Renzi, amico dei petrolieri,
non ha nessuna intenzione di fare
per poter continuare bellamente
a foraggiare le multinazionali del
petrolio agevolandone l’attività di
ricerca di nuovi giacimenti e riservando loro le royalties più basse
dell’intero pianeta.
Romano Prodi, ex presidente
del consiglio e della Commissione Ue, ma anche a lungo al timone dell’Iri dai primi anni ’80 e artefice dei licenziamenti di massa in
vista della futura privatizzazione
degli anni ’90, è entrato nella discussione interna al PD non prendendo una posizione netta né per
il voto, né per l’astensione, ma
limitandosi a dire che se dovesse votare, voterebbe No contro
quello che lui definisce un “suicidio nazionale”. Gianni Cuperlo e
Roberto Speranza invitano il PD a
cambiare posizione sulla vicenda
delle trivelle poiché a loro avviso
sarebbe inaccettabile immaginare un grande partito, il più grande
del Paese, che inviti la popolazione all’astensione.
Rimane un dato di fatto che
in tutti i programmi elettorali del
PD alle recenti amministrative,
così come nelle Regionali ed alle
liste europee, si diceva di voler
rinunciare al petrolio e alle risorse fossili per puntare su solare e
eolico; così com’è un altro dato
incontrovertibile la linea imposta
da Renzi, quella dell’astensione,
novità assoluta per il partito storicamente inteso, per il PCI-PDSDS-PD che mai ha proposto così
di disertare le urne. Tradimenti su
tradimenti, in primis a quell’elettorato che ancora una volta si è
fidato del nuovo duce di Rignano sull’Arno poiché portavoce di
svolte ambientaliste.
Nonostante quindi l’imbarazzo generale, considerato che
sette delle nove regioni che l’hanno proposto siano amministrate
dal PD, il partito del Presidente
del Consiglio preferisce vigliaccamente la fuga al confronto
referendario fortemente voluto
dall’associazionismo ambientale e dal resto dei promotori che
stanno portando avanti fra mille
difficoltà e boicottaggi la propria
campagna referendaria. Del resto la posizione del PD è di fatto
conseguente agli altri strumentali avvenimenti governativi quali
l’aver evitato di accoppiare il referendum con le prossime elezioni
amministrative, e l’individuazione
della data referendaria al 17 aprile
riducendo al massimo lo spazio
della campagna elettorale che,
ufficialmente partita da 15 giorni,
è al momento soggetta a mistificazioni e falsità di ogni genere, in
primis l’occupazione e l’assoluta
mancanza di rischi per la salute e
per l’ambiente, smentita scientificamente da un recente rapporto
di Greenpeace sull’inquinamento
dei nostri mari, che martella gli italiani sui media di regime ad ogni
occasione. Puntare sull’astensione è la scelta più comoda per il
governo, che teme la vittoria dei
Sì sia per gli effetti diretti – le concessioni attive entro le 12 miglia
marine non potranno essere rinnovate – sia per le conseguenze
politiche poiché l’affermazione
referendaria potrebbe scardinare
la prepotenza ducesca del premier e del governo, anche in vista
di quello costituzionale di ottobre
che, fra l’altro, vanta un fronte
unito di sostegno ancora più ampio e consistente.
Naturalmente Renzi sa che
il mancato raggiungimento del
quorum è l’unica possibilità che
il governo ha per battere il SI se
il referendum sarà reso valido
dall’affluenza del 50% +1 degli
italiani. Eppure, in altra consultazione referendaria di un decennio
fa sulla procreazione assistita
quando i politici cattolici e la conferenza episcopale italiana guidarono la campagna per l’astensione, gli allora DS parlarono di
“trucco furbesco” e invitarono lo
Stato del Vaticano a non interferire con le scelte degli elettori
italiani. L’assoluta prepotenza ed
onnipotenza di Renzi e della maggioranza del suo partito passa
oltre anche alle evidenti critiche
alle quali si sottopone dal momento in cui si crea il paradosso
fra una continua ricerca del voto
e la demonizzazione dell’astensionismo alle consultazioni politiche che lasciano agli eletti “carta
bianca” per la legislatura, e l’invito all’astensione referendaria
quando invece, pur considerati
i limiti stessi dei referendum, la
popolazione ha effettivamente la
possibilità di decidere su quella
specifica questione.
Noi ci auguriamo che questo
episodio, l’ennesimo, che mostra
l’arroganza del governo Renzi,
sia capace di unire ancora di più
le masse già coscientemente No
Triv e rappresenti un elemento
per tutti gli antifascisti ed i progressisti ancora presenti all’interno del PD affinché essi possano
finalmente prendere coscienza
della vera natura del PD stesso
e del governo, che ogni giorno di
più mostra il suo vero volto antipopolare, neofascista, al servizio
di petrolieri e banche ed assolutamente distante dalla salvaguardia della salute pubblica, dell’ambiente e del lavoro e che tradisce,
affossandole ad ogni occasione,
qualsiasi speranza di passaggio
massiccio alle fonti energetiche
rinnovabili.
referendum 17 aprile / il bolscevico 5
N. 13 - 31 marzo 2016
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le trivellazioni ma solo quelle entro le 12 miglia dalla costa; il
che rappresenta un passo in avanti ma contemporaneamente
rimarrebbero in piedi, oltre ad altre piattaforme esistenti, tutte le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le multinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi. Attraverso il
referendum e partecipando attivamente alla campagna referendaria però, sarà possibile sensibilizzare e attivizzare la popolazione al fine di creare consapevolezza affinché si possa
davvero archiviare quantomeno l’idea di un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive
per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale opportunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica.
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I marxisti-leninisti voteranno Sì e invitano l’elettorato a votare Sì al referendum sulle trivellazioni che si svolgerà il prossimo 17 aprile, e sono già impegnati a partecipare ai Comitati
per il Sì che si stanno creando a livello territoriale.
Il quesito referendario sulle trivellazioni, l’unico sopravvissuto dei sei iniziali proposti da 9 regioni italiane e dal mondo
ambientalista No Triv e non superato dalle modifiche introdotte in seguito dal governo, contesta la norma secondo la quale le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano
essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”.
Il governo sta tentando di ostacolare l’espressione del
voto referendario con tutti i mezzi, arrivando addirittura a
sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero
risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni amministrative di giugno.
Comm. resp.: Monica Martenghi (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
Se vincerà il SÌ, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del
“codice dell’ambiente”, dove si prevede che le trivellazioni
continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del SÌ bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i
contratti.
È necessario considerare anche che quando si parla di
trivellazioni “offshore”, nessuno può escludere al cento per
cento malfunzionamenti o incidenti. Pur gravi ovunque, in un
mare chiuso come il Mediterraneo un disastro petrolifero causerebbe danni ingenti e probabilmente irreversibili. Fra l’altro
è criminale accettare tali rischi per recuperare, come ammette anche il governo, riserve certe di petrolio che nei mari italiani equivarrebbero a neanche due mesi di consumi nazionali, unite a prelevamenti di gas che ne soddisferebbero non più
di sei.
Ad onor del vero non pensiamo che la lotta su questo
fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria, tanto più visto l’esito tuttora disatteso dell’altro grande referendum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente
partecipato e stravinto. Va considerato inoltre che, una volta abrogata la norma in oggetto, non saranno sospese tutte
La nostra indicazione di partecipare al suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione
tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni amministrative, politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle
elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo. Per quanto
riguarda i referendum, trattandosi di scelte concrete, il PMLI
stabilisce di volta in volta se partecipare o no e quale voto indicare, in base al quesito posto, alle circostanze politiche e a
ciò che è più vantaggioso per il proletariato e le masse popolari sfruttate e oppresse e per la lotta di classe.
In questo referendum chi si oppone a scelte sbagliate in
materia energetica, che mettono a rischio la salute, la natura e l’ambiente e, più in generale, chi vuol dare un colpo alla
politica antipopolare, energeticamente obsoleta ed estremamente pericolosa di Renzi, deve andare a votare e votare SÌ.
Deve farlo anche nell’ottica di servire un amaro antipasto al
governo in previsione del referendum che si terrà il prossimo
autunno sulle controriforme del Senato ed elettorale piduiste
e fasciste. Allora andrà votato NO.
Per noi marxisti-leninisti il referendum non è lo strumento privilegiato per far affermare i diritti del proletariato e delle
masse. Per noi la lotta di classe, di massa e di piazza resta il
migliore e più proficuo metodo per difendere le conquiste dei
lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne e degli studenti, anche sul fronte ecologico, e strapparne di nuove alla classe dominante borghese in camicia nera e al suo
governo. Tant’è vero che proprio la mobilitazione e la lotta
sono state determinanti anche in questa occasione, affinché
si svolgesse il referendum.
Attualmente la lotta di classe, di massa e di piazza è tanto
più decisiva e necessaria dal momento in cui il regime capitalista e neofascista amministrato dal governo Renzi ha reso
ancor più angusti e limitati gli spazi democratici borghesi, ha
ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle
masse lavoratrici e popolari e sta seguendo le orme nazionaliste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Nord Africa, del Medio Oriente e del mondo.
Ciononostante riteniamo assolutamente necessario partecipare al referendum contro le trivellazioni e facciamo appello affinché tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore l’ambiente e vogliono una
politica energetica basata sulle fonti rinnovabili, si uniscano
in questa battaglia e aderiscano e sostengano i Comitati per il
Sì, a partire dall’intera CGIL e dagli antifascisti dell’ANPI. Noi
faremo la nostra parte.
Lottiamo uniti per la vittoria del SÌ il 17 aprile!
Astensionisti, data la posta in gioco e il carattere della
consultazione, votate e votate SÌ. Potreste essere determinanti per raggiungere il quorum!
(Sintesi tratta dal Documento dell’Ufficio politico del PMLI, dell’8 Marzo 2016)
6 il bolscevico / lavoratori
N. 13 - 31 marzo 2016
Crollate le assunzioni stabili,
alle stelle i voucher
Con il sistema degli assegni viene scavalcato il sistema contrattuale e favorito il lavoro nero
Una martellante campagna
mediatica sta cercando di offrire un’immagine dell’Italia completamente falsata con l’intento
di farci credere che il Paese sta
uscendo dalla crisi e si appresta
ad attraversare un periodo di crescita e sviluppo. Ci riferiamo in
particolare alla situazione economica e occupazionale, gravata da
8 anni di devastante crisi economica del capitalismo globalizzato che ha colpito tutti i continenti. A livello europeo l’Italia è tra
le nazioni dove si è registrato il
maggior calo di potere d’acquisto
tra i lavoratori dipendenti, saldo
negativo del prodotto interno lordo (pil), occupazione in picchiata. Una situazione che ha avvicinato l’Italia alla Grecia, dove
il crac economico finanziario è
stato momentaneamente evitato
solo grazie a una cura da cavallo che ha colpito e impoverito le
masse popolari.
I mass-media di regime stanno
continuamente diffondendo dati
ottimistici: entusiastici commenti all’aumento del pil dello 0,8%
registrato nel 2015, grande enfasi
sopratutto sulla diminuzione della disoccupazione. Immancabili
gli interventi del capo del governo attraverso twitter e facebook,
rilanciati da tg e siti internet compiacenti. “Il boom del Jobs Act è
impressionante. Nei due anni del
nostro governo abbiamo raggiunto l’obiettivo di quasi mezzo milione di posti di lavoro stabili in
più... con questo governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno
su”. Ha commentato attraverso la
tastiera il nuovo duce Renzi, con
la consueta faccia di bronzo che
lo contraddistingue.
Non ci soffermiamo sulle tasse perché è sotto gli occhi di tutti come lavoratori, pensionati e
autonomi siano sempre più torchiati. Intendiamo invece chiarire alcuni aspetti riguardo al presunto aumento dell’occupazione
e al vero e proprio boom avuto dai voucher, ossia quel sistema di pagamento del dipendente
che si colloca completamente al
di fuori dei contratti nazionali di
lavoro. Gli ultimi dati dell’Istat
del mese di gennaio 2016 ci dicono che le assunzioni sono calate
del 23% rispetto all’anno precedente (120 mila unità) e del 18%
(94 mila unità) rispetto al gennaio 2014. Senza gli stessi sgravi
contributivi garantiti dal governo Renzi sono crollati sopratutto i contratti a tempo indeterminato: secondo l’Osservatorio sul
precariato dell’Inps, con meno 70
mila unità, pari a -39% rispetto a
gennaio 2015. Rispetto al gennaio 2014 risultano 50 mila contratti in meno (-32%).
Si è perciò invertita quella tendenza all’aumento pressoché costante per tutto il 2015 che aveva portato a un saldo positivo di
563mila nuove assunzioni, senza tuttavia dimenticare che queste erano solo formalmente stabili poiché fatte con il Jobs Act
che nei primi 3 anni permette il
licenziamento anche senza giusta causa. Questo dato evidenzia
come la nuova occupazione con
il Jobs Act non è dovuta tanto alla
libertà di licenziamento, pur importante per i padroni, ma ai for-
tissimi sgravi contributivi. Questi
sono stati prorogati al 2016 sulle
nuove assunzioni a tempo indeterminato, o per meglio dire sui
contratti a tutele crescenti, ma limitati al 40% fino a un tetto massimo di esonero pari a 3mila 250
euro, e valido per due anni (l’anno scorso era al 100% fino a 8mila 40 euro, e per tre anni). Questa
diminuzione ha reso meno conveniente questo tipo di contratto
e vista la connessione tra le due
cose è prevedibile che quando
cesserà la decontribuzione il saldo ancora positivo si azzererà del
tutto.
Altri dati divulgati dall’Inps confermano l’effetto determinante dell’esonero contributivo
triennale, introdotto dalla legge
di stabilità 2015, sull’incremento dei rapporti di lavoro a tempo
indeterminato. Su 2,5 milioni di
attivazioni, oltre 1,5 milioni, pari
al 62% del totale, risultano beneficiarie degli sgravi. Dai dati
dell’istituto di statistica possiamo
dedurre che l’aumento dei contratti “stabili” a dicembre 2015,
pari a 380 mila rapporti di lavoro
– la maggior parte dei quali trasformazioni dei vecchi contratti
già esistenti – è stato provocato
da una “coda” degli incentivi del
2015. A conferma della tendenza abbiamo visto prima il boom,
pari a 11 volte la media dei mesi
precedenti (pari a 106 mila rapporti di lavoro), e poi il crollo attuale.
Di pari passo abbiamo assistito all’aumento vertiginoso dei
voucher. Con questo termine inglese, che significa all’incirca assegno, buono, si definisce quel
tipo di rapporto riservato ai lavori
occasionali. Questi furono introdotti nel lontano 2003 attraverso
la legge 30, la controriforma Biagi con cui il governo Berlusconi
liberalizzò ulteriormente il mercato del lavoro già pesantemente aggredito attraverso il Pacchetto Treu del 1997 con in carica il
governo Dini. Doveva essere un
provvedimento marginale, riservato a un numero ristretto di persone, pensato, si diceva, per lavoretti di giardinaggio, pulizie
domestiche, ripetizioni scolastiche, opere di volontariato e attività similari che solitamente non
sono regolamentate. La sua introduzione fu presentata proprio
come un provvedimento atto a
contenere e far emergere il lavoro
nero, modalità con la quale generalmente vengono svolte queste
attività e che invece nella pratica
si è dimostrato l’esatto contrario:
la legalizzazione del lavoro irregolare.
Partiti in sordina sono esplosi, non a caso, nel 2008-2009, gli
inizi della crisi. Negli stessi anni
il governo ne ampliò i comparti
di utilizzo e i destinatari che potevano essere anche i percettori di
prestazioni integrative del salario
o con sostegno al reddito. Un’altra svolta fondamentale si è avuta con la controriforma Fornero
del 2012 che sancì la definitiva
liberalizzazione dello strumento, estendendone l’applicazione a
tutti i settori, anche se introdusse alcune restrizioni: il valore nominale dei buoni (pari a 10 euro)
venne ancorato alla retribuzione
oraria e venne introdotto il limite di 2.000 euro quale reddito annuo percepibile dal lavoratore da
ogni singolo committente. Infine
non poteva mancare l’intervento
peggiorativo del Jobs Act, che ha
alzato il tetto massimo di reddito annuo percepibile da 5.000 a
7.000 euro e ha confermato l’impossibilità di accedere alle misure di sostegno al reddito in caso
di disoccupazione, malattia e maternità proprio perché il voucher
non è, appunto, un contratto di lavoro.
L’utilizzazione dei voucher,
com’è facilmente intuibile, rappresenta una delle peggiori forme
di sfruttamento del lavoro precario, dove il contratto di lavoro
viene completamente scavalcato e messo da parte, e con esso
tutti i diritti connessi. Il lavoratore viene pagato con 10 euro l’ora
(7,50 al lavoratore, il resto all’Inps), una specie di reddito mini-
mo senza alcuna contrattazione
sindacale, dopodiché è alla completa mercé del padrone di turno
che lo può utilizzare come meglio crede. Un rapporto di lavoro sempre in crescita che sfrutta
sopratutto il lavoro giovanile, nel
terziario e in particolar modo nel
settore turistico e agricolo perché più vantaggioso dei contratti
stagionali. I voucher sono molto
usati nelle amministrazioni pubbliche: il Nord e la Toscana sono
l’area con il maggiore volume di
voucher acquistati, ma è il Centro-Sud a far registrare le variazioni più intense.
Oltre a evitare le norme contrattuali e al vantaggio economico l’altro aspetto che invoglia i
padroni al suo utilizzo è quello
di essere uno strumento molto
adatto all’elusione ed evasione
fiscale. Nell’attivare il voucher
il datore di lavoro indica solo la
data di inizio e fine dell’even-
tuale prestazione, ma non l’orario. Un lavoratore potrebbe farsi
male la mattina e il datore di lavoro attivare il voucher, per stare
a posto con la legge, solo successivamente. Oppure un committente può acquistare un certo
numero di buoni e tenerli nel
cassetto utilizzandoli solo quando teme o prevede dei controlli.
Tutto questo spiega bene perché
solo dal 2013 al 2015 la percentuale di utilizzo è cresciuta del
311% e nel 2015 oltre 1 miliardo
di euro sono stati pagati ai lavoratori in voucher per un totale di
115 milioni di buoni e con un incremento rispetto all’anno scorso del 66%. I primi dati del 2016
confermano il trend: a gennaio
+36% rispetto allo stesso mese
del 2015.
La Cgil, come ha richiesto nella proposta della Carta dei Diritti
universali del Lavoro, ne rivendica la regolamentazione attraverso
la tracciabilità, noi marxisti-leninisti pensiamo invece che questa
forma di lavoro nero legalizzato
rappresentata dai voucher vada
completamente abolita.
Per evitare la contestazione dei lavoratori all’inaugurazione
sulla Salerno-Reggio Calabria
La polizia di Renzi sequestra
e dirotta pullman di manifestanti
“È una censura organizzata,
un’ulteriore mortificazione dei
lavoratori che chiedono solo rispetto del loro diritto da più di
un anno. Questo non è uno Stato democratico. L’Italia in questo momento vive un momento
simile al fascismo. È bene che si
sappia: la Calabria non sta rinascendo, che non raccontino favole”. Questa è la giusta e forte
denuncia dei lavoratori della ex
provincia di Vibo Valentia che,
da più di 5 mesi sono senza stipendio, esasperati e indignati volevano contestare il nuovo duce
Renzi, venuto a Mormanno, il
10 marzo scorso, per presiedere
una scenografica e autocelebrativa cerimonia per l’abbattimento dell’ultimo diaframma di una
galleria dell’infinito completamento dell’autostrada SalernoReggio Calabria.
Ma non è stato possibile perché il pullman dove si trovava
una delegazione di 50 dei 200 lavoratori dell’ente, su diretta indicazione di Renzi, è stato bloccato da una pattuglia della Polizia
stradale all’altezza di Tarsia che
ha impedito loro di proseguire
per “motivi di ordine pubblico”.
Nella piazzola i lavoratori hanno
srotolato uno striscione e tentato
di opporsi al diktat mussoliniano
ma il pullman, sequestrato dalla Polstrada, con un agente salito a bordo per evitare “colpi di
testa”, è stato scortato per uscire dall’autostrada e dopo ore di
trattative dirottato su Cosenza.
Intanto a Vibo la restante parte dei lavoratori ha continuato la
protesta davanti alla sede della
provincia.
Alfredo Iorno, segretario generale della Fp Calabria accusa:
“è stata negata una richiesta di
visibilità per non inficiare la narrazione di questo governo, applicando con miopia ed eccesso di
zelo il protocollo di sicurezza”.
Ma la cosa è ancor più grave
di come la presenta Iorno: Renzi,
come Mussolini, non ammette
“disturbatori” e sabotatori, non
accetta il dissenso, le critiche o
malumori, gufi o detrattori; è il
despota indiscusso che esercita
il suo potere assoluto pronto alle
“deportazioni” pur di eliminare i
dissidenti. Un preoccupante precedente, un grave atto repressivo
che cancella di fatto, senza bisogno di nuove leggi liberticide,
ogni diritto democratico-borghese, un modo più che diretto per
intimidire i lavoratori in lotta e
far loro piegare la testa. È fascismo aperto, come hanno prontamente denunciato i lavoratori.
I lavoratori “eliminati” dalla farsa teatrale di Mormanno,
dove Renzi ha potuto lanciare
indisturbato l’ennesima promessa del completamento dell’opera
entro fine anno, sono stati portati
in piazza a Cosenza dove il questore è riuscito a programmare
l’incontro con Renzi. Ma nemmeno qui hanno potuto esprimere le loro ragioni; è stato consentito a una ancora più stretta
delegazione di incontrare il sottosegretario alla Presidenza del
consiglio Luca Lotti e il ministro
delle Infrastrutture Graziano Delrio strappando ai due esponenti
di governo una verifica su questo
punto, sempre più urgente, quantomeno per tappare le falle, visto
che “la scellerata legge Delrio”
di cancellazione delle province
è stata attuata senza provvedere
alla ricollocazione dei lavoratori e alla riorganizzazione del servizio.
Dopo l’inconsistenza delle risposte ottenute lo stato di agitazione è quindi permanente: i lavoratori sono in assemblea e, in
assenza di risposte certe, non si
recheranno nei propri uffici.
interni / il bolscevico 7
N. 13 - 31 marzo 2016
Pieno successo dello sciopero
generale del 18 marzo
Allo sciopero generale del 18
marzo indetto da Cub, SGB, S.I.
Cobas e Usi Ait hanno aderito
centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori. In migliaia han-
no partecipato alle manifestazioni organizzate a Milano, Napoli
e Firenze contro le politiche di
guerra, per le libertà sindacali e
sociali, per la difesa dei diritti,
del salario e del welfare; in molte
altre città si sono organizzati manifestazioni e presidi molto partecipati. Nella foto un momento
del corteo di Milano.
Nell’iniziativa promossa da Libera
350 mila in piazza contro le mafie
Lunedì 21 marzo in oltre 2.000 comuni del nostro
Paese, dal Nord al Sud, in più
di 350 mila sono scesi in piazza
nell’iniziativa contro le mafie
promossa
dall’associazione
Libera. Tantissimi ragazze e
Le mazzette ammonterebbero a 1,2 milioni
ragazzi delle scuole medie superiori si sono uniti ai lavoratori
delle fabbriche, della scuola,
dell’università e alle tante associazioni cattoliche e laiche
per dire no alla mafia e alla corruzione e ricordarne le vittime
innocenti: in simultanea alle 11
in tutte le piazze sono stati letti
i 900 nomi delle vittime. Nella
foto un momento della manifestazione di Messina che ha
visto sfilare oltre 50 mila manifestanti.
L’ex portavoce di Napolitano e i suoi sette
assessori nel mirino della magistratura
Arrestate per tangenti sui rifiuti Il sindaco di Barletta
sindaca e assessore FI di Maddaloni Cascella indagato per
Il 7 marzo la neopodestà di
Maddaloni (Caserta), Rosa De Lucia, eletta nel 2013 con il Popolo
della Libertà, è stata arrestata su
ordine della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere con l’accusa di aver ricevuto
tangenti per affidare il servizio di
raccolta dei rifiuti solidi urbani alla
società Dhi Holding Industriale spa
dell’imprenditore Alberto Di Nardi.
Insieme alla sindaca forzista sono finiti in carcere anche
l’assessore alla Cultura Cecilia
D’Anna, il consigliere comunale
Giuseppina Pascarella (“amica
del cuore” di Francesca Pascale,
la fidanzata di Silvio Berlusconi), il
consigliere di maggioranza Giancarlo Vigliotta e lo stesso Di Nardi
tutti accusati a vario titolo di corruzione, tentata induzione indebi-
ta e peculato in concorso.
Secondo i Pubblici ministeri
(Pm), Di Nardi, per ottenere l’appalto quinquennale inerente la gestione dei rifiuti, ha pagato alla De
Lucia mazzette di 10/15 mila euro
al mese per un ammontare complessivo di circa 1,2 milioni di euro
più un serie di favori, finanziamenti elettorali, sponsorizzazioni
e regàlie varie al fine di rinnovare
e consolidare nel tempo il mercimonio politico-imprenditoriale.
In sostanza, scrivono gli inquirenti nel mandato di arresto,
Di Nardo è stato utilizzato come
una “sorta di bancomat della De
Lucia“.
Nell’inchiesta sono indagati
per corruzione anche il consigliere Gennaro Cioffi e il comandante
della Polizia municipale Bartolo-
meo Vinciguerra.
Il procuratore Maria Antonietta Troncone ha precisato fra
l’altro che la Dhi ha ottenuto, tra
il 2013 e il 2015, “l’emissione di
ordinanze di proroghe trimestrali
degli affidamenti diretti del servizio di igiene urbana, comportanti
un impegno di spesa di 423mila
euro, in modo illegittimo sia per la
mancanza dei presupposti di eccezionale e urgente necessità, sia
perché eccedenti i limiti massimi
di 18 mesi”. A tal fine ha sottolinato ancora Troncone “le frequentazioni tra il sindaco e l’imprenditore
erano quasi quotidiane”.
Inoltre Di Nardi, su richiesta del sindaco, ha proceduto
all’assunzione all’Intergair spa,
sua controllata, del fratello di un
consigliere comunale di Mad-
daloni; ha erogato “benefici sul
piano politico ed elettorale” con
“sponsorizzazioni di vario tipo e
importo, tra le quali 500 euro per
la manifestazione Stop femminicidio e circa 5mila euro per la realizzazione di 600 metri di luminarie in via Napoli per l’anno 2015,
per dare copertura economica ad
attività patrocinate dal Comune e
dal sindaco in persona”. Affinché
il rapporto “corruttivo” potesse
proseguire nel tempo, Di Nardi
avrebbe inoltre fornito aiuto al
sindaco e soprattutto soldi per
comprare il voto favorevole di
alcuni consiglieri in Consiglio comunale e quindi “sanare i dissidi
interni alla maggioranza consiliare e assicurarsi la prosecuzione
dell’attività consiliare, e quindi del
suo mandato di sindaco”.
abuso d’ufficio
L’inchiesta riguarda gli eventi per la
rievocazione della Disfida affidati senza bando
L’ex portavoce di Napolitano al Quirinale e attuale sindaco
piddino di Barletta, Pasquale Cascella, dal 5 marzo è indagato insieme ad altri sette assessori della sua giunta di “centro-sinistra”
per abuso d’ufficio in un’inchiesta aperta dalla procura di Trani.
L’accusa è incentrata sugli atti,
deliberati l’11 agosto 2015, con
i quali furono approvati e affidati tutti gli eventi e i servizi per
celebrare la rievocazione della
“Disfida di Barletta” avvenuta il
13 febbraio 1503 nella piana tra
Andria e Corato.
L’inchiesta è partita da un
esposto presentato dal Movimento 5 Stelle e controfirmato
dalla consigliera regionale Grazia Di Bari e dal deputato Giuseppe D’Ambrosio, secondo cui
quei servizi furono affidati senza le necessarie procedure di
evidenza pubblica previste dalla legge.
Insieme all’ex editore del “Tempo” fascista coinvolti nella nuova inchiesta dieci funzionari
e impiegati del Campidoglio, “corrotti con soldi ma anche con case e viaggi”
Il palazzinaro Bonifaci indagato per tangenti
Mazzette di contanti, favori,
regali, case e soggiorni vacanze in
cambio di permessi edilizi e cambio di destinazione d’uso di terreni
e immobili di pregio.
Protagonisti della nuova bufera
giudiziaria che investe ancora una
volta il Campidoglio sono il boss
dell’edilizia nonché ex editore del
quotidiano fascista “Il Tempo”
Domenico Bonifaci, il funzionario
del IX Dipartimento di Roma Capitale, Antonello Fatello e un suo
impiegato dell’ufficio programmazione ed attuazione urbanistica, tutti accusati di corruzione insieme ad altri tre professionisti e
sei dipendenti del gruppo Bonifaci nell’ambito dell’inchiesta ribattezzata la cupola capitale del mattone.
All’alba del 18 febbraio la
Guardia di finanza del Nucleo
speciale anticorruzione ha bussato
alla porta del costruttore romano
per notificargli l’avviso di garan-
zia e procedere alla perquisizione
degli uffici situati nel quartier generale del gruppo in via Bertoloni ai Parioli. Lì i finanzieri hanno
trovato le carte che cercavano per
incrociarle con quelle in parte già
acquisite negli uffici comunali.
In tutto sarebbero almeno sette le pratiche sospette ora al vaglio del pubblico ministero Erminio Amelio, che si riferiscono
al periodo 2013-2015. L’indagine è nata da una costola dell’operazione “Vitruvio” che portò nel
2015 alla sbarra (il processo è attualmente in corso) 39 persone fra
imprenditori, vigili urbani e dipendenti comunali pagati per non
andare a fare controlli nei cantieri
in cui c’erano abusi, o per chiudere un occhio di fronte a cambi di
destinazione d’uso di locali (lavatoi trasformati in bagni e cantine
in sale hobby) o ancora fascicoli che documentavano aumenti di
cubature sproporzionati rispetto al
progetto presentato, fatti sparire.
Tra i grandi cantieri in odore di
mazzette e di “prossima realizzazione” spiccano il complesso immobiliare di prestigio, “Palazzo
Raggi”, antica sede del Banco di
Santo Spirito, nel centro storico di
Roma in via del Corso. Lo stabile
del ’700 è costato l’iscrizione sul
registro degli indagati, per abuso
d’ufficio, a undici ex assessori comunali. Nella lista spiccano i nomi
degli ultimi due titolari dell’Urbanistica, Marco Corsini (giunta Alemanno) e Giovanni Caudo
(giunta Marino).
Per non parlare del Ripetta Parking, un parcheggio interrato nel
cuore della città, mentre all’Eur
era prevista la realizzazione di un
centro direzionale e commerciale.
Dei sei antichi casali “misteriosamente” trasformati in una mega
lottizzazione a Grottaperfetta da
cui sono stati ricavati 32 palazzi di
sette piani, al confine con il museo
a cielo aperto dell’Appia antica.
Tutto grazie al boss delle concessioni edilizie Fatello, l’intoccabile dirigente del Campidoglio,
l’unico funzionario a uscire indenne dalle inchieste su “Mafia capitale” e a rimanere in sella anche
dopo le dimissioni della giunta
Marino il quale, in combutta con
l’assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo (anche lui indagato
nell’inchiesta), bloccò il suo trasferimento al dipartimento Mobilità già disposto fin dal 13 agosto
2015 per “dare continuità alle attività amministrative in corso presso il Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica”.
Dal suo ufficio all’Eur sono
passati anche il progetto di trasformazione dell’ex sede liberty della
Zecca dello Stato nel cuore dei
Parioli e quello per la mutazione a
uso commerciale dell’Istituto Geologico di largo Santa Susanna.
Affari, lavori e soprattutto
mazzette per milioni di euro che
rischiano di trascinare sul fondo
anche una buona fetta del “mondo
di sopra” fatto di politicanti borghesi corrotti e di palazzinari senza scrupoli.
Numero di telefono e fax della Sede
centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il
Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo
ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo
Organo.
8 il bolscevico / corruzione
N. 13 - 31 marzo 2016
Per le spese da sindaco e per quelle della Onlus
A metà ottobre 2015 l’allora
sindaco dimissionario di “Mafia
capitale”, Ignazio Marino, aveva
assicurato di sentirsi “tranquillo”
e di aver “chiarito tutto” ai Pubblici ministeri (Pm) di Roma che
indagano sulla scandalosa vicenda delle cene private (spacciate
per istituzionali) e quindi pagate
con la carta di credito del Comune, ossia coi soldi rubati al popolo.
Invece, il 23 febbraio scorso,
la Procura capitolina ha notificato all’ex neopodestà piddino un
doppio avviso di chiusura indagine per peculato, falso e truffa inerenti non solo le false fatture dei
ristoranti e relativi giustificativi
ma anche per la scandalosa ge-
Marino inquisito
stione della onlus “Imagine” che
l’allora senatore PD Marino aveva fondato e presieduto sino alla
sua elezione in Campidoglio.
Nel capo di imputazione, preludio di un ormai imminente rinvio a giudizio, il procuratore Pignatone, l’aggiunto Caporale ed
il sostituto Felici contestano a
Marino di essersi appropriato “ripetutamente della dotazione finanziaria dell’ente” utilizzando, tra il 2013 e il 2015, la carta
di credito istituzionale per “acquistare servizi di ristorazione
nell’interesse suo, dei suoi congiunti e di altre persone non identificate”. All’incirca 13 mila euro
per 56 cene “consumate presso ristoranti della capitale e anche di
altre città (Genova, Firenze, Torino) ove si era recato, generalmente nei giorni festivi e prefestivi,
con commensali di sua elezione,
suoi congiunti e altre persone non
identificate, comunque al di fuori
della funzione di rappresentanza
dell’ente”.
Non solo: “al fine di occultare il reato” l’ex sindaco “impartiva disposizioni al personale addetto alla sua segreteria affinché
formasse le dichiarazioni giustificative delle spese sostenute, inserendovi indicazioni non veridiche,
tese ad accreditare la presunta natura istituzionale dell’evento ed
apponendo in calce” la sua firma. In sostanza, Marino avrebbe
indotto alcuni suoi collaboratori “non individuati a redigere atti
pubblici attestanti fatti non veri e
recanti la sua sottoscrizione apocrifa”.
Per quanto riguarda invece
la vicenda della onlus creata nel
2005 per fornire aiuti sanitari in
Sudamerica e Africa, l’ex sindaco rischia il processo insieme ad
altri tre imputati (Rosa Garofalo,
Carlo Pignatelli e Federico Serra), per “aver predisposto, tra il
2012 ed il 2014, la certificazione
di compensi riferiti a prestazioni fornite da collaboratori fittizi
o soggetti inesistenti”. Un modus operandi che, secondo gli inquirenti, ha provocato un danno
all’Inps di circa seimila euro per
“l’omesso versamento degli oneri
contributivi dovuti per le prestazioni lavorative in realtà svolte da
uno degli indagati in favore della Onlus”.
Insomma, una doppia tegola
giudiziaria proprio mentre l’ex
sindaco di “Mafia capitale”, nonostante le scandalose vicende in
cui risulta pesantemente coinvolto, aspirerebbe ancora a candidarsi alle comunali.
La giunta Cinque fa carta straccia dei regolamenti comunali e delle regole della democrazia borghese
Sindaco e assessore M5S
di Bagheria con ville abusive
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Il M5S, campione della moralizzazione degli altri, ha dato
un’altra prova della propria arrogante ipocrisia politica, dopo la
vicenda del sindaco di Quarto,
Rosa Capuozzo, eletta con i voti
della camorra.
La giunta pentastellata di Bagheria, in provincia di Palermo,
guidata dal sindaco Patrizio Cinque, eletto il 10 giugno 2014, aveva fatto della lotta all’abusivismo
uno dei cavalli di battaglia elettorale: il colmo è che proprio lui
possiede una villa abusiva, costruita nel 1982 in spregio al piano regolatore all’interno del parco vincolato Villa Serradifalco.
Lo rivela un servizio del programma “Le iene” di Italia1, andato in onda il 7 febbraio scorso.
ll sindaco, che inizialmente aveva
smentito la notizia, tenta su facebook una difesa “la villa - scrive
- è già sanata”, ma è poi costretto ad ammettere che l’abitazione è
ancora abusiva.
Il sindaco sostiene di essere vittima di un attacco politico perché
denuncerebbe la mafia, facendone i nomi. Sì però, se la vogliamo
dire tutta, il sindaco di Bagheria
ha la villa in un parco vincolato,
precisamente come le decine di
mafiosi che in questi anni hanno
devastato il territorio di Bagheria,
costruendo al di fuori di ogni regola ville e palazzine abusive nel
settecentesco parco di Villa Valguarnera, sottoposto a vincolo di
inedificabilità assoluta.
Anche il suo assessore all’urbanistica, Luca Tripoli, M5S, è
stato beccato sullo stesso problema. Le Iene gli contestano la trasformazione di un deposito attrezzi di 37 metri quadri in una
villa da 120 metri quadri. “Non è
vero!”, prova a difendersi Tripoli, che poi spiega di aver avviato
la pratica per la regolarizzazione,
mentre era assessore nel 2014! Si
è poi dovuto dimettere. La vicenda era imperdonabile. L’assessore grillino era già chiacchierato
in paese perché, da titolare della
delega all’urbanistica, lavori pubblici e ad edilizia privata, avrebbe chiesto l’assegnazione di un
bene demaniale per attività commerciali nella zona della “Baia dei
Ciclopi”, sul territorio da lui amministrato. Ciò solleverebbe un
notevole conflitto di interessi, se
la notizia fosse confermata.
La prima conclusione politica
è che il Comune di Bagheria, il secondo per numero di abitanti della provincia di Palermo, è in mano
ad una giunta che governa esattamente con gli stessi metodi clientelari di chi li ha preceduti per decenni, con la stessa arroganza e
strafottenza.
E gli esempi sono ormai fin
troppi per non concludere che ci
troviamo dinanzi ad un fallimento politico che emerge prepotentemente, nonostante le ipocrite concioni sul bisogno di moralità e di
rispetto delle regole borghesi con
cui ama presentarsi il M5S davanti agli elettori per carpirne consensi e voti.
Patrizio Cinque sta inanellando
una dopo l’altra esemplari figure
da ducetto locale. La più eclatante
di recente gli ha fatto collezionare una denuncia all’autorità gudiziaria da parte di un lavoratore ex
Coinres del settore rifiuti, Carmelo Di Salvo. Questi è stato licenziato dopo che il Comune ha deciso di “interrompere il servizio del
Coinres”. Esplicativa dell’attegiamento ducesco/mafioso di Cinque
una dichiarazione in cui afferma:
“Noi dettiamo le regole, chi non
le rispetta lo rispediamo al mittente. Recentemente abbiamo revocato il comando a 11 dipendenti
perché non funzionali. Invece chi
sta rispettando le nostre direttive
ha garantito il posto di lavoro e si
trova bene...”. E le direttive sono:
assegnazione dell’appalto sui rifiuti a privati scelti dalla giunta
senza appalto. Zitti tutti e chi non
è “funzionale”: fuori!
Durante uno scambio di battute animate, il sindaco, ripreso in
un video, ha minacciato l’ex netturbino comunale Di Salvo, che
inscenava una plateale protesta
nell’aula del Consiglio comunale, tenendo gli striscioni: “Sindaco Cinque mi hai tolto 55 anni di
dignità” e “Patrizio Cinque il sindaco del clientelismo”. Di Salvo,
dopo aver perso il lavoro e aver
tentato di chiedere aiuto a Cinque è stato aggredito verbalmente dal sindaco. Nel video Cinque
gli urla “Ti strappo il cuore”. Secondo la polizia, il sindaco avrebbe aggiunto altre frasi ingiuriose
(non presenti nel video): “Figlio
di puttana, ti levo i coglioni e te li
metto in bocca”.
Quali sono i riferimenti ideologici di Cinque? Ci chiediamo
quando lo sentiamo parlare così.
Ci risulta che questo tipo di minacce siano tipicamente mafiose, mentre l’atteggiamento tenuto con i lavoratori è tipicamente
da picchiatore fascista. Fa bene,
dunque, la procura ad indagare
sull’avvenimento, e ci aspettiamo
Rapinati al popolo
Oltre 260mila euro annui alla
renziana Bignardi per dirigere Rai3
È scandaloso che milioni
di lavoratori, giovani precari,
disoccupati, pensionati e cassintegrati, siano costretti a rinunciare perfino alle cure mediche per riuscire a sbarcare il
lunario, mentre la renziana Daria Bignardi, ex conduttrice de
Le Invasioni Barbariche e del
Grande Fratello, è stata imposta
dal nuovo duce Renzi al vertice
di Rai3 con uno stipendio che
oscilla tra 260 e i 280mila euro
lordi l’anno. Cifra ben al di sopra del tetto che in teoria fissa
a 240mila euro lordi l’anno la
retribuzione massima per i diri-
genti pubblici.
Per aggirare la legge varata
nel 2011 dal governo Monti, la
Rai ha avviato a maggio 2015
il collocamento di un bond da
350 milioni di euro proprio per
rientrare nella seconda parte
della normativa che prevede
appunto che le aziende controllate dallo Stato che emettono
titoli di debito quotati siano
esenti dal rispetto della norma
sui tetti.
La “promozione” della moglie di Luca Sofri ai vertici di
Viale Mazzini è l’ultimo di una
lunga serie di nomine effettuata
nei sette mesi di dirigenza targata Campo Dall’Orto tra cui
spiccano fra gli altri Andrea
Fabiano, promosso da vicedirettore a direttore di Rai1 ed il
più giovane della storia della Tv
pubblica, e Ilaria Dallatana (Rai
2) che tra l’altro ha fondato la
casa di produzione televisiva
Magnolia con Giorgio Gori, ex
direttore di Canale 5 e Italia 1 e
da giugno 2014 è anche sindaco
di Bergamo per il PD.
Insomma, pur di mungere
mamma Rai e rapinare i soldi al
popolo per foraggiare i media e
la stampa di regime, per il go-
verno Renzi non ci sono “tetti”
o conflitti di interessi che reggono.
Il maxi-stipendio della Bignardi ha infatti scatenato le sacrosante proteste del Codacons
che ha presentato un esposto
alla Corte dei Conti per chiedere “di verificare i contratti Rai
riservati ai nuovi direttori di
rete, e accertare se i compensi
stabiliti siano compatibili non
solo con le norme vigenti, ma
anche con le necessarie politiche di tagli e spending review
che hanno investito negli ultimi
anni l’azienda pubblica”.
che venga fatta luce sui metodi e
i contenuti dell’assegnazione senza gara nel settore dei rifiuti a Bagheria.
Cinque e la sua giunta stanno dimostrando a tutti gli effetti
di non discostarsi negli atteggiamenti e nei comportamenti politici da tutti quei gruppi di potere che negli ultimi anni in Sicilia
si sono trovati a dover costruire
le basi clientelari del loro potere, MPA, PD di Renzi, FI, UDC,
NCD, M5S: tutti uguali.
Se non basta quanto detto, possiamo considerare anche le consulenze assegnate ad attivisti e
parenti di assessori e consiglieri.
“Scelti in base al curriculum”, si
difende il sindaco. Sì, però legati
al M5S o parenti di esponenti del
M5S. Si tratta di Vincenza Scardina, cognata dell’assessore allo
sviluppo Alessandro Tomasello,
M5S, che riceve un incarico fiduciario da 14.173 euro. Vittorio
Fiasconaro, militante del M5S nel
paese di Santa Flavia, confinante
con Bagheria, che riceve incarichi per oltre 26 mila euro. Giorgio Castelli, padre di Filippo, consigliere comunale M5S, che viene
nominato componente del comitato dei garanti.
Il M5S a Bagheria agisce al di
fuori di ogni regola nel completo
arbitrio, come dimostra anche la
vicenda della concessione dell’antico palazzo Aragona Cutò del Settecento, sede della biblioteca comunale, ai privati per il veglione
di Capodanno per la ridicola cifra
di 500 euro, in violazione del regolamento che prevede l’uso del
palazzo solo per manifestazioni di
carattere culturale e fregandosene del “NO” della dirigente che si
occupa del patrimonio culturale.
L’indomani hanno fatto scandalo
le scatole di superalcolici depositate negli uffici dell’archivio della biblioteca comunale, che custodisce preziose collezioni librarie
e antiche collezioni di quotidiani
come “l’Ora”, e la sporcizia dappertutto.
Come abbiamo sempre denunciato i moralisti del M5S dietro la
loro politica di aggressione violenta e legalizzatrice nascondono
precisamente le stesse marce caratteristiche degli altri politicanti
borghesi che essi stessi contestano. Ciò conferma che le istituzioni rappresentative borghesi, centrale e locali, sono irriformabili,
sono esse stesse fonti di corruzione e del dilagare del potere mafioso.
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola
o università dove studi, nel quartiere e nella città dove
vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti
fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua
disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con
i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
interni / il bolscevico 9
N. 13 - 31 marzo 2016
La cultura borghese genera mostri
Il terribile omicidio del giovane 23enne Luca Varani,
avvenuto in un appartamento romano il 4 marzo scorso, non è che la punta di un
iceberg molto più profondo,
che chiama in causa diretta
i disvalori propugnati dalla
cultura borghese.
I due assassini sono
giovani frequentatori della Roma bene: Paolo Prato, 29 anni, è laureato in
scienze politiche e aspirante modello; Manuel Foffo,
30 anni, è descritto come
“ragazzo modello” dal padre, proprietario di una delle più importanti agenzie di
pratiche auto della capita-
le. Frequentatori di discoteche, avevano un passato
di alcol e droga. Il 4 marzo,
già pesantemente intontiti
dalla cocaina, offrono a Varani una certa somma per
una serata di alcol e sesso.
Quando il ragazzo giunge
all’appartamento al Collatino, beve un drink drogato e,
incapace di difendersi, viene ucciso sadicamente e lasciato morire fra atroci sofferenze.
“Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere l’effetto che fa” o “simulare uno
stupro con un prostituto”, è
la candida confessione dei
due. Insomma, un “gioco”,
un “passatempo” da giovani
borghesi annoiati e drogati,
finito male e che comunque
non poteva certo finire bene.
Gran parte della stampa
nazionale fa apparire l’omicidio unicamente come un
episodio di cronaca nera a
sé stante. In realtà, ci sarebbe da dire molto di più.
Non ci riferiamo certo al criminale sciacallaggio mediatico operato da Giovanardi e
Adinolfi, che hanno raggiunto il punto più basso della
loro meschinità politica parlando di un caso tipico da
“mondo gay” e sostenendo persino, molto fantasiosamente, che il movente
dell’omicidio sarebbe stato un post di Varani su “Facebook” contro i matrimoni
gay.
Le farneticazioni dei due
crociati omofobi in realtà
distolgono l’attenzione da
quella che è la vera natura
del problema. Il delitto Varani chiama in causa i disvalori
della cultura borghese. L’individualismo estremo, l’edonismo sfrenato, la prevaricazione, il culto e la ricerca
spasmodica dello sballo, del
successo e delle emozioni forti, costi quel che costi,
anche a scapito della vita altrui non sono che i mostruosi risvolti culturali della legge
della giungla, della regola
del più forte e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo
vigenti nel libero mercato
capitalistico.
Sono questi, appunto, i disvalori esaltati dalla borghesia che, mentre in pubblico e ai microfoni di giornali
e televisioni indossa i panni del moralismo bacchettone, quando cala la notte si
lancia nel giro di prostitute,
droga e festini sulla scia delle famigerate notti di Arcore.
Questi sono i modelli malsani che la borghesia cerca di propugnare ai giovani
per indurli al totale disimpegno politico, facendoli affon-
dare, nei casi più gravi, nella droga.
Per tutti questi motivi, bisogna assolutamente ribellarsi alla cultura borghese,
con la quale i giovani che
vogliono cambiare il mondo non hanno nulla da spartire. Le sue abitudini, i suoi
stili e i suoi modelli sono da
respingere, non da emulare. È invece fondamentale
l’impegno militante e le lotte
dei giovani per la conquista
di una nuova società e una
nuova cultura basate sull’altruismo e sulla solidarietà.
Ecco perché va distrutto il
capitalismo e realizzato il
socialismo.
I revisionisti di Pechino ricorrono al pop per convincere
i giovani a seguire il nuovo imperatore Xi
Il pop è la nuova trovata
“moderna” e “in linea con i tempi” escogitata dal partito revisionista cinese per innovare la
propria propaganda e raggiungere l’immensa platea dei giovani cinesi drogati dalla depoliticizzazione e dal consumismo,
entrambi foraggiati dal regime
di Pechino dopo la restaurazione del capitalismo nel 1978,
ma che ora rischiano di erodere la base di potere del partito, riconosciuto ormai come un
semplice strumento per fare
carriera ma senza principi.
I modelli ora esaltati dalla
propaganda sono cantanti particolarmente amati, attori e attrici di successo, star di Internet
e sportivi famosi, che compaiono in video musicali diffusi su
Weibo, uno dei maggiori social
network cinesi, mentre decantano le parole d’ordine dell’attuale dirigenza cinese o esprimono il loro “amore” per “papà
Xi”, come viene definito Xi
Jinping.
Cartoni animati, spot musicali, ritmi rap e pop sono i nuovi strumenti della propaganda cinese. Di recente è stata
persino messa in rete un’allegra canzoncina per esaltare la
“saggezza” e il “progresso” garantiti dal 13° Piano quinquennale (2016-2020), che punta
a rafforzare il ruolo del libero
mercato. “Se abbiamo abbastanza cibo da mangiare e soldi da spendere, non c’è più nulla di cui preoccuparsi” recita la
canzoncina di un altro cartone
animato che espone i “quattro
principi complessivi” di Xi: costruire una società di media
prosperità, approfondire le riforme economiche, governare
secondo la legge e rafforzare
il partito, cioè i canoni del “sogno cinese”. Negli ultimi mesi è
diventata virale su Internet anche una poesia scritta da un dirigente dell’agenzia governativa Xinhua che osanna la figura
di Xi in occasione della sua visita del 19 febbraio. Allora, il
presidente cinese aveva sentenziato che i media devono limitarsi a essere i portavoce del
governo.
L’obiettivo di questa propaganda pop è veicolare rapidamente, tramite canali graditi ai
giovani, un messaggio sem-
Una video animazione prodotta e diffusa sul web dall’agenzia di stampa governativa Xinua in cui si esaltano
i risultati politici ottenuti dal nuovo imperatore Xi, sulle note delle versioni pop e rap di alcuni canti popolari
cinesi
plice ma essenziale: bisogna
venerare e sostenere il nuovo
imperatore Xi. Il paragone con
Mao e la Rivoluzione culturale
proletaria, tentato per esempio
dal noto anticomunista Giam-
paolo Visetti sulla “Repubblica”, non regge proprio: questi messaggi e la loro tipologia
sono tipici del capitalismo e
del liberismo, oggi praticati in
Cina. Anzi, com’è evidente, la
propaganda di regime è perfettamente in grado di conformarsi e adattarsi ai nuovi modelli,
sfruttando le star e le mode del
capitalismo cinese. Xi inoltre è
tutt’altro che un “nuovo Mao”
perché ha spostato ancora
più a destra la linea politica ed
economica di Deng Xiaoping,
sostenendo che il mercato e
l’iniziativa privata devono diventare l’elemento decisivo
e trainante dell’economia. Xi,
inoltre, ha accentrato sempre
più potere nelle sue mani ed ha
avviato un vero e proprio culto
della sua persona per imporsi
a scapito delle altre cricche di
potere che animano gli intrighi
di palazzo a Pechino.
I colori accesi e le allegre
canzoncine nascondono la realtà ben più tetra dei milioni di operai, soprattutto giovani migranti dalle campagne,
sfruttati a bassissimo costo
per sostenere lo sviluppo ineguale dell’economia capitalista cinese e l’arricchimento di
un pugno di milionari che vive
nel lusso come i mandarini di
un tempo. Le misure legate al
nuovo piano quinquennale, approvato la settimana scorsa
alla sessione annuale del parlamento, prevedono addirittura
il licenziamento di 6 milioni di
lavoratori per far fronte alla crisi di sovrapproduzione.
Già condannato per l’omicidio Moro
L’ex
“BR”
Morucci
fa
ancora
comodo
ai
servizi
segreti
Lavora ancora nella società di intelligence di De Donno, braccio destro dell’ex numero uno di Ros e Sisde
Valerio Morucci, l’ex capo
della colonna romana delle
“Brigate rosse” che partecipò
al rapimento e all’uccisione di
Moro, e che oggi è libero cittadino grazie a una cospicua riduzione di pena ottenuta con
la “dissociazione” e un falso
memoriale, che non rivelava
nulla ma fu preso per buono
dai giudici, è stato assunto da
una società di intelligence che
fino al 2014 era amministrata
dall’ex generale del Ros dei
carabinieri e capo del Sisde,
Mario Mori, e oggi è diretta dal
suo ex braccio destro, Giuseppe De Donno.
La notizia, ignorata dal resto della stampa, è stata data
con dovizia di particolari da
Emiliano Liuzzi e Marco Lillo
in un articolo su Il Fatto Quotidiano del 1° marzo, in cui si
spiega che Morucci è stato assunto a tempo indeterminato
dalla società romana G Risk,
di proprietà dell’ex colonnello
dei carabinieri ed ex dirigente
dei servizi segreti, Giuseppe
De Donno, imputato con Mori
a Palermo nel processo sulla
trattativa Stato-mafia.
La G Risk si occupa di sicurezza e intelligence ed è
controllata al 66% da De Donno, nonché da un altro ex carabiniere, Mauro Ciuffini, protagonista dell’inchiesta sulla
camorra e l’alta velocità ferroviaria in Campania nel 1996:
“Avevamo bisogno di una persona che si occupasse dello scacchiere internazionale
e abbiamo individuato in Morucci la persona giusta. Non
c’è niente di strano. Anche la
sua esperienza di vita, quella negativa, può essere utile
a un’azienda come la nostra”,
ha dichiarato De Donno senza
fornire ulteriori dettagli sul ruo-
lo rivestito da Morucci.
De Donno era stato il braccio destro del generale Mori a
Palermo dai primi anni ’90. Fu
lui a incontrare Massimo Ciancimino per avviare la trattativa
segreta tra il padre Vito e Mori
per una “tregua” nella guerra tra lo Stato e la mafia. E lo
seguirà anche quando il generale viene promosso da Berlusconi alla direzione del Sisde.
Lasciati i servizi segreti, dopo
un periodo di consulente al
servizio del fascista Alemanno
al Comune di Roma, Mori fonderà poi la G Risk, per lasciarla nel 2014 a De Donno.
Ma non è questa dell’assunzione di Morucci in una società da lui fondata la sola “coincidenza” in cui Mori incrocia
la strada dell’ex “BR”. Già sei
anni prima era direttore scientifico di una rivista, Theorema,
in cui scriveva anche Morucci.
Nel 1978 Mori viene nominato
comandante dell’Anticrimine
al reparto operativo di Roma
dei carabinieri, lo stesso giorno in cui Morucci apre il fuoco con la sua Skorpion sulle
macchine della scorta di Moro
in via Fani. Poi Mori va a ricoprire un ruolo chiave nel reparto antiterrorismo del generale
Dalla Chiesa, mentre Morucci,
uscito dalle “BR” per “contrasti di linea”, viene arrestato un
anno dopo la morte di Moro e
condannato a diversi ergastoli. Dissociatosi nel 1985 viene
scarcerato definitivamente nel
1994, e ora lo ritroviamo a lavorare per una società creata
da uno di quelli che nominalmente gli dava la caccia. Strani casi della vita.
Del resto non è certo la prima volta che l’ex “BR” fa parlare di sé per le sue “strane”
frequentazioni. Come quando
nel 2009 fu invitato, su sua offerta, accolto con tutti gli onori e applauditissimo, a tenere
un dibattito sulla “fine dell’antifascismo” nel covo romano
dei fascisti di Casapound, insieme a vecchi arnesi dell’area del terrorismo nero e ad
ex trotzkisti venduti al berlusconismo come l’ex direttore
di Lotta Continua, Giampiero
Mughini.
O come quando, insieme
ad altri suoi ex complici “pentiti” del delitto Moro come
Gallinari e la Faranda, inviò
un suo messaggio personale di cordoglio per la morte
del piduista e capo di Gladio,
Francesco Cossiga, esprimendo il suo rammarico perché era stato “l’unico che ci
ha riconosciuto la dignità di
nemici politici affrancandoci
dal ruolo di criminali a cui la
politica ci aveva condannati
per necessità”.
Quindi non ci meraviglia affatto, noi che abbiamo sempre
sostenuto che le “BR” erano
eterodirette dai servizi segreti,
venire a sapere che oggi questo torbido personaggio lavora per una società privata contigua ai servizi segreti, creata
e diretta da due dei suoi ex alti
dirigenti, implicati a loro volta
nelle trame più oscure della
storia degli ultimi decenni, in
particolare nella trattativa Stato-mafia. Anzi, è solo un’altra
conferma che avevamo ragioni da vendere a denunciare
che le “Brigate rosse” erano
in realtà nere, uno strumento
in mano allo Stato borghese
e alla P2 per aprire la strada,
attraverso la “strategia della
tensione” e il terrorismo nero
e sedicente “rosso”, alla fascistizzazione del Paese e all’attuale regime neofascista.
esteri / il bolscevico 15
N. 26 - 2 luglio 2015
stampato in pr.
Per evitare
gli attacchi
terroristici
cessare di
bombardare
l’Is
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
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PMLI / il bolscevico 11
N. 13 - 31 marzo 2016
Milano
Volantinaggio del PMLI alla Metro
di Crescenzago per il SI’ al
referendum contro le trivellazioni
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Mao” di Milano
del PMLI
Sabato 19 marzo, nei
pressi della stazione di
Crescenzago della metropolitana, militanti della Cellula “Mao” di Milano del
PMLI hanno diffuso centinaia di volantini dal titolo “Vota Sì contro le trivellazioni”, aprendo così per
primi la campagna referendaria in quel quartiere meneghino.
Il documento è stato ben
accolto dalle masse lavoratrici e popolari suscitando
vive discussioni. Una donna, positivamente sorpresa,
ci ha ringraziato dicendoci
“per fortuna che c’è qualcuno che ne parla!”. I militanti della Cellula “Mao” hanno
subito colto l’occasione per
denunciare la chiara volontà del governo neofascista
guidato dal nuovo Mussolini
Renzi di far fallire il referendum non facendogli raggiungere il quorum per impedire
che la vittoria del Sì possa
intaccare gli interessi delle multinazionali italiane ed
estere coinvolte nelle trivellazioni.
“Il Bolscevico” è
fondamentale per portare
avanti i nostri ideali
marxisti-leninisti
Milano, 19 marzo 2016. La
diffusione del PMLI per il Sì
al referendum sulle trivelle
alla metro di Crescenzago
(foto Il Bolscevico)
A Fucecchio il PMLI propaganda il Sì
al referendum contro le trivellazioni
Degli altri partiti non c’è traccia
‡‡Redazione di Fucecchio
La Cellula “Vincenzo Falzarano” di Fucecchio (Firenze) del PMLI ha iniziato
la sua campagna referendaria per sostenere il Sì al
referendum del 17 aprile
per bloccare le trivellazioni, o per essere più precisi per non farle proseguire
fino a esaurimento del giacimento ma terminarle a conclusione della concessione.
Questo è l’unico rimasto dei
sette quesiti proposti, ostacolati in tutte le maniere dal
governo Renzi.
Sabato 19 marzo nel
piazzale antistante il supermercato Coop alcuni compagni hanno diffuso il vo-
lantino con la posizione
referendaria del PMLI.
Da notare come fino ad
ora a livello locale nessun
partito si è fatto vivo: tabelloni per i manifesti vuoti, zero comunicati, per non
parlare di volantinaggi. Solo
il comitato NoTriv del comprensorio
Empolese-Valdelsa ha messo in campo
qualche iniziativa, ma non a
Fucecchio. E’ vero che siamo solo all’inizio della campagna referendaria ma tutto
fa dubitare che le cose non
cambieranno nelle prossime settimane. Eppure, nonostante la disinformazione
e il black-out sull’argomento, molte delle persone con
cui siamo entrati in contatto
durante la diffusione erano
a conoscenza dei temi sollevati dal referendum.
I marxisti-leninisti, nei limiti delle loro forze, faranno il possibile per invitare
le masse popolari, specie
quelle di sinistra, ad andare a votare Sì per opporsi
alle trivellazioni e contribuire a raggiungere il quorum
per rendere valido il referendum, al contrario del PD
che ha fatto di tutto per boicottarlo negando con il governo Renzi l’accorpamento
con le elezioni amministrative e invitando all’astensionismo. Lo stesso partito che
invece durante le elezioni si
Fucecchio, 19 marzo 2016.
difusione della posizione referendaria del PMLI contro le trivellazioni (foto Il Bolscevico)
scaglia con virulenza contro chi, come il PMLI, invita
all’astensionismo tattico anticapitalista contro le istituzioni democratico-borghesi.
Costituita la Squadra di
propaganda per il SI’ al referendum
Mugello e Val di Sieve
‡‡Dal corrispondente della
Squadra di propaganda
per il Sì al referendum
contro le trivellazioni
Mugello e Val di Sieve
Lunedì 21 marzo militanti e simpatizzanti del
PMLI che fanno riferimento alle Organizzazioni di
Rufina e di Vicchio del Mugello (Firenze) si sono riuniti in vista del referendum
aprile
del 17 salute
m
u
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ren dare la
A l re f e
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tolineata tra l’altro l’importanza di questa battaglia in
difesa dell’ambiente, messo sempre più in pericolo dalla natura rapace del
capitalismo e contro la politica ambientale del governo del nuovo duce Renzi che, come ha rilevato il
compagno Massimo, un
simpatizzante attivo del
PMLI, fa gli interessi delle
Sottoscrivi per la
campagna per il
al referendum
contro le
trivellazioni
Sì
Stampato
in proprio
Committen
te responsabi
le: M.
MARTENG
HI (art.
3 - Legge
10.12.93
n. 515)
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nergie
per le e
del prossimo 17 aprile per
studiare e discutere il documento dell’Ufficio politico del PMLI dell’8 Marzo
dal titolo “Vota Sì contro le
trivellazioni”.
Molto interessante è
stata la discussione politica del documento del Partito sul quale tutti i compagni hanno concordato
pienamente. È stato sot-
IANO
TA ITAL
-LENINIS
A
T
IS
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PARTITO
li.it - ww
missioni@pm
: Via Antonio
Sede centrale
2 FIRENZE
o, 172a - 5014
del Pollaiol
-- Tel. e fax
e-mail: com
055.5123164
w.pmli.it
Se non puoi partecipare personalmente alla campagna del
PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni, ti invitiamo
calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto
corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del
Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum.
Grazie di cuore.
multinazionali del petrolio.
La discussione ha toccato
l’argomento delle energie
rinnovabili e così i compagni hanno ribadito l’appoggio al documento referendario che indica che esse
sono la via d’uscita dall’utilizzo dei combustibili fossili, fortemente inquinanti.
Il compagno Enrico
dell’Organizzazione di Rufina, che sta conducendo
un’importante esperienza
di fronte unito sul referendum, ha puntualizzato che
chi vuol far fallire il referendum strumentalizza i posti
di lavoro che si perderebbero con la vittoria del Sì,
mentre invece proprio le
rinnovabili possono creare
nuova occupazione.
Dopo di che si è passati
all’aspetto pratico della riunione con la pianificazione
dell’attività della Squadra.
Saranno realizzati vari
banchini di propaganda
oltre alle diffusioni dei volantini referendari del Partito in varie piazze del Mugello e della Val di Sieve.
Un contributo importante al
fronte del Sì in zone molto
sensibili alle battaglie ambientali e a cui i compagni
del PMLI non hanno fatto
mancare il proprio contributo.
Care compagne e cari compagni del PMLI,
innanzitutto grazie per la vostra
richiesta di un mio parere su “Il
Bolscevico”. Visto il mio impegno
sindacale in fabbrica e nella CGIL
gli articoli che seguo con maggiore attenzione, dopo l’editoriale,
sono chiaramente quelli relativi al
mondo del lavoro e del sindacato
(cronache delle lotte, disamina di
documenti sindacali, critica politica sulle azioni di questo governo
neo-fascista, ecc.). Trovo inoltre
molto interessanti sia le opinioni
dei lettori come le richieste di chiarimenti nella rubrica ad hoc.
Più in generale cerco di dedicare il maggior tempo possibile
alla lettura complessiva del nostro
giornale nella sua interezza, per
cercare di avere una informazione
e formazione completa. Non ho
critiche da rivolgere, anzi desidero ringraziare la Redazione tutta
che riesce ad offrire ogni settimana una pubblicazione chiaramente leggibile a tutti i lettori. L’unico suggerimento che mi sento di
dare è questo: continuate così,
compagne e compagni, che siete
fondamentali per portare avanti i
nostri ideali marxisti-leninisti!
Colgo l’occasione per inviarvi
un caro saluto rosso, sperando di
vederci presto.
Con i Maestri e il PMLI, vinceremo! W “Il Bolscevico”, il nostro
grande giornale!
Andrea, operaio del Mugello
(Firenze)
Sperando che “Il Bolscevico”
ritorni in forma cartacea
Cari compagni,
la mia opinione è che “Il Bolscevico” è l’essenza del marxismoleninismo, tutti gli articoli che ha
sempre pubblicato sono un supporto per informare (i meno informati) in che mondo viviamo, soprattutto il proletariato sfruttato e
oppresso.
Speriamo che “Il Bolscevico”
ritorni ad essere diffuso in forma
cartacea. Molto importante perché
il giornale lo si conserva e si può
ritornare a leggere quel determinato articolo che interessa.
Viva “Il Bolscevico”!
Un rosso fraterno abbraccio.
Liliana, Anna, Maria - Cuneo
Grazie alle analisi de “Il
Bolscevico” molti operai si
sono formati politicamente
Ciao compagni,
come ho già avuto modo di dirvi molte volte le vostre analisi mi
sono di grandissimo aiuto, in generale, e in particolare per portare
avanti certe posizioni a livello sindacale, in quanto delegato Rsu in
una grande azienda.
Appena mi arrivano, infatti, le
diffondo capillarmente e ne faccio
tesoro. Esse, inoltre, sono scritte usando un linguaggio più che
comprensibile e sempre coerenti
con il marxismo-leninismo.
Con gli anni sono approdato
anche io all’astensionismo (in pas-
sato motivo di discussione tra me
e voi) e questo dimostra, tra l’altro, quanto il PMLI sia l’unico vero
Partito comunista rivoluzionario
presente in Italia.
Vi ringrazio anche a nome di
tutti i compagni e colleghi che,
grazie al vostro impegno e contributo, si sono formati un’opinione
precisa sulla direzione che il proletariato deve prendere e l’obiettivo che deve avere: la rivoluzione
e l’abbattimento del capitalismo.
Considerate anche che, per coloro che non riescono a leggere
tre o quattro pagine, provvedo io
con riassunti verbali e, soprattutto,
con l’esempio nella vita quotidiana
della fabbrica.
Vi invio rossi saluti e un forte
abbraccio operaio. W Stalin!
Leonardo Scandicci (Firenze)
Apprezzo enormemente
“Il Bolscevico”
Buonasera compagni,
la premessa è che apprezzo
enormemente “Il Bolscevico” ma
visto che è stato richiesto il mio
parere, do qualche suggerimento.
a) bisognerebbe ridurre il numero di pagine anche se si dovessero aumentare il numero delle
pubblicazioni, tenendo conto del
fatto che il giornale è a frequenza
settimanale.
b) dividere la parte militante o
l’attualità militante o vita del Partito da quella teorica o meglio dosare entrambi, bisognerebbe consacrare ogni 2-3 numeri alla teoria
marxista-leninista o dei grandi Maestri con dei numeri su aspetti teorici importanti.
Rileggendo e ristudiando “il Capitale” in questo periodo ho trovato molto giovamento, chiarezza
teorica nella spiegazione di Marx
e la caduta tendenziale del saggio
di profitto estratto da una risposta
della redazione del PMLI ad un
lettore, o Lenin: “Karl Marx, (Breve saggio biografico ed esposizione del marxismo)”.
Voilà le sole osservazioni e opinioni per questo solo unico giornale marxista-leninista che purtroppo non esce più su supporto
cartaceo.
La presente per esprimere la
mia ammirazione per tutto la Redazione e per tutti i militanti che
contribuiscono con abnegazione
alla realizzazione e alla diffusione de “Il Bolscevico”. Continuerò
a sostenerlo e spero un giorno di
poter ugualmente contribuire con
un articolo, perché no, sulla Francia.
Saluti marxisti-leninisti.
Marcello - Francia
Potrebbe essere
graficamente alleggerito
Bene, senza scherzi mi compiaccio per il Sì al referendum, con
l’accento come si deve.
A proposito della richiesta di un
parere su “Il Bolscevico”, la mia
impressione è che potrebbe essere graficamente alleggerito, il
bianco il rosso e il nero “sparano”
un po’ troppo, secondo me. D’altra parte, lo so, è molto controcorrente.
Nicola Spinosi - Firenze
12 il bolscevico / antifascismo oggi
N. 13 - 31 marzo 2016
Intervento di Denis Branzanti al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena
No al “museo del fascismo”, alla controriforma
del Senato, alla guerra allo Stato islamico
Le lotte antifasciste che
hanno attraversato la storia del
nostro Paese, i tentativi di cancellare le conquiste della Resistenza, il razzismo che prende
piede sempre più diffusamente, il proliferare di organizzazioni neofasciste dimostrano
quanto ci sia ancora bisogno
dell’Anpi e dell’antifascismo.
Bene ha fatto quindi l’Anpi
locale a richiamare il sindaco Drei agli impegni che si era
pubblicamente preso alla vigilia delle elezioni comunali del
2014, quando aveva firmato
un documento, proposto proprio dall’Anpi a tutti i candidati, dove li impegnava ad attivarsi anche a livello normativo per
quel che compete il Comune, a
non dare nessuno spazio ai fascisti, mentre invece a distanza
di quasi due anni non è stato
fatto nulla. Il sindaco ci ha detto prima che hanno cominciato a lavorare ad un regolamento… buongiorno! Finalmente si
è svegliato! Ma una cosa deve
essere chiara: non solo piazza
Saffi va vietata ai fascisti, come
ha detto lui, perché se vanno in
Piazza del Duomo o in altra
piazza va bene? I fascisti non
devono avere agibilità in nessuno spazio pubblico!
Bene ha fatto l’Anpi a livello
nazionale, anche nel documento congressuale, ad impegnarsi per sostenere la campagna
referendaria per il “No” alla
controriforma
costituzionale
varata dal governo Renzi, con
l’abolizione del Senato e la leg-
ge ultramaggioritaria Italicum,
che affossa definitivamente la
Costituzione del 1948, a dir la
verità già cancellata di fatto da
leggi, leggine e continue e palesi violazioni in ogni campo, a
partire dalla continua violazione dell’art. 11, raggirato continuamente con il pretesto delle
“missioni umanitarie” e, come
sta facendo ora il governo, con
il proseguimento dei vari interventi militari precedenti ma anche con l’obiettivo di avere la
direzione dell’intervento militare in Libia.
Nel documento congressuale si toccano altri punti ma non
tutti in modo condivisibile, in
particolare l’immotivata fiducia
nell’Unione Europea che non
ha nulla a che vedere con i diritti e con i bisogni dei popoli ma
è stata costruita su misura dei
grandi speculatori e dei grandi capitalisti, oppure quando si
dice che bisogna selezionare i
migranti che fuggono dalla miseria e dalla guerra e cercano
riparo nei Paesi, come anche
il nostro, che sono la fonte dei
loro problemi in quanto partecipano alla contesa e alla spartizione delle loro risorse, o ancora quando addirittura si chiede
un intervento militare unitario
contro lo Stato islamico, quindi
in violazione della Costituzione, e senza considerare che la
sua nascita e la sua diffusione
sono le conseguenze proprio
delle guerre imperialiste che
da 25 anni vengono scatenate
in Medio Oriente, a partire dalla
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 24 gennaio 2016. Il compagno
Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, durante la commemorazione di Lenin organizzata congiuntamente dal PMLI.
Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio Emilia del PCDI (foto Il
Bolscevico)
prima guerra del Golfo.
La verità è che è la barbarie dell’imperialismo a generare barbarie.
Se si vuole la pace, se si vogliono evitare le rappresaglie
terroristiche, bisogna smetterla di ingerirsi, bombardare e invadere, e trattare con tutte le
parti in causa.
Vi è poi la questione del
“museo del fascismo”, che non
rientra nel documento congressuale ma che è all’ordine
del giorno e che il megalomane sindaco di Predappio vuole
aprire nella ex Casa del fascio
peraltro buttando via 5 milioni di euro, dei quali 4.500.000
euro tra Comune, Regione e
Stato, ma è possibile che con
la crisi che da 8 anni attanaglia
il nostro Paese non ci fosse un
modo migliore di impiegare tutti
quei soldi?
Bisogna poi dire che in questo caso l’Anpi ha sbagliato a
collaborare a questo progetto apponendo la motivazione
che “la nostra presenza è volta a garantire che non ci siano
aspetti celebrativi”, come se la
condotta tenuta sinora dal sindaco e dal Comune, che hanno già aperto nella casa natale
di Mussolini un museo fascista,
che permette la permanenza
di diversi negozi di mercanzia
fascista, che permette le rituali adunate di migliaia di fascisti,
non delineasse già abbastanza
chiaramente il quadro della situazione, e che piega prenderà questo progetto col passare
del tempo.
E non vale come giustificazione nemmeno che non si
tratterà di un museo riservato
solo al fascismo, ma a tutti i “totalitarismi”, come è stato detto
anche prima, termine col quale
si indica anche, ma a sproposito, il comunismo.
Anzi, questo aggrava tale
progetto, che avalla l’assurda
e antistorica equiparazione tra
fascismo e comunismo, e che
costituisce anche un insulto
alla memoria di tutti i partigiani comunisti, che costituirono
la parte più risoluta e combattiva della Resistenza, e in particolare dei partigiani sovietici
che hanno lottato e sono morti
a milioni per la libertà dal nazifascismo del loro Paese socialista e anche di tutti i Paesi capitalisti.
L’Anpi deve quindi occuparsi di antifascismo, che è il suo
scopo fondante, e al quale può
e deve continuare a dare un
contributo fondamentale, e lasciare l’anticomunismo ai fascisti e ai revisionisti di ogni
genere, che non hanno certo
bisogno del nostro aiuto per
spargere falsità.
Che il 16° Congresso nazionale possa dare all’Anpi ulteriori forza e spinta per affrontare le tante battaglie che
abbiamo ancora davanti per
far affermare gli ideali e i valori
della Resistenza!
Viva l’Anpi!
Viva l’antifascismo!
Al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena i delegati si dichiarano per il NO al referendum sulla “riforma” del Senato
Forte e applaudito intervento di Branzanti contro il “museo del
fascismo”, la controriforma del Senato e la guerra allo Stato islamico
Il “museo del fascismo” a Predappio “costituisce anche un insulto alla memoria di tutti i partigiani comunisti, che costituirono la parte più risoluta e combattiva della Resistenza”
Il sindaco Drei (PD) e i parlamentari del PD e di Scelta civica abbandonano il congresso
dopo i loro interventi senza ascoltare il dibattito
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” di Forlì
Sabato 12 marzo si è svolto, presso la “Casa del lavoratore” di Bussecchio, a Forlì, il Congresso provinciale
dell’Anpi di Forlì-Cesena. Vi
hanno partecipato un centinaio di delegati di tutte le fasce di età e di entrambi i sessi,
presenti anche 4 ex partigiani
e una staffetta, accolti calorosamente.
Una volta elette le varie
Commissioni si è passati subito ai saluti del sindaco Pd
Davide Drei, e dei parlamentari Di Maio del Pd e Molea di
Scelta Civica.
Drei ha detto che il Comune sta lavorando ad un regolamento per vietare (solo) piazza
Saffi alle organizzazioni neofasciste, mentre Di Maio ha
difeso il progetto del “museo
del fascismo” che il sindaco
Pd di Predappio vuole realizzare nella ex Casa del fascio,
e invitato opportunisticamente
a non dividersi sulla questione
del referendum contro la controriforma costituzionale, visto
che all’interno dell’Anpi il “Sì”
è fortemente minoritario, tanto
che nella Direzione nazionale
il “No” è passato senza contrari e con appena 3 astenuti.
Ha poi preso la parola il Segretario provinciale dell’Anpi,
in scadenza di mandato dopo
7 anni, Carlo Sarpieri, che
ha toccato vari punti del Documento congressuale, cercando di addolcire il “No” al
referendum e difendendo la
posizione dell’Anpi provinciale che sta partecipando al progetto del “museo del fascismo”
a Predappio, ammettendo che
sono giunte numerose proteste e richieste di chiarimenti
anche dall’Anpi nazionale.
Al termine del suo intervento il sindaco, i parlamentari e
l’inevitabile “codazzo” se ne
sono andati snobbando il dibattito che ne è seguito, ma
al quale è stato riservato uno
spazio di appena 3 minuti ad
intervento, un tempo contestato da molti e per forza di cose
sforato dai più facendo terminare il congresso ben oltre l’orario che evidentemente era
stato malamente stabilito in
modo troppo restrittivo.
Sono stati una quindicina i delegati che hanno preso la parola, i più si sono detti
per il “No” al referendum sulla controriforma costituzionale
(e nessuno si è schierato a favore), qualcuno però avrebbe
preferito che l’Anpi non avesse dato un’indicazione precisa di voto per evitare possibili rotture interne, qualcuno ha
contestato il Pd per non parte-
cipare alle manifestazioni antifasciste, ha rimproverato sindaco e parlamentari per non
essere rimasti ad ascoltare gli
interventi, e ha chiesto di fare
un regolamento che vieti solo
Piazza Saffi ai neofascisti, e
non invece tutte le piazze di
tutti i comuni del forlivese. Una
ex staffetta ha invitato i militanti del Pd a mettere in primo piano la Costituzione, altri
hanno denunciato il revisionismo imperante, in particolare sulla questione delle foibe.
Qualcuno si è detto favorevole
al museo a Predappio ma alle
condizioni elencate da Sarpieri (come fosse l’Anpi a stabilirle) altri invece hanno detto che
il contesto e le promesse non
fanno sperare nulla di buono.
Hanno preso la parola anche
l’ex partigiano del Battaglione Corbari Sergio Giammarchi che ha sottolineato l’importanza della discussione ma
anche dell’unità nell’Anpi, e il
senatore Sergio Flamigni, ex
partigiano che ha parlato della Resistenza e dell’importanza del “No” al referendum sulla controriforma costituzionale
legandola, seppur indirettamente, al progetto della P2 sul
quale lui ha indagato in quanto membro della Commissione
parlamentare d’inchiesta sulla
loggia di Licio Gelli.
Tra gli altri è intervenuto il
compagno Denis Branzanti in
qualità di delegato al Congresso. Egli ha letto un forte intervento (pubblicato a parte) che
è stato applaudito a più riprese
proprio nei passaggi principali, cioè quando ha detto che il
regolamento al quale starebbe
lavorando il Comune per vietare Piazza Saffi alle organizzazioni neofasciste, sempre che
venga approvato, deve comprendere tutti i luoghi pubblici,
al che una staffetta partigiana
ha detto “dovevano restare qui
ad ascoltare queste cose” riferendosi al sindaco e ai suoi
accoliti che se ne sono andati prima del dibattito, quando
ha detto che la nascita e la diffusione dell’IS “sono le conseguenze proprio delle guerre imperialiste che da 25 anni
vengono scatenate in Medio
Oriente, a partire dalla prima
guerra del Golfo. La verità è
che è la barbarie dell’imperialismo che genera barbarie”,
e quando ha detto che il museo del fascismo che il sindaco Pd di Predappio Frassineti
vuole aprire nella ex Casa del
fascio, con la colpevole partecipazione proprio dell’Anpi,
“costituisce anche un insulto
alla memoria di tutti i partigiani
comunisti, che costituirono la
parte più risoluta e combattiva
della Resistenza”.
Al termine dell’intervento il compagno è stato molto applaudito. Diversi “bravo!”
si sono levati dai delegati e
molti di essi si sono avvicinati per stringergli la mano, fargli i complimenti per l’ottimo
intervento e per aver detto le
cose che nessun’altro aveva detto. Essi hanno condiviso la denuncia della partecipazione dell’Anpi al progetto del
“museo del fascismo”. Particolarmente apprezzati i complimenti di un ex partigiano che
si è avvicinato anche per criticare l’Anpi per il sostegno al
“museo del fascismo” a Predappio e ha poi raccontato diversi episodi della Resistenza alla quale ha partecipato,
come anche l’avversione per
gli inglesi che entravano nelle città solo quando erano già
state completamente ripulite dai nazifascisti da parte dei
partigiani ai quali intimavano
poi la consegna delle armi entro 3 giorni pena la fucilazione;
questa cosa il partigiano ci ha
detto di non averla fatta, e di
aver difeso tale scelta anche
nel corso di un’intervista che
gli fece anni fa una troupe televisiva britannica.
Al termine del dibattito ha
preso la parola Lidia Menapace, staffetta partigiana, femmi-
nista facente parte del primo
nucleo del trotzkista “il manifesto”, già senatrice del Prc e
facente parte del Comitato nazionale dell’Anpi, che ha criticato papa Francesco il quale viene spacciato come di
“sinistra” ma rimane il capo
di uno Stato teocratico, e ha
sostenuto il “No” al referendum costituzionale. Mentre le
conclusioni sono toccate nuovamente al presidente provinciale dell’Anpi Sarpieri che ha
letto il documento conclusivo
congressuale dove, tra l’altro,
ha ribadito l’appoggio dell’Anpi
al progetto del “museo del fascismo” a Predappio “fino a
quando non si verificheranno
aspetti celebrativi” e “condiviso
la cautela del governo italiano
di fronte ad azioni unilaterali
sullo scenario internazionale”,
mentre l’Anpi chiede anche
nel documento congressuale,
addirittura un intervento militare unitario contro l’IS, quindi in
violazione dell’art.11 della Costituzione.
Sono poi stati votati il documento congressuale provinciale e quello nazionale approvati con 4 astenuti, il nuovo
Comitato provinciale dell’Anpi
e i 4 delegati al Congresso nazionale in programma dal 12 al
15 maggio a Rimini.
intervista esclusiva / il bolscevico 13
N. 13 - 31 marzo 2016
Intervista esclusiva de “Il Bolscevico” al partigiano Giovanni Gerbi in occasione della presentazione a Ivrea del video
“La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà”
“Sono stato, sono e sempre rimarrò comunista rivoluzionario
per fare in Italia come nella Russia di Lenin e Stalin”
La storia dell’insurrezione di Santa Libera del 1946 contro l’amnistia concessa ai fascisti da Togliatti.
la stampa e la televisione borIl PCI frenò la lotta rivoluzionaria degli operai e delle masse
del Piemonte
ghese non posso sapere chi
‡‡Dal nostro corrispondente
In occasione della presentazione del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà”, prodotto e
realizzato dal collettivo “Officinevideoindipendenti” di Milano in cui il bravo compagno
Tonino ha saputo convogliare
su video la storia dei partigiani
che nel lontano agosto 1946,
nel paese di Santa Libera, tra
le province di Cuneo ed Asti,
rimbracciarono i fucili contro
la famigerata amnistia di Palmiro Togliatti che ridava la libertà e prestigiosi posti di potere a migliaia di fascisti che si
erano macchiati delle peggiori
nefandezze durante il ventennio mussoliniano a discapito di
partigiani e comunisti.
L’Organizzazione biellese
del PMLI ha colto l’occasione
per intervistare a Ivrea (Torino), sabato 19 marzo, Giovanni Gerbi, l’ultimo partigiano sopravvissuto di Santa Libera,
per coglierne le testimonianze
storiche e politiche, che restano ancora attuali, e ottenere
delle considerazioni sul movimento partigiano di quegli anni
per giungere agli attuali movimenti di resistenza all’imperialismo internazionale.
Già all’inizio dell’intervista
il compagno Giovanni mette
in mostra il suo spirito diretto
e franco chiedendo di cominciare l’intervista con le conoscenze ufficiali dei presenti,
con tanto di vigorosa stretta di
mano, affermando: “Ci si deve
sempre presentare per ciò
che si è - infatti io dico sempre
- sono Giovanni Gerbi un comunista rivoluzionario, mi qualifico per quello che sono per
non essere mai frainteso”.
Dopo la presentazione del
compagno Gabriele Urban,
quale Responsabile piemontese del Partito marxista-leninista italiano, e dei compagni
simpatizzanti biellesi del PMLI
Pier e Fabrizio, Giovanni Gerbi racconta: “Sono diventato
antifascista nel 1944 perché
amavo il popolo ed essendo
figlio di operai ho capito che
era una vergogna essere balilla. Da quel momento ho rinne-
“solidarizzo con la lotta antimperialista
dello stato islamico e dei suoi combattenti”
gato totalmente l’ideologia fascista, tutto quello con cui mi
avevano indottrinato a scuola,
e tutto quello che circondava
l’ideologia fascista e il duce,
l’ho gettato nella spazzatura. Da quel rifiuto in poi sono
seguite le torture, il carcere e
le umiliazioni; poi nel 1945 la
Liberazione che, se per tutta l’Italia è stato un momento di festa, per me è stato un
traguardo triste in quanto mi
hanno tolto le armi, mi hanno
portato via il mio Sten (fucile
mitragliatore, ndr) e ci hanno
fatto accettare il compromesso con la borghesia di cui la
tanto blasonata Costituzione
del 1948 ne è l’emblema. La
mia fortuna è stata quella di
imbattermi nella 9a divisione
Garibaldi ‘Stella rossa’ e conoscere un grande comunista,
il comandante Giovanni Rocca, che seguiva tutti i distaccamenti partigiani della mia
zona e faceva proselitismo per
il PCI; parlava sempre della rivoluzione, quella con la erre
maiuscola, che avrebbe inevitabilmente partorito un nuovo
mondo socialista dove non ci
sarebbero mai più stati sfruttamento dell’uomo sull’uomo,
ingiustizie ed iniquità. Io sono
rimasto immediatamente affascinato da quel programma
politico anche perché, invece,
guardandomi intorno, vedevo ovunque solo ingiustizie e
sfruttamento. Infatti la famelica borghesia proprio sulla mia
pelle, e su quella di chiunque
mi circondava, faceva tantissimi soldi accumulando enormi
ricchezze generate dal nostro
sfruttamento nelle fabbriche di
sua proprietà. Come dicevo la
prima delusione è stata quando mi hanno ordinato di consegnare il mio Sten che durante la guerra mi aveva salvato
la vita più di una volta. Ero talmente affezionato a quell’arma che, la notte seguente alla
confisca dell’arma, sapendo
dove fisicamente l’avevano
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
APRILE
1
2
7
9
Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil – Ericsson Telecomunicazioni
SpA – Sciopero lavoratori settore Field Service & Local Delivery
Manifestazioni territoriali CGIL-CISL-UIL
per la vertenza pensioni
Orsa - Trasporto Merci - Compagnia Ferroviaria Italiana –
Sciopero di tutto il personale mobile di C.F.I.
Rsu, Unica- Trasporto Aereo - Enav SpA – Sciopero personale
Enav Spa Upm Roma
MAGGIO
Italiana – Sciopero generale di tutte le
1 Unione Sindacale
categorie pubbliche e private
Cobas scuola – Sciopero lavoratori scuola
contro le prove Invalsi
4-5-12
collocata, sono andato a riprendermela per poi nasconderla in un posto sicuro.
Dopo la Liberazione dal
nazi-fascismo permanevano
estese sacche di disoccupazione, ingiustizie e povertà per
il popolo; in questo contesto
avverto forte in me il secondo passaggio del mio risveglio
politico che avviene proprio
quando vengo assunto come
operaio alla Way-Assauto, indotto FIAT, provando lo sfruttamento. Compresi per esperienza diretta che in fabbrica
c’erano le stesse dinamiche di
sfruttamento e violenza della
dittatura fascista, uguali!
Arriviamo al 20 agosto
1946 quando inizia la rivolta di
Santa Libera. Anche in fabbrica arriva la voce che i partigiani delle Langhe hanno ripreso
in mano i fucili e sono saliti a
Santa Libera. Io, naturalmente li seguii.
Santa Libera si rivelò un
tentativo per portare avanti l’obiettivo della rivoluzione che in
me non s’era mai sopito, io ho
sempre e solo agito per la rivoluzione, per fare in Italia quello
che fecero in Russia Lenin e
Stalin, dare il potere al popolo.
Però con l’esperienza di Santa
Libera capii una grande verità,
capii che il PCI non era comunista. Parzialmente me ne accorsi già in fabbrica quando la
direzione (tutta composta da
ex fascisti) aveva stabilito un
rapporto ‘particolare’ coi comunisti della commissione interna. Capii che tale rapporto particolare si traduceva in
volgari tangenti che servivano
per la costruzione di un soggiorno in montagna, a Brusson, in Valle d’Aosta, praticamente interamente finanziato
dai padroni.
Il fatto è ancora più grave
perché bisogna comprendere
un dato fondamentale ossia
che se il padrone ti dà il padrone poi vuole. Infatti quando
in fabbrica c’erano le lotte più
dure, per migliorare le condizioni di lavoro degli operai, la
dirigenza padronale convocava sempre e solo una determinata responsabile del sindacato, solo e sempre lei. Quando
si metteva in mezzo tale dirigente sindacale lo faceva per
gettare acqua sul fuoco della lotta e successivamente le
cose non prendevano mai la
piega giusta per le operaie e
per gli operai ma sempre e
solo per i padroni. Ho denunciato subito questi intrallazzi al
direttivo provinciale della CGIL
da cui ho ricevuto un sonoro
‘Non può essere vero’. Anche
i dirigenti locali del PCI hanno cercato di portarmi a miti
consigli e allora io ho denunciato anche i dirigenti del PCI.
Pensate che nessun dirigente
della CGIL e del PCI ha preso
le mie parti. Solo i miei compagni di lavoro, e soprattutto
quelli del mio reparto che erano tutti bolscevichi, mi hanno
difeso fino all’ultimo. Io ho proseguito sulla mia strada ras-
segnando le dimissioni da dirigente sindacale e dirigente
del PCI. Sono ritornato a casa
mia, senza incarichi di sorta,
ma con la coscienza pulita per
essere rimasto fedele ai miei
ideali rivoluzionari e comunisti.
borghesia, per la restaurazione del potere borghese. Purtroppo lo compresi dopo perché all’inizio Krusciov parlava
da comunista, asseriva di essere un sincero leninista e che
avrebbe ulteriormente svilup-
Ivrea (TO), sabato 19 marzo 2016. Giovanni Gerbi, l’ultimo partigiano sopravvissuto di Santa Libera, durante l’intervista a Il Bolscevico realizzata
dai compagni biellesi. Sulla destra il compagno Gabriele Urban, Responsabile del PMLI per il Piemonte (foto Il Bolscevico)
Tornando a Santa Libera le
cose andarono come in fabbrica ossia la base dei partigiani,
sinceramente comunisti, erano disposti a fare la rivoluzione riuscendo anche ad attirare la curiosità di altri partigiani
sparsi per tutto il Piemonte e
persino in Valle d’Aosta mentre il dirigente Armando Valpreda e Giovanni Rocca, che
mi aveva insegnato l’onestà e
ad essere sempre integro e fedele ai propri ideali, sottoscrissero la resa con la borghesia
che furbescamente aveva fatto interloquire noi di Santa Libera coi famosi e stimati capi
partigiani nazionali come Cino
Moscatelli che ci disse ‘Ragazzi, noi la pensiamo come
voi ma ora non è il momento’.
Pensate che astuta è stata la
borghesia, mandò Cino Moscatelli a trattare! Comunque
finì tutto quando accettammo
la loro parola d’ordine ‘Ragazzi tornate a casa’ seguita
dall’ottenimento di alcune concessioni formali”.
DOMANDA: Su questo argomento di coerenza ed integrità morale e politica vogliamo conoscere la tua
opinione sul XX Congresso del PCUS, sul famigerato
rapporto di Krusciov e sulla
titanica lotta contro il revisionismo moderno condotta
dal Presidente Mao.
RISPOSTA: La mia idea
fissa era la rivoluzione proletaria ed io non ero disposto
a scendere a compromessi
su tale obiettivo. L’avvento di
Krusciov lo vidi come un tentativo di rinnovamento ma,
successivamente, compresi
che fu un rinnovamento per la
pato il socialismo; in molti allora ci facemmo abbagliare dalla sua fumosa retorica. Mao è
riuscito a non farsi abbindolare
e proseguire sulla via del socialismo e della rivoluzione.
Cercate di capire le masse popolari, si fidavano ciecamente dei dirigenti del PCI, per noi
semplici comunisti piemontesi i dirigenti nazionali del PCI
erano dei miti, dei simboli, delle donne e degli uomini che si
erano fatti il carcere fascista
e condotto la vittoriosa guerra di Liberazione, pendevamo
dalle loro labbra, chi si sarebbe immaginato che in seguito avrebbero gettato gli ideali del comunismo per tornare
tra le braccia del capitalismo?
Le masse avevano fiducia nel
socialismo, in Stalin. Pensate
che il primo libro di politica che
ho letto è stato il “Breve corso di storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS”
di Stalin che mi ha aperto un
mondo, mi ha cambiato la
vita, per sempre, accendendo in me il fuoco della rivoluzione proletaria (qui Giovanni
si commuove, ndr).
D: Senti Giovanni la scorsa presentazione hai definito i miliziani dello Stato
Islamico dei partigiani, puoi
nuovamente definire la tua
opinione sui movimenti islamici che attualmente combattono l’imperialismo?
R: Il mio unico discrimine è
tra tutti quelli che lottano contro l’imperialismo e le forze
imperialiste. Chiunque combatta contro il potere delle rispettive borghesie nazionali
è mio amico. Questo è il punto fondamentale. Io attraverso
sono, come vivono e cosa dicono veramente i miliziani dello Stato Islamico. Però so che
vengono costantemente bombardati dagli americani, dagli
europei e dai russi che sono
tutte potenze imperialiste che
conquistano territori ed interi
stati nazionali cui sottrarranno
successivamente le ricchezze
naturali. Per questo i partigiani
dell’IS hanno tutta la mia simpatia ed io solidarizzo con loro.
A me basta sapere che se, in
qualunque parte del mondo si
trovi, qualcuno è disposto a
dare la propria vita nella guerra contro l’imperialismo, bene,
questo è mio amico. È una discriminante netta contro l’imperialismo. Solo questo conta.
Per esempio quando ho chiesto ai miei collaboratori chi
eravate di preciso e mi hanno
detto che eravate del PMLI ho
subito risposto che siete miei
amici e ho desiderato essere
intervistato da voi perché ho la
certezza che siete comunisti e
anti-imperialisti!
D: Quali sono le tue coordinate per far tornare di
moda il rosso e la lotta per
il socialismo in una società
capitalistica come la nostra
dove la frantumazione della
classe operaia, realizzata ad
arte dalla borghesia, l’ha riportata a livelli premarxisti?
R: Solo una cosa conta,
la coerenza e l’esempio. Io in
fabbrica dicevo sempre ai miei
colleghi: compagni la fabbrica
la stiamo facendo noi e prima
di noi i nostri padri e prima ancora i nostri nonni; la fabbrica
la portiamo avanti noi dunque
la fabbrica dobbiamo gestirla
noi. Questo è sempre e solo
l’unico ragionamento da fare.
Questo sul luogo di lavoro. Per
ciò che riguarda l’esterno della fabbrica, nella società, dobbiamo affermare sempre e con
decisione alle masse lo slogan
“Compagni, noi vogliamo la rivoluzione!”. Senza rivoluzione
la fabbrica e, soprattutto, il potere se lo tengono i padroni, la
borghesia. Alle masse popolari bisogna parlare forte e chiaro, senza aver paura di usare
mezzi termini, sempre dire chi
sei e cosa vuoi! Così la gente
vedrà e capirà. Io in fabbrica
avevo la paga più bassa di tutti, venivo costantemente vessato dai capetti, hanno cercato
di licenziarmi tre volte, gli operai non l’hanno mai permesso
ed io sono rimasto in fabbrica
40 anni! Se tu sei coerente e
dai l’esempio questo vale più
di mille parole e le masse popolari ti seguiranno.
D: Ti ringraziamo Giovanni omaggiandoti del fazzoletto rosso del nostro Partito, della spilla dei Maestri, di
una copia a colori del nostro
settimanale “Il Bolscevico”
e di alcune nostre pubblicazioni nella speranza di stabilire un rapporto costante
e duraturo anche attraverso
le pagine de “Il Bolscevico”.
R: Io vi ringrazio per questa
interessante intervista e sono
sicuro che rimarremo in contatto.
14 il bolscevico / cronache locali
N. 13 - 31 marzo 2016
Torino
Il Politecnico espelle gli studenti fuoricorso
Gli studenti lavoratori e delle famiglie meno abbienti i veri penalizzati
‡‡Dal nostro corrispondente
del Piemonte
Al Politecnico di Torino è stato approvato un nuovo regolamento che prevede misure draconiane per gli studenti indietro
con gli esami previsti. Per questi è stato introdotto l’obbligo a
ripetere il test d’accesso (la vergognosa selezione a cui sono
sottoposte le matricole per accedere ai corsi universitari)
che, se non superato, porterebbe all’espulsione immediata
dall’università.
Cosa prevede il nuovo
regolamento degli
studenti
A volere questa radicale riforma è stato il rettore Marco
Gilli, il più giovane della storia dell’ateneo, che nel corso
di una conferenza stampa ha
senza mezzi termini dichiarato: “Che senso ha restare parcheggiati qui per tanto tempo?
Con queste nuove misure gli
studenti capiranno se l’università è la strada che fa per loro
oppure no”. In cosa consistono le sue “nuove misure” è presto detto. Ogni studente iscritto
al Politecnico verrà monitorato
nel suo percorso di studi della
laurea di primo livello (di durata
triennale) e di quella di secondo (di durata biennale).
Se ciascun percorso non
sarà ultimato in un tempo massimo che si prevede doppio rispetto a quello standard (quindi
6 anni per la laurea di primo livello e 4 per quella di secondo)
scatterà l’automatica espulsione dal corso di laurea. Lo studente in questione dovrà quindi, se intenzionato a proseguire
gli studi, iscriversi ad un’altra
università oppure re-iscriver-
si al Politecnico ma solo dopo
avere ripetuto e superato il test
di accesso delle matricole. In
ogni caso dovrà optare per un
altro percorso di studi in quanto
quello da cui è stato espulso gli
sarà per sempre interdetto. In
entrambi i casi gli esami sostenuti non saranno automaticamente validati ma sarà necessario una specifica conversione
legata al nuovo percorso, conversione che richiede, a seconda del numero degli esami da
validare, una spesa che si aggira nell’ordine di qualche migliaio di euro. Superare una seconda volta il test d’accesso non
sarà poi certo un automatismo
visti i rigidi criteri nozionistici e
meritocratici applicati nella selezione delle matricole. Il rettore Gilli ha a questo riguardo
dichiarato: “Abbiamo deciso di
puntare su studenti di qualità.
Quest’anno abbiamo introdotto una soglia minima per il test
d’ingresso”.
Il nuovo regolamento che
sanziona i fuoricorso è stato approvato all’unanimità dal
senato accademico, unica opposizione quella degli studenti
che, come componente di minoranza, non hanno potuto fare
altro che contestare l’operazione sottolineando: “i fuoricorso
non sono una zavorra da combattere ma studenti in difficoltà
da aiutare con esami ad hoc,
con formazione specifica e tutoraggio”.
Colpiti gli studenti
lavoratori e meno
abbienti
Viste le misure draconiane
imposte in fretta e furia, per di
più ad anno accademico abbondantemente iniziato, c’è da
chiedersi se il Politecnico di Torino sia sommerso da studenti fuori corso che, causa il loro
numero, rendono impossibile il
regolare svolgimento delle lezioni e delle sessioni d’esame.
No, non è affatto così. Le statistiche dimostrano anzi l’opposto! Il Politecnico registra un
tasso di fuori corso pari a circa
il 36% contro una media nazionale del 47% per le facoltà di
ingegneria ed architettura. Con
10 punti percentuali meno della media nazionale il Politecnico di Torino è una delle università, sotto questo punto di
vista, più “virtuose” del Paese.
Il vero problema non è legato
ai fuoricorso bensì all’aumento delle iscrizioni, vertiginoso
e in controtendenza rispetto
alle altre università. Al Politecnico quest’anno si sono avute
10.000 domande di iscrizioni a
‡‡Dal nostro corrispondente
della Toscana
“Un significativo contributo
pubblico? Vale almeno un tirocinio per un giovane che cerchi di fare esperienza in azienda”. Con questo spot il neo
renziano, probabile candidato
alla leadership del PD, nonché
governatore della Toscana,
Enrico Rossi, ha presentato la
delibera della giunta regionale recentemente approvata in
materia di tirocini.
In sostanza le imprese
avranno accesso a fondi euro-
Privatizzazione della gestione dell’acqua:
questo sta deliberando la commissione
Parlamentare Ambiente
Ma non è una novità!
volentieri
Non è una novità che il parlamento o il governo italiani ignorino la volontà popolare, e la
gestione dell’acqua ne è l’emblema.
La legge per la gestione pubblica del servizio idrico infatti fu
proposta su iniziativa popolare
nel 2007, con oltre 400.000 firme, ma fu ignorata completamente dal parlamento di allora
e decadde con la legislatura.
Eppure numerosi comitati
di cittadini, associazioni e movimenti non si arresero e, nel
2010, raccolsero le firme per
proporre i referendum abrogativi, sia dell’art. 23/bis della legge
Ronchi, che spingeva verso la
privatizzazione della gestione,
sia dell’art. 154, per eliminare il
profitto garantito sulla gestione.
Anche in questo caso la volontà popolare fu chiara: 27 milioni di italiani votarono “Sì” per
l’abrogazione dei due articoli di
legge contro la privatizzazione
della gestione e contro il profitto sull’acqua; e anche in questo
caso fu ignorata dalla successiva legge di stabilità del governo
Monti (di unità nazionale), che
affidò il controllo del servizio
idrico all’AEEG (Autorità per l’energia elettrica e gas), ente di
regolamentazione di mercato,
che ha imposto tariffe con profitti garantiti (falsamente chiamati costi) e mantenuto le gestioni private.
La recente Direttiva Europea
2014/25/UE (punti 7, 8 e 9) sulle procedure d’appalto degli enti
erogatori nei settori dell’acqua e
altri servizi, non “obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a
esternalizzare”, al contrario afferma che non dovrebbe neppure trattare la liberalizzazione
di servizi di interesse economico generale, riservati a enti
pubblici, e che “lascia impregiudicata la libertà delle autorità nazionali, regionali e locali di
definire, in conformità del diritto
dell’Unione, i servizi d’interesse
economico generale. Mentre il
parlamento italiano (eccetto gli
oppositori di minoranza…) vuole chiudere la partita con la gestione dell’acqua, varando una
legge che ne mantiene la gestione privata. Il governo Renzi,
poi, con il decreto di attuazione della Legge Madia del 2015,
promuove la concorrenza, la libertà di stabilimento e la liber-
lavoratrici ed i lavoratori nei posti di lavoro e allo stesso modo
per le studentesse e gli studenti nelle scuole e nelle università. Ad essere colpiti saranno,
ne siamo certi, gli studenti delle famiglie meno abbienti che
sono costretti a svolgere un lavoro per mantenersi negli studi. In molti casi questi sono oggettivamente impossibilitati a
sostenere tutti gli esami previsti per ogni anno e optano
quindi per una iscrizione parttime. Penalizzati anche gli studenti fuori sede che non possono permettersi un alloggio
vicino all’Università e, causa
lo stato di degrado dei trasporti
pubblici, sono costretti ad orari
massacranti per riuscire a frequentare le lezioni.
Il tanto decantato “merito” è
soltanto una truffa. La pretesa
“riforma” si limita infatti a “misu-
rare” il numero degli esami sostenuti senza tenere in alcun
conto le differenze tra gli studenti, incluse quelle legate alla
tipologia di iscrizione.
Quanto avvenuto al Politecnico di Torino dimostra in ultima analisi l’assoluta correttezza della linea universitaria del
nostro Partito. Le nostre università, così come le nostre scuole, devono essere governate
direttamente dalle studentesse e dagli studenti. Solo così
gli studenti fossero la maggioranza all’interno degli organi accademici allora un simile
vergognoso regolamento non
sarebbe mai stato approvato
e le studentesse e gli studenti
di estrazione proletaria potrebbero completare i loro studi,
studi che la classe dominante
borghese vuole invece loro negare.
Il governatore Rossi (PD) avalla
lo sfruttamento dei giovani
appoggiando i tirocini
Comunicato del Forum Toscano dei Movimenti per l’acqua e dei Comitati
Territoriali contro la privatizzazione dell’acqua
Riceviamo e
pubblichiamo.
fronte di soli 5.000 posti ed è
quindi necessario attuare una
selezione di classe ancora più
rigida. Da tenere ben presente
è poi il discorso legato ai finanziamenti statali per l’università. Per ogni studente in corso
questa riceve 1.500 euro annui mentre non riceve nulla per
quelli fuoricorso. Insomma, per
le università che selezioneranno i futuri dirigenti della classe dominante borghese (o più
semplicemente i futuri tecnici, di estrazione proletaria, che
questa utilizzerà come suoi caporali) sono necessari criteri
selettivi sempre più elevati. Se
la classe dominante borghese
del nostro Paese vuole essere al livello di quelle europee
e mondiali non può fare altro
che spremere le masse popolari fino alla loro ultima goccia
di sangue. Questo vale per le
tà di prestazione di servizi di
tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi
pubblici locali di interesse economico generale.
La legge, oggi in Commissione Ambiente della Camera, proposta da un gruppo di
parlamentari, doveva ricalcare
quella d’iniziativa popolare del
2007, ma la stessa Commissione ha approvato un emendamento che elimina i processi
di ripubblicizzazione, ribaltando
completamente il rispetto della
volontà popolare espressa in
quasi 10 anni di mobilitazioni,
sia a livello locale che a livello
nazionale.
Questa legge, che rappresenta un’ulteriore mannaia
contro l’espressione democratica dei cittadini, non ci spaventa, e non fermerà i comitati nella difesa dei territori dagli
interessi transnazionali e dalle lobbies economico-politiche che si sono appropriate di
un diritto umano fondamentale
come l’accesso all’acqua.
Forum Toscano dei
Movimenti per l’acqua
Comitati territoriali contro la
privatizzazione dell’acqua
18 marzo 2016
pei a fronte dei quali la Regione Toscana obbliga all’attivazione di tirocini. 100.000 euro
obbligo attivazione di un tirocinio, 200.000 euro due tirocini,
per un tempo di 6 mesi se si
tratterà di giovani con età non
inferiore a 18 anni che hanno
assolto l’obbligo d’istruzione,
di 12 mesi in caso di giovani
laureati. Il costo per l’azienda sarà di almeno 500 euro
al mese, ossia la retribuzione
del giovane; briciole rispetto
al lauto guadagno sul lavoro
svolto dal tirocinante (al quale magari vengono anche affidate mansioni che dovrebbero
svolgere dei dirigenti ben retribuiti) e sul fondo europeo in-
cassato.
Rossi, nascondendosi dietro la demagogica idea di “offrire una chance alle nostre
giovani generazioni”, in realtà
avalla lo sfruttamento dei giovani da parte dei pescecani
capitalisti non garantendo loro
minimamente un’occupazione
stabile e futura.
Rossi aggrava la sua posizione politica in materia occupazionale affermando che
“sappiamo che un tirocinio non
è un lavoro... è anche vero che
la regione non può assicurare
un lavoro... speriamo che l’esperienza di uno stage o un tirocinio si possa poi trasformare in un lavoro vero”.
Forte e netta la posizione
dei sindacati CGIL, CISL, UIL
Toscana che rimarcano la netta differenza tra tirocinio e lavoro vero, e soprattutto denunciano che soltanto il 4,6%
dei tirocini, nonostante gli incentivi, si trasforma in un rapporto di lavoro futuro.
Altro che “Giovanisì, il progetto della Regione Toscana
per l’autonomia dei giovani”.
I tirocini vanno aboliti poiché
una volta completato il percorso di studi i giovani possono essere resi autonomi
solo garantendo loro un lavoro stabile, a salario intero, a
tempo pieno e sindacalmente tutelato.
No allo scempio urbanistico-ecologico
di Bolzano
Non mi capita spesso, da
bolzanino di nascita, di tornare
nella città del Talvera (il torrente
che scorre in mezzo alla cittadina), ma, avendo ancora abbastanza presente la topografia
del luogo, ritengo che sia in arrivo un vero scempio urbanistico-ecologico: la costruzione
della megastruttura progettata da René Benko, imprenditore immobiliare già condannato
(peraltro) per corruzione in Austria, precisamente a Innsbruck
di cui il personaggio è nativo e
in cui risiede.
L’azione
progettata
da
Benko sventrerebbe gran parte del centro storico, comporterebbe la distruzione di molte
aiuole e di parchi, il fallimento sicuro dei pochi (risultano
essere sempre meno) negozi
superstiti. Ma la mia non è, si
badi, una difesa proudhoniana-piccolo borghese di artigiani e negozianti. Benko, non ancora quarantenne, ha costruito
un vero impero economico praticamente dal nulla ed è apparentabile ai peggiori “tychoons”
nostrani. Nulla lascia presagi-
re che in Italia (si fa per dire,
provincia autonoma Alto Adige/Sud-Tirolo) si comporterebbe diversamente. Un monopolismo becero e sfruttatore di
centinaia di lavoratori, sfruttati
con turni di lavoro massacranti quanto malpagati, nella logica ormai dominante dei “centri
commerciali”, che invadono tutto l’Occidente capitalista.
A favore del “Piano Benko”
significativamente sia il PD sia
la destra italiana, sia gran parte
della SVP (partito popolare autonomista tirolese), mentre, per
motivi vari sono decisamente contro i 5Stelle, i Verdi, altre
forze minoritarie, in gran parte
riconducibili a SEL e ai “Comunisti italiani”. Ma il referendum
che si svolgerà questa primavera è quasi certamente destinato a confermare il progetto
stesso, visto anche il battage
pubblicitario di Benko stesso
come dei partiti che lo sostengono. La stampa locale (“Alto
Adige”, soprattutto e “Dolomiten”) è latitante, anzi tende ad
avallare le posizioni di Benko.
Eugen Galasso - Firenze
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
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Editore: PMLI
chiuso il 23/3/2016
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
esteri / il bolscevico 15
N. 13 - 31 marzo 2016
Pur di non avere in casa propria migranti e rifugiati
L’UE imbottisce di miliardi
il regime fascista di Erdogan
La soluzione giusta è aprire le frontiere dell’UE
No al rinvio in Turchia dei migranti e dei rifugiati
“L’accordo raggiunto rispetta i
requisiti che ci eravamo dati c’è
un esplicito riferimento ai diritti umani, alla libertà di stampa e
quei valori fondanti dell’Europa.
La nostra posizione era sì all’accordo ma non a tutti i costi, abbiamo ottenuto questo principio,
adesso vedremo di lavorare per
fare in modo che tutto vada nel
miglior modo possibile. Alle parole ora devono seguire i fatti”, affermava il 18 marzo in conferenza stampa al termine del vertice
dell’Unione europea (Ue) a Bruxelles il premier italiano Matteo
Renzi in riferimento all’accordo
Ue-Turchia; ovvero basta scrivere
che tali punti sui cosiddetti “valori
fondanti” devono essere rispettati senza proccuparsi che lo siano
effettivamente, e il regime fascista del presidente Erdogan li viola
tutti nella repressione dell’opposizione e delle aspirazioni autonomiste del popolo curdo, per
imbottire il governo di Ankara di
miliardi di euro e assicurarsi che
faccia da contenitore di migranti
e rifugiati dai paesi mediorientali
e asiatici diretti verso la Ue, un
muro per i flussi migratori.
L’accordo tra il Consiglio europeo, la Commissione e la Turchia, in nome dell’emergenza
profughi apre in realtà la strada a
procedure illegali e allo smantellamento del diritto individuale di
asilo nella Ue. Diverse associazioni che si occupano di migranti
l’hanno definito “una violazione
senza precedenti del diritto europeo alla protezione internazionale e della Convenzione di
Ginevra sulla protezione dei rifugiati”. Financo il Vaticano ha definito “umiliante chiudere le porte
d’Europa”, l’ennesimo tentativo
dei paesi imperialisti europei di
blindare le frontiere. Un tentativo
che non fermerà la pressione di
chi è in fuga da guerre e fame e
cercherà di raggiungere l’Europa, per la semplice ragione che
restano intatte le principali cause
della loro fuga dai paesi di origine, spesso originate da bombe
e sfruttamento degli stessi paesi
imperialisti europei che devono
cessare.
La soluzione giusta è comunque quella di aprire le frontiere
dell’Ue a profughi e migranti,
l’unico sistema efficace tra l’altro
contro i trafficanti di esseri umani, a partire dalla creazione di
canali umanitari attraverso i Balcani, l’Adriatico e il Mediterraneo
per garantire un passaggio sicuro
che ponga fine una volta per tutte alle rotte della morte. In ogni
caso i numeri attuali di profughi
e migranti diretti verso i paesi
europei sono ancora gestibili e
solo la propaganda imperialista,
razzista e xenofoba li fa diventare una inesistente “invasione” da
respingere.
Il nuovo “muro” sulla rotta
mediorientale dovrebbe essere
costituito dalla Turchia. Ben remunerata per il suo servizio con
i 3 miliardi di euro già stanziati
e altrettanti da incassare entro
il 2018. Il comunicato dell’intesa
tra Bruxelles e Ankara è tra l’altro
una successione di misure che
alternano quelle relative ai pro-
Un’ aspetto delle tragiche condizioni di vita dei profughi nel campo di
Idomeni ai confini con la Macedonia
fughi alle contropartite portate a
casa dal governo turco, esplicitando anche nella forma in cui è
scritto il baratto tra le due controparti.
“La Turchia e l’Unione europea hanno riconfermato l’impegno ad attuare il piano d’azione
comune attivato il 29 novembre
2015. Sono già stati compiuti
molti progressi, tra cui l’apertura,
da parte della Turchia, del mercato del lavoro ai siriani oggetto di
protezione temporanea”, afferma
il documento per registrare che
va tutto bene tra le parti, anche
se vuol dire che decine di migliaia di donne e ragazzi siriani sono
già supersfruttati nelle aziende
manifatturiere turche.
L’accordo prevedeva che a
partire dal 20 marzo i profughi
che sono già nelle isole dell’Egeo
dovevano essere trasferiti sul
continente nei centri che già ne
accolgono quasi 50 mila predi-
sposti dal governo di Atene per
poter usufruire dei programmi
di trasferimento all’interno della
Ue; quei ridicoli programmi già
previsti che sono riusciti finora a
spostare da Grecia e Italia solo
alcune centinaia di profughi delle decine di migliaia arrivati negli
ultimi mesi. Profughi e migranti
che arriveranno sulle isole dal 20
marzo dovranno essere identificati e rispediti in Turchia.
“Al fine di smantellare il modello di attività dei trafficanti e
offrire ai migranti un’alternativa al
mettere a rischio la propria vita sta scritto nel comunicato - l’Ue
e la Turchia hanno deciso oggi di
porre fine alla migrazione irregolare dalla Turchia verso l’Ue; per
conseguire questo obiettivo hanno concordato i seguenti punti
d’azione supplementari: 1) tutti i
nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla
Turchia alle isole greche a decor-
rere dal 20 marzo 2016 saranno
rimpatriati in Turchia, nel pieno
rispetto del diritto dell’Ue e internazionale, escludendo pertanto
qualsiasi forma di espulsione collettiva. (...) Si tratterà di una misura temporanea e straordinaria
che è necessaria per porre fine
alle sofferenze umane e ristabilire
l’ordine pubblico. I migranti che
giungeranno sulle isole greche
saranno debitamente registrati e
qualsiasi domanda d’asilo sarà
trattata individualmente dalle
autorità greche conformemente alla direttiva sulle procedure d’asilo, in cooperazione con
l’Unhcr (l’agenzia per i porfughi
dell’Onu, ndr). I migranti che non
faranno domanda d’asilo o la cui
domanda sia ritenuta infondata
o non ammissibile ai sensi della
suddetta direttiva saranno rimpatriati in Turchia. La Turchia e la
Grecia, assistite dalle istituzioni e
agenzie dell’Ue, adotteranno le
misure necessarie e converranno
i necessari accordi bilaterali, tra
cui la presenza di funzionari turchi sulle isole greche e di funzionari greci in Turchia dal 20 marzo
2016, al fine di garantire un collegamento e agevolare in questo
modo il corretto funzionamento
di detti accordi”.
“Non verranno eseguiti espulsioni di massa”, assicuravano da
Bruxelles ma il meccanismo concepito dalla Ue altro non è che
una macchina burocratica per
produrre espulsioni individuali in
serie, espulsioni di fatto di massa, comprese quelle di siriani
che è difficile non definire pro-
fughi di guerra. “Per ogni siriano
rimpatriato in Turchia dalle isole
greche - precisa il documento un altro siriano sarà reinsediato
dalla Turchia all’Ue. (...) La priorità sarà accordata ai migranti che
precedentemente non siano entrati o non abbiano tentato di entrare nell’Ue in modo irregolare”.
Un meccanismo complesso che
sposta i profughi come pacchi
postali, concepito per fermare
i flussi, tanto che i posti disponibili per i cosiddetti reinsediamenti sono quasi raggiunti con i
profughi già arrivati in Grecia. E
di difficile applicazione tanto che
il 20 marzo non erano ancora al
loro posto nelle isole dell’Egeo gli
specialisti europei che dovrebbero valutare le domande di asilo.
Tra l’altro la Turchia non riconosce la convezione di Ginevra
del 1951 sui profughi e non la
applica già escludendo siriani,
iracheni e afghani dal riconoscimento dello status di rifugiato;
come potrà applicare il meccanismo di gestione dei profughi “nel
pieno rispetto del diritto dell’Ue
e internazionale” come afferma il
comunicato non è un problema
per la Ue che lo risolve scrivendo
semplicemente sul comunicato
finale del vertice che “si attende
che la Turchia rispetti gli standard
più elevati in materia di democrazia, stato di diritto, rispetto delle
libertà fondamentali, compresa la
libertà di espressione”. L’Ue “attende”, la Turchia non li rispetta a
partire dai giornalisti non allineati al governo sbattuti in galera e
l’intesa procede.
Brasile
“C’è un decreto di nomina
in caso di necessità”, affermava la presidente brasiliana Dilma
Rousseff in un colloquio telefonico, intercettato e reso di dominio pubblico il 16 marzo, col predecessore e padrino politico Luiz
Inacio Lula da Silva per tranquillizzarlo e offrirgli l’immunità di
membro del governo per tirarlo
fuori dai sempre più gravi impicci
giudiziari. Lula accettava l’offerta
ma il Tribunale Supremo Federale, massima istanza del Brasile, ne
bloccava l’attuazione.
I guai giudiziari dell’ex presidente Lula da tempo coinvolto
nell’inchiesta per tangenti e lavaggio di denaro sporco erano tornati
agli onori delle cronache il 4 marzo quando veniva prelevato dalla
polizia e condotto in accompagnamento coatto, dato che si era rifiutato di andare a deporre, presso gli
uffici della polizia federale all’aeroporto di Congonhas dove era interrogato da uno dei giudici che
seguono l’inchiesta dello scandalo Petrobras.
L’operazione di polizia portava
a altri dieci fermi e 32 perquisizioni in tre Stati, a Bahia e Rio de Janeiro oltre a quello paulista e nel
mirino degli inquirenti sono finiti
quasi tutti i più stretti collaboratori
dell’ex leader socialista, dalla moglie Marisa Letícia e i figli Sandro
Luis, Fabio Luis, Marcos Claudio
e Luis Claudio, ad altri personag-
Fermato Lula, idolo dei
riformisti e falsi comunisti
L’ex presidente del Brasile è coinvolto nell’inchiesta per tangenti e lavaggio
di denaro sporco. La procura di San Paolo ne ha chiesto l’arresto
gi vicini al Partito dei Lavoratori
(Pt) fra i quali il direttore dell’istituto Lula, Paulo Okamotto, la direttrice Clara Ant, che fu assistente speciale di Lula ai tempi della
sua presidenza e José de Filippi jr,
segretario del prefetto Fernando
Haddad, membro del partito.
Il procuratore federale Carlos
Fernando dos Santos Lima che dirige l’inchiesta, ha spiegato che
“grandi compagnie edilizie” gonfiavano i prezzi dei contratti con la
compagnia petrolifera di stato Petrobras dai quali ricavavano fondi per pagare consistenti cifre in
nero a esponenti del Pt pur di ottenere appalti pubblici; queste aziende “misero a disposizione 30 milioni di real (oltre 7,4 milioni di euro)
tra donazioni e compensi per conferenze”. “Ci sono elementi di prova
- affermava il procuratore - che l’ex
presidente abbia ricevuto denaro” e
altri benefici tra i quali la costruzione di una fattoria nella città di Atibaia e di un appartamento a Guaruja, che apparterrebbero a Lula pur
intestate a prestanomi. L’ex presidente respingeva le accuse e sosteneva: “non ho nulla da temere perché non ho fatto niente di male”.
Lo scandalo dell’affare Petrobras era venuto alla luce nel marzo del 2014 in seguito alle confessioni di un ex alto dirigente della
società che aveva svelato l’intreccio di corruzione tra le aziende
che partecipavano alla costruzione
delle infrastrutture petrolifere e i
partiti della coalizione di governo.
I giudici che si occupano dell’inchiesta Petrobras hanno così potuto ricostruire il funzionamento del
sistema di corruzione che ha riempito le tasche di numerosi esponenti politici di partiti della coalizione di governo, soprattutto il
Pt di Lula e dell’attuale presidente
Dilma Rousseff. La presidente che
negli anni dello scandalo era presidente del Consiglio di amministrazione di Petrobras. Finora l’ex
presidente Lula, che ha ricoperto
la carica dal 2002 al 2010, non era
stato toccato direttamente dalle inchieste; adesso è indagato per riciclaggio di denaro, corruzione e
sospetto occultamento di beni. La
sua erede politica Dilma Roussef,
rieletta per il secondo mandato
presidenziale il 26 ottobre 2014,
aveva invece superato una richiesta di impeachment facendosi assolvere da una commissione parlamentare, dove la maggioranza dei
componenti era del suo partito.
I guai giudiziari di Lula erano iniziati nel luglio dello scorso
anno quando il suo nome era stato scritto nel registro degli indagati dalla Procura di Brasilia poiché
secondo i giudici aveva utilizzato in più occasioni la sua influenza come ex presidente per favorire
l’assegnazione di contratti internazionali a Odebrecht, la holding
brasiliana delle costruzioni. Sotto osservazione della magistratura
finivano tra gli altri gli appalti finanziati anche con fondi pubblici
del Brasile e ottenuti senza gare da
Odebrecht a Cuba, in Venezuela,
nella Repubblica Domenicana e in
alcuni paesi africani. Il presidente
della holding, Marcelo Odebrecht
figlio del fondatore, era stato arrestato poco prima perché era finito tra gli accusati nello scandalo
Petrobras.
A dire il vero questo era il secondo grande scandalo nel quale
veniva coinvolto Lula; il primo,
chiamato “Mensalao”, riguardava gli stipendi in nero che, secondo l’accusa, il Pt pagava con fondi
pubblici a esponenti di altri partiti brasiliani affinché votassero in
Parlamento leggi che non poteva
far approvare perché non aveva la
necessaria maggioranza. In quella
inchiesta vennero condannati l’allora tesoriere del partito e il braccio destro di Lula, José Dirceu.
I guai giudiziari di Lula si moltiplicavano tanto che il 10 marzo la
procura di San Paolo ne ha chiesto
l’arresto preventivo per falso ideologico e riciclaggio in riferimento
alla vicenda dell’attico di Guarujà,
sul litorale dello Stato di San Paolo, di cui l’ex presidente avrebbe
occultato la proprietà. L’immobile di lusso risulta intestato all’impresa di costruzioni Oas, fra quelle
coinvolte nel giro di mazzette dello scandalo Petrobras. Per l’accusa, si tratterebbe di una tangente
indiretta, perché l’immobile sarebbe stato acquistato ad un prezzo di
favore. Nella stessa inchiesta sono
coinvolti anche la moglie di Lula e
il figlio primogenito Fabio Luis.
Comunque vadano le cose sul
piano giudiziario, restano comunque le responsabilità politiche di
Lula, come pure della Roussef,
che da idolo dei riformisti e dei
falsi comunisti, da portabandiera della “democrazia partecipata” e del buon governo tipo Porto Alegre è finito inevitabilmente
impelagato nel sistema corruttivo
e irriformabile delle istuzioni del
capitalismo.
Al referendum del 17 aprile
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