Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.
Noi
nell
’’Io
dell
Anno XXX - n° 2 - ottobre 2013
impero
Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI
UN METODO ESCLUSIVO E ORIGINALE
COS’È
Il metodo di lavoro di Attivecomeprima nasce dall’incontro e dall’ascolto delle
persone ammalate di cancro e consente di intervenire sugli aspetti traumatici
di tale esperienza, evitando che gli stessi blocchino le persone nella sofferenza,
nella paura e nell’esclusione dalla vita.
OBIETTIVI
Ridurre l’effetto traumatico dell’esperienza del cancro, favorire la riattivazione
della capacità di dare prospettiva alla vita, anche sostenendo i processi
di cambiamento e di evoluzione personale che spesso caratterizzano le reazioni
alle situazioni traumatiche.
COME
FUNZIONA
Un’équipe multi-professionale e integrata permette di gestire al meglio
la gamma dei bisogni che le persone esprimono, attraverso differenti strumenti
di intervento in ambito psicologico, medico e psicofisico.
Gli aspetti traumatici riguardano da vicino anche la famiglia della persona
ammalata ed è per questo che il metodo di Attivecomeprima si rivolge anche
ai caregiver e ai figli adolescenti e giovani adulti.
RISULTATI
VERIFICATI
• Potenziamento delle risorse psicofisiche durante le terapie oncologiche
• Riduzione della depressione e della fragilità emotiva
• Rafforzamento dell’autostima, dell’assertività e dell’autonomia
• Riduzione della dipendenza emotiva, pratica ed economica a livello
famigliare e sociale
• Maggior attivazione delle risorse personali per contribuire al buon esito
delle terapie oncologiche
Tutte le competenze tecniche e cliniche dei professionisti che conducono le attività dell’Associazione
sono messe al servizio degli obiettivi del metodo, dando vita a modalità specifiche e originali di lavoro.
Dal 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro
Editoriale
Trasformare un evento traumatico in un’opportunità
per non rinunciare a vivere ma per rinnovare
il senso della vita non è certo facile, ma è possibile.
ATTIVEcomeprima Onlus
Via Livigno 3,
20158 Milano
Tel 026889647
Fax 026887898
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www.attive.org
Consiglio Direttivo:
Ada Burrone, Alberto Ricciuti,
Arianna Leccese, Maria Lisa Di Latte,
Giovannacarla Rolando.
Collegio dei Sindaci:
Mauro Bracco, Flavio Brenna,
Luciana Dolci, Giusi Lamicela,
Carlo Vitali.
Comitato Scientifico:
Stefano Gastaldi, Paola Bertolotti,
Fabio Baticci, Franco Berrino,
Nicoletta Buchal, Chiara Caldi,
Massimo Callegari, Salvo Catania,
Alberto Costa, Francesco Della Beffa,
Roberto Labianca, Marina Negri,
Willy Pasini, Manuela Provantini,
Alberto Ricciuti, Giorgio Secreto,
Sandro Spinsanti, Paolo Veronesi,
Umberto Veronesi, Claudio Verusio.
Un pescatore una volta mi ha raccontato una storia.
L’aragosta è un animale che ha lo scheletro all’esterno
del proprio corpo.
Man mano che cresce, il carapace diventa sempre
più stretto e, ad un certo punto, l’animale deve per forza
cambiarlo. Non c’è altra scelta.
Così, il “guscio” si rompe e l’aragosta rimane per settimane
senza alcuna protezione, in balia di ogni genere di predatore
o pericolo.
È logico che in quel periodo lei rischi la vita per la
sua fragilità, ma nello stesso momento, sta costruendo una
nuova struttura, più robusta di prima.
Questo rende l’idea di quanto, di fronte a circostanze
inevitabili, la nostra capacità di conformarci
al cambiamento è ciò che ci consente di stare nella vita.
Di questa metamorfosi è testimone una donna famosa
e speciale che abbiamo intervistato per voi.
A lei va il nostro grazie e la nostra profonda ammirazione.
Per tradizione, ATTIVEcomeprima
Onlus offre la Presidenza Onoraria
al Sindaco di Milano.
Ringraziamo i nostri collaboratori e fornitori per il contributo alla realizzazione e alla qualità di questa rivista. Un grazie particolare
alla Fotolito ABC per l’omaggio degli impianti di stampa e alla Fondazione Johnson & Johnson per il contributo alla stampa.
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3
RIVISTA
ATTIVE
RIPROGETTIAMO
L’ESISTENZA,
DECIDO DI VIVERE,
LA TERAPIA DEGLI
AFFETTI
Testi utilizzati per
la conduzione dei
gruppi di sostegno
psicologico*
Viene offerta
a tutti coloro
che sostengono
l’Associazione
tempo
il
’
empatia
dell
Anno XXX - n° 1 - maggio 2013
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LA FORZA DI VIVERE
PER AFFRONTARE
CON ARMONIA
IL CAMBIAMENTO
di Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Edizione
ATTIVEcomeprima
LA TERAPIA
DI SUPPORTO DI
MEDICINA
GENERALE IN
CHEMIOTERAPIA
ONCOLOGICA
di Alberto Ricciuti
Edizione
FrancoAngeli
LA DANZA
DELLA VITA
Le esperienze più
straordinarie della
mia esistenza
di Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Edizione
FrancoAngeli
M’amo
non m’amo
Ada Burrone
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Relax dei Colori
a cura di Maria Grazia Unito
Rilassamento
ALIMENTARE
IL BENESSERE
Franco Berrino
LA FORZA
DI CAMBIARE
Paola Bertolotti
LA TERAPIA
DEGLI AFFETTI
Stefano Gastaldi
Edizione
FrancoAngeli
Self-help
LA FORZA
DI VIVERE
Cofanetto
di 10 opuscoli
a cura di
ATTIVEcomeprima
...E POI CAMBIA
LA VITA
Parlano i medici
le donne
gli psicologi
a cura di
ATTIVEcomeprima
Edizione
FrancoAngeli/Self-help
Silenzio
a cura di Marina Negri
a cura di Paola Bertolotti
* Riservati agli psicologi e alle fiduciarie che partecipano
ai nostri incontri formativi
Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI
TRE CD-AUDIO
PER RITROVARE
IL GIUSTO RELAX
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M’AMO,
NON M’AMO
di Ada Burrone
Edizione
ATTIVEcomeprima
LETTERA AI MEDICI
DI DOMANI
La paura è
contagiosa,
ma lo è anche
la speranza
A cura di
Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Potete richiederli tutti alla nostra Segreteria tel. 026889647 email: [email protected]
LO SPAZIO UMANO
TRA MALATO
E MEDICO
Parlano medici,
pazienti, psicologi
A CURA DI
ATTIVECOMEPRIMA
Il Pensiero Scientifico
Editore
QUANDO IL MEDICO
DIVENTA PAZIENTE
La prima indagine in
Italia sui medici che
vivono o hanno vissuto
l’esperienza del cancro
a cura di
ATTIVEcomeprima
e Fondazione Aiom
Edizione FrancoAngeli
PAPAVERI
E FIORDALISI
La scuola della vita
di
Ada Burrone
Edizione
FrancoAngeli
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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.
Sommario
Periodico trimestrale
Anno XXX - N° 2
Ottobre 2013
Sped. abb. post. 70%
Filiale di Milano
La rivista è posta sotto la tutela delle leggi
della stampa. Gli articoli pubblicati
impegnano esclusivamente la responsabilità
degli autori. La riproduzione scritta
dei lavori pubblicati è permessa solo dietro
autorizzazione scritta della Direzione
Direttore responsabile:
Ada Burrone
Vice Direttore:
Paola Bertolotti
Redazione:
Caterina Ammassari
Hanno collaborato:
Serena Ali, Caterina Ammassari,
Angela Angarano, Franco Berrino,
Paola Bertolotti, Ada Burrone,
Maurizio Cantore, Daniela Condorelli,
Monica Faganello, Stefano Gastaldi,
Benedetta Giovannini, Manuela Provantini,
Alberto Ricciuti, Sandro Spinsanti.
Proprietà della testata:
© Ass. ATTIVEcomeprima Onlus
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ATTIVEcomeprima ONLUS
Autorizzazione del Tribunale di Milano
n° 39 del 28/1/1984
L’Associazione è iscritta:
-All’Albo delle Associazioni,
Movimenti e Organizzazioni delle donne
della Regione Lombardia
-Al Registro dell’Associazionismo
della Provincia di Milano
-Al Registro Anagrafico delle Associazioni
del Comune di Milano
-All’Albo delle Associazioni della Zona 9
del Comune di Milano
-Alla Società Italiana di Psiconcologia
(S.I.P.O.)
-Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle
Associazioni di Volontariato in Oncologia)
ATTIVEcomeprima aderisce
al movimento di opinione
“Europa Donna Italia”
Editoriale
pag. 03
AVVENTURA
La casa di Api / Caterina Ammassari
pag. 06
TRA MEDICO E PAZIENTE
Donatori di musica / Maurizio Cantore e Alberto Ricciuti
pag. 10
VIVERE IL CAMBIAMENTO
Un po’ di coraggio e un po’ di follia / Paola Bertolotti
pag. 12
IL LINGUAGGIO DEGLI AFFETTI
Noi, nell’impero dell’Io / Stefano Gastaldi
pag. 16
CAREGIVER
Un’altra vita inizia / Manuela Provantini
pag. 18
LE VOSTRE LETTERE
Cara Ada / Ada Burrone pag. 20
LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMO
Il tempo come cura / Sandro Spinsanti
pag. 22
NUTRIRE IL BENESSERE
I 4 pilastri alimentari della prevenzione
della recidiva del cancro / Franco Berrino
Le ricette di Angela / Angela Angarano
pag. 24
pag. 26
Letti e piaciuti / a cura di Serena Ali
pag. 27
Sapevate che... / Benedetta Giovannini
pag. 27
PROFILI
Giusy Versace / Monica Faganello
pag. 28
Noi con gli Altri
pag. 31
Avventura
La casa
di Api
6
Erano anni che desideravo fare quel viaggio. Quel luogo per me era come un sogno
irrealizzabile, una meta quasi inconcepibile
da raggiungere. Ne avevo sentito parlare
per la prima volta in un libro che raccontava
la vita di un monaco indiano e del suo percorso di realizzazione del sé, durato un’intera esistenza. Nelle pagine di quel lungo
racconto, il monaco parlava di vera ricerca
spirituale, di rinuncia, di sprazzi d’infinito,
di realizzazione divina e, tra le altre meravigliose argomentazioni, di un posto particolare: un luogo fisico e metafisico che aveva
conquistato la mia attenzione, la mia mente,
la mia immaginazione, ma soprattutto la
mia anima. Come un richiamo profondo diretto al cuore, come un faro che con la sua
luce guida un viaggiatore confuso, dentro di
me si stava formando pian piano un desiderio sempre più consapevole e determinato:
un giorno sarei andata alla grotta di Babaji,
sull’Himalaya.
In questa grotta, secondo il racconto, Babaji
ha meditato per millenni, superando i limiti
dello spazio e del tempo, per portare all’umanità il suo messaggio: “La mia natura è
amore, perché solo l’amore può cambiare il
mondo”.
Ma dove iniziava il romanzo? Dove la realtà?
Solo io potevo scoprirlo.
Ed è così che è iniziato il mio viaggio in India,
verso l’Himalaya. È davvero strano come a
volte, mentre teniamo bene fissa di fronte agli
occhi la nostra meta, accadano attorno a noi
innumerevoli avvenimenti, capitino sul nostro
percorso persone, messaggi, indicazioni, brevi
deviazioni. Se però le energie sono canalizzate
in modo armonioso, scopriamo poi, guardandoci indietro, che tutto faceva parte non solo
del percorso, ma anche della meta stessa. Anzi,
forse tutti questi elementi erano la vera meta...
Dico questo perché per me riuscire a raggiungere la grotta della quale avevo tanto letto nei
libri e che avevo sentito nominare tra i devoti
dello stesso Babaji, è stato un vero viaggio
fuori e dentro di me. Non si trattava più di
prendere un aereo, fare nove ore di volo,
viaggiare tutta la notte in treno, affittare un
taxi, arrampicarsi per tre ore su un sentiero di
montagna - che la storia narra essere infestato da giaguari e serpenti - fino a giungere
finalmente sulla soglia di quel luogo che
7
Ma dove iniziava
il romanzo?
Dove la realtà?
Solo io potevo
scoprirlo.
8
sentivo profondamente mio e, allo stesso tempo,
dell’intera umanità.
Questa era solo l’apparenza delle cose. Il vero
viaggio, ho compreso solo più tardi, era fatto di tanti
piccoli “tasselli”, di gradini messi in fila, di elementi
puri come specchi, posti lì davanti a me per farmi
comprendere meglio il “senso del tutto”...
La ragazzina indiana che sta stendendo il bucato
appena sotto al balcone della guest-house dove alloggio guarda in su, mi vede e mi sorride. Mi fa cenno che il vestito indiano che indosso è proprio bello.
In effetti è un vestito un po’ speciale che ho comprato in un negozio di Bangalore anni prima, è uno
dei miei preferiti per i suoi colori e per i ricami. Con
una naturalezza da amica di sempre, mi fa cenno di
scendere, di seguirla: mi vuole invitare a casa sua.
Io tentenno, poi accetto, sono sola in quel momento,
gli altri componenti del mio gruppo sono fuori in
cerca di una guida per il giorno dopo. Non mi aspettavo di essere invitata, non mi aspettavo che volesse
conoscermi. La seguo, scendo le scale, la raggiungo
su una terrazza di cemento armato, percorro, in
bilico, dopo di lei altri gradini di una scala di alluminio appena appoggiata a un muro, scavalco della
spazzatura, evito degli spuntoni di ferro e finalmente
sono davanti alla porta della sua casa, una baracca
di cemento. Mi dice che si chiama Api ed è veramente bellissima: i capelli lisci e neri, lucidi di olio
al gelsomino, un vestitino semplice ma che le dona
molto, gli occhi luminosi e gioiosi. Tutto avviene in
modo spontaneo, naturale. È da sola con il fratellino,
la mamma e il papà sono a lavoro, entro nella loro
casa: è un’unica stanza, un letto grande, le pareti
colorate verde bosco, un divano accostato al muro,
Ganesh, il Dio della fortuna, appeso in un’immagine
scolorita. Non posso dire che la camera sia pulita,
le pareti sono annerite di muffa, la coperta sul letto
è umida e macchiata ma Api mi apre il cuore, mi fa
sentire incredibilmente “a casa”, normalmente.
Mi vuole offrire un chai, il tè nero, speziato e dolce,
il “benvenuto” in India; mi dice con i gesti di aspettare. Rimango lì seduta e mi sembra quasi di essere
un ospite che stavano aspettando da tempo e che
finalmente è arrivato. Il fratellino si mette seduto
sul letto, lui parla un buon inglese, mi dice che va a
scuola, che studia. Gli chiedo quale sia la sua materia preferita. Mi risponde che va bene in matematica e subito dopo mi fa vedere che alla televisione
stanno trasmettendo i suoi cartoni animati preferiti:
Dragon ball, in hindi. I bambini sono proprio tutti
uguali...
Api rientra con un vassoietto di metallo, sopra ci
sono tre piccoli bicchieri di vetro. Mi offre il tè e
con il mio poco hindi le dico shukriya, grazie. In
quel momento la mia parte razionale, rigorosa e
piena di schemi inutili mi dice: “Sei allergica al latte.
Non puoi berlo”. E poi ovviamente: “L’avranno fatto
bollire? Avranno lavato il bicchiere?”. Allora mi dico:
“Chissenefrega. Questo è un momento unico, tutta
questa è un’esperienza che non dimenticherò”. E
così assaggio il chai, beviamo insieme, mi rendo
conto che sto
condividendo
qualcosa di più di
una tazza di tè, sto
condividendo vita.
Sono stata invitata
a sentirmi parte
di quella famiglia,
della loro casa o
forse, in un istante
condensato,
dell’intera India.
Parliamo ancora
della scuola, dei
cartoni animati,
finisco quel tè
delizioso e penso
che, nonostante
la mia intolleranza
ai latticini, non
mi farà affatto
male; anzi: mi
sento riscaldata dentro, in quella giornata di pioggia
himalayana, dopo la stanchezza di un viaggio in jeep
così impegnativo.
Il tè è finito, esco da quella casa con il cuore leggero, sono felice e non so perché.
Saluto Api e il suo fratellino tornando nella mia
stanza. I miei compagni di viaggio sono rientrati e
io conservo dentro di me quell’esperienza vissuta,
senza dire nulla a nessuno.
La mattina dopo siamo tutti svegli presto, c’è ancora
molta strada da fare in macchina, gli zaini sono
chiusi, tranne il mio. Sento che qualcosa è
rimasto in sospeso, devo chiudere un cerchio. È facile capire cosa devo fare: il vestito
indiano. Piego con cura la casacca arancione,
i pantaloni ampi e la sciarpa abbinata e con un’emozione quasi infantile, una gioia infinita, metto
tutto in un sacchetto. E il fratellino di Api? Mi ricordo
di avere nella borsa delle matite colorate e un quaderno a righe. Scrivo su un foglio una breve frase e
a lettere grandi “TO API” e lo attacco al sacchetto
dove ho messo tutto.
Senza dire niente ai miei amici, ripercorro a ritroso la strada del giorno prima, ormai sono “una di
casa”, spero che non ci sia nessuno perché voglio
che sia davvero una sorpresa per Api. Per fortuna la
porta è chiusa e posso così lasciare il mio piccolo
dono proprio vicino
all’entrata. Come
una ladra (ma
che non porta via
nulla, anzi) ritorno
all’hotel, chiudo le
valigie e, guardandomi indietro in
macchina, riparto
per la tappa seguente.
Così si che sono
in pace. Così si
che ho chiuso il
cerchio. A volte mi
piace immaginare
l’espressione che
Api deve aver
fatto trovando il
sacchetto davanti
alla porta di casa.
Ora anche lei
ha qualcosa di me. Io ho tanto di lei, una grande
ricchezza. È proprio vero che se solo ci fermiamo a
“vedere” cosa c’è attorno a noi, oltre che a “guardare”, possiamo scorgere un “qualcosa di buono” che
pervade tutti e tutto. È un qualcosa che ci fa sentire
a casa, anche a distanza di migliaia di chilometri
dalla nostra famiglia, è un’energia che apre il cuore,
è una comunicazione non verbale che mette in
sintonia un essere umano con un altro.
È il bene che c’è in ognuno di noi, il bene che immediatamente riconosciamo perché risuona in noi, è
parte di noi.
E allora mi vengono in mente le parole del
Santo Babaji e penso che forse lui abbia davvero ragione: la nostra natura è Amore...
Caterina Ammassari.
Relazioni esterne Attivecomeprima Onlus.
9
Tra medico e paziente
Il 26 giugno scorso, mi trovavo a Firenze al
Convegno “La guarigione possibile nelle malattie oncologiche”, organizzato da Cittadinanzattiva Onlus con l’Istituto Toscano Tumori, per
partecipare alla tavola rotonda “Interazione dei
saperi nell’umanizzazione delle cure”.
Tra i relatori Maurizio Cantore, oncologo, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’ospedale di Carrara e fondatore di “Donatori di Musica”, una rete – come si legge sul sito
www.donatoridimusica.it – di musicisti, medici e volontari,
nata nel 2009 per realizzare e coordinare stagioni di concerti negli
ospedali. Un’Associazione alla quale la Fondazione Langer ha
conferito, il 5 luglio, il prestigioso Premio Alexander Langer 2013.
Come Cantore ha raccontato con toni appassionati durante la
sua relazione, questa straordinaria idea è maturata improvvisamente un giorno di fronte a un suo nuovo paziente, un
musicista malato di cancro, nel quale Cantore riaccese il senso
della vita con una semplice domanda: “Perché non mi dà una
mano a portare un po’ di musica in ospedale?”. E così ha
preso corpo e avvio una vera e propria stagione concertistica
che ogni anno, nei diversi ospedali italiani che hanno fatto
propria questa geniale intuizione, aggiunge vita agli anni non
solo delle persone ricoverate, ma di tutto lo staff ospedaliero e
degli stessi famigliari che condividono insieme, senza barriere,
l’esperienza umana, emotiva e risanante che la profondità
e l’universalità del linguaggio musicale sanno accendere in
ognuno di noi quando toccano le corde del cuore.
E così accade quando una sala d’ospedale si trasforma in
sala da concerto, quando le presenze che la riempiono, non
più vestite e protette dai loro ruoli, condividono la magia di un
evento che arricchisce di vita lo spazio e il tempo della cura.
Un evento reso possibile grazie a donatori di musica di grande
generosità umana e qualità professionale: da Giovanni Allevi a
Renzo Arbore, da Carlotta Nobile a Martin Berkofski, da Enrico
Dindo a Stefano Bollani e molti, molti altri.
Alla sera sul Frecciarossa, tornando a Milano, guardando la
campagna che scorreva veloce sotto i miei occhi, riascoltavo
nella mente le parole di Maurizio immaginando le persone, le
musiche, il clima del concerto. Il giorno dopo gli ho telefonato
e, ben consapevole che un evento musicale va vissuto, gli
ho chiesto comunque di raccontarci... di donarci un piccolo
frammento di quella magia. E lui, con generoso e sincero
entusiasmo, l’ha fatto.
Alberto Ricciuti. Medico di medicina generale.
Responsabile in Associazione del servizio di Supporto
di Medicina Generale durante la chemioterapia.
Donatori di
Musica
Chiedo sempre agli studenti delle scuole superiori
di fare un sogno e di disegnare il reparto ospedaliero che vorrebbero. Non mi è mai capitato che
l’immaginazione più audace di qualsiasi studente
abbia raggiunto la bellezza del nostro quarto piano.
Gli spazi che cambiano e si trasformano per accogliere al meglio le persone, il tempo riempito da
momenti di conoscenza, di condivisione, di sereni-
tà, le persone che rimangono tali anche se hanno
un camice o un pigiama.
In questo mondo non “favoloso di Amélie”, ma
reale, concreto, si è sviluppato il progetto Donatori
di Musica diventato in sei anni una realtà non solo
a Carrara ma anche a Bolzano, Brescia, Sondrio,
Saronno, Vicenza, Roma. Modalità poco diverse,
espressione del desiderio di aggiungere qualcosa
di proprio a una “rivoluzione” silenziosa alla quale
non si riesce a resistere. Perché si vive meglio, si
lavora meglio e si diventa persone migliori.
In questo mondo in rapida espansione, l’ammalato
non è al centro di coloro i quali lo debbono aiutare
o curare, ma è al loro fianco, con diritti sì, ma anche doveri principalmente verso se stesso, dovere
di sapere, dovere di chiedere, dovere di aprirsi:
insomma, dovere di non morire dentro perché
otto etti di tumore hanno preso residenza nel suo
stesso stabile.
Il primo risultato che Donatori di Musica produce è
lo scoprire la voglia di riattivare quei processi che
quasi sempre si spengono: la progettazione e la
speranza.
È stato così per Gianandrea Lodovici, critico musicale e produttore discografico, che nel giugno del
2007 è entrato nel mio studio di Carrara per fare un
piacere alla moglie: dopo un anno di chemioterapie
risultate inutili, cercava “l’ultima spiaggia” in nuove
terapie. La sua vita era stata per la musica e dentro
la musica aveva abitato per i suoi 47 anni, ma era
un anno che alla musica si era sostituito il tumore
e le sue cure. In quella prima visita non abbiamo
parlato di tumore, ma gli ho parlato del bisogno che
avevamo noi (i suoi possibili curanti) di lui, per fare
entrare la musica nel nostro reparto non come concerto unico ma proprio come stagioni musicali. Ed
ecco subito il primo miracolo, i suoi occhi che fino
a quel momento guardavano oltre il mio camice,
immediatamente si riaccendono e acquistano una
luce ormai spenta. E da allora la Musica non è più
mancata nel nostro reparto oncologico dove tutti
i mercoledì un artista suona. Oltre 150 concerti e
oltre 7.000 pigiami lasciati sul letto - perché
al concerto si viene vestiti e truccati, proprio
come quando a trovarti in casa viene un amico
importante.
La musica è un mezzo straordinario per creare
una relazione in cui è più facile parlare, spiegare,
chiedere. Rappresenta il terreno fertile per la reale
condivisione delle scelte, ben più vera e sincera
dell’attuale consenso informato per legge richiesto.
Del concerto tutte le fasi sono importanti: la preparazione che attiva il volontario grafico a fare la
locandina, il volontario PR a prenotare alberghi e a
tenere i contatti con gli artisti, la fase del concerto
dove i volontari fotografi e cameraman si superano
per fissare quegli attimi indimenticabili, la fase del
buffet dove i volontari si sfidano all’ultimo fornello
e dove i piatti e le tradizioni dei malati indigeni si
fondono con quelle degli extra-muros.
È un apparente caos perché non esistono etichette:
tu sei malato, tu sei infermiere, tu volontario, tu
artista, tu accompagnatore sano. Questo può essere
destabilizzante perché l’etichetta permette a noi
medici di mantenere quel distacco per “sopravvivere” e serve al malato per mantenere “fiducia nella
professionalità” di un medico serio.
Non è così, non è così.
Donandosi sempre di più, nuovi canali comunicativi
si aprono, veloci autostrade di conoscenza si svelano ed è più facile fare quelle scelte terapeutiche che
nascono si dalla evidenza scientifica, ma si arricchiscono dei reali desideri di ogni malato, fino ad allora
molto spesso nascosti o cancellati.
Ma di tutte le fasi dei concerti di Donatori di Musica
quelle più importanti sono tutti i giorni dopo. Non
servirebbe a niente avere assistito al più grande
ed emozionante concerto del secolo se tutti i giorni
successivi non venisse mantenuta quella magica
relazione che si è creata DURANTE il concerto.
Ecco perché la bellezza e la grandezza della rivoluzione di Donatori di Musica si vede ancora
di più in tutti i giorni dopo, proprio nella
quotidianità fatta di vittorie e di sconfitte,
fatta di lacrime ed abbracci.
Fatta di scienza, di carne e di cuore.
Maurizio Cantore.
Direttore di Oncologia Medica Massa e Carrara – Ospedale di Carrara.
11
Vivere il cambiamento
Un po’di
coraggio
un
e
po’ di
follia
È passato un anno da quando ti ho conosciuta
e ho ancora presente la tua immagine di allora...
chiusa, confusa e dolorosamente arrabbiata.
12
Ricordo anch’io, ero sconcertata e sopraffatta da qualcosa che mi aveva completamente sconvolto i piani della
vita. Quando mi sono ammalata avevo appena compiuto
37 anni e avevo grandi sogni!
Sono arrivata qui ad Attive pochissimo tempo dopo l’intervento. Il tumore mi è stato diagnosticato nel dicembre
2010, sono stata operata a gennaio e sono arrivata qui a
febbraio. Ero completamente sotto shock. Chiesi al mio
psicologo, da cui andavo da un po’ di anni, se conosceva
qualche associazione perché sentivo l’esigenza di un
confronto e di condividere. Avevo bisogno di persone che
potessero capirmi di più. Venire qui mi è servito tantissimo, infatti continuo a farlo. Attualmente sto seguendo la
Terapia degli Affetti.
Come potresti definire il tuo shock?
Un dramma, un dramma enorme, che c’è ancora, che
credo non potrò dimenticare.
Il mio era un tumore all’utero e anche abbastanza
aggressivo.
Mi sono sentita strappare qualcosa che per me era
davvero importante, perché ho sempre desiderato avere
dei figli.
Nel giro di quindici giorni mi sono ritrovata operata, senza
utero e ovaie, in menopausa forzata. Le prime cose che
ti vengono in mente sono: “Perché non ho avuto figli
prima? Perché è dovuto capitare a me?”. Mi sono sentita
in colpa, perché il mio era un papilloma virus che è poi
diventato tumore. Tantissimi medici e ginecologi mi hanno
assicurato che prevenirlo era impossibile, ma il senso di
colpa è grande.
La rabbia da dove scaturiva in quel momento?
Scaturiva dal sentirmi defraudata di un bene prezioso, ma
soprattutto dal fatto di non aver avuto scelta né speranza che le cose si potessero aggiustare. Dopo il primo
responso all’Ospedale Niguarda, sono andata al Centro
Tumori perché non volevo neanche pensare di dovermi
operare.
Però non c’era molto tempo, dovevo prendere una decisione in pochi giorni. Sono riuscita ad avere un appuntamento al Centro Tumori con una ginecologa oncologa che
purtroppo mi ha confermato la diagnosi. Mi è caduto il
mondo addosso.
Dal giorno della notizia sono entrata in uno stato che
potrei definire “vegetativo”.
Ricordo i dieci giorni di attesa tra il “verdetto” e l’intervento come surreali e terribili, non so come ho fatto a
sopravvivere e
la tentazione di
buttarmi dalla finestra
era abbastanza forte.
Avevi il progetto di un figlio in
quel periodo?
No, negli anni avevo vissuto una convivenza ma
non avevo voluto figli, perché sentivo che il rapporto
con il mio compagno non era abbastanza solido. In quel
periodo avevo molte cose da fare ed ero convinta di avere
tutta la vita davanti. Quando mi sono ammalata, stavo con
una persona da poco tempo, anche se ci conoscevamo
da tanto. Amando molto questa persona, l’idea di avere
un figlio si era ripresentata.
Purtroppo questa persona non si è rivelata all’altezza
della situazione e se n’è andata. È stato un doppio
trauma. Mi sono sentita strappare violentemente da una “mano cattiva”, sia dalla
persona che amavo, sia dalla possibilità di avere un figlio. Per la prima
volta nella mia vita, ho sentito
di non poter in nessun
modo contrastare questa
cosa, di non poter fare nulla per evitarla. Credo che una
sensazione così forte di impotenza e di paura non fosse
solo legata alla malattia.
La malattia l’ho vissuta dopo. All’inizio non era il mio principale pensiero, non avevo paura di morire. Il trauma è
stato il dover togliere l’utero. Ora, a fatica, riesco a vedere
la questione anche da un altro punto di vista.
Quando sei arrivata ad Attive eri concentrata su:
“Non posso più avere figli”. Come ti ha aiutato il
percorso fatto qui?
Sono uscita dallo shock, da quello stato mentale di vita
che non era vita, in balia di una nebbia che non riuscivo
a contenere e ad analizzare. Mi è servito per uscire da
questa sensazione ed è stato già un grosso cambiamento. Il dolore di non poter avere bambini c’è sempre, c’è
ancora. Ricordo tante cose successe nel gruppo, frasi che
hai detto, frasi che ho preso dalle altre donne. Ce ne sono
alcune in particolare a cui ancora oggi ripenso di tanto
in tanto, che mi ricorderò sempre e che mi sono servite
molto. In particolare, mi ricordo un’immagine che tu hai
dato una volta per descrivere questo dolore che c’è e ci
sarà... mi hai detto: “Questo dolore rimarrà sempre in te,
da qualche parte. L’importante è che rimanga un pacchettino chiuso in un cassetto, perché non invada tutto il
resto della tua vita. Ma lo porterai sempre con te”.
Ed è così. È così, nel senso
che io ho ricominciato a
vivere, anche se con
grossi problemi
ancora. A volte mi
ritorna la paura,
il malessere, il rapporto
con la mia femminilità che,
a questo punto, appurato che
non posso avere figli, è il problema
più grosso.
L’idea di avvicinarmi ad un uomo in questo momento è un grosso scoglio, ho paura
di ritrovarmi nel momento in cui dovrò svelare la
mia realtà.
Ma non per tutti gli uomini è essenziale avere figli...
Lo so, però in parte la mia paura è legata al non poter
avere figli, ma in parte è legata al fatto di non avere più
l’utero, le mestruazioni, al fatto che l’intervento ha lasciato cicatrici interne, insomma ci sono delle difficoltà nel
considerarmi ancora una donna. Il mio ginecologo mi ha
detto che è tutto superabile e che devo solo darmi tempo.
Ed è vero, però ho provato con una persona che mi vuole
molto bene e che mi ha sostenuta e accompagnata in
questo mio percorso. Mi sentivo tutelata in quel momento, ma era dichiaratamente un esperimento. È diverso
dal conoscere una persona nuova e mettersi in gioco in
modo completo. Questo mi spaventa molto.
Occorre un po’ di coraggio, un po’ di follia a rilanciarsi nella vita dopo un’esperienza così carica di
dolore. Ed è comprensibile aver paura di entrare in
relazione con qualcuno o qualcosa che forse potrebbe deluderci... Chiudersi
alle nuove esperienze
13
senz’altro preserva dalle
delusioni. Però è come tirar su un
ponte levatoio... non entrano i nemici, ma nemmeno
gli amici...!
Sì, è proprio così, me ne rendo conto. Forse riuscirò a
sentirmi nuovamente fiduciosa quando avrò accettato
questa mia condizione e mi sarò adattata a quelle difficoltà che non sono solo nella mia testa, ma sono difficoltà
reali. Un cambiamento che mai avrei pensato!
Gli amici li ho trovati qui. Mi sono sentita accolta, non
giudicata, più che da ogni altra parte, perché chi certe
cose non le ha vissute ti può aiutare meno, pur provandoci. Ho trovato il modo per affrontare gli altri e me stessa,
sapendo di dovermi un po’ ricostruire da zero. Non è
che mi sono persa di vista nella malattia, io ci sono, ma
sommersa sotto tutto quello che questa malattia si è
portata dietro.
Tante cose sembrano impossibili da tollerare e serve aiuto
umano, psicologico, anche risposte pratiche; è arrivato
tutto. Mi è servito molto capire un po’ per volta che non
ero sola, nonostante mi sentissi terribilmente sola anche
qui, soprattutto all’inizio. Il primo giorno del gruppo c’è
stato un giro di presentazioni delle donne partecipanti e
ho scoperto che tutte avevano avuto un tumore al seno.
Pensavo che nessuno potesse capire quello che provavo
io. Così è stato per un po’, poi ho capito che anche altre
persone si trovavano nella mia stessa situazione, perché,
pur avendo l’utero, a causa di chemioterapie aggressive
non potevano comunque avere figli.
Stai scoprendo desideri nuovi dentro di te, al di là dei figli?
14
Sì e so che è su questo che devo continuare a lavorare.
Inizialmente tutto mi sembrava non paragonabile all’avere
figli. Ora non dico di essere riuscita a sostituire appieno
questo desiderio con un altro, però il percorso che ho fatto mi sta portando in questa direzione. Già tempo prima
della malattia avevo in mente di prendere un cane, ma il
lavoro che mi occupava molto e la paura di non riuscire a
prendermene cura adeguatamente, mi avevano sempre
frenata. Una volta, in un incontro, in un momento in cui mi
sentivo disperata e sola, mi hai detto: “Perché non prendi
un cucciolo?”. Ora di cuccioli ne ho due e la cosa mi
riempie di gioia. A volte, quando non sono particolarmente
in forma o quando mi sento ansiosa, una delle cose che
in assoluto mi dà più gioia e serenità e mi fa sentire in
pace è stare con loro. Non mi chiedono nulla e mi danno
un affetto incondizionato.
Si è un po’ legati all’idea che essere una donna completa passi attraverso l’avere un figlio, a volte a tutti
i costi. Ma ci sono molti modi per soddisfare il proprio istinto materno e per sentirsi ugualmente donne.
Si possono aprire strade diverse, alle quali forse non
si era mai pensato. Che dici?
Ne sono convinta, anche se non è facile sganciarsi da
questa idea della maternità negata.
Per me è stato un bene, enorme, prendere il mio primo cane, salvandolo anche da una difficile condizione.
Adottando il primo cucciolo, a giugno dell’anno scorso, ho
cominciato a salvare cani. Oggi stiamo addirittura fondando una nuova Associazione, di cui sarò Vice-Presidente,
che si occuperà di aiutare cani in situazioni difficili.
Sei diventata madre di un’Associazione!
Una malattia come il cancro, che porta con sé altre
drammatiche problematiche, come tu hai raccontato,
deve necessariamente portare a qualcosa.
Può dare la possibilità di aprirsi a cose nuove,
a scoprire parti di sé che mai avremmo immaginato
di avere. Questo è il senso della malattia. Tu, anche
se dolorosamente perché devi rinunciare ad un
sogno, sei su questa strada.
Un mio grosso problema, era quello di sentire di non aver
più voglia di occuparmi degli altri ma di caricarmi di tutto
ugualmente, come ho sempre fatto. Ho posto dei limiti,
soprattutto sul lavoro. All’inizio è stato difficile farlo capire
agli altri, ancora adesso devo spesso ricordare e chiarire
delle cose. Si vede comunque che lo spirito materno ce
l’ho e gli altri lo percepiscono, approfittandosene!
Ho ridotto l’orario di lavoro, ora faccio cinque ore. Ho
meno soldi, ma questo è un problema che affronterò più
avanti. Ho più tempo per le cose che mi interessano.
È strano perché questo amore per gli animali l’ho sempre
avuto fortissimo; è come se fosse l’espressione delle
parti più deboli di me, che ho sempre cercato di tenere
in disparte. Con la malattia questa cosa è scoppiata ed
è venuta alla luce. Ora vorrei fare un corso per diventare
comportamentalista. Mia sorella sta aprendo un negozio
per la toelettatura dei cani e andrò ad aiutarla. Sicuramente voglio che il mio futuro prenda questa direzione.
Da un dolore grande sta nascendo una donna diversa.
Quel “pacchettino”, che rimarrà sempre lì, ti darà la
spinta per cambiare molte altre cose.
Mi rendo conto solo ora di quanto ero presa dal lavoro
e da mille altre responsabilità. Non me ne importa più
nulla, mi importa di fare cose che mi fanno stare bene.
Mi fa piacere poter aiutare gli altri, anche se ora sono gli
animali... poi chissà.
Penso che adesso il problema grosso sia trovare il
coraggio per una nuova relazione. Se dovessi riuscire a
superare questo ostacolo, non dico che sarebbe risolto
tutto, ma potrei vivere in maniera più felice e sentirmi di
nuovo completa.
Non sempre gli uomini sono insensibili e superficiali.
Possono anche riservare delle piacevoli sorprese.
Come dice il titolo del libro del Dott. Gastaldi: “Se li
conosci... puoi amarli”!
Nel momento del tumore sono stata abbandonata e questa
cosa è stata molto dolorosa, mi ha tolto molta fiducia.
So di non essere l’unica, purtroppo. È una malattia che
spaventa molto. Molti temono di non essere in grado di
stare a fianco di una persona che sta vivendo un’esperienza del genere, si sentono deboli e impotenti.
Alcuni riescono a farlo, altri scappano. Il mio è
scappato. Non importa, vuol dire che non ho perso
nulla di importante. Ce ne sono altri da conoscere
e magari anche da amare!
Paola Bertolotti. Psicologa e psicoterapeuta.
Conduce in Associazione i gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di vivere”.
15
Il linguaggio degli affetti
Noi
nell
’’Io
dell
16
impero
Ci facciamo tutti caso: i tempi sono cambiati.
Lo sono in tutto e non perderò tempo nell’inutile
tentativo di fare una rassegna dei cambiamenti.
Mi concentrerò invece su uno, molto particolare,
che fa da sfondo a mille cose: siamo nella società
del narcisismo, della spinta fortissima a considerare il valore della propria persona al di sopra di ogni
altro valore.
Prima del Sessantotto, nella nostra società erano i
grandi valori (politici, religiosi, famigliari, sociali) a
dettare legge e le propensioni individuali dovevano,
in qualche modo, fare i conti con essi. Ora il potere
normativo di quei valori è impallidito, per alcuni di
essi quasi scomparso. Il nostro mondo è frammentato e le persone trovano in se stesse, nei loro desideri e nelle loro ambizioni, un valore di riferimento.
Ciò è un bene per alcuni aspetti, perché la società
patriarcale, demolita in parte negli anni Sessanta e
Settanta, poteva richiedere troppi sacrifici e rinunce
personali in nome di norme rigide e spesso ingiuste, sessiste, oscurantiste. Ma in parte è anche un
male, perché l’estremo soggettivismo che si sta
affermando rende difficile comunicare con gli altri e
stabilire relazioni soddisfacenti. Ogni buona relazione comporta infatti una parziale rinuncia a se stessi,
una certa dose di “sportività”, una disponibilità
ad accogliere e accettare modi di essere e di fare
diversi da quelli che ci appartengono.
I riflessi di questi cambiamenti sociali sono enormi. Possiamo vederli nei grandi fenomeni come
nei piccoli comportamenti quotidiani. Due esempi:
le difficoltà crescenti nelle
relazioni di coppia e il
comportamento alla guida
dell’auto.
Le prime, le difficoltà di
coppia, sembrano sempre
più derivanti dalla difficoltà di
contemperare le differenze di
carattere e le diverse reciproche aspettative dei due partner.
Nella società narcisistica ciò è un
fatto grave, poiché siamo spinti a dare
alle nostre aspettative il massimo valore e
facciamo fatica ad accettare la loro delusione.
Non è facile cavarsela bene nelle paludi della
delusione e dell’offesa, che spesso viene sentita
come il massimo male e rompe il rapporto d’amore.
Anche il comportamento al volante è un indicatore
dell’attuale chiusura narcisistica. Quanti guidano pensando agli altri? Quanti
si preoccupano di rendere
il traffico agevole, di non
intralciarlo o rallentarlo,
di essere attenti alle
possibili mosse di
altri automobilisti,
mosse prevedibili, se
solo ci si pensa un
istante?
Nell’impero dell’Io
questa posizione personale diviene sempre
più rara.
Eppure il Noi esiste, è
imprescindibile e prezioso.
Nella coppia, o alla guida della propria auto, pensare come Noi è molto più conveniente e redditizio
che non l’ascoltare incessantemente i segnali del
nostro Io.
Se penso a un Noi mi identifico un po’ con gli altri,
divento più intelligente, posso evitare di creare
pasticci, o aumento le mie possibilità di ottenere ciò
che mi serve, nel limite del possibile.
Il Noi è una prospettiva mentale che non annulla le
soggettività, ma le travalica e crea qualcosa di più
ampio e potente, all’interno del quale l’Io non può
imperare, ma vive e prospera, cresce e si nutre.
Se il Noi del passato, quello della politica, della
religione e di altri valori, non è oggi più facilmente utilizzabile come valore aggregante, esistono
comunque altre prospettive. Per esempio, possiamo
aderire alla necessità di collaborazione, di giustizia, di amore, di rispetto, per creare un mondo più
illuminato e scambievole, che non uccida il pianeta,
il futuro dei nostri figli e non sfrutti generazioni di
esseri umani a vantaggio di altri.
17
Stefano Gastaldi.
Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”.
Caregiver
Remo e Lucia sono una coppia straordinaria. Li abbiamo conosciuti
attraverso la lettura del libro “Un’altra vita inizia” che hanno scritto insieme,
così come insieme stanno condividendo la vita e un percorso di malattia.
Sono venuti a trovarci e ci hanno parlato un po’ di loro e di quanto questo
evento ha permesso di dare un senso più profondo al vivere.
18
Sono un geometra in pensione ormai da tre anni e vivo a
Rivanazzano Terme, nell’Oltrepò Pavese, con mia moglie
Lucia.
Da undici anni convivo con
un carcinoide pancreatico e
con i problemi che ne conseguono, dopo due anni
di chemio e due interventi piuttosto importanti.
Da allora la mia vita è cambiata dentro e fuori e ha
subìto uno sconvolgimento che dapprima ha fatto
piazza pulita di tante certezze e poi ha costruito un
uomo nuovo, meno sicuro, ma più ricco, come ho
voluto spiegare in questo mio piccolo libro, che ho
desiderato fortemente, perchè mi sembrava buona
cosa condividere le mie riflessioni con chi cerca
risposte in momenti bui della vita.
L’esperienza della malattia mi ha fatto scoprire una
forza interiore e un’energia che hanno fatto nascere in me una persona nuova, un po’ per la mia
formazione religiosa del passato che si è rinnovata,
non senza fatica, e un po’ per la vicinanza di persone che, secondo me, non ho incontrato per caso
ma per volontà di “chi mi ha voluto bene lassù”.
Questa forza interiore inaspettata mi ha aiutato nei
momenti difficili e ha guidato i miei gesti e i miei
pensieri, perché questo era ciò che io chiedevo.
Accettando docilmente le cure e abbracciando la
paura, ho trovato la forza necessaria per riprendermi dopo ogni batosta.
Così è stato giorno dopo giorno, per undici anni.
Lucia è sempre stata al mio fianco. Lei parla poco,
tiene tutto dentro, al contrario di me che non
trattengo nulla. Ha rinunciato a tantissime cose da
quando ci siamo conosciuti, ha accettato molto di
me ma lei mi ha trasformato molto.
Mi ha fatto capire che ciò che conta sono le persone che ti vogliono bene e quello che riesci a dare
tu agli altri. In questa esperienza della malattia, lei
è riuscita a mandare avanti tutta la baracca man-
tenendo quel rigore e quell’ordine di cui la nostra
famiglia aveva bisogno. È stata capace di captare
e “tradurre” tutte le sensazioni che provavo dentro
il mio cuore e che non riuscivo ad esprimere.
Lei mi ha dato tutto di sé e io forse non ho restituito tutto ciò che mi ha donato. Ancora oggi
non restituisco tutto, sono sempre un po’ avaro.
Desidererei darle di più.
Se non ci fosse stata lei, io oggi non sarei qua.
Non sarei qua a fare progetti per continuare a vivere e per vivere meglio. Tutto ciò è stato per me una
fonte di energia positiva che mi ha aiutato sempre
in questi anni.
Assecondare gli stimoli della vita mi ha procurato
e mi procura una gioia interiore che fa star bene
me e, spero, anche chi mi sta vicino.
Per questo, sto preparando un viaggio in Sicilia, non solo perché lì ci sono posti incantevoli,
ma anche perché voglio salutare dei ragazzi di
un liceo di Mazara del Vallo che ho conosciuto
durante un loro stage a Pavia e che, ascoltando
la mia esperienza, hanno voluto parlare della mia
storia in un libro scritto come conclusione del loro
soggiorno pavese. Incontrerò anche Angelo che
da bambino è venuto a trovarci al nord con la sua
famiglia e che, come me, è legato ad un tenero
ricordo infantile: gli regalai un mio paio di sci,
fatti da un falegname. Voglio portargli le foto delle
case in cui abbiamo vissuto e sono sicuro che ne
sarà felice.
Al ritorno farò tappa a Roma per salutare un mio
caro amico ingegnere, conosciuto durante i lavori
in un cantiere importante della capitale, e altri due
nuovi amici, incontrati in una città ligure, ai quali,
per tanti motivi, sono molto affezionato.
Un tempo la mia sensibilità si scuoteva per un
lavoro importante; oggi divento un vulcano di
emozioni solo al pensiero di poter vivere queste
esperienze con gli altri.
Se non è vita questa...
Con il passare degli anni, Remo
ha retto tante prove difficili e io mi
sono dovuta pian piano attrezzare
psicologicamente, un po’ di più rispetto a quanto non lo fossi prima.
Ho lavorato su di me per potergli
stare a fianco, per stargli vicino nel
modo giusto. In realtà, non ho retto così bene come lui,
perché sono un’emotiva: a volte la mia colite spastica mi
tiene in bagno tutta una notte... non sono stata così brava.
Lui è sempre partito in quarta, io, al contrario, che sono il
“grillo parlante”, non sono istintiva come Pinocchio e ho
avuto bisogno di prendermi del tempo per riflettere.
Remo ha scoperto dei tratti della sua personalità che
senza questa malattia non avrebbe conosciuto. Anch’io ho
scoperto qualcosa: pur nel dramma, siamo stati fortunati
perché abbiamo avuto il tempo di elaborare il tutto, cercando di imparare ad essere contenti di cose che prima
non vedevamo neanche. Ho capito che esiste un altro
modo di vivere le emozioni anche quelle più semplici, di
comunicarle, di condividerle. Cosa che non facevo prima,
nonostante io sia maestra e quindi sia abituata ad ascoltare. Pensavo di dominarle queste cose, invece poi mi sono
resa conto che non dominavo un bel niente.
Anche lui che non aveva mai tempo, era sempre di corsa
perché doveva andare alle riunioni e dai clienti, invece ha
imparato a fermarsi un attimo. E abbiamo scoperto che facendo così si crea una catena di solidarietà, di sentimenti
che ti arrivano; basta che una cosa la pensi intensamente
e ti arriva.
Per quanto riguarda me, non lo so, quando parlo della sua
malattia uso il plurale, siamo noi ad avere il tumore, siamo
sempre noi ad avere le metastasi.
Ho sempre creduto di avere fede, ma da questa esperienza ho capito che non era così: da piccola costruivo altarini
davanti alla statua della Madonna, credendo che fosse
quella l’essenza della preghiera, adesso ho una disponibilità d’animo che non conoscevo. In realtà, ognuno di
noi due ha cercato, a seconda della propria formazione
spirituale, la forza interiore. Io, ad esempio, ho scomodato
tante anime e penso che credere e avere fede mi abbiano
aiutato molto. E la croce si è riempita di significato.
Con Remo ho scritto questo libro. La copertina porta solo il
suo nome perché è lui il vero interprete e autore, anche se
lo abbiamo realizzato a quattro mani. Ho voluto rimanere
dietro le quinte ma non per questo mi sento in
secondo ordine.
Forse un’altra coppia sarebbe andata in analisi,
noi invece abbiamo scritto un libro.
Insieme.
Manuela Provantini.
Psicologa e psicoterapeuta, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività.
Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver.
19
Le vostre lettere
a cura di Ada Burrone

È aprile e io sono entrata nel
20
Cuore del Tumore a fine settembre
2012.
Ho appena compiuto 40 anni, ho un
figlio di 8, sono separata ma felicemente fidanzata con un “Angelo caduto in volo”.
Sono una donna mastectomizzata.
Ma sono una donna nuova.
Solo oggi trovo la spinta per mettermi
in contatto con una Onlus: all’inizio
volevo solo la mia Famiglia e quella
c’era e c’è!
Sono farmacista, scrivo romanzi e articoli per riviste scientifiche e tengo una
rubrica sulla Medicina di Genere.
Ho appena scritto un bell’articolo sulla
“Sessualità dopo il tumore al seno”:
pochi ne parlano, per i medici è argomento tabù, ma per una donna CON
CANCRO è tanto importante per sentirsi viva e ancora donna.
Oggi scrivo alla vostra Onlus, mando
un bonifico per sostenervi ma il mio
desiderio è di potervi aiutare con le
mie competenze: la scrittura!
Io ci sono e desidero esserci.
A PRESTO.
Monica
Milano
Abbiamo subito accolto la tua proposta, Monica cara.
Ti aspettiamo

“Al di là del cancro, ho vissuto
esperienze fisiche difficili e più volte a
rischio di vita, che mi hanno messa a
confronto sia con bravi medici, sia con
bravi laureati in medicina. Da tutti loro
ho ben compreso che il vostro è un
compito estremamente delicato. L’ho
letto negli occhi di quegli specialisti che,
non reggendo la realtà altrui, si trinceravano dietro il loro ruolo. E quando il
ruolo sovrasta l’uomo, l’incomunicabilità
è inevitabile.
Si parla tanto di empatia, di umanizzazione della medicina, del rapporto
medico paziente... si parla invece troppo
poco di come si vive e della morte: due
realtà comuni a tutti.”
Gentile Presidente, ho voluto riportare
il suo stesso dire condividendolo pienamente, in particolare le ultime righe.
Credo che i medici e la medicina siano
giunti a un punto della loro storia che
rende necessario considerare quanto
lei ha straordinariamente rappresentato con poche, irriducibili, parole: “Si
parla invece troppo poco di come si vive
e della morte: due realtà comuni a tutti”.
Vorrei ringraziarla col piccolissimo
omaggio che allego: una lettera aperta
che per altre vie, cercava di sostenere
altrettanto. Si tratta di un ebook sui
medici scritto da un medico e rivolto
a tutti:
“Caro Dottor Cronin. 24 lettere
dall’ufficio sofferenze”.
Nel ringraziarla ancora le invio il più
cordiale saluto.
Ubaldo Sagripanti
Civitanova Marche
Leggerò volentieri il suo libro.
Le sono grata per l’attenzione che
ha riservato alla “Lettera ai medici
di domani”, mi conforta sapere che
il messaggio sia arrivato dritto al suo
cuore.

Cara Ada,
mia figlia Erika partecipa alla vostra
attività “Caro Figlio”.
La prima volta che è venuta da voi è
uscita dicendo: “È un genio questa
psicologa!”.
Anche mio figlio ha deciso di venire,
dopo molte perplessità, ma poi ogni
settimana arrivava di corsa.
Dario è stato aiutato da voi fino a
una settimana fa. È molto grato per il
vostro aiuto che è stato davvero utile
durante il periodo degli esami di stato.
Mi dice che la psicologa gli ha fatto
capire il pensiero degli altri e come
reagire in determinate situazioni, ma
con uno spiccato senso dell’umorismo!
Io parlo di voi con tutti.
Ad Attive ho incontrato persone squisite che, senza dubbio, mi hanno
aiutato a diventare un po’ più sicura di
me stessa.
Un grosso bacio a tutti, a voi che mi
avete fatto sentire benvenuta in questa “oasi di pace”.
Stefania
Bari
Cara Stefania,
tu hai fatto un ottimo lavoro su te stessa nei gruppi di sostegno psicologico
e hai dato alle persone intorno a te la
testimonianza del risultato ottenuto.
Quest’ultimo parla più di tante parole
che avresti dovuto utilizzare per convincere i tuoi figli ad aderire al nostro
Progetto rivolto agli adolescenti.
Mi conforta sapere che tutti voi
abbiate trovato risposta ai bisogni
più profondi per guardare la vita in
modo più sereno.
Ti porto nel cuore con gioia.
Ada

Le scrivo per ringraziarla per
l’opportunità che Attivecomeprima ha
offerto a noi medici di partecipare al
“Mini-Master in Management e supporto
globale del paziente oncologico”.
È davvero raro trovare riunite in un
corso di aggiornamento per medici
tante qualità: scienza, competenza dei
relatori, tanta umanità, umiltà, simpatia e accoglienza.
È ancora più raro e prezioso uscire da
un corso con uno sguardo “diverso”
da quello con cui eri entrato.
Grazie di cuore a lei e a tutti coloro
che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento.
M.S.
Milano

Cara Ada,
la ringrazio per l’esperienza che ho
vissuto al Mini-Master, grazie per la
rilevanza scientifica degli argomenti e
grazie per il coinvolgimento emozionale.
Le scrivo per raccontarle la mia storia.
Mi sono laureata in Medicina e
Chirurgia il 19 luglio 2012, circa dieci
giorni prima a mio zio è stato diagnosticato un carcinoma del colon metastatizzato a livello linfonodale.
La mia tesi e il mio percorso universitario erano stati improntati sull’oncologia; però non sapevo come rapportarmi con il cancro, con i miei famigliari,
con mio zio.
Ho corso come una trottola impazzita,
le settimane che hanno preceduto l’inizio della chemioterapia senza sapere
cosa e come farlo.
Ho incontrato medici poco umani e
poco professionali, inoltre ero l’unico
riferimento per la mia famiglia che
ha un’azienda agricola, quindi ben
distante dal mondo della medicina.
Non ho ancora metabolizzato questa
esperienza, mi sembra di aver sbagliato tutto e, contemporaneamente,
il tempo che veniva dedicato a mio zio
in ospedale era breve, anche se l’oncologa era una persona preparata e
disponibile; così è nata in me l’idea di
poter intraprendere la strada per poter
essere un buon medico di famiglia che
cammina accanto al paziente, durante
l’esperienza cancro.
Io abito in Liguria quindi non potrei
partecipare ai gruppi di sostegno psicologico per i medici, però sarei felice
d’incontrarla se lei avesse tempo.
Grazie
S.Z.
Andora

Carissima Ada e carissimo
staff, come state? Come procedono le
attività in Associazione?
Il corso di formazione per gli psicologi
a cui ho partecipato mi ha lasciato non
solo importanti conoscenze teoriche
ma mi ha permesso di conoscere voi,
la delicatezza, dolcezza e calore con
cui accogliete ogni persona, facendola
sentire a casa, facendola sentire che
siete lì per lei, che in quel momento
le state dedicando attenzioni, ascolto,
presenza autentica.
L’ho vissuto personalmente e sono
sicura lo vivano quotidiana-
mente le molte donne che entrano
in Associazione, una “base sicura”,
usando un concetto di Bowlby, da cui
ricevere conforto e rassicurazione,
quando spaventati e stanchi, e da cui
ripartire con fiducia, speranza, nuova
energia interiore.
Ringrazio lei e ognuna delle persone
che ho avuto la fortuna di incontrare.
I loro sorrisi e sguardi accoglienti mi
accompagneranno nel mio percorso
personale e professionale.
Un abbraccio affettuoso
E.L.
Torino
Queste tre testimonianze di specialisti ci confermano la necessità
di incrementare le nostre attività di
formazione, incontro e scambio con
gli specialisti che lavorano in campo
oncologico.
D’altro canto, sono state occasioni
arricchenti e stimolanti anche per noi.
È GRAZIE ALLA
FONDAZIONE VERONESI
SE ANCHE QUEST’ANNO
SIAMO RIUSCITI A REALIZZARE
I CORSI DI FORMAZIONE
Per i vostri quesiti vi ricordiamo i nostri recapiti:
Attivecomeprima è in via Livigno, 3 - 20158 Milano. Tel 026889647 email: [email protected]
Per parlare con Ada potete telefonare il lunedì e il mercoledì dalle h. 14,00 alle h. 17,00. 21
La medicina che ci aspettiamo
Il tempo
come cura
22
Come descrivere il cambiamento che interviene
nella vita di una persona quando passa dalla salute
alla malattia? La scrittrice Susan Sontag, riferendo
del cancro al seno che l’ha colpita, ha utilizzato
l’immagine del trasloco: “Tutti quelli che nascono
hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star
bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti
servirci soltanto del passaporto buono, ma prima
o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo
periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”
(La malattia come metafora). Ecco: la malattia ci
“delocalizza”!
Anche le metafore temporali, oltre a quelle spaziali,
esprimono bene lo sconvolgimento che la patologia
introduce nella vita. Il tempo subisce un’improvvisa
stretta: ci rendiamo conto di avere un’esistenza a
termine, le priorità cambiano e niente diventa tanto
urgente quanto mettere in campo tutte le risorse
della medicina per contrastare la malattia.
Che dire allora di un movimento che si presenta
come Slow Medicine? Sembra quasi una provocazione, tenendo conto dell’urgenza che si installa
nella nostra vita quando la salute è minacciata.
Eppure, bene intesa, la Slow Medicine è proprio la
terapia giusta per i mali che soffre la pratica della
medicina dei nostri giorni.
Cancelliamo anzitutto dalla mente l’idea che la Slow
Medicine si proponga di allungare i tempi con cui
si praticano le cure mediche. Ci viene in soccorso
l’analogia con Slow Food, a cui il movimento sorto in
medicina chiaramente si ispira. A nessuno verrebbe
in mente che Slow Food voglia proporre di “mangiare lentamente”, come correttivo all’abbuffarsi a
tavola! Slow Food è piuttosto una filosofia di vita,
che include ciò che si mangia, ma soprattutto come
si produce il cibo, come lo si distribuisce, il rapporto
con la terra e l’ambiente... Sostanzialmente, “slow”
equivale a una modalità diversa, che può applicarsi
sia all’alimentazione che alle cure mediche.
La Slow Medicine non promuove indiscriminatamente la lentezza: sarebbe una caricatura della
medicina affermare, ad esempio, che l’infarto debba
essere trattato prendendosi tempo, con tutta calma,
o che non sia importante cogliere subito i sintomi
per intervenire tempestivamente su una patologia
presente ma non ancora conclamata.
Stimola invece a riconoscere qual è il momento
opportuno.
La Slow Medicine può voler dire tanto che non bisogna perdere tempo, là dove è opportuno intervenire
celermente, tanto che bisogna trovare il tempo, là
dove la pratica corrente tende a tirare via in fretta.
Il secondo caso è quello che riguarda l’informazione.
L’ascolto del paziente e del suo vissuto di malattia,
la condivisione del percorso terapeutico e la negoziazione delle scelte richiedono tempo: un tempo
che non è un lusso o una cortesia del terapeuta,
ma né più né meno che una risorsa necessaria per
curare, come può esserlo un bisturi, un antibiotico o
un sedativo. “Il tempo dedicato all’informazione, alla
comunicazione e alla relazione è tempo di cura”: è
l’affermazione senza equivoci della Carta di Firenze,
redatta da alcuni professionisti motivati a promuovere la buona medicina. Questo tempo privilegiato
sta nell’agenda della Slow Medicine, per la quale
la medicina alla quale aspiriamo deve avere essere
“sobria, rispettosa del paziente e giusta”.
Un programma che non possiamo non sottoscrivere.
23
www.slowmedicine.it
Slow Medicine nasce dall’incontro di persone che,
con esperienze e culture diverse, hanno operato
ed operano all’interno del mondo delle cure per la
salute e che negli ultimi trent’anni hanno prodotto
pensiero e ricerca sul sistema sanitario dal punto
di vista organizzativo, strutturale, metodologico,
economico, comunicativo.
“Sobria, rispettosa, giusta”: sono le parole chiave
che sintetizzano questa idea di cura basata sulla
sostenibilità, sull’equità, sull’attenzione alla persona
e all’ambiente.
Slow Medicine è anche una rete di in costante
espansione, perché ha l’obiettivo di coinvolgere
professionisti sanitari, associazioni di professionisti,
cittadini, associazioni di pazienti e di familiari in un
laboratorio in progress di progettazione di buone
pratiche di aiuto e di cura.
Il secondo Convegno Nazionale di Slow Medicine,
“Fare di più non significa fare meglio”,
2013
si svolgerà a Torino il 30 novembre 2013.
Sandro Spinsanti.
Psicologo, direttore Istituto Giano - Roma.
Nutrire il benessere
I 4 pilastri alimentari
della prevenzione
delle recidive del cancro
24
Che il nostro stile alimentare favorisca lo sviluppo dei tumori è provato da numerosi studi: troppi zuccheri, troppa
carne, troppi cibi industrialmente raffinati aumentano il
rischio di ammalarci, mentre cereali integrali e verdure
ci proteggono. Ancora pochi studi hanno però affrontato
gli effetti della dieta alimentare sulla guarigione, o sulla
progressione della malattia.
Molti oncologi, alla domanda dei loro pazienti su cosa
dovrebbero mangiare, non sanno cosa rispondere. Taluni
si preoccupano esclusivamente che non perdano peso,
perché quando i tumori sono in stadio avanzato finiscono
per consumare il nostro corpo, soprattutto i nostri muscoli. Nell’illusione che mangiando muscoli i pazienti possano
conservare i loro muscoli, molti ancora oggi raccomandano di mangiare carne, pur senza prove scientifiche e
rischiando di peggiorare la situazione.
Cosa si può consigliare dunque, in base a quel che si
conosce oggi, a un malato di tumore?
Una delle conoscenze più solide, ripetutamente confermate, è che chi è in sovrappeso si ammala di più di vari
tipi di tumore, e chi si è ammalato, se in sovrappeso, ha
più difficoltà a guarire.
Meglio quindi mantenersi snelli, e, se non lo si è più,
ritornare snelli. Paradossalmente, però, non sono ancora
stati fatti studi per valutare se aiutare i pazienti in sovrappeso a dimagrire migliora la prognosi. Ci sono sempre
più indicazioni che sia il grasso depositato all’interno
dell’addome il più pericoloso, piuttosto che l’obesità complessiva. Anche i magri con la pancetta hanno un rischio
alto di ammalarsi. Un sano obiettivo, quindi è di mandar
giù la pancetta: si raccomanda che la circonferenza vita
non sia più di 80 cm nelle donne e 100 cm negli uomini,
ma, senza andare sottopeso, più stretta è meglio è.
Un’altra conoscenza ripetutamente confermata, almeno
per i tumori del colon e della mammella, è che chi fa
esercizio fisico si ammala di meno, e chi si è ammalato,
a parità di stadio della malattia, se fa esercizio fisico ha
una prognosi migliore. Per chi ha un lavoro sedentario
si raccomanda di fare ogni giorno una passeggiata con
passo vivace per almeno 30 minuti consecutivi, oppure
un’ora di palestra o di sport almeno un giorno si e uno
no. Per molte persone ritagliare questo tempo nell’organizzazione della vita quotidiana sembra quasi impossibile,
ma è tempo ben impiegato.
I meccanismi con cui sovrappeso e sedentarietà aumentano il rischio di cancro, oltre che di malattie di cuore e di
diabete, sono abbastanza ben conosciuti.
Un eccesso di grasso depositato nell’addome determina,
con meccanismi complessi, livelli più alti, nel sangue, di
glucosio, di insulina, di fattori di crescita, di fattori dell’infiammazione e, nelle donne, di ormoni sessuali, e chi ha
questi fattori alti, anche se ha una corporatura snella, si
ammala e si riammala di più. Si tratta di fattori che con
diversi meccanismi stimolano la proliferazione cellulare;
sono fattori indispensabili per la crescita dei bambini e
per la riparazione di tessuti danneggiati da ferite o malattie, ma se sono in eccesso possono favorire la crescita
dei tumori. Ci sono sempre più studi, in particolare, che
riscontrano che chi è stato operato di cancro del colon o
della mammella, se ha valori alti di questi fattori, ha un
rischio più alto di recidive.
E il livello di questi fattori dipende anche dalle nostre
abitudini alimentari. Chi mangia regolarmente latte, ad
esempio, e chi ha una dieta ricca di proteine, ha più alti
livelli nel sangue di IGF-1, uno dei più importanti fattori di
crescita. Il latte, infatti, è un alimento per far crescere, e
si sa che se mancano proteine nella dieta, i bambini non
crescono.
L’insulina è essa stessa un fattore di crescita e inoltre
promuove una maggiore disponibilità di altri fattori di crescita e, nella donna, di ormoni sessuali. Per tener bassa
l’insulina è meglio mangiare poco, evitando soprattutto i
cibi che fanno aumentare molto la glicemia (ad alto indice
glicemico) e i cibi ricchi di grassi animali.
L’infiammazione è un meccanismo di difesa dell’organismo. Quando ci feriamo, ad esempio, le cellule dell’in-
fiammazione aiutano a contrastare eventuali infezioni e
producono sostanze che stimolano le cellule dei tessuti
vicini a proliferare per riparare il danno. Ma quando è un
tumore a causare infiammazione queste stesse sostanze
finiscono per stimolare ulteriormente la proliferazione
delle cellule tumorali.
Le cellule tumorali che si formano nei nostri organi, o
che si disseminano quando un tumore invade i vasi
sanguigni o linfatici, sono come dei semi che germoglieranno e daranno origine ad una pianta solo se si trovano
in un ambiente favorevole, nel terreno giusto, ricco del
nutrimento indispensabile alla loro crescita. Se invece
il terreno è povero e arido moriranno. Le nostre cellule
inoltre hanno la capacità di suicidarsi quando sono alterate e il suicidio sarà tanto più facile quanto più il nostro
ambiente interno, il nostro terreno, renderà più difficile la
loro sopravvivenza.
Cosa possiamo fare quindi, in pratica, per aiutare le terapie oncologiche, modificando il nostro ambiente interno?
Tenere bassa la glicemia: sempre più studi evidenziano che chi ha la glicemia alta (pur nell’intervallo di
normalità) si ammala di più (ad esempio di tumori della
mammella, del cervello, del pancreas) e, se si è ammalato, ha una prognosi peggiore. Tenere bassa la glicemia,
inoltre, aiuta a tenere bassa l’insulina e quindi i fattori di
crescita. Quindi evitare le farine raffinate (00 e 0), il pane
bianco, i dolciumi commerciali, le patate, il riso banco, i
fiocchi di mais, la frutta molto zuccherina. Evitare inoltre
lo zucchero, lo sciroppo di glucosio e fruttosio, e abituarsi
progressivamente a gusti meno dolci. Mangiare invece
regolarmente, cereali integrali, meglio se associati a
legumi, verdure, semi e frutti oleaginosi.
Tenere bassa l’insulina: oltre ai cibi ad alto indice
glicemico di cui sopra è meglio evitare il latte (anche
scremato) che fa aumentare l’insulina, anche se non
fa salire la glicemia, e i cibi ad alto contenuto di grassi saturi (salumi, carni rosse, formaggi) che ostacola-
no il buon funzionamento dell’insulina.
Tenere bassi i fattori di crescita: quindi evitare il latte
e i cibi molto ricchi di proteine animali; anche le proteine
vegetali tuttavia sono da mangiare con moderazione: la
porzione di legumi, quindi, pur presente in ogni pasto,
deve essere piccola.
Tenere bassi i livelli di infiammazione: favoriscono l’infiammazione tutti i cibi animali, eccetto il pesce
(privilegiare però i pesci piccoli, perché quelli grandi sono
molto più inquinati), lo zucchero e i cibi ad alto indice glicemico. Hanno invece azione anti-infiammatoria i cereali
integrali e molti altri alimenti vegetali, in particolare quelli
che contengono grassi omega-3, come i semi di lino,
la soia, le erbe selvatiche e inoltre, le cipolle, le mele e,
in generale, le verdure, con l’eccezione delle solanacee
(pomodori, melanzane, peperoni).
È prudente, inoltre, evitare i cibi ricchi di poliamine
(sostanze indispensabili alla proliferazione cellulare),
come arance, pomodori, melanzane, peperoni, banane,
kiwi, frutti tropicali. Anche l’altra frutta contiene poliamine,
ma in quantità minore, non ne contengono invece i frutti
di bosco. La frutta è raccomandata per la prevenzione del
cancro, ma non è detto che sia utile per chi si è ammalato. Altre fonti importanti di poliamine sono i molluschi
bivalvi e la putrefazione intestinale delle proteine in chi ha
una dieta ricca di cibi animali. Non sono stati fatti studi
clinici, ma poiché le cellule tumorali sono avidissime di
poliamine pare logico ridurne il consumo.
In sintesi la raccomandazione coincide con quella formulata dai ricercatori del Fondo Mondiale per la Ricerca
sul Cancro che hanno valutato tutti gli studi scientifici
sul rapporto fra dieta e tumori: basate la dieta quotidiana prevalentemente su cibi di provenienza
vegetale non industrialmente raffinati, con
un’ampia varietà di cereali integrali, legumi,
verdure e frutta, magari con un’attenzione a
non esagerare con la frutta.
Franco Berrino.
Medico, patologo, epidemiologo, dirige il Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva
dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Foto GiòArt
Seitan tonnè
Maionese senza uova!
(Foto 1) Ingredienti:
1 confezione di seitan (300 gr circa)
2 C. di capperi
1 confezione piccola di tonno sott’olio (50 gr circa)
Salsa di soia (tamari) q.b.
200 gr della maionese appena fatta (vedi a lato)
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(Foto1) Ingredienti:
250 gr di panna di soia o latte di soia
250 gr di olio di mais (tenuto in frigorifero)
2 C. di aceto di mele
2 C. di limone spremuto
1 c. di senape
½ c. di curcuma
1 pizzico di sale
(Foto 2) Tagliate a fette il seitan e cuocete in padella
con un po’ d’olio, un po’ di trito di rosmarino
e saltatelo dalle due parti con la salsa di soia (tamari). Appena cotto disponetelo su un piatto di portata.
(Foto 2) Con un frullino a immersione frullate dall’alto
verso il basso tutti gli ingredienti messi in un bicchierone
di plastica per alcuni minuti fino ad amalgamare
perfettamente tutti gli ingredienti.
(Foto 3) Frullate bene la maionese con il tonno
e i capperi fino ad ottenere una crema omogenea,
ricoprite il seitan e guarnitelo con fette di limone
e delle rondelle di carote o di rapanello.
Servite freddo con contorno di rucola.
Angela Angarano.
Assistente cuoca nella ricerca Diana.
Letti e piaciuti
a cura di Serena Ali
Giusy Versace
CON LA TESTA E CON IL CUORE
SI VA OVUNQUE
Edizioni Mondadori
€ 17,00
Con la testa e con il cuore si va ovunque è il racconto di una vicenda personale, ma anche di una
scelta che riguarda tutti coloro che si trovano ad affrontare un grande cambiamento: guardare oltre
e costruirsi un domani o continuare a rimpiangere un bel passato che non c’è più? “Oggi è un grande
dono”: sono le parole che Giusy si ripete ogni giorno dal 2005, quando, a causa di un incidente
automobilistico, ha perso entrambe le gambe. Da quel giorno la forza è diventata la sua arma e Giusy
si è buttata a capofitto in un futuro che le ha riservato sorprese e soddisfazioni: un nuovo lavoro,
la creazione della Onlus Disabili No Limits, l’oro e il record italiano sui 200 e 100 metri e il record
europeo sui 100 metri nel 2012.
Mauro Corona
CONFESSIONI ULTIME
Edizioni Chiare Lettere
€ 13,90
Il diario intimo di “un sognatore”, di un “uomo di montagna”, un autoritratto che si snoda tra passaggi
filosofici e sfoghi sull’attualità e la politica. Una confessione per non morire frainteso. Quella racchiusa
in Confessioni ultime è una riflessione che ne contiene molte. Partendo dalla propria personalissima
esperienza, Corona arriva ad alzare lo sguardo sul mondo. Riflette su temi quotidiani e altissimi al
tempo stesso: la solitudine e il silenzio, la parola come strumento essenziale per affermare se stessi
in relazione al mondo che si abita, la relazione con l’altro, la paura, il coraggio. Il libro nasce da una
lunga intervista con Giorgio Fornoni, inviato di Report, ed è accompagnato da un dvd che documenta il
viaggio di Mauro Corona a Erto, suo paese di origine, cinquant’anni dopo la tragedia del Vajont. Dalla
“tana rifugio” in cui vive e lavora ai luoghi della sua quotidianità, 44 minuti che raccontano in presa
diretta la vita dello scrittore.
Marshall B. Rosenberg
LE PAROLE SONO FINESTRE
(OPPURE MURI)
Edizioni Esserci
€ 16,90
La comunicazione nonviolenta non può essere circoscritta alla dimensione individuale, ma implica
la struttura culturale e sociale in cui il singolo vive. Tuttavia, non possiamo escluderci dall’impegno
diretto e personale e attendere un cambiamento collettivo senza far nulla. Questo libro ci spiega
come, poiché una comunicazione di qualità è oggi una delle competenze più preziose. Attraverso un
processo di quattro punti, Marshall Rosenberg mette a disposizione uno strumento semplice nei suoi
principi, ma estremamente potente, per migliorare radicalmente e rendere autentica la relazione con
gli altri. Grazie a racconti, esempi di comportamenti abituali e dialoghi diretti, questo libro insegna
a comunicare in un modo nuovo: manifestando una comprensione rispettosa per i messaggi ricevuti
dall’altro, modificando gli schemi di pensiero che portano alla collera e alla depressione, dicendo ciò
che desideriamo senza suscitare ostilità e facendo ricorso all’empatia.
Sapevate che...
a cura di Benedetta Giovannini
consulente enogastronoma
1 Pulire gli attrezzi in legno della cucina.
Tutti in cucina usiamo cucchiai, palette, forchettoni,
mattarelli, taglieri in legno. Per lavarli e mantenerli puliti
c’è un metodo molto naturale: eliminate prima i resti di
cibo sotto l’acqua corrente, poi strofinate energicamente
gli attrezzi con una spazzola o una spugnetta intrisa di
aceto bianco o succo di limone. Sciacquateli bene e
lasciateli asciugare all’aria. Ricordiamoci che è sbagliato
mettere gli utensili in legno nella lavastoviglie.
2 Forni puliti pronti per cucinare. Per sgrassare il forno in
modo meno aggressivo dei comuni detergenti, potete
lasciare una pentola con due litri d’acqua calda e un
cucchiaio di ammoniaca per una notte a forno chiuso.
Al mattino basterà una passata di spugna.
3 Calcare e muffe nella lavatrice. Un toccasana contro
il calcare è l’aceto. L’aceto, oltre ad avere un’azione
disinfettante, ha il potere di sciogliere il calcare.
Per sciogliere eventuali accumuli di calcare nella nostra
lavatrice, possiamo versare un bicchiere d’aceto nel cestello, nella vaschetta del detersivo e in quella dell’ammorbidente, quindi facciamo un ciclo di lavaggio a vuoto.
L’aceto è molto utile anche per pulire le vaschette e le
gomme dell’apertura dell’oblò, nel caso in cui si siano
già formate delle muffe. In più, con una miscela di acqua
e aceto, i cattivi odori scompariranno.
4 Cattivi odori nella scarpiera?
Una manciata di chicchi di caffè e di semi di anice
risolverà il problema dei cattivi odori. Chiudeteli in un
sacchetto traspirante da appendere nella scarpiera.
5 E se i cattivi odori vengono dalla pattumiera? Versate un
paio di cucchiai di bicarbonato nella pattumiera, man
mano che si riempie di rifiuti.
6 Biancheria bruciacchiata. Strofinate le macchie marroni
con una cipolla fresca tagliata a metà.
7 Macchie di succo di mirtillo su stoffa.
Lavate subito quindi accendete un
fiammifero: i fumi dello zolfo aiuteranno a far scomparire la macchia.
Attenzione a tenere il fiammifero
lontano dalla stoffa altrimenti il
rimedio farà danni peggiori della
macchia...
8 Rinfrescare i tappeti.
Sempre con l’onnipresente
bicarbonato! Cospargete uniformemente
il tappeto con bicarbonato. Lasciate
agire per almeno
30 minuti (ma va
bene anche tutta la
notte). Quindi aspirate
molto bene o battete
il tappeto che così sarà
pulito e deodorato.
Profili
28
Giusy
Versace
La storia di una ragazza che nella prova ha scoperto il valore della vita e l’importanza
di difenderla e amarla nonostante le croci che riserva. “Con la testa e con il cuore
si va ovunque” è il titolo del suo toccante libro in cui racconta che non solo è possibile
superare i propri limiti ma spesso i limiti ce li poniamo noi stessi.
Era il 22 agosto del 2005 quando un incidente d’auto le ha
portato via entrambe le gambe ma non la forza d’animo, la
voglia di vivere e di sorridere.
Dopo tanto dolore e paura, Giusy Versace non solo cammina
ma corre i 100 e i 200 metri con l’ausilio di due protesi
sportive. Con lo sport è riuscita a lanciare un messaggio di
speranza alle persone disabili per spronarle a non mollare
e a non nascondersi. Lo stesso messaggio che ora vuole
portare a tutti noi attraverso un libro, l’autobiografia dei suoi
ultimi difficili anni.
Giusy è una ragazza con un’energia e un sorriso contagiosi
perché ha imparato a vivere serenamente ogni giorno grazie
al “dono” della disabilità. La persona che oggi è, infatti, lo
deve a quello che tutti, tranne lei, ritengono un problema:
aver perso due gambe.
Perché hai deciso di scrivere un libro?
Ho scritto questo libro per trasmettere un messaggio di speranza alle persone più sfiduciate che hanno bisogno di nuovi
stimoli ma in generale a tutti. Con le mie parole vorrei provare
a dire che davvero “con poco, con niente si può sorridere alla
vita”.
Un nuovo lavoro, un nuovo amore, la creazione di una
Onlus, Disabili no limits, un oro e un record italiano sui
100 e 200 metri, infine un libro.
Giusy ma dove trovi tanta forza?
Ho una fede profonda e questo mi aiuta tanto. Credere in
qualcosa sopra di noi che ci muove, ci guida, aiuta tutti.
Grazie a Dio sono riuscita a non arrabbiarmi con la vita e
nonostante continui ad avere momenti tristi, di scoramento,
ho imparato ad accettarli e a non lamentarmi.
Cosa ti ha “restituito” la tua tragedia?
Ho scoperto di avere una grande testa e un grande cuore e
questi mi permettono di andare ovunque e di vivere serenamente la mia quotidianità senza incattivirmi con la gente.
Ti sei mai chiesta: “Perché proprio a me?”.
Certo, mi sono chiesta: “Se Dio è un essere buono perché
capitano queste cose brutte?”. A Lourdes di fronte alla statua
della Madonna, nella grotta delle apparizioni, ero arrabbiata
e ho detto: “Perché proprio a me?”. La risposta l’ho trovata
girando la domanda: “Perché non a me? Che cosa ho io più
degli altri?”.
Ho capito che ognuno ha la sua croce e che di fronte alla
sofferenza e a Dio siamo tutti piccoli, tutti uguali e non c’è un
“perché” ma solo attraverso le difficoltà riusciamo a “frenare”
il nostro egoismo e a pensare alle cose importanti.
Per questo amo la vita e mi piace sorridere a questa.
La sofferenza non si può evitare ma puoi decidere di
combatterla e usarla come dono.
È stato difficile per te accettare questo passaggio?
No. È avvenuto naturalmente. Tutti noi sperimentiamo la
sofferenza, il dolore. C’è chi ha tragedie più grandi e altri più
piccole. Anche se riesce difficile da credere per il cognome
che porto, la mia è stata una vita di tante piccole conquiste
che sono dovuta andare a prendermi, a partire dall’adolescenza che non è stata spensierata per la separazione dei
miei genitori, fino a quando ho deciso di andare via di casa a
diciotto anni e di non chiedere più soldi a nessuno. Ho sempre
scelto di conquistarmi le cose: così ho deciso di camminare
senza due gambe e poi di correre contro il volere di tutti.
Nel tuo libro scrivi: “Ho imparato che ieri è il passato,
domani il mistero, oggi il dono”.
È una frase che ho letto un giorno per caso su un taxi a Roma
ed è divenuta il mio slogan. Ieri è il passato e non lo puoi cambiare, domani è il mistero e non sai quello che può succedere,
oggi è un gran dono. Bisogna quindi dare valore a quello che si
ha in questo momento: godersi una giornata di sole, un buon
piatto di parmigiana con l’amica, la telefonata con la mamma.
Oggi riesco davvero a gioire delle piccole cose e lo faccio
quotidianamente.
Siamo troppo presi dal che cosa fare e che cosa diventare.
Siamo sempre alla rincorsa di non si sa che cosa, verso un
futuro migliore e alla fine non riusciamo a dare valore a quello
che abbiamo oggi.
Dopo l’incidente ho imparato a fermarmi e apprezzare di più le
cose che ho.
Ho scoperto anche che aiutare gli altri mi carica e faccio del
bene a me stessa. Per questo cerco di impegnarmi nel sociale.
Dono e condivisione sono al centro della “nuova” Giusy.
Ho imparato che se tu fai una cosa bella nella vita è ok, ma
se la condividi assume un valore diverso. Questo l’ho appreso
dalla fede e soprattutto da un sacerdote che mi ha insegnato
l’importanza di testimoniare e di condividere.
Da qui l’idea del libro. Io non penso di essere meglio degli altri
o di essere stata più brava di altri, e neppure penso che la
mia storia sia così fuori dal comune. Ritengo invece che tante
persone siano state brave come lo sono stata io, forse anche
più brave di me. Conosco chi è riuscito a reagire più velocemente. Io ci ho messo cinque anni per iniziare a correre, più di
un anno per dire a mia mamma di ritornare alla sua vita.
Forse ho avuto un po’ più forza e coraggio per uscire allo
scoperto e non vergognarmi e ricominciare a sorridere anche
con la mia disabilità. Perché la disabilità non è una malattia
contagiosa, esiste e fa parte della vita, non la puoi cancellare,
bisogna solo imparare ad aiutarsi a vicenda.
Nel tuo libro scrivi: “Se avessi una bacchetta magica e
un solo desiderio da esprimere non tornerei indietro”.
Per questa frase sono stata molto criticata perché non ci
crede nessuno. Se potessi esprimere tre desideri forse in uno
chiederei di riavere le mie gambe.
Ma la domanda è un’altra: “Se tu avessi un desiderio, uno
solo, cosa vorresti?”.
La risposta è difficile perché io non sono così egoista da dire
di rivolere le mie gambe. Se avessi un solo desiderio non
saprei quale scegliere ma sicuramente non chiederei nulla per
me, ma per una persona a me cara. Io ho perso le gambe e
accetto quello che è stato il desiderio di Dio e so che posso
farcela. La mia preghiera è di continuare a vivere con questa
29
carica, con la grinta e la voglia di sorridere e di portare a
testa alta questa croce che ormai è mia. Non tornerei indietro
perché in questi sette anni ho imparato talmente tante cose
che una vita intera non mi sarebbe bastata. Se tornare indietro
vuol dire riavere le gambe ma non avere la ricchezza interiore
che ho oggi, preferisco essere una disabile ma avere il cuore
pieno. Ho imparato a vivere bene così: ora mi sento più ricca,
mi sento migliore.
La famiglia e la fede al centro di tutto: come alimenti
la tua fede?
Prego. Ogni giorno cerco di dedicare del tempo a Dio. Ho imparato a guardare alla Madonna come alla mia mamma, a Dio
come a un padre, a Gesù come a un fratello. La mia mamma
vive lontano da me ma la sento tutti i giorni e la vado a trovare
non appena possibile. Così è con la Madonna: tutti i giorni
devo pregarla, devo guardare la sua immagine, devo andare in
chiesa perché è come se non telefonassi a mia mamma, non
mi curassi di lei. Se facciamo caso, quando va tutto bene un
po’ ci distacchiamo da Dio, quasi ci dimentichiamo di pregare.
È successo anche a me ma ho avuto bisogno di riavvicinarmi
subito perché senza la preghiera avvertivo il peso del mio
handicap. Invece, se vado in chiesa, ne esco più forte.
La corsa come testimonianza che non ci sono limiti.
Che cosa pensi quando corri?
30
Non penso a nulla. Mi sento così piena, così libera. Correndo
ho scoperto non solo che si possono superare i propri limiti ma
che spesso i limiti ce li poniamo noi. Inoltre, lo sport è come
una buona medicina: quando hai un corpo allenato anche la
mente ne trova giovamento e stai meglio.
Correvi anche prima dell’incidente?
Ho iniziato ad apprezzare la corsa quando ho perso le gambe.
Prima pensavo a tutto ma non a correre, correvo solo nei ritmi
frenetici della vita. Ero sportiva come tante altre ragazze: ogni
tanto giocavo a tennis, andavo in palestra, facevo spinning per
tenermi in forma e scaricarmi. Ho iniziato a correre per caso e
per ripicca perché tutti mi dicevano che non potevo farlo.
Mi dava fastidio che si scoraggiassero le persone con handicap a fare sport perché lo sport è una grande terapia per
tutti. Il mio allenatore, Andrea Giannini, mi ha trasformato in
un’atleta insegnandomi il rigore, il sacrificio, la costanza.
Mi ha costretto a seguire un allenamento molto duro, con qualunque condizione climatica. Lui ha scommesso su di me: io
non avrei scommesso neppure un euro perché sono una pigra.
Che cosa ha significato per te vincere dei titoli di
atletica?
Non avevo bisogno di avere una medaglia al collo per capire
che nella vita avevo vinto. Sono convinta di aver vinto il giorno
in cui ho deciso di alzarmi dalla sedia a rotelle, di camminare,
di andare al mare e affrontare lo sguardo della gente,
di uscire senza vergognarmi della mia disabilità.
Lo sport mi ha arricchito ancora di più: tramite lo sport
posso essere di stimolo e posso dire alla gente che “se
ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti”.
In Italia però gli ausili sportivi non sono coperti dal
Sistema Sanitario.
Per questo è nata l’idea della Onlus. Oltre ad organizzare
eventi per sensibilizzare la gente sul tema dell’handicap e per
far conoscere lo sport paralimpico, raccogliamo fondi per dare
un’opportunità di vita per i disabili economicamente svantaggiati. Perché lo sport diventi un diritto di tutti e non un lusso.
Ci sono tante forme di disabilità fisiche e morali. Qual
è l’handicap più grande?
È l’ignoranza. Nel 2013 ci sono ancora tante persone che si
vergognano della propria disabilità, che non escono da casa,
non vanno al mare perché trovano non solo le barriere architettoniche, ma anche lo sguardo della gente.
La gente è ignorante nel senso che non è abituata a vedere,
non è esposta all’handicap.
Come hai affrontato e superato lo sguardo della gente?
Ho cercato di mettermi nei loro panni. Anch’io, anni fa, se
avessi avuto nell’ombrellone a fianco una ragazza senza gambe mi sarei girata a guardarla perché non capita tutti i giorni.
Spesso la gente guarda per curiosità, perché non conosce e
non è abituata o perché si intenerisce o si dispiace. La gente
però ti guarda per come ti poni. Se ti atteggi pensando che “la
vita è così e non mi interessa”, la gente poi si abitua.
Come vivi il conflitto disabilità/femminilità?
Le gambe rappresentano la femminilità. Con le gambe puoi
metterti i tacchi alti, i fuseaux, le minigonne. Quando sono
tornata a casa e ho riaperto il mio guardaroba, non è stato
facile accettare di non poter più indossare tante cose. Col
tempo però ho imparato a volermi bene. Se ti vuoi bene anche
gli altri te ne vogliono. Ho imparato a guardarmi allo specchio
e vedermi bella anche senza gambe. Certo, ci sono occasioni
più difficili, come partecipare a una sfilata o una cena, dove
vorrei essere più carina però, non potendo sfoggiare le gambe,
ho imparato a valorizzare altre parti del mio corpo: per esempio gioco con il trucco e con i capelli ma soprattutto “me ne
frego”. In fondo se tu sfoggi il più bel sorriso che hai, la gente
guarda solo quello, tutto il resto scompare e passa in secondo
piano. Come sempre, tutto parte da noi.
Atleta, scrittrice e poi?
Ho mille progetti per la testa, sono un vulcano d’idee. Ho già
una vita pienissima tra le gare, il libro da promuovere e il mio
lavoro. Il mio interesse è che il libro vada in mano alle persone
che sono più sfiduciate. Oggi la gente si ammazza con troppa
facilità, cade facilmente in depressione. Mi chiedo: “Dove è
finito il valore della vita, il rispetto per la vita?”. Certo, è un
momento difficile ma bisogna avere fiducia, combattere e non
trovare l’alibi per buttare tutto. Bisogna imparare a sperare, a
pazientare. La disperazione non può portarti a distruggere la vita, a perderti e non riuscire per rabbia a dare
il giusto valore alle cose. Il mio obiettivo ora è riuscire,
con le parole del mio libro, a contagiare positivamente
la gente e a ridare speranza.
Monica Faganello.
Farmacista e scrittrice.
con
Noi
gli altri
26 marzo 2013
presso Fondazione Guido Muralti, Milano
Il farmacista di fronte
al paziente oncologico
Corso ECM per titolari di farmacia, tenuto da
medici e psicologi di Attivecomeprima.
14 giugno 2013
presso la nostra Sede
Il sostegno al paziente
oncologico e ai famigliari
Corso ECM per psicologi e psicoterapeuti,
tenuto dai nostri specialisti.
25-26 giugno 2013
presso Auditorium Monte dei Paschi di Siena,
Firenze
La guarigione possibile
nelle malattie oncologiche
Il Dott. Alberto Ricciuti è intervenuto al
Convegno Nazionale sul tema: “La speranza
nell’arsenale terapeutico del medico”.
4 aprile 2013
presso la nostra Sede
Intervista di Ada a Teleradio
Padre Pio
Ada in collegamento Skype con Teleradio
Padre Pio per la presentazione del libro
“Papaveri e Fiordalisi”.
31
Ringraziamo per il sostegno
negli anni 2012 / 2013
Avon/Valore D
Banca Intesa Sanpaolo
Banca Popolare di Milano
Besozzi Eletromeccanica srl
Centro Oncologico Lipsia
Club Inner Wheel Milano Sempione
Comune di Milano
Costa Crociere SpA
DGPA & Co
Dompé Farmaceutici SpA
Edison SpA
Eisai srl
Farmindustria
Fondazione Banca del Monte di Lombardia
Fondazione Cariplo
Fondazione Fondiaria SAI
Fondazione Johnson & Johnson
Fondazione Umberto Veronesi
Fondazione UniCredit
Fossil Group Europe
Gruppo Reale Mutua
Ilco Industriale srl
Janssen-Cilag SpA
London Stock Exchange Group Foundation
Material World Charitable Foundation
Pellegrini SpA
Reconta Ernst & Young SpA
Roche SpA
Sideuro srl
Spazzolificio Piave SpA
STMicroelettronics
Susan G. Komen Onlus
UniCredit Group
Warren Real Estate Ltd
E LIBERE OFFERTE DA PRIVATI CITTADINI
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CI DARÀ PIÙ FORZA
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da Italia e Paesi europei
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da Paesi extraeuropei
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Chiediamo alle persone che ci inviano offerte tramite
bonifico bancario, di fornirci il loro indirizzo per poterle
ringraziare e/o inviare loro le nostre pubblicazioni.
La banca non ce lo comunica per motivi di privacy.
Bollettino di c/c Postale
n. 11705209
Intestato a: Attivecomeprima Onlus
Via Livigno 3 - 20158 Milano
Assegno
intestato a: Attivecomeprima Onlus
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in modo veloce e sicuro dal sito www.attive.org
5 per mille
Inserire il codice fiscale nel riquadro:
“Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”
e inserisci il codice fiscale di Attivecomeprima Onlus:
10801070151
L’8 per mille e il 5 per mille non sono in alternativa: puoi sceglierli entrambi. “Le erogazioni liberali a favore di
Attivecomeprima Onlus sono deducibili/detraibili ai sensi di legge”.
Ringraziamo i finanziatori istituzionali,
le aziende e le persone che, con liberi
contributi, sostengono il nostro lavoro.
Alcune delle nostre nuove attività
Un tuo famigliare si è ammalato di
cancro? Possiamo aiutare anche te
Il servizio (gratuito) è rivolto ai famigliari, partner e persone vicine al paziente.
C’è qualcuno che può
aiutare te e i tuoi genitori
Il servizio (gratuito) è rivolto:
•ai figli dai 12 ai 21 anni, per aiutarli ad affrontare la malattia del genitore.
•ai genitori, per ogni problema di relazione e di comunicazione con i loro figli.
Ringraziamo Fondazione Cariplo, Roche SpA, Susan G. Komen Onlus per il sostegno al Progetto Caro Figlio.
Corsi di formazione 2014
sulla relazione di cura e supporto globale della persona in oncologia.
Rivolti a oncologi, psicologi, infermieri, altri operatori in ambito oncologico
e medici di medicina generale.
Presto disponibile la versione inglese
del nostro sito
Si ringrazia la Fondazione Johnson&Johnson per il contributo.
Per maggiori informazioni vai sul sito www-attive.org
oppure
chiama il numero 02 6889647
dal lunedì al giovedì (ore 9 - 17)
Ascolto telefonico, accoglienza, orientamento
e aiuto pratico
dal lunedì al giovedì ore 9,00/17,30
Consulenze telefoniche di psicologi,
medici ed altri esperti
dal lunedì al giovedì ore 10,00/16,00
Primo incontro riservato alle persone che
si rivolgono per la prima volta all’Associazione
su appuntamento
La prevenzione a tavola
corso teorico e pratico di alimentazione
mercoledì ore 10,30/14,30
esperti della Ricerca Diana (Istituto Tumori Milano)
Armonizzazione mente corpo attraverso la danza
martedì ore 16,00/17,30
Nicoletta Buchal (medico/psicoterapeuta)
Somatic Experiencing
martedì ore 14,30/16,00
Marina Negri (fisioterapista),
Chiara Covini (operatore corporeo)
Felicita Bellomi (fiduciaria) e una psicologa
Supporto psicologico individuale
per pazienti e famigliari
su appuntamento
Tecniche di Hatha Yoga
lunedì ore 10,00/11,00
mercoledì ore 15,00/16,00 - 16,15/17,15
Maria Grazia Unito (insegnante)
Arte Terapia
cadenza quindicinale - mercoledì ore 14,30/16
Gruppi di sostegno psicologico rivolti ai pazienti
prima, durante e dopo le terapie oncologiche
martedì ore 14,30/16,00
giovedì 10,30/12,00 - 14/15,30
Paola Bertolotti, Stefano Gastaldi (psicologi/psicoterapeuti),
Elena Bertolina (recorder)
Caregiver sostegno psicologico rivolto a famigliari,
partner e persone vicine al paziente
lunedì ore 12,30/14,00
Manuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta),
Oscar Manfrin (recorder)
Caro Figlio sostegno psicologico rivolto ai figli dei
pazienti. Specifico dai 12 ai 21 anni
Su appuntamento
Manuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta)
Mimma Della Cagnoletta (psicoterapeuta)
La mente intuitiva
giovedì ore 14,00/17,30
Vittorio Prina (docente di processi intuitivi)
Laboratorio di pittura su ceramica
cadenza quindicinale
mercoledì ore 14,30/16,00
Ornella Bolzoni (insegnante)
La forza e il sorriso per migliorare
la valorizzazione di sé attraverso il trucco
lunedì ore 14,30/17,30
(esperte di estetica del viso del Progetto Unipro)
Supporto medico generale
ai pazienti in terapia oncologica
martedì e giovedì - su appuntamento
Alberto Ricciuti (medico)
Dottore si spogli i medici rispondono
alle domande su malattia e cure: incontri
di gruppo e individuali
su prenotazione lunedì e/o martedì ore 15,00/17,00
Il tesoro nascosto incontro riservato
ai collaboratori e fiduciarie
il primo mercoledì del mese ore 15,00/17,00
Ada Burrone e una psicologa
Progetti, studi e ricerche
con Università, Fondazioni, Aziende, Ospedali
e Istituti di Ricerca.
Massimo Callegari (chirurgo plastico), Salvo Catania
(chirurgo oncologo), Giorgio Secreto (endocrinologo),
Franco Berrino (epidemiologo/esperto di alimentazione)
PER MAGGIORI INFORMAZIONI TEL: 026889647 EMAIL: [email protected]
La nostra sede è a Milano.
Di seguito l’elenco delle città dove potete trovare
uno o più specialisti che hanno partecipato
alle nostre attività di formazione.
ITALIA:
Adro (BS)
Ancona
Andora (SV)
Aosta
Arona (NO)
Ascoli Piceno
Asti
Aviano (PN)
Bari
Bergamo
Biella
Bologna
Bolzano
Brescia
Brindisi
Brugherio (MB)
Cagliari
Casarano (LE)
Castellanza VA
Cecina (LI)
Ceranesi (GE)
Chieri (TO)
Chieti
Civitanova Marche (MC)
Codogno (PV)
Conegliano (TV)
Crema (CR)
Cremona
Cuneo
Desio (MB)
Desulo (NU)
Fidenza (PR)
Firenze
Foggia
Forli
Formigine (MO)
Gallipoli (LE)
Genova
Grosseto
Inverigo (CO)
Lainate (VA)
Lecco
Livorno
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Macerata
Marsala (TP)
Merate (LC)
Mestre (VE)
Messina
Mirano (VE)
Modena
Monfalcone (GO)
Monterotondo (RM)
Mortara (PV)
Napoli
Oggiono (LC)
Padova
Parma
Pavia
Perugia
Piacenza
Pietra Ligure (SV)
Pisa
Pordenone
Prato
Ragusa
Reggio Calabria
Reggio Emilia
Riccione (RN)
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Roma
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Seriate (BG)
Siena
Sondrio
Terni
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Torino
Trapani
Treia (MC)
Trento
Treviglio (BG)
Treviso
Varese
Vercelli
Verolanuova (BS)
Verona
Vicenza
Villa Adriana (RM)
Viterbo
Voghera (PV)
Lega Italiana per la
Lotta Contro i Tumori
Istituti Oncologici
e Ospedali
altre Associazioni
Specialisti del settore
ESTERO:
Rio de Janeiro
Atene
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Lugano
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un’equipe di professionisti offre
a tutti i malati di cancro
un servizio di supporto umano, medico
e psicologico a sostegno della vita
e a rafforzamento delle
terapie oncologiche.
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CONTINUARE
Il suo metodo di lavoro
ha preso corpo dall’ascolto
dei bisogni espressi da
pazienti e famigliari
e dalla valutazione
dei risultati
di studi e ricerche.
Il metodo e gli strumenti
sono oggetto di un’attività
di formazione rivolta a oncologi,
psicologi, medici di medicina generale
e altri operatori
in ambito oncologico.
DAL 1973 A SOSTEGNO GLOBALE
DELLE PERSONE COLPITE DAL CANCRO
E DEI LORO FAMIGLIARI
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T +39 02 688 96 47
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2013 n°2 - Attivecomeprima