Settimanale Nuova serie - Anno XXXX - N. 13 - 31 marzo 2016 Fondato il 15 dicembre 1969 Comunicato dell’Ufficio stampa del Pmli Condanniamo gli attentati di Bruxelles Cessare la guerra allo Stato islamico per evitarli PAG. 2 I soldati dell’esercito dell’IS sono dei combattenti antimperialisti PAG. 2 Al Senato nero, in un clima consociativo nazionalista Passa la legge quadro sulle missioni internazionali imperialiste Le missioni di guerra travestite da “missioni di pace” Intervento di Denis Branzanti al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena No al “museo del fascismo”, alla controriforma del Senato, alla guerra allo Stato islamico PAG. 3 Al referendum del 17 aprile per salvaguardare la salute la natura e l’ambiente per le energie rinnovabili PAG. 4 Il compagno Denis Branzanti alla Commemorazione di Lenin a Cavriago (foto Il Bolscevico) A Milano e Fucecchio Il PMLI volantina per il Sì Stampato in proprio Organizziamo banchini e Squadre di propaganda per il Sì al referendum Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) PAG. 12 PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it Al referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile Il PD si asterra’ per impedire al referendum contro le trivellazioni che si raggiunga il quorum Un bel regalo ai petrolieri e un danno alla Costituita la Squadra di propaganda del Mugello-Val di Sieve PAG. 11 salute, alla natura ed all’ambiente Crollate le La cultura assunzioni stabili, borghese alle stelle i voucher genera Con il sistema degli assegni viene scavalcato il sistema contrattuale e favorito il lavoro nero PAG. 6 mostri PAG. 9 PAG. 4 Intervista esclusiva de “Il Bolscevico” al partigiano Giovanni Gerbi in occasione della presentazione a Ivrea del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà” “Sono stato, sono e sempre rimarrò comunista rivoluzionario per fare in Italia come nella Russia di Lenin e Stalin” La storia dell’insurrezione di Santa Libera del 1946 contro l’amnistia concessa ai fascisti da Togliatti. Il PCI frenò la lotta rivoluzionaria degli operai e delle masse “solidarizzo con la lotta antimperialista dello stato islamico e dei suoi combattenti” PAG. 13 2 il bolscevico / attentati di Bruxelles e la guerra imperialista all’Is N. 13 - 31 marzo 2016 Comunicato stampa Condanniamo gli attentati di Bruxelles Cessare la guerra allo Stato islamico per evitarli Il PMLI condanna gli attentati terroristici di Bruxelles, esprime sentite condoglianze ai familiari delle vittime incolpevoli e innocenti e augura pronta guarigione ai feriti. Questi attentati, come gli altri precedenti a Parigi e in altri Paesi europei e non, non sono un attacco alla “cultura della libertà e democrazia”, come ha detto Mattarella che ha già indossato l’elmetto. Sono invece la diretta conseguenza della guerra che gli imperialisti americani ed europei conducono sistematicamente da tempo contro lo Stato islamico. Questi attentati, purtrop- po, sono destinati a moltiplicarsi nei Paesi aggressori, inclusa l’Italia, se non si mette fine a questa guerra attraverso la quale i Paesi aggressori contano di spartirsi il Medio Oriente e il Nord Africa. “Innalzare il livello di sicurezza”, con il conseguente restringimento delle libertà de- mocratico-borghesi, serve a ben poco se non si cessa di bombardare lo Stato islamico e se non si tratta con esso. L’auspicio del PMLI è che il nuovo duce Renzi, che sta seguendo la politica nazionalista, colonialista e interventista di Mussolini, rinunci a guidare la coalizione interna- zionale per avere la fetta più grossa della torta libica. Invitiamo le masse popolari, in particolare la classe operaia e le ragazze e i ragazzi antimperialisti, e tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose pacifiste a far sentire la loro voce e a scendere senza indugio in piazza per cacciare Renzi nel caso coinvolga l’Italia nell’avventura libica. L’Ufficio stampa del PMLI Firenze, 22 marzo 2016, ore 16,00 I soldati dell’esercito dell’IS sono dei combattenti antimperialisti Da quando il PMLI ha pubblicamente espresso l’appoggio allo Stato islamico contro la santa alleanza imperialista, allargandolo a tutti i movimenti islamici antimperialisti, resistenza palestinese e movimenti curdi compresi, ossia dal discorso di apertura del Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, alla quinta Sessione plenaria del quinto Comitato centrale del Partito, svoltasi a Firenze l’11 ottobre scorso, siamo stati attaccati da destra, come era inevitabile, ma soprattutto da “sinistra” dai falsi comunisti, dai trotzkisti e dagli “ultrasinistri” incapaci di leggere l’attuale situazione internazionale. Costoro stanno riversando quintali di spazzatura sul web sullo Stato islamico e i combattenti antimperialisti del suo esercito e di conseguenza su chi li appoggia, noi per primi e pressoché unici in Italia. Ci insultano e sono lividi di rabbia perché consideriamo l’IS antimperialista. E come potrebbe essere diversamente? Costoro stanno ripercorrendo la linea dei socialtraditori prima e durante la prima guerra mondiale che, col loro “né aderire né sabotare”, dettero di fatto alle borghesie nazionali il beneplacito alla carneficina imperialista, oggi non torcono un capello alle coalizioni di aggressione che da decenni stanno martoriando quella Regione e tutto il Medioriente. Anzi demonizzando l’IS e auspicandone una veloce caduta dimostrano di ragionare da piccoli borghesi “ultrasinistri” che non capiscono le indicazioni ideologiche, politiche e tattiche dei grandi Maestri del proletariato internazionale ed in particolare di Stalin, perché essi sognano un movimento di liberazione nazionale “puro” e “tutto proletario” che non esiste e non potrebbe esistere nella realtà. Noi marxisti-leninisti italiani abbiamo imparato la lezione di Stalin e la stiamo mettendo in pratica. E certo non da ora ma ormai da decenni. Nel sostegno e nell’aiuto ai movimenti in lotta non dobbiamo guardare tanto a chi guida il movimento, ma la direzione in cui si muove tale movimento. Se esso va nella direzione giusta, se cioè indebolisce e toglie spazio all’imperialismo noi abbiamo il dovere di appoggiarlo risolutamente e senza riserve, anche se alla sua testa vi sono degli anti marxisti-leninisti. Le definizioni vengono di conseguenza. Se consideriamo l’IS antimperialista ne consegue che i soldati del suo esercito sono dei combattenti antimperialisti. Il nostro giudizio sull’IS non si basa sulla sua strategia, che non condividiamo e che non abbiamo mai definito antimperialista, tanto che nel Rapporto del compagno Erne alla richiamata Sessione plenaria del CC abbiamo rilevato la contraddizione dell’aggressione dello Stato islamico alla regione del Kurdistan siriano, la Rojava, contro le legittime ambizioni autonomiste del popolo locale, ma sulla sua attuale lotta contro le coalizioni occidentali, della Russia e di diversi Stati arabi, che è antimperialista. Altro che condivisione cieca dell’assioma “il nemico del mio nemico è mio amico”, come ci rinfacciano i falsi comunisti. I combattenti antimperialisti islamici non solo resistono eroicamente ai bombardamenti incessanti ma controbattono, tanto che gli hanno portato in casa quella stessa guerra che essi subiscono da lustri. Il loro scopo è far sentire gli imperialisti insicuri persino nelle loro retrovie e indurli a ritirarsi dai Paesi che occupano o bombardano. Per questo è dunque errato definirli terroristi. Non si farebbe che il gioco dei guerrafondai imperialisti e i loro tirapiedi. Da sempre tutti gli aggressori e gli occupanti imperialisti si rifiutano di riconoscere coloro che li combattono con le armi in pugno come combattenti di un esercito nemico e preferiscono bollarli con il marchio di banditi e terroristi, come facevano appunto le truppe nazifasciste con i partigiani. Piano piano abbiamo visto che nel mondo non siamo soli a pensarla così, alle nostre posizioni si sono affiancati il Partito comunista d’India (maoista) e il Partito comunista marxista-leninista di Panama. Dalla sinistra laburista inglese e da certi siti vicini all’ideologia comunista e all’antimperialismo sta, seppur faticosamente, partendo una certa discussione sull’antimperialismo dello Stato islamico e dei suoi combattenti. Nel nostro Paese ultimamente è stata Loretta Napoleoni, vicina al Movimento 5 Stelle, a ventilarlo nella prefazione all’edizione aggiornata del suo libro, “ISIS. Lo Stato del terrore”, uscito a febbraio: “Come previsto, – scrive la Napoleoni – la campagna di bombardamenti, sostenuta dalla più ampia coalizione che si sia formata dalla seconda guerra mondiale, non ha sconfitto lo Stato islamico. Al contrario, all’inizio del 2016 il suo progetto di edificazione nazionale continua ad allarmare il mondo, al pari della sua propaganda patriottica, nazionalista e antimperialista... Sarà possibile sconfiggere un simile nemico con le armi? Potremo cancellare a suon di bombe l’ideologia an- timperialista dell’Isis? La storia ci insegna che quando ci si trova di fronte a un’ondata antimperialista globale di queste dimensioni, a volte quella del contenimento è una strategia migliore della guerra aperta”. Combattenti dell’Is entrano in una città dello Stato islamico “Bruxelles, dopo la strage dialogo e basta guerre” Potrebbe sembrare che qualcuno ci abbia dichiarato guerra: l’islam radicale o, più in generale, “i musulmani” secondo i media della destra e i fomentatori del cosiddetto scontro di civiltà. In realtà la guerra l’abbiamo esportata noi, europei e statunitensi, con una serie di disastrosi interventi militari in Medio Oriente e oltre che possiamo far risalire alla prima Guerra del Golfo (19901991). (…) Si continua ad agitare lo spauracchio dello Stato islamico che vorrebbe attaccare l’Europa e forse le indagini – lunghe e complesse in questi casi – confermeranno legami tra l’ISIS e alcuni terroristi di casa nostra, che possono aver avuto contatti con il califfato in Iraq e Siria. Ma bisognerebbe cercare le origini (non le giustificazioni!) di questo terro- rismo anche nelle nostre società e nelle nostre politiche. Una politica estera come quella francese o statunitense o britannica, non favorisce forse il radicalismo e il vittimismo di giovani islamici tagliati fuori dalle comunità metropolitane mainstream in occidente? C’è un fatto che continuiamo a ignorare o a far finta di non vedere: ogni musulmano si sente parte della umma, la comunità mondiale degli islamici. Un islamico europeo o statunitense di 20/30 anni che negli ultimi 15 anni abbia visto, in tv o su internet, milioni di suoi “fratelli” massacrati dalle bombe europee o statunitensi o israeliane in Iraq, Afghanistan, Palestina, Siria… si può trasformare in una bomba umana pronta a farsi esplodere tra la folla delle nostre società democratiche. È una realtà tragica, ma toccherebbe prenderne atto. Chiunque muova questi terroristi, ormai è evidente, in Europa ha un discreto serbatoio all’interno del quale reclutarli. Non esistono ricette facili per provare a invertire la parabola di barbarie inaugurata il 7 luglio 2005 con gli attentati di Londra. Ma, dopo la strage di Bruxelles che rischia di produrre in Europa derive securitarie e un’ulteriore avanzata delle destre xenofobe e islamofobe, due segnali occorrerebbe lanciarli, prima possibile. Anzitutto smettere di pretendere di risolvere le crisi internazionali con i bombardamenti, e in questo senso auspichiamo che il governo italiano non prenda parte ad alcuna operazione militare in Libia. Inoltre, in un’epoca in cui si straparla di “integrazione” ma in cui le bombe umane nelle capitali europee ci restituiscono un panorama di “disintegrazione”, sarebbe meglio porsi un obiettivo, più realistico: il dialogo. Soltanto con il confronto con le comunità islamiche, anche con chi a Bruxelles nei giorni scorsi ha provato a difendere Abdeslam dalla cattura della polizia, si può procedere verso qualche forma di integrazione. Se non analizziamo la natura del malessere che attraversa una parte di queste comunità – con le quali conviviamo da separati in casa ma con cui siamo destinati a confrontarci a lungo, in società sempre più multietniche -, noi, i bombardieri degli ultimi 15 anni, non potremo essere i fautori di nessuna “integrazione”. (tratto da un editoriale apparso su www.cinaforum.net) interni / il bolscevico 3 N. 13 - 31 marzo 2016 Al Senato nero, in un clima consociativo nazionalista Passa la legge quadro sulle missioni internazionali imperialiste Le missioni di guerra travestite da “missioni di pace” Il 9 marzo, immediatamente prima del dibattito col ministro Gentiloni sulla Libia, in sordina e nel silenzio totale di tutta l’informazione borghese, il Senato ha approvato in seconda lettura il disegno di legge quadro del governo sulle missioni internazionali, dopo la prima approvazione praticamente all’unanimità avvenuta a maggio dello scorso anno a Montecitorio. Il provvedimento nasce dall’esigenza di inquadrare in una legge organica tutta la materia coinvolta nelle missioni militari all’estero (ambito di applicazione, modalità di deliberazione e finanziamenti, stato giuridico e trattamento economico del personale, ecc.). Questioni che a tutt’oggi sono decise attraverso decreti legge del governo, soggetti quindi a conversione in legge entro 60 giorni dal parlamento, e che per di più necessitano di successive deliberazioni periodiche (finora trimestrali, con questa legge diventeranno annuali) per quanto riguarda il loro prolungamento e rifinanziamento. Lo stesso ambito di applicazione dei decreti era incerto (quando e a quali condizioni si può deliberare l’invio di una missione militare all’estero?), e rimaneva sempre aperto il problema se quella determinata missione violasse o meno l’articolo 11 della Costituzione. Ora con questa legge quadro tali problemi non esisteranno più, perché già al suo articolo 1 si stabilisce che “la partecipazione delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l’Italia appartiene o comunque istituite in conformità al diritto internazionale, comprese le opera- zioni militari e le missioni civili di polizia e per lo Stato di diritto dell’Unione europea, nonché a missioni finalizzate ad eccezionali interventi umanitari, è consentita, in conformità a quanto disposto dalla presente legge, a condizione che avvenga nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”. In sostanza, cioè, è sempre e comunque consentita, dal momento che l’Italia fa parte dell’Onu, della Nato, della Ue e di “altre organizzazioni internazionali”, e perché sarà sempre possibile appellarsi ai “diritti umani” e al “diritto penale internazionale” per inviare missioni di guerra travestite da “missioni di pace”. Il governo “delibera”, il parlamento “discute” Risolto così una volta per tutte il problema dell’articolo 11, la legge stabilisce poi, con l’articolo 2, la procedura per la deliberazione delle suddette missioni. Non ci sarà più quindi un decreto da convertire successivamente, con tutte le incognite annesse, ma una semplice “deliberazione” del governo, che viene “trasmessa” alle Camere “che tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, le autorizzano per ciascun anno, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero ne negano l’autorizzazione”. Sembrerebbe a prima vista che al parlamento spetti quindi l’ultima parola, ma ciò non è affatto chiaro, come è emerso anche in alcuni interventi in dichiarazione di voto. Intanto non sono indicati i tempi in cui tale “trasmissione” deve avvenire, e non è chiaro nemmeno se nel frattempo le operazioni militari possano iniziare e andare avanti o no. Non è chiaro in altre parole se la decisione del parlamento è preventiva e vincolante oppure è solo una discussione ex post, a cose già avvenute. Il che fa una bella differenza. Vedremo se e come verrà chiarito questo punto fondamentale in sede di discussione alla Camera, anche perché se la decisione del parlamento fosse vincolante, non si capisce allora perché il comma 4 dello stesso articolo 2 stabilisca che i decreti governativi per il finanziamento delle missioni deliberate debbano sottostare solo ad un parere consultivo delle commissioni parlamentari. E parimenti non è chiaro se l’esame parlamentare della relazione che il ministro degli Esteri, di concerto coi ministri della Difesa e dell’Interno, deve presentare entro il 31 dicembre di ogni anno per il rinnovo delle missioni e i relativi finanziamenti (articolo 3), debba concludersi con un voto vincolante delle Camere oppure no. Il famigerato “emendamento Parigi” Senza addentrarci ulteriormente negli altri articoli della legge, che riguardano in gran parte il trattamento economico delle forze impiegate all’estero, mentre per quanto riguarda gli aspetti giuridici (immunità concesse ai militari, applicazione del codice di pace o di guerra, ecc.) converrà aspettare il testo definitivo, vale la pena comunque di riferire su alcuni aspetti che la dicono lunga sul contesto politico in cui si è andato a inse- Libano, base Unifil di Shama, sede del comando italiano, 22 dicembre 2015. Il nuovo duce Matteo Renzi arringa i caschi blu italiani esaltando l’interventismo con queste parole: “siamo qui, con la consapevolezza e l’orgoglio di essere italiani” e “siamo orgogliosi dei nostri soldati” rire questo provvedimento, e cioè quello dell’imminente intervento in Libia a guida italiana e all’unità nazionalista e imperialista a cui tutti i partiti parlamentari vengono chiamati ad adeguarsi. Bisogna fare un passo indietro e ricordare che in questa legge era previsto anche l’articolo (il 19) che concedeva al presidente del Consiglio la facoltà di ordinare direttamente alle forze speciali, dotate per l’occasione di immunità speciali e licenza di commettere reati, azioni di supporto ai servizi segreti in territori stranieri in caso di “pericolo” per la sicurezza nazionale e altri casi di “emergenza”, tramite una catena di comando svincolata dalla stessa Difesa e rispondente solo a Palazzo Chigi. Con il solo obbligo di riferire entro 24 mesi al Copasir (Comitato interparlamentare per i servizi e la sicurezza), tenuto peraltro a mantenere il segreto. Su proposta del presidente della commissione Difesa del Senato, il PD ex dalemiano e ora renzianissimo Latorre, questo articolo venne inserito anticipatamente come emendamento al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali approvato lo scorso dicembre (il famigerato “emendamento Parigi”, perché l’operazione fu fatta approfittando dei recenti attentati di Parigi). E passò tra l’altro con il voto favorevole del M5S e l’astensione di SEL. Coinvolti nell’unità patriottarda anche SEL e M5S Ora è stato lo stesso Latorre a proporre e far approvare lo stralcio dell’articolo 19 dal ddl quadro, con la motivazione che essendo già stato approvato a dicembre col decreto missioni non era più necessario. È evidente invece che il vero motivo dello stralcio era evitare che questo articolo guerrafondaio venisse discusso in aula, e magari che passasse anche qualcuno dei tanti emendamenti pre- parati, rischiando di riaccendere i riflettori e le polemiche sull’intervento delle forze speciali in Libia che Palazzo Chigi aveva già preparato e poi dovuto rinviare ai primi di marzo. Sicché l’articolo stralciato sarà oggetto di un apposito ddl, ma nel frattempo resta pienamente utilizzabile da Renzi in qualsiasi momento. Inoltre, sempre su proposta del rinnegato Latorre, l’aula ha approvato l’allargamento del Copasir ad un altro senatore e un altro deputato, apposta per inserire due rappresentanti di Forza Italia che in questa legislatura non ne aveva nessuno. Si aggiunga a questo anche il fatto che sia SEL che il M5S si sono astenuti sulla votazione finale del provvedimento, e si avrà un quadro piuttosto eloquente del clima consociativo di unità nazionale patriottarda che si è instaurato tra i partiti borghesi di maggioranza e “opposizione” col governo e le forze armate, in vista dell’imminente intervento imperialista contro lo Stato islamico in Libia. In manette sei giudici e decine di commercialisti, avvocati, dirigenti, funzionari e dipendenti dell’Erario corrotti Tangenti alla Commissione tributaria Da Milano a Catania passando per Roma si profila una nuova Tangentopoli giudiziaria all’ombra della P3 Dopo la “cricca degli appalti pubblici” dell’ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci in cui venne coinvolto anche l’allora capo della Protezione civile nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Bertolaso, attuale candidato di Silvio Berlusconi a sindaco di Roma; adesso tocca alla “cricca dei giudici tributari” che in cambio di laute tangenti pilotavano i ricorsi in commissione in modo da far ottenere ai loro corruttori ingenti sgravi fiscali grazie anche a una fitta rete di losche relazioni con dipendenti dell’amministrazione finanziaria, civile e militare corrotti, avvocati, consulenti e commercialisti. Il 9 marzo con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla concussione e corruzione anche in atti giudiziari, tredici persone sono state arrestate dalla Guardia di Finanza del comando provinciale di Roma nell’ambito dell’operazione denominata “Pactum sceleris” che ha portato alla luce una vera e propria organizzazione criminale in grado di garantire a uno stuolo di grossi evasori fiscali scovati dagli accertamenti del Fisco di uscire vittoriosi nei ricorsi presentati innanzi alle commissioni tributarie o di ottenere consistenti sgravi di imposte dagli uffici finanziari. In manette sono finiti i giudici tributari Onofrio D’Onghia Di Paola, Salvatore Castello e il recidivo Luigi De Gregori, che già nel 2013 ebbe una condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione perché fu pizzicato in flagranza di reato con una tangente di 6 mila euro che gli era stata girata da un avvocato di 71 anni per “chiudere da gentiluomini un contenzioso con il Fisco”. I nove capi di imputazione che gravano ora sulla testa di De Gregori abbracciano un arco temporale che va dal maggio 2011 al giugno 2013, quindi prima dell’episodio che ha determinato la prima condanna. Gli atti d’inchiesta che lo riguardano partono infatti dal maggio del 2011 quando De Gregori convo- cò telefonicamente a casa sua il commercialista Arturo Mascetti per “presunti problemi ostativi all’accoglimento di due ricorsi” presentati per conto del Centro Equestre Chiara Piccola Scarl contro una serie di accertamenti emessi dall’Agenzia delle Entrate. Mascetti, durante l’incontro, si sentì chiedere da De Gregori il pagamento di 15mila euro per vedere accolti i suoi ricorsi e condannare la pubblica amministrazione al pagamento delle spese, quantificate in 6mila euro. Non solo. De Gregori spiegò al commercialista che la sentenza “poteva essere predisposta” dallo stesso diretto interessato. L’affare non andò in porto perché Mascetti si rifiutò di pagare e preferì denunciare tutto ai finanzieri della compagnia di Velletri, i cui accertamenti diedero così il via all’indagine della Procura di Roma. Le altre persone finite in carcere sono l’avvocato Giuseppe Natola, i commercialisti Rossella Paoletti e Salvatore Buellis, gli ex dipendenti di Agenzia delle Entra- te Daniele Campanile e Sandro Magistri, il funzionario dell’Erario Tommaso Foggetti e il finanziere Franco Iannella. Ai domiciliari invece sono finiti i commercialisti David De Paolis e Aldo Boccanera nonché Alberto Bossi, dipendente della commissione tributaria regionale di Roma. Tra gli indagati a piede libero c’è anche l’attore e doppiatore romano Massimo Giuliani, al quale viene contestato il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso per aver pagato una tangente da 65 mila euro per aggiustare una causa da tre milioni. Il percorso, spiegano gli investigatori, era noto solo agli addetti ai lavori ed era così rodato da garantire, dietro pagamento di ingenti somme o alla consegna di regalie di vario genere, il pieno successo di tutti i ricorsi proposti contro gli atti di accertamento del Fisco, anche dei più improbabili. Ma non è tutto. Perché a giudicare dagli sviluppi di varie altre inchieste aperte in diverse procure dal Nord al Sud dell’Italia, quella di Roma potrebbe essere solo la punta di un gigantesco iceberg che potrebbe dare avvio a una nuova Tangentopoli giudiziaria. Anche perché, come nel caso della “cricca degli appalti pubblici” e di avarie altre inchieste giudiziarie fra cui ultimo lo scandalo finanziario di Banca Etruria in cui è coinvolto il papà della ministra Boschi, anche in questo caso dietro al mercimonio aleggia sempre più inquietante l’omba della P3 i cui protagonisti si vantavano proprio del fatto di essere in grado di pilotare grandi processi tributari. A febbraio infatti in una inchiesta analoga condotta dalla procura di Catania è stato arrestato il giudice Filippo Impallomeni, 71 anni, presidente di sezione della commissione tributaria provinciale della città etnea, accusato insieme a due imprenditori, un commercialista e un cancelliere, di aver preteso tangenti in cambio di decisioni favorevoli. Mentre tra dicembre e gennaio scorso a Milano sono stati arrestati il giudi- ce Luigi Vassallo e il giudice onorario Marina Seregni. I due tributaristi sono accusati di corruzione in atti giudiziari per il caso della Dow Europe Gmbh, ma anche di aver pilotato un contenzioso da 14,5 milioni a favore della società Swe-Co, dell’imprenditore Luciano Ballarin (indagato) in cambio di 65mila euro. Il Gip Manuela Cannavale cita esplicitamente la “spregiudicatezza con cui si muoveva Vassallo, che sapeva di poter fare affidamento su Seregni e verosimilmente anche su altri giudici tributari e funzionari dell’Agenzia delle Entrare, per pilotare ricorsi, influenzare i giudizi dei collegi, sostituirsi nella redazione delle sentenze, a fronte della corresponsione di dazioni illecite da ripartire con i complici”. Infatti nell’inchiesta è indagato anche un giudice togato, Francesco Pinto, ex presidente del tribunale di Imperia, ex giudice a Monza, ora presidente della sezione 18 della Commissione tributaria provinciale di Milano. 4 il bolscevico / referendum 17 aprile N. 13 - 31 marzo 2016 Organizzare banchini per il Sì al referendum Occorre approfittare della campagna referendaria per organizzare banchini il più possibile, visto anche che per motivi organizzativi ed economici non è previsto di tenere dibattiti e comizi, salvo eccezioni, e che in questa occasione non c’è nulla da pagare per bolli e occupazione di suolo pubblico, l’autorizzazione va richiesta al Comune da un maggiorenne. I banchini sono molto importanti per una maggiore visibilità del Partito e per avere l’opportunità di un rapporto diretto con le masse per informarle dei contenuti e Creare Squadre di propaganda marxista-leninista per il Sì al referendum In occasione della campagna referendaria bisogna creare ovunque è possibile delle Squadre di propaganda del Sì al referendum contro le trivellazioni. Tale iniziativa può essere portata avanti anche da un solo militante o simpatizzante del PMLI, purché possa essere affiancato da almeno un simpatizzante o un amico del Partito che condivida la nostra parola d’ordine. Buona e proficua campagna referendaria, facciamo in modo che si raggiunga il quorum necessario alla validità del referendum, che non è scontato visto anche che il PD invita all’astensione, e che vincano i Sì. Lottiamo uniti per la vittoria del SI il 17 aprile! Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo Antonio del Polla iolo, 172a - 50142 FIR ENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: commiss [email protected] - responsabile: M. MARTE NGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 Sede centrale: Via Committente PARTITO M ARXISTA-LE NINISTA ITA LIANO in proprio scopi del referendum ed invitarle ad andare a votare e votare SI. Per organizzarli basta un tavolo e magari anche un gazebo, addobbati e attrezzati con il materiale di propaganda referendaria, il Documento del Partito, manifesti e volantini, Il Bolscevico, opuscoli di Scuderi e altre pubblicazioni, le bandiere dei maestri e del PMLI, un megafono o un impianto voce, dandone notizia alla stampa e media locali con un comunicato. Stampato Al referendum del 17 aprile per salvaguardare la salute, la natura e l’ambiente, per le energie rinnovabili il PMLI invita a votare SI CONTRO LE TRIVELLAZIONI come ha ben argomentato nel Documento dell’Ufficio politico pubblicato sul n. 11/2016 de “Il Bolscevico”. “La vittoria del Sì bloccherà tutte le concessioni per estrarre petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana quando scadranno i contratti…- afferma il Documento - La nostra indicazione di partecipare al suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni amministrative politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo”. Il Documento dell’Ufficio politico riporta anche delle indicazioni preziose per svolgere al meglio la campagna referendaria: per salvagndum del 17 aprile la naturauardare la salute per le ene e l’ambiente rgie rinno vabili n. 515) Organizziamo banchini e Squadre di propaganda per il Sì al referendum A l re f e re www.pmli.it Il quesito referendario a cui votare Sì “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?” Sì Al referendum sulle trivellazioni in mare del 17 aprile Il PD si asterra’ per impedire che si raggiunga il quorum Un bel regalo ai petrolieri e un danno alla salute, alla natura ed all’ambiente Il PD, attraverso il suo rappresentante Lino Paganelli, ex bersaniano poi passato a Renzi dal 2012, ha comunicato che il PD farà campagna per l’astensione al referendum del prossimo 17 aprile sulle trivellazioni in mare, con il chiaro intento non dichiarato di farlo fallire. La conferma ufficiale arriva in una nota firmata da Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. “Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili e non blocca le trivelle”, affermano i vicesegretari del PD. Si dichiara stupita la minoranza PD e afferma di non capire come e quando la scelta sia maturata e quale criterio numerico è stato adottato per poter dire che il PD sostiene l’astensione. Timidamente costoro rivendicano quanto prima una conta per stabilire il merito o meno dell’uso del simbolo anche se ormai i giochi sono fatti. Nel partito di governo esplodono le polemiche poiché se è vero che, come annunciato dal presidente Matteo Orfini voterà alla riunione della direzione del PD (poi rinviata), è altrettanto vero che di fatto questa consultazione non potrà essere nulla di più della ratifica di una deliberazione già presa e già prepotentemente comunicata all’Agcom. Ecco dunque l’ennesimo sberleffo di Renzi ad una minoranza che continua a subire continui colpi di mano senza reagire come dovrebbe, se davvero volesse porre rime- dio alla deriva fascista di Renzi in seno al suo partito, e rimanendo timidamente polemica ma certamente accucciata al fianco del suo padrone. A ribadire le posizioni della segreteria PD, i cui componenti secondo alcune ricostruzioni giornalistiche non sarebbero neppure stati informati nella loro totalità rispetto alla scelta dell’astensione, è Ettore Rosato, capogruppo alla Camera, che opportunisticamente dichiara l’inutilità del referendum e paventa il rischio di posti di lavoro qualora le piattaforme d’estrazione fossero chiuse. In pratica, “se il referendum passerà l’Italia dovrà licenziare migliaia di persone e comprare all’estero più gas e più petrolio” è il motto col quale il PD sostiene gli interessi dei petrolieri. Una menzogna colossale che mostra la vera demagogia dei dirigenti del PD, messi con le spalle al muro dal timore di vedersi sottratta la norma col referendum; in realtà le estrazioni perdurerebbero fino al termine delle concessioni, dando tutto il tempo per variare il modello di produzione energetica verso le rinnovabili, riconvertendo tutto il personale impiegato nelle piattaforme che andranno via via dismesse ed offrendo nuove possibilità occupazionali. Il timore per questo passaggio, di fatto in parte forzato dalla vittoria del Sì, potrebbe creare numerosi grattacapi ai petrolieri se la scarsa quantità e qualità del gas e petrolio ora estratto, fosse superata dalla quantità e dalla qualità, unitamente al risparmio economico, alla maggiore tutela della salute pubblica e dell’ambiente, dalle nuove produzioni “verdi” delle neonascenti “centrali” alimentate da rinnovabili. Quale futuro allora si prospetterebbe per le piattaforme ubicate oltre le 12 miglia che rimangono, referendum a parte, i due terzi del totale? Un esperimento che il governo Renzi, amico dei petrolieri, non ha nessuna intenzione di fare per poter continuare bellamente a foraggiare le multinazionali del petrolio agevolandone l’attività di ricerca di nuovi giacimenti e riservando loro le royalties più basse dell’intero pianeta. Romano Prodi, ex presidente del consiglio e della Commissione Ue, ma anche a lungo al timone dell’Iri dai primi anni ’80 e artefice dei licenziamenti di massa in vista della futura privatizzazione degli anni ’90, è entrato nella discussione interna al PD non prendendo una posizione netta né per il voto, né per l’astensione, ma limitandosi a dire che se dovesse votare, voterebbe No contro quello che lui definisce un “suicidio nazionale”. Gianni Cuperlo e Roberto Speranza invitano il PD a cambiare posizione sulla vicenda delle trivelle poiché a loro avviso sarebbe inaccettabile immaginare un grande partito, il più grande del Paese, che inviti la popolazione all’astensione. Rimane un dato di fatto che in tutti i programmi elettorali del PD alle recenti amministrative, così come nelle Regionali ed alle liste europee, si diceva di voler rinunciare al petrolio e alle risorse fossili per puntare su solare e eolico; così com’è un altro dato incontrovertibile la linea imposta da Renzi, quella dell’astensione, novità assoluta per il partito storicamente inteso, per il PCI-PDSDS-PD che mai ha proposto così di disertare le urne. Tradimenti su tradimenti, in primis a quell’elettorato che ancora una volta si è fidato del nuovo duce di Rignano sull’Arno poiché portavoce di svolte ambientaliste. Nonostante quindi l’imbarazzo generale, considerato che sette delle nove regioni che l’hanno proposto siano amministrate dal PD, il partito del Presidente del Consiglio preferisce vigliaccamente la fuga al confronto referendario fortemente voluto dall’associazionismo ambientale e dal resto dei promotori che stanno portando avanti fra mille difficoltà e boicottaggi la propria campagna referendaria. Del resto la posizione del PD è di fatto conseguente agli altri strumentali avvenimenti governativi quali l’aver evitato di accoppiare il referendum con le prossime elezioni amministrative, e l’individuazione della data referendaria al 17 aprile riducendo al massimo lo spazio della campagna elettorale che, ufficialmente partita da 15 giorni, è al momento soggetta a mistificazioni e falsità di ogni genere, in primis l’occupazione e l’assoluta mancanza di rischi per la salute e per l’ambiente, smentita scientificamente da un recente rapporto di Greenpeace sull’inquinamento dei nostri mari, che martella gli italiani sui media di regime ad ogni occasione. Puntare sull’astensione è la scelta più comoda per il governo, che teme la vittoria dei Sì sia per gli effetti diretti – le concessioni attive entro le 12 miglia marine non potranno essere rinnovate – sia per le conseguenze politiche poiché l’affermazione referendaria potrebbe scardinare la prepotenza ducesca del premier e del governo, anche in vista di quello costituzionale di ottobre che, fra l’altro, vanta un fronte unito di sostegno ancora più ampio e consistente. Naturalmente Renzi sa che il mancato raggiungimento del quorum è l’unica possibilità che il governo ha per battere il SI se il referendum sarà reso valido dall’affluenza del 50% +1 degli italiani. Eppure, in altra consultazione referendaria di un decennio fa sulla procreazione assistita quando i politici cattolici e la conferenza episcopale italiana guidarono la campagna per l’astensione, gli allora DS parlarono di “trucco furbesco” e invitarono lo Stato del Vaticano a non interferire con le scelte degli elettori italiani. L’assoluta prepotenza ed onnipotenza di Renzi e della maggioranza del suo partito passa oltre anche alle evidenti critiche alle quali si sottopone dal momento in cui si crea il paradosso fra una continua ricerca del voto e la demonizzazione dell’astensionismo alle consultazioni politiche che lasciano agli eletti “carta bianca” per la legislatura, e l’invito all’astensione referendaria quando invece, pur considerati i limiti stessi dei referendum, la popolazione ha effettivamente la possibilità di decidere su quella specifica questione. Noi ci auguriamo che questo episodio, l’ennesimo, che mostra l’arroganza del governo Renzi, sia capace di unire ancora di più le masse già coscientemente No Triv e rappresenti un elemento per tutti gli antifascisti ed i progressisti ancora presenti all’interno del PD affinché essi possano finalmente prendere coscienza della vera natura del PD stesso e del governo, che ogni giorno di più mostra il suo vero volto antipopolare, neofascista, al servizio di petrolieri e banche ed assolutamente distante dalla salvaguardia della salute pubblica, dell’ambiente e del lavoro e che tradisce, affossandole ad ogni occasione, qualsiasi speranza di passaggio massiccio alle fonti energetiche rinnovabili. referendum 17 aprile / il bolscevico 5 N. 13 - 31 marzo 2016 e l i r p a 7 1 l e f e re n d u m d e t u l a s a l e r a d r a u g a v l a s e per t n e i b m a ’ la natura eiel rinnovabili g r e n e e l r e p le trivellazioni ma solo quelle entro le 12 miglia dalla costa; il che rappresenta un passo in avanti ma contemporaneamente rimarrebbero in piedi, oltre ad altre piattaforme esistenti, tutte le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le multinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi. Attraverso il referendum e partecipando attivamente alla campagna referendaria però, sarà possibile sensibilizzare e attivizzare la popolazione al fine di creare consapevolezza affinché si possa davvero archiviare quantomeno l’idea di un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale opportunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica. Stampato in proprio respon Committente sabile: M. MARTE NGHI (art. 3 - Legge 10.12.9 3 n. 515) A l re NO A I L A T I A T S I N I N -LE A T S I X R A M O T I PART t pmli.it - www.pmli.i ail: commissioni@ fax 055.5123164 e-m e l. Te -ZE EN FIR 2 2a - 5014 tonio del Pollaiolo, 17 Sede centrale: Via An I marxisti-leninisti voteranno Sì e invitano l’elettorato a votare Sì al referendum sulle trivellazioni che si svolgerà il prossimo 17 aprile, e sono già impegnati a partecipare ai Comitati per il Sì che si stanno creando a livello territoriale. Il quesito referendario sulle trivellazioni, l’unico sopravvissuto dei sei iniziali proposti da 9 regioni italiane e dal mondo ambientalista No Triv e non superato dalle modifiche introdotte in seguito dal governo, contesta la norma secondo la quale le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”. Il governo sta tentando di ostacolare l’espressione del voto referendario con tutti i mezzi, arrivando addirittura a sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni amministrative di giugno. Comm. resp.: Monica Martenghi (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) Se vincerà il SÌ, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del “codice dell’ambiente”, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del SÌ bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti. È necessario considerare anche che quando si parla di trivellazioni “offshore”, nessuno può escludere al cento per cento malfunzionamenti o incidenti. Pur gravi ovunque, in un mare chiuso come il Mediterraneo un disastro petrolifero causerebbe danni ingenti e probabilmente irreversibili. Fra l’altro è criminale accettare tali rischi per recuperare, come ammette anche il governo, riserve certe di petrolio che nei mari italiani equivarrebbero a neanche due mesi di consumi nazionali, unite a prelevamenti di gas che ne soddisferebbero non più di sei. Ad onor del vero non pensiamo che la lotta su questo fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria, tanto più visto l’esito tuttora disatteso dell’altro grande referendum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente partecipato e stravinto. Va considerato inoltre che, una volta abrogata la norma in oggetto, non saranno sospese tutte La nostra indicazione di partecipare al suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni amministrative, politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo. Per quanto riguarda i referendum, trattandosi di scelte concrete, il PMLI stabilisce di volta in volta se partecipare o no e quale voto indicare, in base al quesito posto, alle circostanze politiche e a ciò che è più vantaggioso per il proletariato e le masse popolari sfruttate e oppresse e per la lotta di classe. In questo referendum chi si oppone a scelte sbagliate in materia energetica, che mettono a rischio la salute, la natura e l’ambiente e, più in generale, chi vuol dare un colpo alla politica antipopolare, energeticamente obsoleta ed estremamente pericolosa di Renzi, deve andare a votare e votare SÌ. Deve farlo anche nell’ottica di servire un amaro antipasto al governo in previsione del referendum che si terrà il prossimo autunno sulle controriforme del Senato ed elettorale piduiste e fasciste. Allora andrà votato NO. Per noi marxisti-leninisti il referendum non è lo strumento privilegiato per far affermare i diritti del proletariato e delle masse. Per noi la lotta di classe, di massa e di piazza resta il migliore e più proficuo metodo per difendere le conquiste dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne e degli studenti, anche sul fronte ecologico, e strapparne di nuove alla classe dominante borghese in camicia nera e al suo governo. Tant’è vero che proprio la mobilitazione e la lotta sono state determinanti anche in questa occasione, affinché si svolgesse il referendum. Attualmente la lotta di classe, di massa e di piazza è tanto più decisiva e necessaria dal momento in cui il regime capitalista e neofascista amministrato dal governo Renzi ha reso ancor più angusti e limitati gli spazi democratici borghesi, ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari e sta seguendo le orme nazionaliste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Nord Africa, del Medio Oriente e del mondo. Ciononostante riteniamo assolutamente necessario partecipare al referendum contro le trivellazioni e facciamo appello affinché tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore l’ambiente e vogliono una politica energetica basata sulle fonti rinnovabili, si uniscano in questa battaglia e aderiscano e sostengano i Comitati per il Sì, a partire dall’intera CGIL e dagli antifascisti dell’ANPI. Noi faremo la nostra parte. Lottiamo uniti per la vittoria del SÌ il 17 aprile! Astensionisti, data la posta in gioco e il carattere della consultazione, votate e votate SÌ. Potreste essere determinanti per raggiungere il quorum! (Sintesi tratta dal Documento dell’Ufficio politico del PMLI, dell’8 Marzo 2016) 6 il bolscevico / lavoratori N. 13 - 31 marzo 2016 Crollate le assunzioni stabili, alle stelle i voucher Con il sistema degli assegni viene scavalcato il sistema contrattuale e favorito il lavoro nero Una martellante campagna mediatica sta cercando di offrire un’immagine dell’Italia completamente falsata con l’intento di farci credere che il Paese sta uscendo dalla crisi e si appresta ad attraversare un periodo di crescita e sviluppo. Ci riferiamo in particolare alla situazione economica e occupazionale, gravata da 8 anni di devastante crisi economica del capitalismo globalizzato che ha colpito tutti i continenti. A livello europeo l’Italia è tra le nazioni dove si è registrato il maggior calo di potere d’acquisto tra i lavoratori dipendenti, saldo negativo del prodotto interno lordo (pil), occupazione in picchiata. Una situazione che ha avvicinato l’Italia alla Grecia, dove il crac economico finanziario è stato momentaneamente evitato solo grazie a una cura da cavallo che ha colpito e impoverito le masse popolari. I mass-media di regime stanno continuamente diffondendo dati ottimistici: entusiastici commenti all’aumento del pil dello 0,8% registrato nel 2015, grande enfasi sopratutto sulla diminuzione della disoccupazione. Immancabili gli interventi del capo del governo attraverso twitter e facebook, rilanciati da tg e siti internet compiacenti. “Il boom del Jobs Act è impressionante. Nei due anni del nostro governo abbiamo raggiunto l’obiettivo di quasi mezzo milione di posti di lavoro stabili in più... con questo governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno su”. Ha commentato attraverso la tastiera il nuovo duce Renzi, con la consueta faccia di bronzo che lo contraddistingue. Non ci soffermiamo sulle tasse perché è sotto gli occhi di tutti come lavoratori, pensionati e autonomi siano sempre più torchiati. Intendiamo invece chiarire alcuni aspetti riguardo al presunto aumento dell’occupazione e al vero e proprio boom avuto dai voucher, ossia quel sistema di pagamento del dipendente che si colloca completamente al di fuori dei contratti nazionali di lavoro. Gli ultimi dati dell’Istat del mese di gennaio 2016 ci dicono che le assunzioni sono calate del 23% rispetto all’anno precedente (120 mila unità) e del 18% (94 mila unità) rispetto al gennaio 2014. Senza gli stessi sgravi contributivi garantiti dal governo Renzi sono crollati sopratutto i contratti a tempo indeterminato: secondo l’Osservatorio sul precariato dell’Inps, con meno 70 mila unità, pari a -39% rispetto a gennaio 2015. Rispetto al gennaio 2014 risultano 50 mila contratti in meno (-32%). Si è perciò invertita quella tendenza all’aumento pressoché costante per tutto il 2015 che aveva portato a un saldo positivo di 563mila nuove assunzioni, senza tuttavia dimenticare che queste erano solo formalmente stabili poiché fatte con il Jobs Act che nei primi 3 anni permette il licenziamento anche senza giusta causa. Questo dato evidenzia come la nuova occupazione con il Jobs Act non è dovuta tanto alla libertà di licenziamento, pur importante per i padroni, ma ai for- tissimi sgravi contributivi. Questi sono stati prorogati al 2016 sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato, o per meglio dire sui contratti a tutele crescenti, ma limitati al 40% fino a un tetto massimo di esonero pari a 3mila 250 euro, e valido per due anni (l’anno scorso era al 100% fino a 8mila 40 euro, e per tre anni). Questa diminuzione ha reso meno conveniente questo tipo di contratto e vista la connessione tra le due cose è prevedibile che quando cesserà la decontribuzione il saldo ancora positivo si azzererà del tutto. Altri dati divulgati dall’Inps confermano l’effetto determinante dell’esonero contributivo triennale, introdotto dalla legge di stabilità 2015, sull’incremento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Su 2,5 milioni di attivazioni, oltre 1,5 milioni, pari al 62% del totale, risultano beneficiarie degli sgravi. Dai dati dell’istituto di statistica possiamo dedurre che l’aumento dei contratti “stabili” a dicembre 2015, pari a 380 mila rapporti di lavoro – la maggior parte dei quali trasformazioni dei vecchi contratti già esistenti – è stato provocato da una “coda” degli incentivi del 2015. A conferma della tendenza abbiamo visto prima il boom, pari a 11 volte la media dei mesi precedenti (pari a 106 mila rapporti di lavoro), e poi il crollo attuale. Di pari passo abbiamo assistito all’aumento vertiginoso dei voucher. Con questo termine inglese, che significa all’incirca assegno, buono, si definisce quel tipo di rapporto riservato ai lavori occasionali. Questi furono introdotti nel lontano 2003 attraverso la legge 30, la controriforma Biagi con cui il governo Berlusconi liberalizzò ulteriormente il mercato del lavoro già pesantemente aggredito attraverso il Pacchetto Treu del 1997 con in carica il governo Dini. Doveva essere un provvedimento marginale, riservato a un numero ristretto di persone, pensato, si diceva, per lavoretti di giardinaggio, pulizie domestiche, ripetizioni scolastiche, opere di volontariato e attività similari che solitamente non sono regolamentate. La sua introduzione fu presentata proprio come un provvedimento atto a contenere e far emergere il lavoro nero, modalità con la quale generalmente vengono svolte queste attività e che invece nella pratica si è dimostrato l’esatto contrario: la legalizzazione del lavoro irregolare. Partiti in sordina sono esplosi, non a caso, nel 2008-2009, gli inizi della crisi. Negli stessi anni il governo ne ampliò i comparti di utilizzo e i destinatari che potevano essere anche i percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito. Un’altra svolta fondamentale si è avuta con la controriforma Fornero del 2012 che sancì la definitiva liberalizzazione dello strumento, estendendone l’applicazione a tutti i settori, anche se introdusse alcune restrizioni: il valore nominale dei buoni (pari a 10 euro) venne ancorato alla retribuzione oraria e venne introdotto il limite di 2.000 euro quale reddito annuo percepibile dal lavoratore da ogni singolo committente. Infine non poteva mancare l’intervento peggiorativo del Jobs Act, che ha alzato il tetto massimo di reddito annuo percepibile da 5.000 a 7.000 euro e ha confermato l’impossibilità di accedere alle misure di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, malattia e maternità proprio perché il voucher non è, appunto, un contratto di lavoro. L’utilizzazione dei voucher, com’è facilmente intuibile, rappresenta una delle peggiori forme di sfruttamento del lavoro precario, dove il contratto di lavoro viene completamente scavalcato e messo da parte, e con esso tutti i diritti connessi. Il lavoratore viene pagato con 10 euro l’ora (7,50 al lavoratore, il resto all’Inps), una specie di reddito mini- mo senza alcuna contrattazione sindacale, dopodiché è alla completa mercé del padrone di turno che lo può utilizzare come meglio crede. Un rapporto di lavoro sempre in crescita che sfrutta sopratutto il lavoro giovanile, nel terziario e in particolar modo nel settore turistico e agricolo perché più vantaggioso dei contratti stagionali. I voucher sono molto usati nelle amministrazioni pubbliche: il Nord e la Toscana sono l’area con il maggiore volume di voucher acquistati, ma è il Centro-Sud a far registrare le variazioni più intense. Oltre a evitare le norme contrattuali e al vantaggio economico l’altro aspetto che invoglia i padroni al suo utilizzo è quello di essere uno strumento molto adatto all’elusione ed evasione fiscale. Nell’attivare il voucher il datore di lavoro indica solo la data di inizio e fine dell’even- tuale prestazione, ma non l’orario. Un lavoratore potrebbe farsi male la mattina e il datore di lavoro attivare il voucher, per stare a posto con la legge, solo successivamente. Oppure un committente può acquistare un certo numero di buoni e tenerli nel cassetto utilizzandoli solo quando teme o prevede dei controlli. Tutto questo spiega bene perché solo dal 2013 al 2015 la percentuale di utilizzo è cresciuta del 311% e nel 2015 oltre 1 miliardo di euro sono stati pagati ai lavoratori in voucher per un totale di 115 milioni di buoni e con un incremento rispetto all’anno scorso del 66%. I primi dati del 2016 confermano il trend: a gennaio +36% rispetto allo stesso mese del 2015. La Cgil, come ha richiesto nella proposta della Carta dei Diritti universali del Lavoro, ne rivendica la regolamentazione attraverso la tracciabilità, noi marxisti-leninisti pensiamo invece che questa forma di lavoro nero legalizzato rappresentata dai voucher vada completamente abolita. Per evitare la contestazione dei lavoratori all’inaugurazione sulla Salerno-Reggio Calabria La polizia di Renzi sequestra e dirotta pullman di manifestanti “È una censura organizzata, un’ulteriore mortificazione dei lavoratori che chiedono solo rispetto del loro diritto da più di un anno. Questo non è uno Stato democratico. L’Italia in questo momento vive un momento simile al fascismo. È bene che si sappia: la Calabria non sta rinascendo, che non raccontino favole”. Questa è la giusta e forte denuncia dei lavoratori della ex provincia di Vibo Valentia che, da più di 5 mesi sono senza stipendio, esasperati e indignati volevano contestare il nuovo duce Renzi, venuto a Mormanno, il 10 marzo scorso, per presiedere una scenografica e autocelebrativa cerimonia per l’abbattimento dell’ultimo diaframma di una galleria dell’infinito completamento dell’autostrada SalernoReggio Calabria. Ma non è stato possibile perché il pullman dove si trovava una delegazione di 50 dei 200 lavoratori dell’ente, su diretta indicazione di Renzi, è stato bloccato da una pattuglia della Polizia stradale all’altezza di Tarsia che ha impedito loro di proseguire per “motivi di ordine pubblico”. Nella piazzola i lavoratori hanno srotolato uno striscione e tentato di opporsi al diktat mussoliniano ma il pullman, sequestrato dalla Polstrada, con un agente salito a bordo per evitare “colpi di testa”, è stato scortato per uscire dall’autostrada e dopo ore di trattative dirottato su Cosenza. Intanto a Vibo la restante parte dei lavoratori ha continuato la protesta davanti alla sede della provincia. Alfredo Iorno, segretario generale della Fp Calabria accusa: “è stata negata una richiesta di visibilità per non inficiare la narrazione di questo governo, applicando con miopia ed eccesso di zelo il protocollo di sicurezza”. Ma la cosa è ancor più grave di come la presenta Iorno: Renzi, come Mussolini, non ammette “disturbatori” e sabotatori, non accetta il dissenso, le critiche o malumori, gufi o detrattori; è il despota indiscusso che esercita il suo potere assoluto pronto alle “deportazioni” pur di eliminare i dissidenti. Un preoccupante precedente, un grave atto repressivo che cancella di fatto, senza bisogno di nuove leggi liberticide, ogni diritto democratico-borghese, un modo più che diretto per intimidire i lavoratori in lotta e far loro piegare la testa. È fascismo aperto, come hanno prontamente denunciato i lavoratori. I lavoratori “eliminati” dalla farsa teatrale di Mormanno, dove Renzi ha potuto lanciare indisturbato l’ennesima promessa del completamento dell’opera entro fine anno, sono stati portati in piazza a Cosenza dove il questore è riuscito a programmare l’incontro con Renzi. Ma nemmeno qui hanno potuto esprimere le loro ragioni; è stato consentito a una ancora più stretta delegazione di incontrare il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Luca Lotti e il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio strappando ai due esponenti di governo una verifica su questo punto, sempre più urgente, quantomeno per tappare le falle, visto che “la scellerata legge Delrio” di cancellazione delle province è stata attuata senza provvedere alla ricollocazione dei lavoratori e alla riorganizzazione del servizio. Dopo l’inconsistenza delle risposte ottenute lo stato di agitazione è quindi permanente: i lavoratori sono in assemblea e, in assenza di risposte certe, non si recheranno nei propri uffici. interni / il bolscevico 7 N. 13 - 31 marzo 2016 Pieno successo dello sciopero generale del 18 marzo Allo sciopero generale del 18 marzo indetto da Cub, SGB, S.I. Cobas e Usi Ait hanno aderito centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori. In migliaia han- no partecipato alle manifestazioni organizzate a Milano, Napoli e Firenze contro le politiche di guerra, per le libertà sindacali e sociali, per la difesa dei diritti, del salario e del welfare; in molte altre città si sono organizzati manifestazioni e presidi molto partecipati. Nella foto un momento del corteo di Milano. Nell’iniziativa promossa da Libera 350 mila in piazza contro le mafie Lunedì 21 marzo in oltre 2.000 comuni del nostro Paese, dal Nord al Sud, in più di 350 mila sono scesi in piazza nell’iniziativa contro le mafie promossa dall’associazione Libera. Tantissimi ragazze e Le mazzette ammonterebbero a 1,2 milioni ragazzi delle scuole medie superiori si sono uniti ai lavoratori delle fabbriche, della scuola, dell’università e alle tante associazioni cattoliche e laiche per dire no alla mafia e alla corruzione e ricordarne le vittime innocenti: in simultanea alle 11 in tutte le piazze sono stati letti i 900 nomi delle vittime. Nella foto un momento della manifestazione di Messina che ha visto sfilare oltre 50 mila manifestanti. L’ex portavoce di Napolitano e i suoi sette assessori nel mirino della magistratura Arrestate per tangenti sui rifiuti Il sindaco di Barletta sindaca e assessore FI di Maddaloni Cascella indagato per Il 7 marzo la neopodestà di Maddaloni (Caserta), Rosa De Lucia, eletta nel 2013 con il Popolo della Libertà, è stata arrestata su ordine della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere con l’accusa di aver ricevuto tangenti per affidare il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani alla società Dhi Holding Industriale spa dell’imprenditore Alberto Di Nardi. Insieme alla sindaca forzista sono finiti in carcere anche l’assessore alla Cultura Cecilia D’Anna, il consigliere comunale Giuseppina Pascarella (“amica del cuore” di Francesca Pascale, la fidanzata di Silvio Berlusconi), il consigliere di maggioranza Giancarlo Vigliotta e lo stesso Di Nardi tutti accusati a vario titolo di corruzione, tentata induzione indebi- ta e peculato in concorso. Secondo i Pubblici ministeri (Pm), Di Nardi, per ottenere l’appalto quinquennale inerente la gestione dei rifiuti, ha pagato alla De Lucia mazzette di 10/15 mila euro al mese per un ammontare complessivo di circa 1,2 milioni di euro più un serie di favori, finanziamenti elettorali, sponsorizzazioni e regàlie varie al fine di rinnovare e consolidare nel tempo il mercimonio politico-imprenditoriale. In sostanza, scrivono gli inquirenti nel mandato di arresto, Di Nardo è stato utilizzato come una “sorta di bancomat della De Lucia“. Nell’inchiesta sono indagati per corruzione anche il consigliere Gennaro Cioffi e il comandante della Polizia municipale Bartolo- meo Vinciguerra. Il procuratore Maria Antonietta Troncone ha precisato fra l’altro che la Dhi ha ottenuto, tra il 2013 e il 2015, “l’emissione di ordinanze di proroghe trimestrali degli affidamenti diretti del servizio di igiene urbana, comportanti un impegno di spesa di 423mila euro, in modo illegittimo sia per la mancanza dei presupposti di eccezionale e urgente necessità, sia perché eccedenti i limiti massimi di 18 mesi”. A tal fine ha sottolinato ancora Troncone “le frequentazioni tra il sindaco e l’imprenditore erano quasi quotidiane”. Inoltre Di Nardi, su richiesta del sindaco, ha proceduto all’assunzione all’Intergair spa, sua controllata, del fratello di un consigliere comunale di Mad- daloni; ha erogato “benefici sul piano politico ed elettorale” con “sponsorizzazioni di vario tipo e importo, tra le quali 500 euro per la manifestazione Stop femminicidio e circa 5mila euro per la realizzazione di 600 metri di luminarie in via Napoli per l’anno 2015, per dare copertura economica ad attività patrocinate dal Comune e dal sindaco in persona”. Affinché il rapporto “corruttivo” potesse proseguire nel tempo, Di Nardi avrebbe inoltre fornito aiuto al sindaco e soprattutto soldi per comprare il voto favorevole di alcuni consiglieri in Consiglio comunale e quindi “sanare i dissidi interni alla maggioranza consiliare e assicurarsi la prosecuzione dell’attività consiliare, e quindi del suo mandato di sindaco”. abuso d’ufficio L’inchiesta riguarda gli eventi per la rievocazione della Disfida affidati senza bando L’ex portavoce di Napolitano al Quirinale e attuale sindaco piddino di Barletta, Pasquale Cascella, dal 5 marzo è indagato insieme ad altri sette assessori della sua giunta di “centro-sinistra” per abuso d’ufficio in un’inchiesta aperta dalla procura di Trani. L’accusa è incentrata sugli atti, deliberati l’11 agosto 2015, con i quali furono approvati e affidati tutti gli eventi e i servizi per celebrare la rievocazione della “Disfida di Barletta” avvenuta il 13 febbraio 1503 nella piana tra Andria e Corato. L’inchiesta è partita da un esposto presentato dal Movimento 5 Stelle e controfirmato dalla consigliera regionale Grazia Di Bari e dal deputato Giuseppe D’Ambrosio, secondo cui quei servizi furono affidati senza le necessarie procedure di evidenza pubblica previste dalla legge. Insieme all’ex editore del “Tempo” fascista coinvolti nella nuova inchiesta dieci funzionari e impiegati del Campidoglio, “corrotti con soldi ma anche con case e viaggi” Il palazzinaro Bonifaci indagato per tangenti Mazzette di contanti, favori, regali, case e soggiorni vacanze in cambio di permessi edilizi e cambio di destinazione d’uso di terreni e immobili di pregio. Protagonisti della nuova bufera giudiziaria che investe ancora una volta il Campidoglio sono il boss dell’edilizia nonché ex editore del quotidiano fascista “Il Tempo” Domenico Bonifaci, il funzionario del IX Dipartimento di Roma Capitale, Antonello Fatello e un suo impiegato dell’ufficio programmazione ed attuazione urbanistica, tutti accusati di corruzione insieme ad altri tre professionisti e sei dipendenti del gruppo Bonifaci nell’ambito dell’inchiesta ribattezzata la cupola capitale del mattone. All’alba del 18 febbraio la Guardia di finanza del Nucleo speciale anticorruzione ha bussato alla porta del costruttore romano per notificargli l’avviso di garan- zia e procedere alla perquisizione degli uffici situati nel quartier generale del gruppo in via Bertoloni ai Parioli. Lì i finanzieri hanno trovato le carte che cercavano per incrociarle con quelle in parte già acquisite negli uffici comunali. In tutto sarebbero almeno sette le pratiche sospette ora al vaglio del pubblico ministero Erminio Amelio, che si riferiscono al periodo 2013-2015. L’indagine è nata da una costola dell’operazione “Vitruvio” che portò nel 2015 alla sbarra (il processo è attualmente in corso) 39 persone fra imprenditori, vigili urbani e dipendenti comunali pagati per non andare a fare controlli nei cantieri in cui c’erano abusi, o per chiudere un occhio di fronte a cambi di destinazione d’uso di locali (lavatoi trasformati in bagni e cantine in sale hobby) o ancora fascicoli che documentavano aumenti di cubature sproporzionati rispetto al progetto presentato, fatti sparire. Tra i grandi cantieri in odore di mazzette e di “prossima realizzazione” spiccano il complesso immobiliare di prestigio, “Palazzo Raggi”, antica sede del Banco di Santo Spirito, nel centro storico di Roma in via del Corso. Lo stabile del ’700 è costato l’iscrizione sul registro degli indagati, per abuso d’ufficio, a undici ex assessori comunali. Nella lista spiccano i nomi degli ultimi due titolari dell’Urbanistica, Marco Corsini (giunta Alemanno) e Giovanni Caudo (giunta Marino). Per non parlare del Ripetta Parking, un parcheggio interrato nel cuore della città, mentre all’Eur era prevista la realizzazione di un centro direzionale e commerciale. Dei sei antichi casali “misteriosamente” trasformati in una mega lottizzazione a Grottaperfetta da cui sono stati ricavati 32 palazzi di sette piani, al confine con il museo a cielo aperto dell’Appia antica. Tutto grazie al boss delle concessioni edilizie Fatello, l’intoccabile dirigente del Campidoglio, l’unico funzionario a uscire indenne dalle inchieste su “Mafia capitale” e a rimanere in sella anche dopo le dimissioni della giunta Marino il quale, in combutta con l’assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo (anche lui indagato nell’inchiesta), bloccò il suo trasferimento al dipartimento Mobilità già disposto fin dal 13 agosto 2015 per “dare continuità alle attività amministrative in corso presso il Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica”. Dal suo ufficio all’Eur sono passati anche il progetto di trasformazione dell’ex sede liberty della Zecca dello Stato nel cuore dei Parioli e quello per la mutazione a uso commerciale dell’Istituto Geologico di largo Santa Susanna. Affari, lavori e soprattutto mazzette per milioni di euro che rischiano di trascinare sul fondo anche una buona fetta del “mondo di sopra” fatto di politicanti borghesi corrotti e di palazzinari senza scrupoli. Numero di telefono e fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo. 8 il bolscevico / corruzione N. 13 - 31 marzo 2016 Per le spese da sindaco e per quelle della Onlus A metà ottobre 2015 l’allora sindaco dimissionario di “Mafia capitale”, Ignazio Marino, aveva assicurato di sentirsi “tranquillo” e di aver “chiarito tutto” ai Pubblici ministeri (Pm) di Roma che indagano sulla scandalosa vicenda delle cene private (spacciate per istituzionali) e quindi pagate con la carta di credito del Comune, ossia coi soldi rubati al popolo. Invece, il 23 febbraio scorso, la Procura capitolina ha notificato all’ex neopodestà piddino un doppio avviso di chiusura indagine per peculato, falso e truffa inerenti non solo le false fatture dei ristoranti e relativi giustificativi ma anche per la scandalosa ge- Marino inquisito stione della onlus “Imagine” che l’allora senatore PD Marino aveva fondato e presieduto sino alla sua elezione in Campidoglio. Nel capo di imputazione, preludio di un ormai imminente rinvio a giudizio, il procuratore Pignatone, l’aggiunto Caporale ed il sostituto Felici contestano a Marino di essersi appropriato “ripetutamente della dotazione finanziaria dell’ente” utilizzando, tra il 2013 e il 2015, la carta di credito istituzionale per “acquistare servizi di ristorazione nell’interesse suo, dei suoi congiunti e di altre persone non identificate”. All’incirca 13 mila euro per 56 cene “consumate presso ristoranti della capitale e anche di altre città (Genova, Firenze, Torino) ove si era recato, generalmente nei giorni festivi e prefestivi, con commensali di sua elezione, suoi congiunti e altre persone non identificate, comunque al di fuori della funzione di rappresentanza dell’ente”. Non solo: “al fine di occultare il reato” l’ex sindaco “impartiva disposizioni al personale addetto alla sua segreteria affinché formasse le dichiarazioni giustificative delle spese sostenute, inserendovi indicazioni non veridiche, tese ad accreditare la presunta natura istituzionale dell’evento ed apponendo in calce” la sua firma. In sostanza, Marino avrebbe indotto alcuni suoi collaboratori “non individuati a redigere atti pubblici attestanti fatti non veri e recanti la sua sottoscrizione apocrifa”. Per quanto riguarda invece la vicenda della onlus creata nel 2005 per fornire aiuti sanitari in Sudamerica e Africa, l’ex sindaco rischia il processo insieme ad altri tre imputati (Rosa Garofalo, Carlo Pignatelli e Federico Serra), per “aver predisposto, tra il 2012 ed il 2014, la certificazione di compensi riferiti a prestazioni fornite da collaboratori fittizi o soggetti inesistenti”. Un modus operandi che, secondo gli inquirenti, ha provocato un danno all’Inps di circa seimila euro per “l’omesso versamento degli oneri contributivi dovuti per le prestazioni lavorative in realtà svolte da uno degli indagati in favore della Onlus”. Insomma, una doppia tegola giudiziaria proprio mentre l’ex sindaco di “Mafia capitale”, nonostante le scandalose vicende in cui risulta pesantemente coinvolto, aspirerebbe ancora a candidarsi alle comunali. La giunta Cinque fa carta straccia dei regolamenti comunali e delle regole della democrazia borghese Sindaco e assessore M5S di Bagheria con ville abusive Dal nostro corrispondente della Sicilia Il M5S, campione della moralizzazione degli altri, ha dato un’altra prova della propria arrogante ipocrisia politica, dopo la vicenda del sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo, eletta con i voti della camorra. La giunta pentastellata di Bagheria, in provincia di Palermo, guidata dal sindaco Patrizio Cinque, eletto il 10 giugno 2014, aveva fatto della lotta all’abusivismo uno dei cavalli di battaglia elettorale: il colmo è che proprio lui possiede una villa abusiva, costruita nel 1982 in spregio al piano regolatore all’interno del parco vincolato Villa Serradifalco. Lo rivela un servizio del programma “Le iene” di Italia1, andato in onda il 7 febbraio scorso. ll sindaco, che inizialmente aveva smentito la notizia, tenta su facebook una difesa “la villa - scrive - è già sanata”, ma è poi costretto ad ammettere che l’abitazione è ancora abusiva. Il sindaco sostiene di essere vittima di un attacco politico perché denuncerebbe la mafia, facendone i nomi. Sì però, se la vogliamo dire tutta, il sindaco di Bagheria ha la villa in un parco vincolato, precisamente come le decine di mafiosi che in questi anni hanno devastato il territorio di Bagheria, costruendo al di fuori di ogni regola ville e palazzine abusive nel settecentesco parco di Villa Valguarnera, sottoposto a vincolo di inedificabilità assoluta. Anche il suo assessore all’urbanistica, Luca Tripoli, M5S, è stato beccato sullo stesso problema. Le Iene gli contestano la trasformazione di un deposito attrezzi di 37 metri quadri in una villa da 120 metri quadri. “Non è vero!”, prova a difendersi Tripoli, che poi spiega di aver avviato la pratica per la regolarizzazione, mentre era assessore nel 2014! Si è poi dovuto dimettere. La vicenda era imperdonabile. L’assessore grillino era già chiacchierato in paese perché, da titolare della delega all’urbanistica, lavori pubblici e ad edilizia privata, avrebbe chiesto l’assegnazione di un bene demaniale per attività commerciali nella zona della “Baia dei Ciclopi”, sul territorio da lui amministrato. Ciò solleverebbe un notevole conflitto di interessi, se la notizia fosse confermata. La prima conclusione politica è che il Comune di Bagheria, il secondo per numero di abitanti della provincia di Palermo, è in mano ad una giunta che governa esattamente con gli stessi metodi clientelari di chi li ha preceduti per decenni, con la stessa arroganza e strafottenza. E gli esempi sono ormai fin troppi per non concludere che ci troviamo dinanzi ad un fallimento politico che emerge prepotentemente, nonostante le ipocrite concioni sul bisogno di moralità e di rispetto delle regole borghesi con cui ama presentarsi il M5S davanti agli elettori per carpirne consensi e voti. Patrizio Cinque sta inanellando una dopo l’altra esemplari figure da ducetto locale. La più eclatante di recente gli ha fatto collezionare una denuncia all’autorità gudiziaria da parte di un lavoratore ex Coinres del settore rifiuti, Carmelo Di Salvo. Questi è stato licenziato dopo che il Comune ha deciso di “interrompere il servizio del Coinres”. Esplicativa dell’attegiamento ducesco/mafioso di Cinque una dichiarazione in cui afferma: “Noi dettiamo le regole, chi non le rispetta lo rispediamo al mittente. Recentemente abbiamo revocato il comando a 11 dipendenti perché non funzionali. Invece chi sta rispettando le nostre direttive ha garantito il posto di lavoro e si trova bene...”. E le direttive sono: assegnazione dell’appalto sui rifiuti a privati scelti dalla giunta senza appalto. Zitti tutti e chi non è “funzionale”: fuori! Durante uno scambio di battute animate, il sindaco, ripreso in un video, ha minacciato l’ex netturbino comunale Di Salvo, che inscenava una plateale protesta nell’aula del Consiglio comunale, tenendo gli striscioni: “Sindaco Cinque mi hai tolto 55 anni di dignità” e “Patrizio Cinque il sindaco del clientelismo”. Di Salvo, dopo aver perso il lavoro e aver tentato di chiedere aiuto a Cinque è stato aggredito verbalmente dal sindaco. Nel video Cinque gli urla “Ti strappo il cuore”. Secondo la polizia, il sindaco avrebbe aggiunto altre frasi ingiuriose (non presenti nel video): “Figlio di puttana, ti levo i coglioni e te li metto in bocca”. Quali sono i riferimenti ideologici di Cinque? Ci chiediamo quando lo sentiamo parlare così. Ci risulta che questo tipo di minacce siano tipicamente mafiose, mentre l’atteggiamento tenuto con i lavoratori è tipicamente da picchiatore fascista. Fa bene, dunque, la procura ad indagare sull’avvenimento, e ci aspettiamo Rapinati al popolo Oltre 260mila euro annui alla renziana Bignardi per dirigere Rai3 È scandaloso che milioni di lavoratori, giovani precari, disoccupati, pensionati e cassintegrati, siano costretti a rinunciare perfino alle cure mediche per riuscire a sbarcare il lunario, mentre la renziana Daria Bignardi, ex conduttrice de Le Invasioni Barbariche e del Grande Fratello, è stata imposta dal nuovo duce Renzi al vertice di Rai3 con uno stipendio che oscilla tra 260 e i 280mila euro lordi l’anno. Cifra ben al di sopra del tetto che in teoria fissa a 240mila euro lordi l’anno la retribuzione massima per i diri- genti pubblici. Per aggirare la legge varata nel 2011 dal governo Monti, la Rai ha avviato a maggio 2015 il collocamento di un bond da 350 milioni di euro proprio per rientrare nella seconda parte della normativa che prevede appunto che le aziende controllate dallo Stato che emettono titoli di debito quotati siano esenti dal rispetto della norma sui tetti. La “promozione” della moglie di Luca Sofri ai vertici di Viale Mazzini è l’ultimo di una lunga serie di nomine effettuata nei sette mesi di dirigenza targata Campo Dall’Orto tra cui spiccano fra gli altri Andrea Fabiano, promosso da vicedirettore a direttore di Rai1 ed il più giovane della storia della Tv pubblica, e Ilaria Dallatana (Rai 2) che tra l’altro ha fondato la casa di produzione televisiva Magnolia con Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5 e Italia 1 e da giugno 2014 è anche sindaco di Bergamo per il PD. Insomma, pur di mungere mamma Rai e rapinare i soldi al popolo per foraggiare i media e la stampa di regime, per il go- verno Renzi non ci sono “tetti” o conflitti di interessi che reggono. Il maxi-stipendio della Bignardi ha infatti scatenato le sacrosante proteste del Codacons che ha presentato un esposto alla Corte dei Conti per chiedere “di verificare i contratti Rai riservati ai nuovi direttori di rete, e accertare se i compensi stabiliti siano compatibili non solo con le norme vigenti, ma anche con le necessarie politiche di tagli e spending review che hanno investito negli ultimi anni l’azienda pubblica”. che venga fatta luce sui metodi e i contenuti dell’assegnazione senza gara nel settore dei rifiuti a Bagheria. Cinque e la sua giunta stanno dimostrando a tutti gli effetti di non discostarsi negli atteggiamenti e nei comportamenti politici da tutti quei gruppi di potere che negli ultimi anni in Sicilia si sono trovati a dover costruire le basi clientelari del loro potere, MPA, PD di Renzi, FI, UDC, NCD, M5S: tutti uguali. Se non basta quanto detto, possiamo considerare anche le consulenze assegnate ad attivisti e parenti di assessori e consiglieri. “Scelti in base al curriculum”, si difende il sindaco. Sì, però legati al M5S o parenti di esponenti del M5S. Si tratta di Vincenza Scardina, cognata dell’assessore allo sviluppo Alessandro Tomasello, M5S, che riceve un incarico fiduciario da 14.173 euro. Vittorio Fiasconaro, militante del M5S nel paese di Santa Flavia, confinante con Bagheria, che riceve incarichi per oltre 26 mila euro. Giorgio Castelli, padre di Filippo, consigliere comunale M5S, che viene nominato componente del comitato dei garanti. Il M5S a Bagheria agisce al di fuori di ogni regola nel completo arbitrio, come dimostra anche la vicenda della concessione dell’antico palazzo Aragona Cutò del Settecento, sede della biblioteca comunale, ai privati per il veglione di Capodanno per la ridicola cifra di 500 euro, in violazione del regolamento che prevede l’uso del palazzo solo per manifestazioni di carattere culturale e fregandosene del “NO” della dirigente che si occupa del patrimonio culturale. L’indomani hanno fatto scandalo le scatole di superalcolici depositate negli uffici dell’archivio della biblioteca comunale, che custodisce preziose collezioni librarie e antiche collezioni di quotidiani come “l’Ora”, e la sporcizia dappertutto. Come abbiamo sempre denunciato i moralisti del M5S dietro la loro politica di aggressione violenta e legalizzatrice nascondono precisamente le stesse marce caratteristiche degli altri politicanti borghesi che essi stessi contestano. Ciò conferma che le istituzioni rappresentative borghesi, centrale e locali, sono irriformabili, sono esse stesse fonti di corruzione e del dilagare del potere mafioso. Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] interni / il bolscevico 9 N. 13 - 31 marzo 2016 La cultura borghese genera mostri Il terribile omicidio del giovane 23enne Luca Varani, avvenuto in un appartamento romano il 4 marzo scorso, non è che la punta di un iceberg molto più profondo, che chiama in causa diretta i disvalori propugnati dalla cultura borghese. I due assassini sono giovani frequentatori della Roma bene: Paolo Prato, 29 anni, è laureato in scienze politiche e aspirante modello; Manuel Foffo, 30 anni, è descritto come “ragazzo modello” dal padre, proprietario di una delle più importanti agenzie di pratiche auto della capita- le. Frequentatori di discoteche, avevano un passato di alcol e droga. Il 4 marzo, già pesantemente intontiti dalla cocaina, offrono a Varani una certa somma per una serata di alcol e sesso. Quando il ragazzo giunge all’appartamento al Collatino, beve un drink drogato e, incapace di difendersi, viene ucciso sadicamente e lasciato morire fra atroci sofferenze. “Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere l’effetto che fa” o “simulare uno stupro con un prostituto”, è la candida confessione dei due. Insomma, un “gioco”, un “passatempo” da giovani borghesi annoiati e drogati, finito male e che comunque non poteva certo finire bene. Gran parte della stampa nazionale fa apparire l’omicidio unicamente come un episodio di cronaca nera a sé stante. In realtà, ci sarebbe da dire molto di più. Non ci riferiamo certo al criminale sciacallaggio mediatico operato da Giovanardi e Adinolfi, che hanno raggiunto il punto più basso della loro meschinità politica parlando di un caso tipico da “mondo gay” e sostenendo persino, molto fantasiosamente, che il movente dell’omicidio sarebbe stato un post di Varani su “Facebook” contro i matrimoni gay. Le farneticazioni dei due crociati omofobi in realtà distolgono l’attenzione da quella che è la vera natura del problema. Il delitto Varani chiama in causa i disvalori della cultura borghese. L’individualismo estremo, l’edonismo sfrenato, la prevaricazione, il culto e la ricerca spasmodica dello sballo, del successo e delle emozioni forti, costi quel che costi, anche a scapito della vita altrui non sono che i mostruosi risvolti culturali della legge della giungla, della regola del più forte e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo vigenti nel libero mercato capitalistico. Sono questi, appunto, i disvalori esaltati dalla borghesia che, mentre in pubblico e ai microfoni di giornali e televisioni indossa i panni del moralismo bacchettone, quando cala la notte si lancia nel giro di prostitute, droga e festini sulla scia delle famigerate notti di Arcore. Questi sono i modelli malsani che la borghesia cerca di propugnare ai giovani per indurli al totale disimpegno politico, facendoli affon- dare, nei casi più gravi, nella droga. Per tutti questi motivi, bisogna assolutamente ribellarsi alla cultura borghese, con la quale i giovani che vogliono cambiare il mondo non hanno nulla da spartire. Le sue abitudini, i suoi stili e i suoi modelli sono da respingere, non da emulare. È invece fondamentale l’impegno militante e le lotte dei giovani per la conquista di una nuova società e una nuova cultura basate sull’altruismo e sulla solidarietà. Ecco perché va distrutto il capitalismo e realizzato il socialismo. I revisionisti di Pechino ricorrono al pop per convincere i giovani a seguire il nuovo imperatore Xi Il pop è la nuova trovata “moderna” e “in linea con i tempi” escogitata dal partito revisionista cinese per innovare la propria propaganda e raggiungere l’immensa platea dei giovani cinesi drogati dalla depoliticizzazione e dal consumismo, entrambi foraggiati dal regime di Pechino dopo la restaurazione del capitalismo nel 1978, ma che ora rischiano di erodere la base di potere del partito, riconosciuto ormai come un semplice strumento per fare carriera ma senza principi. I modelli ora esaltati dalla propaganda sono cantanti particolarmente amati, attori e attrici di successo, star di Internet e sportivi famosi, che compaiono in video musicali diffusi su Weibo, uno dei maggiori social network cinesi, mentre decantano le parole d’ordine dell’attuale dirigenza cinese o esprimono il loro “amore” per “papà Xi”, come viene definito Xi Jinping. Cartoni animati, spot musicali, ritmi rap e pop sono i nuovi strumenti della propaganda cinese. Di recente è stata persino messa in rete un’allegra canzoncina per esaltare la “saggezza” e il “progresso” garantiti dal 13° Piano quinquennale (2016-2020), che punta a rafforzare il ruolo del libero mercato. “Se abbiamo abbastanza cibo da mangiare e soldi da spendere, non c’è più nulla di cui preoccuparsi” recita la canzoncina di un altro cartone animato che espone i “quattro principi complessivi” di Xi: costruire una società di media prosperità, approfondire le riforme economiche, governare secondo la legge e rafforzare il partito, cioè i canoni del “sogno cinese”. Negli ultimi mesi è diventata virale su Internet anche una poesia scritta da un dirigente dell’agenzia governativa Xinhua che osanna la figura di Xi in occasione della sua visita del 19 febbraio. Allora, il presidente cinese aveva sentenziato che i media devono limitarsi a essere i portavoce del governo. L’obiettivo di questa propaganda pop è veicolare rapidamente, tramite canali graditi ai giovani, un messaggio sem- Una video animazione prodotta e diffusa sul web dall’agenzia di stampa governativa Xinua in cui si esaltano i risultati politici ottenuti dal nuovo imperatore Xi, sulle note delle versioni pop e rap di alcuni canti popolari cinesi plice ma essenziale: bisogna venerare e sostenere il nuovo imperatore Xi. Il paragone con Mao e la Rivoluzione culturale proletaria, tentato per esempio dal noto anticomunista Giam- paolo Visetti sulla “Repubblica”, non regge proprio: questi messaggi e la loro tipologia sono tipici del capitalismo e del liberismo, oggi praticati in Cina. Anzi, com’è evidente, la propaganda di regime è perfettamente in grado di conformarsi e adattarsi ai nuovi modelli, sfruttando le star e le mode del capitalismo cinese. Xi inoltre è tutt’altro che un “nuovo Mao” perché ha spostato ancora più a destra la linea politica ed economica di Deng Xiaoping, sostenendo che il mercato e l’iniziativa privata devono diventare l’elemento decisivo e trainante dell’economia. Xi, inoltre, ha accentrato sempre più potere nelle sue mani ed ha avviato un vero e proprio culto della sua persona per imporsi a scapito delle altre cricche di potere che animano gli intrighi di palazzo a Pechino. I colori accesi e le allegre canzoncine nascondono la realtà ben più tetra dei milioni di operai, soprattutto giovani migranti dalle campagne, sfruttati a bassissimo costo per sostenere lo sviluppo ineguale dell’economia capitalista cinese e l’arricchimento di un pugno di milionari che vive nel lusso come i mandarini di un tempo. Le misure legate al nuovo piano quinquennale, approvato la settimana scorsa alla sessione annuale del parlamento, prevedono addirittura il licenziamento di 6 milioni di lavoratori per far fronte alla crisi di sovrapproduzione. Già condannato per l’omicidio Moro L’ex “BR” Morucci fa ancora comodo ai servizi segreti Lavora ancora nella società di intelligence di De Donno, braccio destro dell’ex numero uno di Ros e Sisde Valerio Morucci, l’ex capo della colonna romana delle “Brigate rosse” che partecipò al rapimento e all’uccisione di Moro, e che oggi è libero cittadino grazie a una cospicua riduzione di pena ottenuta con la “dissociazione” e un falso memoriale, che non rivelava nulla ma fu preso per buono dai giudici, è stato assunto da una società di intelligence che fino al 2014 era amministrata dall’ex generale del Ros dei carabinieri e capo del Sisde, Mario Mori, e oggi è diretta dal suo ex braccio destro, Giuseppe De Donno. La notizia, ignorata dal resto della stampa, è stata data con dovizia di particolari da Emiliano Liuzzi e Marco Lillo in un articolo su Il Fatto Quotidiano del 1° marzo, in cui si spiega che Morucci è stato assunto a tempo indeterminato dalla società romana G Risk, di proprietà dell’ex colonnello dei carabinieri ed ex dirigente dei servizi segreti, Giuseppe De Donno, imputato con Mori a Palermo nel processo sulla trattativa Stato-mafia. La G Risk si occupa di sicurezza e intelligence ed è controllata al 66% da De Donno, nonché da un altro ex carabiniere, Mauro Ciuffini, protagonista dell’inchiesta sulla camorra e l’alta velocità ferroviaria in Campania nel 1996: “Avevamo bisogno di una persona che si occupasse dello scacchiere internazionale e abbiamo individuato in Morucci la persona giusta. Non c’è niente di strano. Anche la sua esperienza di vita, quella negativa, può essere utile a un’azienda come la nostra”, ha dichiarato De Donno senza fornire ulteriori dettagli sul ruo- lo rivestito da Morucci. De Donno era stato il braccio destro del generale Mori a Palermo dai primi anni ’90. Fu lui a incontrare Massimo Ciancimino per avviare la trattativa segreta tra il padre Vito e Mori per una “tregua” nella guerra tra lo Stato e la mafia. E lo seguirà anche quando il generale viene promosso da Berlusconi alla direzione del Sisde. Lasciati i servizi segreti, dopo un periodo di consulente al servizio del fascista Alemanno al Comune di Roma, Mori fonderà poi la G Risk, per lasciarla nel 2014 a De Donno. Ma non è questa dell’assunzione di Morucci in una società da lui fondata la sola “coincidenza” in cui Mori incrocia la strada dell’ex “BR”. Già sei anni prima era direttore scientifico di una rivista, Theorema, in cui scriveva anche Morucci. Nel 1978 Mori viene nominato comandante dell’Anticrimine al reparto operativo di Roma dei carabinieri, lo stesso giorno in cui Morucci apre il fuoco con la sua Skorpion sulle macchine della scorta di Moro in via Fani. Poi Mori va a ricoprire un ruolo chiave nel reparto antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, mentre Morucci, uscito dalle “BR” per “contrasti di linea”, viene arrestato un anno dopo la morte di Moro e condannato a diversi ergastoli. Dissociatosi nel 1985 viene scarcerato definitivamente nel 1994, e ora lo ritroviamo a lavorare per una società creata da uno di quelli che nominalmente gli dava la caccia. Strani casi della vita. Del resto non è certo la prima volta che l’ex “BR” fa parlare di sé per le sue “strane” frequentazioni. Come quando nel 2009 fu invitato, su sua offerta, accolto con tutti gli onori e applauditissimo, a tenere un dibattito sulla “fine dell’antifascismo” nel covo romano dei fascisti di Casapound, insieme a vecchi arnesi dell’area del terrorismo nero e ad ex trotzkisti venduti al berlusconismo come l’ex direttore di Lotta Continua, Giampiero Mughini. O come quando, insieme ad altri suoi ex complici “pentiti” del delitto Moro come Gallinari e la Faranda, inviò un suo messaggio personale di cordoglio per la morte del piduista e capo di Gladio, Francesco Cossiga, esprimendo il suo rammarico perché era stato “l’unico che ci ha riconosciuto la dignità di nemici politici affrancandoci dal ruolo di criminali a cui la politica ci aveva condannati per necessità”. Quindi non ci meraviglia affatto, noi che abbiamo sempre sostenuto che le “BR” erano eterodirette dai servizi segreti, venire a sapere che oggi questo torbido personaggio lavora per una società privata contigua ai servizi segreti, creata e diretta da due dei suoi ex alti dirigenti, implicati a loro volta nelle trame più oscure della storia degli ultimi decenni, in particolare nella trattativa Stato-mafia. Anzi, è solo un’altra conferma che avevamo ragioni da vendere a denunciare che le “Brigate rosse” erano in realtà nere, uno strumento in mano allo Stato borghese e alla P2 per aprire la strada, attraverso la “strategia della tensione” e il terrorismo nero e sedicente “rosso”, alla fascistizzazione del Paese e all’attuale regime neofascista. esteri / il bolscevico 15 N. 26 - 2 luglio 2015 stampato in pr. Per evitare gli attacchi terroristici cessare di bombardare l’Is PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it PMLI / il bolscevico 11 N. 13 - 31 marzo 2016 Milano Volantinaggio del PMLI alla Metro di Crescenzago per il SI’ al referendum contro le trivellazioni Dal corrispondente della Cellula “Mao” di Milano del PMLI Sabato 19 marzo, nei pressi della stazione di Crescenzago della metropolitana, militanti della Cellula “Mao” di Milano del PMLI hanno diffuso centinaia di volantini dal titolo “Vota Sì contro le trivellazioni”, aprendo così per primi la campagna referendaria in quel quartiere meneghino. Il documento è stato ben accolto dalle masse lavoratrici e popolari suscitando vive discussioni. Una donna, positivamente sorpresa, ci ha ringraziato dicendoci “per fortuna che c’è qualcuno che ne parla!”. I militanti della Cellula “Mao” hanno subito colto l’occasione per denunciare la chiara volontà del governo neofascista guidato dal nuovo Mussolini Renzi di far fallire il referendum non facendogli raggiungere il quorum per impedire che la vittoria del Sì possa intaccare gli interessi delle multinazionali italiane ed estere coinvolte nelle trivellazioni. “Il Bolscevico” è fondamentale per portare avanti i nostri ideali marxisti-leninisti Milano, 19 marzo 2016. La diffusione del PMLI per il Sì al referendum sulle trivelle alla metro di Crescenzago (foto Il Bolscevico) A Fucecchio il PMLI propaganda il Sì al referendum contro le trivellazioni Degli altri partiti non c’è traccia Redazione di Fucecchio La Cellula “Vincenzo Falzarano” di Fucecchio (Firenze) del PMLI ha iniziato la sua campagna referendaria per sostenere il Sì al referendum del 17 aprile per bloccare le trivellazioni, o per essere più precisi per non farle proseguire fino a esaurimento del giacimento ma terminarle a conclusione della concessione. Questo è l’unico rimasto dei sette quesiti proposti, ostacolati in tutte le maniere dal governo Renzi. Sabato 19 marzo nel piazzale antistante il supermercato Coop alcuni compagni hanno diffuso il vo- lantino con la posizione referendaria del PMLI. Da notare come fino ad ora a livello locale nessun partito si è fatto vivo: tabelloni per i manifesti vuoti, zero comunicati, per non parlare di volantinaggi. Solo il comitato NoTriv del comprensorio Empolese-Valdelsa ha messo in campo qualche iniziativa, ma non a Fucecchio. E’ vero che siamo solo all’inizio della campagna referendaria ma tutto fa dubitare che le cose non cambieranno nelle prossime settimane. Eppure, nonostante la disinformazione e il black-out sull’argomento, molte delle persone con cui siamo entrati in contatto durante la diffusione erano a conoscenza dei temi sollevati dal referendum. I marxisti-leninisti, nei limiti delle loro forze, faranno il possibile per invitare le masse popolari, specie quelle di sinistra, ad andare a votare Sì per opporsi alle trivellazioni e contribuire a raggiungere il quorum per rendere valido il referendum, al contrario del PD che ha fatto di tutto per boicottarlo negando con il governo Renzi l’accorpamento con le elezioni amministrative e invitando all’astensionismo. Lo stesso partito che invece durante le elezioni si Fucecchio, 19 marzo 2016. difusione della posizione referendaria del PMLI contro le trivellazioni (foto Il Bolscevico) scaglia con virulenza contro chi, come il PMLI, invita all’astensionismo tattico anticapitalista contro le istituzioni democratico-borghesi. Costituita la Squadra di propaganda per il SI’ al referendum Mugello e Val di Sieve Dal corrispondente della Squadra di propaganda per il Sì al referendum contro le trivellazioni Mugello e Val di Sieve Lunedì 21 marzo militanti e simpatizzanti del PMLI che fanno riferimento alle Organizzazioni di Rufina e di Vicchio del Mugello (Firenze) si sono riuniti in vista del referendum aprile del 17 salute m u d ren dare la A l re f e e ar tolineata tra l’altro l’importanza di questa battaglia in difesa dell’ambiente, messo sempre più in pericolo dalla natura rapace del capitalismo e contro la politica ambientale del governo del nuovo duce Renzi che, come ha rilevato il compagno Massimo, un simpatizzante attivo del PMLI, fa gli interessi delle Sottoscrivi per la campagna per il al referendum contro le trivellazioni Sì Stampato in proprio Committen te responsabi le: M. MARTENG HI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) bient vagu per sanl atura e l’amnnovabili i r a l nergie per le e del prossimo 17 aprile per studiare e discutere il documento dell’Ufficio politico del PMLI dell’8 Marzo dal titolo “Vota Sì contro le trivellazioni”. Molto interessante è stata la discussione politica del documento del Partito sul quale tutti i compagni hanno concordato pienamente. È stato sot- IANO TA ITAL -LENINIS A T IS X R MA PARTITO li.it - ww missioni@pm : Via Antonio Sede centrale 2 FIRENZE o, 172a - 5014 del Pollaiol -- Tel. e fax e-mail: com 055.5123164 w.pmli.it Se non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum. Grazie di cuore. multinazionali del petrolio. La discussione ha toccato l’argomento delle energie rinnovabili e così i compagni hanno ribadito l’appoggio al documento referendario che indica che esse sono la via d’uscita dall’utilizzo dei combustibili fossili, fortemente inquinanti. Il compagno Enrico dell’Organizzazione di Rufina, che sta conducendo un’importante esperienza di fronte unito sul referendum, ha puntualizzato che chi vuol far fallire il referendum strumentalizza i posti di lavoro che si perderebbero con la vittoria del Sì, mentre invece proprio le rinnovabili possono creare nuova occupazione. Dopo di che si è passati all’aspetto pratico della riunione con la pianificazione dell’attività della Squadra. Saranno realizzati vari banchini di propaganda oltre alle diffusioni dei volantini referendari del Partito in varie piazze del Mugello e della Val di Sieve. Un contributo importante al fronte del Sì in zone molto sensibili alle battaglie ambientali e a cui i compagni del PMLI non hanno fatto mancare il proprio contributo. Care compagne e cari compagni del PMLI, innanzitutto grazie per la vostra richiesta di un mio parere su “Il Bolscevico”. Visto il mio impegno sindacale in fabbrica e nella CGIL gli articoli che seguo con maggiore attenzione, dopo l’editoriale, sono chiaramente quelli relativi al mondo del lavoro e del sindacato (cronache delle lotte, disamina di documenti sindacali, critica politica sulle azioni di questo governo neo-fascista, ecc.). Trovo inoltre molto interessanti sia le opinioni dei lettori come le richieste di chiarimenti nella rubrica ad hoc. Più in generale cerco di dedicare il maggior tempo possibile alla lettura complessiva del nostro giornale nella sua interezza, per cercare di avere una informazione e formazione completa. Non ho critiche da rivolgere, anzi desidero ringraziare la Redazione tutta che riesce ad offrire ogni settimana una pubblicazione chiaramente leggibile a tutti i lettori. L’unico suggerimento che mi sento di dare è questo: continuate così, compagne e compagni, che siete fondamentali per portare avanti i nostri ideali marxisti-leninisti! Colgo l’occasione per inviarvi un caro saluto rosso, sperando di vederci presto. Con i Maestri e il PMLI, vinceremo! W “Il Bolscevico”, il nostro grande giornale! Andrea, operaio del Mugello (Firenze) Sperando che “Il Bolscevico” ritorni in forma cartacea Cari compagni, la mia opinione è che “Il Bolscevico” è l’essenza del marxismoleninismo, tutti gli articoli che ha sempre pubblicato sono un supporto per informare (i meno informati) in che mondo viviamo, soprattutto il proletariato sfruttato e oppresso. Speriamo che “Il Bolscevico” ritorni ad essere diffuso in forma cartacea. Molto importante perché il giornale lo si conserva e si può ritornare a leggere quel determinato articolo che interessa. Viva “Il Bolscevico”! Un rosso fraterno abbraccio. Liliana, Anna, Maria - Cuneo Grazie alle analisi de “Il Bolscevico” molti operai si sono formati politicamente Ciao compagni, come ho già avuto modo di dirvi molte volte le vostre analisi mi sono di grandissimo aiuto, in generale, e in particolare per portare avanti certe posizioni a livello sindacale, in quanto delegato Rsu in una grande azienda. Appena mi arrivano, infatti, le diffondo capillarmente e ne faccio tesoro. Esse, inoltre, sono scritte usando un linguaggio più che comprensibile e sempre coerenti con il marxismo-leninismo. Con gli anni sono approdato anche io all’astensionismo (in pas- sato motivo di discussione tra me e voi) e questo dimostra, tra l’altro, quanto il PMLI sia l’unico vero Partito comunista rivoluzionario presente in Italia. Vi ringrazio anche a nome di tutti i compagni e colleghi che, grazie al vostro impegno e contributo, si sono formati un’opinione precisa sulla direzione che il proletariato deve prendere e l’obiettivo che deve avere: la rivoluzione e l’abbattimento del capitalismo. Considerate anche che, per coloro che non riescono a leggere tre o quattro pagine, provvedo io con riassunti verbali e, soprattutto, con l’esempio nella vita quotidiana della fabbrica. Vi invio rossi saluti e un forte abbraccio operaio. W Stalin! Leonardo Scandicci (Firenze) Apprezzo enormemente “Il Bolscevico” Buonasera compagni, la premessa è che apprezzo enormemente “Il Bolscevico” ma visto che è stato richiesto il mio parere, do qualche suggerimento. a) bisognerebbe ridurre il numero di pagine anche se si dovessero aumentare il numero delle pubblicazioni, tenendo conto del fatto che il giornale è a frequenza settimanale. b) dividere la parte militante o l’attualità militante o vita del Partito da quella teorica o meglio dosare entrambi, bisognerebbe consacrare ogni 2-3 numeri alla teoria marxista-leninista o dei grandi Maestri con dei numeri su aspetti teorici importanti. Rileggendo e ristudiando “il Capitale” in questo periodo ho trovato molto giovamento, chiarezza teorica nella spiegazione di Marx e la caduta tendenziale del saggio di profitto estratto da una risposta della redazione del PMLI ad un lettore, o Lenin: “Karl Marx, (Breve saggio biografico ed esposizione del marxismo)”. Voilà le sole osservazioni e opinioni per questo solo unico giornale marxista-leninista che purtroppo non esce più su supporto cartaceo. La presente per esprimere la mia ammirazione per tutto la Redazione e per tutti i militanti che contribuiscono con abnegazione alla realizzazione e alla diffusione de “Il Bolscevico”. Continuerò a sostenerlo e spero un giorno di poter ugualmente contribuire con un articolo, perché no, sulla Francia. Saluti marxisti-leninisti. Marcello - Francia Potrebbe essere graficamente alleggerito Bene, senza scherzi mi compiaccio per il Sì al referendum, con l’accento come si deve. A proposito della richiesta di un parere su “Il Bolscevico”, la mia impressione è che potrebbe essere graficamente alleggerito, il bianco il rosso e il nero “sparano” un po’ troppo, secondo me. D’altra parte, lo so, è molto controcorrente. Nicola Spinosi - Firenze 12 il bolscevico / antifascismo oggi N. 13 - 31 marzo 2016 Intervento di Denis Branzanti al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena No al “museo del fascismo”, alla controriforma del Senato, alla guerra allo Stato islamico Le lotte antifasciste che hanno attraversato la storia del nostro Paese, i tentativi di cancellare le conquiste della Resistenza, il razzismo che prende piede sempre più diffusamente, il proliferare di organizzazioni neofasciste dimostrano quanto ci sia ancora bisogno dell’Anpi e dell’antifascismo. Bene ha fatto quindi l’Anpi locale a richiamare il sindaco Drei agli impegni che si era pubblicamente preso alla vigilia delle elezioni comunali del 2014, quando aveva firmato un documento, proposto proprio dall’Anpi a tutti i candidati, dove li impegnava ad attivarsi anche a livello normativo per quel che compete il Comune, a non dare nessuno spazio ai fascisti, mentre invece a distanza di quasi due anni non è stato fatto nulla. Il sindaco ci ha detto prima che hanno cominciato a lavorare ad un regolamento… buongiorno! Finalmente si è svegliato! Ma una cosa deve essere chiara: non solo piazza Saffi va vietata ai fascisti, come ha detto lui, perché se vanno in Piazza del Duomo o in altra piazza va bene? I fascisti non devono avere agibilità in nessuno spazio pubblico! Bene ha fatto l’Anpi a livello nazionale, anche nel documento congressuale, ad impegnarsi per sostenere la campagna referendaria per il “No” alla controriforma costituzionale varata dal governo Renzi, con l’abolizione del Senato e la leg- ge ultramaggioritaria Italicum, che affossa definitivamente la Costituzione del 1948, a dir la verità già cancellata di fatto da leggi, leggine e continue e palesi violazioni in ogni campo, a partire dalla continua violazione dell’art. 11, raggirato continuamente con il pretesto delle “missioni umanitarie” e, come sta facendo ora il governo, con il proseguimento dei vari interventi militari precedenti ma anche con l’obiettivo di avere la direzione dell’intervento militare in Libia. Nel documento congressuale si toccano altri punti ma non tutti in modo condivisibile, in particolare l’immotivata fiducia nell’Unione Europea che non ha nulla a che vedere con i diritti e con i bisogni dei popoli ma è stata costruita su misura dei grandi speculatori e dei grandi capitalisti, oppure quando si dice che bisogna selezionare i migranti che fuggono dalla miseria e dalla guerra e cercano riparo nei Paesi, come anche il nostro, che sono la fonte dei loro problemi in quanto partecipano alla contesa e alla spartizione delle loro risorse, o ancora quando addirittura si chiede un intervento militare unitario contro lo Stato islamico, quindi in violazione della Costituzione, e senza considerare che la sua nascita e la sua diffusione sono le conseguenze proprio delle guerre imperialiste che da 25 anni vengono scatenate in Medio Oriente, a partire dalla Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 24 gennaio 2016. Il compagno Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, durante la commemorazione di Lenin organizzata congiuntamente dal PMLI. Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio Emilia del PCDI (foto Il Bolscevico) prima guerra del Golfo. La verità è che è la barbarie dell’imperialismo a generare barbarie. Se si vuole la pace, se si vogliono evitare le rappresaglie terroristiche, bisogna smetterla di ingerirsi, bombardare e invadere, e trattare con tutte le parti in causa. Vi è poi la questione del “museo del fascismo”, che non rientra nel documento congressuale ma che è all’ordine del giorno e che il megalomane sindaco di Predappio vuole aprire nella ex Casa del fascio peraltro buttando via 5 milioni di euro, dei quali 4.500.000 euro tra Comune, Regione e Stato, ma è possibile che con la crisi che da 8 anni attanaglia il nostro Paese non ci fosse un modo migliore di impiegare tutti quei soldi? Bisogna poi dire che in questo caso l’Anpi ha sbagliato a collaborare a questo progetto apponendo la motivazione che “la nostra presenza è volta a garantire che non ci siano aspetti celebrativi”, come se la condotta tenuta sinora dal sindaco e dal Comune, che hanno già aperto nella casa natale di Mussolini un museo fascista, che permette la permanenza di diversi negozi di mercanzia fascista, che permette le rituali adunate di migliaia di fascisti, non delineasse già abbastanza chiaramente il quadro della situazione, e che piega prenderà questo progetto col passare del tempo. E non vale come giustificazione nemmeno che non si tratterà di un museo riservato solo al fascismo, ma a tutti i “totalitarismi”, come è stato detto anche prima, termine col quale si indica anche, ma a sproposito, il comunismo. Anzi, questo aggrava tale progetto, che avalla l’assurda e antistorica equiparazione tra fascismo e comunismo, e che costituisce anche un insulto alla memoria di tutti i partigiani comunisti, che costituirono la parte più risoluta e combattiva della Resistenza, e in particolare dei partigiani sovietici che hanno lottato e sono morti a milioni per la libertà dal nazifascismo del loro Paese socialista e anche di tutti i Paesi capitalisti. L’Anpi deve quindi occuparsi di antifascismo, che è il suo scopo fondante, e al quale può e deve continuare a dare un contributo fondamentale, e lasciare l’anticomunismo ai fascisti e ai revisionisti di ogni genere, che non hanno certo bisogno del nostro aiuto per spargere falsità. Che il 16° Congresso nazionale possa dare all’Anpi ulteriori forza e spinta per affrontare le tante battaglie che abbiamo ancora davanti per far affermare gli ideali e i valori della Resistenza! Viva l’Anpi! Viva l’antifascismo! Al Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena i delegati si dichiarano per il NO al referendum sulla “riforma” del Senato Forte e applaudito intervento di Branzanti contro il “museo del fascismo”, la controriforma del Senato e la guerra allo Stato islamico Il “museo del fascismo” a Predappio “costituisce anche un insulto alla memoria di tutti i partigiani comunisti, che costituirono la parte più risoluta e combattiva della Resistenza” Il sindaco Drei (PD) e i parlamentari del PD e di Scelta civica abbandonano il congresso dopo i loro interventi senza ascoltare il dibattito Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Forlì Sabato 12 marzo si è svolto, presso la “Casa del lavoratore” di Bussecchio, a Forlì, il Congresso provinciale dell’Anpi di Forlì-Cesena. Vi hanno partecipato un centinaio di delegati di tutte le fasce di età e di entrambi i sessi, presenti anche 4 ex partigiani e una staffetta, accolti calorosamente. Una volta elette le varie Commissioni si è passati subito ai saluti del sindaco Pd Davide Drei, e dei parlamentari Di Maio del Pd e Molea di Scelta Civica. Drei ha detto che il Comune sta lavorando ad un regolamento per vietare (solo) piazza Saffi alle organizzazioni neofasciste, mentre Di Maio ha difeso il progetto del “museo del fascismo” che il sindaco Pd di Predappio vuole realizzare nella ex Casa del fascio, e invitato opportunisticamente a non dividersi sulla questione del referendum contro la controriforma costituzionale, visto che all’interno dell’Anpi il “Sì” è fortemente minoritario, tanto che nella Direzione nazionale il “No” è passato senza contrari e con appena 3 astenuti. Ha poi preso la parola il Segretario provinciale dell’Anpi, in scadenza di mandato dopo 7 anni, Carlo Sarpieri, che ha toccato vari punti del Documento congressuale, cercando di addolcire il “No” al referendum e difendendo la posizione dell’Anpi provinciale che sta partecipando al progetto del “museo del fascismo” a Predappio, ammettendo che sono giunte numerose proteste e richieste di chiarimenti anche dall’Anpi nazionale. Al termine del suo intervento il sindaco, i parlamentari e l’inevitabile “codazzo” se ne sono andati snobbando il dibattito che ne è seguito, ma al quale è stato riservato uno spazio di appena 3 minuti ad intervento, un tempo contestato da molti e per forza di cose sforato dai più facendo terminare il congresso ben oltre l’orario che evidentemente era stato malamente stabilito in modo troppo restrittivo. Sono stati una quindicina i delegati che hanno preso la parola, i più si sono detti per il “No” al referendum sulla controriforma costituzionale (e nessuno si è schierato a favore), qualcuno però avrebbe preferito che l’Anpi non avesse dato un’indicazione precisa di voto per evitare possibili rotture interne, qualcuno ha contestato il Pd per non parte- cipare alle manifestazioni antifasciste, ha rimproverato sindaco e parlamentari per non essere rimasti ad ascoltare gli interventi, e ha chiesto di fare un regolamento che vieti solo Piazza Saffi ai neofascisti, e non invece tutte le piazze di tutti i comuni del forlivese. Una ex staffetta ha invitato i militanti del Pd a mettere in primo piano la Costituzione, altri hanno denunciato il revisionismo imperante, in particolare sulla questione delle foibe. Qualcuno si è detto favorevole al museo a Predappio ma alle condizioni elencate da Sarpieri (come fosse l’Anpi a stabilirle) altri invece hanno detto che il contesto e le promesse non fanno sperare nulla di buono. Hanno preso la parola anche l’ex partigiano del Battaglione Corbari Sergio Giammarchi che ha sottolineato l’importanza della discussione ma anche dell’unità nell’Anpi, e il senatore Sergio Flamigni, ex partigiano che ha parlato della Resistenza e dell’importanza del “No” al referendum sulla controriforma costituzionale legandola, seppur indirettamente, al progetto della P2 sul quale lui ha indagato in quanto membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia di Licio Gelli. Tra gli altri è intervenuto il compagno Denis Branzanti in qualità di delegato al Congresso. Egli ha letto un forte intervento (pubblicato a parte) che è stato applaudito a più riprese proprio nei passaggi principali, cioè quando ha detto che il regolamento al quale starebbe lavorando il Comune per vietare Piazza Saffi alle organizzazioni neofasciste, sempre che venga approvato, deve comprendere tutti i luoghi pubblici, al che una staffetta partigiana ha detto “dovevano restare qui ad ascoltare queste cose” riferendosi al sindaco e ai suoi accoliti che se ne sono andati prima del dibattito, quando ha detto che la nascita e la diffusione dell’IS “sono le conseguenze proprio delle guerre imperialiste che da 25 anni vengono scatenate in Medio Oriente, a partire dalla prima guerra del Golfo. La verità è che è la barbarie dell’imperialismo che genera barbarie”, e quando ha detto che il museo del fascismo che il sindaco Pd di Predappio Frassineti vuole aprire nella ex Casa del fascio, con la colpevole partecipazione proprio dell’Anpi, “costituisce anche un insulto alla memoria di tutti i partigiani comunisti, che costituirono la parte più risoluta e combattiva della Resistenza”. Al termine dell’intervento il compagno è stato molto applaudito. Diversi “bravo!” si sono levati dai delegati e molti di essi si sono avvicinati per stringergli la mano, fargli i complimenti per l’ottimo intervento e per aver detto le cose che nessun’altro aveva detto. Essi hanno condiviso la denuncia della partecipazione dell’Anpi al progetto del “museo del fascismo”. Particolarmente apprezzati i complimenti di un ex partigiano che si è avvicinato anche per criticare l’Anpi per il sostegno al “museo del fascismo” a Predappio e ha poi raccontato diversi episodi della Resistenza alla quale ha partecipato, come anche l’avversione per gli inglesi che entravano nelle città solo quando erano già state completamente ripulite dai nazifascisti da parte dei partigiani ai quali intimavano poi la consegna delle armi entro 3 giorni pena la fucilazione; questa cosa il partigiano ci ha detto di non averla fatta, e di aver difeso tale scelta anche nel corso di un’intervista che gli fece anni fa una troupe televisiva britannica. Al termine del dibattito ha preso la parola Lidia Menapace, staffetta partigiana, femmi- nista facente parte del primo nucleo del trotzkista “il manifesto”, già senatrice del Prc e facente parte del Comitato nazionale dell’Anpi, che ha criticato papa Francesco il quale viene spacciato come di “sinistra” ma rimane il capo di uno Stato teocratico, e ha sostenuto il “No” al referendum costituzionale. Mentre le conclusioni sono toccate nuovamente al presidente provinciale dell’Anpi Sarpieri che ha letto il documento conclusivo congressuale dove, tra l’altro, ha ribadito l’appoggio dell’Anpi al progetto del “museo del fascismo” a Predappio “fino a quando non si verificheranno aspetti celebrativi” e “condiviso la cautela del governo italiano di fronte ad azioni unilaterali sullo scenario internazionale”, mentre l’Anpi chiede anche nel documento congressuale, addirittura un intervento militare unitario contro l’IS, quindi in violazione dell’art.11 della Costituzione. Sono poi stati votati il documento congressuale provinciale e quello nazionale approvati con 4 astenuti, il nuovo Comitato provinciale dell’Anpi e i 4 delegati al Congresso nazionale in programma dal 12 al 15 maggio a Rimini. intervista esclusiva / il bolscevico 13 N. 13 - 31 marzo 2016 Intervista esclusiva de “Il Bolscevico” al partigiano Giovanni Gerbi in occasione della presentazione a Ivrea del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà” “Sono stato, sono e sempre rimarrò comunista rivoluzionario per fare in Italia come nella Russia di Lenin e Stalin” La storia dell’insurrezione di Santa Libera del 1946 contro l’amnistia concessa ai fascisti da Togliatti. la stampa e la televisione borIl PCI frenò la lotta rivoluzionaria degli operai e delle masse del Piemonte ghese non posso sapere chi Dal nostro corrispondente In occasione della presentazione del video “La rivoluzione che doveva venire. La rivoluzione che verrà”, prodotto e realizzato dal collettivo “Officinevideoindipendenti” di Milano in cui il bravo compagno Tonino ha saputo convogliare su video la storia dei partigiani che nel lontano agosto 1946, nel paese di Santa Libera, tra le province di Cuneo ed Asti, rimbracciarono i fucili contro la famigerata amnistia di Palmiro Togliatti che ridava la libertà e prestigiosi posti di potere a migliaia di fascisti che si erano macchiati delle peggiori nefandezze durante il ventennio mussoliniano a discapito di partigiani e comunisti. L’Organizzazione biellese del PMLI ha colto l’occasione per intervistare a Ivrea (Torino), sabato 19 marzo, Giovanni Gerbi, l’ultimo partigiano sopravvissuto di Santa Libera, per coglierne le testimonianze storiche e politiche, che restano ancora attuali, e ottenere delle considerazioni sul movimento partigiano di quegli anni per giungere agli attuali movimenti di resistenza all’imperialismo internazionale. Già all’inizio dell’intervista il compagno Giovanni mette in mostra il suo spirito diretto e franco chiedendo di cominciare l’intervista con le conoscenze ufficiali dei presenti, con tanto di vigorosa stretta di mano, affermando: “Ci si deve sempre presentare per ciò che si è - infatti io dico sempre - sono Giovanni Gerbi un comunista rivoluzionario, mi qualifico per quello che sono per non essere mai frainteso”. Dopo la presentazione del compagno Gabriele Urban, quale Responsabile piemontese del Partito marxista-leninista italiano, e dei compagni simpatizzanti biellesi del PMLI Pier e Fabrizio, Giovanni Gerbi racconta: “Sono diventato antifascista nel 1944 perché amavo il popolo ed essendo figlio di operai ho capito che era una vergogna essere balilla. Da quel momento ho rinne- “solidarizzo con la lotta antimperialista dello stato islamico e dei suoi combattenti” gato totalmente l’ideologia fascista, tutto quello con cui mi avevano indottrinato a scuola, e tutto quello che circondava l’ideologia fascista e il duce, l’ho gettato nella spazzatura. Da quel rifiuto in poi sono seguite le torture, il carcere e le umiliazioni; poi nel 1945 la Liberazione che, se per tutta l’Italia è stato un momento di festa, per me è stato un traguardo triste in quanto mi hanno tolto le armi, mi hanno portato via il mio Sten (fucile mitragliatore, ndr) e ci hanno fatto accettare il compromesso con la borghesia di cui la tanto blasonata Costituzione del 1948 ne è l’emblema. La mia fortuna è stata quella di imbattermi nella 9a divisione Garibaldi ‘Stella rossa’ e conoscere un grande comunista, il comandante Giovanni Rocca, che seguiva tutti i distaccamenti partigiani della mia zona e faceva proselitismo per il PCI; parlava sempre della rivoluzione, quella con la erre maiuscola, che avrebbe inevitabilmente partorito un nuovo mondo socialista dove non ci sarebbero mai più stati sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ingiustizie ed iniquità. Io sono rimasto immediatamente affascinato da quel programma politico anche perché, invece, guardandomi intorno, vedevo ovunque solo ingiustizie e sfruttamento. Infatti la famelica borghesia proprio sulla mia pelle, e su quella di chiunque mi circondava, faceva tantissimi soldi accumulando enormi ricchezze generate dal nostro sfruttamento nelle fabbriche di sua proprietà. Come dicevo la prima delusione è stata quando mi hanno ordinato di consegnare il mio Sten che durante la guerra mi aveva salvato la vita più di una volta. Ero talmente affezionato a quell’arma che, la notte seguente alla confisca dell’arma, sapendo dove fisicamente l’avevano CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI APRILE 1 2 7 9 Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil – Ericsson Telecomunicazioni SpA – Sciopero lavoratori settore Field Service & Local Delivery Manifestazioni territoriali CGIL-CISL-UIL per la vertenza pensioni Orsa - Trasporto Merci - Compagnia Ferroviaria Italiana – Sciopero di tutto il personale mobile di C.F.I. Rsu, Unica- Trasporto Aereo - Enav SpA – Sciopero personale Enav Spa Upm Roma MAGGIO Italiana – Sciopero generale di tutte le 1 Unione Sindacale categorie pubbliche e private Cobas scuola – Sciopero lavoratori scuola contro le prove Invalsi 4-5-12 collocata, sono andato a riprendermela per poi nasconderla in un posto sicuro. Dopo la Liberazione dal nazi-fascismo permanevano estese sacche di disoccupazione, ingiustizie e povertà per il popolo; in questo contesto avverto forte in me il secondo passaggio del mio risveglio politico che avviene proprio quando vengo assunto come operaio alla Way-Assauto, indotto FIAT, provando lo sfruttamento. Compresi per esperienza diretta che in fabbrica c’erano le stesse dinamiche di sfruttamento e violenza della dittatura fascista, uguali! Arriviamo al 20 agosto 1946 quando inizia la rivolta di Santa Libera. Anche in fabbrica arriva la voce che i partigiani delle Langhe hanno ripreso in mano i fucili e sono saliti a Santa Libera. Io, naturalmente li seguii. Santa Libera si rivelò un tentativo per portare avanti l’obiettivo della rivoluzione che in me non s’era mai sopito, io ho sempre e solo agito per la rivoluzione, per fare in Italia quello che fecero in Russia Lenin e Stalin, dare il potere al popolo. Però con l’esperienza di Santa Libera capii una grande verità, capii che il PCI non era comunista. Parzialmente me ne accorsi già in fabbrica quando la direzione (tutta composta da ex fascisti) aveva stabilito un rapporto ‘particolare’ coi comunisti della commissione interna. Capii che tale rapporto particolare si traduceva in volgari tangenti che servivano per la costruzione di un soggiorno in montagna, a Brusson, in Valle d’Aosta, praticamente interamente finanziato dai padroni. Il fatto è ancora più grave perché bisogna comprendere un dato fondamentale ossia che se il padrone ti dà il padrone poi vuole. Infatti quando in fabbrica c’erano le lotte più dure, per migliorare le condizioni di lavoro degli operai, la dirigenza padronale convocava sempre e solo una determinata responsabile del sindacato, solo e sempre lei. Quando si metteva in mezzo tale dirigente sindacale lo faceva per gettare acqua sul fuoco della lotta e successivamente le cose non prendevano mai la piega giusta per le operaie e per gli operai ma sempre e solo per i padroni. Ho denunciato subito questi intrallazzi al direttivo provinciale della CGIL da cui ho ricevuto un sonoro ‘Non può essere vero’. Anche i dirigenti locali del PCI hanno cercato di portarmi a miti consigli e allora io ho denunciato anche i dirigenti del PCI. Pensate che nessun dirigente della CGIL e del PCI ha preso le mie parti. Solo i miei compagni di lavoro, e soprattutto quelli del mio reparto che erano tutti bolscevichi, mi hanno difeso fino all’ultimo. Io ho proseguito sulla mia strada ras- segnando le dimissioni da dirigente sindacale e dirigente del PCI. Sono ritornato a casa mia, senza incarichi di sorta, ma con la coscienza pulita per essere rimasto fedele ai miei ideali rivoluzionari e comunisti. borghesia, per la restaurazione del potere borghese. Purtroppo lo compresi dopo perché all’inizio Krusciov parlava da comunista, asseriva di essere un sincero leninista e che avrebbe ulteriormente svilup- Ivrea (TO), sabato 19 marzo 2016. Giovanni Gerbi, l’ultimo partigiano sopravvissuto di Santa Libera, durante l’intervista a Il Bolscevico realizzata dai compagni biellesi. Sulla destra il compagno Gabriele Urban, Responsabile del PMLI per il Piemonte (foto Il Bolscevico) Tornando a Santa Libera le cose andarono come in fabbrica ossia la base dei partigiani, sinceramente comunisti, erano disposti a fare la rivoluzione riuscendo anche ad attirare la curiosità di altri partigiani sparsi per tutto il Piemonte e persino in Valle d’Aosta mentre il dirigente Armando Valpreda e Giovanni Rocca, che mi aveva insegnato l’onestà e ad essere sempre integro e fedele ai propri ideali, sottoscrissero la resa con la borghesia che furbescamente aveva fatto interloquire noi di Santa Libera coi famosi e stimati capi partigiani nazionali come Cino Moscatelli che ci disse ‘Ragazzi, noi la pensiamo come voi ma ora non è il momento’. Pensate che astuta è stata la borghesia, mandò Cino Moscatelli a trattare! Comunque finì tutto quando accettammo la loro parola d’ordine ‘Ragazzi tornate a casa’ seguita dall’ottenimento di alcune concessioni formali”. DOMANDA: Su questo argomento di coerenza ed integrità morale e politica vogliamo conoscere la tua opinione sul XX Congresso del PCUS, sul famigerato rapporto di Krusciov e sulla titanica lotta contro il revisionismo moderno condotta dal Presidente Mao. RISPOSTA: La mia idea fissa era la rivoluzione proletaria ed io non ero disposto a scendere a compromessi su tale obiettivo. L’avvento di Krusciov lo vidi come un tentativo di rinnovamento ma, successivamente, compresi che fu un rinnovamento per la pato il socialismo; in molti allora ci facemmo abbagliare dalla sua fumosa retorica. Mao è riuscito a non farsi abbindolare e proseguire sulla via del socialismo e della rivoluzione. Cercate di capire le masse popolari, si fidavano ciecamente dei dirigenti del PCI, per noi semplici comunisti piemontesi i dirigenti nazionali del PCI erano dei miti, dei simboli, delle donne e degli uomini che si erano fatti il carcere fascista e condotto la vittoriosa guerra di Liberazione, pendevamo dalle loro labbra, chi si sarebbe immaginato che in seguito avrebbero gettato gli ideali del comunismo per tornare tra le braccia del capitalismo? Le masse avevano fiducia nel socialismo, in Stalin. Pensate che il primo libro di politica che ho letto è stato il “Breve corso di storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS” di Stalin che mi ha aperto un mondo, mi ha cambiato la vita, per sempre, accendendo in me il fuoco della rivoluzione proletaria (qui Giovanni si commuove, ndr). D: Senti Giovanni la scorsa presentazione hai definito i miliziani dello Stato Islamico dei partigiani, puoi nuovamente definire la tua opinione sui movimenti islamici che attualmente combattono l’imperialismo? R: Il mio unico discrimine è tra tutti quelli che lottano contro l’imperialismo e le forze imperialiste. Chiunque combatta contro il potere delle rispettive borghesie nazionali è mio amico. Questo è il punto fondamentale. Io attraverso sono, come vivono e cosa dicono veramente i miliziani dello Stato Islamico. Però so che vengono costantemente bombardati dagli americani, dagli europei e dai russi che sono tutte potenze imperialiste che conquistano territori ed interi stati nazionali cui sottrarranno successivamente le ricchezze naturali. Per questo i partigiani dell’IS hanno tutta la mia simpatia ed io solidarizzo con loro. A me basta sapere che se, in qualunque parte del mondo si trovi, qualcuno è disposto a dare la propria vita nella guerra contro l’imperialismo, bene, questo è mio amico. È una discriminante netta contro l’imperialismo. Solo questo conta. Per esempio quando ho chiesto ai miei collaboratori chi eravate di preciso e mi hanno detto che eravate del PMLI ho subito risposto che siete miei amici e ho desiderato essere intervistato da voi perché ho la certezza che siete comunisti e anti-imperialisti! D: Quali sono le tue coordinate per far tornare di moda il rosso e la lotta per il socialismo in una società capitalistica come la nostra dove la frantumazione della classe operaia, realizzata ad arte dalla borghesia, l’ha riportata a livelli premarxisti? R: Solo una cosa conta, la coerenza e l’esempio. Io in fabbrica dicevo sempre ai miei colleghi: compagni la fabbrica la stiamo facendo noi e prima di noi i nostri padri e prima ancora i nostri nonni; la fabbrica la portiamo avanti noi dunque la fabbrica dobbiamo gestirla noi. Questo è sempre e solo l’unico ragionamento da fare. Questo sul luogo di lavoro. Per ciò che riguarda l’esterno della fabbrica, nella società, dobbiamo affermare sempre e con decisione alle masse lo slogan “Compagni, noi vogliamo la rivoluzione!”. Senza rivoluzione la fabbrica e, soprattutto, il potere se lo tengono i padroni, la borghesia. Alle masse popolari bisogna parlare forte e chiaro, senza aver paura di usare mezzi termini, sempre dire chi sei e cosa vuoi! Così la gente vedrà e capirà. Io in fabbrica avevo la paga più bassa di tutti, venivo costantemente vessato dai capetti, hanno cercato di licenziarmi tre volte, gli operai non l’hanno mai permesso ed io sono rimasto in fabbrica 40 anni! Se tu sei coerente e dai l’esempio questo vale più di mille parole e le masse popolari ti seguiranno. D: Ti ringraziamo Giovanni omaggiandoti del fazzoletto rosso del nostro Partito, della spilla dei Maestri, di una copia a colori del nostro settimanale “Il Bolscevico” e di alcune nostre pubblicazioni nella speranza di stabilire un rapporto costante e duraturo anche attraverso le pagine de “Il Bolscevico”. R: Io vi ringrazio per questa interessante intervista e sono sicuro che rimarremo in contatto. 14 il bolscevico / cronache locali N. 13 - 31 marzo 2016 Torino Il Politecnico espelle gli studenti fuoricorso Gli studenti lavoratori e delle famiglie meno abbienti i veri penalizzati Dal nostro corrispondente del Piemonte Al Politecnico di Torino è stato approvato un nuovo regolamento che prevede misure draconiane per gli studenti indietro con gli esami previsti. Per questi è stato introdotto l’obbligo a ripetere il test d’accesso (la vergognosa selezione a cui sono sottoposte le matricole per accedere ai corsi universitari) che, se non superato, porterebbe all’espulsione immediata dall’università. Cosa prevede il nuovo regolamento degli studenti A volere questa radicale riforma è stato il rettore Marco Gilli, il più giovane della storia dell’ateneo, che nel corso di una conferenza stampa ha senza mezzi termini dichiarato: “Che senso ha restare parcheggiati qui per tanto tempo? Con queste nuove misure gli studenti capiranno se l’università è la strada che fa per loro oppure no”. In cosa consistono le sue “nuove misure” è presto detto. Ogni studente iscritto al Politecnico verrà monitorato nel suo percorso di studi della laurea di primo livello (di durata triennale) e di quella di secondo (di durata biennale). Se ciascun percorso non sarà ultimato in un tempo massimo che si prevede doppio rispetto a quello standard (quindi 6 anni per la laurea di primo livello e 4 per quella di secondo) scatterà l’automatica espulsione dal corso di laurea. Lo studente in questione dovrà quindi, se intenzionato a proseguire gli studi, iscriversi ad un’altra università oppure re-iscriver- si al Politecnico ma solo dopo avere ripetuto e superato il test di accesso delle matricole. In ogni caso dovrà optare per un altro percorso di studi in quanto quello da cui è stato espulso gli sarà per sempre interdetto. In entrambi i casi gli esami sostenuti non saranno automaticamente validati ma sarà necessario una specifica conversione legata al nuovo percorso, conversione che richiede, a seconda del numero degli esami da validare, una spesa che si aggira nell’ordine di qualche migliaio di euro. Superare una seconda volta il test d’accesso non sarà poi certo un automatismo visti i rigidi criteri nozionistici e meritocratici applicati nella selezione delle matricole. Il rettore Gilli ha a questo riguardo dichiarato: “Abbiamo deciso di puntare su studenti di qualità. Quest’anno abbiamo introdotto una soglia minima per il test d’ingresso”. Il nuovo regolamento che sanziona i fuoricorso è stato approvato all’unanimità dal senato accademico, unica opposizione quella degli studenti che, come componente di minoranza, non hanno potuto fare altro che contestare l’operazione sottolineando: “i fuoricorso non sono una zavorra da combattere ma studenti in difficoltà da aiutare con esami ad hoc, con formazione specifica e tutoraggio”. Colpiti gli studenti lavoratori e meno abbienti Viste le misure draconiane imposte in fretta e furia, per di più ad anno accademico abbondantemente iniziato, c’è da chiedersi se il Politecnico di Torino sia sommerso da studenti fuori corso che, causa il loro numero, rendono impossibile il regolare svolgimento delle lezioni e delle sessioni d’esame. No, non è affatto così. Le statistiche dimostrano anzi l’opposto! Il Politecnico registra un tasso di fuori corso pari a circa il 36% contro una media nazionale del 47% per le facoltà di ingegneria ed architettura. Con 10 punti percentuali meno della media nazionale il Politecnico di Torino è una delle università, sotto questo punto di vista, più “virtuose” del Paese. Il vero problema non è legato ai fuoricorso bensì all’aumento delle iscrizioni, vertiginoso e in controtendenza rispetto alle altre università. Al Politecnico quest’anno si sono avute 10.000 domande di iscrizioni a Dal nostro corrispondente della Toscana “Un significativo contributo pubblico? Vale almeno un tirocinio per un giovane che cerchi di fare esperienza in azienda”. Con questo spot il neo renziano, probabile candidato alla leadership del PD, nonché governatore della Toscana, Enrico Rossi, ha presentato la delibera della giunta regionale recentemente approvata in materia di tirocini. In sostanza le imprese avranno accesso a fondi euro- Privatizzazione della gestione dell’acqua: questo sta deliberando la commissione Parlamentare Ambiente Ma non è una novità! volentieri Non è una novità che il parlamento o il governo italiani ignorino la volontà popolare, e la gestione dell’acqua ne è l’emblema. La legge per la gestione pubblica del servizio idrico infatti fu proposta su iniziativa popolare nel 2007, con oltre 400.000 firme, ma fu ignorata completamente dal parlamento di allora e decadde con la legislatura. Eppure numerosi comitati di cittadini, associazioni e movimenti non si arresero e, nel 2010, raccolsero le firme per proporre i referendum abrogativi, sia dell’art. 23/bis della legge Ronchi, che spingeva verso la privatizzazione della gestione, sia dell’art. 154, per eliminare il profitto garantito sulla gestione. Anche in questo caso la volontà popolare fu chiara: 27 milioni di italiani votarono “Sì” per l’abrogazione dei due articoli di legge contro la privatizzazione della gestione e contro il profitto sull’acqua; e anche in questo caso fu ignorata dalla successiva legge di stabilità del governo Monti (di unità nazionale), che affidò il controllo del servizio idrico all’AEEG (Autorità per l’energia elettrica e gas), ente di regolamentazione di mercato, che ha imposto tariffe con profitti garantiti (falsamente chiamati costi) e mantenuto le gestioni private. La recente Direttiva Europea 2014/25/UE (punti 7, 8 e 9) sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua e altri servizi, non “obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare”, al contrario afferma che non dovrebbe neppure trattare la liberalizzazione di servizi di interesse economico generale, riservati a enti pubblici, e che “lascia impregiudicata la libertà delle autorità nazionali, regionali e locali di definire, in conformità del diritto dell’Unione, i servizi d’interesse economico generale. Mentre il parlamento italiano (eccetto gli oppositori di minoranza…) vuole chiudere la partita con la gestione dell’acqua, varando una legge che ne mantiene la gestione privata. Il governo Renzi, poi, con il decreto di attuazione della Legge Madia del 2015, promuove la concorrenza, la libertà di stabilimento e la liber- lavoratrici ed i lavoratori nei posti di lavoro e allo stesso modo per le studentesse e gli studenti nelle scuole e nelle università. Ad essere colpiti saranno, ne siamo certi, gli studenti delle famiglie meno abbienti che sono costretti a svolgere un lavoro per mantenersi negli studi. In molti casi questi sono oggettivamente impossibilitati a sostenere tutti gli esami previsti per ogni anno e optano quindi per una iscrizione parttime. Penalizzati anche gli studenti fuori sede che non possono permettersi un alloggio vicino all’Università e, causa lo stato di degrado dei trasporti pubblici, sono costretti ad orari massacranti per riuscire a frequentare le lezioni. Il tanto decantato “merito” è soltanto una truffa. La pretesa “riforma” si limita infatti a “misu- rare” il numero degli esami sostenuti senza tenere in alcun conto le differenze tra gli studenti, incluse quelle legate alla tipologia di iscrizione. Quanto avvenuto al Politecnico di Torino dimostra in ultima analisi l’assoluta correttezza della linea universitaria del nostro Partito. Le nostre università, così come le nostre scuole, devono essere governate direttamente dalle studentesse e dagli studenti. Solo così gli studenti fossero la maggioranza all’interno degli organi accademici allora un simile vergognoso regolamento non sarebbe mai stato approvato e le studentesse e gli studenti di estrazione proletaria potrebbero completare i loro studi, studi che la classe dominante borghese vuole invece loro negare. Il governatore Rossi (PD) avalla lo sfruttamento dei giovani appoggiando i tirocini Comunicato del Forum Toscano dei Movimenti per l’acqua e dei Comitati Territoriali contro la privatizzazione dell’acqua Riceviamo e pubblichiamo. fronte di soli 5.000 posti ed è quindi necessario attuare una selezione di classe ancora più rigida. Da tenere ben presente è poi il discorso legato ai finanziamenti statali per l’università. Per ogni studente in corso questa riceve 1.500 euro annui mentre non riceve nulla per quelli fuoricorso. Insomma, per le università che selezioneranno i futuri dirigenti della classe dominante borghese (o più semplicemente i futuri tecnici, di estrazione proletaria, che questa utilizzerà come suoi caporali) sono necessari criteri selettivi sempre più elevati. Se la classe dominante borghese del nostro Paese vuole essere al livello di quelle europee e mondiali non può fare altro che spremere le masse popolari fino alla loro ultima goccia di sangue. Questo vale per le tà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. La legge, oggi in Commissione Ambiente della Camera, proposta da un gruppo di parlamentari, doveva ricalcare quella d’iniziativa popolare del 2007, ma la stessa Commissione ha approvato un emendamento che elimina i processi di ripubblicizzazione, ribaltando completamente il rispetto della volontà popolare espressa in quasi 10 anni di mobilitazioni, sia a livello locale che a livello nazionale. Questa legge, che rappresenta un’ulteriore mannaia contro l’espressione democratica dei cittadini, non ci spaventa, e non fermerà i comitati nella difesa dei territori dagli interessi transnazionali e dalle lobbies economico-politiche che si sono appropriate di un diritto umano fondamentale come l’accesso all’acqua. Forum Toscano dei Movimenti per l’acqua Comitati territoriali contro la privatizzazione dell’acqua 18 marzo 2016 pei a fronte dei quali la Regione Toscana obbliga all’attivazione di tirocini. 100.000 euro obbligo attivazione di un tirocinio, 200.000 euro due tirocini, per un tempo di 6 mesi se si tratterà di giovani con età non inferiore a 18 anni che hanno assolto l’obbligo d’istruzione, di 12 mesi in caso di giovani laureati. Il costo per l’azienda sarà di almeno 500 euro al mese, ossia la retribuzione del giovane; briciole rispetto al lauto guadagno sul lavoro svolto dal tirocinante (al quale magari vengono anche affidate mansioni che dovrebbero svolgere dei dirigenti ben retribuiti) e sul fondo europeo in- cassato. Rossi, nascondendosi dietro la demagogica idea di “offrire una chance alle nostre giovani generazioni”, in realtà avalla lo sfruttamento dei giovani da parte dei pescecani capitalisti non garantendo loro minimamente un’occupazione stabile e futura. Rossi aggrava la sua posizione politica in materia occupazionale affermando che “sappiamo che un tirocinio non è un lavoro... è anche vero che la regione non può assicurare un lavoro... speriamo che l’esperienza di uno stage o un tirocinio si possa poi trasformare in un lavoro vero”. Forte e netta la posizione dei sindacati CGIL, CISL, UIL Toscana che rimarcano la netta differenza tra tirocinio e lavoro vero, e soprattutto denunciano che soltanto il 4,6% dei tirocini, nonostante gli incentivi, si trasforma in un rapporto di lavoro futuro. Altro che “Giovanisì, il progetto della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani”. I tirocini vanno aboliti poiché una volta completato il percorso di studi i giovani possono essere resi autonomi solo garantendo loro un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. No allo scempio urbanistico-ecologico di Bolzano Non mi capita spesso, da bolzanino di nascita, di tornare nella città del Talvera (il torrente che scorre in mezzo alla cittadina), ma, avendo ancora abbastanza presente la topografia del luogo, ritengo che sia in arrivo un vero scempio urbanistico-ecologico: la costruzione della megastruttura progettata da René Benko, imprenditore immobiliare già condannato (peraltro) per corruzione in Austria, precisamente a Innsbruck di cui il personaggio è nativo e in cui risiede. L’azione progettata da Benko sventrerebbe gran parte del centro storico, comporterebbe la distruzione di molte aiuole e di parchi, il fallimento sicuro dei pochi (risultano essere sempre meno) negozi superstiti. Ma la mia non è, si badi, una difesa proudhoniana-piccolo borghese di artigiani e negozianti. Benko, non ancora quarantenne, ha costruito un vero impero economico praticamente dal nulla ed è apparentabile ai peggiori “tychoons” nostrani. Nulla lascia presagi- re che in Italia (si fa per dire, provincia autonoma Alto Adige/Sud-Tirolo) si comporterebbe diversamente. Un monopolismo becero e sfruttatore di centinaia di lavoratori, sfruttati con turni di lavoro massacranti quanto malpagati, nella logica ormai dominante dei “centri commerciali”, che invadono tutto l’Occidente capitalista. A favore del “Piano Benko” significativamente sia il PD sia la destra italiana, sia gran parte della SVP (partito popolare autonomista tirolese), mentre, per motivi vari sono decisamente contro i 5Stelle, i Verdi, altre forze minoritarie, in gran parte riconducibili a SEL e ai “Comunisti italiani”. Ma il referendum che si svolgerà questa primavera è quasi certamente destinato a confermare il progetto stesso, visto anche il battage pubblicitario di Benko stesso come dei partiti che lo sostengono. La stampa locale (“Alto Adige”, soprattutto e “Dolomiten”) è latitante, anzi tende ad avallare le posizioni di Benko. Eugen Galasso - Firenze Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 23/3/2016 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 esteri / il bolscevico 15 N. 13 - 31 marzo 2016 Pur di non avere in casa propria migranti e rifugiati L’UE imbottisce di miliardi il regime fascista di Erdogan La soluzione giusta è aprire le frontiere dell’UE No al rinvio in Turchia dei migranti e dei rifugiati “L’accordo raggiunto rispetta i requisiti che ci eravamo dati c’è un esplicito riferimento ai diritti umani, alla libertà di stampa e quei valori fondanti dell’Europa. La nostra posizione era sì all’accordo ma non a tutti i costi, abbiamo ottenuto questo principio, adesso vedremo di lavorare per fare in modo che tutto vada nel miglior modo possibile. Alle parole ora devono seguire i fatti”, affermava il 18 marzo in conferenza stampa al termine del vertice dell’Unione europea (Ue) a Bruxelles il premier italiano Matteo Renzi in riferimento all’accordo Ue-Turchia; ovvero basta scrivere che tali punti sui cosiddetti “valori fondanti” devono essere rispettati senza proccuparsi che lo siano effettivamente, e il regime fascista del presidente Erdogan li viola tutti nella repressione dell’opposizione e delle aspirazioni autonomiste del popolo curdo, per imbottire il governo di Ankara di miliardi di euro e assicurarsi che faccia da contenitore di migranti e rifugiati dai paesi mediorientali e asiatici diretti verso la Ue, un muro per i flussi migratori. L’accordo tra il Consiglio europeo, la Commissione e la Turchia, in nome dell’emergenza profughi apre in realtà la strada a procedure illegali e allo smantellamento del diritto individuale di asilo nella Ue. Diverse associazioni che si occupano di migranti l’hanno definito “una violazione senza precedenti del diritto europeo alla protezione internazionale e della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati”. Financo il Vaticano ha definito “umiliante chiudere le porte d’Europa”, l’ennesimo tentativo dei paesi imperialisti europei di blindare le frontiere. Un tentativo che non fermerà la pressione di chi è in fuga da guerre e fame e cercherà di raggiungere l’Europa, per la semplice ragione che restano intatte le principali cause della loro fuga dai paesi di origine, spesso originate da bombe e sfruttamento degli stessi paesi imperialisti europei che devono cessare. La soluzione giusta è comunque quella di aprire le frontiere dell’Ue a profughi e migranti, l’unico sistema efficace tra l’altro contro i trafficanti di esseri umani, a partire dalla creazione di canali umanitari attraverso i Balcani, l’Adriatico e il Mediterraneo per garantire un passaggio sicuro che ponga fine una volta per tutte alle rotte della morte. In ogni caso i numeri attuali di profughi e migranti diretti verso i paesi europei sono ancora gestibili e solo la propaganda imperialista, razzista e xenofoba li fa diventare una inesistente “invasione” da respingere. Il nuovo “muro” sulla rotta mediorientale dovrebbe essere costituito dalla Turchia. Ben remunerata per il suo servizio con i 3 miliardi di euro già stanziati e altrettanti da incassare entro il 2018. Il comunicato dell’intesa tra Bruxelles e Ankara è tra l’altro una successione di misure che alternano quelle relative ai pro- Un’ aspetto delle tragiche condizioni di vita dei profughi nel campo di Idomeni ai confini con la Macedonia fughi alle contropartite portate a casa dal governo turco, esplicitando anche nella forma in cui è scritto il baratto tra le due controparti. “La Turchia e l’Unione europea hanno riconfermato l’impegno ad attuare il piano d’azione comune attivato il 29 novembre 2015. Sono già stati compiuti molti progressi, tra cui l’apertura, da parte della Turchia, del mercato del lavoro ai siriani oggetto di protezione temporanea”, afferma il documento per registrare che va tutto bene tra le parti, anche se vuol dire che decine di migliaia di donne e ragazzi siriani sono già supersfruttati nelle aziende manifatturiere turche. L’accordo prevedeva che a partire dal 20 marzo i profughi che sono già nelle isole dell’Egeo dovevano essere trasferiti sul continente nei centri che già ne accolgono quasi 50 mila predi- sposti dal governo di Atene per poter usufruire dei programmi di trasferimento all’interno della Ue; quei ridicoli programmi già previsti che sono riusciti finora a spostare da Grecia e Italia solo alcune centinaia di profughi delle decine di migliaia arrivati negli ultimi mesi. Profughi e migranti che arriveranno sulle isole dal 20 marzo dovranno essere identificati e rispediti in Turchia. “Al fine di smantellare il modello di attività dei trafficanti e offrire ai migranti un’alternativa al mettere a rischio la propria vita sta scritto nel comunicato - l’Ue e la Turchia hanno deciso oggi di porre fine alla migrazione irregolare dalla Turchia verso l’Ue; per conseguire questo obiettivo hanno concordato i seguenti punti d’azione supplementari: 1) tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decor- rere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, nel pieno rispetto del diritto dell’Ue e internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva. (...) Si tratterà di una misura temporanea e straordinaria che è necessaria per porre fine alle sofferenze umane e ristabilire l’ordine pubblico. I migranti che giungeranno sulle isole greche saranno debitamente registrati e qualsiasi domanda d’asilo sarà trattata individualmente dalle autorità greche conformemente alla direttiva sulle procedure d’asilo, in cooperazione con l’Unhcr (l’agenzia per i porfughi dell’Onu, ndr). I migranti che non faranno domanda d’asilo o la cui domanda sia ritenuta infondata o non ammissibile ai sensi della suddetta direttiva saranno rimpatriati in Turchia. La Turchia e la Grecia, assistite dalle istituzioni e agenzie dell’Ue, adotteranno le misure necessarie e converranno i necessari accordi bilaterali, tra cui la presenza di funzionari turchi sulle isole greche e di funzionari greci in Turchia dal 20 marzo 2016, al fine di garantire un collegamento e agevolare in questo modo il corretto funzionamento di detti accordi”. “Non verranno eseguiti espulsioni di massa”, assicuravano da Bruxelles ma il meccanismo concepito dalla Ue altro non è che una macchina burocratica per produrre espulsioni individuali in serie, espulsioni di fatto di massa, comprese quelle di siriani che è difficile non definire pro- fughi di guerra. “Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche - precisa il documento un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’Ue. (...) La priorità sarà accordata ai migranti che precedentemente non siano entrati o non abbiano tentato di entrare nell’Ue in modo irregolare”. Un meccanismo complesso che sposta i profughi come pacchi postali, concepito per fermare i flussi, tanto che i posti disponibili per i cosiddetti reinsediamenti sono quasi raggiunti con i profughi già arrivati in Grecia. E di difficile applicazione tanto che il 20 marzo non erano ancora al loro posto nelle isole dell’Egeo gli specialisti europei che dovrebbero valutare le domande di asilo. Tra l’altro la Turchia non riconosce la convezione di Ginevra del 1951 sui profughi e non la applica già escludendo siriani, iracheni e afghani dal riconoscimento dello status di rifugiato; come potrà applicare il meccanismo di gestione dei profughi “nel pieno rispetto del diritto dell’Ue e internazionale” come afferma il comunicato non è un problema per la Ue che lo risolve scrivendo semplicemente sul comunicato finale del vertice che “si attende che la Turchia rispetti gli standard più elevati in materia di democrazia, stato di diritto, rispetto delle libertà fondamentali, compresa la libertà di espressione”. L’Ue “attende”, la Turchia non li rispetta a partire dai giornalisti non allineati al governo sbattuti in galera e l’intesa procede. Brasile “C’è un decreto di nomina in caso di necessità”, affermava la presidente brasiliana Dilma Rousseff in un colloquio telefonico, intercettato e reso di dominio pubblico il 16 marzo, col predecessore e padrino politico Luiz Inacio Lula da Silva per tranquillizzarlo e offrirgli l’immunità di membro del governo per tirarlo fuori dai sempre più gravi impicci giudiziari. Lula accettava l’offerta ma il Tribunale Supremo Federale, massima istanza del Brasile, ne bloccava l’attuazione. I guai giudiziari dell’ex presidente Lula da tempo coinvolto nell’inchiesta per tangenti e lavaggio di denaro sporco erano tornati agli onori delle cronache il 4 marzo quando veniva prelevato dalla polizia e condotto in accompagnamento coatto, dato che si era rifiutato di andare a deporre, presso gli uffici della polizia federale all’aeroporto di Congonhas dove era interrogato da uno dei giudici che seguono l’inchiesta dello scandalo Petrobras. L’operazione di polizia portava a altri dieci fermi e 32 perquisizioni in tre Stati, a Bahia e Rio de Janeiro oltre a quello paulista e nel mirino degli inquirenti sono finiti quasi tutti i più stretti collaboratori dell’ex leader socialista, dalla moglie Marisa Letícia e i figli Sandro Luis, Fabio Luis, Marcos Claudio e Luis Claudio, ad altri personag- Fermato Lula, idolo dei riformisti e falsi comunisti L’ex presidente del Brasile è coinvolto nell’inchiesta per tangenti e lavaggio di denaro sporco. La procura di San Paolo ne ha chiesto l’arresto gi vicini al Partito dei Lavoratori (Pt) fra i quali il direttore dell’istituto Lula, Paulo Okamotto, la direttrice Clara Ant, che fu assistente speciale di Lula ai tempi della sua presidenza e José de Filippi jr, segretario del prefetto Fernando Haddad, membro del partito. Il procuratore federale Carlos Fernando dos Santos Lima che dirige l’inchiesta, ha spiegato che “grandi compagnie edilizie” gonfiavano i prezzi dei contratti con la compagnia petrolifera di stato Petrobras dai quali ricavavano fondi per pagare consistenti cifre in nero a esponenti del Pt pur di ottenere appalti pubblici; queste aziende “misero a disposizione 30 milioni di real (oltre 7,4 milioni di euro) tra donazioni e compensi per conferenze”. “Ci sono elementi di prova - affermava il procuratore - che l’ex presidente abbia ricevuto denaro” e altri benefici tra i quali la costruzione di una fattoria nella città di Atibaia e di un appartamento a Guaruja, che apparterrebbero a Lula pur intestate a prestanomi. L’ex presidente respingeva le accuse e sosteneva: “non ho nulla da temere perché non ho fatto niente di male”. Lo scandalo dell’affare Petrobras era venuto alla luce nel marzo del 2014 in seguito alle confessioni di un ex alto dirigente della società che aveva svelato l’intreccio di corruzione tra le aziende che partecipavano alla costruzione delle infrastrutture petrolifere e i partiti della coalizione di governo. I giudici che si occupano dell’inchiesta Petrobras hanno così potuto ricostruire il funzionamento del sistema di corruzione che ha riempito le tasche di numerosi esponenti politici di partiti della coalizione di governo, soprattutto il Pt di Lula e dell’attuale presidente Dilma Rousseff. La presidente che negli anni dello scandalo era presidente del Consiglio di amministrazione di Petrobras. Finora l’ex presidente Lula, che ha ricoperto la carica dal 2002 al 2010, non era stato toccato direttamente dalle inchieste; adesso è indagato per riciclaggio di denaro, corruzione e sospetto occultamento di beni. La sua erede politica Dilma Roussef, rieletta per il secondo mandato presidenziale il 26 ottobre 2014, aveva invece superato una richiesta di impeachment facendosi assolvere da una commissione parlamentare, dove la maggioranza dei componenti era del suo partito. I guai giudiziari di Lula erano iniziati nel luglio dello scorso anno quando il suo nome era stato scritto nel registro degli indagati dalla Procura di Brasilia poiché secondo i giudici aveva utilizzato in più occasioni la sua influenza come ex presidente per favorire l’assegnazione di contratti internazionali a Odebrecht, la holding brasiliana delle costruzioni. Sotto osservazione della magistratura finivano tra gli altri gli appalti finanziati anche con fondi pubblici del Brasile e ottenuti senza gare da Odebrecht a Cuba, in Venezuela, nella Repubblica Domenicana e in alcuni paesi africani. Il presidente della holding, Marcelo Odebrecht figlio del fondatore, era stato arrestato poco prima perché era finito tra gli accusati nello scandalo Petrobras. A dire il vero questo era il secondo grande scandalo nel quale veniva coinvolto Lula; il primo, chiamato “Mensalao”, riguardava gli stipendi in nero che, secondo l’accusa, il Pt pagava con fondi pubblici a esponenti di altri partiti brasiliani affinché votassero in Parlamento leggi che non poteva far approvare perché non aveva la necessaria maggioranza. In quella inchiesta vennero condannati l’allora tesoriere del partito e il braccio destro di Lula, José Dirceu. I guai giudiziari di Lula si moltiplicavano tanto che il 10 marzo la procura di San Paolo ne ha chiesto l’arresto preventivo per falso ideologico e riciclaggio in riferimento alla vicenda dell’attico di Guarujà, sul litorale dello Stato di San Paolo, di cui l’ex presidente avrebbe occultato la proprietà. L’immobile di lusso risulta intestato all’impresa di costruzioni Oas, fra quelle coinvolte nel giro di mazzette dello scandalo Petrobras. Per l’accusa, si tratterebbe di una tangente indiretta, perché l’immobile sarebbe stato acquistato ad un prezzo di favore. Nella stessa inchiesta sono coinvolti anche la moglie di Lula e il figlio primogenito Fabio Luis. Comunque vadano le cose sul piano giudiziario, restano comunque le responsabilità politiche di Lula, come pure della Roussef, che da idolo dei riformisti e dei falsi comunisti, da portabandiera della “democrazia partecipata” e del buon governo tipo Porto Alegre è finito inevitabilmente impelagato nel sistema corruttivo e irriformabile delle istuzioni del capitalismo. Al referendum del 17 aprile Stampato in proprio Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) per salvaguardare la salute la natura e l’ambiente per le energie rinnovabili PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it