Le ceneri di Gramsci
di GIANLUCA GATTI
1957. Pier Paolo Pasolini pubblica per l’editrice Garzanti Le ceneri di Gramsci. Sottotitolo Poem
etti
.
v
Il volume raccoglie undici poesie, già comparse tra il ‘51 e il ‘56 su alcune riviste e opuscoli
letterari. Le ceneri di Gramsci è anche il titolo di una delle liriche più ispirate che figurano
nell’opera. Siamo ad appena un anno di distanza dal 1956, l’
annu
s horribilis
per la storia della cultura comunista e dei paesi che si richiamano all’esperienza del cosiddetto
socialismo reale: al processo di “destalinizzazione” avviato da Kruscev nel XX Congresso del
PCUS (14-26 febbraio) fa seguito l’invasione sovietica dell’Ungheria (23 ottobre-10 novembre).
Stretto tra le speranze e le disillusioni di un “socialismo dal volto umano”, l’universo politico
della sinistra italiana, ma non solo, è attraversato da fratture e contraddizioni destinate a non
ricomporsi mai più.
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In questo scenario va inquadrata la riflessione poetica di Pasolini. Roma, tra le borgate dello
storico quartiere Testaccio. Qui, nel Cimitero acattolico, (noto anche come Cimitero degli
Inglesi), riposano le spoglie mortali di Antonio Gramsci, accanto a quelle di Keats e Shelley. Il
Poeta è solo dinanzi alla sua tomba. Inizia tra i due una “corrispondenza d’amorosi sensi” di
foscoliana memoria, un colloquio intimo con quel lucidissimo e infaticabile “cervello” al quale il
Regime fascista volle “impedire per almeno vent’anni di pensare”, adoperando ogni mezzo
possibile: l’arresto, il confino, la carcerazione, la morte.
Che il vento della storia sia cambiato lo indica già chiaramente l’incipit della prima strofa: «Non
è di maggio questa impura aria/che il buio giardino straniero/ fa ancor più buio, o l’abbaglia
». Gli occhi del Poeta lumeggiano un Gramsci mortale, percepito come “
umile fratello
” e destinato “
a riposare in questo sito/estraneo, ancora confinato
”. Sono questa condizione esistenziale di finitudine, di rigore etico e passione civile, così
tragicamente inattuali e marginali, ieri come oggi, a destare l’attenzione empatica di Pasolini
verso il Pensatore comunista, non tanto il suo
status
di “
padre
” nobile di una tradizione politica e culturale.
Umanissima e lacerante la pietas che avvicina e al tempo stesso separa le due figure: «Lo
scandalo del contraddirmi, dell’essere/ con te e contro te; con te nel cuore,/ in luce, con te nelle
buie viscere
». Quell’attrazione erotica ed estetica del Poeta per la religiosità popolare dei “ragazzi di vita”
delle borgate romane è stata vissuta invece da Gramsci nella dimensione della fatica
concettuale e della “millenaria” lotta sociale.
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Tra le feritoie di questa distanza umana e temporale che attraversa il “maggio italiano”, da
Gramsci a Pasolini, dagli anni dell’ardore politico che resiste e sfida la repressione del
Ventennio, dalle rinate speranze dopo la lotta partigiana di liberazione, alle tendenze regressive
della moderna “civiltà dei consumi”, si leva l’interrogativo angosciato del Poeta che chiude il
componimento e bussa forte alle porte dei nostri mala tempora: «Ma io, con il cuore cosciente/
di chi soltanto nella vita ha vita, potrò mai più con pura passione operare,/ se so che la nostra
storia è finita?
».
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