L’ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
LA CRISI DELL’IMPRESA
Il licenziamento
• Il licenziamento rappresenta una modalità di recesso unilaterale del
datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato: deve essere
sorretto sempre da un motivo che può dipendere da ragioni
soggettive collegate alla condotta del lavoratore o da situazioni
oggettive, che prescindono dalla sua colpevolezza. La condotta del
lavoratore, a seconda della gravità, può dar luogo al licenziamento
per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
• La legittimità del motivo ed il rispetto delle procedure stabilite dalla
legge possono formare oggetto di verifica ed i sindacato da parte del
giudice in caso di impugnazione del licenziamento.
• Vi sono, tuttavia, ipotesi nelle quali è concesso risolvere il rapporto
di lavoro in assenza di un motivo, c.d. (recesso ad nutum o libera
recedibilità): tale facoltà viene concessa ad entrambe le parti, ad
esempio, in costanza del periodo di prova, senza necessità del
periodo di preavviso.
La condotta del lavoratore
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La condotta del lavoratore tale da determinare la lesione del vincolo fiduciario,
può costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento:
le due ipotesi si differenziano essenzialmente per l’intensità della lesione e per
gli effetti che ne conseguono.
La giusta causa si sostanzia in un comportamento (anche extra aziendale)
talmente grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del
rapporto. Ne consegue che il datore può recedere in tronco, senza obbligo di
dare il preavviso: si tratta di ipotesi in cui qualsiasi altra sanzione risulta
insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro, al quale, pertanto, non può
essere imposto l’utilizzo del lavoratore in un’altra posizione.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è determinato da un
notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore; detto
inadempimento però non è così grave da rendere impossibile la prosecuzione,
anche solo provvisoria del rapporto. Pertanto il datore di lavoro ha l’obbligo di
dare il preavviso.
Attività produttiva
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Il recesso legato a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro
e al regolare funzionamento di essa è denominato licenziamento per giustificato
motivo oggettivo.
Le scelte imprenditoriali possono essere di carattere economico o tecnico produttivo
(aumento dell’efficienza del lavoro attraverso l’introduzione di innovazioni produttive),
ma non possono essere determinate da una mera convenienza economica.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può interessare uno o più lavoratori
(in quest’ultima ipotesi si parla di licenziamento plurimo individuale). Tuttavia se il
licenziamento coinvolge almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni – nell’imprese con
un numero di dipendenti pari o superiore a 15 – occorre rispettare la procedura
prevista per i licenziamenti collettivi.
Il licenziamento per g.m.o. è legittimo se il datore di lavoro:
Opera un riassetto organizzativo effettivo e non pretestuoso, fondato su circostanze
esistenti al momento della comunicazioni del recesso e non riguardante circostanze
future ed eventuali.
verifica la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti nell’ambito
dell’organizzazione aziendale (obbligo di repechage) e ne accerta l’impossibilità con
riguardo all’intera struttura aziendale e non solo alla sede presso la quale il
lavoratore era impiegato;
sceglie il dipendente da licenziare osservando le regole di correttezza e buona fede e
non pone in essere atti discriminatori;
rispetta il preavviso (o corrisponde la relativa indennità sostitutiva).
Motivi
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Le ipotesi più frequenti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono
costituite dalla cessazione dell’attività produttiva e dalla soppressione del posto o del
reparto cui è addetto il lavoratore.
Tuttavia il licenziamento può rendersi necessario per motivi tecnologici o per ragioni
imprenditoriali diverse di carattere stabile, fondate anche solo sulla decisione del
datore di lavoro di distribuire diversamente all’interno dell’azienda determinate
mansioni o di affidare le stesse a soggetti esterni.
La tutela reale e la tutela obbligatoria
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Qualora, in seguito ad impugnazione, il giudice riconosco l’invalidità del
licenziamento, la legge prevede conseguenze diverse a seconda delle
dimensioni, della struttura dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro e
del tipo di vizio che ha inficiato il recesso.
Sono previsti due differenti gradi di tutela garantiti ai lavoratori illegittimamente
licenziati.
Nei casi di licenziamento invalido per giusta causa o giustificato motivo si
applica un regime sanzionatorio più rigido (c.d. tutela reale) nei confronti delle
aziende con più di 15 dipendenti o con una determinata struttura produttiva,
mentre per le aziende con meno di 15 dipendenti vige un sistema sanzionatorio
meno rigido (c.d. tutela obbligatoria).
La tutela reale si esplica nell’ordine impartito dal Giudice al datore di lavoro ed
immediatamente esecutivo di:
reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro a meno che quest’ultimo non rinunci
alla reintegrazione optando per l’indennità sostitutiva;
risarcire il danno subito dal lavoratore ingiustamente licenziato con un’indennità
commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a
quello dell’effettiva reintegrazione;
versare i contributi assistenziali e previdenziali, relativi al periodo intercorrente
tra il recesso ed il provvedimento di reintegra, non essendo interrotto il rapporto
di lavoro, né quello assicurativo e previdenziale ad esso collegato
La tutela reale e la tutela obbligatoria
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La tutela obbligatoria stabilisce, invece, l’obbligo alternativo a carico del datore di
lavoro tra:
la riassunzione del lavoratore entro il termine di tre giorni decorrenti, secondo la
giurisprudenza, dalla lettura del dispositivo della sentenza;
Il pagamento al lavoratore di un’indennità risarcitoria.
La legge considera nullo il licenziamento:
discriminatorio, vale a dire determinato da ragioni di credo politico, religiose, razziali
di sesso o nazionalità, nonché dall’appartenenza ad un sindacato o dalla
partecipazione ad attività sindacali; rientra nella nozione di licenziamento
discriminatorio quello intimato per ritorsione, cioè a seguito di comportamenti sgraditi
al datore di lavoro, come ad esempio, nelle ipotesi di iniziative giudiziarie intraprese
dal dipendente contro il proprio datore di lavoro; intimato per motivo illecito, compreso
quello per rappresaglia;
Intimato per motivo illecito, compreso quello per rappresaglia;
Intimato durante il periodo di irricedibilità previsto dalla legge sulla maternità;
Intimato per causa di matrimonio.
L’onere di provare la natura discriminatoria o illecita del licenziamento spetta,
secondo le regole generali, al lavoratore, che deve portare a sostegno della sua tesi
elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia
(Cass. 18 novembre 1997, n. 11464).
I licenziamenti collettivi
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Possono porre in essere un licenziamento collettivo i datori di lavoro
imprenditori che occupino più di quindici dipendenti.
Condizioni: le cause che giustificano il ricorso ai licenziamenti collettivi
individuati dalla legge, sono:
la riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro;
la cessazione dell’attività.
L’ipotesi di licenziamento collettivo si verifica quando il datore di lavoro
intende effettuare nell’arco di 120 giorni almeno 5 licenziamenti nell’unità
produttiva oppure in più unità produttive nell’ambito della stessa provincia.
La normativa si applica a tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di
tempo, e nello stesso ambito territoriale, siano riconducibili alla medesima
riduzione o trasformazione.
Qualora non sussista il requisito quantitativo o quello temporale o in
assenza di entrambi, si configura un’ipotesi di licenziamento plurimo per
giustificato motivo oggettivo.
è sempre necessario verificare la sussistenza di un nesso di causalità tra
la trasformazione produttiva effettuata ed il ridimensionamento del numero
dei dipendenti nonché un nesso di congruità tra gli stessi.
I criteri di scelta
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I criteri da adottare nella scelta dei lavoratori da collocare in mobilità si
differenziano a seconda che sia stato raggiunto o meno un accordo
sindacale.
Nel primo caso, i criteri vengono concordati con i sindacati sulla base delle
esigenze tecnico produttive ed organizzative: l’accordo può prevedere criteri
di scelta astratti o indicare concretamente i singoli lavoratori da porre in
mobilità.
In mancanza dell’accordo sono previsti dalla legge precisi criteri da seguire
in concorso tra di loro: carichi di famiglia, anzianità di servizio; esigenze
tecnico produttive organizzative.
La comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere
effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza (artt. 1175;
1375 c.c.), inteso come regola di equilibrata conciliazione dei conflittuali
interessi delle parti.
La comparazione inoltre deve essere effettuata nell’ambito dell’intero
complesso organizzativo e produttivo.
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