Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere. Noi nell ’’Io dell Anno XXX - n° 2 - ottobre 2013 impero Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI UN METODO ESCLUSIVO E ORIGINALE COS’È Il metodo di lavoro di Attivecomeprima nasce dall’incontro e dall’ascolto delle persone ammalate di cancro e consente di intervenire sugli aspetti traumatici di tale esperienza, evitando che gli stessi blocchino le persone nella sofferenza, nella paura e nell’esclusione dalla vita. OBIETTIVI Ridurre l’effetto traumatico dell’esperienza del cancro, favorire la riattivazione della capacità di dare prospettiva alla vita, anche sostenendo i processi di cambiamento e di evoluzione personale che spesso caratterizzano le reazioni alle situazioni traumatiche. COME FUNZIONA Un’équipe multi-professionale e integrata permette di gestire al meglio la gamma dei bisogni che le persone esprimono, attraverso differenti strumenti di intervento in ambito psicologico, medico e psicofisico. Gli aspetti traumatici riguardano da vicino anche la famiglia della persona ammalata ed è per questo che il metodo di Attivecomeprima si rivolge anche ai caregiver e ai figli adolescenti e giovani adulti. RISULTATI VERIFICATI • Potenziamento delle risorse psicofisiche durante le terapie oncologiche • Riduzione della depressione e della fragilità emotiva • Rafforzamento dell’autostima, dell’assertività e dell’autonomia • Riduzione della dipendenza emotiva, pratica ed economica a livello famigliare e sociale • Maggior attivazione delle risorse personali per contribuire al buon esito delle terapie oncologiche Tutte le competenze tecniche e cliniche dei professionisti che conducono le attività dell’Associazione sono messe al servizio degli obiettivi del metodo, dando vita a modalità specifiche e originali di lavoro. Dal 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro Editoriale Trasformare un evento traumatico in un’opportunità per non rinunciare a vivere ma per rinnovare il senso della vita non è certo facile, ma è possibile. ATTIVEcomeprima Onlus Via Livigno 3, 20158 Milano Tel 026889647 Fax 026887898 [email protected] www.attive.org Consiglio Direttivo: Ada Burrone, Alberto Ricciuti, Arianna Leccese, Maria Lisa Di Latte, Giovannacarla Rolando. Collegio dei Sindaci: Mauro Bracco, Flavio Brenna, Luciana Dolci, Giusi Lamicela, Carlo Vitali. Comitato Scientifico: Stefano Gastaldi, Paola Bertolotti, Fabio Baticci, Franco Berrino, Nicoletta Buchal, Chiara Caldi, Massimo Callegari, Salvo Catania, Alberto Costa, Francesco Della Beffa, Roberto Labianca, Marina Negri, Willy Pasini, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Giorgio Secreto, Sandro Spinsanti, Paolo Veronesi, Umberto Veronesi, Claudio Verusio. Un pescatore una volta mi ha raccontato una storia. L’aragosta è un animale che ha lo scheletro all’esterno del proprio corpo. Man mano che cresce, il carapace diventa sempre più stretto e, ad un certo punto, l’animale deve per forza cambiarlo. Non c’è altra scelta. Così, il “guscio” si rompe e l’aragosta rimane per settimane senza alcuna protezione, in balia di ogni genere di predatore o pericolo. È logico che in quel periodo lei rischi la vita per la sua fragilità, ma nello stesso momento, sta costruendo una nuova struttura, più robusta di prima. Questo rende l’idea di quanto, di fronte a circostanze inevitabili, la nostra capacità di conformarci al cambiamento è ciò che ci consente di stare nella vita. Di questa metamorfosi è testimone una donna famosa e speciale che abbiamo intervistato per voi. A lei va il nostro grazie e la nostra profonda ammirazione. Per tradizione, ATTIVEcomeprima Onlus offre la Presidenza Onoraria al Sindaco di Milano. Ringraziamo i nostri collaboratori e fornitori per il contributo alla realizzazione e alla qualità di questa rivista. Un grazie particolare alla Fotolito ABC per l’omaggio degli impianti di stampa e alla Fondazione Johnson & Johnson per il contributo alla stampa. Per ricevere questa rivista basta inviare una libera offerta ad ATTIVEcomeprima Onlus. 3 RIVISTA ATTIVE RIPROGETTIAMO L’ESISTENZA, DECIDO DI VIVERE, LA TERAPIA DEGLI AFFETTI Testi utilizzati per la conduzione dei gruppi di sostegno psicologico* Viene offerta a tutti coloro che sostengono l’Associazione tempo il ’ empatia dell Anno XXX - n° 1 - maggio 2013 scaricabile dal sito www.attive.org scaricabili dal sito www.attive.org LA FORZA DI VIVERE PER AFFRONTARE CON ARMONIA IL CAMBIAMENTO di Ada Burrone (in italiano e in inglese) Edizione ATTIVEcomeprima LA TERAPIA DI SUPPORTO DI MEDICINA GENERALE IN CHEMIOTERAPIA ONCOLOGICA di Alberto Ricciuti Edizione FrancoAngeli LA DANZA DELLA VITA Le esperienze più straordinarie della mia esistenza di Ada Burrone (in italiano e in inglese) Edizione FrancoAngeli M’amo non m’amo Ada Burrone scaricabile dal sito www.attive.org Relax dei Colori a cura di Maria Grazia Unito Rilassamento ALIMENTARE IL BENESSERE Franco Berrino LA FORZA DI CAMBIARE Paola Bertolotti LA TERAPIA DEGLI AFFETTI Stefano Gastaldi Edizione FrancoAngeli Self-help LA FORZA DI VIVERE Cofanetto di 10 opuscoli a cura di ATTIVEcomeprima ...E POI CAMBIA LA VITA Parlano i medici le donne gli psicologi a cura di ATTIVEcomeprima Edizione FrancoAngeli/Self-help Silenzio a cura di Marina Negri a cura di Paola Bertolotti * Riservati agli psicologi e alle fiduciarie che partecipano ai nostri incontri formativi Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI TRE CD-AUDIO PER RITROVARE IL GIUSTO RELAX scaricabile dal sito www.attive.org M’AMO, NON M’AMO di Ada Burrone Edizione ATTIVEcomeprima LETTERA AI MEDICI DI DOMANI La paura è contagiosa, ma lo è anche la speranza A cura di Ada Burrone (in italiano e in inglese) Potete richiederli tutti alla nostra Segreteria tel. 026889647 email: [email protected] LO SPAZIO UMANO TRA MALATO E MEDICO Parlano medici, pazienti, psicologi A CURA DI ATTIVECOMEPRIMA Il Pensiero Scientifico Editore QUANDO IL MEDICO DIVENTA PAZIENTE La prima indagine in Italia sui medici che vivono o hanno vissuto l’esperienza del cancro a cura di ATTIVEcomeprima e Fondazione Aiom Edizione FrancoAngeli PAPAVERI E FIORDALISI La scuola della vita di Ada Burrone Edizione FrancoAngeli Getty images Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere. Sommario Periodico trimestrale Anno XXX - N° 2 Ottobre 2013 Sped. abb. post. 70% Filiale di Milano La rivista è posta sotto la tutela delle leggi della stampa. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. La riproduzione scritta dei lavori pubblicati è permessa solo dietro autorizzazione scritta della Direzione Direttore responsabile: Ada Burrone Vice Direttore: Paola Bertolotti Redazione: Caterina Ammassari Hanno collaborato: Serena Ali, Caterina Ammassari, Angela Angarano, Franco Berrino, Paola Bertolotti, Ada Burrone, Maurizio Cantore, Daniela Condorelli, Monica Faganello, Stefano Gastaldi, Benedetta Giovannini, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Sandro Spinsanti. Proprietà della testata: © Ass. ATTIVEcomeprima Onlus Direzione, Redazione, Amministrazione: ATTIVEcomeprima ONLUS 20158 Milano Via Livigno, 3 Tel. 026889647 Fax 026887898 e-mail [email protected] www.attive.org Progetto grafico e impaginazione: Alessandro Petrini Tel. 0258118270 Fotolito: ABC, Milano Tel. 025253921 Stampa: Tecnografica, Lomazzo (Co) Tel. 0296779218 ATTIVEcomeprima ONLUS Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 39 del 28/1/1984 L’Associazione è iscritta: -All’Albo delle Associazioni, Movimenti e Organizzazioni delle donne della Regione Lombardia -Al Registro dell’Associazionismo della Provincia di Milano -Al Registro Anagrafico delle Associazioni del Comune di Milano -All’Albo delle Associazioni della Zona 9 del Comune di Milano -Alla Società Italiana di Psiconcologia (S.I.P.O.) -Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) ATTIVEcomeprima aderisce al movimento di opinione “Europa Donna Italia” Editoriale pag. 03 AVVENTURA La casa di Api / Caterina Ammassari pag. 06 TRA MEDICO E PAZIENTE Donatori di musica / Maurizio Cantore e Alberto Ricciuti pag. 10 VIVERE IL CAMBIAMENTO Un po’ di coraggio e un po’ di follia / Paola Bertolotti pag. 12 IL LINGUAGGIO DEGLI AFFETTI Noi, nell’impero dell’Io / Stefano Gastaldi pag. 16 CAREGIVER Un’altra vita inizia / Manuela Provantini pag. 18 LE VOSTRE LETTERE Cara Ada / Ada Burrone pag. 20 LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMO Il tempo come cura / Sandro Spinsanti pag. 22 NUTRIRE IL BENESSERE I 4 pilastri alimentari della prevenzione della recidiva del cancro / Franco Berrino Le ricette di Angela / Angela Angarano pag. 24 pag. 26 Letti e piaciuti / a cura di Serena Ali pag. 27 Sapevate che... / Benedetta Giovannini pag. 27 PROFILI Giusy Versace / Monica Faganello pag. 28 Noi con gli Altri pag. 31 Avventura La casa di Api 6 Erano anni che desideravo fare quel viaggio. Quel luogo per me era come un sogno irrealizzabile, una meta quasi inconcepibile da raggiungere. Ne avevo sentito parlare per la prima volta in un libro che raccontava la vita di un monaco indiano e del suo percorso di realizzazione del sé, durato un’intera esistenza. Nelle pagine di quel lungo racconto, il monaco parlava di vera ricerca spirituale, di rinuncia, di sprazzi d’infinito, di realizzazione divina e, tra le altre meravigliose argomentazioni, di un posto particolare: un luogo fisico e metafisico che aveva conquistato la mia attenzione, la mia mente, la mia immaginazione, ma soprattutto la mia anima. Come un richiamo profondo diretto al cuore, come un faro che con la sua luce guida un viaggiatore confuso, dentro di me si stava formando pian piano un desiderio sempre più consapevole e determinato: un giorno sarei andata alla grotta di Babaji, sull’Himalaya. In questa grotta, secondo il racconto, Babaji ha meditato per millenni, superando i limiti dello spazio e del tempo, per portare all’umanità il suo messaggio: “La mia natura è amore, perché solo l’amore può cambiare il mondo”. Ma dove iniziava il romanzo? Dove la realtà? Solo io potevo scoprirlo. Ed è così che è iniziato il mio viaggio in India, verso l’Himalaya. È davvero strano come a volte, mentre teniamo bene fissa di fronte agli occhi la nostra meta, accadano attorno a noi innumerevoli avvenimenti, capitino sul nostro percorso persone, messaggi, indicazioni, brevi deviazioni. Se però le energie sono canalizzate in modo armonioso, scopriamo poi, guardandoci indietro, che tutto faceva parte non solo del percorso, ma anche della meta stessa. Anzi, forse tutti questi elementi erano la vera meta... Dico questo perché per me riuscire a raggiungere la grotta della quale avevo tanto letto nei libri e che avevo sentito nominare tra i devoti dello stesso Babaji, è stato un vero viaggio fuori e dentro di me. Non si trattava più di prendere un aereo, fare nove ore di volo, viaggiare tutta la notte in treno, affittare un taxi, arrampicarsi per tre ore su un sentiero di montagna - che la storia narra essere infestato da giaguari e serpenti - fino a giungere finalmente sulla soglia di quel luogo che 7 Ma dove iniziava il romanzo? Dove la realtà? Solo io potevo scoprirlo. 8 sentivo profondamente mio e, allo stesso tempo, dell’intera umanità. Questa era solo l’apparenza delle cose. Il vero viaggio, ho compreso solo più tardi, era fatto di tanti piccoli “tasselli”, di gradini messi in fila, di elementi puri come specchi, posti lì davanti a me per farmi comprendere meglio il “senso del tutto”... La ragazzina indiana che sta stendendo il bucato appena sotto al balcone della guest-house dove alloggio guarda in su, mi vede e mi sorride. Mi fa cenno che il vestito indiano che indosso è proprio bello. In effetti è un vestito un po’ speciale che ho comprato in un negozio di Bangalore anni prima, è uno dei miei preferiti per i suoi colori e per i ricami. Con una naturalezza da amica di sempre, mi fa cenno di scendere, di seguirla: mi vuole invitare a casa sua. Io tentenno, poi accetto, sono sola in quel momento, gli altri componenti del mio gruppo sono fuori in cerca di una guida per il giorno dopo. Non mi aspettavo di essere invitata, non mi aspettavo che volesse conoscermi. La seguo, scendo le scale, la raggiungo su una terrazza di cemento armato, percorro, in bilico, dopo di lei altri gradini di una scala di alluminio appena appoggiata a un muro, scavalco della spazzatura, evito degli spuntoni di ferro e finalmente sono davanti alla porta della sua casa, una baracca di cemento. Mi dice che si chiama Api ed è veramente bellissima: i capelli lisci e neri, lucidi di olio al gelsomino, un vestitino semplice ma che le dona molto, gli occhi luminosi e gioiosi. Tutto avviene in modo spontaneo, naturale. È da sola con il fratellino, la mamma e il papà sono a lavoro, entro nella loro casa: è un’unica stanza, un letto grande, le pareti colorate verde bosco, un divano accostato al muro, Ganesh, il Dio della fortuna, appeso in un’immagine scolorita. Non posso dire che la camera sia pulita, le pareti sono annerite di muffa, la coperta sul letto è umida e macchiata ma Api mi apre il cuore, mi fa sentire incredibilmente “a casa”, normalmente. Mi vuole offrire un chai, il tè nero, speziato e dolce, il “benvenuto” in India; mi dice con i gesti di aspettare. Rimango lì seduta e mi sembra quasi di essere un ospite che stavano aspettando da tempo e che finalmente è arrivato. Il fratellino si mette seduto sul letto, lui parla un buon inglese, mi dice che va a scuola, che studia. Gli chiedo quale sia la sua materia preferita. Mi risponde che va bene in matematica e subito dopo mi fa vedere che alla televisione stanno trasmettendo i suoi cartoni animati preferiti: Dragon ball, in hindi. I bambini sono proprio tutti uguali... Api rientra con un vassoietto di metallo, sopra ci sono tre piccoli bicchieri di vetro. Mi offre il tè e con il mio poco hindi le dico shukriya, grazie. In quel momento la mia parte razionale, rigorosa e piena di schemi inutili mi dice: “Sei allergica al latte. Non puoi berlo”. E poi ovviamente: “L’avranno fatto bollire? Avranno lavato il bicchiere?”. Allora mi dico: “Chissenefrega. Questo è un momento unico, tutta questa è un’esperienza che non dimenticherò”. E così assaggio il chai, beviamo insieme, mi rendo conto che sto condividendo qualcosa di più di una tazza di tè, sto condividendo vita. Sono stata invitata a sentirmi parte di quella famiglia, della loro casa o forse, in un istante condensato, dell’intera India. Parliamo ancora della scuola, dei cartoni animati, finisco quel tè delizioso e penso che, nonostante la mia intolleranza ai latticini, non mi farà affatto male; anzi: mi sento riscaldata dentro, in quella giornata di pioggia himalayana, dopo la stanchezza di un viaggio in jeep così impegnativo. Il tè è finito, esco da quella casa con il cuore leggero, sono felice e non so perché. Saluto Api e il suo fratellino tornando nella mia stanza. I miei compagni di viaggio sono rientrati e io conservo dentro di me quell’esperienza vissuta, senza dire nulla a nessuno. La mattina dopo siamo tutti svegli presto, c’è ancora molta strada da fare in macchina, gli zaini sono chiusi, tranne il mio. Sento che qualcosa è rimasto in sospeso, devo chiudere un cerchio. È facile capire cosa devo fare: il vestito indiano. Piego con cura la casacca arancione, i pantaloni ampi e la sciarpa abbinata e con un’emozione quasi infantile, una gioia infinita, metto tutto in un sacchetto. E il fratellino di Api? Mi ricordo di avere nella borsa delle matite colorate e un quaderno a righe. Scrivo su un foglio una breve frase e a lettere grandi “TO API” e lo attacco al sacchetto dove ho messo tutto. Senza dire niente ai miei amici, ripercorro a ritroso la strada del giorno prima, ormai sono “una di casa”, spero che non ci sia nessuno perché voglio che sia davvero una sorpresa per Api. Per fortuna la porta è chiusa e posso così lasciare il mio piccolo dono proprio vicino all’entrata. Come una ladra (ma che non porta via nulla, anzi) ritorno all’hotel, chiudo le valigie e, guardandomi indietro in macchina, riparto per la tappa seguente. Così si che sono in pace. Così si che ho chiuso il cerchio. A volte mi piace immaginare l’espressione che Api deve aver fatto trovando il sacchetto davanti alla porta di casa. Ora anche lei ha qualcosa di me. Io ho tanto di lei, una grande ricchezza. È proprio vero che se solo ci fermiamo a “vedere” cosa c’è attorno a noi, oltre che a “guardare”, possiamo scorgere un “qualcosa di buono” che pervade tutti e tutto. È un qualcosa che ci fa sentire a casa, anche a distanza di migliaia di chilometri dalla nostra famiglia, è un’energia che apre il cuore, è una comunicazione non verbale che mette in sintonia un essere umano con un altro. È il bene che c’è in ognuno di noi, il bene che immediatamente riconosciamo perché risuona in noi, è parte di noi. E allora mi vengono in mente le parole del Santo Babaji e penso che forse lui abbia davvero ragione: la nostra natura è Amore... Caterina Ammassari. Relazioni esterne Attivecomeprima Onlus. 9 Tra medico e paziente Il 26 giugno scorso, mi trovavo a Firenze al Convegno “La guarigione possibile nelle malattie oncologiche”, organizzato da Cittadinanzattiva Onlus con l’Istituto Toscano Tumori, per partecipare alla tavola rotonda “Interazione dei saperi nell’umanizzazione delle cure”. Tra i relatori Maurizio Cantore, oncologo, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’ospedale di Carrara e fondatore di “Donatori di Musica”, una rete – come si legge sul sito www.donatoridimusica.it – di musicisti, medici e volontari, nata nel 2009 per realizzare e coordinare stagioni di concerti negli ospedali. Un’Associazione alla quale la Fondazione Langer ha conferito, il 5 luglio, il prestigioso Premio Alexander Langer 2013. Come Cantore ha raccontato con toni appassionati durante la sua relazione, questa straordinaria idea è maturata improvvisamente un giorno di fronte a un suo nuovo paziente, un musicista malato di cancro, nel quale Cantore riaccese il senso della vita con una semplice domanda: “Perché non mi dà una mano a portare un po’ di musica in ospedale?”. E così ha preso corpo e avvio una vera e propria stagione concertistica che ogni anno, nei diversi ospedali italiani che hanno fatto propria questa geniale intuizione, aggiunge vita agli anni non solo delle persone ricoverate, ma di tutto lo staff ospedaliero e degli stessi famigliari che condividono insieme, senza barriere, l’esperienza umana, emotiva e risanante che la profondità e l’universalità del linguaggio musicale sanno accendere in ognuno di noi quando toccano le corde del cuore. E così accade quando una sala d’ospedale si trasforma in sala da concerto, quando le presenze che la riempiono, non più vestite e protette dai loro ruoli, condividono la magia di un evento che arricchisce di vita lo spazio e il tempo della cura. Un evento reso possibile grazie a donatori di musica di grande generosità umana e qualità professionale: da Giovanni Allevi a Renzo Arbore, da Carlotta Nobile a Martin Berkofski, da Enrico Dindo a Stefano Bollani e molti, molti altri. Alla sera sul Frecciarossa, tornando a Milano, guardando la campagna che scorreva veloce sotto i miei occhi, riascoltavo nella mente le parole di Maurizio immaginando le persone, le musiche, il clima del concerto. Il giorno dopo gli ho telefonato e, ben consapevole che un evento musicale va vissuto, gli ho chiesto comunque di raccontarci... di donarci un piccolo frammento di quella magia. E lui, con generoso e sincero entusiasmo, l’ha fatto. Alberto Ricciuti. Medico di medicina generale. Responsabile in Associazione del servizio di Supporto di Medicina Generale durante la chemioterapia. Donatori di Musica Chiedo sempre agli studenti delle scuole superiori di fare un sogno e di disegnare il reparto ospedaliero che vorrebbero. Non mi è mai capitato che l’immaginazione più audace di qualsiasi studente abbia raggiunto la bellezza del nostro quarto piano. Gli spazi che cambiano e si trasformano per accogliere al meglio le persone, il tempo riempito da momenti di conoscenza, di condivisione, di sereni- tà, le persone che rimangono tali anche se hanno un camice o un pigiama. In questo mondo non “favoloso di Amélie”, ma reale, concreto, si è sviluppato il progetto Donatori di Musica diventato in sei anni una realtà non solo a Carrara ma anche a Bolzano, Brescia, Sondrio, Saronno, Vicenza, Roma. Modalità poco diverse, espressione del desiderio di aggiungere qualcosa di proprio a una “rivoluzione” silenziosa alla quale non si riesce a resistere. Perché si vive meglio, si lavora meglio e si diventa persone migliori. In questo mondo in rapida espansione, l’ammalato non è al centro di coloro i quali lo debbono aiutare o curare, ma è al loro fianco, con diritti sì, ma anche doveri principalmente verso se stesso, dovere di sapere, dovere di chiedere, dovere di aprirsi: insomma, dovere di non morire dentro perché otto etti di tumore hanno preso residenza nel suo stesso stabile. Il primo risultato che Donatori di Musica produce è lo scoprire la voglia di riattivare quei processi che quasi sempre si spengono: la progettazione e la speranza. È stato così per Gianandrea Lodovici, critico musicale e produttore discografico, che nel giugno del 2007 è entrato nel mio studio di Carrara per fare un piacere alla moglie: dopo un anno di chemioterapie risultate inutili, cercava “l’ultima spiaggia” in nuove terapie. La sua vita era stata per la musica e dentro la musica aveva abitato per i suoi 47 anni, ma era un anno che alla musica si era sostituito il tumore e le sue cure. In quella prima visita non abbiamo parlato di tumore, ma gli ho parlato del bisogno che avevamo noi (i suoi possibili curanti) di lui, per fare entrare la musica nel nostro reparto non come concerto unico ma proprio come stagioni musicali. Ed ecco subito il primo miracolo, i suoi occhi che fino a quel momento guardavano oltre il mio camice, immediatamente si riaccendono e acquistano una luce ormai spenta. E da allora la Musica non è più mancata nel nostro reparto oncologico dove tutti i mercoledì un artista suona. Oltre 150 concerti e oltre 7.000 pigiami lasciati sul letto - perché al concerto si viene vestiti e truccati, proprio come quando a trovarti in casa viene un amico importante. La musica è un mezzo straordinario per creare una relazione in cui è più facile parlare, spiegare, chiedere. Rappresenta il terreno fertile per la reale condivisione delle scelte, ben più vera e sincera dell’attuale consenso informato per legge richiesto. Del concerto tutte le fasi sono importanti: la preparazione che attiva il volontario grafico a fare la locandina, il volontario PR a prenotare alberghi e a tenere i contatti con gli artisti, la fase del concerto dove i volontari fotografi e cameraman si superano per fissare quegli attimi indimenticabili, la fase del buffet dove i volontari si sfidano all’ultimo fornello e dove i piatti e le tradizioni dei malati indigeni si fondono con quelle degli extra-muros. È un apparente caos perché non esistono etichette: tu sei malato, tu sei infermiere, tu volontario, tu artista, tu accompagnatore sano. Questo può essere destabilizzante perché l’etichetta permette a noi medici di mantenere quel distacco per “sopravvivere” e serve al malato per mantenere “fiducia nella professionalità” di un medico serio. Non è così, non è così. Donandosi sempre di più, nuovi canali comunicativi si aprono, veloci autostrade di conoscenza si svelano ed è più facile fare quelle scelte terapeutiche che nascono si dalla evidenza scientifica, ma si arricchiscono dei reali desideri di ogni malato, fino ad allora molto spesso nascosti o cancellati. Ma di tutte le fasi dei concerti di Donatori di Musica quelle più importanti sono tutti i giorni dopo. Non servirebbe a niente avere assistito al più grande ed emozionante concerto del secolo se tutti i giorni successivi non venisse mantenuta quella magica relazione che si è creata DURANTE il concerto. Ecco perché la bellezza e la grandezza della rivoluzione di Donatori di Musica si vede ancora di più in tutti i giorni dopo, proprio nella quotidianità fatta di vittorie e di sconfitte, fatta di lacrime ed abbracci. Fatta di scienza, di carne e di cuore. Maurizio Cantore. Direttore di Oncologia Medica Massa e Carrara – Ospedale di Carrara. 11 Vivere il cambiamento Un po’di coraggio un e po’ di follia È passato un anno da quando ti ho conosciuta e ho ancora presente la tua immagine di allora... chiusa, confusa e dolorosamente arrabbiata. 12 Ricordo anch’io, ero sconcertata e sopraffatta da qualcosa che mi aveva completamente sconvolto i piani della vita. Quando mi sono ammalata avevo appena compiuto 37 anni e avevo grandi sogni! Sono arrivata qui ad Attive pochissimo tempo dopo l’intervento. Il tumore mi è stato diagnosticato nel dicembre 2010, sono stata operata a gennaio e sono arrivata qui a febbraio. Ero completamente sotto shock. Chiesi al mio psicologo, da cui andavo da un po’ di anni, se conosceva qualche associazione perché sentivo l’esigenza di un confronto e di condividere. Avevo bisogno di persone che potessero capirmi di più. Venire qui mi è servito tantissimo, infatti continuo a farlo. Attualmente sto seguendo la Terapia degli Affetti. Come potresti definire il tuo shock? Un dramma, un dramma enorme, che c’è ancora, che credo non potrò dimenticare. Il mio era un tumore all’utero e anche abbastanza aggressivo. Mi sono sentita strappare qualcosa che per me era davvero importante, perché ho sempre desiderato avere dei figli. Nel giro di quindici giorni mi sono ritrovata operata, senza utero e ovaie, in menopausa forzata. Le prime cose che ti vengono in mente sono: “Perché non ho avuto figli prima? Perché è dovuto capitare a me?”. Mi sono sentita in colpa, perché il mio era un papilloma virus che è poi diventato tumore. Tantissimi medici e ginecologi mi hanno assicurato che prevenirlo era impossibile, ma il senso di colpa è grande. La rabbia da dove scaturiva in quel momento? Scaturiva dal sentirmi defraudata di un bene prezioso, ma soprattutto dal fatto di non aver avuto scelta né speranza che le cose si potessero aggiustare. Dopo il primo responso all’Ospedale Niguarda, sono andata al Centro Tumori perché non volevo neanche pensare di dovermi operare. Però non c’era molto tempo, dovevo prendere una decisione in pochi giorni. Sono riuscita ad avere un appuntamento al Centro Tumori con una ginecologa oncologa che purtroppo mi ha confermato la diagnosi. Mi è caduto il mondo addosso. Dal giorno della notizia sono entrata in uno stato che potrei definire “vegetativo”. Ricordo i dieci giorni di attesa tra il “verdetto” e l’intervento come surreali e terribili, non so come ho fatto a sopravvivere e la tentazione di buttarmi dalla finestra era abbastanza forte. Avevi il progetto di un figlio in quel periodo? No, negli anni avevo vissuto una convivenza ma non avevo voluto figli, perché sentivo che il rapporto con il mio compagno non era abbastanza solido. In quel periodo avevo molte cose da fare ed ero convinta di avere tutta la vita davanti. Quando mi sono ammalata, stavo con una persona da poco tempo, anche se ci conoscevamo da tanto. Amando molto questa persona, l’idea di avere un figlio si era ripresentata. Purtroppo questa persona non si è rivelata all’altezza della situazione e se n’è andata. È stato un doppio trauma. Mi sono sentita strappare violentemente da una “mano cattiva”, sia dalla persona che amavo, sia dalla possibilità di avere un figlio. Per la prima volta nella mia vita, ho sentito di non poter in nessun modo contrastare questa cosa, di non poter fare nulla per evitarla. Credo che una sensazione così forte di impotenza e di paura non fosse solo legata alla malattia. La malattia l’ho vissuta dopo. All’inizio non era il mio principale pensiero, non avevo paura di morire. Il trauma è stato il dover togliere l’utero. Ora, a fatica, riesco a vedere la questione anche da un altro punto di vista. Quando sei arrivata ad Attive eri concentrata su: “Non posso più avere figli”. Come ti ha aiutato il percorso fatto qui? Sono uscita dallo shock, da quello stato mentale di vita che non era vita, in balia di una nebbia che non riuscivo a contenere e ad analizzare. Mi è servito per uscire da questa sensazione ed è stato già un grosso cambiamento. Il dolore di non poter avere bambini c’è sempre, c’è ancora. Ricordo tante cose successe nel gruppo, frasi che hai detto, frasi che ho preso dalle altre donne. Ce ne sono alcune in particolare a cui ancora oggi ripenso di tanto in tanto, che mi ricorderò sempre e che mi sono servite molto. In particolare, mi ricordo un’immagine che tu hai dato una volta per descrivere questo dolore che c’è e ci sarà... mi hai detto: “Questo dolore rimarrà sempre in te, da qualche parte. L’importante è che rimanga un pacchettino chiuso in un cassetto, perché non invada tutto il resto della tua vita. Ma lo porterai sempre con te”. Ed è così. È così, nel senso che io ho ricominciato a vivere, anche se con grossi problemi ancora. A volte mi ritorna la paura, il malessere, il rapporto con la mia femminilità che, a questo punto, appurato che non posso avere figli, è il problema più grosso. L’idea di avvicinarmi ad un uomo in questo momento è un grosso scoglio, ho paura di ritrovarmi nel momento in cui dovrò svelare la mia realtà. Ma non per tutti gli uomini è essenziale avere figli... Lo so, però in parte la mia paura è legata al non poter avere figli, ma in parte è legata al fatto di non avere più l’utero, le mestruazioni, al fatto che l’intervento ha lasciato cicatrici interne, insomma ci sono delle difficoltà nel considerarmi ancora una donna. Il mio ginecologo mi ha detto che è tutto superabile e che devo solo darmi tempo. Ed è vero, però ho provato con una persona che mi vuole molto bene e che mi ha sostenuta e accompagnata in questo mio percorso. Mi sentivo tutelata in quel momento, ma era dichiaratamente un esperimento. È diverso dal conoscere una persona nuova e mettersi in gioco in modo completo. Questo mi spaventa molto. Occorre un po’ di coraggio, un po’ di follia a rilanciarsi nella vita dopo un’esperienza così carica di dolore. Ed è comprensibile aver paura di entrare in relazione con qualcuno o qualcosa che forse potrebbe deluderci... Chiudersi alle nuove esperienze 13 senz’altro preserva dalle delusioni. Però è come tirar su un ponte levatoio... non entrano i nemici, ma nemmeno gli amici...! Sì, è proprio così, me ne rendo conto. Forse riuscirò a sentirmi nuovamente fiduciosa quando avrò accettato questa mia condizione e mi sarò adattata a quelle difficoltà che non sono solo nella mia testa, ma sono difficoltà reali. Un cambiamento che mai avrei pensato! Gli amici li ho trovati qui. Mi sono sentita accolta, non giudicata, più che da ogni altra parte, perché chi certe cose non le ha vissute ti può aiutare meno, pur provandoci. Ho trovato il modo per affrontare gli altri e me stessa, sapendo di dovermi un po’ ricostruire da zero. Non è che mi sono persa di vista nella malattia, io ci sono, ma sommersa sotto tutto quello che questa malattia si è portata dietro. Tante cose sembrano impossibili da tollerare e serve aiuto umano, psicologico, anche risposte pratiche; è arrivato tutto. Mi è servito molto capire un po’ per volta che non ero sola, nonostante mi sentissi terribilmente sola anche qui, soprattutto all’inizio. Il primo giorno del gruppo c’è stato un giro di presentazioni delle donne partecipanti e ho scoperto che tutte avevano avuto un tumore al seno. Pensavo che nessuno potesse capire quello che provavo io. Così è stato per un po’, poi ho capito che anche altre persone si trovavano nella mia stessa situazione, perché, pur avendo l’utero, a causa di chemioterapie aggressive non potevano comunque avere figli. Stai scoprendo desideri nuovi dentro di te, al di là dei figli? 14 Sì e so che è su questo che devo continuare a lavorare. Inizialmente tutto mi sembrava non paragonabile all’avere figli. Ora non dico di essere riuscita a sostituire appieno questo desiderio con un altro, però il percorso che ho fatto mi sta portando in questa direzione. Già tempo prima della malattia avevo in mente di prendere un cane, ma il lavoro che mi occupava molto e la paura di non riuscire a prendermene cura adeguatamente, mi avevano sempre frenata. Una volta, in un incontro, in un momento in cui mi sentivo disperata e sola, mi hai detto: “Perché non prendi un cucciolo?”. Ora di cuccioli ne ho due e la cosa mi riempie di gioia. A volte, quando non sono particolarmente in forma o quando mi sento ansiosa, una delle cose che in assoluto mi dà più gioia e serenità e mi fa sentire in pace è stare con loro. Non mi chiedono nulla e mi danno un affetto incondizionato. Si è un po’ legati all’idea che essere una donna completa passi attraverso l’avere un figlio, a volte a tutti i costi. Ma ci sono molti modi per soddisfare il proprio istinto materno e per sentirsi ugualmente donne. Si possono aprire strade diverse, alle quali forse non si era mai pensato. Che dici? Ne sono convinta, anche se non è facile sganciarsi da questa idea della maternità negata. Per me è stato un bene, enorme, prendere il mio primo cane, salvandolo anche da una difficile condizione. Adottando il primo cucciolo, a giugno dell’anno scorso, ho cominciato a salvare cani. Oggi stiamo addirittura fondando una nuova Associazione, di cui sarò Vice-Presidente, che si occuperà di aiutare cani in situazioni difficili. Sei diventata madre di un’Associazione! Una malattia come il cancro, che porta con sé altre drammatiche problematiche, come tu hai raccontato, deve necessariamente portare a qualcosa. Può dare la possibilità di aprirsi a cose nuove, a scoprire parti di sé che mai avremmo immaginato di avere. Questo è il senso della malattia. Tu, anche se dolorosamente perché devi rinunciare ad un sogno, sei su questa strada. Un mio grosso problema, era quello di sentire di non aver più voglia di occuparmi degli altri ma di caricarmi di tutto ugualmente, come ho sempre fatto. Ho posto dei limiti, soprattutto sul lavoro. All’inizio è stato difficile farlo capire agli altri, ancora adesso devo spesso ricordare e chiarire delle cose. Si vede comunque che lo spirito materno ce l’ho e gli altri lo percepiscono, approfittandosene! Ho ridotto l’orario di lavoro, ora faccio cinque ore. Ho meno soldi, ma questo è un problema che affronterò più avanti. Ho più tempo per le cose che mi interessano. È strano perché questo amore per gli animali l’ho sempre avuto fortissimo; è come se fosse l’espressione delle parti più deboli di me, che ho sempre cercato di tenere in disparte. Con la malattia questa cosa è scoppiata ed è venuta alla luce. Ora vorrei fare un corso per diventare comportamentalista. Mia sorella sta aprendo un negozio per la toelettatura dei cani e andrò ad aiutarla. Sicuramente voglio che il mio futuro prenda questa direzione. Da un dolore grande sta nascendo una donna diversa. Quel “pacchettino”, che rimarrà sempre lì, ti darà la spinta per cambiare molte altre cose. Mi rendo conto solo ora di quanto ero presa dal lavoro e da mille altre responsabilità. Non me ne importa più nulla, mi importa di fare cose che mi fanno stare bene. Mi fa piacere poter aiutare gli altri, anche se ora sono gli animali... poi chissà. Penso che adesso il problema grosso sia trovare il coraggio per una nuova relazione. Se dovessi riuscire a superare questo ostacolo, non dico che sarebbe risolto tutto, ma potrei vivere in maniera più felice e sentirmi di nuovo completa. Non sempre gli uomini sono insensibili e superficiali. Possono anche riservare delle piacevoli sorprese. Come dice il titolo del libro del Dott. Gastaldi: “Se li conosci... puoi amarli”! Nel momento del tumore sono stata abbandonata e questa cosa è stata molto dolorosa, mi ha tolto molta fiducia. So di non essere l’unica, purtroppo. È una malattia che spaventa molto. Molti temono di non essere in grado di stare a fianco di una persona che sta vivendo un’esperienza del genere, si sentono deboli e impotenti. Alcuni riescono a farlo, altri scappano. Il mio è scappato. Non importa, vuol dire che non ho perso nulla di importante. Ce ne sono altri da conoscere e magari anche da amare! Paola Bertolotti. Psicologa e psicoterapeuta. Conduce in Associazione i gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di vivere”. 15 Il linguaggio degli affetti Noi nell ’’Io dell 16 impero Ci facciamo tutti caso: i tempi sono cambiati. Lo sono in tutto e non perderò tempo nell’inutile tentativo di fare una rassegna dei cambiamenti. Mi concentrerò invece su uno, molto particolare, che fa da sfondo a mille cose: siamo nella società del narcisismo, della spinta fortissima a considerare il valore della propria persona al di sopra di ogni altro valore. Prima del Sessantotto, nella nostra società erano i grandi valori (politici, religiosi, famigliari, sociali) a dettare legge e le propensioni individuali dovevano, in qualche modo, fare i conti con essi. Ora il potere normativo di quei valori è impallidito, per alcuni di essi quasi scomparso. Il nostro mondo è frammentato e le persone trovano in se stesse, nei loro desideri e nelle loro ambizioni, un valore di riferimento. Ciò è un bene per alcuni aspetti, perché la società patriarcale, demolita in parte negli anni Sessanta e Settanta, poteva richiedere troppi sacrifici e rinunce personali in nome di norme rigide e spesso ingiuste, sessiste, oscurantiste. Ma in parte è anche un male, perché l’estremo soggettivismo che si sta affermando rende difficile comunicare con gli altri e stabilire relazioni soddisfacenti. Ogni buona relazione comporta infatti una parziale rinuncia a se stessi, una certa dose di “sportività”, una disponibilità ad accogliere e accettare modi di essere e di fare diversi da quelli che ci appartengono. I riflessi di questi cambiamenti sociali sono enormi. Possiamo vederli nei grandi fenomeni come nei piccoli comportamenti quotidiani. Due esempi: le difficoltà crescenti nelle relazioni di coppia e il comportamento alla guida dell’auto. Le prime, le difficoltà di coppia, sembrano sempre più derivanti dalla difficoltà di contemperare le differenze di carattere e le diverse reciproche aspettative dei due partner. Nella società narcisistica ciò è un fatto grave, poiché siamo spinti a dare alle nostre aspettative il massimo valore e facciamo fatica ad accettare la loro delusione. Non è facile cavarsela bene nelle paludi della delusione e dell’offesa, che spesso viene sentita come il massimo male e rompe il rapporto d’amore. Anche il comportamento al volante è un indicatore dell’attuale chiusura narcisistica. Quanti guidano pensando agli altri? Quanti si preoccupano di rendere il traffico agevole, di non intralciarlo o rallentarlo, di essere attenti alle possibili mosse di altri automobilisti, mosse prevedibili, se solo ci si pensa un istante? Nell’impero dell’Io questa posizione personale diviene sempre più rara. Eppure il Noi esiste, è imprescindibile e prezioso. Nella coppia, o alla guida della propria auto, pensare come Noi è molto più conveniente e redditizio che non l’ascoltare incessantemente i segnali del nostro Io. Se penso a un Noi mi identifico un po’ con gli altri, divento più intelligente, posso evitare di creare pasticci, o aumento le mie possibilità di ottenere ciò che mi serve, nel limite del possibile. Il Noi è una prospettiva mentale che non annulla le soggettività, ma le travalica e crea qualcosa di più ampio e potente, all’interno del quale l’Io non può imperare, ma vive e prospera, cresce e si nutre. Se il Noi del passato, quello della politica, della religione e di altri valori, non è oggi più facilmente utilizzabile come valore aggregante, esistono comunque altre prospettive. Per esempio, possiamo aderire alla necessità di collaborazione, di giustizia, di amore, di rispetto, per creare un mondo più illuminato e scambievole, che non uccida il pianeta, il futuro dei nostri figli e non sfrutti generazioni di esseri umani a vantaggio di altri. 17 Stefano Gastaldi. Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”. Caregiver Remo e Lucia sono una coppia straordinaria. Li abbiamo conosciuti attraverso la lettura del libro “Un’altra vita inizia” che hanno scritto insieme, così come insieme stanno condividendo la vita e un percorso di malattia. Sono venuti a trovarci e ci hanno parlato un po’ di loro e di quanto questo evento ha permesso di dare un senso più profondo al vivere. 18 Sono un geometra in pensione ormai da tre anni e vivo a Rivanazzano Terme, nell’Oltrepò Pavese, con mia moglie Lucia. Da undici anni convivo con un carcinoide pancreatico e con i problemi che ne conseguono, dopo due anni di chemio e due interventi piuttosto importanti. Da allora la mia vita è cambiata dentro e fuori e ha subìto uno sconvolgimento che dapprima ha fatto piazza pulita di tante certezze e poi ha costruito un uomo nuovo, meno sicuro, ma più ricco, come ho voluto spiegare in questo mio piccolo libro, che ho desiderato fortemente, perchè mi sembrava buona cosa condividere le mie riflessioni con chi cerca risposte in momenti bui della vita. L’esperienza della malattia mi ha fatto scoprire una forza interiore e un’energia che hanno fatto nascere in me una persona nuova, un po’ per la mia formazione religiosa del passato che si è rinnovata, non senza fatica, e un po’ per la vicinanza di persone che, secondo me, non ho incontrato per caso ma per volontà di “chi mi ha voluto bene lassù”. Questa forza interiore inaspettata mi ha aiutato nei momenti difficili e ha guidato i miei gesti e i miei pensieri, perché questo era ciò che io chiedevo. Accettando docilmente le cure e abbracciando la paura, ho trovato la forza necessaria per riprendermi dopo ogni batosta. Così è stato giorno dopo giorno, per undici anni. Lucia è sempre stata al mio fianco. Lei parla poco, tiene tutto dentro, al contrario di me che non trattengo nulla. Ha rinunciato a tantissime cose da quando ci siamo conosciuti, ha accettato molto di me ma lei mi ha trasformato molto. Mi ha fatto capire che ciò che conta sono le persone che ti vogliono bene e quello che riesci a dare tu agli altri. In questa esperienza della malattia, lei è riuscita a mandare avanti tutta la baracca man- tenendo quel rigore e quell’ordine di cui la nostra famiglia aveva bisogno. È stata capace di captare e “tradurre” tutte le sensazioni che provavo dentro il mio cuore e che non riuscivo ad esprimere. Lei mi ha dato tutto di sé e io forse non ho restituito tutto ciò che mi ha donato. Ancora oggi non restituisco tutto, sono sempre un po’ avaro. Desidererei darle di più. Se non ci fosse stata lei, io oggi non sarei qua. Non sarei qua a fare progetti per continuare a vivere e per vivere meglio. Tutto ciò è stato per me una fonte di energia positiva che mi ha aiutato sempre in questi anni. Assecondare gli stimoli della vita mi ha procurato e mi procura una gioia interiore che fa star bene me e, spero, anche chi mi sta vicino. Per questo, sto preparando un viaggio in Sicilia, non solo perché lì ci sono posti incantevoli, ma anche perché voglio salutare dei ragazzi di un liceo di Mazara del Vallo che ho conosciuto durante un loro stage a Pavia e che, ascoltando la mia esperienza, hanno voluto parlare della mia storia in un libro scritto come conclusione del loro soggiorno pavese. Incontrerò anche Angelo che da bambino è venuto a trovarci al nord con la sua famiglia e che, come me, è legato ad un tenero ricordo infantile: gli regalai un mio paio di sci, fatti da un falegname. Voglio portargli le foto delle case in cui abbiamo vissuto e sono sicuro che ne sarà felice. Al ritorno farò tappa a Roma per salutare un mio caro amico ingegnere, conosciuto durante i lavori in un cantiere importante della capitale, e altri due nuovi amici, incontrati in una città ligure, ai quali, per tanti motivi, sono molto affezionato. Un tempo la mia sensibilità si scuoteva per un lavoro importante; oggi divento un vulcano di emozioni solo al pensiero di poter vivere queste esperienze con gli altri. Se non è vita questa... Con il passare degli anni, Remo ha retto tante prove difficili e io mi sono dovuta pian piano attrezzare psicologicamente, un po’ di più rispetto a quanto non lo fossi prima. Ho lavorato su di me per potergli stare a fianco, per stargli vicino nel modo giusto. In realtà, non ho retto così bene come lui, perché sono un’emotiva: a volte la mia colite spastica mi tiene in bagno tutta una notte... non sono stata così brava. Lui è sempre partito in quarta, io, al contrario, che sono il “grillo parlante”, non sono istintiva come Pinocchio e ho avuto bisogno di prendermi del tempo per riflettere. Remo ha scoperto dei tratti della sua personalità che senza questa malattia non avrebbe conosciuto. Anch’io ho scoperto qualcosa: pur nel dramma, siamo stati fortunati perché abbiamo avuto il tempo di elaborare il tutto, cercando di imparare ad essere contenti di cose che prima non vedevamo neanche. Ho capito che esiste un altro modo di vivere le emozioni anche quelle più semplici, di comunicarle, di condividerle. Cosa che non facevo prima, nonostante io sia maestra e quindi sia abituata ad ascoltare. Pensavo di dominarle queste cose, invece poi mi sono resa conto che non dominavo un bel niente. Anche lui che non aveva mai tempo, era sempre di corsa perché doveva andare alle riunioni e dai clienti, invece ha imparato a fermarsi un attimo. E abbiamo scoperto che facendo così si crea una catena di solidarietà, di sentimenti che ti arrivano; basta che una cosa la pensi intensamente e ti arriva. Per quanto riguarda me, non lo so, quando parlo della sua malattia uso il plurale, siamo noi ad avere il tumore, siamo sempre noi ad avere le metastasi. Ho sempre creduto di avere fede, ma da questa esperienza ho capito che non era così: da piccola costruivo altarini davanti alla statua della Madonna, credendo che fosse quella l’essenza della preghiera, adesso ho una disponibilità d’animo che non conoscevo. In realtà, ognuno di noi due ha cercato, a seconda della propria formazione spirituale, la forza interiore. Io, ad esempio, ho scomodato tante anime e penso che credere e avere fede mi abbiano aiutato molto. E la croce si è riempita di significato. Con Remo ho scritto questo libro. La copertina porta solo il suo nome perché è lui il vero interprete e autore, anche se lo abbiamo realizzato a quattro mani. Ho voluto rimanere dietro le quinte ma non per questo mi sento in secondo ordine. Forse un’altra coppia sarebbe andata in analisi, noi invece abbiamo scritto un libro. Insieme. Manuela Provantini. Psicologa e psicoterapeuta, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività. Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver. 19 Le vostre lettere a cura di Ada Burrone È aprile e io sono entrata nel 20 Cuore del Tumore a fine settembre 2012. Ho appena compiuto 40 anni, ho un figlio di 8, sono separata ma felicemente fidanzata con un “Angelo caduto in volo”. Sono una donna mastectomizzata. Ma sono una donna nuova. Solo oggi trovo la spinta per mettermi in contatto con una Onlus: all’inizio volevo solo la mia Famiglia e quella c’era e c’è! Sono farmacista, scrivo romanzi e articoli per riviste scientifiche e tengo una rubrica sulla Medicina di Genere. Ho appena scritto un bell’articolo sulla “Sessualità dopo il tumore al seno”: pochi ne parlano, per i medici è argomento tabù, ma per una donna CON CANCRO è tanto importante per sentirsi viva e ancora donna. Oggi scrivo alla vostra Onlus, mando un bonifico per sostenervi ma il mio desiderio è di potervi aiutare con le mie competenze: la scrittura! Io ci sono e desidero esserci. A PRESTO. Monica Milano Abbiamo subito accolto la tua proposta, Monica cara. Ti aspettiamo “Al di là del cancro, ho vissuto esperienze fisiche difficili e più volte a rischio di vita, che mi hanno messa a confronto sia con bravi medici, sia con bravi laureati in medicina. Da tutti loro ho ben compreso che il vostro è un compito estremamente delicato. L’ho letto negli occhi di quegli specialisti che, non reggendo la realtà altrui, si trinceravano dietro il loro ruolo. E quando il ruolo sovrasta l’uomo, l’incomunicabilità è inevitabile. Si parla tanto di empatia, di umanizzazione della medicina, del rapporto medico paziente... si parla invece troppo poco di come si vive e della morte: due realtà comuni a tutti.” Gentile Presidente, ho voluto riportare il suo stesso dire condividendolo pienamente, in particolare le ultime righe. Credo che i medici e la medicina siano giunti a un punto della loro storia che rende necessario considerare quanto lei ha straordinariamente rappresentato con poche, irriducibili, parole: “Si parla invece troppo poco di come si vive e della morte: due realtà comuni a tutti”. Vorrei ringraziarla col piccolissimo omaggio che allego: una lettera aperta che per altre vie, cercava di sostenere altrettanto. Si tratta di un ebook sui medici scritto da un medico e rivolto a tutti: “Caro Dottor Cronin. 24 lettere dall’ufficio sofferenze”. Nel ringraziarla ancora le invio il più cordiale saluto. Ubaldo Sagripanti Civitanova Marche Leggerò volentieri il suo libro. Le sono grata per l’attenzione che ha riservato alla “Lettera ai medici di domani”, mi conforta sapere che il messaggio sia arrivato dritto al suo cuore. Cara Ada, mia figlia Erika partecipa alla vostra attività “Caro Figlio”. La prima volta che è venuta da voi è uscita dicendo: “È un genio questa psicologa!”. Anche mio figlio ha deciso di venire, dopo molte perplessità, ma poi ogni settimana arrivava di corsa. Dario è stato aiutato da voi fino a una settimana fa. È molto grato per il vostro aiuto che è stato davvero utile durante il periodo degli esami di stato. Mi dice che la psicologa gli ha fatto capire il pensiero degli altri e come reagire in determinate situazioni, ma con uno spiccato senso dell’umorismo! Io parlo di voi con tutti. Ad Attive ho incontrato persone squisite che, senza dubbio, mi hanno aiutato a diventare un po’ più sicura di me stessa. Un grosso bacio a tutti, a voi che mi avete fatto sentire benvenuta in questa “oasi di pace”. Stefania Bari Cara Stefania, tu hai fatto un ottimo lavoro su te stessa nei gruppi di sostegno psicologico e hai dato alle persone intorno a te la testimonianza del risultato ottenuto. Quest’ultimo parla più di tante parole che avresti dovuto utilizzare per convincere i tuoi figli ad aderire al nostro Progetto rivolto agli adolescenti. Mi conforta sapere che tutti voi abbiate trovato risposta ai bisogni più profondi per guardare la vita in modo più sereno. Ti porto nel cuore con gioia. Ada Le scrivo per ringraziarla per l’opportunità che Attivecomeprima ha offerto a noi medici di partecipare al “Mini-Master in Management e supporto globale del paziente oncologico”. È davvero raro trovare riunite in un corso di aggiornamento per medici tante qualità: scienza, competenza dei relatori, tanta umanità, umiltà, simpatia e accoglienza. È ancora più raro e prezioso uscire da un corso con uno sguardo “diverso” da quello con cui eri entrato. Grazie di cuore a lei e a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento. M.S. Milano Cara Ada, la ringrazio per l’esperienza che ho vissuto al Mini-Master, grazie per la rilevanza scientifica degli argomenti e grazie per il coinvolgimento emozionale. Le scrivo per raccontarle la mia storia. Mi sono laureata in Medicina e Chirurgia il 19 luglio 2012, circa dieci giorni prima a mio zio è stato diagnosticato un carcinoma del colon metastatizzato a livello linfonodale. La mia tesi e il mio percorso universitario erano stati improntati sull’oncologia; però non sapevo come rapportarmi con il cancro, con i miei famigliari, con mio zio. Ho corso come una trottola impazzita, le settimane che hanno preceduto l’inizio della chemioterapia senza sapere cosa e come farlo. Ho incontrato medici poco umani e poco professionali, inoltre ero l’unico riferimento per la mia famiglia che ha un’azienda agricola, quindi ben distante dal mondo della medicina. Non ho ancora metabolizzato questa esperienza, mi sembra di aver sbagliato tutto e, contemporaneamente, il tempo che veniva dedicato a mio zio in ospedale era breve, anche se l’oncologa era una persona preparata e disponibile; così è nata in me l’idea di poter intraprendere la strada per poter essere un buon medico di famiglia che cammina accanto al paziente, durante l’esperienza cancro. Io abito in Liguria quindi non potrei partecipare ai gruppi di sostegno psicologico per i medici, però sarei felice d’incontrarla se lei avesse tempo. Grazie S.Z. Andora Carissima Ada e carissimo staff, come state? Come procedono le attività in Associazione? Il corso di formazione per gli psicologi a cui ho partecipato mi ha lasciato non solo importanti conoscenze teoriche ma mi ha permesso di conoscere voi, la delicatezza, dolcezza e calore con cui accogliete ogni persona, facendola sentire a casa, facendola sentire che siete lì per lei, che in quel momento le state dedicando attenzioni, ascolto, presenza autentica. L’ho vissuto personalmente e sono sicura lo vivano quotidiana- mente le molte donne che entrano in Associazione, una “base sicura”, usando un concetto di Bowlby, da cui ricevere conforto e rassicurazione, quando spaventati e stanchi, e da cui ripartire con fiducia, speranza, nuova energia interiore. Ringrazio lei e ognuna delle persone che ho avuto la fortuna di incontrare. I loro sorrisi e sguardi accoglienti mi accompagneranno nel mio percorso personale e professionale. Un abbraccio affettuoso E.L. Torino Queste tre testimonianze di specialisti ci confermano la necessità di incrementare le nostre attività di formazione, incontro e scambio con gli specialisti che lavorano in campo oncologico. D’altro canto, sono state occasioni arricchenti e stimolanti anche per noi. È GRAZIE ALLA FONDAZIONE VERONESI SE ANCHE QUEST’ANNO SIAMO RIUSCITI A REALIZZARE I CORSI DI FORMAZIONE Per i vostri quesiti vi ricordiamo i nostri recapiti: Attivecomeprima è in via Livigno, 3 - 20158 Milano. Tel 026889647 email: [email protected] Per parlare con Ada potete telefonare il lunedì e il mercoledì dalle h. 14,00 alle h. 17,00. 21 La medicina che ci aspettiamo Il tempo come cura 22 Come descrivere il cambiamento che interviene nella vita di una persona quando passa dalla salute alla malattia? La scrittrice Susan Sontag, riferendo del cancro al seno che l’ha colpita, ha utilizzato l’immagine del trasloco: “Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese” (La malattia come metafora). Ecco: la malattia ci “delocalizza”! Anche le metafore temporali, oltre a quelle spaziali, esprimono bene lo sconvolgimento che la patologia introduce nella vita. Il tempo subisce un’improvvisa stretta: ci rendiamo conto di avere un’esistenza a termine, le priorità cambiano e niente diventa tanto urgente quanto mettere in campo tutte le risorse della medicina per contrastare la malattia. Che dire allora di un movimento che si presenta come Slow Medicine? Sembra quasi una provocazione, tenendo conto dell’urgenza che si installa nella nostra vita quando la salute è minacciata. Eppure, bene intesa, la Slow Medicine è proprio la terapia giusta per i mali che soffre la pratica della medicina dei nostri giorni. Cancelliamo anzitutto dalla mente l’idea che la Slow Medicine si proponga di allungare i tempi con cui si praticano le cure mediche. Ci viene in soccorso l’analogia con Slow Food, a cui il movimento sorto in medicina chiaramente si ispira. A nessuno verrebbe in mente che Slow Food voglia proporre di “mangiare lentamente”, come correttivo all’abbuffarsi a tavola! Slow Food è piuttosto una filosofia di vita, che include ciò che si mangia, ma soprattutto come si produce il cibo, come lo si distribuisce, il rapporto con la terra e l’ambiente... Sostanzialmente, “slow” equivale a una modalità diversa, che può applicarsi sia all’alimentazione che alle cure mediche. La Slow Medicine non promuove indiscriminatamente la lentezza: sarebbe una caricatura della medicina affermare, ad esempio, che l’infarto debba essere trattato prendendosi tempo, con tutta calma, o che non sia importante cogliere subito i sintomi per intervenire tempestivamente su una patologia presente ma non ancora conclamata. Stimola invece a riconoscere qual è il momento opportuno. La Slow Medicine può voler dire tanto che non bisogna perdere tempo, là dove è opportuno intervenire celermente, tanto che bisogna trovare il tempo, là dove la pratica corrente tende a tirare via in fretta. Il secondo caso è quello che riguarda l’informazione. L’ascolto del paziente e del suo vissuto di malattia, la condivisione del percorso terapeutico e la negoziazione delle scelte richiedono tempo: un tempo che non è un lusso o una cortesia del terapeuta, ma né più né meno che una risorsa necessaria per curare, come può esserlo un bisturi, un antibiotico o un sedativo. “Il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura”: è l’affermazione senza equivoci della Carta di Firenze, redatta da alcuni professionisti motivati a promuovere la buona medicina. Questo tempo privilegiato sta nell’agenda della Slow Medicine, per la quale la medicina alla quale aspiriamo deve avere essere “sobria, rispettosa del paziente e giusta”. Un programma che non possiamo non sottoscrivere. 23 www.slowmedicine.it Slow Medicine nasce dall’incontro di persone che, con esperienze e culture diverse, hanno operato ed operano all’interno del mondo delle cure per la salute e che negli ultimi trent’anni hanno prodotto pensiero e ricerca sul sistema sanitario dal punto di vista organizzativo, strutturale, metodologico, economico, comunicativo. “Sobria, rispettosa, giusta”: sono le parole chiave che sintetizzano questa idea di cura basata sulla sostenibilità, sull’equità, sull’attenzione alla persona e all’ambiente. Slow Medicine è anche una rete di in costante espansione, perché ha l’obiettivo di coinvolgere professionisti sanitari, associazioni di professionisti, cittadini, associazioni di pazienti e di familiari in un laboratorio in progress di progettazione di buone pratiche di aiuto e di cura. Il secondo Convegno Nazionale di Slow Medicine, “Fare di più non significa fare meglio”, 2013 si svolgerà a Torino il 30 novembre 2013. Sandro Spinsanti. Psicologo, direttore Istituto Giano - Roma. Nutrire il benessere I 4 pilastri alimentari della prevenzione delle recidive del cancro 24 Che il nostro stile alimentare favorisca lo sviluppo dei tumori è provato da numerosi studi: troppi zuccheri, troppa carne, troppi cibi industrialmente raffinati aumentano il rischio di ammalarci, mentre cereali integrali e verdure ci proteggono. Ancora pochi studi hanno però affrontato gli effetti della dieta alimentare sulla guarigione, o sulla progressione della malattia. Molti oncologi, alla domanda dei loro pazienti su cosa dovrebbero mangiare, non sanno cosa rispondere. Taluni si preoccupano esclusivamente che non perdano peso, perché quando i tumori sono in stadio avanzato finiscono per consumare il nostro corpo, soprattutto i nostri muscoli. Nell’illusione che mangiando muscoli i pazienti possano conservare i loro muscoli, molti ancora oggi raccomandano di mangiare carne, pur senza prove scientifiche e rischiando di peggiorare la situazione. Cosa si può consigliare dunque, in base a quel che si conosce oggi, a un malato di tumore? Una delle conoscenze più solide, ripetutamente confermate, è che chi è in sovrappeso si ammala di più di vari tipi di tumore, e chi si è ammalato, se in sovrappeso, ha più difficoltà a guarire. Meglio quindi mantenersi snelli, e, se non lo si è più, ritornare snelli. Paradossalmente, però, non sono ancora stati fatti studi per valutare se aiutare i pazienti in sovrappeso a dimagrire migliora la prognosi. Ci sono sempre più indicazioni che sia il grasso depositato all’interno dell’addome il più pericoloso, piuttosto che l’obesità complessiva. Anche i magri con la pancetta hanno un rischio alto di ammalarsi. Un sano obiettivo, quindi è di mandar giù la pancetta: si raccomanda che la circonferenza vita non sia più di 80 cm nelle donne e 100 cm negli uomini, ma, senza andare sottopeso, più stretta è meglio è. Un’altra conoscenza ripetutamente confermata, almeno per i tumori del colon e della mammella, è che chi fa esercizio fisico si ammala di meno, e chi si è ammalato, a parità di stadio della malattia, se fa esercizio fisico ha una prognosi migliore. Per chi ha un lavoro sedentario si raccomanda di fare ogni giorno una passeggiata con passo vivace per almeno 30 minuti consecutivi, oppure un’ora di palestra o di sport almeno un giorno si e uno no. Per molte persone ritagliare questo tempo nell’organizzazione della vita quotidiana sembra quasi impossibile, ma è tempo ben impiegato. I meccanismi con cui sovrappeso e sedentarietà aumentano il rischio di cancro, oltre che di malattie di cuore e di diabete, sono abbastanza ben conosciuti. Un eccesso di grasso depositato nell’addome determina, con meccanismi complessi, livelli più alti, nel sangue, di glucosio, di insulina, di fattori di crescita, di fattori dell’infiammazione e, nelle donne, di ormoni sessuali, e chi ha questi fattori alti, anche se ha una corporatura snella, si ammala e si riammala di più. Si tratta di fattori che con diversi meccanismi stimolano la proliferazione cellulare; sono fattori indispensabili per la crescita dei bambini e per la riparazione di tessuti danneggiati da ferite o malattie, ma se sono in eccesso possono favorire la crescita dei tumori. Ci sono sempre più studi, in particolare, che riscontrano che chi è stato operato di cancro del colon o della mammella, se ha valori alti di questi fattori, ha un rischio più alto di recidive. E il livello di questi fattori dipende anche dalle nostre abitudini alimentari. Chi mangia regolarmente latte, ad esempio, e chi ha una dieta ricca di proteine, ha più alti livelli nel sangue di IGF-1, uno dei più importanti fattori di crescita. Il latte, infatti, è un alimento per far crescere, e si sa che se mancano proteine nella dieta, i bambini non crescono. L’insulina è essa stessa un fattore di crescita e inoltre promuove una maggiore disponibilità di altri fattori di crescita e, nella donna, di ormoni sessuali. Per tener bassa l’insulina è meglio mangiare poco, evitando soprattutto i cibi che fanno aumentare molto la glicemia (ad alto indice glicemico) e i cibi ricchi di grassi animali. L’infiammazione è un meccanismo di difesa dell’organismo. Quando ci feriamo, ad esempio, le cellule dell’in- fiammazione aiutano a contrastare eventuali infezioni e producono sostanze che stimolano le cellule dei tessuti vicini a proliferare per riparare il danno. Ma quando è un tumore a causare infiammazione queste stesse sostanze finiscono per stimolare ulteriormente la proliferazione delle cellule tumorali. Le cellule tumorali che si formano nei nostri organi, o che si disseminano quando un tumore invade i vasi sanguigni o linfatici, sono come dei semi che germoglieranno e daranno origine ad una pianta solo se si trovano in un ambiente favorevole, nel terreno giusto, ricco del nutrimento indispensabile alla loro crescita. Se invece il terreno è povero e arido moriranno. Le nostre cellule inoltre hanno la capacità di suicidarsi quando sono alterate e il suicidio sarà tanto più facile quanto più il nostro ambiente interno, il nostro terreno, renderà più difficile la loro sopravvivenza. Cosa possiamo fare quindi, in pratica, per aiutare le terapie oncologiche, modificando il nostro ambiente interno? Tenere bassa la glicemia: sempre più studi evidenziano che chi ha la glicemia alta (pur nell’intervallo di normalità) si ammala di più (ad esempio di tumori della mammella, del cervello, del pancreas) e, se si è ammalato, ha una prognosi peggiore. Tenere bassa la glicemia, inoltre, aiuta a tenere bassa l’insulina e quindi i fattori di crescita. Quindi evitare le farine raffinate (00 e 0), il pane bianco, i dolciumi commerciali, le patate, il riso banco, i fiocchi di mais, la frutta molto zuccherina. Evitare inoltre lo zucchero, lo sciroppo di glucosio e fruttosio, e abituarsi progressivamente a gusti meno dolci. Mangiare invece regolarmente, cereali integrali, meglio se associati a legumi, verdure, semi e frutti oleaginosi. Tenere bassa l’insulina: oltre ai cibi ad alto indice glicemico di cui sopra è meglio evitare il latte (anche scremato) che fa aumentare l’insulina, anche se non fa salire la glicemia, e i cibi ad alto contenuto di grassi saturi (salumi, carni rosse, formaggi) che ostacola- no il buon funzionamento dell’insulina. Tenere bassi i fattori di crescita: quindi evitare il latte e i cibi molto ricchi di proteine animali; anche le proteine vegetali tuttavia sono da mangiare con moderazione: la porzione di legumi, quindi, pur presente in ogni pasto, deve essere piccola. Tenere bassi i livelli di infiammazione: favoriscono l’infiammazione tutti i cibi animali, eccetto il pesce (privilegiare però i pesci piccoli, perché quelli grandi sono molto più inquinati), lo zucchero e i cibi ad alto indice glicemico. Hanno invece azione anti-infiammatoria i cereali integrali e molti altri alimenti vegetali, in particolare quelli che contengono grassi omega-3, come i semi di lino, la soia, le erbe selvatiche e inoltre, le cipolle, le mele e, in generale, le verdure, con l’eccezione delle solanacee (pomodori, melanzane, peperoni). È prudente, inoltre, evitare i cibi ricchi di poliamine (sostanze indispensabili alla proliferazione cellulare), come arance, pomodori, melanzane, peperoni, banane, kiwi, frutti tropicali. Anche l’altra frutta contiene poliamine, ma in quantità minore, non ne contengono invece i frutti di bosco. La frutta è raccomandata per la prevenzione del cancro, ma non è detto che sia utile per chi si è ammalato. Altre fonti importanti di poliamine sono i molluschi bivalvi e la putrefazione intestinale delle proteine in chi ha una dieta ricca di cibi animali. Non sono stati fatti studi clinici, ma poiché le cellule tumorali sono avidissime di poliamine pare logico ridurne il consumo. In sintesi la raccomandazione coincide con quella formulata dai ricercatori del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro che hanno valutato tutti gli studi scientifici sul rapporto fra dieta e tumori: basate la dieta quotidiana prevalentemente su cibi di provenienza vegetale non industrialmente raffinati, con un’ampia varietà di cereali integrali, legumi, verdure e frutta, magari con un’attenzione a non esagerare con la frutta. Franco Berrino. Medico, patologo, epidemiologo, dirige il Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Foto GiòArt Seitan tonnè Maionese senza uova! (Foto 1) Ingredienti: 1 confezione di seitan (300 gr circa) 2 C. di capperi 1 confezione piccola di tonno sott’olio (50 gr circa) Salsa di soia (tamari) q.b. 200 gr della maionese appena fatta (vedi a lato) 26 (Foto1) Ingredienti: 250 gr di panna di soia o latte di soia 250 gr di olio di mais (tenuto in frigorifero) 2 C. di aceto di mele 2 C. di limone spremuto 1 c. di senape ½ c. di curcuma 1 pizzico di sale (Foto 2) Tagliate a fette il seitan e cuocete in padella con un po’ d’olio, un po’ di trito di rosmarino e saltatelo dalle due parti con la salsa di soia (tamari). Appena cotto disponetelo su un piatto di portata. (Foto 2) Con un frullino a immersione frullate dall’alto verso il basso tutti gli ingredienti messi in un bicchierone di plastica per alcuni minuti fino ad amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti. (Foto 3) Frullate bene la maionese con il tonno e i capperi fino ad ottenere una crema omogenea, ricoprite il seitan e guarnitelo con fette di limone e delle rondelle di carote o di rapanello. Servite freddo con contorno di rucola. Angela Angarano. Assistente cuoca nella ricerca Diana. Letti e piaciuti a cura di Serena Ali Giusy Versace CON LA TESTA E CON IL CUORE SI VA OVUNQUE Edizioni Mondadori € 17,00 Con la testa e con il cuore si va ovunque è il racconto di una vicenda personale, ma anche di una scelta che riguarda tutti coloro che si trovano ad affrontare un grande cambiamento: guardare oltre e costruirsi un domani o continuare a rimpiangere un bel passato che non c’è più? “Oggi è un grande dono”: sono le parole che Giusy si ripete ogni giorno dal 2005, quando, a causa di un incidente automobilistico, ha perso entrambe le gambe. Da quel giorno la forza è diventata la sua arma e Giusy si è buttata a capofitto in un futuro che le ha riservato sorprese e soddisfazioni: un nuovo lavoro, la creazione della Onlus Disabili No Limits, l’oro e il record italiano sui 200 e 100 metri e il record europeo sui 100 metri nel 2012. Mauro Corona CONFESSIONI ULTIME Edizioni Chiare Lettere € 13,90 Il diario intimo di “un sognatore”, di un “uomo di montagna”, un autoritratto che si snoda tra passaggi filosofici e sfoghi sull’attualità e la politica. Una confessione per non morire frainteso. Quella racchiusa in Confessioni ultime è una riflessione che ne contiene molte. Partendo dalla propria personalissima esperienza, Corona arriva ad alzare lo sguardo sul mondo. Riflette su temi quotidiani e altissimi al tempo stesso: la solitudine e il silenzio, la parola come strumento essenziale per affermare se stessi in relazione al mondo che si abita, la relazione con l’altro, la paura, il coraggio. Il libro nasce da una lunga intervista con Giorgio Fornoni, inviato di Report, ed è accompagnato da un dvd che documenta il viaggio di Mauro Corona a Erto, suo paese di origine, cinquant’anni dopo la tragedia del Vajont. Dalla “tana rifugio” in cui vive e lavora ai luoghi della sua quotidianità, 44 minuti che raccontano in presa diretta la vita dello scrittore. Marshall B. Rosenberg LE PAROLE SONO FINESTRE (OPPURE MURI) Edizioni Esserci € 16,90 La comunicazione nonviolenta non può essere circoscritta alla dimensione individuale, ma implica la struttura culturale e sociale in cui il singolo vive. Tuttavia, non possiamo escluderci dall’impegno diretto e personale e attendere un cambiamento collettivo senza far nulla. Questo libro ci spiega come, poiché una comunicazione di qualità è oggi una delle competenze più preziose. Attraverso un processo di quattro punti, Marshall Rosenberg mette a disposizione uno strumento semplice nei suoi principi, ma estremamente potente, per migliorare radicalmente e rendere autentica la relazione con gli altri. Grazie a racconti, esempi di comportamenti abituali e dialoghi diretti, questo libro insegna a comunicare in un modo nuovo: manifestando una comprensione rispettosa per i messaggi ricevuti dall’altro, modificando gli schemi di pensiero che portano alla collera e alla depressione, dicendo ciò che desideriamo senza suscitare ostilità e facendo ricorso all’empatia. Sapevate che... a cura di Benedetta Giovannini consulente enogastronoma 1 Pulire gli attrezzi in legno della cucina. Tutti in cucina usiamo cucchiai, palette, forchettoni, mattarelli, taglieri in legno. Per lavarli e mantenerli puliti c’è un metodo molto naturale: eliminate prima i resti di cibo sotto l’acqua corrente, poi strofinate energicamente gli attrezzi con una spazzola o una spugnetta intrisa di aceto bianco o succo di limone. Sciacquateli bene e lasciateli asciugare all’aria. Ricordiamoci che è sbagliato mettere gli utensili in legno nella lavastoviglie. 2 Forni puliti pronti per cucinare. Per sgrassare il forno in modo meno aggressivo dei comuni detergenti, potete lasciare una pentola con due litri d’acqua calda e un cucchiaio di ammoniaca per una notte a forno chiuso. Al mattino basterà una passata di spugna. 3 Calcare e muffe nella lavatrice. Un toccasana contro il calcare è l’aceto. L’aceto, oltre ad avere un’azione disinfettante, ha il potere di sciogliere il calcare. Per sciogliere eventuali accumuli di calcare nella nostra lavatrice, possiamo versare un bicchiere d’aceto nel cestello, nella vaschetta del detersivo e in quella dell’ammorbidente, quindi facciamo un ciclo di lavaggio a vuoto. L’aceto è molto utile anche per pulire le vaschette e le gomme dell’apertura dell’oblò, nel caso in cui si siano già formate delle muffe. In più, con una miscela di acqua e aceto, i cattivi odori scompariranno. 4 Cattivi odori nella scarpiera? Una manciata di chicchi di caffè e di semi di anice risolverà il problema dei cattivi odori. Chiudeteli in un sacchetto traspirante da appendere nella scarpiera. 5 E se i cattivi odori vengono dalla pattumiera? Versate un paio di cucchiai di bicarbonato nella pattumiera, man mano che si riempie di rifiuti. 6 Biancheria bruciacchiata. Strofinate le macchie marroni con una cipolla fresca tagliata a metà. 7 Macchie di succo di mirtillo su stoffa. Lavate subito quindi accendete un fiammifero: i fumi dello zolfo aiuteranno a far scomparire la macchia. Attenzione a tenere il fiammifero lontano dalla stoffa altrimenti il rimedio farà danni peggiori della macchia... 8 Rinfrescare i tappeti. Sempre con l’onnipresente bicarbonato! Cospargete uniformemente il tappeto con bicarbonato. Lasciate agire per almeno 30 minuti (ma va bene anche tutta la notte). Quindi aspirate molto bene o battete il tappeto che così sarà pulito e deodorato. Profili 28 Giusy Versace La storia di una ragazza che nella prova ha scoperto il valore della vita e l’importanza di difenderla e amarla nonostante le croci che riserva. “Con la testa e con il cuore si va ovunque” è il titolo del suo toccante libro in cui racconta che non solo è possibile superare i propri limiti ma spesso i limiti ce li poniamo noi stessi. Era il 22 agosto del 2005 quando un incidente d’auto le ha portato via entrambe le gambe ma non la forza d’animo, la voglia di vivere e di sorridere. Dopo tanto dolore e paura, Giusy Versace non solo cammina ma corre i 100 e i 200 metri con l’ausilio di due protesi sportive. Con lo sport è riuscita a lanciare un messaggio di speranza alle persone disabili per spronarle a non mollare e a non nascondersi. Lo stesso messaggio che ora vuole portare a tutti noi attraverso un libro, l’autobiografia dei suoi ultimi difficili anni. Giusy è una ragazza con un’energia e un sorriso contagiosi perché ha imparato a vivere serenamente ogni giorno grazie al “dono” della disabilità. La persona che oggi è, infatti, lo deve a quello che tutti, tranne lei, ritengono un problema: aver perso due gambe. Perché hai deciso di scrivere un libro? Ho scritto questo libro per trasmettere un messaggio di speranza alle persone più sfiduciate che hanno bisogno di nuovi stimoli ma in generale a tutti. Con le mie parole vorrei provare a dire che davvero “con poco, con niente si può sorridere alla vita”. Un nuovo lavoro, un nuovo amore, la creazione di una Onlus, Disabili no limits, un oro e un record italiano sui 100 e 200 metri, infine un libro. Giusy ma dove trovi tanta forza? Ho una fede profonda e questo mi aiuta tanto. Credere in qualcosa sopra di noi che ci muove, ci guida, aiuta tutti. Grazie a Dio sono riuscita a non arrabbiarmi con la vita e nonostante continui ad avere momenti tristi, di scoramento, ho imparato ad accettarli e a non lamentarmi. Cosa ti ha “restituito” la tua tragedia? Ho scoperto di avere una grande testa e un grande cuore e questi mi permettono di andare ovunque e di vivere serenamente la mia quotidianità senza incattivirmi con la gente. Ti sei mai chiesta: “Perché proprio a me?”. Certo, mi sono chiesta: “Se Dio è un essere buono perché capitano queste cose brutte?”. A Lourdes di fronte alla statua della Madonna, nella grotta delle apparizioni, ero arrabbiata e ho detto: “Perché proprio a me?”. La risposta l’ho trovata girando la domanda: “Perché non a me? Che cosa ho io più degli altri?”. Ho capito che ognuno ha la sua croce e che di fronte alla sofferenza e a Dio siamo tutti piccoli, tutti uguali e non c’è un “perché” ma solo attraverso le difficoltà riusciamo a “frenare” il nostro egoismo e a pensare alle cose importanti. Per questo amo la vita e mi piace sorridere a questa. La sofferenza non si può evitare ma puoi decidere di combatterla e usarla come dono. È stato difficile per te accettare questo passaggio? No. È avvenuto naturalmente. Tutti noi sperimentiamo la sofferenza, il dolore. C’è chi ha tragedie più grandi e altri più piccole. Anche se riesce difficile da credere per il cognome che porto, la mia è stata una vita di tante piccole conquiste che sono dovuta andare a prendermi, a partire dall’adolescenza che non è stata spensierata per la separazione dei miei genitori, fino a quando ho deciso di andare via di casa a diciotto anni e di non chiedere più soldi a nessuno. Ho sempre scelto di conquistarmi le cose: così ho deciso di camminare senza due gambe e poi di correre contro il volere di tutti. Nel tuo libro scrivi: “Ho imparato che ieri è il passato, domani il mistero, oggi il dono”. È una frase che ho letto un giorno per caso su un taxi a Roma ed è divenuta il mio slogan. Ieri è il passato e non lo puoi cambiare, domani è il mistero e non sai quello che può succedere, oggi è un gran dono. Bisogna quindi dare valore a quello che si ha in questo momento: godersi una giornata di sole, un buon piatto di parmigiana con l’amica, la telefonata con la mamma. Oggi riesco davvero a gioire delle piccole cose e lo faccio quotidianamente. Siamo troppo presi dal che cosa fare e che cosa diventare. Siamo sempre alla rincorsa di non si sa che cosa, verso un futuro migliore e alla fine non riusciamo a dare valore a quello che abbiamo oggi. Dopo l’incidente ho imparato a fermarmi e apprezzare di più le cose che ho. Ho scoperto anche che aiutare gli altri mi carica e faccio del bene a me stessa. Per questo cerco di impegnarmi nel sociale. Dono e condivisione sono al centro della “nuova” Giusy. Ho imparato che se tu fai una cosa bella nella vita è ok, ma se la condividi assume un valore diverso. Questo l’ho appreso dalla fede e soprattutto da un sacerdote che mi ha insegnato l’importanza di testimoniare e di condividere. Da qui l’idea del libro. Io non penso di essere meglio degli altri o di essere stata più brava di altri, e neppure penso che la mia storia sia così fuori dal comune. Ritengo invece che tante persone siano state brave come lo sono stata io, forse anche più brave di me. Conosco chi è riuscito a reagire più velocemente. Io ci ho messo cinque anni per iniziare a correre, più di un anno per dire a mia mamma di ritornare alla sua vita. Forse ho avuto un po’ più forza e coraggio per uscire allo scoperto e non vergognarmi e ricominciare a sorridere anche con la mia disabilità. Perché la disabilità non è una malattia contagiosa, esiste e fa parte della vita, non la puoi cancellare, bisogna solo imparare ad aiutarsi a vicenda. Nel tuo libro scrivi: “Se avessi una bacchetta magica e un solo desiderio da esprimere non tornerei indietro”. Per questa frase sono stata molto criticata perché non ci crede nessuno. Se potessi esprimere tre desideri forse in uno chiederei di riavere le mie gambe. Ma la domanda è un’altra: “Se tu avessi un desiderio, uno solo, cosa vorresti?”. La risposta è difficile perché io non sono così egoista da dire di rivolere le mie gambe. Se avessi un solo desiderio non saprei quale scegliere ma sicuramente non chiederei nulla per me, ma per una persona a me cara. Io ho perso le gambe e accetto quello che è stato il desiderio di Dio e so che posso farcela. La mia preghiera è di continuare a vivere con questa 29 carica, con la grinta e la voglia di sorridere e di portare a testa alta questa croce che ormai è mia. Non tornerei indietro perché in questi sette anni ho imparato talmente tante cose che una vita intera non mi sarebbe bastata. Se tornare indietro vuol dire riavere le gambe ma non avere la ricchezza interiore che ho oggi, preferisco essere una disabile ma avere il cuore pieno. Ho imparato a vivere bene così: ora mi sento più ricca, mi sento migliore. La famiglia e la fede al centro di tutto: come alimenti la tua fede? Prego. Ogni giorno cerco di dedicare del tempo a Dio. Ho imparato a guardare alla Madonna come alla mia mamma, a Dio come a un padre, a Gesù come a un fratello. La mia mamma vive lontano da me ma la sento tutti i giorni e la vado a trovare non appena possibile. Così è con la Madonna: tutti i giorni devo pregarla, devo guardare la sua immagine, devo andare in chiesa perché è come se non telefonassi a mia mamma, non mi curassi di lei. Se facciamo caso, quando va tutto bene un po’ ci distacchiamo da Dio, quasi ci dimentichiamo di pregare. È successo anche a me ma ho avuto bisogno di riavvicinarmi subito perché senza la preghiera avvertivo il peso del mio handicap. Invece, se vado in chiesa, ne esco più forte. La corsa come testimonianza che non ci sono limiti. Che cosa pensi quando corri? 30 Non penso a nulla. Mi sento così piena, così libera. Correndo ho scoperto non solo che si possono superare i propri limiti ma che spesso i limiti ce li poniamo noi. Inoltre, lo sport è come una buona medicina: quando hai un corpo allenato anche la mente ne trova giovamento e stai meglio. Correvi anche prima dell’incidente? Ho iniziato ad apprezzare la corsa quando ho perso le gambe. Prima pensavo a tutto ma non a correre, correvo solo nei ritmi frenetici della vita. Ero sportiva come tante altre ragazze: ogni tanto giocavo a tennis, andavo in palestra, facevo spinning per tenermi in forma e scaricarmi. Ho iniziato a correre per caso e per ripicca perché tutti mi dicevano che non potevo farlo. Mi dava fastidio che si scoraggiassero le persone con handicap a fare sport perché lo sport è una grande terapia per tutti. Il mio allenatore, Andrea Giannini, mi ha trasformato in un’atleta insegnandomi il rigore, il sacrificio, la costanza. Mi ha costretto a seguire un allenamento molto duro, con qualunque condizione climatica. Lui ha scommesso su di me: io non avrei scommesso neppure un euro perché sono una pigra. Che cosa ha significato per te vincere dei titoli di atletica? Non avevo bisogno di avere una medaglia al collo per capire che nella vita avevo vinto. Sono convinta di aver vinto il giorno in cui ho deciso di alzarmi dalla sedia a rotelle, di camminare, di andare al mare e affrontare lo sguardo della gente, di uscire senza vergognarmi della mia disabilità. Lo sport mi ha arricchito ancora di più: tramite lo sport posso essere di stimolo e posso dire alla gente che “se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti”. In Italia però gli ausili sportivi non sono coperti dal Sistema Sanitario. Per questo è nata l’idea della Onlus. Oltre ad organizzare eventi per sensibilizzare la gente sul tema dell’handicap e per far conoscere lo sport paralimpico, raccogliamo fondi per dare un’opportunità di vita per i disabili economicamente svantaggiati. Perché lo sport diventi un diritto di tutti e non un lusso. Ci sono tante forme di disabilità fisiche e morali. Qual è l’handicap più grande? È l’ignoranza. Nel 2013 ci sono ancora tante persone che si vergognano della propria disabilità, che non escono da casa, non vanno al mare perché trovano non solo le barriere architettoniche, ma anche lo sguardo della gente. La gente è ignorante nel senso che non è abituata a vedere, non è esposta all’handicap. Come hai affrontato e superato lo sguardo della gente? Ho cercato di mettermi nei loro panni. Anch’io, anni fa, se avessi avuto nell’ombrellone a fianco una ragazza senza gambe mi sarei girata a guardarla perché non capita tutti i giorni. Spesso la gente guarda per curiosità, perché non conosce e non è abituata o perché si intenerisce o si dispiace. La gente però ti guarda per come ti poni. Se ti atteggi pensando che “la vita è così e non mi interessa”, la gente poi si abitua. Come vivi il conflitto disabilità/femminilità? Le gambe rappresentano la femminilità. Con le gambe puoi metterti i tacchi alti, i fuseaux, le minigonne. Quando sono tornata a casa e ho riaperto il mio guardaroba, non è stato facile accettare di non poter più indossare tante cose. Col tempo però ho imparato a volermi bene. Se ti vuoi bene anche gli altri te ne vogliono. Ho imparato a guardarmi allo specchio e vedermi bella anche senza gambe. Certo, ci sono occasioni più difficili, come partecipare a una sfilata o una cena, dove vorrei essere più carina però, non potendo sfoggiare le gambe, ho imparato a valorizzare altre parti del mio corpo: per esempio gioco con il trucco e con i capelli ma soprattutto “me ne frego”. In fondo se tu sfoggi il più bel sorriso che hai, la gente guarda solo quello, tutto il resto scompare e passa in secondo piano. Come sempre, tutto parte da noi. Atleta, scrittrice e poi? Ho mille progetti per la testa, sono un vulcano d’idee. Ho già una vita pienissima tra le gare, il libro da promuovere e il mio lavoro. Il mio interesse è che il libro vada in mano alle persone che sono più sfiduciate. Oggi la gente si ammazza con troppa facilità, cade facilmente in depressione. Mi chiedo: “Dove è finito il valore della vita, il rispetto per la vita?”. Certo, è un momento difficile ma bisogna avere fiducia, combattere e non trovare l’alibi per buttare tutto. Bisogna imparare a sperare, a pazientare. La disperazione non può portarti a distruggere la vita, a perderti e non riuscire per rabbia a dare il giusto valore alle cose. Il mio obiettivo ora è riuscire, con le parole del mio libro, a contagiare positivamente la gente e a ridare speranza. Monica Faganello. Farmacista e scrittrice. con Noi gli altri 26 marzo 2013 presso Fondazione Guido Muralti, Milano Il farmacista di fronte al paziente oncologico Corso ECM per titolari di farmacia, tenuto da medici e psicologi di Attivecomeprima. 14 giugno 2013 presso la nostra Sede Il sostegno al paziente oncologico e ai famigliari Corso ECM per psicologi e psicoterapeuti, tenuto dai nostri specialisti. 25-26 giugno 2013 presso Auditorium Monte dei Paschi di Siena, Firenze La guarigione possibile nelle malattie oncologiche Il Dott. Alberto Ricciuti è intervenuto al Convegno Nazionale sul tema: “La speranza nell’arsenale terapeutico del medico”. 4 aprile 2013 presso la nostra Sede Intervista di Ada a Teleradio Padre Pio Ada in collegamento Skype con Teleradio Padre Pio per la presentazione del libro “Papaveri e Fiordalisi”. 31 Ringraziamo per il sostegno negli anni 2012 / 2013 Avon/Valore D Banca Intesa Sanpaolo Banca Popolare di Milano Besozzi Eletromeccanica srl Centro Oncologico Lipsia Club Inner Wheel Milano Sempione Comune di Milano Costa Crociere SpA DGPA & Co Dompé Farmaceutici SpA Edison SpA Eisai srl Farmindustria Fondazione Banca del Monte di Lombardia Fondazione Cariplo Fondazione Fondiaria SAI Fondazione Johnson & Johnson Fondazione Umberto Veronesi Fondazione UniCredit Fossil Group Europe Gruppo Reale Mutua Ilco Industriale srl Janssen-Cilag SpA London Stock Exchange Group Foundation Material World Charitable Foundation Pellegrini SpA Reconta Ernst & Young SpA Roche SpA Sideuro srl Spazzolificio Piave SpA STMicroelettronics Susan G. Komen Onlus UniCredit Group Warren Real Estate Ltd E LIBERE OFFERTE DA PRIVATI CITTADINI IL TUO CONTRIBUTO CI DARÀ PIÙ FORZA PER AIUTARE Bonifico Bancario da Italia e Paesi europei IBAN: IT64 X030 6909 5180 0000 6409 190 Bonifico Bancario da Paesi extraeuropei SWIFT: BCITIT33128 Chiediamo alle persone che ci inviano offerte tramite bonifico bancario, di fornirci il loro indirizzo per poterle ringraziare e/o inviare loro le nostre pubblicazioni. La banca non ce lo comunica per motivi di privacy. Bollettino di c/c Postale n. 11705209 Intestato a: Attivecomeprima Onlus Via Livigno 3 - 20158 Milano Assegno intestato a: Attivecomeprima Onlus Pay Pal in modo veloce e sicuro dal sito www.attive.org 5 per mille Inserire il codice fiscale nel riquadro: “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale” e inserisci il codice fiscale di Attivecomeprima Onlus: 10801070151 L’8 per mille e il 5 per mille non sono in alternativa: puoi sceglierli entrambi. “Le erogazioni liberali a favore di Attivecomeprima Onlus sono deducibili/detraibili ai sensi di legge”. Ringraziamo i finanziatori istituzionali, le aziende e le persone che, con liberi contributi, sostengono il nostro lavoro. Alcune delle nostre nuove attività Un tuo famigliare si è ammalato di cancro? Possiamo aiutare anche te Il servizio (gratuito) è rivolto ai famigliari, partner e persone vicine al paziente. C’è qualcuno che può aiutare te e i tuoi genitori Il servizio (gratuito) è rivolto: •ai figli dai 12 ai 21 anni, per aiutarli ad affrontare la malattia del genitore. •ai genitori, per ogni problema di relazione e di comunicazione con i loro figli. Ringraziamo Fondazione Cariplo, Roche SpA, Susan G. Komen Onlus per il sostegno al Progetto Caro Figlio. Corsi di formazione 2014 sulla relazione di cura e supporto globale della persona in oncologia. Rivolti a oncologi, psicologi, infermieri, altri operatori in ambito oncologico e medici di medicina generale. Presto disponibile la versione inglese del nostro sito Si ringrazia la Fondazione Johnson&Johnson per il contributo. Per maggiori informazioni vai sul sito www-attive.org oppure chiama il numero 02 6889647 dal lunedì al giovedì (ore 9 - 17) Ascolto telefonico, accoglienza, orientamento e aiuto pratico dal lunedì al giovedì ore 9,00/17,30 Consulenze telefoniche di psicologi, medici ed altri esperti dal lunedì al giovedì ore 10,00/16,00 Primo incontro riservato alle persone che si rivolgono per la prima volta all’Associazione su appuntamento La prevenzione a tavola corso teorico e pratico di alimentazione mercoledì ore 10,30/14,30 esperti della Ricerca Diana (Istituto Tumori Milano) Armonizzazione mente corpo attraverso la danza martedì ore 16,00/17,30 Nicoletta Buchal (medico/psicoterapeuta) Somatic Experiencing martedì ore 14,30/16,00 Marina Negri (fisioterapista), Chiara Covini (operatore corporeo) Felicita Bellomi (fiduciaria) e una psicologa Supporto psicologico individuale per pazienti e famigliari su appuntamento Tecniche di Hatha Yoga lunedì ore 10,00/11,00 mercoledì ore 15,00/16,00 - 16,15/17,15 Maria Grazia Unito (insegnante) Arte Terapia cadenza quindicinale - mercoledì ore 14,30/16 Gruppi di sostegno psicologico rivolti ai pazienti prima, durante e dopo le terapie oncologiche martedì ore 14,30/16,00 giovedì 10,30/12,00 - 14/15,30 Paola Bertolotti, Stefano Gastaldi (psicologi/psicoterapeuti), Elena Bertolina (recorder) Caregiver sostegno psicologico rivolto a famigliari, partner e persone vicine al paziente lunedì ore 12,30/14,00 Manuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta), Oscar Manfrin (recorder) Caro Figlio sostegno psicologico rivolto ai figli dei pazienti. Specifico dai 12 ai 21 anni Su appuntamento Manuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta) Mimma Della Cagnoletta (psicoterapeuta) La mente intuitiva giovedì ore 14,00/17,30 Vittorio Prina (docente di processi intuitivi) Laboratorio di pittura su ceramica cadenza quindicinale mercoledì ore 14,30/16,00 Ornella Bolzoni (insegnante) La forza e il sorriso per migliorare la valorizzazione di sé attraverso il trucco lunedì ore 14,30/17,30 (esperte di estetica del viso del Progetto Unipro) Supporto medico generale ai pazienti in terapia oncologica martedì e giovedì - su appuntamento Alberto Ricciuti (medico) Dottore si spogli i medici rispondono alle domande su malattia e cure: incontri di gruppo e individuali su prenotazione lunedì e/o martedì ore 15,00/17,00 Il tesoro nascosto incontro riservato ai collaboratori e fiduciarie il primo mercoledì del mese ore 15,00/17,00 Ada Burrone e una psicologa Progetti, studi e ricerche con Università, Fondazioni, Aziende, Ospedali e Istituti di Ricerca. Massimo Callegari (chirurgo plastico), Salvo Catania (chirurgo oncologo), Giorgio Secreto (endocrinologo), Franco Berrino (epidemiologo/esperto di alimentazione) PER MAGGIORI INFORMAZIONI TEL: 026889647 EMAIL: [email protected] La nostra sede è a Milano. Di seguito l’elenco delle città dove potete trovare uno o più specialisti che hanno partecipato alle nostre attività di formazione. ITALIA: Adro (BS) Ancona Andora (SV) Aosta Arona (NO) Ascoli Piceno Asti Aviano (PN) Bari Bergamo Biella Bologna Bolzano Brescia Brindisi Brugherio (MB) Cagliari Casarano (LE) Castellanza VA Cecina (LI) Ceranesi (GE) Chieri (TO) Chieti Civitanova Marche (MC) Codogno (PV) Conegliano (TV) Crema (CR) Cremona Cuneo Desio (MB) Desulo (NU) Fidenza (PR) Firenze Foggia Forli Formigine (MO) Gallipoli (LE) Genova Grosseto Inverigo (CO) Lainate (VA) Lecco Livorno Lodi Macerata Marsala (TP) Merate (LC) Mestre (VE) Messina Mirano (VE) Modena Monfalcone (GO) Monterotondo (RM) Mortara (PV) Napoli Oggiono (LC) Padova Parma Pavia Perugia Piacenza Pietra Ligure (SV) Pisa Pordenone Prato Ragusa Reggio Calabria Reggio Emilia Riccione (RN) Rimini Roma Sanremo (IM) Seriate (BG) Siena Sondrio Terni Tivoli (RM) Torino Trapani Treia (MC) Trento Treviglio (BG) Treviso Varese Vercelli Verolanuova (BS) Verona Vicenza Villa Adriana (RM) Viterbo Voghera (PV) Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori Istituti Oncologici e Ospedali altre Associazioni Specialisti del settore ESTERO: Rio de Janeiro Atene Lipsia Lugano PER MAGGIORI INFORMAZIONI: Via Livigno, 3 - 20158 Milano - T +39 02 688 96 47 - email: [email protected] - www.attive.org MM3 fermata Maciacchini - Bus 82, 90, 91 Da quarant’anni un’equipe di professionisti offre a tutti i malati di cancro un servizio di supporto umano, medico e psicologico a sostegno della vita e a rafforzamento delle terapie oncologiche. AIUTACI A CONTINUARE Il suo metodo di lavoro ha preso corpo dall’ascolto dei bisogni espressi da pazienti e famigliari e dalla valutazione dei risultati di studi e ricerche. Il metodo e gli strumenti sono oggetto di un’attività di formazione rivolta a oncologi, psicologi, medici di medicina generale e altri operatori in ambito oncologico. DAL 1973 A SOSTEGNO GLOBALE DELLE PERSONE COLPITE DAL CANCRO E DEI LORO FAMIGLIARI Via Livigno, 3 - 20158 Milano T +39 02 688 96 47 e m a i l : s e g r e t e r i a @ a t t i v e. o r g w w w. a t t i v e. o r g