INCONTRO CON BRUNO LUCREZI
POETA E SAGGISTA
Il mondo poetico di Bruno Lucrezi non sollecita i soliti preamboli:
al Corpus della sua produzione, a tutto il suo mondo di studioso, anche,
si può guardare ormai con persuasione.
Nei suoi ultimi libri — dai Terroni a Quattro quarti di luna — edito
il primo dalla Kursaal di Firenze ed il secondo da Guanda di Parma, il
sentimento del nostro tempo è inciso con una forza emotiva singolare, ed
il suo linguaggio è modernamente e sensibilmente suggestivo, ma senza
« surrealismi » o, peggio, pseudo-surrealismi, ricavati da un linguaggio,
un falso linguaggio, ormai logoro, e alla fine, molto facile. La « parola »
di Lucrezi ha riscattato risonanze essenziali ed umane insieme: è personale. Si sente in lui l'aspra inquietudine del nostro tempo; ma senza occasioni di cronaca: il suo documento lirico si innesta nella costante della grande poesia, voce dell'avventura celeste sotto il cielo. Sul piano tecnico la sensibilità di Bruno Lucrezi non poteva essere indifferente alla
lezione di quel periodo che malamente (e molto frettolosamente) è stato
definito ermetico: periodo che ha dato molta non — poesia (e, specialmente, l'arroganza della non — poesia), ma ha indicato nei suoi esiti migliori, la via ad un'attenzione salutare alla parola (alla suprema vitalità
della parola poetica): fu, insomma, diga e ammonimento a certa poesia
morbidamente crepuscolare, e dannunzianeggiante, o, peggio, « narrativa ». Lucrezi, partito da questa, diciamo così, atmosfera « ermetica »,
di proposito ha sempre mantenuto una sua apertura umana, oltre i moduli e gli impicci e le comodità di una poetica esclusiva, perseguendo,
acutamente perseguendo, una parola sua: con dimensioni libere e severe, con gli echi più profondi del suo cuore, con la « voce », la «memoria»
della sua gente e della sua terra. Ed il suo approdo, perciò, al respiro
poetico dei Terroni (un libretto prezioso che ha stupito per la mordente
immediatezza e le risonanze universali che il poeta ha saputo serrarvi),
non ha sorpreso la critica che aveva colto nella poesia di Lucrezi questa
sua disposizione ad un canto che si avvalesse di tutto il magistero delle
esperienze trascorse e si completasse di risonanze nuove e meno mediate.
Molte sono le direzioni sentimentali, le occasioni che originano la meditazione lirica, anzi volgono su alcuni momenti della storia personale ri18s
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fatti e riletti sotto il segno di un presente non dichiarato, ma evidentemente decaduto e grigio. Sin dalla prima composizione si legge nella
memoria rivissuta nel paesaggio la fonte del'ispirazione; come necessità
il paesaggio lucano mette a fuoco una posizione spirituale nettamente
conosciuta. Lucrezi ha coscienza limpida di sè ed un senso romantico
delle cose del mondo; ne nasce, quindi, una continua misurazione fra
quella e queste senza peraltro che il tono ecceda, che la voce si spinga
troppo in alto. « Ricordi le strade deserte — sotto la luna? — Ci ritrovammo— nell'interminato universo, — io e te », ma si arriverà sempre a
scoprire, senza troppe deformazioni, senza che la realtà diventi per forza mito; ed accanto, quasi l'oggetto illuminato per naturale disposizione: la giovinezza. « E quante erano le voci del silenzio — tante note fluivano nel cuore: — dolce, chiuso rumore — del nostro sangue ». Ma tutto è lasciato ad un mondo di naturalezza senza che la retorica dei sentimenti della stagione giovanile prevalga; sono momenti ed elementi essenziali, senza essere simbolici, che formano una limitata modulazione
così come nello stile la sobrietà della parola.
Giuseppe Toffanin (il maggiore storico e critico vivente dell'Umanesimo), in un lindo saggio pubblicato sulla « Zagaglia » di Lecce, definisce Bruno Lucrezi « intimamente romantico come forma mentis e più
come forma cordis ». Difatti anche noi pensiamo di non sbagliare puntando su un romanticismo confessato che Lucrezi ha proprio espresso
in questa circoscritta esperienza lirica; soprattutto, poi, per l'osservazione esterna delle cose e per il contatto che queste mantengono con la memoria.
« Sono stato nella tua casa, — una piccola camera a pensione — letto fornello scrivania — tutto là, — ma limpida come lei — piena di
sole ». Sono elementi poveri, che non hanno subìto nessuna esaltazione,
a volte ripresi nella loro schiettezza e semplicità: « Questa è terra danna.
ta — che non consente di essere felici. — Qua non abbiamo prati ben
pettinati... Le nostre strade sono polverose, — gli alberi nodosi e contorti; il suolo ci puoi scavare dentro per una vita, — non caccia che pietre...».
Eppure, (nonostante tutta la forza di suggestione che gli aspetti di paese con il loro casto essere, sembrano dare) protagonista è il cuore, esiliato, mortificato o deluso da una ragione non detta, ma sottintesa continuamente, religiosamente supposta. La struttura degli elementi è sempre limpida e, attraverso una sobria quasi limitata ag g ettivazione, il paesaggio si impietrisce, si ferma cioè attorno ai pochi elementi e diventa
deserto per incantare di più, per morire fisicamente e vivere nella sua
purezza.
Altrove Bruno Lucrezi riesce a dare un senso compiuto di canto anche alle immagini più costruite, più ricercate. E' la prova della sua maturazione letteraria, perché è naturale che proprio in questa capacità di
sciogliere immagini si ricerchi grande parte delle virtù del poeta. Si leg,1S9
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gallo, ad esempio, queste figurazioni che ci sembrano bellissime davvero: « Disteso su questa terra bruciata — aspetto. — Verrai alla mia bocca — alito, fresco silenzio ».
Ma soprattutto si noti in certi momenti, durante lo scorrere dei versi, l'accentuarsi o meglio l'i llim pidirsi di un colore della natura o dei
sentimenti, l'aprirsi di una esclamazione, o magari la conclusione di un
discorso: « E quasi non lo senti il passo lieve — della notte a noi venire
sull'erba — con la nuda tristezza della morte, — tu ». Crepuscolo, se
vogliamo, che non sconfina e non perde la sua robustezza di sentimento,
che si svolge sempre ad una pace o una tristezza sentita tutta intimamente, ripresa come un dono segreto ricevuto per grazia e pudicamente
conservato.
«Quattro quarti di luna» a dirla con Ferdinando Santoro, costituiscono « un gan passo avanti... vi è maggior dominio dell'espressione, più solidità di costruzione, più maturità e chiarezza di idee, più immediatezza ».
Anche noi lo sostenevamo quando ci occupammo del volume sulla
rivista Realtà che si pubblicava a Napoli sotto la direzione di Renato
Cannavale, proprio per l'essersi liberato il poeta da certe insidiose tendenze all'impressionismo. Proprio perché qui la sua verità di creatura, essenziale e centripeta insieme, è ricercata con assidua vicenda di pensieri e di sentimenti, entro la personalità concretamente immersa nel ritmo dei giorni, in costante aderenza con l'io lirico, che tale ricerca accoglie e trasfigura.
La cifra costante e più nitida della poesia di Bruno Lucrezi scaturisce dall'interrogarsi e ricercare in sè la verità, per ritrovarla poi in Dio,
in un rapporto terra-cielo, umano-divino, in un ansioso tormento di solitudine.
« Ma se guardi anche tu dentro il tuo cuore — a quell'altro che sei
— specchio della memoria — in una bella sera come questa — quelle sere di paese — con le strade piene di gente che ti passeggia davanti — e
il cielo bianco di luna, senti che ho ragione — ed io e te — in realtà siamo
da sempre — e non siamo esistiti mai ».
Confessione senza esitazioni e senza infingimenti, in chiave di sincerità, calda e di emotiva ricchezza, di anelito cordiale; confessione non
nell'incomposta irruenza di un romanticismo spicciolo, ma nella consapevolezza cosciente di esistere positivamente, di giustificarsi per questa
stessa esigenza di dono, pur nel mutabile svolgere di sè e della realtà.
Chiusi i miei occhi una sera — per essere accanto a te; — chiudi
i tuoi ora per ritrovarti accanto a me. — Quasi mi tocchi, vedi? — Occhi
inesplicabili — ci guardiamo: per essere così in due ».
C'è coscienza di centrarsi in una dichiarata tristezza che esula da
ogni sterile e letterario narcisimo, c'è il bisogno di una rispondenza singola e corale, c'è una introspezione genuina e limpida che scaturisce da
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una arricchita esperienza soggettiva e si traduce sulla immanente realtà
di ogni vita, sul cammino dei giorni e dei cuori, sul palpito dei sensi,
sul gioco dei colori e dei suoni.
« Anch'io dove vuoi che vada — senza di te? —
Ferdinando Santoro su Aspetti Letterari diceva che « Lucrezi è riuscito a nascondere la sua letterarietà sotto il paravento della novissima
estetica, sotto un linguaggio discorsivo d'intensa vitalità espressiva, in cui
ha composto la sua visione di poeta non come un orafo, che vuol dare
pregio alla coppa vuota con cesello esterno, ma come un distillatore di
essenze, che mira a colmare la coppa della poesia, stilla a stilla, di un
vino inebriante e forte ». Infatti Bruno Lucrezi ci offre una poesia facile da capire, e grazie a Dio, priva di censure. Con ciò non ha niente di
grezzo e di spinoso. Nata da una esperienza viva della realtà, mediante
l'arte davvero succosa dell'Autore, ritorna al lettore ancora come limpida, effettiva realtà, senza misteri ermetici, senza pretese di rappresentazioni astrali. Siamo di fronte a un poeta che ha superato d'istinto tutti
gli ismi e ha ritrovato l'innocenza riuscendo ad associare sentimenti, descrizioni, sensazioni e meditazioni intelligenti in un discorso elegante,
di molto buon gusto, fra sensuale e acerbo, senza bisogno di reazioni
incomprensibili. Ed è vero. Lucrezi sente e rappresenta il mondo gentile della sua terra salentina senza sforzo alcuno di natura intellettualistica. La sua estetica è saporita come i frutti della feconda terra
leccese.
* * *
Giuseppe Toffanin afferma che a Bruno Lucrezi non è « mai venuta
la tentazione di arruolarsi fra i critici militanti che distribuiscono altrui
la gloria prelevatane per sé una congrua parte, o fra i critici dotti che
distribuiscono le cattedre dopo essersene presa una per sé: quello che
non s'è mai estinto né incrinato in lui artista è il sentimento della cultura come punto d'appoggio piuttosto che come punto di attrito con la
fantasia; onde sempre nei suoi saggi critici — e si trattò pure di semplici recensioni — un impegno totale, una serietà dotta ineccepibile ».
La raccolta Controsole cui fu assegnato il Premio Napoli per la Sezione Saggistica, i tanti saggi che leggiamo su quotidiani e riviste e periodici vari, la raccolta Uomini, diavoli e dèi che ottenne nel 1952 il
Premio Marzotto Opera Prima, confermano l'indiscusso giudizio del
Toffanin e quello di un altro illustre scrittore, Ettore Capuano, che su
Palaestra sosteneva che « ogni sua interpretazione ha conquistato nuove
verità che spesso sfuggivano al nostro animo ora per impreparazione,
ora per incapacità ed anche per malavoglia ».
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Bruno Lucrezi ha avvicinato con amore, con acuto spirito critico
i Grandi di tutti i tempi e di tutti i paesi, quali Dante, Shakespeare,
Galilei, Unamuno, ecc. sempre per cogliere il loro più profondo messaggio.
Dotato per conto suo di una sensibilità sottile e vibratile e di una
attitudine felicissima ad intendere i vari climi spirituali in cui le varie
opere si collocano, ha scritto pagine straordinariamente convincenti su
taluni aspetti della letteratura italiana e straniera. La sua critica è anche
essenzialmente psicologica e in questo senso pecca talora di eccesso
di benevolenza verso gli autori criticati (è ancora Giuseppe Toffanin
che lo afferma), ma a nostro avviso ciò lo solleva nelle zone della poesia
e alcune pagine dei suoi saggi sono, infatti, autentica opera di poesia.
Ricordiamo l'alta e vigorosa lezione su Michelangelo (Il Baretti n. 30)
e su « Iconografia predantesca nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto » (Atti del 2° Congresso Nazionale di Studi Danteschi:
« Dante e l'Italia Meridionale » - Ed. Leo Olschki - Firenze 1966). Lezioni che confermano le indubbie qualità critiche e filologiche di Bruno
Lucrezi che noi consideriamo uno dei più preparati uomini della cultura del nostro tempo.
LUIGI PUMPO
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