Licenziamento individuale
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SEZIONE X
LA CESSAZIONE INDIVIDUALE
DEL RAPPORTO DI LAVORO
Licenziamento individuale
Riferimenti normativi: artt. 2096, 2118 e 2119 cod. civ. • Legge 15 luglio
1966, n. 604 • art. 18, Legge 20 maggio 1970, n. 300 • Legge 11 maggio 1990,
n. 108 • art. 30, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carte di Nizza,
2000) • D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 • D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 • art. 6, co.
2 bis, D.Lgs. 31 dicembre 2007, n. 248 • artt. 30 e 32, Legge 4 novembre 2010,
n. 183 • art. 24, co. 4, D.Lgs. 6 dicembre 2011, n. 201 • art. 1, co. 42, lett. b), Legge
28 giugno 2012, n. 92.
I. INQUADRAMENTO FUNZIONALE: 1. Nozione di recesso dal contratto di lavoro in
generale. 2. Principi in materia di licenziamento. 3. Il campo di applicazione delle
tutele contro il licenziamento illegittimo. 4. Le conseguenze del licenziamento
illegittimo: le sanzioni. 5. Obbligo del preavviso. Natura ed efficacia del preavviso. 6. L’area di libera recedibilità. 7. Forma, comunicazione, motivazione ed
efficacia del licenziamento. 8. La procedura preventiva in caso di licenziamento
per g.m.o. 9. L’impugnazione del licenziamento. 10. Giusta causa e giustificato
motivo di licenziamento. 11. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
12. Il licenziamento discriminatorio. 13. Il licenziamento inefficace.
1. Nozione di recesso dal contratto di lavoro in generale
Il recesso è un negozio giuridico unilaterale recettizio con il quale una parte di
un contratto porta a conoscenza dell’altra parte la propria volontà di porre fine
a tale contratto. Secondo le regole che informano il sistema dei contratti, ciascuna parte può recedere da un contratto a tempo indeterminato a condizione
di osservare un determinato periodo di preavviso. Nel diritto del lavoro questa
regola si trova codificata nell’art. 2118 c.c. il quale espressamente concede a
ciascuna delle parti il diritto di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato senza fornire alcuna giustificazione (cd. recesso libero o ad nutum),
solo osservando la cautela del preavviso, e cioè anticipando alla parte che subisce il recesso la propria volontà di porre fine al contratto di lavoro. La inosservanza del preavviso non determina, secondo l’art. 2118 c.c., la illegittimità del
recesso, ma espone la parte inadempiente ad un obbligo di risarcimento, la cd.
indennità di mancato preavviso. Solo in un caso, sempre secondo la originaria
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disciplina del codice civile, la regola del preavviso poteva essere derogata, e
cioè in presenza di una giusta causa di recesso dal rapporto, così come definita dall’art. 2119 c.c. e cioè una causa che non consentendo la prosecuzione
“nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro” permette appunto la immediata
cessazione del medesimo. Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, invece,
la possibilità di recedere liberamente dal rapporto prima della scadenza del
termine non è consentita (esponendo la parte che recede ad un risarcimento del
danno) se non in caso di esistenza di una giusta causa. Nelle pagine che seguono
si esporranno brevemente i principi in materia di licenziamento, trattando poi
specificamente i singoli tipi di licenziamento. Quanto ai principi che più specificamente riguardano il licenziamento per giusta causa, per giustificato motivo
soggettivo ed il licenziamento disciplinare, si rinvia anche alla parte relativa al
potere disciplinare del datore di lavoro (cfr. supra Parte II, Sez. VI).
2. Principi in materia di licenziamento
1
Per quanto riguarda il licenziamento individuale, la legislazione speciale ha
introdotto una serie di principi comuni ad ogni tipo di licenziamento individuale, quale che ne sia la ragione:
a) Forma: il licenziamento va intimato in forma scritta, a pena di inefficacia dello stesso. La giurisprudenza riteneva che il licenziamento intimato
in assenza di forma scritta, il c.d. licenziamento orale, fosse affetto da nullità. A seguito della legge n. 92/2012 il legislatore ha recepito questo indirizzo
assoggettando il licenziamento privo di forma scritta alla disciplina della reintegrazione come se fosse affetto da nullità (art. 18, c. 1, Stat. lav.). La norma
che impone la forma scritta si applica anche ai dirigenti (art. 2, c. 4, legge
n. 604/1966).
b) Motivazione. La legittimità del licenziamento è ancorata alla sussistenza
di una giustificazione dello stesso che può consistere o in una giusta causa
(art. 2119 c.c.) ovvero in un giustificato motivo (art. 3, legge n. 604/1966), che
può essere soggettivo oppure oggettivo, a seconda che presupponga un inadempimento del lavoratore, ovvero ne prescinda, essendo invece determinato
da cause attinenti alla organizzazione del lavoro o all’ attività di lavoro o al
regolare funzionamento di essa.
c) Comunicazione dei motivi. La ragioni del licenziamento vanno comunicate al lavoratore con la lettera di licenziamento. In precedenza, e cioè prima
della legge n. 92/2012, in mancanza della indicazione dei motivi, il lavoratore
aveva la facoltà di chiedere che essi gli fossero comunicati entro 15 giorni dal
ricevimento della lettera di licenziamento, ed il datore di lavoro, a pena di inefficacia del licenziamento medesimo, era obbligato a rendere note al lavoratore
le ragioni alla base del licenziamento entro i successivi sette giorni. Ora la
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disciplina è diversa: la legge (art. 2, c. 2, legge n. 604/1966, come modificata
dalla legge n. 92/2012) impone che la comunicazione del licenziamento debba
contenere la “specificazione” dei motivi, e cioè che essi non possano più essere
comunicati successivamente, ma debbano essere indicati contestualmente nella
lettera che comunica il licenziamento e debbano essere specifici, cioè puntualmente e chiaramente indicati.
d) Onere della prova. L’onere della prova spetta sempre al datore di lavoro
(art. 5, legge n. 604/1966) il quale dovrà fornire la dimostrazione della esistenza
della giusta causa o di un giustificato motivo, nonché di avere soddisfatto tutte
le condizioni formali e procedurali imposte dalla legge o dalla contrattazione
collettiva. Solo nel caso del licenziamento discriminatorio la prova della esistenza di una discriminazione incombe sul lavoratore.
e) Impugnazione. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla sua comunicazione. L’art. 6, legge n. 604/1966
prevedeva che i sessanta giorni decorressero dalla ricezione della comunicazione del licenziamento, “ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma
scritta, dei motivi, ove non contestuale”. La legge n. 92/2012 ha però imposto
che il licenziamento debba contenere la “specificazione” dei motivi; dunque la
comunicazione dei motivi del licenziamento non può più seguire la comunicazione dello stesso, ma, come si esprime ora la legge, deve essere contestuale.
Insomma, allo stato esiste un unico termine che decorre dalla comunicazione
della lettera di licenziamento. La restante disciplina è rimasta invariata: il termine è di sessanta giorni; l’impugnazione deve essere proposta con qualsiasi
atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale; e l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro i successivi centottanta giorni, dal
deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del
lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di
conciliazione o arbitrato (art. 2, legge n. 604/1966).
3. Il campo di applicazione delle tutele contro il licenziamento illegittimo
Come è noto, la legge n. 92/2012 ha modificato la disciplina dell’art. 18 Stat.
lav.; non ha però inciso sul campo di applicazione delle tutele che è rimasto invariato: le conseguenze del licenziamento riconosciuto illegittimo dal
Giudice continuano ad essere diversificate in relazione alla consistenza occupazionale del datore di lavoro:
– Una prima area comprende i datori di lavoro (anche non imprenditori) che
occupano fino a 15 dipendenti: ad essi si applica la cd. tutela obbligatoria.
– Ove il datore di lavoro occupi più di 15 dipendenti, ma non oltre sessanta, troverà applicazione la cd. tutela obbligatoria, eccezion fatta per le unità
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produttive che occupino oltre 15 dipendenti. In tal caso troverà applicazione la
disciplina contenuta nell’art. 18, Stat. lav.
– Ove infine il datore di lavoro occupi più di sessanta dipendenti, sarà
soggetto in ogni caso alla disciplina contenuta nell’art. 18 Stat. lav.
– In ogni caso, in tutte le ipotesi di licenziamento discriminatorio e di
licenziamento orale, trova applicazione la tutela reintegratoria indipendentemente dalla consistenza occupazionale del datore di lavoro e dalla motivazione
addotta. Tali sono considerati i casi di licenziamento per ragioni espressamente
considerate dalla legge come discriminatorie (art. 15, legge n. 300/1970; art. 3,
legge n. 108/1990; d.lgs. n. 215 e n. 216 del 2003), ovvero il caso del licenziamento a causa di matrimonio, per maternità, ecc. (art. 18, c. 1, Stat. lav.).
– In alcuni casi residuali, espressamente previsti dalla legge, l’art. 18 non
trova applicazione, e cioè: nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori
che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale,
di istruzione ovvero di religione o di culto; dei lavoratori aventi i requisiti pensionistici (art. 4, c. 1, legge n. 108/1990).
– Nei confronti dei lavoratori domestici, dei dirigenti e dei lavoratori in
prova trova applicazione ancora l’art. 2118 c.c. e cioè il cd. recesso libero
(su entrambe queste ultime due ipotesi si veda infra il § 6).
4. Le conseguenze del licenziamento illegittimo: le sanzioni
1
La legge n. 92/ 2012 ha inciso solo sulla disciplina dell’art. 18. Negli altri
casi dunque, e precisamente nell’area coperta dalla legge n. 604/1966, le
conseguenze del licenziamento rimangono le stesse: il datore di lavoro
(cd. stabilità obbligatoria) avrà la scelta tra la riassunzione del lavoratore
(e cioè la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, con eventuale modifica
delle mansioni) e la corresponsione di una indennità cha varia da un minimo
di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità, elevabili fino a 10 ed eventualmente fino a 14 (art. 8, legge n. 604/1966). Con riferimento all’area coperta
dall’art. 18, prima della recente riforma, il licenziamento intimato in assenza
delle condizioni sostanziali o formali era genericamente inteso dalla giurisprudenza, al di là della qualificazione formale (nullo, annullabile, inefficace)
fornita dalla legge, come invalido o illegittimo e comunque improduttivo
di effetti, con la conseguenza della generalizzata applicazione della tutela
reintegratoria.
2
La disciplina attuale distingue invece a seconda dei casi. A fini espositivi può
dirsi che la disciplina attuale divida le conseguenze del licenziamento illegittimo, nel campo di applicazione dell’art. 18, in due aree nettamente distinte:
l’area della tutela reintegratoria e quella della tutela indennitaria. A loro volta,
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entrambe queste due aree sono divise al loro interno in un’ area forte ed in un’
area debole.
a) Tutela reintegratoria forte. Questo tipo di tutela si applica al licenziamento discriminatorio, al licenziamento riconducibile ad “altri casi” di
nullità previsti dalla legge, al licenziamento causato da un motivo illecito
determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c., o intimato in forma orale. La tutela
si applica indipendentemente dal motivo formalmente contenuto nella lettera
di licenziamento e dal numero di lavoratori occupati dal datore di lavoro e trova
applicazione anche nei confronti dei dirigenti. In quest’area le conseguenze del
licenziamento sono pressoché le stesse di quelle previste dal vecchio art. 18.
Il rapporto di lavoro si considera come se non si fosse mai interrotto; il lavoratore avrà diritto alla corresponsione di una somma a titolo di risarcimento
del danno per il periodo compreso tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione; successivamente alla sentenza di reintegrazione il lavoratore vedrà
ripristinata la continuità giuridica del proprio rapporto di lavoro anche se
residua al datore di lavoro la possibilità di non riammetterlo fisicamente sul
luogo di lavoro, continuando a versare regolarmente la retribuzione, ferma
però la possibilità che il lavoratore agisca per veder risarcito un eventuale
danno alla professionalità. Alla sentenza di reintegrazione il datore di lavoro
può far seguire l’invito al lavoratore a ripresentarsi sul posto di lavoro; una
volta reintegrato il lavoratore può naturalmente, nel rispetto delle norme di
legge, essere immediatamente dopo trasferito o assegnato a mansioni diverse.
La legge n. 92/2012 introduce però alcune novità. La misura del risarcimento
è ancorata all’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore
(e non come in precedenza a quanto avrebbe guadagnato il lavoratore se avesse
svolto regolarmente la propria attività di lavoro); inoltre la legge prevede ora
espressamente che la misura del risarcimento debba essere diminuita di quanto
guadagnato dal lavoratore prestando in favore di terzi la propria attività di
lavoro (c.d. aliunde perceptum). La legge ha mantenuto ferma la possibilità
per il lavoratore di scegliere se accettare di avvalersi della sentenza di reintegrazione ovvero far cessare il rapporto di lavoro optando per la corresponsione
di una indennità pari a 15 mensilità. Ha però modificato in parte la precedente disciplina. In primo luogo ha previsto che la richiesta della indennità
(e non la sua effettiva corresponsione) determini la risoluzione del rapporto di
lavoro; il termine entro il quale esercitare l’opzione è di 30 giorni che decorrono o dalla comunicazione del deposito della sentenza ovvero dall’invito del
datore di lavoro a riprendere servizio se anteriore a tale comunicazione. Tale
indennità non è soggetta a contribuzione. In ogni caso la misura del risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità ed il datore di lavoro è
condannato al versamento dei contributi previdenziali per l’intero periodo
di estromissione.
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b) Tutela reintegratoria debole. Questa forma di tutela si applica al licenziamento per g.c. o per g.m.s. laddove il fatto contestato risulti insussistente
ovvero rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa in base
alle previsioni dei contratti collettivi o del codice disciplinare; oppure, in caso
di licenziamento per g.m.o., ove il licenziamento sia intimato per la inidoneità fisica o psichica e sia in violazione degli artt. 4, c. 4, e 10, c. 3, legge
n. 68/1999; ovvero sia intimato in violazione dell’art. 2110 c.c.; o nel caso
in cui il Giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento. In tali ipotesi, il Giudice annulla il licenziamento e condanna
il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro. Rispetto al caso precedente varia però la misura dell’indennità risarcitoria: essa è sempre commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, ma non può superare la soglia
di dodici mensilità. Inoltre da tale somma va dedotto non solo quanto il lavoratore ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative in favore di
terzi, ma anche quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla
ricerca di una nuova occupazione (c.d. aliunde percipiendum). L’indennità è
onnicomprensiva anche di eventuali altri danni. Il datore di lavoro deve corrispondere i contributi previdenziali maturati durante il periodo di estromissione e maggiorati degli interessi legali (ma non degli importi per la sanzione
per omessa o ritardata contribuzione), per un importo pari alla differenza tra la
contribuzione che sarebbe maturata ove il rapporto non fosse cessato e quella
accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. La disciplina dell’opzione per le quindici mensilità rimane la stessa del
caso precedente.
c) Tutela indennitaria forte. Questa tutela si applica in caso di licenziamento per g.c. o per g.m.s. o per g.m.o., ove il Giudice ne accerti la illegittimità
per ragioni diverse da quelle indicate alla lett. b) che precede. In questa ipotesi
non vi è reintegrazione, e il rapporto si estingue con effetto dalla data del licenziamento. Il datore di lavoro dovrà però corrispondere un’ indennità che va
dalle dodici alle ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto,
il cui concreto importo sarà determinato dal Giudice tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni
dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con
onere di specifica motivazione a tale riguardo. Nel caso di licenziamento per
g.m.o il Giudice deve anche tenere conto delle iniziative assunte dal lavoratore
per reperire un altro lavoro e della condotta delle parti durante la procedura
conciliativa che deve precedere il licenziamento per ragioni economiche
(cfr. infra § 8).
(Omissis)
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b) entro centottanta giorni comunicare alla controparte il tentativo di
conciliazione. In tal caso il procedimento di impugnazione è più lungo dal
momento che:
b1) ove il datore di lavoro rifiuti il tentativo di conciliazione, il lavoratore
ha sessanta giorni di tempo dal rifiuto per depositare il ricorso. In tal caso il
procedimento di impugnazione avrà una durata pari al massimo a 240 giorni;
b2) ove il tentativo sia espletato ma non abbia esito positivo, il lavoratore
dovrà depositare il ricorso, entro sessanta giorni dalla conclusione del tentativo.
In tal caso la durata del procedimento di impugnazione non è predeterminabile,
dal momento che i tempi previsti dal legislatore dovranno essere maggiorati in
considerazione del tempo necessario per il concreto espletamento del tentativo
di conciliazione.
10. Giusta causa e giustificato motivo di licenziamento
1
Il licenziamento per g.c. è un licenziamento dovuto ad un fatto che, come
recita l’art. 2119 c.c., non consente la prosecuzione nemmeno provvisoria
del rapporto di lavoro. Normalmente la g.c. consiste in un gravissimo inadempimento, ma, secondo l’opinione prevalente, essa può consistere anche
in fatti diversi purché idonei a far venire meno il vincolo di fiducia del datore
di lavoro. Il licenziamento per g.m.s., invece, presuppone sempre un inadempimento che, secondo l’art. 3 della legge n. 604/1966. deve essere “notevole”. Tra licenziamento per g.c. e licenziamento per g.m.s. esiste, sempre
per opinione prevalente, una differenza solo quantitativa, dovuta cioè alla
gravità dell’inadempimento, che nel caso della g.c., dovrebbe essere “notevolissimo”. Ciò non toglie che anche in caso di licenziamento per g.m.s.,
debba esservi un inadempimento tale da scuotere la fiducia del datore di
lavoro. Il licenziamento per g.c., ove alla base vi sia un inadempimento, ed
il licenziamento per g.m.s., sono entrambi dei licenziamenti disciplinari. Si
rinvia pertanto alla parte relativa al potere disciplinare per quanto concerne
il procedimento che deve essere esperito a pena di nullità (cfr. supra Parte II,
Sez. VI). La valutazione circa la sussistenza della g.c. o del g.m.s. spetta
al Giudice il quale dovrà basarsi sulla tipizzazione operata dalla contrattazione collettiva, che però non è vincolante. Si veda però l’art. 30 del d.lgs.
n. 183/2010 secondo il quale il Giudice deve tenere conto nella valutazione
della legittimità del licenziamento, delle regole fondamentali del vivere
civile, dell’interesse oggettivo dell’organizzazione, delle tipizzazioni di g.c.
e di g.m. contenute nei contratti collettivi o in quelli individuali certificati.
Per opinione pacifica se il Giudice non ritiene esistenti gli estremi del licenziamento per g.c. può valutare la sussistenza degli estremi del licenziamento
per g.m.s.
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La legge n. 92/2012 ha come si è visto sopra, modificato le conseguenze derivanti dalla illegittimità del licenziamento per g.c. o per g.m.s. La legge infatti
ora prevede che la reintegrazione, sia pur nella forma debole (supra 4, lett. b)
scatti solo in caso di insussistenza del fatto o nel caso in cui il fatto addebitato
rientri tra le condotte che il codice disciplinare punisce con una sanzione
conservativa.
La insussistenza del fatto contestato si ha sia nel caso in cui il comportamento
concreto addebitato non sia esistente (ad es. un’assenza ingiustificata non si
riveli tale perché il lavoratore dimostra di avere inviato il certificato medico),
sia nel caso in cui il fatto sia esistente, ma non si riesca a dimostrare la responsabilità del lavoratore (ad es. in caso di furto o di ammanco non si riesca a
dimostrare che il lavoratore ne sia l’autore). Rimane estranea ogni valutazione
sul fatto in ordine ad es. al dolo o alla colpa del lavoratore. Rimane estranea
anche la valutazione in ordine alla proporzionalità della sanzione espulsiva:
una volta che il fatto sia dimostrato sussistente nella sua materialità e che esso
sia riferibile al lavoratore, l’eventuale violazione del criterio della proporzionalità stabilito dall’art. 2106 c.c. comporta solo l’applicazione della tutela
indennitaria forte (supra 4, lett. c). Ove i fatti contestati siano una pluralità, la
valutazione in ordine alla loro sussistenza può presentare qualche problema. In
tali ipotesi infatti sarà sufficiente che venga meno un singolo fatto o è necessario che venga meno quello principale? Sembra che la soluzione migliore
sia quella di tenere presente il tenore della contestazione disciplinare: se nella
lettera di contestazione si elencano una pluralità di fatti ciascuno dei quali
è ritenuto sufficiente ad integrare una g.c. o un g.m.s, allora sarà sufficiente
che sia sussistente solo uno di essi per determinare l’applicazione della tutela
indennitaria; se, al contrario, i fatti concorrono tutti a determinare una g.c. o
un g.m.s. di licenziamento, allora essi dovranno essere tutti complessivamente
sussistenti. Eventuali vizi della lettera di contestazione come la tardività della
stessa vanno valutati ai sensi del c. 6 dell’art. 18 Stat. lav, risolvendosi in una
violazione della procedura prevista dall’art. 7 Stat. lav. determinando l’applicazione della tutela indennitaria debole (supra § 4, lett. d).
La seconda ipotesi prevista dalla legge, ove cioè il fatto addebitato sia previsto
come fatto che determini l’applicazione di una sanzione conservativa, non
sembra destare, almeno in astratto, grandi problemi: il legislatore qui allude
all’ipotesi in cui il datore di lavoro sia incorso in un palese equivoco punendo
con la sanzione espulsiva comportamenti che invece sono passibili solo di un
sanzione conservativa.
La legge infine non fa parola della possibilità prevista dall’art. 30 della legge
n. 183/2010, e cioè della possibilità che le parti determinino nel contratto individuale i casi di licenziamento per g.c. o per g.m.s. Ma in questi casi non vi
sono ragioni per discostarsi dai principi enunciati nel nuovo art. 18 Stat. lav.:
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ove cioè il fatto individuato dalle parti non risulti essere sussistente troverà
applicazione la sanzione della rintegrazione debole; negli altri casi la tutela
indennitaria forte.
11. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento
1
Il licenziamento per g.m.o. è un licenziamento dovuto a ragioni che attengono
non al comportamento del lavoratore bensì ad una situazione oggettiva dell’organizzazione produttiva, ovvero che sono ricollegabili al prestatore di lavoro,
ma non integrano una forma di inadempimento (come il licenziamento per
superamento del periodo di comporto). Rientrano nella fattispecie ad es. i licenziamenti per soppressione del posto di lavoro; per riorganizzazione della struttura aziendale; il bilancio aziendale in perdita; la riduzione della domanda di
mercato; la possibilità di sostituire il lavoratore con nuove tecnologie; la soppressione del singolo posto di lavoro; la necessità di ridurre i costi, anche se
in tale ultimo caso la giurisprudenza sembra oscillare (cfr. infra in questa Sez.,
Parte III, § 5). In ogni caso le circostanze alla base del licenziamento debbono
essere esistenti al momento della intimazione dello stesso e non debbono
essere future o eventuali. Il Giudice, pur non potendo entrare nel merito delle
scelte imprenditoriali, deve tuttavia verificare l’esistenza di un nesso di causalità
tra la ragione alla base del licenziamento ed il rapporto di lavoro risolto. L’onere
di dimostrare la sussistenza delle ragioni alla base del licenziamento incombe
sul datore di lavoro il quale deve anche provare (anche a mezzo di prove presuntive o indiziarie) l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti esistenti in azienda, comprese anche le mansioni di livello inferiore.
2
A seguito della entrata in vigore della legge n. 92/2012, assumono una particolare importanza tre ipotesi di licenziamento per g.m.o. la cui ricorrenza
determina l’applicazione del regime di tutela reintegratoria debole (cfr. supra
§ 4, lett. b). La legge prevede l’applicazione di tale tipo di tutela in caso di
licenziamento per superamento del periodo di comporto, ex art. 2110 c.c., del
licenziamento per inidoneità fisica o psichica del lavoratore e nel caso in cui
la ragione posta a base del licenziamento sia “manifestamente insussistente”.
Quanto ai primi due casi di licenziamento, trattandosi di licenziamento per
g.m.o. (in questo assecondando l’opinione assolutamente maggioritaria),
dovrà essere osservata la procedura preventiva avanti la Dtl. Per il caso della
malattia, la legge prevede la conservazione del posto di lavoro per un certo
periodo determinato dalla contrattazione collettiva (cd. periodo di comporto),
trascorso il quale il lavoratore potrà essere licenziato con preavviso senza che
si debba dimostrare l’esistenza di un g.m.o. che è automaticamente integrato
dal solo fatto del superamento del comporto. Si applicano le normali regole
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in materia di forma, comunicazione e motivazione del licenziamento: in particolare sotto quest’ultimo aspetto, la lettera di licenziamento dovrà essere corredata dalla indicazione analitica dei giorni di assenza onde consentire al
lavoratore di controllare l’avvenuto superamento del periodo di comporto. Pur
non trovando applicazione in maniera rigida la regola della immediatezza del
licenziamento, si ritiene che ove il licenziamento intervenga a lunga distanza
di tempo dal superamento del periodo di comporto possa essere interpretato
come rinuncia tacita ad avvalersi della facoltà di risolvere il rapporto di lavoro.
Deve escludersi comunque un obbligo del datore di lavoro a preavvertire il
lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di conservazione del posto.
L’ipotesi presa ora in considerazione dalla legge n. 92/2012 può verificarsi
innanzitutto quando il licenziamento sia intimato prima della scadenza del
periodo di comporto; in tal caso il licenziamento dovrà considerarsi nullo e
non solo inefficace come si riteneva in passato. In secondo luogo quando il
calcolo effettuato non sia corretto, e cioè il comporto sia stato erroneamente
considerato scaduto ovvero non sia stata accolta la richiesta di fruizione delle
ferie in coda al periodo di conservazione del posto o di aspettativa (ove prevista dal Ccnl e da richiedersi prima della scadenza del medesimo periodo).
Ovvero, quando pur essendo effettivamente superato tale periodo si accerti
che la malattia rinvenga la propria causa in ragioni attinenti a colpa del datore
di lavoro.
Il lavoratore che perda la idoneità allo svolgimento della prestazione di lavoro,
per sopravvenuta inidoneità fisica, può essere licenziato per g.m.o.; la inidoneità può essere anche di natura psichica, e va ravvisata in tutte quelle ipotesi
in cui per le condizioni del lavoratore il datore di lavoro perda oggettivamente
ogni interesse alla futura esecuzione del rapporto di lavoro. Anzi, ove il datore
di lavoro ravvisi che la perdurante esecuzione della prestazione di lavoro
esponga il lavoratore ad un rischio per la sua incolumità non deve consentire la
prosecuzione del lavoro con conseguente applicazione della disciplina in materia di comporto per malattia. Residua sempre per il datore di lavoro l’obbligo
di assegnare il lavoratore ad altre mansioni compatibili con le sua condizioni
fisiche. La sussistenza di una situazione di inidoneità sopravvenuta è normalmente valutabile sulla base di accertamenti medico-legali che potrebbero
condurre va revocare in dubbio la legittimità del licenziamento. Va poi tenuto
presente che la legge n. 68/1999 prevede il un diritto alla conservazione del rapporto di lavoro su mansioni equivalenti o inferiori, per i lavoratori in condizioni
di inabilità in conseguenza di infortunio o malattia, nonché una tutela per il
caso di aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore disabile (art. 10,
c. 3). La impossibilità di prestare la propria attività lavorativa per cause che
non attengono alla persona del lavoratore - ad es. carcerazione, perdita della
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3
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SEZ. X - LA CESSAZIONE INDIVIDUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
4
licenza o del titolo ad esercitare una determinata attività, ecc. - può determinare il licenziamento per g.m.o. non automaticamente, ma sempre secondo una
valutazione condotta alla stregua dell’art. 3 della legge n. 604/1966, nel senso
cioè che la situazione di impossibilità deve tradursi in una ragione incidente
sull’attività produttiva, sull’organizzazione del lavoro o sul regolare funzionamento di essa.
Ove il Giudice accerti che la ragione alla base del licenziamento è manifestamente insussistente troverà applicazione il regime di tutela reintegratoria
debole (con 12 mensilità di risarcimento); negli altri casi, invece, il regime
di tutela indennitaria forte giustificato (senza reintegrazione, ma con la corresponsione di un risarcimento da 12 a 24 mensilità). Pur non essendo semplice
individuare cosa debba intendersi per manifesta insussistenza del fatto alla base
del licenziamento, sembra che la formulazione comprenda casi macroscopici di
insussistenza del g.m.o., quali ad esempio, la mancata soppressione del posto di
lavoro (quale potrebbe aversi in caso di assunzione successiva di un lavoratore
sulla medesima posizione di lavoro) o la inesistenza di un nesso di causalità
tra il fatto addotto e la posizione occupata dal lavoratore. Non dovrebbe invece
rientrarvi anche la mancata dimostrazione della incollocabilità su altra posizione lavorativa del prestatore di lavoro, cha rigore costituisce una circostanza
estranea al “fatto” (ad es. soppressione del posto di lavoro) che è alla base del
licenziamento. Ove invece le circostanze addotte dal datore di lavoro siano
verificate come reali, ma non risulti dimostrata la impossibilità di una ricollocazione del lavoratore sul altre mansioni, ovvero il fatto alla base del licenziamento pur sussistente non sia ritenuto tale da integrare gli estremi del g.m.o.
(è il caso ad es. della riorganizzazione che sia motivata dalla necessità di incrementare gli utili), va esclusa la sanzione della reintegrazione. L’insussistenza
deve poi essere “manifesta”: e cioè deve presentare caratteristiche tali da renderne evidente la insussistenza sulla sola scorta delle prove allegate dal datore
di lavoro.
(Omissis).
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Licenziamento individuale
F133
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LETTERA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO
MOTIVO SOGGETTIVO
Luogo e data, ……
Al lavoratore/trice ……
Oggetto: licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Facciamo seguito alla nostra lettera di contestazione inviataLe datata
...... ed a Lei pervenuta in data ...... (1) (il cui contenuto deve intendersi
qui integralmente riportato e trascritto) oppure (dove Le abbiamo contestato, tra l’altro, i seguenti addebiti: …… (2)), per rilevare che da un lato
risultano comprovati i fatti che Le sono stati addebitati, e dall’altro (che
non risultano pervenute Sue giustificazioni) oppure (che non possono
essere accolte le giustificazioni da Ella fornite per iscritto in data ...... e le
giustificazioni rese oralmente in data ...... (3)).
Di conseguenza il licenziamento è dovuto ai seguenti motivi …… (4).
Tali fatti congiuntamente o disgiuntamente integrano gli estremi di licenziamento (5).
In considerazione di quanto sopra, giusta quanto previsto dall’art. ……
del Ccnl …… la scrivente Società è pervenuta nella decisione di risolvere,
con effetto dalla data di ricezione della presente, il rapporto di lavoro con
Ella intercorrente ai sensi dell’art. 3, legge n. 604/1996 e per giustificato
motivo soggettivo, esonerandoLa dal prestare il relativo periodo di preavviso lavorato.
La scrivente Società, in ragione di quanto sopra, provvederà ad erogarLe
la indennità di mancato preavviso e le spettanze di fine rapporto come
per legge nei tempi tecnici in uso presso l’Azienda, confermandoLe che
sono a Sua disposizione i documenti di lavoro che potrà ritirare presso la
Direzione del Personale.
Firma del datore di lavoro
……
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Note:
(1) Da inserire se si conosce la data di ricezione.
(2) Vanno riportati per intero gli addebiti contenuti nella lettera di contestazione.
(3) Solo eventuale.
(4) Vanno elencati i motivi del licenziamento già indicati nella lettera di
contestazione.
(5) Clausola eventuale. Si veda quanto si è detto supra al §10.
F134
LETTERA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Luogo e data, ……
Al lavoratore/trice ……
Oggetto: licenziamento per giusta causa
Facciamo seguito alla nostra lettera di contestazione inviataLe datata ......
ed a Lei pervenuta in data ...... (1) (il cui contenuto deve intendersi qui
integralmente riportato e trascritto) oppure (dove Le abbiamo contestato,
tra l’altro, i seguenti addebiti: ….. (2)), per rilevare che da un lato risultano comprovati i fatti che Le sono stati addebitati, e dall’altro (che non
risultano pervenute Sue giustificazioni) oppure (che non possono essere
accolte le giustificazioni da Ella fornite per iscritto in data ...... e le giustificazioni rese oralmente in data ...... (3)).
Di conseguenza il licenziamento è dovuto ai seguenti motivi …… (4).
Tali fatti congiuntamente o disgiuntamente integrano gli estremi del licenziamento (5).
In considerazione di quanto sopra la scrivente Società è pervenuta nella
decisione di risolvere, con effetto immediato e per giusta causa ex art.
2119 c.c., il rapporto di lavoro con Ella intercorrente essendo venuto
meno il rapporto fiduciario a seguito del comportamento da Ella posto in
essere e di cui alla nostra precedente contestazione e comunque avendo
Ella posto in essere un notevolissimo inadempimento ai Suoi obblighi di
lavorare.
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Licenziamento individuale
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Detto licenziamento deve comunque, in via del tutto subordinata e residuale, ritenersi effettuato anche per giustificato motivo soggettivo avendo
comunque Ella posto in essere un notevole inadempimento agli obblighi
contrattuali.
Le confermiamo che sono a Sua disposizione i documenti di lavoro che
potrà ritirare presso la Direzione del Personale, e che Le verrà corrisposto il Tfr nei modi e nei tempi tecnici in uso presso l’Azienda.
Con la presente Le comunichiamo il licenziamento dal Suo rapporto di
lavoro ai sensi dell’art. 2119 c.c. per giusta causa.
Firma del datore di lavoro
……
Note:
(1) Da inserire se si conosce la data di ricezione.
(2) Vanno riportati per intero gli addebiti contenuti nella lettera di contestazione.
(3) Solo eventuale.
(4) Vanno elencati i motivi del licenziamento già indicati nelle lettera di contestazione.
(5) Clausola eventuale. Si veda quanto si è detto supra al §10.
F135
LETTERA DI COMUNICAZIONE PREVENTIVA ALLA
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO
Luogo e data, .……………
Alla Direzione territoriale del lavoro di ……(1)
e p.c.
Al lavoratore/trice .….…… (2)
Consegnata a mano (3)
Oggetto: comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo
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Con la presente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge n. 604/1966
come modificata dall’art. 1, c. 40 della legge n. 92/ 2012 il sottoscritto
.….…… (4) comunica a codesta Direzione territoriale l’intenzione di procedere al licenziamento del sig./ra …… ai sensi dell’art. 3 della legge
n. 604/1966 per giustificato motivo oggettivo.
Il licenziamento è dovuto ai seguenti motivi.……………(5).
Si fa presente che non è possibile reperire, allo stato, una posizione
cui assegnare il lavoratore che sia coerente con il suo inquadramento.
Si comunica che allo stato (sono possibili) oppure (non sono possibili) le
seguenti misure di ricollocazione:.….…………
Firma del datore di lavoro
…
Firma del lavoratore/trice (6)
…
Note:
(1) La Direzione territoriale del lavoro competente è quella della circoscrizione
all’interno della quale il lavoratore presta la propria attività di lavoro.
(2) La comunicazione si considera validamente effettuata quando è recapitata al
domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
(3) Solo nel caso in cui sia consegnata mano al lavoratore.
(4) Va inserita la denominazione del datore di lavoro o la sua ragione sociale.
(5) I motivi non debbono essere “specificamente” indicati come richiesto dalla
legge in caso della lettera di licenziamento, ma appare opportuno che essi siano
indicati con sufficiente precisione in modo da consentire l’espletamento in concreto
del tentativo di conciliazione.
(6) Necessaria solo in caso di consegna a mano della lettera al lavoratore/trice per
attestarne la conoscenza.
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Licenziamento individuale
F136
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LETTERA DI RICHIESTA DI NUOVA FISSAZIONE DELLA
SEDUTA DI CONCILIAZIONE
Luogo e data, .……………
Alla Direzione territoriale del lavoro di ……(1)
e p.c.
Alla Soc./ Al Sig./Sig.ra .….…… (2)
Oggetto: comunicazione di impedimento a presenziare alla riunione
indetta dalla Direzione territoriale del lavoro per il giorno .….
Con la presente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge n. 604/1966
come modificato dall’art. 1, c. 40 della legge n. 92/2012 il sottoscritto
.….…… comunica a codesta Direzione Territoriale la impossibilità ad
essere presente alla riunione indetta da codesta Commissione per il
giorno .…. ai fini dell’esperimento del tentativo di conciliazione.
Tale impossibilità è dovuta a …… come da documentazione allegata. Si
fa presente che l’impedimento avrà una durata di giorni.…. (3).
Si chiede pertanto che codesta Direzione proceda alla fissazione di una
nuova riunione.
Firma del lavoratore/trice
…
Note:
(1) La Direzione territoriale del lavoro competente è quella della circoscrizione
all’interno della quale il lavoratore presta la propria attività di lavoro.
(2) Va inserita la denominazione del datore di lavoro o la sua ragione sociale.
(3) Clausola eventuale, necessaria solo ove l’impedimento perduri per un certo
periodo di tempo. Si fa presente che il differimento non può essere superiore a
15 giorni.
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SEZ. X - LA CESSAZIONE INDIVIDUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
F137
LETTERA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO
OGGETTIVO
Luogo e data, ……
Al lavoratore/trice ……
Oggetto: licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Con la presente Le comunichiamo il licenziamento dal Suo rapporto di
lavoro ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966 per giustificato motivo
oggettivo.
Il Suo licenziamento è dovuto ai seguenti motivi.……………(1).
Le comunichiamo altresì che non è stato possibile reperire, allo stato
della nostra organizzazione del lavoro, una posizione cui assegnarLa
che fosse coerente con il Suo inquadramento.
Ai sensi e per gli effetti del Ccnl vigente la durata del Suo periodo di preavviso è pari a giorni/mesi .……
Pertanto il Suo rapporto di lavoro terminerà alla scadenza del periodo di
preavviso e cioè alla data del ……
Durante il periodo di preavviso e per tutta la sua vigenza, Ella è esonerata dal prestare la propria attività di lavoro pur continuando a percepire
la normale retribuzione (2).
Firma del datore di lavoro
………
Note:
(1) Si rammenta che i motivi del licenziamento debbono necessariamente essere
contestuali alla lettera di licenziamento e debbono essere concretamente e chiaramente indicati.
(2) Clausola eventuale necessaria solo in caso di preavviso non lavorato.
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F148
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LETTERA DI RINUNCIA AL PREAVVISO LAVORATO
Luogo e data, ……
Oggetto: rinuncia al preavviso lavorato
In relazione al licenziamento a Lei intimato con lettera del …… Le
comunichiamo che non intendiamo più avvalerci della sua prestazione
lavorativa durante il periodo di preavviso.
La esoneriamo, pertanto, dal prestare l’attività lavorativa nel periodo di
preavviso, fermo restando il Suo diritto all’erogazione del normale trattamento retributivo e normativo.
Vorrà sottoscrivere copia della presente per ricevuta e per integrale
accettazione del contenuto.
Distinti saluti
Firma del datore di lavoro
……
Per ricevuta e accettazione
…… li ……
Firma del lavoratore
……
F149
LETTERA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO (1) (2)
Luogo e data .…
Alla Soc./ Al Sig./Sig.ra .………
Oggetto: Impugnazione del licenziamento del .….
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SEZ. X - LA CESSAZIONE INDIVIDUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Con la presente il sottoscritto sig. .… impugna ad ogni effetto di legge,
il licenziamento intimato con lettera in data e pervenutami in data.….,
in quanto illegittimo e comunque privo di giusta causa o di giustificato
motivo.
La presente lettera di impugnazione vale altresì come formale atto
messa a disposizione delle mie energie lavorative ai fini di una valida
costituzione in mora.
Firma del lavoratore/trice
…
Note:
(1) È necessario inviare la lettera con modalità che ne attestino la data di ricezione.
La lettera deve essere sottoscritta dal lavoratore/trice
(2) Deve osservarsi la disposizione di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 183 /2010. Si veda
quanto è stato osservato supra al § 9.
F150
LETTERA DI REVOCA DELL’IMPUGNAZIONE
DEL LICENZIAMENTO (1)
Luogo e data ……
Alla Soc ……
Oggetto: revoca dell’impugnazione del licenziamento intimato in data
……
Con la presente il sottoscritto sig. …… revoca la impugnazione avanzata
nei confronti del licenziamento intimatomi con lettera in data …… e pervenutami in data ……
La presente vale come esplicita accettazione del licenziamento
intimatomi e come rinuncia ad ogni azione conseguente alla sua
impugnazione.
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Firma del lavoratore/trice
……
Nota:
(1) È opportuno inviare la lettera con modalità che ne attestino la data di
ricezione.
F151
LETTERA DI RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
DEL LAVORATORE (1)
Luogo e data ……
Al lavoratore/trice ……
Oggetto: riammissione in servizio
Con la presente la scrivente Società, in mera ottemperanza alla sentenza del Tribunale/Corte di Appello di …… e senza prestare acquiescenza dalla medesima sentenza, invita il sig. …… a riassumere
immediatamente servizio presentandosi nei locali di via/piazza, (alle
ore …… del giorno ……) oppure (entro tre giorni dalla ricezione della
presente lettera). Le comunichiamo che nel caso in cui Ella non si presentasse presso il posto di lavoro entro la data indicata senza un giustifi-cato motivo il Suo rapporto di lavoro si intenderà automaticamente
risolto.
Firma del datore di lavoro
……
Nota:
(1) È opportuno inviare la lettera con modalità che ne attestino la data di ricezione.
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III. GIURISPRUDENZA: 1. Forma e motivazione del licenziamento. 2. Il preavviso e l’indennità sostitutiva. 3. Revoca e rinnovazione del licenziamento.
4. L’impugnazione del licenziamento. 5. Il licenziamento libero. 6. Licenziamento
per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. 7. Licenziamento per giustificato
motivo oggettivo. 8. Il licenziamento discriminatorio.
1. Forma e motivazione del licenziamento
1
Per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del
potere di recesso del datore di lavoro, vale il principio dell’immodificabilità
delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, il quale opera come
fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe altrimenti
frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal
datore; ne consegue che il datore di lavoro non può addurre a giustificazione
del recesso fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al
momento della intimazione del recesso medesimo, ma soltanto dedurre mere
circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti [C 12.3.2009, n. 6012, RFI 2009, voce Lavoro
(rapporto), 665].
2
La motivazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere
sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di
individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento, sì da
poter esercitare un’adeguata difesa svolgendo ed offrendo idonee osservazioni
o giustificazioni; la genericità della comunicazione equivale alla materiale
omissione della comunicazione stessa dei motivi di recesso [C 15.1.2009,
n. 834, NGL 2009, 52].
3
Con riferimento al licenziamento che trovi giustificazione nelle assenze
per malattia del lavoratore, si applicano le regole dettate dall’art. 2, legge
n. 604/1966 (modificato dall’art. 2, legge n. 108/1990) sulla forma dell’atto
e la comunicazione dei motivi del recesso, poiché nessuna norma speciale
è al riguardo dettata dall’art. 2110 c.c.; conseguentemente, qualora l’atto di
intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia
ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha
l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del
licenziamento, e, nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a
tale richiesta, di dette assenze non può tenersi conto ai fini della verifica
del superamento del periodo di comporto; ove, invece, il lavoratore abbia
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Licenziamento individuale
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direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare
in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento
del periodo di comporto, non essendo ravvisabile in ciò una integrazione o
modificazione della motivazione del recesso [C 13.7.2010, n. 16421, RFI
2010, voce Lavoro (rapporto), 1506].
In tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia,
non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali
e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma
indiretta, purché chiara; ne consegue che la dichiarazione di conclusione del
rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del
datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale,
deve essere considerato atto scritto di recesso dalla data della relativa consegna
[C 13.8.2007, n. 17652, RIDL 2008, II, 172].
4
Il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace per inosservanza
dell’onere della forma scritta imposto dall’art. 2, legge 15.7.1966, n. 604,
novellato dall’art. 2, legge 11.5.1990, n. 108, e, come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, non rilevando, ai fini di escludere la continuità del
rapporto stesso, né la qualità di imprenditore del datore di lavoro, né il tipo di
regime causale applicabile (reale od obbligatorio), giacché la sanzione prevista
dal cit. art. 2 non opera soltanto nei confronti dei lavoratori domestici (ai sensi
della legge n. 339/1958) e di quelli ultrasessantenni (salvo che non abbiano
optato per la prosecuzione del rapporto), conseguendone, quindi, che la radicale
inefficacia del licenziamento orale prescinde dalla natura stessa del recesso e,
segnatamente, dalla sua eventuale natura disciplinare, in relazione alla quale
l’osservanza del dovuto procedimento presuppone anzitutto il rispetto della
forma scritta, quale prescrizione che risponde ad una fondamentale esigenza
di certezza e si pone su un piano di tutela più generale (nella specie, la sentenza della corte territoriale - in riforma della sentenza di primo grado che, su
una domanda di nullità del licenziamento intimato oralmente, aveva affermato
la natura disciplinare del recesso con conseguente declaratoria di illegittimità
dello stesso in regime obbligatorio - dichiarava, a seguito di gravame del lavoratore sulla sola statuizione relativa all’applicata tutela risarcitoria, l’inefficacia
del recesso per inosservanza della forma scritta e condannava il datore di lavoro
al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento alla reintegra; la suprema
corte ha confermato la sentenza impugnata, dichiarando altresì infondato il
motivo di ricorso con cui il datore di lavoro aveva denunciato la violazione del
giudicato interno formatosi rispetto alla incontestata statuizione della pronuncia
di primo grado relativa alla riconosciuta natura disciplinare del licenziamento)
[C 1.8.2007, n. 16955, RFI 2007, voce Lavoro (rapporto), 1346].
5
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(Omissis).
6. Licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo
Poiché la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo di licenziamento
costituiscono mere qualificazioni giuridiche, devolute al giudice, dei fatti che
il datore di lavoro ha posto a base del recesso, la impugnazione della sentenza
di primo grado che ha dichiarato la legittimità o illegittimità del licenziamento
per sussistenza o insussistenza della giusta causa comprende la minor domanda
relativa alla declaratoria della legittimità del licenziamento per giustificato
motivo soggettivo, ed abilita il giudice di appello a pronunciarsi in tal senso
anche in mancanza di espressa richiesta della parte, senza che vi sia lesione
dell’art. 112 c.p.c. [C 17.1.2008, n. 837, NGL 2008, 624].
La gravità dell’addebito contestato consistito, nella specie, nella falsificazione
della cartolina orologio all’inizio del turno di lavoro, configura una grave
lesione del vincolo fiduciario, a prescindere dal danno patrimoniale subìto dalla
società, e legittima il licenziamento per giusta causa [C 30.10.2008, n. 26239,
NGL 2008, 762].
Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre
valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione
alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali
sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la
proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione
dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro
sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare
[C 9.1.2009, n. 263, NGL 2009, 63].
In materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice investito dell’impugnativa della
legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’effettiva gravità
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SEZ. X - LA CESSAZIONE INDIVIDUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
della condotta addebitata al lavoratore [C 18.1.2007, n. 1095, RFI 2007, voce
Lavoro (rapporto), 1474].
5
In materia di licenziamenti disciplinari, deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come
giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come
integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione
conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, a meno che non accerti che le parti avevano inteso
escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva
(nella specie, la suprema corte, nel rigettare il ricorso, ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva valutato la condotta - costituita dal rifiuto del
dipendente di consegnare la posta - alla luce dell’art. 56 n. 4 Ccnl di settore che
prevedeva, in tale evenienza, l’applicazione di sanzioni di tipo solo conservativo). [C 17.6.2011, n. 13353, NGL 2011, 746].
6
Ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è
necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore,
riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione; ne consegue che
comportamenti del lavoratore costituenti gravi violazioni dei doveri fondamentali sono sanzionabili con licenziamento disciplinare a prescindere dalla loro
inclusione o meno all’interno del codice disciplinare, ed anche in difetto di
affissione dello stesso, con l’ulteriore precisazione che il licenziamento per
giusta causa può considerarsi legittimo soltanto se la mancanza del lavoratore, a seguito di attenta valutazione in concreto di ogni circostanza, sia di
tale gravità da far venire meno il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e
la legittima aspettativa circa il corretto comportamento dell’altra parte in relazione al puntuale adempimento di tutti gli obblighi che derivano dal contratto
stesso (nella specie, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa
di un dipendente che si era assentato in maniera prolungata ed ingiustificabile dal lavoro, ritenendosi che in tal modo il dipendente era venuto meno al
suo dovere fondamentale di prestare la sua attività lavorativa) [C 15.9.2008, n.
23700, NGL 2008, 756].
7
In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la
fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale
influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete
modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza
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Licenziamento individuale
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dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di
merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una
valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto
del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità,
rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo
alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva,
all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle
mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello
stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (nella specie, la suprema corte, in applicazione del principio,
ha cassato la decisione del giudice di merito, che, affermando la congruità del
licenziamento disciplinare di un funzionario di banca, aveva omesso di valutare
come questi non avesse riportato sanzioni nel corso di un rapporto durato oltre
quindici anni ed avesse evaso le pratiche di erogazione del credito secondo una
prassi lungamente tollerata dall’azienda e censurata soltanto all’emergere delle
sofferenze) [C, 13.2.2012, n. 2013, RFI 2011, voce Lavoro (rapporto), 469].
In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito
commesso - istituzionalmente rimesso al giudice del merito - si sostanzia nella
valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al
riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal
datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente l. n. 604 del
1966 ex art. 5, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso
accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non
scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima
sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria - durante il periodo di preavviso del rapporto. [C 21.6.2011, n. 13575, OGL 2011, I, 699].
8
In tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo
soggettivo (che ha natura ontologicamente disciplinare ed al cui procedimento
sono applicabili le garanzie procedurali in materia di pubblicità della normativa, di contestazione preventiva dell’addebito e di difesa del lavoratore), ai
sensi dell’art. 2119 c.c. o dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della
gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto
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rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che, a tutela del lavoratore, il suo inadempimento deve
essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non
scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima
sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non
consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (nella specie, la
suprema corte ha confermato la sentenza di appello che, nel riformare la decisione di primo grado, aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore, trovato ingiustificatamente in possesso di dodici
mascherine protettive assegnate unitariamente ai dipendenti) [C 10.12.2007,
n. 25743, NGL 2008, 202].
10
In tema di licenziamento per giusta causa, l’operazione valutativa compiuta dal
giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c.
non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità; in particolare, è
censurabile il metodo applicativo seguito dal giudice di merito che, nel valutare, come nella specie, la legittimità del licenziamento di un cassiere di banca
(allontanatosi dallo sportello lasciando la cassa incustodita o noncurante della
presenza di pubblico in sala), abbia ritenuto eccessiva la sanzione disciplinare
irrogata così sindacando il potere imprenditoriale di graduazione senza far riferimento ad alcuna norma di diritto o clausola contrattuale o motivare l’irragionevolezza della scelta imprenditoriale, nel contempo ignorando specifiche
violazioni delle regole sul maneggio di denaro, desumibili dal d.lgs. n. 385
del 1993 e sostituendole con non meglio specificate regole di buon senso,
inidonee ad assicurare la conservazione del denaro dei clienti e della banca
[C 13.8.2008, n. 21575, NGL 2009, 67].
11
Nel contesto professionale dirigenziale il concetto giuridico di “giusta causa”
di licenziamento va tenuto distinto da quello di “giustificatezza”: mentre la
giusta causa consiste in un fatto che, in concreto valutato (e cioè, sia in relazione alla sua oggettività sia con riferimento alle sue connotazioni soggettive),
determina una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto,
tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso
postula, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo - ancor più strettamente vincolata al carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede,
sicché non è giustificato il licenziamento per ragioni meramente pretestuose,
al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole
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procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto; conseguentemente, possono ricorrere le condizioni per non corrispondere l’indennità supplementare, in presenza della giustificatezza del licenziamento, e non
sussistere quelle per negare l’indennità sostitutiva di preavviso in assenza della
giusta causa [C 19.9.2011, n. 19074, OGL 2011, I, 713].
È illegittimo il licenziamento disciplinare in cui la contestazione degli addebiti sia tardiva rispetto al momento della commissione dei fatti colposi sanzionabili; il licenziamento per giusta causa non sussiste se la contestazione
dell’addebito e la comminazione della sanzione avvengono a distanza di tempo
dal momento in cui il datore di lavoro viene a conoscenza, seppur in modo non
esaustivo, dei fatti sanzionabili [C 14.9.2011, n. 18772, RGL 2012, II, 51].
12
La prova della responsabilità disciplinare del lavoratore, che concretizza la
giusta causa di licenziamento, può essere formata mediante presunzioni semplici; il ragionamento presuntivo è sindacabile per cassazione soltanto sotto il
profilo della correttezza e congruità di motivazione della sentenza del giudice
di merito [C 12.9.2011, n. 18655, LG 2012, 65].
13
7. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
In tema di trasferimento di azienda l’art. 2112, c. 4, c.c., nel disporre che il
trasferimento non può essere di per sé ragione giustificativa di licenziamento,
aggiunge che l’alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale; ne consegue che il trasferimento di azienda non può impedire
il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che questo abbia
fondamento nella struttura aziendale, e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo (nella specie, in cui era stata revocata
l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria e conseguente cessazione
dell’attività della banca cedente, la suprema corte, nell’affermare il principio
su esteso, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore da parte
della cedente) [C 11.6.2008, n. 15495, NGL 2008, 619].
1
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da
ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice - che non può,
invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della
libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. - il controllo in ordine
all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al
quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di
riassetto (nella specie, relativa al licenziamento del responsabile marketing di
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una società che aveva svolto, ad interim, anche le mansioni di capo area estero,
il recesso era stato motivato sul presupposto che dette funzioni erano state
assunte direttamente dall’amministratore delegato, indicazione che, in realtà,
costituiva la conclusione del processo riorganizzativo e non la ragione dello
stesso e, quindi, non poteva assurgere a giustificazione della risoluzione del
rapporto) [C 11.7.2011, n. 15157, RFI 2011, voce Lavoro (rapporto), 1237].
3
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da
ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice - che non può,
invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della
libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. - il controllo in ordine
all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale
il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi
ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in
mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non
deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che
impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei
quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione
l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti
[C 8.2.2011, n. 3040, RFI 2010, voce Lavoro (rapporto), 1245].
4
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato a lavoratore che abbia sempre svolto la sua attività in via telematica dal proprio
domicilio, a causa del trasferimento delle stesse mansioni a lavoratori attivi
presso gli uffici della convenuta in altra città, uffici ai quali il dipendente licenziato già faceva capo, occorre la prova rigorosa delle ragioni per le quali dette
prestazioni non possono continuare ad essere effettuate, come in precedenza,
dal domicilio del lavoratore stesso [T Roma, 8.1.2009, LG 2009, 609].
5
Possono costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento ipotesi di soppressione di posti di lavoro e ipotesi di riassetti organizzativi per una più economica gestione dell’azienda, purché non pretestuosi e strumentali ma diretti a
fronteggiare situazioni sfavorevoli e contingenti che influiscano decisamente
sulla normale attività produttiva imponendo una effettiva necessità di riduzione
dei costi [T Torino, 28.4.2008, GP 2008, 270].
6
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nella previsione della
seconda parte dell’art. 3, legge 15.7.1966, n. 604, comprende anche l’ipotesi
di un riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore, non pretestuosamente e non
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semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni - non meramente contingenti - influenti in modo decisivo sulla
normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere
straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al
bilancio aziendale, in quanto, una volta accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro, ogni risparmio che sia
in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi
da questa oggettivamente giustificato (nella specie, la suprema corte, nel cassare la decisione impugnata, ha ritenuto non idoneo ad interrompere il legame
tra il recesso datoriale e il riassetto organizzativo aziendale in ridimensionamento del personale, attuato mediante licenziamento di tre lavoratori a tempo
interminato e assunzione di due apprendisti, in un quadro di delocalizzazione
produttiva all’estero e della successiva correzione dell’attività dell’impresa)
[C 24.2.2012, n. 2874, RFI 2012, voce Lavoro (rapporto), 300].
Nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo - diversamente dal licenziamento collettivo per riduzione di personale - non si pone un
problema di selezione dei lavoratori licenziandi in quanto è la relazione con
il posto di lavoro soppresso a individuare i dipendenti destinatari del recesso
[T Torino, 28.4.2008, GP 2008, 270].
7
Anche nel caso di giustificato motivo oggettivo consistente nella generica
esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, il datore di lavoro
deve rispettare i principi di correttezza e buona fede nella individuazione del
soggetto da licenziare; a tal fine può farsi riferimento, pur nella diversità dei
rispettivi regimi, ai criteri che l’art. 5, legge n. 223/1991 ha dettato per i licenziamenti collettivi [C 28.3.2011, n. 7046, ADL 2011, 746].
8
Nel caso in cui sia accertata la totale cessazione dell’attività imprenditoriale da
parte del datore di lavoro, la legittimità del licenziamento intimato ai lavoratori
per giustificato motivo oggettivo non è esclusa nè dal fatto che lo stabilimento
sede dell’impresa non sia stato immediatamente alienato o altrimenti dismesso,
rimanendo però nella disponibilità dell’imprenditore come mera entità non funzionante, nè dal fatto che uno o pochi altri dipendenti siano stati mantenuti in
servizio per il compimento delle pratiche relative alla suddetta cessazione dell’attività non essendo sindacabile nel quadro della libertà d’iniziativa economica
riconosciuta dall’art. 41 cost. le ragioni dei licenziamenti dovuti a cessazione
dell’attività [C 24.9.2010, n. 20232, RFI 2010, voce Lavoro (rapporto), 1426].
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Il rapporto di lavoro in cui venga esercitata la facoltà di opzione per la prosecuzione oltre l’età pensionabile prima del compimento del sessantacinquesimo
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