IL FILOSOFO DELLA RIBELLIONE
L'umanità si scuote con la rivoluzione protestante come da un lungo letargo
di ascetismo nelle coscienze e di oscurantismo nelle menti. Un'aura di vita nuova
si sente aleggiare nei pressi di Vittemberga, che ben presto si muta in turbine
d'uragano. Lutero, nella Dieta di Worms nell'aprile del 1521, addita al mondo
il cammino nuovo nel grido: « Confutatemi con prove della Scrittura, oppure
con semplici e con giusti argomenti: diversamente non posso ritrattarmi, perché
il fare qualche cosa contro coscienza non è sicuro né prudente »: preannunzio del
trionfo della prima libertà. Sintesi della grande rivoluzione è la sua stessa vita,
la sua opera nella quale la Germania troverà la prima affermazione della nazionalità.
Si fremerà poi per altro bisogno: la libertà di coscienza prelude alla civile
e il puritanismo inglese, compreso tutto intero nel suo grande apostolo Knox,
porterà all'Habeas corpus, primo atto del nuovo Vangelo dei popoli.
Le grandi rivoluzioni, che determinano lo svolgersi dello spirito umano
nel suo avviamento generale, nel suo sviluppo particolare, vengono contrassegnate sempre dai loro eroi, primi e sacri banditori dell'idea che, pur indeterminata, s'agitava nella coscienza della comunità. Son questi grandi pensatori, come
li chiama il Nencioni, le pietre miliari della via sacra dell'Umanità, i sacerdoti
della sua religione, « interpreti del pensiero umano ». La libertà di coscienza
prelude alla civile, entrambe queste alla politica; Lutero e Knox a Rousseau; nel
rude prete scozzese Cromwell troverà il suo educatore, nel filosofo ginevrino Robespierre e Napoleone.
***
Le Lettere persiane del Montesquieu, quadro satirico delle condizioni generali della Francia, le Considerazioni e lo Spirito delle leggi; la Henriade del Voltaire
e le Lettere filosofiche; il Diderot, il D'Alembert e la Enciclopedia importano in
Francia una nuova corrente d'idee in contrapposizione al vecchio regime, mentre
un acre odor di polvere pervade l'aria e cineree nubi si addensano sul cielo
di Francia.
Nel 1749 l'Accademia di Digione premiò il discorso del Rousseau in cui
dimostrava che le arti e le scienze conferivano a peggiorare gli uomini. E, se
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Giovanni Brancaccio - Il macello (disegno acquerellato ; 1954.
- Raccolta Mario Montinari - Bari).
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l'anno appresso non applaudì al concetto dell'origine dell'uguaglianza, il Voltaire
non poteva non comunicare dolcemente all'autore: Voi fate venir la voglia di
camminare a quattro piedi. Al vecchio ed ormai decrepito dilettantismo classico
si viene a contrapporre così il naturalismo degli enciclopedisti, intessuto col
sarcasmo volteriano e col paradosso del Rousseau: il pensiero è il simbolo della
depravazione umana, come pure ogni portato della civiltà creatrice di privilegi,
dispotismi e disuguaglianze sociali. Da tale contrasto e da tale conclusione nasceva il grido di Desmoulins: Aux armes. Il diritto divino dei re cadrà abbattuto dalla marcia fatale dei sanculotti rivoluzionari; sugli altari la Dea ragione
dominerà, mentre il diritto sacro di libertà, imbastardito dalla violenza incendiaria, degenerato in sete ardente di sangue, trionferà.
E del Rousseau?
I due opuscoli sulla scienza e l'ineguaglianza offriranno le norme per la
nuova costituzione che si darà la Francia, il cui primo articolo affermerà che
gli uomini nascono liberi ed uguali in diritto. Che più? Ma quella stessa assemblea che promulgava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo veniva salutata dalla
folla al grido di: Viva il virtuoso Pethiou, viva l'incorruttibile Robespierre!
« Il patriottismo si estende sempre maggiormente ed assume l'aspetto d'un immenso incendio; la gioventù è fuoco e fiamma » esclama Desmoulins. L'ineguaglianza è creata dalla civiltà, aveva affermato innanzi Rousseau: quindi guerra
a tutto ciò che sa di vecchio regime. Sui ruderi della Bastiglia trionferà il principio: l'uomo per l'uomo, estraneo ed indipendente dall'organamento sociale, in
cui nasce e si svolge; ma dal dispotismo tirannico a quello demagogico v'è di
mezzo una corda o una mannaia.
I due ricordati opuscoli del Rousseau sono come la prolusione del suo
sistema abbastanza arduo e complesso: riformare la società ed offrirne le norme
più chiare e sicure per procurarle benessere generale. Era ormai tempo: il corso
fatale degli eventi portava l'umanità per il sentiero apertole di già davanti da
Lutero e da Knox; la libertà politica era ormai un diritto sacro, cui l'uomo
doveva giustamente aspirare per essere riconosciuto cittadino. Il torto va trovato
in ben altro, nel non aver cioè « consumato il proprio fumo » e nell'aver « emesso
fumo prima d'averlo trasformato in fuoco ».
Chi non ricorda come nacque il saggio: che le lettere e le scienze hanno
contribuito a peggiorare i costumi? E' molto istruttiva, ricorda al proposito il
Cesareo, la testimonianza della figliuola del Diderot circa la famosa risposta
al quesito dell'Accademia di Digione. Il Rousseau voleva dapprima sostenere
la tesi opposta. E' il ponte degli asini questo, gli oppose il Diderot, sostenete il
contrario ed avrete un trionfo. Così fu, ma la circostanza, rivelandoci il fumo
che lo dominava per intero sin dal primo saggio, ci ammonisce e ci rende cauti.
Non è una profonda convinzione che arde nel suo animo di pensatore quella
che lo porterà alla prima affermazione: « decadono quando in essi s'innalza il
culto delle arti e delle scienze ».
E' vero che nel secondo opuscolo conchiuderà pienamente convinto che
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l'ineguaglianza è creata dalla civiltà, ma che importa che da un sofisma cada in
un paradosso? Purché la fama venga.
Chi è quest'uomo che disprezza tanto la società? La dolcezza dell'affetto
materno non conobbe mai; le letture dei libri cattivi e i discorsi dei compagni
depravati gli sozzarono ben presto il cuore, che non palpitò mai dei più intimi
sentimenti umani, pieno com'era di vanità, che non sentì affezione neanche per
i figli, che, appena nati, faceva consegnare ai pubblici ospizi!
E poi forse che per operare bisogna isolarsi e non piuttosto confondersi con
la folla? O il mondo della natura gli si rivela non come un intimo ed ascoso
organamento di forze in cui s'ingranano infinite verità ed esperienze, su cui spira
divino il soffio del dovere? Nelle campagne silenti di pace guardò solo se stesso,
decantando la semplicità della natura, perché di mezzo alla solitudine poteva
essere più facilmente notato ed additato. Egoista per tendenza, propugnò un esagerato individualismo che accreditò maggiormente nel Contratto sociale. I giacobini trovarono in questa sua nuova opera il loro codice; Robespierre la sua guida:
lo stato deve essere per l'individuo (infatti ha solo diritto di esistere in quanto
nulla gli viene a togliere ma solo lo rende più forte nei suoi diritti).
Il paradosso non poteva riuscire più ammaliante e lusinghiero: in ogni
tempo vi furono e vi saranno gli audaci esaltatori dell'io proprio. Se Rousseau,
dopo le conclusioni del Contratto sociale, si fosse trovato a far parte del Comitato
di salute pubblica avrebbe vinto per zelo patriottico Robespierre. Purtroppo la
libertà paradossale, proclamata con la dichiarazione dei diritti dell'uomo, degenerando nell'ardore della decristianizzazione della Francia, doveva affogare nel
sangue di migliaia di vittime. Come il vecchio Saturno la rivoluzione inghiottiva
ad uno ad uno i suoi figli. Un mese dopo, pur in mezzo al terrore, che funesterà
per qualche tempo ancora Parigi e la Francia tutta, la convenzione, ispirandosi
al trionfo della sana democrazia, proclamerà l'obbligo scolastico e la laicità d'insegnamenti e di persone.
« Ho sempre temuto i benefizi, perché ogni benefizio esige riconoscenza, ed
io mi sento ingrato essendo la riconoscenza un dovere », così l'educatore d'Emilio
aveva esclamato con ingenuità, affermando buono ciò che è semplicemente non
solo fatto inumano ma proprio di ogni essere che sa di bruto. Dopo ciò nessuna
meraviglia se osa conchiudere che la legge è la somma delle volontà individuali,
l'arbitrio della folla; come nessuna meraviglia se anche oggi il filosofo ginevrino
viene elevato al cielo dai molti. Che più? In parte non errò sostenendo che preferiva essere l'uomo dei paradossi che l'uomo dei pregiudizi: al verbalismo classico, che faceva le ultime prove col pietismo e col gesuitismo, oppose il suo
formalismo di sofismi ed artifizi e trionfò. Voltaire rise scetticamente del mondo
e fece ridere; Rousseau pensò come eternare il suo nome, trovò una via che
gli parve comoda e vi si mise di buon animo: il paradosso. Poco importa se la
sua fama fu o sarà per lo meno paragonabile a quella di quel tale greco che
mise fuoco al tempio. La sua opera civile nel Comitato di salute pubblica trovò
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la piena e scrupolosa attuazione: vanità ed ambizione di uomini, violenze brutali
che tralignarono in orrori e cacciarono giù gli uomini al delitto!
Né sparve con quello: « il modernismo, questa religione la quale pretende
sottrarsi al dogma e non osa negarlo; i l nazionalismo, questa politica che afferma
il diritto della conquista purché la conquista non sia compiuta a nostro svantaggio; lo estetismo, questa poetica che riduce l'arte a un mero giuoco di parole
rare e d'immagini imbellettate; e in generale il bisogno invincibile di parere
ciò che non si è, di simulare una fede di cui non si è punto persuasi (...), tutto
ciò si ritrova, per così dire, sistemato, praticato, difeso, eretto a norma sociale e
morale negli scritti del Ginevrino ». E della sua opera educativa?
Teniamo presente qualche ricordo delle sue Confessioni: la mia giovinezza,
egli dice, è trascorsa in una vita uguale, assai dolce, senza grandi traversie e
senza grandi prosperità. Questa mediocrità fu in gran parte l'opera della mia
natura ardente, ma debole, meno pronta a intraprendere che facile a scoraggiarsi,
uscente dal riposo a scosse e rientratavi per stanchezza e per gusto, e riconducendomi sempre lontano ancora dai grandi vizi, alla vita oziosa e tranquilla,
per la quale mi sentivo nato, non mi ha mai permesso di riuscire a nulla di
grande né in male né in bene.
In tale confessione ognuno ritrova un po' di se stesso, e nell'insieme, a
guardare ben dentro, trova il ribelle ginevrino che non sa adattarsi se non a
tutto ciò che gli procura piacere sia pur momentaneo, « che è incapace di compiere del dovere ». « Ad un uomo — scrive il Tarozzi — che tale incapacità
confessava, toccò in sorte di segnare un'epoca nella storia della morale umana,
di essere maestro ( ...) ».
Seguiamo lo svolgimento del suo sistema educativo: la tendenza naturalistica
del Rabelais e del Montaigne vi viene affermata, ampliata, esagerata, e non per
convinzione cosciente, ma per subitaneo assentire così facile nel Ginevrino per
tutto ciò che sa di reazione. Emilio non è un bambino da educare, ma un fantoccio di legno da piallare, un pupattolo che ha mani e piedi legati a fili tenuti in
mano dal suo precettore. Domani sarà un giovinetto senza anima, come in seguito un uomo senza cuore, che agirà per impulso e per piacere, sarà egoista e
sciocco qual marito di Eloisa e qual padre di famiglia. L'opera diverrà il vangelo
del filantropismo germanico e preluderà al pensiero del Basedow e del Pestalozzi,
del Kant e del Frobel. Ebbe quindi fortuna?
E' ben vero che il nuovo indirizzo pedagogico rifiorirà sulle orme dell'Emilio,
da prima indeciso e indeterminato, poi a mano a mano più concreto e sempre
più spogliato dalla ampollosità dei sofismi e dell'utopismo, ma ciò fu essenzialmente opera del trionfo della democrazia e della scuola popolare del secolo XIX.
Il naturalismo empirico del Rousseau, quale indirizzo educativo, da privilegiato col Basedow si fa borghese col Pestalozzi. Al principio « seguire la natura
e l'ordine armonico della natura » si chiarisce col Kant: « l'uomo può diventare
solamente buono per l'esercizio della virtù ». La virtù è un dovere: quanto di
già siamo lontani dall'educatore d'Emilio! Si completa coll'Hegel e coll'Herbart,
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per il quale tutta l'educazione nasce dall'istruzione, coi giardini frobeliani; si
rende scientifico con lo Spencer: quanta strada, quante lotte, quante speranze
in meno di un secolo.
L'opera di Rousseau fu filosofica, sociale, politica, morale, educativa e...
nessuna di tutte queste cose insieme. Le sue teorie difettano di principi saldi,
sentiti e voluti oltre che pensati. Il suo non è un sistema portato a maturità nella
concezione e nella coscienza, sebbene un impulso sensazionale che, svestito della
magistralità della forma, resta scevro d'ogni carattere di genialità! Fecero un
gran chiasso perché egli nel complesso volle e riuscì a ispirarle alla ribellione,
e in ciò e perciò troveranno ammiratori e magnificatori, perché per quanto la
democrazia trionfi, pur vi perdureranno alcune tendenze umane.
MICHELE MONTINARI
(1888 - 1966)
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2 - LA ZAGAGLIA
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