L’ATTACCAMENTO, LA DIPENDENZA, L’AUTONOMIA. Dott.ssa Elisa Papa – albo n° 5343 del 3/3/2008 Associazione MeC Educational 18 GENNAIO 2012 L’attaccamento – John Bowlby Il termine attaccamento indica una relazione stabile che si instaura tra il bambino e la persona adulta che si prende cura di lui (caregiver) dalla nascita e che serve a garantire il benessere, la protezione dai pericoli provenienti dall’ambiente esterno, favorisce la sopravvivenza grazie alla vicinanza della figura adulta (in genere, ma non sempre, la madre biologica), e sottolinea un aspetto della relazione, che pare non essere legato all’amore fra genitori e figli. Il primo a proporlo come concetto per spiegare il comportamento dei bambini, fu John Bowlby, ricercatore britannico. Secondo l'autore, il bambino, appena nato, è tendenzialmente portato a sviluppare un forte legame di attaccamento con la madre o con chi si prende cura di lui. Dal punto di vista teorico, tale assunto stabilisce che il bambino costruisce una relazione con i suoi caregivers non spinto dalla fame o da altri bisogni fisiologici legati agli istinti, ma dalla necessità di “sentirsi al sicuro” (base sicura). Bowlby sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”. Il modo in cui entriamo in contatto con i nostri figli fin dal giorno della loro nascita assume un’enorme importanza. All’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, è un bisogno fondamentale essere nutriti d’amore, essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è. STRANGE SITUATION • Mary Ainsworth, una collaboratrice di Bowlby, elaborò una situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra madre e figlio. La situazione, denominata "Strange Situation", era suddivisa in otto episodi, ciascuno della durata di tre minuti, dove il bambino veniva sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di "stress relazionale". • Nella strange situation i principali stili di comportamento attivati sono: il comportamento esploratorio, il comportamento prudente o timoroso, il comportamento di attaccamento, il comportamento socievole e il comportamento arrabbiato/resistente. • L'esperimento, che si dipana in otto fasi, ha queste caratteristiche: • 1°episodio. In una stanza apposita vengono fatti entrare, e successivamente lasciati soli, la madre con il figlio. • 2º episodio. Nella stanza sono presenti dei giocattoli in un angolo, il bambino ha così la possibilità di esplorare l'ambiente ed, eventualmente, giocare con lei. • 3º episodio. Entra un estraneo che siede prima in silenzio, poi parla con la madre e successivamente coinvolge il piccolo in qualche gioco. • 4º episodio. La madre esce lasciando il bambino con l'estraneo. • 5°episodio. Successivamente rientra la madre nella stanza ed esce lo sconosciuto. • 6º episodio. In questo episodio la madre lascia di nuovo il bambino, è da notare che questa volta lo lascia solo. • 7º episodio. Entra l'estraneo e, se necessario, cerca di consolare il bambino. • 8º episodio. La madre rientra nella stanza. Le tipologie dell'attaccamento La sequenza osservativa di tutte le fasi della strange situation, permette di definire 4 tipologie di attaccamento che legano la madre (o la figura principale di accudimento) e il bambino: • Stile "Sicuro": il bambino esplora l'ambiente e gioca sotto lo sguardo vigile della madre con cui interagisce. Quando la madre esce e rimane con lo sconosciuto il bambino è visibilmente turbato. Al ritorno della madre si tranquillizza e si lascia consolare. • Stile "Insicuro Evitante": il bambino esplora l'ambiente ignorando la madre, è indifferente alla sua uscita e non si lascia avvicinare al suo ritorno. • Stile "Insicuro Ambivalente": il bambino ha comportamenti contraddittori nei confronti della madre, a tratti la ignora, a tratti cerca il contatto. Quando la madre se ne va e poi ritorna risulta inconsolabile. • Stile "Disorganizzato": il bambino mette in atto dei comportamenti stereotipici, ed è sorpreso/stupefatto quando la madre si allontana. Questi 4 stili li ritroviamo durante la crescita nel rapporto con il genitore, lo stile ottimale sarebbe quello definito sicuro. Questo essere una base sicura permette la promozione nel bambino di un senso di fiducia in se stesso, favorendo progressivamente la sua autonomia. • I figli sono quindi dipendenti dalla figura d’attaccamento per bisogni fisiologici prima, per imparare ad esplorare e comprendere il mondo dopo per poi staccarsi e divenire autonomi. • La dipendenza affettiva non deve mai essere totale, non è fusione. Compito del caregiver è quello di fornire strumenti che consentano di muoversi nel mondo in autonomia affettiva, conoscitiva, pratica, relazionale. EDUCARE ALL’EMOTIVITA’ • Molti studi dimostrano come una relazione educativa precoce e costante, una buona sintonia emotiva, tempo significativo, autorevolezza e contenimento, siano fattori di prevenzione di disagi dei nostri figli. L’educazione emotiva è un fattore di protezione, partendo proprio dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby. • Riconoscere, individuare e gestire le varie emozioni è condizione di profonda umanità, foriera di buon adattamento, benessere, autonomia e intraprendenza. • Autonomia, autostima, socialità, sicurezza e molto altro, si costruiscono attraverso un CONTINUO e particolare SCAMBIO COMUNICATIVO con i nostri figli, caratterizzato da atteggiamenti e modi di essere adeguati, continui, accoglienti e autorevoli. Un genitore “allenatore emotivo” dovrà: • Interessarsi alle emozioni dei figli con autenticità trasformandole in occasione di intimità, dialogo e condivisione • Trascorrere del tempo con i figli senza impazienza o minimizzando • Aiutarli a riconoscere le emozioni e a gestirle • Aiuteremo in questo modo i nostri figli a fidarsi dei propri sentimenti, a gestire le proprie emozioni anche se conflittuali, a socializzare con più facilità e a trasformare le pulsioni di scarica immediata in emozioni costruttive. • Tutto ciò è indispensabile per la ricerca del sé e del proprio equilibrio durante l’adolescenza, per evitare di cercare il sé in qualche altro posto. L’AUTONOMIA L’educazione all'autonomia assume un particolare risalto nell'età adolescenziale, tra gli 11 e i 16 anni, momento in cui i ragazzi iniziano a manifestare desiderio di distacco dai genitori e mal sopportano le loro richieste. • Diventare grandi e autonomi in passato significava opporsi e ribellarsi mentre oggi non è necessario fare né l’uno né l’altro per guadagnare libertà di azione e spazi da riempire. • I figli tendono a trovare autonomia “nella famiglia” anziché “dalla famiglia” avvertono i benefici di una iperprotezione. poiché • I grandi produttori di beni e servizi oggi remano contro il difficile lavoro del genitore, inducono nuovi bisogni rendendo merce i desideri, lanciano mode per aggregare e per dare l’illusione di appartenere al mondo. •I media offrono solo stampelle esterne, accessibili ed immediate, per risolvere le proprie ansie e mantenere un simulacro di identità. • Questa “educazione commerciale” è interessata solo ai consumi dei giovani che troppo spesso non riescono più a sostare in solitudine. • Non riescono a concedersi quel TEMPO LENTO e quello SPAZIO BUONO per riflettere su se stessi, sui significati, sulle sensazioni, senza farsi tritare dal fare e dall’agire. • Spesso manca un’efficace educazione affettiva che mette i ragazzi in condizione di non soffrire, non sentire e non scontrarsi con il proprio mondo. • Talvolta poi i genitori, schiacciati da esigenze lavorative, giustificando supportano così un il consumismo prolungato esonero educativo, sperando che i beni materiali e una inusitata libertà ripaghino i propri figli e compensino la loro assenza. Che fare dunque? L'educazione all'autonomia va intesa non solo come capacità di acquisire competenze, ma il riconoscersi e l'essere riconosciuti grandi, ritrovando così, in questo cambiamento dalla condizione di bambino a quella di adolescente, motivazione nell'assumere nuovi comportamenti e nel superare le inevitabili difficoltà nel processo di inserimento sociale. • Durante questa fase è importante che il genitore sappia guidare, dare consigli, stimolare e porsi come modello di comportamento per il figlio e che sappia anche disapprovare e reindirizzare. Ma, è anche molto importante che il genitore sappia lasciare degli spazi e dei momenti in cui il ragazzo possa prendere l’iniziativa, senza interferenze, e possa anche sbagliare e andare incontro a piccole frustrazioni. • Di recente anche la teoria dell’attaccamento si è interessata all’età adolescenziale e alle sue dinamiche; si ritiene infatti che ci sia la sostituzione del legame genitoriale, della“base sicura”, con relazioni affettive che l’adolescente stabilisce al di fuori della famiglia, gli amici soprattutto. • Durante il passaggio dall’infanzia all’adolescenza si assiste ad uno spostamento nell’equilibrio tra famiglia e relazioni amicali: in questo periodo gli amici diventano più importanti maggiore. e forniscono un supporto • Imitare l'amico del cuore è il modo con cui un figlio tenta di costruire un rapporto simbiotico fuori dalla famiglia. Questa relazione stretta, che lo rassicura e non lo fa sentire solo, diventa la tappa per emanciparsi dai genitori e avviare relazioni equilibrate con i coetanei. • Fare parte di un gruppo rafforza la propria autostima, ci si sente più forti perché non soli, il gruppo conferisce un’identità e senso di appartenenza ai suoi membri POCHE E SEMPLICI REGOLE L’educazione dei figli è un compito che deve essere condiviso da entrambi i genitori che devono essere tra di loro solidali. Nella “scelta” dello stile ci si basa sull’educazione ricevuta, sui valori che ci sono stati trasmessi dalla generazione precedente, sui consigli che provengono dall’ambiente che si frequenta e sulle proprie convinzioni. E’ fondamentale che padre e madre siano coerenti per non confondere il figlio. Una volta stabilita una regola con lui, bisogna farla rispettare, anche quando costa più fatica: troppi “strappi” alla regola, finiscono per confondere il bambino e vanificare gli sforzi dei genitori. Un sì e un no renderebbero il figlio insicuro e, ovviamente, poco disponibile ad obbedire. • I genitori non devono farsi ingannare dal senso di colpa, dai lacrimoni e dalla paura di essere stati troppo severi: cedere ai loro ricatti significa perdere il controllo della situazione. • Si deve cercare di gratificare il ragazzo quando si comporta bene o fa qualcosa di buono. I genitori devono riconoscere il suo impegno, “valorizzare” il suo atteggiamento: in questo modo lui cercherà di ripetere quel comportamento per avere i complimenti e le affettuosità di mamma e papà. • Risulta fondamentale osservare come i rimproveri sono efficaci solo se viene offerta una spiegazione/motivazione adeguata e coerente e il ragazzo è nelle condizioni di capire davvero dove ha sbagliato. Se viene ripreso per non avere rispettato una regola che non ha compreso, il rimprovero apparirà ai suoi occhi come qualcosa senza senso e quindi da non rispettare e se il genitore insisterà apparirà come un persecutore e dittatore. Semplici regole per essere bravi genitori • • • • COERENZA FRA GENITORI e NEL TEMPO Essere concreti Dare poche regole chiare Esprimere le regole al positivo (non picchiare tuo fratello – gioca insieme a tuo fratello) • Dare regole con fermezza e dolcezza • Osservare e valorizzare gli aspetti positivi, dare rinforzi • Riconoscere e parlare delle emozioni • Saper dire no • Compiti per far acquisire autonomia e facilitare il distacco dai genitori • Allargare le aree di autonomia: - orari di rientro più ampi - Consegnare le chiavi di casa - Mansioni domestiche (paghetta) - Maggiore spazio al confronto verbale EDUCARE Deriva da e-ducere, CONDURRE FUORI, NON mettere dentro, LIBERARE QUALCOSA DI NASCOSTO.