“ALIMENTAZIONE E LAVORO” DOTT.SSA FRANCESCA CIMMINO MEDICO-CHIRURGO SPECIALISTA IN MEDICINA DEL LAVORO VIA NAPOLI 281/G – CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) TEL./FAX 0818725019 – CELL. 3405301939 GLI ALIMENTI Si definisce alimento qualsiasi sostanza che sia in grado di esercitare una o più delle seguenti funzioni: - fornire materiale energetico per la produzione di calore, lavoro o altre forme di energia (protidi, glucidi, lipidi) - fornire materiale plastico per la crescita e la riparazione dei tessuti (protidi e minerali) - fornire materiale 'regolatore' catalizzante le reazioni metaboliche (minerali e vitamine) Alcuni alimenti sono detti protettivi, indipendentemente dal loro valore plastico ed energetico, in quanto hanno notevole importanza per il normale svolgimento dei processi metabolici. Essi sono: i cereali, i legumi, i prodotti ortofrutticoli, il latte, i formaggi, le uova, la carne in genere, i prodotti della pesca ecc., che debbono la loro azione protettiva al contenuto di vitamine, elementi oligodinamici, aminoacidi e acidi grassi essenziali. Alcuni sono chiamati nervini, in quanto agiscono stimolando il sistema nervoso centrale e tramite questa azione influiscono sui processi di digestione e di assorbimento degli alimenti: te, caffè, cacao, alcool, ecc. Altri sono detti condimenti: tra questi si trovano alcuni alimenti veri e propri (grassi, oli, sale, zucchero, miele ecc.), le sostanze aromatizzanti (aceto, prezzemolo, basilico, rosmarino, lauro, origano, ecc.) e le droghe (pepe, senape, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, zafferano, peperoncino, ecc.) Dunque ci nutriamo di alimenti e viviamo di principi nutritivi che contengono: glucidi o zuccheri, protidi o proteine e lipidi o grassi che danno calorie, nonché acqua, minerali e vitamine che non danno calorie. Il complesso delle 'demolizioni' e trasformazioni alle quali vanno incontro gli oli, gli acidi grassi, il glicerolo, gli aminoacidi presenti negli alimenti come glucidi, semplici o complessi, o come lipidi, o come proteine e divenuti più semplici col processo digestivo, è detto catabolismo. Da prodotti intermedi e finali del catabolismo partono processi costruttivi o biosintetici detti anabolismo. Anabolismo e catabolismo nel loro insieme formano il metabolismo (sinonimo di trasformazione). DIETA EQULIBRATA Alimentarsi in modo corretto ed equilibrato è alla base di tutta la nostra vita; è fondamentale per mantenere un buono stato di salute ed una maggiore efficienza dell’organismo La corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene. La salute, infatti, si conquista e si conserva soprattutto a tavola, imparando sin da bambini le regole del mangiare sano. Il tradizionale modello alimentare mediterraneo è ritenuto oggi in tutto il mondo uno dei più efficaci per la protezione della salute ed è anche uno dei più vari e bilanciati che si conoscano. Affinché l’alimentazione abbia queste caratteristiche, è necessario innanzitutto che l’apporto di energia giornaliero sia adeguato al consumo di calorie. Inoltre la nostra alimentazione deve essere quanto più possibile variata ed equilibrata, ossia deve comprendere tutte le diverse categorie di cibi, allo scopo di assicurare tutti i nutrienti necessari. Nell’accezione comune, il termine dieta indica un regime alimentare di tipo ipocalorico, finalizzato soprattutto alla perdita di peso. In realtà, la parola significa, letteralmente, modo di vivere e quindi abitudine alimentare: tutti siamo a dieta, l’unico problema consiste nel valutare se la nostra dieta è adatta o no alle nostre esigenze. Ciascuno, infatti, ha esigenze diverse, determinate dal tipo di lavoro e da particolari stati fisiologici (gravidanza, adolescenza, invecchiamento ecc.); per questo abbiamo bisogno di diete personalizzate che si adeguino al mutare dei nostri impegni, dei ritmi e delle condizioni della nostra vita. Però, pur tenendo conto che la dieta di un bambino, di un adulto, di un uomo o di una donna non possono essere uguali, ci sono alcune indicazioni che devono essere seguite da tutti. Prima di tutto, la dieta quotidiana deve essere seguita con buon senso ed elasticità, per adeguarsi all’inevitabile e continuo mutare delle nostre condizioni. Così, se in un certo periodo siamo impegnati fisicamente o se la temperatura esterna è molto bassa, dovremo aumentare il consumo di cibo, così come deve fare un bambino in fase di crescita o una donna che allatta. Per soddisfare le esigenze del nostro organismo è necessario introdurre tutti i principi nutritivi in proporzioni diverse. La piramide alimentare è un ottimo sistema per capire cosa mangiare: alla base ci sono i carboidrati (cereali, pasta, pane, riso e patate), sopra ci sono frutta e verdura insieme a latte e yogurt, quindi uova ed insaccati, formaggi, carne, legumi, pesce ed infine grassi da condimento e zucchero (di cui è consigliato un uso limitato). Mangiare in modo regolare Mangiare è uno dei più grandi piaceri della vita ed è importante trovare il tempo per fermarsi, rilassarsi e godersi il momento del pasto e dello snack. Mangiare ad orari stabiliti è anche un modo per non saltare i pasti ed evitare così di non assumere alcuni nutrienti che spesso non vengono compensati nei pasti successivi. Questa è un’abitudine particolarmente importante per i bambini in età scolare, gli adolescenti e gli anziani. La colazione è un pasto fondamentale perché aiuta a mettere in moto il corpo attraverso l’apporto di energia dopo il digiuno notturno. La colazione sembra anche essere utile per il controllo del peso. Il momento del pasto offre, inoltre, un’opportunità di interazione sociale e familiare. Quindi, che si tratti di tre pasti completi o di sei minipasti o spuntini, l’obiettivo è quello di fare scelte sane che risultino anche gradevoli. Precisamente la dieta dovrebbe essere composta da: Carboidrati 55-65% di cui semplici (zucchero) al massimo un 10% e complessi (pane pasta, riso, patate) il restante 45%, Lipidi 30%, Proteine 15% (precisamente 1 grammo per Kg di peso corporeo ideale). LA PIRAMIDE ALIMENTARE L'obiettivo di ogni dieta è quello di riuscire a farci dimagrire senza lasciarci con i sintomi della fame per tutto il giorno, e senza privarci dei principi nutritivi che sono indispensabili per il nostro sostentamento. Recenti studi hanno individuato che una figura geometrica ben definita (la piramide) può schematizzare i cibi e le relative quantità che bisogna assumere per effettuare una corretta alimentazione. Il principio è semplice: la piramide viene divisa da quattro rette orizzontali che delimitano cinque aree, dalla base al vertice. Per ogni settore coincide una tipologia di alimento, e la sua relativa quantità. Si basa, ed è qui la novità, sul calcolo della densità energetica dei cibi e non solo sulla quantità Il funzionamento dello schema Alla base della piramide e quindi dell'alimentazione troviamo gli alimenti che possono essere consumati in quantità maggiore. Salendo troviamo invece, quei cibi di cui bisogna diminuire il consumo se si vuole ottenere un effetto dimagrante. Primo piano (base) - La base dell'alimentazione deve essere la frutta e le verdure. Bisogna mangiarne tutti i giorni e più volte al giorno, variando sempre il tipo di frutto o ortaggio in modo da non tralasciare nessuna vitamina o minerale. Sono molto importanti anche le fibre contenute nella frutta e nella verdura. Secondo piano - Questo è il settore dei carboidrati, (pasta, riso, cereali). Ne vanno consumate almeno 4- 5 porzioni al giorno (per una porzione si intende una fetta di pane integrale o mezza tazza di cereali o di pasta) Terzo piano - Le proteine. Indipendentemente che si tratti di proteine vegetali o animali, ne vano consumate al massimo 3-4 porzioni al giorno (una porzione equivale a 100 grammi di pollo o di salmone, una tazza di latte o 1/3 di una tazza di legumi. Quarto piano - Appartengono a questa area i grassi. Tra gli “irrinunciabili” troviamo quelli contenuti nell'olio di oliva, e nella frutta secca. Sono concesse tre porzioni al giorno (una porzione è uguale a un cucchiaino di olio d'oliva o a sette mandorle). Quinto piano (vertice) - Qui si trovano i dolci: i cibi di questo tipo vanno limitati al massimo e comunque non più di 75 calorie giornaliere I GLUCIDI O CARBOIDRATI O ZUCCHERI Le linee guida alimentari ( I.N.R.A.N.) consigliano, nella maggior parte dei casi, una dieta quotidiana che abbia un apporto di calorie derivanti da carboidrati pari ad almeno il 55% delle calorie totali. Questo significa che oltre la metà dell’assunzione giornaliera di alimenti deve essere composta da cibi contenenti carboidrati, quali cereali, legumi, frutta, verdura e zuccheri. Scegliendo pane, pasta e altri cereali integrali si aumenta ulteriormente l’apporto di fibra. Anche se il corpo assimila nello stesso modo tutti i carboidrati, qualunque sia la fonte, questi nutrienti sono spesso suddivisi in "complessi" e "semplici". I carboidrati complessi, di origine vegetale, sono chiamati amidi e fibre e si trovano, per esempio, nei cereali, nella verdura, in vari tipi di pane, nei semi e nei legumi. Sono composti da lunghe catene di carboidrati semplici collegati tra loro. I carboidrati semplici (anche chiamati zuccheri semplici) sono contenuti, per esempio, in zucchero da tavola, frutta, dolci, marmellate, bibite, succhi di frutta, miele, gelatine e sciroppi. I carboidrati, sia complessi che semplici, forniscono la stessa quantità di energia (4 calorie per grammo) e possono contribuire entrambi all’insorgenza della carie, specialmente in caso di scarsa igiene orale. LE PROTEINE O PROTIDI Le proteine sono sostanze costituite da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto ed alcune anche da zolfo. Nella nostra alimentazione le proteine hanno un’importanza primaria: il loro compito principale, infatti, consiste nel ricostruire (riparare) le cellule, assicurarne il ricambio (funzione plastica) e fornire energia all’organismo (funzione calorica o energetica). Ogni grammo delle proteine assunte con l’alimentazione si trasforma in circa 4 kilocalorie. Le proteine sono composti ad elevato peso molecolare, caratterizzati dall’unione di amminoacidi con formazione di un legame ammidico, chiamato legame peptidico, ed eliminazione di acqua. Gli amminoacidi sono pertanto le molecole semplici che, unendosi fra loro, vanno a formare una molecola molto grande (ad elevato peso molecolare): la proteina. Sono 20 gli amminoacidi importanti dal punto di vista biologico. Tra questi 20 amminoacidi, 8 vengono chiamati amminoacidi essenziali, in quanto sono fondamentali per il nostro organismo che, non essendo in grado di produrli, li deve necessariamente assumere per mezzo dell’alimentazione. In rapporto alla loro funzione, le proteine sono dei composti fondamentali per gli organismi viventi; esse, infatti svolgono una funzione strutturale determinante nella formazione cellulare, costituiscono gli enzimi, indispensabili catalizzatori di tutte le reazioni biologiche, infine rappresentano una preziosa fonte di energia. Le proteine, negli organismi viventi, manifestano una particolare proprietà, detta antigenica. Se si inietta, cioè, una proteina di un certo tipo in un organismo, caratterizzato da proteine anche solo leggermente diverse, si determina da parte di alcune cellule la produzione nel sangue di una proteina (anticorpo) che si combina con quella iniettata, inattivandola e formando un precipitato. Tale fenomeno spiega le cosiddette reazioni immunitarie e i meccanismi di azione del "rigetto" nei trapianti di organi. La funzione principale è quella plastica-costruttiva, in altre parole l’organismo le utilizza per l’accrescimento, per la formazione di cellule e tessuti e per il turnover (rinnovo) degli stessi. Importante sottolineare che l’organismo non ha una "riserva proteica" come i lipidi o i glucidi, di fatto in caso di scarso apporto calorico o proteico il nostro organismo utilizza le proteine muscolari. Inoltre si identificano degli amminoacidi detti essenziali, poiché il nostro organismo deve assolutamente trarre dall’alimentazione. Le proteine dette nobili quali quelle di origine animale: carne, uova, pesce, latte e altri derivati; contengono una buona quantità di amminoacidi essenziali. Mentre le proteine di origine vegetale sono dette di media qualità perché non contengono sufficienti quantità di amminoacidi essenziali, anche se con combinazioni cereali e legumi si può elevare la qualità delle proteine. L’eccesso proteico, oltre ad essere inutile in quanto porterebbe alla trasformazione delle proteine in grasso può essere dannoso in soggetti con predisposizioni a patologie renali. Il fabbisogno proteico è di 1 grammo per Kg di peso corporeo ideale, si eleva nei bambini e in altri particolari condizioni fisiologiche. In atleti è dimostrato inutile superare comunque 1,2gr per Kg di peso ideale, l’apporto calorico maggiorato di una dieta bilanciata (15-20% di proteine) aumenterebbe da solo, e in modo bilanciato l’apporto proteico. In qualsiasi dieta non bisognerebbe mai eliminare o ridurre le proteine sotto il grammo pro Kg di peso ideale. I GRASSI O LIPIDI Innanzitutto impariamo a conoscere i grassi; è bene ricordare che essi, oltre a rappresentare un’immediata fonte di energia "concentrata" per l'organismo (forniscono 9 calorie per grammo), possono essere accumulati nei depositi sottocutanei e rappresentare una riserva di carburante. Sono indispensabili all'organismo anche come veicolo per l'assorbimento e l'utilizzo delle vitamine liposolubili, ma non dobbiamo abusarne, il loro fabbisogno quotidiano si aggira, infatti, intorno al 25-30% delle calorie totali. I grassi sono costituiti da acidi grassi (composti organici di carbonio, idrogeno e ossigeno) e glicerina. Gli acidi grassi, a loro volta, si differenziano a seconda della struttura fisica in saturi e insaturi. Quelli saturi sono solidi a temperatura ambiente (burro, lardo, pancetta, margarina), quelli insaturi sono invece liquidi (olio). Gli acidi grassi saturi (palmitico, stearico) sono contenuti nei formaggi, nel burro, nello strutto, nei prodotti lattiero-caseari non scremati, negli insaccati. Un’alimentazione troppo ricca di grassi saturi aumenta pericolosamente i livelli di colesterolo nel sangue, per questo dovremmo limitarne l’uso a circa il 10% delle nostre calorie giornaliere, cioè circa 1/3 dei grassi totali quotidiani consentiti. Oltre a favorire l'obesità, il consumo eccessivo è pericoloso per le malattie cardiovascolari ed alcuni tipi di tumore. Gli acidi grassi insaturi si dividono in monoinsaturi e polinsaturi (della serie omega 6 e omega 3). • Gli acidi grassi monoinsaturi (oleico) sono presenti soprattutto nell’olio di oliva e di arachide, ma anche nel grasso di maiale, nel foie gras e nei pasticci di oca e di anatra. Giocano un ruolo importante nella normalizzazione dei livelli di colesterolo ematico, e quindi nella protezione delle arterie. • Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega 6 (linoleico) sono contenuti nell’olio di girasole e di mais, nel mais e nei vinaccioli. Sono sensibili al calore e non devono essere cotti, perché producono radicali liberi, composti tossici alla base dell'invecchiamento, dei tumori, dell'arteriosclerosi e dell’ipertensione. • Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega 3 (linolenico) sono contenuti nelle noci, nell’olio di mais e di soia, nella frutta secca e in alcuni pesci grassi come le acciughe, gli sgombri, le aringhe ed il salmone. Un ampio consumo di omega 3 determina un'efficace protezione contro le malattie cardiovascolari e alcuni tumori. Gli acidi grassi polinsaturi sono detti anche "essenziali" perché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli ed il loro apporto è possibile solo con l'assunzione di alimenti che li contengono. Rivestono una particolare importanza biologica, in quanto costituiscono la vitamina F, che favorisce l’integrità di pelle e capelli, contribuisce alla riduzione del peso corporeo e rappresenta un precursore delle prostaglandine. Evitare di assumere grassi non è sempre un compito facile. Infatti oltre a quelli già presenti negli alimenti, dobbiamo fare attenzione ai grassi derivanti dai condimenti usati nella preparazione delle pietanze. La nostra società ha modificato gli stili di vita, cambiando totalmente anche gli stili alimentari; molte volte, soprattutto quando ci troviamo fuori casa, tendiamo a mangiare troppo e male, sempre di corsa e spesso con un eccessivo apporto calorico. E' facile, infatti, afferrare un sacchetto di patatine, o mangiare un tramezzino ricco di maionese, o un hamburger ricoperto di ketchup o senape. Questo può andar bene qualche volta, ma non tutti i giorni. A casa è più facile orientarci e preferire il pesce lesso alla frittura di gamberetti, o un piatto di pasta pomodoro e basilico ad un hot dog veloce e stuzzicante, soprattutto se assunto nella pausa di lavoro. La frittura è il tipo di cottura più appetitosa, è vero, ma anche la meno salutare. E’ importante, infatti, sapere che i grassi di condimento, sottoposti a temperature elevate, producono radicali liberi ed altre sostanze irritanti e tossiche per l'organismo; molte vitamine poi, si deteriorano con le alte temperature; il problema si accentua se usiamo oli già utilizzati in precedenti fritture o consumiamo cibi prefritti, come nel caso di alcune pietanze surgelate. Inoltre, quando si friggono alimenti a basso contenuto di grassi, come le patate, l’alimento stesso assorbe l’olio di cottura a tal punto da assumerne una composizione in acidi grassi simile a quella dell’olio stesso. Fuori casa, quindi, impariamo a richiedete a parte le salse e i condimenti (meglio se a basso contenuto calorico) ed informiamoci su come sono preparati i cibi, chiedendo eventualmente di preparali in un certo modo, preferiamo la carne ai ferri alla cotoletta impanata e condiamola con poco olio crudo. Abbondiamo con l'insalata e i pomodori. E se vogliamo proprio mangiare un hamburger o un panino farcito e non riusciamo a rinunciare alle patatine, facciamo almeno attenzione alle quantità, ordiniamone una porzione piccola, solo occasionalmente, però. Spesso pane, crackers e brioche, fatti passare per “ultraleggeri” contengono molte fonti nascoste di grassi saturi, nocivi per la nostra salute, soprattutto se consumati in maniera disordinata ed eccessiva. Per dare sapore a questi alimenti e renderli più morbidi a volte si usano infatti grassi vegetali idrogenati, vere bombe di grassi saturi. Dobbiamo fare attenzione anche ai cibi pronti surgelati (paste, patatine prefritte, contorni di verdure precotti), che possono contenere fonti di grassi a rischio. Tutti siamo a conoscenza dei grassi contenuti nelle salse, negli stuzzichini e nei tramezzini e cerchiamo di controllarli soprattutto in regime dietetico, ma nel caso dei grassi nascosti l’attenzione non è così viva e spesso rischiamo di imbottirci, senza saperlo di sostanze dannose. Per evitare il rischio di acquistare prodotti contenenti “grassi nascosti” è importante leggere le etichette sulle confezioni alimentari, che specificano quale tipo di olio o grasso vegetale viene utilizzato. Vale la pena anche guardare la quantità di grassi (e se è riportata anche quella di grassi saturi) presenti in quell’alimento. E’ sempre meglio scegliere il prodotto con minor contenuto di grassi. Per il pane, la pasticceria e i piatti comprati al banco, che non hanno l’etichetta, possiamo leggere gli ingredienti, esposti per legge su cartelli visibili. E se abbiamo il colesterolo elevato, evitiamo i prodotti “a rischio” senza etichetta nutrizionale, perché potrebbero essere delle vere e proprie bombe di grasso. FIBRE E VITAMINE La fibra e le vitamine sono componenti presenti in alimenti come ortaggi e frutta, con funzione e struttura biologica diversa ma allo stesso modo importanti per la nostra alimentazione. Parlando della fibra, l’organismo umano non è in grado di assorbire questo scheletro di sostegno presente all’interno di frutta, verdura, cereali, legumi e semi, poiché carente dell’enzima necessario, la cellulasi presente normalmente nei ruminanti. Esistono due tipi di fibre, quelle solubili (gomme e pectine) e quelle insolubili (cellulosa, emicellulosa e lignina), entrambe svolgono importanti funzioni. Le fibre solubili, presenti nei legumi e nella frutta, formano soluzioni viscose che rallentano i tempi di svuotamento intestinale. Sono responsabili di una riduzione dell’assorbimento di glucidi e lipidi e di una diminuzione del colesterolo ematico. Le fibre insolubili attivano la motilità enterica e alla presenza dei liquidi intestinali si rigonfiano aumentando la massa fecale, cosa molto utile in caso di stipsi. Svolgono, inoltre, azione disintossicante e anticangerogena, grazie ad una aumentata velocità di transito delle feci nell’intestino che porta ad una riduzione del tempo di contatto tra sostanze tossiche e mucosa intestinale. Per una persona in buona salute è consigliato un consumo di circa 30-35 grammi di fibra al giorno. • La frutta fresca contiene da 0,7 (melone) a 5,9 gr. (mela cotogna) di fibra ogni 100 gr di parte edibile (commestibile). • La frutta secca da 5 gr. a 15 gr. • I prodotti ortofrutticoli da 0,75 (cetrioli) a 7,5 gr. (carciofi). • I legumi da 10, 6 gr. ( fagioli freschi) a 17 gr. (fagioli secchi). • I cereali e derivati da 2,5 fino a 22,5 (crusca). Le vitamine, invece, sono un gruppo di molecole organiche molto diverse fra di loro, non prodotte dall’organismo e che quindi devono essere introdotte giornalmente con la dieta. Sono necessarie in piccolissime quantità, piccole ma importanti in quanto indispensabili per un corretto accrescimento e per il giusto mantenimento delle funzioni vitali, sono, infatti, le molecole che regolano i processi fondamentali della vita e le reazioni chimiche cellulari. Le perdite giornaliere legate al loro utilizzo devono quindi essere costantemente rimpiazzate. Le vitamine sono classificate in base alla loro solubilità nelle sostanze grasse o nell’acqua in vitamine liposolubili o vitamine idrosolubili. Le vitamine liposolubili (A,E,D,K), a differenza delle vitamine idrosolubili (vitamine del gruppo B, C, acido folico, niacina), circolano legate a lipoproteine plasmatiche e sono immagazzinate con funzione di riserva in gran parte nel fegato, quindi non è necessario introdurle quotidianamente con la dieta. Le vitamine idrosolubili invece non sono accumulate dall’organismo e devono pertanto essere introdotte quotidianamente con l’ alimentazione. Frutta e ortaggi sono alimenti che non devono mai mancare nella dieta, in quanto assieme alla fibra apportano tutte quelle vitamine la cui mancanza, come ben documentato, porta a malattie che regrediscono solo con la somministrazione della vitamina carente. Dissetante, diuretica, digestiva, ma quante proprietà possiede l’acqua? Normalmente l’acqua contiene minerali che ne caratterizzano la composizione e le conferiscono particolari proprietà; è quasi impossibile trovare due tipi di acqua provenienti da due fonti diverse, che abbiano la stessa composizione chimica. Ma al di là delle differenze organolettiche, l’acqua è un elemento indispensabile per la vita perchè: favorisce i processi digestivi, regola il volume cellulare, la temperatura corporea, permette il trasporto di nutrienti, facilita l’eliminazione delle scorie metaboliche e la regolazione dell’equilibrio elettrolitico, contribuendo al mantenimento del nostro stato di salute ed anche della nostra bellezza, come immagine esterna di benessere interno. L’acqua, poi, è un’alleata insostituibile nel corso di diete ipocaloriche: apporta minerali necessari (calcio, potassio, ferro etc.) senza far ingrassare, perché non contiene calorie; assunta in dosi abbondanti attenua il senso di fame e migliora il transito intestinale. L’ACQUA • L'acqua è il costituente fondamentale di tutti gli esseri viventi, ed è presente nell'organismo umano adulto in quantità pari al 60% circa del peso corporeo. Alla nascita raggiunge il 75% circa. La sua mancanza porta a morte in tempi più brevi del digiuno. Perdite di acqua pari al 10% di quella costitutiva dell'organismo portano all'incapacità di attività fisiche organizzative. Libera o legata con altre molecole, l'acqua svolge diverse funzioni biologiche: • partecipa ai fenomeni digestivi facilitando il transito e la fluidificazione del chimo attraverso il tubo gastroenterico finché i nutrienti, in soluzione, passano attraverso la parete intestinale e vengono convogliati al sangue e alla linfa. • è il mezzo in cui hanno luogo le reazioni metaboliche; una volta avvenuto il metabolismo il sangue, che contiene circa il 92% di acqua, trasporta i prodotti residui catabolici dalle cellule agli organismi deputati all'escrezione: reni, polmoni, pelle. • consente il passaggio di sostanze dalle cellule agli spazi intracellulari e ai vasi e viceversa. • aiuta a regolare la temperatura corporea mediante la sudorazione e il vapor acqueo eliminato attraverso i polmoni. L'acqua è suddivisa in 2 compartimenti: intracellulare che costituisce all'incirca il 50% del peso corporeo ed extracellulare che corrisponde al 20% del peso del corpo, di cui il 5% è l'acqua del sangue e il 15% è l'acqua interstiziale. La maggior parte dell'organismo è di origine esogena, viene cioè introdotta con le bevande e con gli alimenti. Una parte è di origine endogena, perchè si forma nei processi ossidoriduttivi come ultimo prodotto catabolico. Essa è di g 0.6 per grammo di glucidi, g 1 per grammo di lipidi e g 0.4 per grammo di proteine. In media l'organismo produce ml 400 di acqua al giorno. Quando l'acqua introdotta e formatasi nell'organismo equivale a quella eliminata (urine, sudore, polmoni e pelle), l'individuo è in equilibrio idrico. Il fabbisogno di acqua non è costante ma varia con l'età; infatti il lattante deve assumere più acqua rispetto all'adulto, in rapporto al peso corporeo, perchè le attività metaboliche e la superficie corporea sono relativamente più elevate Per l'adulto è consigliabile un'assunzione di acqua proporzionata all'apporto calorico della razione alimentare: 1 ml di acqua per Kcal. Per il bambino necessitano ml 1.5 di acqua per Kcal. Negli anziani, che sentono poco lo stimolo della sete, l'acqua evita la disidratazione, protegge dall’osteoporosi, soprattutto quella ricca di calcio. Negli sportivi reintegra i liquidi persi con la sudorazione, mantenendo lo stato di idratazione dell’organismo. PESO IDEALE Formula di Lorenz Questa formula per il calcolo del peso ideale non tiene conto né dell'età né della struttura scheletrica, ma è molto utilizzata. Inoltre, mal si applica nei soggetti longilinei e brachitipici. Peso ideale Uomini = altezza in cm - 100 - (altezza in cm - 150)/4 Peso ideale Donne = altezza in cm - 100 - (altezza in cm - 150)/2 Formula di Broca Questa formula per il calcolo del peso ideale è la più semplice ma tiene conto solo dell'altezza; i limiti maggiori risiedono nella non corrispondenza del peso ideale per le stature medio alte. Peso ideale Maschi = altezza in cm – 100 Peso ideale Femmine = altezza in cm - 104 Formula di Wan der Vael Questa formula considera solo l'altezza Peso ideale Uomini = (altezza in cm - 150) x 0,75 + 50 Peso ideale Donne = (altezza in cm - 150) x 0,6 + 50 Formula di Berthean Peso ideale = 0,8 x (altezza in cm - 100) + età/2 Formula di Perrault Questa formula tiene conto dell'età e dell'altezza Peso ideale = Altezza in cm - 100 + età/10 x 0,9 Keys Peso ideale Uomini = (altezza in m)² x 22,1 Peso ideale Donne = (altezza in m)² x 20,6 Travia Peso ideale = (1,012 x altezza in cm) - 107,5 IL CONTROLLO DEL PESO In Italia poco meno della metà degli adulti oltre i 30 anni è in sovrappeso, e di questi un quinto è decisamente obeso. La tendenza in questa direzione si profila già tra i bambini e gli adolescenti. L'eccesso di peso nei sui vari gradi (sovrappeso, obesità media, obesità grave) è per lo più il risultato di abitudini alimentari squilibrate dal punto di vista energetico: troppe calorie introdotte rispetto a quelle necessarie. Mantenersi nei limiti del peso ideale contribuisce a vivere meglio e più a lungo. É perciò importante mantenere, o far rientrare, il peso nei limiti normali. Ciò consente di prevenire la comparsa di malattie a più larga diffusione, come diabete, ipertensione, cardiopatia coronarica, che costituiscono tra i 30 e i 60 anni, i rischi maggiormente associati all'obesità. L'eccesso di peso va combattuto, non soltanto sotto l'aspetto estetico ma per la prevenzione di una vasta gamma di patologie che aggravando lo stato di salute possono comportare rischi di idoneità alla mansione specifica. L'unica via per prevenire o ridurre il sovrappeso e l'obesità è nell'equilibrare la propria alimentazione, avendo cura di soddisfare l'appetito con alimenti di più basso valore energetico e ricchi di fibre vegetali. Questo equilibrio alimentare viene ritenuto utile anche per una azione preventiva contro lo sviluppo di tumori. Nelle abitudini di vita deve trovare spazio anche un idoneo esercizio fisico che, oltre a far consumare più calorie, contribuisce al buon mantenimento delle funzioni cardiocircolatorie, respiratorie e del tono muscolare. ALCUNI CONSIGLI PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE Oltre al bilancio calorico, per impostare una corretta alimentazione occorre tenere presenti altri fattori, primo tra tutti la varietà: solo il consumo di tanti alimenti diversi può infatti garantire l’introduzione di tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno. La corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene. La salute, infatti, si conquista e si conserva soprattutto a tavola, imparando sin da bambini le regole del mangiare sano. Il tradizionale modello alimentare mediterraneo è ritenuto oggi in tutto il mondo uno dei più efficaci per la protezione della salute ed è anche uno dei più vari e bilanciati che si conoscano. Ecco alcune semplici regole da seguire per un'alimentazione equilibrata e sana: • Attenzione al peso Controllare il peso almeno una volta al mese, verificando anche che l’indice di massa corporea sia nella normalità. Magari pesarsi in una farmacia (meglio se sempre la stessa), conservando il bigliettino stampato del proprio peso per controllarne poi le variazioni a distanza • Abbondare con cereali, legumi, ortaggi e frutta Sono cibi che apportano carboidrati (in particolare amido e fibra), oltre a vitamine, minerali e altre sostanze benefiche. I legumi sono inoltre un’ottima fonte di proteine. • Grassi: pochi ma buoni Forniscono energia concentrata e facilitano l’assorbimento di alcune vitamine (liposolubili) e di carotenoidi. Nello stesso tempo, se assunti in dosi eccessive, i grassi possono favorire obesità, alcune malattie cardiovascolari e problemi vari. Per questo è meglio usare grassi da condimento a crudo, privilegiando le cotture al cartoccio e al vapore e, se possibile, utilizzando il forno a micro-onde. • Non eccedere con gli zuccheri • • • • Un grande consumo di zuccheri può portare ad un regime dietetico squilibrato dal punto di vista metabolico: ecco perché è meglio evitare di abusarne. Sale: sempre poco Il sodio contenuto nella dieta quotidiana è sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero di questa sostanza. Per questo, aggiungere sale ai cibi è superfluo. Un eccessivo consumo di sodio facilita inoltre l’insorgenza di ipertensione arteriosa e aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Chi ama mangiare salato, può optare per il sale iodato (basta un pizzico) oppure provare le erbe aromatiche, perfette per insaporire le pietanze Limitare le bevande alcoliche e gasate Il consumo di vino o birra dovrebbe essere limitato a 2-3 bicchieri al giorno nell’uomo e circa 1-2 nella donna (nel caso in cui si abbia una buona salute e non si sia in sovrappeso). L’alcol deve essere evitato nei bambini e in gravidanza. Anche le bibite gasate sono da evitare quasi sempre. Etichette e scadenze sui prodotti Attenzione alle scadenze dei prodotti alimentari; per evitare di consumare cibi deteriorati, è importante verificare la data di scadenza e le modalità di conservazione riportate sulle confezioni. Che sono obbligatorie. Variare molto la propria dieta Al fine di dare all’organismo tutti i nutrienti fondamentali, è opportuno variare la propria dieta introducendo, a rotazione, cibi diversi (con diverse proprietà nutritive). Alternandoli di volta in volta. BENEFICI DI UNA ALIMENTAZIONE VARIA Per guidarci nella scelta giornaliera delle combinazioni alimentari, gli esperti hanno suddiviso gli alimenti in sei sezioni: • Pasta, pane, patate, riso e cereali (carboidrati) devono essere assunti ogni giorno. I carboidrati sono, infatti, i nutrienti di base dell’alimentazione; sono una fonte energetica di pronto consumo ed in caso di eccesso di calorie vengono convertiti in grassi. • Carne, pesce, uova sono formati da proteine animali da cui ricaviamo gli aminoacidi che sono i costituenti fondamentali di molecole importanti come enzimi ed ormoni e sono essenziali per la formazione dei muscoli. Bisogna alternarne e moderarne il consumo, prediligendo le carni bianche ed il pesce, il quale è ricco di particolari acidi grassi polinsaturi detti “omega tre” la cui funzione protettiva contro le malattie cardiovascolari è stata messa in evidenza da tempo. • I legumi, sia freschi che secchi (proteine vegetali), non dovrebbero mai mancare nella dieta, ricordando che quelli freschi, rispetto ai secchi, hanno un contenuto di acqua molto superiore e quindi a parità di peso hanno anche un contenuto proteico e glucidico inferiore e, di conseguenza, anche un valore calorico più basso. I legumi sono alimenti ricchi di energia e ottime fonti di proteine: quelli secchi ne contengono una quantità all’incirca pari o anche superiore a quella della carne, anche se di minore qualità, a meno che non vengano associate a quelle presenti nei cereali. I legumi, inoltre, contengono pochi grassi e molta fibra alimentare, capace di controllare i livelli di colesterolo e zucchero nel sangue. • Latte, yogurth e formaggi si caratterizzano per l’apporto di proteine di elevata qualità biologica, di alcune vitamine e di calcio. La presenza di latte e dei suoi derivati nella dieta è indispensabile per l’equilibrio e la adeguatezza della razione alimentare. • Frutta, verdura ed ortaggi non devono mai mancare;sono alimenti a basso contenuto calorico e ad elevato volume e quindi anche ad elevato potere saziante. Contengono, inoltre, notevoli quantità di minerali (sostanze inorganiche che svolgono nell’organismo importanti funzioni partecipando a processi vitali e alla regolazione dei liquidi corporei), vitamine (sostanze organiche indispensabili in piccole quantità per facilitare e consentire lo svolgimento di processi metabolici) e di antiossidanti plasmatici che neutralizzano i radicali liberi dell’ossigeno, responsabili del processo di invecchiamento. Le porzioni di frutta si possono consumare durante la giornata anche fuori pasto ed è importante ricordare che la frutta raggiunge il massimo delle sue qualità gustative e nutritive alla piena maturità: è quindi consigliabile consumare preferibilmente frutta di stagione. • Condimenti, alcool e dolci sono alimenti di cui è necessario limitare il consumo al minimo indispensabile. I cibi ricchi di grassi sono più palatabili, richiedono meno masticazione ed inducono senso di sazietà meno rapidamente. I grassi partecipano a funzioni indispensabili per la vita quali il trasporto delle vitamine liposolubili (A, D, E e K) ed il mantenimento della corretta temperatura corporea. Sono nocivi solo quando vengono assunti in eccesso: una corretta alimentazione prevede che i grassi costituiscano non più del 30 % dell’apporto calorico complessivo. Per quanto concerne i condimenti è da preferire sempre il consumo di oli vegetali, in particolare di olio extravergine di oliva, mentre burro e margarina sono ammessi saltuariamente. Il vino non è necessario, ma è accettabile, specialmente il vino rosso, ricco di antiossidanti: per chi ne fa uso abituale si raccomanda un bicchiere di vino a pasto per gli uomini ed uno al giorno per le donne. DISTRIBUZIONE GIORNALIERA DEI PASTI Alcune buone indicazioni per la composizione dei pasti giornalieri possono essere le seguenti: • prima colazione con frutta fresca di stagione oppure yogurt naturale o latte o caffè o infusi, accompagnati da cereali integrali (muesli, biscotti, pane); • a metà mattina uno spuntino con frutta fresca o biscotti; • a pranzo consumare una porzione di verdure crude miste seguita da un piatto di pasta/riso condito con sugo di verdura o salsa di pomodoro ed una porzione di proteine • a metà pomeriggio uno spuntino con frutta fresca o secca (mandorle, nocciole o noci) o pane con miele o marmellata o uno yogurt; • la cena deve comprendere un cibo proteico, alternando alimenti di origine animale con altri di provenienza vegetale. Anche nel pasto della sera deve essere garantita la presenza di contorni di verdure crude ed eventualmente cotte. Il pane integrale può accompagnare il pasto. Mangiare in maniera salutare e varia, combinando gli alimenti in maniera idonea per la nostra salute, significa consumare alimenti a ridotto contenuto di grassi animali e sale, ma ricchi di fibra e di nutrienti essenziali come carboidrati, proteine, vitamine e minerali. Diverse e recenti pubblicazioni scientifiche dimostrano i benefici effetti sullo stato di salute prodotto da un’attività fisica moderata e svolta con regolarità. Al contrario possiamo definire a rischio per la salute un comportamento o uno stile di vita sedentario. Quando si parla di sport o meglio attività fisica in grado di incidere positivamente sullo stato di salute non si intende parlare di quel tipo di allenamento che compie l’agonista, ma di quel “leggero esercizio fisico” in grado di portare beneficio a tutto il nostro organismo e in particolar modo al nostro sistema cardiocircolatorio. Un buono stato di forma fisica, soprattutto negli anziani, previene molte malattie, mantiene alto il tono dell’umore e riduce anche la mortalità per tutte le cause e in tutte le età, tutti ottimi motivi per modificare un stile di vita caratterizzato dalla sedentarietà. L’alimentazione deve essere frazionata nel corso della giornata in tre pasti principali ed uno o due spuntini al giorno e, in caso di sovrappeso, modicamente limitata come apporto calorico rispetto al fabbisogno energetico in modo da realizzare un bilancio energetico negativo ossia una situazione in cui le uscite siano maggiori delle entrate. Molto importante risulta, la distribuzione dei pasti: è necessario prevedere almeno tre pasti principali (prima colazione,pranzo e cena) e 1-2 spuntini (a metà mattino e/o metà pomeriggio) per consentire un più armonico rifornimento di substrati energetici e un minore impegno digestivo oltre al fatto di non arrivare affamati ai pasti pincipali. È opportuno non saltare mai i pasti e cercare di: • Ridurre i grassi di origine animale e privilegiare quelli di origine vegetale. • Consumare regolarmente cereali, meglio se integrali, legumi, frutta,verdura carni magre e pesce. • Limitare il consumo di cibi che contengano zuccheri semplici specie lontano dai pasti. PATOLOGIE CORRELATE ALL’ALIMENTAZIONE La possibilità di nutrirsi con una maggiore varietà e abbondanza di cibi ha portato benefici ed alla scomparsa pressoché totale delle cosiddette carenze nutrizionali. Invece la tendenza a mangiare più del necessario, anche come dimostrazione di status symbol, spesso accompagnata da squilibri fra i componenti della dieta, ha portato gli italiani ad essere più esposti ad altri gravi rischi: infarto del miocardio, maggiore incidenza di obesità, ipertensione, arteriosclerosi, diabete. Ciò si è verificato anche come conseguenza dell'abbandono della dieta tipicamente mediterranea, ora presa a modello di sana alimentazione, in altri paesi. Il recupero di un adeguato comportamento alimentare si rende necessario per diminuire i rischi per la nostra salute ed evitando inutili sperperi. Le necessità nutrizionali della popolazione media italiana suggerite, ad esempio, nei "Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per gli italiani" (LARN), sono ormai generalmente soddisfatte. Queste linee guida suggeriscono il modello dietetico tradizionale che si dovrebbe seguire per star bene mangiando meglio. SALE SODIO E IPERTENSIONE Spesso si sente parlare di sodio e non di sale. Ma sale e sodio sono la stessa cosa? Quale dei due fa male se consumato in eccesso?Il sale alimentare è chiamato anche cloruro di sodio (NaCl), ovvero i minerali cloro (Cl) e sodio (Na) sono i due costituenti del sale. Dei due è proprio il sodio a conferire sia il sapore che le proprietà biologiche al sale comune. Ogni grammo di sale contiene circa 0,4 grammi di sodio, ovvero circa la metà di un grammo di sale è costituito da sodio. Il sale rappresenta perciò una fonte molto importante per l’apporto di sodio. Se il sale viene consumato in eccesso, il nostro organismo dovrà gestire un eccesso di sodio. Il sodio negli alimenti I dati forniti dall’INRAN ( Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana, revisione 2003) suggeriscono che gli alimenti più ricchi di sodio sono: sale da cucina, pane, salumi, dadi per brodo, verdure sott’aceto, olive da tavola, cereali da prima colazione, salse (senape, salsa di soia, ketchup, maionese…), formaggi: (provolone, mozzarella, formaggini…), patatine in sacchetto, biscotti dolci, brioches e merendine, tonno sott’olio, parmigiano grattugiato. Il sodio e l’ipertensione L’apporto alimentare di sodio è in grado di indurre un incremento della pressione arteriosa, quindi: assumere troppo sale favorisce la comparsa dell’ipertensione arteriosa. L’ipertensione arteriosa è un importantissimo fattore di rischio per l’infarto, l’ictus cerebrale e lo scompenso cardiaco. In popolazioni caratterizzate da un consumo di sodio molto basso l’ipertensione è quasi del tutto assente. E’ necessario modificare la propria dieta in modo tale da ridurre l’apporto di sodio per evitare la comparsa di ipertensione arteriosa e per diminuire i valori pressori in coloro che già ne soffrono. Un apporto eccessivo di sodio con la dieta può inoltre favorire lo sviluppo di ipertensione resistente al trattamento farmacologico. La riduzione dell’introito di sale, associata ad altri interventi salutari (abolizione del fumo, diminuzione del peso corporeo, esercizio fisico, moderato consumo di bevande alcoliche, aumento del consumo di frutta e verdura, consumo di alimenti a basso contenuto di grassi saturi e colesterolo) può avere effetti antipertensivi più spiccati. Tali modifiche dello stile di vita, in grado di ridurre i valori pressori e il rischio cardiovascolare, dovrebbero essere adottate da tutti, anche dalla popolazione sana. Raccomandazioni La riduzione del sale deve avvenire per gradi. Il nostro palato deve essere abituato lentamente a quantità inferiori di sale. In questo modo otteniamo due effetti: 1. riduciamo la quota di sale (quindi di sodio) che il nostro organismo deve gestire; 2. riscopriamo il sapore del cibo senza l’eccessiva influenza del sale. Succo di limone, aceto, aglio, cipolla, spezie e erbe aromatiche (la menta, il timo, la maggiorana, il basilico, il prezzemolo, il rosmarino, il peperoncino rosso) conferiscono all’alimento un miglioramento delle caratteristiche organolettiche (agiscono da esaltatori di sapidità) e permettono di dimezzare l’aggiunta di sale. Altre indicazioni: - Moderare il consumo di formaggio; - Ridurre fortemente il consumo di salumi; - Evitare i cibi in scatola, i cibi affumicati e quelli conservati sotto sale; - Preferire il pane a basso contenuto di sodio (tipo “toscano”). In relazione a quest’ultima indicazione, da segnalare che il Ministero della Salute e le associazioni di categoria rappresentative della filiera della panificazione hanno siglato, nel Febbraio 2008, un accordo per la graduale riduzione del contenuto di sale nel pane: il contenuto di sale dovrebbe essere ridotto del 15% per l’anno 2008, fino al raggiungimento di una diminuzione complessiva pari al 30% entro il 2010. Il sale iodato Il sale iodato è sale comune al quale è stato aggiunto iodio, sotto forma di ioduro e/o iodato di potassio. Non va confuso con sale marino o sale integrale e non è un prodotto dietetico destinato a particolari categorie di individui. L’OMS e il Ministero della Salute consigliano l’uso di sale iodato a tutta la popolazione, al fine di prevenire o correggere quella carenza di iodio che è piuttosto diffusa anche in Italia. Ha lo stesso contenuto di sodio, lo stesso sapore e le stesse caratteristiche del sale comune: va quindi utilizzato con la stessa moderazione raccomandata per il sale non iodato. Il sale dietetico Il sale dietetico è un tipo di sale che contiene meno sodio, in quanto parte del cloruro di sodio è sostituito da cloruro di potassio. L’utilizzo di questo prodotto risponde a specifiche e individuali necessità, pertanto non deve essere assunto e prescritto solo dal proprio medico curante o da uno specialista. IPERTENSIONE L'ipertensione e' l'aumento stabile dei valori della pressione arteriosa rispetto a quelli considerati "normali" per la persona. L’ipertensione arteriosa è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la pressione che in più rilevazioni è uguale o superiore al valore di 140 mmHg di sistolica (ipertensione arteriosa sistolica) o 90 mmHg di diastolica (ipertensione arteriosa diastolica). Lo stress influisce sul sistema nervoso provocando il restringimento dei vasi sanguigni e aggravando il carico di lavoro del cuore. Questi eventi provocano un rialzo temporaneo della pressione, che pertanto dovrebbe essere misurata quando la persona e' rilassata. Lo stress continuo causa invece l'ipertensione vera e propria. I valori della pressione aumentino con l'obesità e diminuiscano invece se la persona svolge un'attività fisica regolare anche moderata e presenta un peso piu' o meno nella norma. L’ ateroma cioè il restringimento delle pareti delle arterie aggrava l'ipertensione. Gli ateromi sono molto frequenti negli obesi e nelle persone che tendono ad avere elevati livelli di colesterolo "cattivo" nel sangue. L’assunzione di particolari sostanze come il fumo di sigaretta determina un restringimento delle arterie. L’ipertensione si distingue in Primitiva e Secondaria. L'ipertensione primitiva, la più comune, non e' causata da altre malattie. Si manifesta in persone predisposte, i cui familiari hanno sofferto del problema. In questo caso, la cura mira a tenere sotto controllo i valori della pressione, attuando solo un cambiamento nelle abitudini di vita o ricorrendo ai farmaci. L'ipertensione secondaria e' invece provocata da diabete o danni renali. In questo caso, e necessario curare la malattia alla base dell'ipertensione. Valori pressori di sistolica compresi tra 140 e 159 mmHg e di diastolica tra 90 e 99 mmHg sono definiti come ipertensione di grado lieve. Valori pressori di 160-179 mmHg di sistolica o 100-109 mmHg di diastolica rappresentano un’ipertensione di grado moderato. Infine valori uguali o superiori a 180 e 110 mmHg rispettivamente di sistolica e di diastolica costituiscono un’ipertensione di grado severo o grave. Che disturbi provoca? Molti ipertesi sono tali senza saperlo e spesse volte lo scoprono durante un controllo medico occasionale. Non a caso gli anglosassoni chiamano l’ipertensione il killer silenzioso. Tuttavia non bisogna sottovalutare alcuni sintomi potenzialmente dovuti all’ipertensione arteriosa quali: mal di testa, ronzio auricolare, disturbi visivi, senso di vuoto alla testa, di instabilità e di vertigine; sensazione di malessere con difficoltà di concentrazione e di memoria; arrossamento del viso; palpitazioni, epistassi. FATTORI INFLUENZANTI LA PROGNOSI European Society of Hypertension 2003 FATTORI DI RISCHIO PER MALATTIA CARDIOVASCOLARE UTILIZZATI PER LA STRATIFICAZIONE Livelli di pressione arteriosa sistolica e diastolica ▪ Uomini > 55 anni ▪ Donne > 65 anni ▪ Fumo ▪ Dislipidemia (colesterolo totale > 6.5 mmol/l, > 250 mg/dl* oppure LDL-Colesterolo > 4.0 mmol/l, > 155mg/dl* oppure HDL-Colesterolo M < 1.0, F < 1.2 mmol/l, M < 40, F < 48 mg/dl) ▪ Storia familiare di malattia cardiovascolare prematura ( < 55 anni M, < 65 anni F ) ▪ Obesità addominale (circonferenza addominale M ≥102cm, F ≥ 88 cm DANNO AGLI ORGANI BERSAGLIO Ipertrofia ventricolare sinistra (Elettrocardiogramma: Sokolow-Lyon > 38 mm; Cornell > 2440 mm*ms Ecocardiogramma: LVMI (M ≥ 125, F ≥ 110 g/m2) ▪ Evidenza ultrasonografica di ispessimento della parete arteriosa (spessore intima/media carotideo ≥ 0.9 mm) o presenza di placche aterosclerotiche ▪ Lieve incremento creatininemia (M: 115-133, F: 107-124µmol/l) oppure (M: 1.3-1.5) (F: 1.2-1.4 mg/dl) ▪ Microalbuminuria (30-300 mg/24 h,; rapporto albumina/creatinina: ▪ PCR ≥ 1 mg/dl M: maschi, F: femmine, * Livelli inferiori di Colesterolo totale o di LDLcolesterolo possono delineare un aumentato rischio ma non sono utilizzati per la stratificazione M ≥ 22, F ≥ 31 mg/g oppure M ≥2.5, F ≥3.5 mg/mmol) M: maschi, F: femmine, LVMI: left ventricular mass index (Indice di massa ventricolare sinistra) Diabete Mellito Condizioni cliniche associate Glicemia a digiuno > 7.0 mmol/l (126 mg/dl) ▪ Glicemia post-prandiale > 11.0 mmol/l (198mg/dl) Malattia cerebrovascolare: Stroke ischemico; Emorragia cerebrale; Attacco ischemico transitorio (TIA). ▪ Malattia Cardiaca: Infarto miocardico acuto (IMA); Angina; Rivascolarizzazione coronarica; Scompenso cardiaco congestizio ▪ Malattia renale: Nefropatia diabetica; Danno renale: aumento creatininemia (M > 133 mmol/l, F > 124 mmol/l) oppure (M >1.5 mg/dl, F > 1.4 mg/dl), Proteinuria (> 300mg/die) ▪ Malattia vascolare periferica ▪ Retinopatia in fase avanzata: emorragie o essudati, edema della papilla M: maschi, F: femmine Complicanze • Ictus causato da trombi o sfiancamenti (aneurismi) delle arterie; • infarto del miocardio, angina (dolore toracico di natura cardiaca), aritmie e scompenso cardiaco; • lesioni retiniche; • alterazioni renali. REGOLE GENERALI PER UNA CORRETTA MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA Chi si sottopone alla misurazione deve essere sdraiato o seduto da almeno 5-10 minuti con il braccio libero da indumenti, appoggiato su una superficie piana. Se si è seduti, il braccio deve essere all’altezza del cuore ed il palmo rivolto verso l’alto. La prima volta la pressione va misurata in ambedue le braccia ed annotata. In caso di differenza significativa tra i due arti, le successive misurazioni andranno effettuate sul braccio con pressione più elevata. La misurazione può essere manuale od automatica. Nel primo caso bisogna impiegare un fonendoscopio, cioè uno strumento che permette di udire i rumori che vengono generati dal passaggio del sangue nell'arteria del braccio e che di norma viene utilizzato per ascoltare i battiti del cuore. E’ opportuno ripetere la misurazione, calcolare la media delle 2 misurazioni e di essa tenere conto. Prima di eseguire la successiva misurazione, è necessario sgonfiare completamente il bracciale ed attendere 2-3 minuti per lasciare defluire il sangue. Il soggetto deve essere rilassato, in posizione comoda, in un ambiente tranquillo, a temperatura confortevole. E’ necessario evitare di misurare la pressione subito dopo l’ingestione di pasti copiosi o dopo aver fatto uno sforzo fisico o avere subito una forte emozione. Non bisogna avere fumato nei 15-30 minuti precedenti, né avere assunto caffè od altre bevande contenenti caffeina; E’ opportuno inoltre aver precedentemente svuotato la vescica. La misurazione della pressione arteriosa può essere praticata anche a casa. Lo strumento da utilizzare si chiama sfigmomanometro: è costituito da un bracciale che viene avvolto attorno al braccio del soggetto e mantenuto all'altezza del cuore. Il bracciale deve essere avvolto tra l’ascella e la piega del gomito; in corrispondenza di quest’ultima va appoggiato il fonendoscopio, nel punto in cui appoggiando le dita si sente pulsare l’arteria del braccio (arteria omerale). Contemporaneamente si palpa il polso radiale, cioè la pulsazione dell'arteria che passa a livello del polso, dallo stesso lato in cui si trova il pollice. A questo punto il bracciale viene gonfiato sino alla scomparsa sia dei rumori provenienti dal fonendoscopio che del polso radiale: in questo momento la pressione del bracciale è superiore alla pressione arteriosa. Successivamente si riduce lentamente la pressione del bracciale, facendo uscire l'aria in esso contenuta, azionando l’apposita valvola. Quando la pressione sarà uguale a quella arteriosa, un po di sangue riuscirà a passare nell'arteria producendo un rumore: il primo rumore udito chiaramente corrisponderà alla PRESSIONE SISTOLICA (detta anche MASSIMA ). Riducendo ulteriormente la pressione i rumori diventeranno inizialmente più intensi, quindi via via più deboli: la completa scomparsa dei rumori corrisponderà alla PRESSIONE DIASTOLICA (detta anche MINIMA). La pressione viene quindi indicata con due valori, ad esempio 130/80: il primo valore è la sistolica, il secondo la diastolica. La pressione arteriosa viene osservata sul manometro, che può essere a colonna di mercurio oppure aneroide. Quest’ultimo deve essere tarato almeno una volta all’anno. Cosa fare… Si consiglia di: camminare, il controllo del peso, visite periodiche Si sconsiglia: stress, obesità, cibi grassi, fumo. Le condizioni di ipertensione lieve, cambiare lo stile di vita consente di ridurre la pressione arteriosa e comunque di rendere più efficace il trattamento con i farmaci. Sono tre le principali vie che ogni persona dovrebbe seguire. 1. Ridurre il sovrappeso. Chi e' in sovrappeso deve cercare di dimagrire diminuendo l'apporto di calorie introdotte con la dieta, eliminando o riducendo le bevande alcoliche e praticando esercizio fisico. L'obesità rappresenta, infatti, un fattore che predispone all'ipertensione e la perdita di peso, anche minima (circa 5 chilogrammi), può diminuire in modo sensibile i valori della pressione arteriosa. 2. Praticare un'attivita' fisica anche moderata. Svolgere un'attività fisica moderata, ma regolare, porta a un graduale abbassamento dei valori della pressione, anche nelle persone piu' avanti negli anni. Per mantenersi in forma e regolarizzare la pressione, e' sufficiente dedicarsi per circa 30-40 minuti, 3 volte alla settimana: - a una camminata, - alla bicicletta, - a una nuotata, - a una corsa leggera. 3. Ridurre il più possibile il consumo di sale. Un eccesso di cloruro di sodio, il comune sale da cucina, favorisce l'incremento della pressione. Il sale porta infatti a un aumento del volume di sangue circolante che implica un innalzamento della pressione. Per questo e' buona norma ridurre il consumo di sale, limitando gli alimenti che ne sono ricchi. E' bene cercare quindi di evitare: - salumi e insaccati, - formaggi, - cibi in scatola (per esempio il tonno), - cibi conservati sott'olio e sott'aceto. Preferire sempre i cibi freschi o congelati. 4. Smettere di fumare. La nicotina provoca il restringimento dei vasi sanguigni. LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Le malattie cardiovascolari costituiscono la causa più frequente di mortalità e invalidità nella popolazione adulta, con l'infarto miocardico al primo posto seguito dall'ictus cerebrale. Tali malattie colpiscono il sistema circolatorio e possono interessare sia il cuore, cioè l'organo principale dell'apparato, sia i vasi sanguigni (arterie e vene) cioè una rete di canali che consente al sangue di circolare in tutto il corpo. Le arterie distribuiscono il sangue ricco di ossigeno e di sostanze nutritive dal cuore ai vari organi, le vene riportano al cuore il sangue pieno di anidride carbonica e di prodotti di rifiuto. I vasi sanguigni, tra cui le coronarie (piccole arterie che danno nutrimento al cuore), nel corso degli anni possono subire degenerazioni nella loro struttura e nelle loro dimensioni, dovute all'accumulo di sostanze grasse all'interno del vaso che ne restringe il diametro o alla perdita di elasticità delle pareti. Tali alterazioni riducono la funzionalità dei vasi sanguigni e comportano una riduzione del flusso sanguigno al loro interno e una conseguente mancanza di nutrimento e di ossigeno ai tessuti. Ciò provoca sofferenza e danni, anche di grave entità, ai vari organi e, in particolare, al cuore e al cervello. Le degenerazioni dei vasi sanguigni si possono evitare, rallentare o ridurre adottando misure di prevenzione. Fattori di rischio non modificabili • Età: il rischio aumenta con l'avanzare dell'età. • Sesso: gli uomini sono più a rischio delle donne. Nella donna il rischio aumenta dopo la menopausa. • Familiarità: parenti con malattie cardiovascolari. Fattori di rischio modificabili • Fumo: introduce sostanze nocive che, trasportate attraverso il sangue, provocano alterazioni delle pareti vascolari. E' un fattore di rischio conosciuto anche per infarto acuto del miocardio. • Alimentazione non corretta: se ipercalorica o troppo ricca di grassi, l'alimentazione può favorire l'obesità e portare all'aumento dei grassi nel sangue. • Sedentarietà: favorisce l'accumulo dei grassi e non allena il muscolo cardiaco al lavoro fisiologico dato dallo stimolo dell'attività sportiva. • Ipertensione arteriosa (comunemente detta pressione sanguigna alta): affatica il cuore costringendolo ad un lavoro maggiore. • Colesterolemia elevata: colesterolo e trigliceridi favoriscono il depositarsi di grasso sulle pareti arteriose restringendone il diametro. • Diabete: favorisce un eccesso di glucosio nel sangue che danneggia le arterie. NORME PER IL CONTROLLO DELL’IPERTENSIONE RIDUZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE ARTERIOSA E LA • Mantenere il giusto peso corporeo. Ridurre soprappeso e soprattutto obesità, ( indice di massa corporea al di sotto di 27.3 per le donne e di 27.8 per gli uomini ). • Attenzione ai cibi: dare la preferenza agli alimenti vegetali ricchi in potassio • Ridurre l’apporto di sale a non più di 2-3 grammi al giorno. • Svolgere una regolare attività fisica. • • • • • • Bandire il fumo. Consumare non più di 30 grammi al giorno di alcool, pari a a circa 250 cc di vino Ridurre lo stress psico-fisico eccessivo. Misurare periodicamente la pressione arteriosa ed annotarne i valori. Se la pressione è alta seguire attentamente la terapia prescritta dal medico. 10) L’ obiettivo è mantenere valori pressori inferiori a 140/90 mmHg, od ancora più bassi (< 130/80 mmHg), se si è diabetici o nefropatici. • La glicemia a digiuno dovrà essere inferiore a 110 mg/dl. • Il livello ottimale di colesterolemia totale è inferiore a 200 mg/dl, mentre quello del colesterolo LDL (che si può calcolare sottraendo al valore della colesterolemia totale quello del HDL colesterolo ed un quinto del valore dei trigliceridi) dovrà essere inferiore a 130 mg/dl in presenza di 2 o più fattori di rischio ed inferiore a 100 mg/dl in soggettiche sono già affetti da malattia coronarica, da diabete mellito o con rischio cardiovascolare globalmente elevato. • Il livello dei trigliceridi dovrà essere inferiore a 150 mg/dl e quello dell’HDL colesterolo maggiore di 40 mg/dl. SINDROME PLURIMETABOLICA Il termine “sindrome metabolica” descrive un insieme di fattori di rischio metabolici che aumentano la possibilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete. La causa precisa della sindrome metabolica non è nota anche se esistono evidenze di alcuni fattori genetici, la presenza di una eccessiva quantità di grasso corporeo, specie a livello dell’addome e lo scarso esercizio fisico che contribuiscono allo sviluppo di tale condizione. La sindrome metabolica viene diagnosticata quando sono presenti tre o più dei seguenti fattori di rischio: -elevata quantità di tessuto adiposo addominale (valutata mediante la misurazione della circonferenza della vita): sono considerati patologici valori superiori a 94 cm nell’ uomo e superiori a 80 cm nella donna) -basso colesterolo HDL (il cosiddetto “colesterolo buono”): meno di 40 mg/dl nell’uomo e meno di 50 mg/dl nella donna) -elevati livelli di trigliceridi: valori superiori a 150 mg/dl -elevati valori di pressione arteriosa: superiore a 135/85 mmHg o qualora sia già in corso una terapia antipertensiva) -elevati livelli di glicemia: glicemia a digiuno superiore a 100 mg/dl. La presenza di tre o più di questi fattori di rischio è un segno che l’organismo è resistente all’azione dell’ insulina, un importante ormone prodotto dal pancreas. Quando è presente una condizione di resistenza all’insulina è necessaria una quantità di insulina maggiore rispetto alla norma per mantenere normali livelli di glicemia. Il riscontro di valori elevati di insulina nel sangue a fronte di valori normali di glicemia rappresenta un indice indiretto di tale condizione. Chi corre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica? La sindrome metabolica è molto frequente nella popolazione, e il rischio di sviluppare la sindrome cresce con l’aumentare dell’età. Una persona può considerarsi a rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica se non svolge attività fisica e se: • è aumentato di peso, specie a livello della circonferenza della vita (questa semplice misurazione è un indice di eccessiva espansione del tessuto adiposo viscerale, quello, cioè, che si trova all’interno dell’addome e circonda i visceri) • ha una storia di diabete • ha elevati livelli di trigliceridi nel sangue • ha elevati valori di pressione arteriosa La maggior parte delle persone che ha la sindrome metabolica si sente bene e frequentemente non presenta sintomi, tuttavia queste persone hanno un rischio maggiore di sviluppare in futuro malattie gravi come diabete e patologie cardiovascolari, soprattutto in presenza di familiarità positiva modificare eventualmente le proprie abitudini alimentari. Come si cura la sindrome metabolica? Il modo migliore per curare la sindrome metabolica è aumentare l’attività fisica e ridurre il peso corporeo, è inoltre possibile associare farmaci per ridurre la pressione arteriosa e la glicemia. Se pensi di essere a rischio per la sindrome metabolica parlane con il medico curante o uno specialista, i quali potranno effettuare una diagnosi appropriata, eventualmente, con l’ausilio di indagini di laboratorio. Cosa fare… La perdita di peso e l’attività fisica sono le armi migliori per prevenire e trattare la sindrome metabolica; è importante sapere se si è affetti o meno dalla sindrome metabolica per poter mettere in atto cambiamenti nello stile di vita prima che compaiano severe complicazioni che possono mettere a rischio la vita dell’individuo. IL DIABETE E’ una sindrome metabolica caratterizzata dall’alterazione del metabolismo dei grassi zuccheri e proteine. Il diabete (detto anche diabete mellito) è una malattia metabolica complessa e cronica caratterizzata da Iperglicemia, ovvero aumento del livello di glucosio (zucchero) nel sangue. Alla base della malattia vi è un deficit assoluto e relativo di insulina, l’ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas, che agisce regolando i livelli del glucosio nel sangue. In pratica, l’insulina permette il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule, in modo che possa essere utilizzato (metabolizzato) per i differenti fabbisogni energetici dell’organismo. Quando l’Iperglicemia si mantiene a lungo, insorge una serie di complicanze dovute essenzialmente al danno vascolare sia a livello dei piccoli vasi (microangiopatia) sia a livello dei grandi vasi (macroangiopatia). Tali complicanze si manifestano a carico di diversi organi e apparati: • nefropatia diabetica (a livello renale) • Neuropatia diabetica (a livello del sistema nervoso centrale e periferico) • retinopatia diabetica (a livello della retina) • complicanze cardiovascolari Cause Le due forme di diabete più comuni sono: • Il diabete di tipo 1, detto anche insulino-dipendente, che riguarda il 2-3 % circa di tutti i casi di diabete noto e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. In questa forma, il pancreas non produce insulina perché le sue cellule beta risultano distrutte e nel sangue si ritrovano anticorpi diretti contro antigeni presenti proprio nelle cellule beta. • Questa evidenza ha portato a considerare il diabete di tipo 1 come una malattia nella quale esiste un’anomala risposta del sistema immunitario a un agente esterno (batterio, virus, inquinante ambientale) o interno (risposta autoimmune) all’organismo. Il diabete di tipo 2 è la forma più comune e rappresenta il 90% circa dei casi oggi diagnosticati. Si manifesta dopo i 30-40 anni e, dato che in questa forma l’insulina è presente, ma non funzionante, l’insorgenza del tipo 2 è stata attribuita alla concomitanza di diversi fattori di rischio, tra cui la familiarità per diabete, la sedentarietà, il sovrappeso e l’appartenenza ad alcune etnie. Alla base di tutte queste condizioni, che risultano diversamente combinate nella sindrome metabolica, è presente l’insulino-resistenza cioè all’incapacità dell’insulina di far entrare il glucosio nelle cellule DIABETE E LAVORO Il diabete mellito dal 1961 è riconosciuto come una malattia sociale, per l’ampia diffusione tra la popolazione, perché può colpire soggetti in età produttiva ed anche perché le sue complicanze croniche comportano un notevole impatto socio-sanitario con gravi conseguenze ai fini lavorativi. Tuttavia la malattia diabetica ancora oggi, non appare adeguatamente esaminata nei suoi rapporti con l’ambiente di lavoro sia per quanto riguarda l’influenza di quest’ultimo sull’insorgenza e sull’aggravamento della malattia sia per quanto concerne l’inserimento del diabetico nel mondo del lavoro. La Legge n° 115/87 “Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete mellito” sancisce sancisce il diritto del diabetico al lavoro, di essa, però, manca ancora la parte applicativa. Un soggetto diabetico, prima di accedere al mondo del lavoro, deve essere adeguatamente educato ed istruito ad avere coscienza della sua condizione, a ben controllare il suo stato metabolico, attraverso una idonea terapia dietetica e farmacologica, a praticare l'autocontrollo domiciliare e visite periodiche per evidenziare il più precocemente possibile la comparsa delle complicanze croniche al fine di poter svolgere regolarmente il proprio lavoro. Deve, inoltre, conoscere le possibili influenze negative delle varie attività lavorative e dell’ambiente di lavoro sul compenso metabolico e sul suo stato di salute ed anche la possibilità che lui stesso possa determinare condizioni lesive per gli altri; così per es. una crisi ipoglicemica può determinare danni non solo alla sua persona, ma anche ad altri lavoratori o a persone a lui affidate. È ormai condiviso da tutti gli addetti ai lavori (diabetologi, medici dei lavoro, assistenti sociali, associazioni dei diabetici, etc) che il diabete mellito, ben compensato, non rappresenta un ostacolo per l’inserimento nel mondo del lavoro e non implica una riduzione della capacità lavorativa; solamente le manifestazioni acute di scompenso e le complicanze croniche tardive (retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetica) possono compromettere le prestazioni psico-fisiche del lavoratore. In particolare, la rotazione su turni non consente al diabetico una costanza temporale di abitudini terapeutiche ed alimentari. Allorquando il diabetico presenta le classiche complicanze croniche dalla malattia come la retinopatia, la nefropatia, la neuropatia e\o malattie cardiovascolari deve essere impiegato in mansioni, anche diverse da quelle per le quali era stato assunto, ma compatibili con le attuali condizioni psico-fisiche. Dai questionari è emerso che i diabetici che svolgono un’attività lavorativa con orari irregolari e che non usufruiscono di servizio mensa presentano un più scarso compenso metabolico. E’ importante che il lavoratore diabetico segua una dieta appropriata e con la massima regolarità possibile, ma anche, dove sia realizzabile, di operare affinché siano presenti servizi idonei a soddisfare le esigenze del diabetico; in particolare, assicurare che i servizi mensa abbiano menù specifici per tale patologia. Si rileva, inoltre, che, come è noto, anche i lavori cosiddetti “sedentari” influenzano negativamente il controllo metabolico. Studi hanno evidenziato che soggetti con diabete tipo 2 che svolgono un’attività lavorativa sedentaria come impiegati, professionisti, insegnanti, commercianti etc. sono in eccesso ponderale e ciò rende più difficile il compenso glico-metabolico. Pertanto il soggetto ad espletare un’attività fisica adatta alla sua condizione e perseguire con gradualità l’obiettivo della normalizzazione ponderale. Solo il mantenimento della glicemia a valori quanto più vicini alla norma e del peso nei limiti fisiologici mediante la dieta, e se necessario con l’aiuto della terapia, possono ridurre il pericolo delle complicanze, in presenza delle quali può essere compromessa la continuità dell’attività lavorativa. Per raggiungere gli obiettivi raccomandati, è richiesto un approccio combinato che includa interventi intensivi sulla nutrizione, sull’esercizio, sul comportamento e farmacologici (antidiabetici, antipertensivi, ipolipemizzanti). Un aiuto, che questo opuscolo vuole fornire, è quello di educare il diabetico e altri lavoratori soggetti a patologie correlate con le cattive abitudini alimentari informazioni circa l’importanza innanzitutto di evitare, se possibile, l’insorgenza di tali patologie seguendo un regime dietetico corretto e di evitare le complicanze che compromettendo lo stato di salute del lavoratore mettono a rischio l’idoneità alla mansione specifica. Quindi con un approccio multidisciplinare alla problematica diabete e lavoro che consenta una corretta organizzazione del modello assistenziale, insieme ad un oculato impiego delle risorse disponibili, si può ottenere il massimo beneficio per il soggetto diabetico e ridurre il pericolo delle complicanze croniche, in presenza delle quali può essere compromessa la continuità dell’attività lavorativa. MALATTIE CARDIOVASCOLARI E LAVORO Non è frequente che le cardiovasculopatie siano determinate dall’attività lavorativa, mentre accade spesso invece di dover verificare l’idoneità al lavoro di un cardiopatico. FATTORI CHE INFLUENZANO L’APPARATO CARDIOVASCOLARE • Agenti fisici • Agenti chimici • Condizioni ergonomiche e ambientali • Variabili psicosociali intrinseche al lavoro 1) Gli agenti fisici che determinano effetti negativi sull’apparato cardiovascolare possono essere il rumore, le variazioni climatiche con, ad esempio, aumento della dispersione termica in ambienti caldi ed effetti ad essa correlati (tachicardia, ipotensione) e la vasocostrizione correlata con le basse temperature e relativi effetti sul tono coronarico. 2) Gli agenti chimici come piombo, cobalto, monossido di carbonio, solfuro di carbonio o idrocarburi alogenati possono essere causa di malattie cardiocircolatorie correlate al lavoro, ma è attualmente meno frequente in seguito alla sostituzione delle sostanze pericolose e all’introduzione di misure protettive sul piano tecnico, organizzativo e personale. Gli effetti delle sostanze chimiche sull’apparato cardiocircolatorio dipendono dal grado e dalla durata dell’esposizione. 3) Condizioni ergonomiche e ambientali: turni ( che determinano alterazioni del ritmo circadiano). , carico di lavoro, compiti lavorativi, livello di pericolosità, sedentarietà, legate alla carriera, incongruità di stato (mansioni al di sopra o al di sotto del livello culturale del soggetto), livello retributivo, prospettive professionali, organizzative relazionali, compagni di lavoro, dirigenti, pubblico. Le variabili psicosociali interferiscono con l’apparato cardiovascolare poiché generano stress, che può arrecare danno in due modi: Indiretto : l’alterazione del comportamento con modifica delle abitudini alimentari e l’abitudine tabagica (può riguardare dieta, alcool, fumo, sedentarietà) determina un aumento dei fattori di rischio. La scarsa attività fisica dei lavori d’ufficio e più di recente anche del settore industriale, per la progressiva automazione del lavoro, favorisce l’incremento del peso corporeo e lo sviluppo di sindrome metabolica, importanti fattori predisponenti lo sviluppo di cardiopatie. Diretto: si ha attivazione neuroendocrina che favorisce l’ipertensione, l’aterosclerosi, la coronaropatia. Oltre a queste variabili, devono essere considerati altri fattori: • Valutazione funzionale cardiovascolare del soggetto • Valutazione prognostica della cardiopatia eventualmente presente • Inserimento lavorativo del cardiopatico VALUTAZIONE FUNZIONALE Il parametro più usato è la potenza aerobica (consumo massimo di ossigeno in corso di lavoro muscolare), che si misura con il test cardiopolmonare, una prova da sforzo su tappeto o cyclette che misura anche ossigeno e anidride carbonica respiro per respiro. Col test si può: - Quantificare la capacità di lavoro - Differenziare dispnee cardiache da dispnee polmonari - Verificare la causa di interruzione precoce del test (esaurimento muscolare, malattia cardiopolmonare, simulazione VALUTAZIONE PROGNOSTICA Vari studi hanno cercato di individuare i parametri più importanti da considerare, che devono portare ad una stratificazione del rischio ed un successivo giudizio di idoneità basati sui seguenti fattori: - Mansione del soggetto e incidenza funzionale della cardiopatia su di essa (es. un impiegato avrà meno problemi di uno spaccatore di pietre). - Stabilità clinica della malattia e stima della probabilità di nuovi eventi. - Definizione della ipersuscettibilità del cardiopatico al lavoro sulla base della diminuzione di performance e sull’aumento della probabilità d’insorgenza di nuovi eventi acuti (favoriti dal lavoro sulla patologia di base) - Analisi dei compiti e dell’ambiente di lavoro In definitiva si deve stimare la congruità della prestazione richiesta con la capacità funzionale del soggetto, tenendo sempre conto dell’ipersuscettibilità del cardiopatico. L’ipersuscettibilità dipende dal tipo di cardiopatia alla base: - Cardiopatia ischemica, valvulopatie, cardiomiopatie determinano ridotta tolleranza allo sforzo. - Cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, WPW, sindrome del QT lungo determinano rischio aritmogeno (in particolare se aumentano in circolo le catecolamine) - Protesi valvolari, fibrillazione atriale, dilatazione del ventricolo sinistro determinano rischio emorragico da uso di anticoagulanti orali INSERIMENTO LAVORATIVO E GIUDIZIO DI IDONEITA’ Non esistono criteri normativi di consenso che supportano il processo decisionale: alla fine è il medico a decidere. Sulla decisione influisce anche il pericolo che si può concretizzare sull’ambiente di lavoro: Pericolo per sé: • Lavoro in ponteggi • Rischio di ferite • Lavoro agricolo • Attività di vigilanza • Lavoro notturno Pericolo per gli altri: • Autista • Controllore di volo • Controllore di centrali termoelettriche • Operaio di gru Esempi di requisiti per l’idoneità alla guida nelle principali cardiopatie: Coronaropatia Stabile • Fattori di rischio controllati • Classe funzionale A • Non aritmie inducibili • Non ischemie inducibili Ipertensione • PA buona sia con controllo singolo, sia con monitoraggio continuo • Non cardiopatia ipertensiva • Test ergometrico normale Cardiomiopatia dilatativa • Classe funzionale A • Frazione di eiezione >0,4 • Non aritmie Valvulopatie • Ritmo sinusale • Classe funzionale A e NYHA I • Valvulopatia lieve all’ecodoppler Cardiopatie congenite • Aorta bicuspide non stenotica • DIA operati precocemente • Tetralogia di Fallot operata precocemente e in classe A Bisogna comunque sempre tenere presente che può esserci aumento del rischio di disabilità improvvisa o un malore che può esporre a pericolo numerose altre persone, se chi ne è colpito ricopre un ruolo di responsabilità. Per l’inquadramento clinico vengono generalmente utilizzate scale di valutazione come quella della New York Heart Association (NYHA) per lo scompenso cardiaco e la Canadian Cardiovascular Society Specfic Activity Scale di Goldman per l’angina. Tali scale, pur presentando alcuni limiti quali eccessiva dipendenza dalla valutazione soggettiva del medico e del paziente e la scarsa capacità di valutazione nelle fasi acute, risultano correlare con la capacità funzionale molto più di parametri come l’entità della dilatazione ventricolare e la frazione di eiezione. L’integrazione dei dati provenienti dalla clinica e dalle indagini strumentali, permette una valutazione globale del paziente cardiopatico ed il suo eventuale inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro. A tale proposito sono state proposte griglie di quantificazione del danno cardiologico che hanno la finalità di inquadrare il soggetto cardiopatico in classi cui corrispondono livelli di impegno lavorativo. Livello di 1 2 3 4 compromissione Sintomatologia NYHA 1 NYHA 2 Ergometria negativo Positivo per ECG a Positivo e Positivo a soglia elevata soglia media soglia bassa per ECG e/o per ECG ed angor angor Ecocardiografia FE>50% FE 40-50% FE 30-40% Fr.Acc. >30% F.Acc. 24-30% F.Acc 18-24% F. Acc 12-24% Ecg dinamico* NYHA 3 NYHA 4 Fe 20-30% Cinesi normale Ipocinesi+ Ipocinesi ++ Ipocinesi+++ Vsn normale IVS++ IVS+++ IVS+ No aritmie Aritmie Lown I, II, Aritmie IV A disturbi III Non della conduzione Bav I grado* Lown Aritmie IV B Bav I grado** Lown Ischemia silente OBESITA’ E LAVORO Con il termine obesità si definisce una condizione clinica caratterizzata da un eccesso di peso in relazione all’altezza di un individuo e si misura con l’indice di massa corporea (IMC) in kg/m2. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito diversi stadi in relazione alla distribuzione nella popolazione: sovrappeso per un IMC tra 25 e 29,9 kg/m2, obesità di 1° grado per un valore tra 30 e 34,9, di 2° grado tra 35 e 39,9, di 3° grado dal 40 in su. Una distribuzione di grasso di tipo androide, con circonferenza “ombelicale” superiore a 102 cm negli uomini e a 88 cm nella donna, si associa, in entrambi i sessi (1), ad un significativo aumento di morbilità per malattie cardiovascolari, diabete mellito e sindrome metabolica, e aumentato rischio di mortalità per malattie cardiovascolari. In Italia il 42,5% dei maschi adulti è in sovrappeso e il 10,5% obeso, mentre tra le donne il 26,6% è in sovrappeso e il 9,1% obeso. La percentuale aumenta con l’età: tra i 18 e 24 anni il 2,1% è obeso e il 13,1% in sovrappeso; tra i 65 e i 74 anni il 15,6% è obeso e il 46,1% è in soprappeso. Il fenomeno non risparmia neppure i bambini, con una prevalenza che è tra le più alte d’Europa (punte del 30%). Una obesità di 2°-3° grado modifica la geometria del corpo impedendo un’escursione fisiologica dei movimenti e determinando non solo una ridotta capacità nello svolgimento di attività di base della vita quotidiana, quali alzarsi da una sedia, afferrare un oggetto da terra o in alto, camminare, trasportare la spesa (9-18), ma anche in diverse attività lavorative (11, 14, 18, 19-22). L’obesità di grado elevato impaccia i movimenti globali del corpo (come camminare (15, 23-24) ed alzarsi da posizione seduta (11)), come quelli segmentari e di precisione svolti con l’arto superiore in talune attività lavorative (25); infatti a causa della riduzione nell’escursione articolare (gomito, segmento mano-polso (16), rachide dorsale (26)), si determina un sovraccarico compensatorio che è alla base di una maggiore incidenza di patologie muscolo scheletriche (27, 28). Nell’obesità grave si ha anche una riduzione della forza muscolare, evidente soprattutto a livello del quadricipite femorale (forza normalizzata al peso corporeo ridotta del 10% rispetto ai normopeso (29)), con conseguente difficoltà nell’esecuzione di compiti abituali quali il camminare, salire le scale, piegarsi, sollevare pesi, alzarsi da seduto (15). L’efficienza fisica dunque si riduce all’aumentare dell’IMC (30) e di ciò va tenuto conto nel valutare l’idoneità a mansioni che presentino requisiti particolari di forza o di articolarità. Attività lavorative che richiedono il mantenimento di posture impegnative sono controindicate nell’obeso di 2°- 3° grado: la posizione accovacciata o inginocchiata prolungata (19) è associata ad un aumentato rischio di osteoartrosi del ginocchio; la stazione eretta prolungata è associata, in particolare nelle donne (9), ad un aumentato carico biomeccanico a livello coxofemorale. Non sembra invece diminuita secondo studi psicofisici (31) la capacità di movimentare carichi, anche se i limiti di tollerabilità andrebbero approfonditi in caso di compiti continuativi, attraverso studi fisiologici e biomeccanici (17) che per ora l’hanno dimostrato la presenza di maggiori picchi dei mo Una obesità di 2°-3° grado modifica la geometria del corpo impedendo un’escursione fisiologica dei movimenti e determinando non solo una ridotta capacità nello svolgimento di attività di base della vita quotidiana, quali alzarsi da una sedia, afferrare un oggetto da terra o in alto, camminare, trasportare la spesa (9-18), ma anche in diverse attività lavorative (11, 14, 18, 19-22). L’obesità di grado elevato impaccia i movimenti globali del corpo (come camminare (15, 23-24) ed alzarsi da posizione seduta (11)), come quelli segmentari e di precisione svolti con l’arto superiore in talune attività lavorative (25); infatti a causa della riduzione nell’escursione articolare (gomito, segmento mano-polso (16), rachide dorsale (26)), si determina un sovraccarico compensatorio che è alla base di una maggiore incidenza di patologie muscolo scheletriche (27, 28). Nell’obesità grave si ha anche una riduzione della forza muscolare, evidente soprattutto a livello del quadricipite femorale (forza normalizzata al peso corporeo ridotta del 10% rispetto ai normopeso (29)), con conseguente difficoltà nell’esecuzione di compiti abituali quali il camminare, salire le scale, piegarsi, sollevare pesi, alzarsi da seduto (15). L’efficienza fisica dunque si riduce all’aumentare dell’IMC (30) e di ciò va tenuto conto nel valutare l’idoneità a mansioni che presentino requisiti particolari di forza o di articolarità. Attività lavorative che richiedono il mantenimento di posture impegnative sono controindicate nell’obeso di 2°- 3° grado: la posizione accovacciata o inginocchiata prolungata (19) è associata ad un aumentato rischio di osteoartrosi del ginocchio; la stazione eretta prolungata è associata, in particolare nelle donne (9), ad un aumentato carico biomeccanico a livello coxofemorale. Non sembra invece diminuita secondo studi psicofisici (31) la capacità di movimentare carichi, anche se i limiti di tollerabilità andrebbero approfonditi in caso di compiti continuativi, attraverso studi fisiologici e biomeccanici (17) che per ora hanno dimostrato la presenza di maggiori picchi dei momenti articolari sia sul piano traverso che su quello sagittale durante le azioni di sollevamento. Già l’obesità di primo grado può comportare una riduzione dei volumi polmonari e alterazioni della meccanica respiratoria in posizione seduta e durante esercizio leggero (32). Nell’obeso di 2°-3° grado si riscontrano frequentemente una ridotta capacità di lavoro aerobico e un’insorgenza precoce del regime anaerobico (35), mentre a livello cardiocircolatorio, è stato evidenziato un aumento del volume ematico circolante con ipertrofia ventricolare sinistra, che costituisce un fattore limitante lo sforzo fisico soprattutto a carichi di lavoro sostenuti (34, 35). Il lavoratore con obesità di 2°-3° si trova quindi in una condizione complessivamente caratterizzata da riduzione della capacità lavorativa, attribuibile a diversi fattori: ridotta tolleranza allo sforzo, ridotta escursione articolare a livello del rachide e delle principali articolazioni, ridotta forza muscolare normalizzata al peso corporeo, ridotta tolleranza a mantenere posizioni fisse prolungate, ridotta capacità di mantenersi in equilibrio, difficoltà respiratorie (36). Negli ultimi anni si è resa più evidente la relazione direttamente proporzionale tra BMI e disabilità, indipendentemente dalla presenza di patologie croniche, (OR 2,2 nell’uomo e 2,4 nella donna) (37). Nella comparsa delle disabilità correlate all’obesità, vengono dapprima intaccate le funzioni relative agli arti inferiori (forza e mantenimento dell’equilibrio), seguite da quelle relative agli arti superiori (forza e abilità manuale) (40). Un altro fenomeno caratteristico è il depauperamento della massa magra (sarcopenia), simile a quello osservabile nell’anziano (41). La diminuzione nella capacità di forza e il depauperamento della massa magra agiscono in modo sinergico nel generare disabilità con effetto esponenziale (42). L’obesità è associata ad una ridotta partecipazione alla vita lavorativa (48), aumento di assenteismo, disabilità e maggiore ricorso alle strutture sanitarie (21, 28, 49), minore remunerazione economica (50), possibili ricadute negative sulla produttività (51). Sono stati calcolati una perdita di giorni lavorativi 13 volte maggiore e un aumento delle richieste di indennizzo per interventi medici 7 volte maggiore negli obesi rispetto ai normopeso (20, 52). I lavoratori obesi fanno maggiore ricorso ad esenzioni per malattia e riconoscimenti di invalidità (21) e totalizzano un maggior numero di assenze dal lavoro per malattia di durata superiore a 8 giorni (53). È stato evidenziato che per il datore di lavoro i costi, diretti e indiretti, aumentano proporzionalmente al crescere dell’IMC dei lavoratori ( Tabella I. Mansioni che comportano un incremento di rischio per l’obeso Esempi di mansioni Caratteristica della mansione Fattori di rischio conducente (autovetture, mezzi pubblici, autotreni, ecc.) elevati livelli di attenzione, posture fisse del corpo prolungate rallentamento tempi di reazione, episodi di sonnolenza diurna, controllore di volo, operatore al VDT compiti di inseguimento visivo, detezione e controllo di segnali posatore di pavimenti, lavoratore edile posizione inginocchiata prolungata mancata detezione di segnali, errori, ritardo di reazione ridotta vigilanza pressione sulle ginocchia posatore di pavimenti, lavoratore edile commesso, addetto a servizi, addetto a macchinari impiegato, addetto VDT, telefonista, operatore call-center postura seduta prolungata compressione lombare e sulla pelvi infermiere, terapista, magazziniere, addetto a servizi di emergenza movimentazione di carichi e/o di persone sovraccarico biomeccanico di rachide e articolazioni manutentore, muratore esposizione a vibrazioni localizzate (HAV) infiammazione di nervi e tendini, carico articolare, vasocostrizione da ipertono simpatico Principali effetti negativi per la salute dell’obeso disturbi del ritmo sonno-veglia, affaticamento, ansietà, disfunzioni metaboliche, accresciuto rischio di infortunio ansietà, affaticamento assunzione di posture disequilibrate, dolore osteoarticolare e muscolare, osteoartrite, disabilità assunzione di posture disequilibrate, dolore osteoarticolare e muscolare, osteoartrite, disabilità posture scorrette, dolore osteoarticolare, low back pain, disabilità dolore osteoarticolare, posture disequilibrate, low back pain, sindrome metabolica, disturbi circolatori e della respirazione dolore osteoarticolare, posture disequilibrate, sindrome metabolica, disturbi nella respirazione. angiopatia, neuropatia prevalentemente sensitiva, infiammazione di nervi e tendini, alterazioni osteoarticolari manutentore, lavoratore edile Lavori artigianali di precisione (ottico, orafo, restauratore) o lavori ripetitivi (dattilografo) Manutentore, assemblatore, operatore nel comparto alimentare Operaio manutentore, agricoltore impiegato in servizi nautici, addetto a celle frigorifere, addetto ai forni Vigile del fuoco addetto al servizio di sicurezza lavoro in altezza movimenti fini delle dita delle mani Lavoratore edile, metallurgia pesante Lavoro fisicamente gravoso operaio Lavoro ripetitivo con posture incongrue/applicazione di forza arti sup. Lavoro all’aperto con escursioni termiche rilevanti, lavoro in ambienti confinati con microclima avverso Lavoro in urgenza in situazioni ambientali estreme, con uso di D.P.I. individuali richiesta di agilità ed equilibrio Impegno degli arti superiori(precisione, velocità e resistenza dei movimenti fini Sovraccarico biomeccanico articolare, infiammazioni dei nervi Sovraccarico termoregolatorio Rilevante dispendio energetico (rischio cardiovascolare, aumento della pressione respiratoria Rilevante dispendio energetico (rischio cardiovascolare) accresciuto rischio di infortunio Disturbi muscolo-scheletrici Disturbi muscolo-scheletrici Disturbi della termoregolazione, colpo di calore, intolleranza allo sforzo,insufficienza respiratoria Patologie cardiovascolari, dispnea Patologie cardiovascolari, intolleranza allo sforzo