I NUMERI IN ALCUNE
CIVILTÀ DEL PASSATO
Gruppo: Armento Flavia, Bianchi Chiara, Brasolin Simona,
Gadda Raffaella, Gonano M. Cristina, Marottikkal
Sindhu, Merli Alice, Tesini Letizia
INTRODUZIONE GENERALE
Il nostro modo di contare, l’impiego dei
numeri 1, 2, 3… e di alcuni concetti
matematici elementari come la base ci
sembrano ovvi, perché siamo abituati ad
usarli fin da bambini.
Ma tutto questo è stato raggiunto solo col
passare dei secoli attraverso i numerosi
sistemi di calcolo ideati da varie civiltà fin
dagli inizi della storia.
Non sappiamo quando e dove l’uomo abbia
iniziato a contare: questo evento si perde
nella notte delle ere preistoriche.
Possiamo però supporre che tutto questo sia
iniziato con la corrispondenza unità per
unità, detta anche “proprietà
dell’accoppiamento”: ad esempio un pastore
per contare le pecore ed essere sicuro di non
averne persa qualcuna, poteva far
corrispondere ad ognuna di esse un
sassolino.
Uno sviluppo successivo è stato l’associare
ad ogni numero un simbolo: una parola, un
gesto e/o un segno grafico.
Anche l’invenzione della base è stata un
grosso passo avanti perché permetteva di
indicare quantità grandi con pochi simboli.
Il sistema di calcolo più diffuso oggi è
quello in base 10, ma non è l’unico, ne
esistono altri, tra i più comuni possiamo
ricordare quelli in base 5, 12, 20, 60.
LE CIFRE EGIZIE
• Attorno al 3000
a.C.,
gli egizi
inventarono una
scrittura e un
sistema di
numerazione scritta
fondato su una base
decimale.
Come supporti per la scrittura e per il
calcolo venivano usati monumenti di pietra
che venivano scolpiti o fogli di papiro.
Le nozioni matematiche che, grazie ad
approfonditi studi, ancora oggi possiamo
leggere sui papiri sono basate su
conoscenze pratiche.
Il trattato più importante che sia arrivato
fino ai noi è contenuto nel papiro Rhind,
attualmente conservato al British Museum
di Londra. Risale all'incirca al 1660 a.C.,
anche se è la copia, realizzata dallo scriba
Ahmose, di un testo più antico. Contiene 84
esercizi matematici di vario tipo. Vi sono
anche nozioni di geometria relative al
calcolo delle aree.
Il papiro di Rhind
Fin dalla sua prima comparsa, la
numerazione egizia permise una
rappresentazione dei numeri che poteva
raggiungere e superare il milione.
Gli egizi erano anche in grado di compiere
operazioni aritmetiche con le loro cifre.
L’addizione e la sottrazione non
presentavano alcuna difficoltà; per la
moltiplicazione e la divisione generalmente
ricorrevano a duplicazioni successive, vale
a dire serie di moltiplicazioni per due .
Le loro conoscenze, tuttavia, non si
limitavano a questo: comprendevano anche
calcoli matematici più complessi, come le
equazioni a un'incognita.
I BABILONESI E I NUMERI
Furono i matematici-astronomi babilonesi i
primi a scoprire, agli inizi del II millennio
a.C., il principio di posizione. Si tratta di
quel principio per cui, a seconda del posto
che occupa, una cifra assume un valore
diverso; se ad esempio prendiamo come
cifra il 5, è ben evidente che assume un
significato diverso, a seconda di dove lo
scriviamo:50, 75, 5000
Per i babilonesi la base era sessagesimale
(60) e venivano usati solo due simboli:un
“chiodo” verticale, rappresentante l’unità, e
un “punzone”, associato al numero 10. I
numeri da 1 a 59 erano rappresentati in
maniera additiva, ripetendo ognuno di
questi segni tante volte quante era
necessario.
Oltre il 59 la scrittura diveniva posizionale,
così il numero 60 veniva scritto con un
“chiodo” magari un po’ più grosso davanti a
nove chiodi un po’ più piccoli.
Questa numerazione comportava però molti
inconvenienti, dovuti al fatto che i numeri
erano rappresentati da due sole cifre. Ad
esempio il numero 2 poteva confondersi con
il 61.
Il problema venne risolto nel III secolo a.C.,
quando fu introdotto un nuovo segno simile
a una barra (\) a significare l’assenza
dell’unità sessagesimale di un certo ordine.
Fu questa la nascita dello zero babilonese, il
più antico della storia.
• Sulla matematica mesopotamica
disponiamo di una documentazione molto
più vasta che su quella egiziana, grazie ai
diversi materiali usati per la registrazione di
leggi, tasse, leggende, lettere ed altri
documenti: solide tavolette di argilla cotte al
sole o in forni.
LE CIFRE ROMANE
Gli antichi romani avevano delle cifre che
potevano servire solo come abbreviazioni,
destinate a esprimere e ricordare i numeri.
Esse, infatti, come i segni della
numerazione greca, non hanno permesso ai
loro utilizzatori di eseguire molti calcoli.
I contabili romani per la pratica del calcolo
hanno fatto ricorso ad abachi a gettoni.
I romani utilizzavano 7 segni per indicare i
numeri:
I V X L C D M
1 5 10 50 100 500 1000
Al pari della maggior parte dei sistemi
antichi, la numerazione romana era basata
sul principio additivo, regola secondo la
quale il valore di una rappresentazione
cifrata si ottiene sommando i valori delle
cifre in essa contenute:
CLI=151 MDXV=1515
Tuttavia i romani introdussero la regola
secondo la quale, ogni segno numerico,
situato a sinistra di una cifra di valore
superiore, ne viene detratto:
IV=4=5-1
CD=400=500-100
• I numeri romani
sono stati sostituiti
da quelli arabi che
sono più immediati
e più comodi. Non
sono stati
dimenticati, però, e
noi li sfruttiamo
ancora per la loro
eleganza
•
LA CIVILTÀ AZTECA
Trentacinque secoli dopo gli egizi, tra il
XIV e XVI secolo d.C, gli aztechi, una
civiltà del Messico., svilupparono un
sistema di numerazione simile a quello nato
sulle sponde del Nilo.
La scrittura azteca era figurativa, i suoi
caratteri erano disegni realistici che
riproducevano esseri e oggetti di ogni tipo.
La numerazione si fondava sulla base 20 e
possedeva solo 4 cifre:
- un punto o un cerchio per l’unità
- una specie di ascia per la ventina
- una piuma per il numero 400(=20x20)
- una borsa piena di granaglie per
8000(=20x20x20)
La numerazione azteca rivela una identità di
concezione intellettuale con il sistema
numerale egizio poiché, al pari di questo,
era basata sul principio additivo e aveva
attribuito segni speciali solo all’unità e a
ciascuna delle potenze della base di questa.
L’unica differenza rispetto al sistema egizio
consiste nel disegno delle cifre e nella
natura della base, vigesimale anziché
decimale.
È sorprendente vedere come, popoli
lontanissimi l’uno dall’altro sia
cronologicamente che fisicamente, nel corso
delle loro ricerche e dei loro tentativi
abbiano talvolta percorso le stesse strade
per giungere a risultati simili.
CONCLUSIONI
Dai sistemi che abbiamo analizzato e da
altri, derivano quelli che si usano oggi. È
sicuramente interessante e curioso vedere e
confrontare come nei diversi luoghi e nelle
diverse epoche gli uomini abbiano sentito
l’ esigenza di contare e di rappresentare i
loro conti e abbiano trovato tecniche
straordinarie
Perfino la “macchina da calcolo” più
diffusa, disponibile e usata al mondo, cioè
la mano, ha portato a soluzioni diverse:
• In Italia consideriamo ogni dito come unità
e partiamo a contare dal pollice, in Romania
dal mignolo.
• In India e in Cina contano le falangi,
arrivando fino al numero 28
• Sia i latini che i cinesi trovarono il modo di
indicare con le mani anche numeri enormi.
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