Pubblicazioni Lanfranco ORSINI, L'Eclisse, Vallecchi 1962, pp. 203. Abbiamo impiegato molti mesi a leggere questo libro di Orsini, tra pause a volte lunghe, riprese, altre pause, altre riprese. Trattandosi di romanzo la constatazione potrebbe anche essere di quelle che non lusingano precisamente un autore, ma l'opera non poteva esser letta diversamente (almeno da noi); diremo di più: non crediamo che Orsini l'abbia scritta perchè fosse letta diversamente. Poche volte ci è capitato di avere tra le mani un libro più costruito di questo; in cui le parti, i richiami strutturali, le corrispondenze tra uomini e uomini, uomini e cose, terra e cielo siano stati calcolati con maggiore attenzione: e uomini, uomini lo stile, più limati i dettagli, anche dove sembrerebbero trascurabili. Ma nell'arte di trascurabile (e di trascurato) non c'è niente (non dovrebbe esserci); e Orsini, l'arte ce l'ha nel sangue. Guardate come l'opera s'imposti nella sua sostanza lirica e nel rigore della sua scrittura subito fin dal primo capitolo, fin dalla prima frase. E' un'introduzione altamente suggestiva che immette in uno stato d'animo di quelli appunto che per essere d'intensa emozione (cioè lirici) non consentono prolungate letture. Tra scrittori che descrivono le realtà interessa poco, Orsini appartiene indubbiamente alla seconda categoria; lo interessa quel che c'è oltre la realtà, dentro le persone e rentro le cose. Da stile ciò lo stile, il suo stile discusso, da taluno definito prezioso o quanto meno ricercato, e che ha fatto anche parlare di dannunzianesimo; mentre, a noi pare, risponde precisamente a quel sentimento e a quella visione della vita che sono caratteristici di questo autore, e nasce da essi e con essi. Lo abbiamo detto: a Orsini i « fatti interessano poco; è la loro formazione che lo interessa, la « prima radice » loro, l'eco che essi hanno « in interiore homine »: e insomma quel che la cronaca e la storia non dicono mai e soltanto la poesia può cogliere ed esprimere. Non si tratta di negare o di trascurare la realtà: si tratta di rivelare, pur tenedosi saldamente alle vicende della vita quotidiana, quella più intima e superiore realtà che è dell'anima, cioè, appunto, della poesia. L'azione de « L'eclisse » dura appena qualche ora, il tempo che il fenomeno cosmica si compia nel cielo: ma quante vicende interiori, quanta vita sulla terra, in così breve tempo! La tecnica a incastro ci presenta una folla di creature, di varia condizione sociale e d'ogni età, raccolte in un'isola. E tutte si muovono, si agitano ,discutono, riflettono, si travagliano; e pure ciascuna ci appare come immobile in un'atttesa interiore, sospesa ad ascoltare e ad ascoltarsi, a cogliere l'intimo maturare d'una crisi, il precipitare di un dramma, lo sbocciare d'un sentimento, il determinarsi d'un rapporto, d'una relazione segreta con gli stessi e con le cose e, più in fondo, con sè stessi. E' questa vita più autentica che Orsini coglie nei suoi personaggi; e, ripetiamo, la coglie nel suo stato dio aurorale, cioè nel momento della sua massima intensità umana e poetica: quando si fa, quando si rivela. Con una precisione di notazione, una bellezza di richiami, un senso delle proporzioni e del ritmo che fanno pensare a certe supreme armonie (e Orsini Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce è intenditore finissimo di musica sinfonica) dove l'assoluta perizia tecnica sí risolve per miracolo (l'eterno miracolo dell'arte) nell'assoluta semplicità e naturalezza della frase: di « quella » frase. Sono, in fondo, i due aspetti fondamentali di questa personalità di scrittore, fra le più dotate e interessanti della nostra ultima letteratura: da un lato un senso rigorosissimo dei valori della parola, delle strutture sintattiche, un calcolare scientifico, quasi freddamente geometrico, per qui cose e persone t'appaiono a volte come esaminate e classificate sotto la lente d'un infallibile microscopio; dall'altra un sentimento quasi della irrazionalità dell'uomo e della vita, un continuo inesausto stupore davanti alle cose (abbiamo controllato per nostro curiosità: la parola « stupore » è quella che più di frequente ricorre nel libro: e ce n'è parsa la chiave). E' il dilemma tra vivere e capire la vita, incentrato nelle figure di Dovale e di Piatti, l'artista e il filosofo; che sono poi le due facce di Orsini; e che conchiudono non ad una visione ma ad un sentimento della vita che è triste, perché è di solitudine e d'incomunità (« Siamo in un'isola...»). Noi non sappiamo con un siffatto temperamento Orsini potrà mai scrivere un vero romanzo (questo non lo definiremmo tale: è qualcosa di meno ed è qualcosa di più); personalmente riteniamo Orsini troppo poeta per riuscirci mai compiutamente. Ma aggiungiamo subito che l'esperimento (e l'esperienza) andavano fatti da lui, anche e principalmente ai fini della sua lirica. E aggiungiamo che quest'opera (come le precedenti « Confessioni allo specchio ») a noi sembra da segnalare non soltanto per l'armoniosa bellezza, per l'intensità emotiva che l'anima (vi sono pagine di veramente alta e indimenticabile suggestione) ma anche perché essa, con la sua limpida, addirittura aristocratica scrittura, costituisce un grande atto di coraggio )e di fede nell'arte) in questa epoca di frettolose scritture e di ancora più frettolose letture; un atto polemico contro l'imperante uso ed abuso delle cose, di certe cose nella vita e nell'arte, contro uno pseudorealismo che quanto più va perdendo terreno (fatto che a noi pare innegabile, malgrado tutto), tanto più sta diventando volgare e banale e monotono. La polemica, ovviamente, non è calcolata. Noi siamo convinti, e lo abbiamo dichiarato da sempre, che fra i requisiti ineliminabili dell'arte ci sia anche la pulizia. L'arte di Orsini è pulita perché è autentica. Perciò noi crediamo in lui. BRUNO LUCREZI 1959-1960 del Liceo-Ginnasio Statale "Archita „ di Taranto, Mas• safra 1960. ANNUARIO Edito nell'ottantesimo anno dalla data di fondazione del Liceo-Ginnasio statale « Archita » di. Taranto quale terzo volume della serie dei suoi « Annuari », questo per l'anno scolastico 1959-1960, presenta in varia rassegna notevoli saggi d'argomento storico e letterario dovuti alla dottrina del Preside, prof. G. B. Massafra, e del corp o insegnante dell'Istituto. Tra gli altri saggi, segnaliamo gli articoli d'interesse locale di: G. B. Massafra, I privilegi di Ferdinando I d'Aragona alla città di Taranto, pp. 7-26 (Il M., dopo aver brevemente tracciato la vicenda del Principato di Taranto nel sec. XV, ricorda come Funiversitas tarentina, conosciuta la morte in Altamura di Giov. Antonio Del Balzo-Orsini (13 novembre 1463), fece atto di spontanea soggezione a Ferdinando, inviando — prima tra le municipalità di Terra d'Otranto — a Terlizzi, dove l'Aragonese attendeva, una commissione di propri rappresentanti che 230 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce ebbe concessi e confermati dal sovrano le grazie e i capitoli che la città aveva richiesto. In appendice, sono editi, tratti dal liber privilegiorum della città jonica, i primi trentadue dei centocinque capitoli che, confermati da Ferdinando il 22 novembre 1463, furono estesi con diploma del 4 dicembre dello stesso anno. Il medesimo privilegio, tratto dal ms. XIV. B. 26 della Biblioteca nazionale di Napoli, era stato integralmente pubblicato da Michela Pastore, in « Informazioni archivistiche e bibliografiche sul Salento », I, 1957, n. 4, pp. 8-15. Di notevole interesse è pure il saggio di R. Caprara, Appunti sul lessico dei cavamonti di Massafra, pp. 107-112 (attento contributo alla conoscenza dei dialetti jonici. Il C. ha raccolto, attingendole direttamente dalla bocca dei lavoratori del tufo, sessantuno voci tecniche, di briosa e pittoresca vivacità). 1961-1962 del Liceo-Ginnasio Statale " Archita „ di Taranto, Massafra 1961. ANNUARIO Nel quarto volume dell'« Annuario » del Liceo tarentino, singolarmente ricco di saggi « salentini », segnaliamo, facendo torto ai pur validi studi d'interesse non locale, gli articoli di: G. B. Massafra, Questioni di precedenza nel Consiglio di Governo della città di Taranto al tempo della dominazione spagnola, pp. 11-18 (Il M. ricostruisce, alla luce dei documenti conservati nella Biblioteca del Liceo « Archita », alcune particolari vicende della vita municipale tarentina sul finire del sec. XVI); di P. De Stefano, Tommaso Niccolò D'Aquino e le « Delizie tarentine », pp. 73-96 (pregevole saggio in cui l'A., del quale sono ben noti gli studi sul D' Aquino, illustra la vicenda biobibliografica dell' insigne Audace, dedicando alle Deliciae lucide pagine di critica poetica, nonchè la traduzione in prosa italiana, compiuta il secolo scorso da Salvatore Grande, dei passi più significativi del poema del D'Aquino); di A. Sarracco, Orazio a Taranto, pp. 97-102 (Il S., con fine garbo critico, traduce e commenta la sesta del secondo libro delle Odi del grande Venosino celebrante i regnata... Laconi rura Phalanto) e di R. Caprara, Su di un'icrizione messapica a Massafra, pp. 123-127, con 4 ill.ni (dotta memoria intorno all'interpretazione di un'epigrafe messapica rinvenuta dallo stesso C. in una grotticella in agro di Massafra). MICHELE PAONE Franco STRAllULLO, La Corporazione dei pittori napoletani, Napoli, G. D'Agostino, 1962. La storia del lavoro in Italia dal Medioevo all'età moderna è quella stessa delle associazioni professionali, il cui regime, divenuto ben presto « il mezzo necessario di ogni movimento, anzi di tutta la vita » (1), fu dovuto alle naturali necessità di perseguire nell'identità degli interessi delle categorie fini di azione unitaria, di salda organizzazione sociale e di mutuo soccorso. Sí ebbe così nelle città del Nord e del nostro Mezzogiorno, la meravigliosa fioritura delle corporazioni di arti e mestieri, i cui statuti approvati dall'autorità civile,incontrarono nel Sud, al tempo del Viceregno spagnolo, il favore dei governanti che a quelle istituzioni furono larghi di autonomie e di privilegi. (1) G. M. MONTI, La Beneficenza Molfetta 1935, p. 91. dagli albori del Cristianesimo al secolo XIX, in Pagine varie dí storia, 231 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Alle finalità economiche, morali e sociali perseguite dalle Arti andarono di pari passo aggiungendosi ragioni di previdenza e di assistenza ai consoci bisognosi, maritaggi alle figlie povere, costituzioni di monti e di conservatori, assicurazione di cerimonie' funebri e di sepoltura e celebrazione di riti in suffragio che, se contribuirono al progressivo sviluppo della carità in secoli in cui era ignorata la beneficenza legale, diedero notevole incremento all'esercizio delle virtù cristiane, realizzando altresì opere di splendido zelo e di magnifico culto esterno. Alle particolari vicende della corporazione dei pittori napoletani che fu tra le più qualificate delle Arti della città di S. Gennaro, ha dedicato un contributo di rilevante interesse per l'indagine penetrante, la cospicua, inedita documentazione ed il valore storico delle risultanze cui l'opera perviene, mons. Franco Strazzullo che ormai da anni alterna in geniale comunanza d'interessi alla dotta illustrazione delle chiese napoletane — sono notevolissime opere sue i Saggi storici sul Duomo di Napoli e la chiesa dei SS. Apostoli — lo studio delle corporazioni degli artisti cittadini. Del sodalizio che, sotto il titolo e la protezione della Vergine e di S. Luca, i pittori strinsero nel sec. XVI con le arti gemelle dei cartari di carte da gioco, rotellari e indoratori, conosciamo, grazie allo statuto del 1562 rinvenuto dallo S., il reggimento interno affidato a quattro consoli che duravano in carica un anno, 1' entità delle rendite annuali, dei settimanali versamenti sociali e delle percentuali sugli apprezzi, le opere assistenziali, fra cui era prevalente lo annuale rnaritaggio di « una figliuola dell'arte, povera et honesta », e la sede sociale che nell'oratorio di S. Luca, eretto nella chiesa eremitana di S. Agostino alla Zecca, trovò ospitale e splendido ricetto. Ma l'armonia fra le Arti non durò a lungo. Già nel corso del Seicento gli inevitabili contrasti interni avevano determinato i rotellari a staccarsi dalla corporazione e a preferire autonomo reggimento e l'esempio fu in quello stesso secolo seguito da indoratori e cartari che, separate fortune e destini dall'Arte dei pittori, elessero nel nuovo tempio agostiniano propria sede per gli esercizi di culto e le assemblee sociali. Quantunque fossero rimasti isolati, i pittori non dismisero il pensiero di costituire una nuova, grande corporazione. Ne sollecitavano anzi, la realizzazione il gusto dei maggiori Ordini religosi nati dalla Controriforma, la pompa fastosa delle pubbliche cerimonie, l'amore per le smaglianti « quadrerie » delle case patrizie che, imponendo alla fervida fantasia e all'educazione degli artisti ardite « inventioni » e « maraviglia » di complessa elaborazione, esigevano concordia dí vedute, unità d'intenti e disciplina nel lavoro. Bisognava, poi, tenere in conto che le botteghe dei maestri più celebrati, da Andrea Vaccaro a Luca Giordano a Giovanbattista Ruoppolo, si andavano trasformndo in cenacoli di fervida, operosa attività e che, infine nell'aria stessa di quel secolo che conobbe i fasti del Battistello, del Corenzio e del Ribera s'avvertiva che sarebbe stata appunto quella l'età che avrebbe diffuso per l'Europa e consegnato alla posterità un'arte e una maniera di particolarissimo sentire. L'Arte, dunque, risorse a nuova vita, trovando congeniale sede in quella chiesa del Gesù dallo sfarzo fragoroso, sonora di echi abbaglianti nella gloria di gioie, di ori e di marmi preziosi spesa a maggior lode di Dio. Alla liberale ospitalità gesuitica, l'Arte che, intanto, aveva assunto titolo di confraternita di S. Anna e S. Luca dei Pittori non fu avara di un meno splendido grazie. Nell'oratorio, che ne accoglieva le preghiere e le deliberazioni, i pittori, in nobile gara tra di loro, si contesero l'onore e il vanto di lasciare i segni del loro zelo, della pietà e dell'arte. Ben presto oratorio e sagrestia furono tramutati in sontuo232 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce sissime sale dove splendevano vasti e luminosi dipinti del Vaccaro, del De Matteis, del Castellano, del Saracino e di altri minori ma non meno valenti maestri. Tra le mura dell'oratorio allietate dalle pitture più volte rinnovantesi, dove a ogni dì di congregazione si levava l'inno ineffabile del Veni Creator Spiritus, la vita sociale dell'Arte ebbe florido rigoglio; vi fu costituita un'Accademia, sí deliberò di accogliere architetti e scultori, si cercò e si ebbe nel pittore Sammarco lo storiografo che del sodalizio segnasse i fasti cd il motto orgoglioso Aeternitati pingo e si volle, per ultimo, che fin nel cerimoniale fastoso dei cortei funebri continuasse la splendida magnificenza che importava lo status di soci. Ma la decadenza batteva alla porte! Espulsi il 1767 dal Regno i Gesuiti, passati sotto sequestro i beni della Compagnia e la chiesa ai Francescani, l'Arte dovè sgombrare dal Gesù e andar peregrinando una sede, la trovò infine nell'angusta, disadorna cappelluccia di S. Caterina sita in un umile vico presso il Sedile di Porto e vi si trasferì portando, come un gentiluomo in rovina i lari della sua nobiltà, la tela magnifica della Vergine, S. Anna e S. Luca dipinta dal Vaccaro. Fu necessità allora pel sodalizio imporsi stenti e sacrifici; si dovè versare elevato canone di pigione e provvedere fra le strettezze a molti, pressanti bisogni; i tempi stessi erano rapidamente mutati e si facevan forieri di tempeste, onde fu rafforzata l'autorità dei maestri e mutati gli statuti. Dopo la bufera che sconvolse il Regno, l'Ottocento trovò l'Arte ancora in piedi ma retta dalle vecchie regole degli statuti codini e stanca e rada di soci; si cercò allora d'infondere vita nuova col darle nuove regole e sì pensò pure di agevolare l'iscrizione a nuovi soci, il cercare sede più acconcia, di fondersi, in fine, con la congrega di spirito di S. Luca del Regio Istituto di Belle Arti. Gli ultimi anni del Regno borbonico segnarono il rifiorire della corporazione che, mutato titolo per la terza volta, si chiamò confraternita di S. Anna e Luca dei Professori di Belle Arti; nella sede sociale, trasferita nella chiesa del Buon Consiglio a Montecalvario, furono approvate provvidenze in favore degli artisti inabili al lavoro e proposto l'allestimento di mostre collettive in favore di giovani artisti e fu ricercata l'iscrizione all'Arte di personaggi di Casa reale, segno quest'ultimo di opportunità e di fiacchezza insieme. Col trascorrere dei tempi nuovi, se andarono vieppiù riducendosi le finalità assistenziali della congregazione, non ne restò spento del tutto lo spirito animatore o perduto l'antico prestigio, chè, anzi, esso fu aumentato con l'effettiva immissione in seno al sodalizio di architetti, scultori e pittori tra i più famosi dei quali ultimi furono Domenico Morelli e il galatino Gioacchino Torna. Parrebbero i presenti della vita della confraternita tempi di prosa rispetto ai trascorsi che furono allietati dalla musica e dalla poesia. Ma è iniziale impressione codesta; in realtà il sodalizio che, dalla chiesa di S. Giovanni delle Monache, oggi continua la sua vita secolare offrendo ai consoci il calore delle opere suscitatrici di perfezione cristiana, l'assicurazione del sepolcro sociale e il conforto di suffragi non indulge a malinconie o a nostalgie orgogliose. Nella coscienza del civilissimo suo retaggio, la confraternita rinnova il suo presente nei segni di un'umanità particolarmente dotata, di un'intensa spiritualità cristiana e di una verace carità che sono i sensi più nobilmente rievocati nel libro del valoroso studioso napoletano. MICHELE PAONE 233 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce F. CUI CCHETTI, La seconda vita di Pinocchio - Edizione EBE. Se questo libro non avesse la pretesa di richiamare, per attualizzarlo, alla ribalta della letteratura per ragazzi il personaggio del burattino che rese famoso e caro, quel che più conta, a piccini e grandi il buon Collodi rientrerebbe nella normale — e non sappiamo quanto, in molti casi, apprezzata dai pedagogisti — serie dei libri i quali, a lettura ultimata, non lasciano alcunchè di buono nè di cattivo nelle giovani anime che vi si sono accostate. Semplice il fatto, anche se mirabolante nelle apparenze: allontanati dal caro paesello, a causa del prodigio della trasformazione di Pinocchio da burattino in bambino, il vecchio Geppetto e Pinocchio si trovano a piantar le tende nella Serenissima; da qui, morto Geppetto (quando si dice: si sa dove si nasce e non si sa dove si muore!), Pinocchio s'imbarca clandestinamente su di un bastimento che lo porterà nelle favolose Indie. Qui diverrà prima il garzone e poi, dopo avere sventato una subdola trama, il figlioccio prediletto di un ricco banchiere di nome Durga Dass; questi lo porterà in una sua residenza estiva, ma durante il viaggio al cosmopolita Pinocchio occorreranno alcune avventure che lo metteranno in contatto diretto prima con feroci belve e poi con altrettanto feroci predoni, dei quali cadrà prigioniero. In tal pericolosa condizione Pinocchio avrà agio di sventare una nuova trama, tesa dai pedroni a danno, immaginate di chi... del banchiere benefattore il quale non troverà ricompensa migliore per Pinocchio del fargli... sposare la figlia, e con la mirifica visione della giovane indiana innamora, ta di Pinocchio il libro si chiude. Peccato, ci è venuto fatto di esclamare quando abbiamo terminato di leggere l'inutile libro: il caro Pinocchio, l'amico affettuoso dei nostri giovani anni, il burattino intorno al quale tutta una critica si è esercitata — ed a questo proposito vorremo consigliare al Cucchetti la lettura di un discusso, ma interessante libro di Volpicelli intitolato La verità su Pinocchio — il personaggio al quale uno dei più dotati scultori dei nostri tempi, Emilio Greco, ha innalzato un monumento, discusso anch'esso, ma non per questo meno bello, il caro Pinocchio, dicevamo, banalizzato al punto da diventare un Sandokan qualsiasi, di quelli che combattono con le fiere e sposano le principesse indiane. E quel che meno ci viene da perdonare al Cucchetti è, senza dubbio, la pretesa di volerci convincere d'aver avuto, come in trance, mandato dallo stesso Collodi di stendere questa seconda vita della sua creatura, dopo aver mosso allo stesso Collodi un rimprovero del genere: « ... un grande errore fece il caro poeta toscano nel concludere il suo bel racconto in quel modo... Egli non avrebbe dovuto, no, non avrebbe dovuto proprio finirlo così! Egli ci ha lasciato con un spasimante (!) sfrenato (!) desiderio di sapere»: il che non è affatto vero! Nessuno dei ragazzi, penso che hanno letto Pinocchio si è mai chiesto... un dopo, perché il racconto delle avventure di Pinocchio non è un qualsiasi racconto, ma un fatto artistico e come tale resta compiuto, perché ad 'informare 1' autore non è stato lo schema sul quale si costruiscono tutti, o la maggior parte dei romanzi per ragazzi, ma una autentica ispirazione poetica, la quale ha sorretto l'autore quel tanto che era necessario al compimento dell'opera. Pensiamo che se lo stesso Collodi avesse voluto scrivere una seconda vita del suo Pinocchio non sarebbe stato così felice come per la prima. Ci sarà, e c'è certamente, alla base del libro del Cucchetti una buona intenzione, ma se proprio il Cucchetti voleva tradurla in pratica non doveva scomodare la buon'anima di Collodi e richiamare per una vita fittizia il caro burattino. Pinocchio, in sostanza, non c'è sembrato mai tanto burattino come nel libro del Cucchetti! ENZO PANAREO 234 Provincia di Lecce - Media teca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce A. CAMPANELLI, C'è un'ora del giorno - Tip. " La Moderna „ - Calimera 1962. Il giovane autore di questa raccolta di versi non si rende conto che non è sufficiente portar di peso sulla pagina una realtà soggettiva, sentita e sofferta quanto si voglia, per far della poesia che, per essere tale, deve rappresentare il risultato della realtà soggettiva trasfigurata in valore assoluto; il che accade, crediamo, in presenza di una adeguata cultura che rende consapevoli dei limiti tra realtà soggettiva e fatto poetico propriamente detto. Di conseguenza, non è portando di peso sulla pagina dei bei sentimenti, come accade per il Campanelli, che si riesce alla poesia, pena la retoricizzazione dei sentimenti stessi, tanto più quando i sentimenti esprimono un mondo di piccole e minute cose quotidiane: e ben lo hanno saputo poeti di ben altra statura ai quali un vigile spirito ha consigliato di lasciar la poesia in versi per altra forma di espressione artistica. Comunque, una evidente ricerca di essenzialità ci dice che il Campanelli ha compiuto alcune letture che non sono restate senza conseguenze nel suo spirito, anche se di tali letture le composizioni qui raccolte portano segni molto esterni. Ecco, per esempio, la poesia che dà il titolo a tutta la raccolta: C'è un'ora del giorno in cui vorrei morire: forse perchè si allontana la luce e arrivano le tenebre, forse perchè la tristezza mi conquista il cuore, forse perchè i pensieri impazziscono. Non lo so: ma vorrei morire. e quest'altra, che s'intitola « Autunno »: Sulla campagna brulla foglie secche al vento. Il malinconico cielo è tornato ad intristrci l'animo E' l'autunno. Lo sguardo si perde stanco lontano. che rende con suggestività una interiore atmosfera. E questa ci sembra la traccia, pertanto, sulla quale è bene che il Campanelli si muova e si approfondisca mettendo da parte quel tanto di denuncia sociale di cui qua e là, nei suoi versi, traspaiono i segni, irrisolti perché non restano sorretti, ci sembra, da una coscienza la quale dia loro la necessaria spinta critica a diventar poesia. In ogni caso, ci è gradito augurare alle presenti buone intenzioni del Campanelli uno sviluppo degno dei sentimenti che sono alla base della sua fatica. ENZO PANAREO 2:35 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce B. COLELLA, La scuola sussidiata - Edizioni Milella, Lecce 196' - pagg. 72. Scopo precipuo di questo opuscolo — secondo una esplicita dichiarazione dello stesso autore — è di « Rivalutare, nel senso più ampio dell'espressione, la scuola sussidiata, o sussidiaria che dir si voglia... » perchè — sempre secondo l'autore, direttore didattico nella nostra provincia, e pertanto con una lunga e precisa esprerienza della scuola primaria e dei suoi problemi — « Rivalutare tale tipo di scuola, che deve necessariamente esistere, laddove non sarà possibile istituire scuole rurali a carattere stabile, significa renderlo sempre più funzionale e rispondente alle reali esigenze della società di oggi ». Sulla scorta di un tale assunto il Colella, che appunto dall'esperienza, come avanti s'è detto, oltre che da una affettuosa consuetudine con i testi classici della didattica, trae le sue indicazioni, si propone, con un discorso piano, di rivalutare la personalità giuridica del maestro che al tipo di scuola da lui preso in esame presta la sua opera. E' nella scuola sussidiata, malagevole da raggiungere e, spesse volte, come capita nelle nostre contrade per esempio, non sufficientemente dotata degli idonei sussidi didattici, che il giovane maestro compie i primi passi che lo portano ad un fine altamente sociale, recuperare cioè dei fanciulli che senza il beneficio della scuola sussidiata non potrebbero frequentare la scuola elementare, ed è per ciò che al maestro della scuola sussidiata vanno meritatamente riconosciute le prerogative, tutte, di cui fruiscono gli insegnanti della carriera normale. Nei capitoli centrali dell'opuscolo il Colella dà alcuni suggerimenti di carattere didattico e metodologico che possono servire di orientamento al giovane insegnante per l'avvio ad un migliore approfondimento dei problemi pedagogici intimamente connessi all'esercizio della professione che, oggi particolarmente, data l'evoluzione e la grande importanza delle strutture sociali sulle quali poggia la dinamica di uno stato moderno, assume un ruolo quanto mai impegnativo e per cui necessita di una adeguata ed approfondita cultura professionale, oltre che generale. Ad apertura di discorso, nelle pagine introduttive precisamente, il Colella si esprime così: « Il presente lavoro vuole essere un semplice colloquio coi giovani maestri che potrà riuscire utile, penso, in virtù del comune spirito e del comune entusiasmo che legano in modo particolare coloro che operano nella scuola », ed è questo dell'entusiasmo il denominatore comune cui si possono ricondurre tutte le intelligenti osservazioni ed indicazioni del Colella, un entusiasmo tanto più generoso in quanto è posto al servizio di una delle più sollecitanti istituzioni dello stato, la scuola cioè, quella scuola elementare in cui il fanciullo comincia ad aver coscienza dei suoi diritti e dei suoi doveri. Chiude l'opuscolo una appendice che riporta la proposta di legge n. 402 con la quale s'invoca l'istituzione della scuola sussidiata e, utile traccia, la descrizione della prassi seguita nella maggior parte delle provincie della Repubblica Italiana per ottenere l'autorizzazione ad istituire un scuola sussidiata. ENZO PANAREO Maria CORTI, L'ora di tutti - Feltrinelli, pagg. 335 - L. 2000. L'opera di Maria Corti, è un romanzo corale e arioso, storico per sola ispirazione. L'unico limite da noi posto alla storicità del romanzo è determinato dalle licenze che la fantasia ha voluto prendersi, alcune come per il caso di « Idrusa 236 Provincia di Lecce - Media teca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce al punto di sovvertire la figura che pur nella storia c'è ma che nel romanzo opera come creazione di arte. Indrusa infatti, nella storia è simbolo di purezza e di nobile quanto comune femmineo esempio otrantino, mentre nell'« Ora di tutti » è l'incarnazione del vizio e dell'infedeltà così prepotente — diremo — che solo la morte storica più che eroica riesce a far dimenticare. In verità però, codeste licenze non vanno respinte né condannate così cóme si presentano alla scoperta critica e così come vorrebbe chi, morbosamente attaccato alle tradizioni dimentica che apunto per dare vita a codeste tradizioni, ogni mezzo è buono. Solo le tradizioni vive d'altronde servono ai popoli che ne vantano l'eredità, riducendosi, quando non siano vive, a semplici e sterili ricordi. Nel caso nostro riconosciamo che senza siffatti domini della creazione, non avremmo avuto il romanzo ma solo un'ennesima quanto inutile cronaca degli attacchi turchi alla città di Otranto nel 1480, nonché della liberazione della stessa città, ad opera delle milizie di don Alfonso d'Aragona. Col romanzo perciò Maria Corti non segue le semplici rievocazioni dei distratti interpreti della storia è del destino dei vari popoli, ella richiama invece la storia nella sua essenza di base. Orchestrate in perfetta armonia, una dopo l'altra e non in coro come da qualcuno è stato erroneamente interpretato l'attributo « corale » le voci di Colangelo, di Idrusa, di Manuel, di Zurlo, di Nachira e di altri stendono, ciascuna a suo modo, la propria trama nella vicenda che tutte le trame contiene e che è epica e pur sempre umana. Maria Corti, comunque, per noi, con questo suo romanzo si è collocata fra i migliori narratori del suo tempo, indicando ancora una volta quel filone di letteratura tradizionale alla cui insegna, così come sempre, nascono ancora i capolavori, quelli che riescono a farsi intendere e capire. Chi legge « L'ora di tutti » trae piacere intimo e sempre più ripulsa prova per quei fumi dei tormenti esistenzialisti che si sprigionano un pò dappertutto, tentando gli incauti agli illusori approdi di erotico sapore. Lo stile del « nostro » romanzo è senza dubbio fra i più limpidi e scorre senza imitare nessuno e senza seguire alcuna moda. Il linguaggio dei suoi attori è invece quello della nostra migliore tradizione, rinnovato nelle correnti sane e sempre fresche. Molte sono le pagine belle, da quelle che descrivono feroci assalti ed eroiche difese, a quelle che descrivono angosciose attese di morte, a quelle che tratteggiano torbidi passioni e ansie di ogni genere che si accompagnano ai più disparati senti menti: amore, dolore, terrore, pietà, martirio e libertà! Oh! santa semplicità che critica impaludata altera e offende! A parte le preziosità linguistiche, la fatica di Maria Corti, ben verrebbe a fare luce sulle cause che sono alla base della tragedia e su quelle non meno importanti che, potendo, non l'impedirono. Sarebbe codesto risultato sul piano della storia nazionale il prodigio atteso dagli italiani pensosi delle cose patrie vissute da quel triste 1480 fino ad oggi. Se l'opportunità politica ciò ancora non consentisse, non toglie che « L'ora di tutti » di Maria Corti costituisce sia pure attraverso una forma inusitata, il più drammatico ed il più moderno interrogativo storico, non più sommesso e di pochi, ma proposto da tutti e ad alta voce. MARIO MOSCARDINO 237 5 - LA ZAGAGLIA Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce L' INTERVISTA DEL NOSTRO DIRETTORE A MARIA CORTI mentre si annuncia la 2.a Edizione Feltrinelli del suo romanzo " L'ORA DI TUTTI „ 1) Perché ha scelto come argomento del suo romanzo l'episodio storico dell'assedio di Otranto da parte dei Turchi nel 1480? Sono convinta che un romanzo storico possa avere oggi un significato solo se i contenuti lontani nel tempo servono di mediazione ad esprimere valori e problemi attuali; orbene, la drammatica vicenda del popolo otrantino è assurta per me a simbolo, particolarmente valevole oggi, di una forza collettiva capace di costruire con piena dignità la sua storia. 2) Perchè si é allontanata dalla tradizione cara agli otrantini, in special modo nel caratterizzare il personaggio di Idrusa? Mi sono allontanata dalla tradizione là dove mi è parso che fosse la tradizione ad allontanarsii dalla vita; ho tentato cioé di demiticizzare i protagonisti della vicenda, proprio perchè renderli umani voleva dire offrire la misura della grandezza del loro gesto. Quanto a Idrusa, il mio personaggio è completamente di fantasia e ncn ha in comune che il nome, quel nome greco affascinante, con l'otrantina della tradizione. 3) Cosa ha voluto significare con il titolo L'ora di tutti? Lo dice un personaggio, don Felice Ajerbo: « ...a ciascun uomo nella vita capita almeno una volta un'ora in cui dare prova di sé; viene sempre per tutti. A noi l'hanno Portata i Turchi ». 4) A quale dei personaggi maggiormente tiene: Colangelo, Zurlo, don Giovanni de Forza, don Felice Ajerbo, ecc.? Il personaggio a cui maggiormente tengo è il popolo otrantino; i cinque protagonisti del mio romanzo, che parlano in prima persona, sono come gli a solo di un coro costituito dall'intera massa popolana. Comunque, se dovessi esprimere delle preferenze, direi che Colangelo e Nachira mi interessano in modo particolare perchè proprio attraverso i loro due racconti ho cercato di conferire al libro un'atmosfera epico-lirica. 5) Riguardo all'elemento religioso, quali furono i suoi intendimenti nel delineare le figure del vescovo Pendinelli, di padre Epifani e del prete rinnegato, Giovanni di Calabria? Riconfermare che gli elementi religiosi possono essere una realtà interiore e una pura realtà formale; e che naturalmente solo nel primo caso incidono sulla vita degli uomini. 6) Quali sono le sue opinioni sulla lingua della prosa narrativa? Mi limito a rispondere quale soluzione ho scelto nel mio libro. Dovendo far parlare in prima persona dei popolani, e per di più del Quattrocento, ho optato per una traduzione ascensiva del dialetto in lingua, limitandomi qua e là a qualche espressione arcaica, che avesse un potere evocativo. Per i personaggi di condizione elevata anche il registro linguistico rispecchia naturalmente il diverso tono psicologico. 7) Può farci qualche cenno sulle prospettive della sua attività narrativa in futuro? Ho in cantiere un romanzo di argomento contemporaneo, che avrà per sfondo il mondo della scuola italiana, media e universitaria, mondo di professori e di giovani; di più per ora non mi sento di dire. 238 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce