Capraia in cucina,tanto tempo fa….. “Ogni casa possedeva il forno a legna per cuocere il pane” che era, in passato, l’alimento fondamentale. “Era costume farlo una volta alla settimana, il sabato”,insieme a molti dolci per la gioia dei bambini. Il fuoco” veniva alimentato per lo più con legna di scopa ( erica)”. “La pagnotta, tondeggiante, del peso di un Kg, era la più comune perché con essa si poteva disporre di un pane , per quanto raffermo, ancora abbastanza soffice per diversi giorni”. “ D’inverno facevano le nipitòse, pani rotondi impastati con le sàmmule (aglio tipico)…. Il dolce locale più famoso era la fucaccia, a base di farina di grano ,zucchero, uova burro e limone.Si dice che pochi la sapessero fare, secondo tutti i crismi, perché la sua riuscita richiedeva molta abilità e precisi accorgimenti che, pare, fossero tenuti gelosamente segreti. Anzitutto doveva lievitare moltissimo( peraltro senza l’utilizzazione di lievito) e risultare ben cotta anche all’interno”. Una varietà di focaccia era “u feculìnu”, in cui l’unico ingrediente diverso era la fecola di patata in sostituzione della farina di grano.Molto comuni erano le torte di cipolle e di sammule con cui si facevano anche le frittelle”. La cucina capraiese, benché sostanzialmente abbastanza varia, era piuttosto carente di carne: “una volta alla settimana veniva macellata una mucca, ma non erano molti quelli he potevano permettersi di comprarne regolarmente. Si mangiava invece pollame, pesce, legumi e molta verdura”. “Nei giorni festivi, o almeno nelle importanti festività, usava fare i ravioli o strozzapreti e le paste asciutte, tra le quali era particolarmente pregiata la pasta al favullu ( la margherita)”. I pesci alla portata di tutti erano regolarmente “li zari”e” li gattucci”. Con le acciughe si faceva la sburìta (la bagnetta genovese) e con diverse varietà di pesce di scoglio l’azzimìnu ( la zuppa di pesce). In ogni casa comunque non mancava mai l’agghiata (pesci marinati sotto aglio e aceto). Ma il grande scrigno a cui si attingeva sempre anche in Capraia, era quello vegetale, cioè le erbe di campo e di orto;coltivate e selvatiche, esse davano salute e cibo a poco prezzo e aiutavano anche a sopravvivere nei tragici giorni di carestia o di guerra. Le erbe si consumavano in tutti i modi: crude o lessate, in minestre, ecc…” Fra le erbe selvatiche erano abitualmente utilizzate le lattaiòle( sedano selvatico),li gattarelli (specie di cicoria),la bietolina di campo, le buràje (la borragine),l’ ortica e il finocchio selvatico. Un’altra risorsa importamte erano le uova e il pollame, per quanto non abbondassero. “Anche la frutta cresceva in abbondanza, negli orti e nei campi e ce n’era per tutti. Oggetto di cure amorose erano, quindi, in ogni famiglia, il pollaio, l’orto e le pianticelle di frutta, generalmente ciliegie, susine e fichi”. Il cibo era certo la preoccupazione fondamentale e si era consapevoli che una buona e adeguata alimentazione era la condizione indispensabile per una buona salute, come infatti si diceva: Quando la bocca manghie e u culu rende, ci va a lu stuppìnu a le medicine e a quale le vende. U manghià bònu e u còre cuntèntu fani la pella d’oru e d’arghièntu.. “Non ti mette mai in camminu si la bocca ‘un sa di vinu. Naturalmente c’era anche chi beveve come un lòtru e manghiève come un ghiutru (ghiotto). Tuttavia un buon bicchiere di vino non può far male!