Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.
Anno XXVIII - n° 2 - novembre 2011
Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI
2012
Ascolto telefonico, accoglienza, orientamento
e aiuto pratico
dal lunedì al giovedì ore 9/17,30
Somatic experiencing
“Ciò che la natura insegna per guarire il trauma”
Martedì ore 14,30/16
Marina Negri (fisioterapista), Chiara Caldi (psicologa)
Consulenze telefoniche di psicologi,
medici ed altri esperti
dal lunedì al giovedì ore 10/16
Tecniche di Hatha Yoga
Lunedì ore 10/11,
Mercoledì ore 15/16 - 16,15/17,15
Maria Grazia Unito (insegnante)
“Primo incontro” riservato alle persone che
si rivolgono per la prima volta all’Associazione
Lunedì ore 15
Felicita Bellomi (fiduciaria) e una psicologa
Supporto psicologico individuale
per pazienti e famigliari
su appuntamento
Gruppi di sostegno psicologico rivolti ai pazienti:
“Riprogettiamo l’esistenza”, “Decido di vivere”,
“La terapia degli affetti”
martedì ore 14,30/16 e giovedì 10,30/12 - 14/15,30
Paola Bertolotti, Stefano Gastaldi (psicologi
psico-terapeuti), Elena Bertolina (recorder)
Gruppi di sostegno psicologico per caregiver
(partner, famigliari e persone vicine al paziente)
lunedì ore 13/14,30 - cadenza quindicinale
Manuela Provantini (psicologa clinica),
Oscar Manfrin (recorder)
Supporto di medicina generale
durante le terapie oncologiche
martedì e giovedì - su appuntamento
Alberto Ricciuti (medico)
“Dottore si spogli” i medici rispondono
alle domande su malattia e cure: incontri
di gruppo e individuali
lunedì e/o martedì ore 15/17 - su prenotazione
Massimo Callegari (chirurgo plastico), Salvo Catania
(chirurgo oncologo), Giorgio Secreto (endocrinologo)
La prevenzione a tavola:
corso teorico e pratico di alimentazione
mercoledì ore 10,30/14,30
esperti della Ricerca Diana (Istituto Tumori Milano)
Armonizzazione mente corpo attraverso la danza
Martedì ore 16/17,30
Nicoletta Buchal (medico/psicoterapeuta)
La mente intuitiva
Giovedì ore 14/17,30
Vittorio Prina (docente di processi intuitivi)
Arte Terapia
Mercoledì ore 14,30/16 - cadenza quindicinale
Mimma Della Cagnoletta (psicoterapeuta)
Dipinto su ceramica
Laboratorio di pittura su ceramica
Mercoledì ore 14,30/16 - cadenza quindicinale
Ornella Bolzoni (insegnante)
Teatro del benessere
Giovedì ore 14,30/16,30
Giulia Marchiora (psicologa), Marco Calindri
(commediografo), Caterina Ammassari (esperta di
comunicazione)
“La forza e il sorriso” per migliorare
la valorizzazione di sé attraverso il trucco
lunedì ore 14,30/17,30
esperte di estetica del viso del Progetto Unipro
“Il tesoro nascosto” incontro riservato
alle donne che hanno partecipato ai gruppi
di sostegno psicologico
il primo mercoledì del mese ore 15/17
Ada Burrone e una psicologa
Attività formativa e progettuale:
• Mini-Master per oncologi e altri medici
che lavorano in ambito oncologico (accr. ECM).
• Corsi per medici di medicina generale
con ASL di Milano (accr. ECM).
• Corso settimanale per specializzandi
in oncologia medica.
• Formazione per psicologi e psicoterapeuti.
Progetti, studi e ricerche
con Università, Fondazioni, Aziende Ospedaliere
e Istituti di Ricerca.
Per informazioni rivolgersi alla segreteria dell’Associazione: [email protected] - 026889647
Dal 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro
Editoriale
Attivecomeprima Onlus
Via Livigno 3,
20158 Milano
Tel 026889647
Fax 026887898
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www.attive.org
Consiglio Direttivo:
Ada Burrone, Alberto Ricciuti,
Arianna Leccese, Anna Dal Castagné,
Giovannacarla Rolando.
Collegio dei Sindaci:
Mauro Bracco, Flavio Brenna,
Luciana Dolci, Giusi Lamicela,
Carlo Vitali.
Tra le nostre rubriche abbiamo raccolto, questa volta,
le esperienze di chi, dopo la malattia, ha avuto la forza
di riconoscere, affrontare e gestire la paura dell’incognita.
Abbiamo visto che questo è il presupposto per riconsiderare
il senso della vita e vivere il presente da protagonista.
Lo confermano un oncologo con la sua testimonianza
di paziente, una psicologa attraverso la conoscenza diretta
di persone che hanno vissuto l’esperienza di pre-morte
e un neurochirurgo che afferma: “la paura della morte fa
morire di paura”.
Da sempre trattiamo apertamente questo argomento perché
la paura della morte non imbrigli la vita e affinché il dolore
morale non si aggiunga a quello fisico in chi è già provato
dalla malattia.
Farà sicuramente bene a tutti, anche alle persone che
godono di buona salute fisica.
Non abbiate paura della paura: buona lettura!
Comitato Scientifico:
Stefano Gastaldi, Paola Bertolotti,
Fabio Baticci, Franco Berrino,
Nicoletta Buchal, Massimo Callegari,
Salvo Catania, Alberto Costa,
Francesco Della Beffa, Maurizio Nava,
Marina Negri, Willy Pasini,
Manuela Provantini, Alberto Ricciuti,
Giorgio Secreto, Paolo Veronesi,
Umberto Veronesi, Claudio Verusio,
Eugenio Villa.
Per tradizione, il Sindaco
di Milano è Presidente Onorario
di ATTIVEcomeprima.
Ringraziamo i nostri collaboratori e fornitori per il contributo alla realizzazione e alla qualità di questa rivista.
Un grazie particolare alla Fotolito ABC per l’omaggio degli impianti di stampa.
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Pubblicazioni
Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.
Rivista ATTIVE
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dal sito
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* Riservati agli psicologi e alle fiduciarie che partecipano ai nostri incontri formativi
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Alimentare
il Benessere,
Franco Berrino
La forza
di cambiare,
Paola Bertolotti
La trapia
degli affetti
Stefano Gastaldi
Edizione
FrancoAngeli
Self-help
La Forza
di Vivere
Cofanetto
di 10 opuscoli
a cura di
ATTIVEcomeprima
scaricabili
dal sito
www.attive.org
Il gusto di vivere
di Ada Burrone e
Gianni Maccarini
Edizione Oscar
guide Mondadori
La terapia
di supporto di
medicina
generale in
chemioterapia
oncologica
di Alberto Ricciuti
Edizione
FrancoAngeli
scaricabile
dal sito
www.attive.org
Lo spazio umano
tra malato
e medico
Parlano medici,
pazienti, psicologi
a cura di
ATTIVEcomeprima
Il Pensiero Scientifico
Editore
Per informazioni sulle pubblicazioni tel. 026889647
La forza di vivere
Per affrontare
con armonia
il cambiamento
di Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Edizione
ATTIVEcomeprima
...e poi cambia
la vita
Parlano i medici
le donne
gli psicologi
a cura di
ATTIVEcomeprima
Edizione
FrancoAngeli/Self-help
M’amo,
non m’amo
di Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Edizione
ATTIVEcomeprima
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Quando il medico
diventa paziente
La prima indagine in
Italia sui medici che
vivono o hanno vissuto
l’esperienza del cancro
a cura di
ATTIVEcomeprima
e Fondazione Aiom
Edizione FrancoAngeli
Lettera ai medici
di domani
La paura è
contagiosa,
ma lo è anche
la speranza
di
Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
La danza
della vita
Le esperienze più
straordinarie della
mia esistenza
di Ada Burrone
(in italiano
e in inglese)
Edizione
FrancoAngeli
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Anno XXVIII - n° 1 - maggio 2011
Riprogettiamo
l’esistenza,
Decido di vivere,
La cura degli
affetti
Testi utilizzati per
la conduzione dei
gruppi di sostegno
psicologico*
A una donna
come me
Messaggio
di
Ada Burrone
alle donne
operate
Viene offerta
a tutti coloro
che sostengono
l’Associazione
Sommario
Periodico trimestrale
Anno XXVIII - N° 2
Novembre 2011
Sped. abb. post. 70%
Filiale di Milano
La rivista è posta sotto la tutela delle leggi
della stampa. Gli articoli pubblicati
impegnano esclusivamente la responsabilità
degli autori. La riproduzione scritta
dei lavori pubblicati è permessa solo dietro
autorizzazione scritta della Direzione.
Editoriale
pag. 03
AVVENTURA
Vivere per rinascere / Fulvia Bianchi Cariglia
pag. 06
VIVERE IL CAMBIAMENTO
Dalla malattia alla vita / Paola Bertolotti
pag. 08
IL LINGUAGGIO DEGLI AFFETTI
Cosa c’entra il Kers? / Stefano Gastaldi
pag. 10
CAREGIVER
Un amore... tante mani! / Manuela Provantini
pag. 12
LE VOSTRE LETTERE
Cara Ada / Ada Burrone
pag. 14
TRA MEDICO E PAZIENTE
Il giusto peso / Alberto Ricciuti
pag. 16
LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMO
Malattia senza sensi di colpa? / Sandro Spinsanti
pag. 19
pag. 21
Stampa: Tecnografica, Lomazzo (Co)
Tel. 0296779218
NUTRIRE IL BENESSERE
Nel labirinto del supermercato / Anna Villarini
Le ricette di Angela / Angela Angarano
ATTIVEcomeprima ONLUS
MINI MASTER 2012
pag. 24
PROFILI
Mauro Porta / Cristina Ferrario
pag. 26
Sapevate che... / Benedetta Giovannini
pag. 29
Letti e piaciuti / Paola Malinverni
pag. 31
Noi con gli Altri
pag. 32
Direttore responsabile:
Ada Burrone
Vice Direttore:
Paola Bertolotti
Redazione:
Caterina Ammassari,
Cristina Ferrario,
Francesca Guatteri.
Hanno collaborato:
Angela Angarano, Paola Bertolotti,
Ada Burrone, Fulvia Bianchi Cariglia,
Cristina Ferrario, Stefano Gastaldi,
Benedetta Giovannini, Paola Malinverni,
Cristina Nava, Manuela Provantini,
Sandro Spinsanti, Alberto Ricciuti,
Anna Villarini.
Proprietà della testata:
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Fotolito: ABC, Milano Tel. 025253921
Autorizzazione del Tribunale di Milano
n° 39 del 28/1/1984
L’Associazione è iscritta:
-All’Albo delle Associazioni,
Movimenti e Organizzazioni delle donne
della Regione Lombardia
-Al Registro dell’Associazionismo
della Provincia di Milano
-Al Registro Anagrafico delle Associazioni
del Comune di Milano
-All’Albo delle Associazioni della Zona 9
del Comune di Milano
-Alla Società Italiana di Psiconcologia
(S.I.P.O.)
-Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle
Associazioni di Volontariato in Oncologia)
ATTIVEcomeprima aderisce
al movimento di opinione
“Europa Donna Italia”
Avventura
Vivere per
rinascere
Esperienze di premorte: un fenomeno ancora avvolto nel mistero, trasversale a tutte le culture,
indipendente dal credo religioso, che appartiene alla dimensione antropologica dell’essere
umano che tutti noi siamo. La sua interpretazione divide da secoli filosofi e scienziati, gente
comune e letterati, psicologi e medici. È un prodotto del cervello sottoposto a particolari
condizioni o è la prova che la mente è qualcosa di più di un semplice epifenomeno dell’attività cerebrale? La questione è aperta ma, in chi ha vissuto l’esperienza, rimane una sorta di
indelebile e serena nostalgia di infinito che accompagna per il resto della vita.
6
La prima volta che qualcuno si rivolse a me per raccontami la sua “incredibile storia vera” di un’esperienza ai
confini della vita risale a moltissimi anni fa e non fu per
ragioni professionali.
Allora neppure sapevo dell’esistenza del fenomeno NDE
(Near Death Experience = esperienze di premorte), oggi
tanto divulgato - se pur approssimativamente - dalla
cronaca e oggetto di attenzione da parte della scienza,
e davvero non avrei potuto sospettare che il mio futuro
impegno di lavoro mi avrebbe portato ad occuparmene,
e così approfonditamente.
Conservo di quell’episodio una memoria dolce, quasi
romantica, tuttavia adombrata dal rammarico di non
essermi posta in maniera psicologicamente adeguata di
fronte a quella singolare confidenza, ignorante com’ero
sull’eventualità che una persona, rimasta vittima di
una crisi fisica così grave da far pensare all’imminenza
della morte e poi provvidenzialmente rianimata, potesse
riferire di percezioni uditive e visive provate al di là e al di
fuori di ogni regola biologica.
L’impressione di essere sgusciata dal proprio corpo
e averlo visto dall’alto, l’ingresso nell’oscuro tunnel e
l’incontro con esseri disincarnati, lo spettacolo di tutte le
memorie del passato cui aveva assistito come in un film
e, infine, la visione di quella Luce bellissima e beatificante che nulla faceva più temere... come in un sogno,
insomma, o nel baratro di un’allucinazione.
Stare a sentire tutto questo era per me uno spontaneo
gesto di rispetto, una dovuta concessione a chi lottava
contro il male per non lasciarsene sopraffare fino in fondo, non l’attuale certezza che storie simili sono possibili,
per quanto soggettiva ne sia la rielaborazione.
Ma, per questa come per altre circostanze del mio
percorso personale, sono giunta ormai ad accettare
che ogni evento della nostra esistenza ha un suo tempo
naturale per esprimersi, non sempre corrispondente a
quello richiesto dal nostro tornaconto; e, d’altra parte,
è stata proprio questa un’occasione, più significativa di
altre, a farmi considerare quanto il “caso” - se mai esiste
il caso - spesso ci dimostri solo successivamente una
propria insospettata ragione d’essere.
Da quella testimonianza, ascoltata solo per affetto,
ad altre raccolte in seguito nel corso della mia attività giornalistica e che me la richiamavano alla mente,
dall’inevitabile curiosità di saperne qualcosa di più solo
per scrupolo di buon mestiere, alla coinvolgente passione
di approfondire la letteratura aneddotica e scientifica in
argomento, dal paziente collezionismo di una casistica
difficile da reperire, alla determinazione di individuarne
dettagli e significati per tradurli in dati interessanti per
un’informazione sempre più precisa: la mia avventura
era cominciata, senza che io lo sapessi, di fronte al letto
di una persona morente che amavo e che all’occorrenza non avevo saputo mettere a suo agio, ma è anche
continuata responsabilmente per tanti che, sulle prime,
mi sono estranei e per i quali mi sembra di fare qualcosa
che li aiuti a stare meglio.
Se infatti, dopo decenni di ricerca e l’organizzazione
di quindici Congressi internazionali sul tema specifico,
nonché dopo aver scritto articoli a decine e diversi libri
su quelle straordinarie narrazioni di pauroso buio e Luce
promettente, mi domando quale è stato il risultato mi-
gliore che abbia finora ottenuto, mi devo rispondere che
d’altro non si tratta se non della consapevolezza di dover
sempre meglio imparare ad ascoltare le apparentemente
assurde vicende di chi ha sfiorato il limite della “dimensione nota” e non semplicemente limitarmi ad udirle o
registrarle freddamente come se una “dimensione non
nota” non mi dovesse appartenere mai. Perché chi ci
racconta una vicenda del genere ha bisogno di farlo nella
serenità di essere capito, nella convinzione di esporre un
avvenimento qualunque dei suoi giorni, soltanto un po’
più strano, da annoverarsi se mai come il più eclatante
fra i tanti, stranissimi, che l’imprevedibilità del quotidiano
ci riserva.
A me, invece, l’imprevedibilità del quotidiano ha riservato
lo strano destino di lasciarmi affascinare da una particolare “stranezza” della coscienza fino al punto di dedicarvi
gran parte della mia professione, ma anche e soprattutto
di concedervi una partecipazione intima che non sono
stata capace di eludere e che mi ha imposto di riflettere
su questioni volentieri tralasciate nella fretta della pratica
giornaliera. Non me ne stupisco affatto: tale è la grandezza
interiore che dimostrano e insegnano coloro i quali, giunti
ad un passo dalla morte, ritornano alla vita con una gratitudine del tutto sconosciuta prima di aver sfiorato il rischio
di perderla; tale è che non se ne può rimanere insensibili.
La loro è una condizione che conferisce un talento
in più all’umano sentire: non semplicemente vivere
ma rinascere ad un’esistenza nuova e più apprezzata. Il loro futuro è libero dalla comune esigenza
di progetti: il presente è, giustamente, il vero valore ed è
lì che va cercata la gratificazione. La loro idea di morte
non contempla nulla di tenebroso: adesso il morire non è
che l’ultima espressione della vita, da abbracciare quando
verrà il momento.
Conoscerli, intervistarli e talora frequentarli ai
fini di un arricchimento individuale, vale mille
volte la lettura dei maggiori tomi di filosofia.
Certamente sono in buona fede quando
dico di comprenderli. Eppure, alla fin fine,
so che mi è precluso afferrare totalmente
il senso profondo della forza che ha donato loro un’esperienza di dolore, né tutti
i miei studi sul fenomeno potrebbero mai
darmene la corretta dimensione.
Ci provo, forse ci vado molto vicino, ma
mai abbastanza per percepire appieno un vissuto che
travolge il cuore e la mente in un vortice di emozioni e
sentimenti cui nessuna penna, fosse anche la più abile,
può rendere vera giustizia.
E così, sebbene non si faccia mai bella figura con l’uso
di frasi fatte, sono comunque costretta a concludere con
me stessa e con chi legge che è molto più quel che ricevo di quello che offro: il mio impegno nel redigere cronache e tutte le osservazioni teoriche che ne posso trarre,
i miei libri e i miei Congressi, obiettivamente non
sono nulla in confronto alla preziosa opportunità
di carpire - o almeno tentare di farlo - i segreti di
una sofferenza divenuta costruttiva.
Fulvia Bianchi Cariglia
Sociologa, giornalista e psicologa
Vivere il cambiamento
Dalla malattia
alla vita
Silvia forse la conoscete già... l’abbiamo intervistata nel numero scorso della nostra rivista. Ci parlò
di cosa avesse significato partecipare ai gruppi di sostegno psicologico e della sua esperienza come
figlia di una mamma che, contemporaneamente, aveva frequentato il gruppo di sostegno per caregiver. Sono trascorsi tre anni dalla scoperta della malattia e nella vita di Silvia i cambiamenti sono
stati tanti, ma l’esperienza che sta vivendo ora può considerarsi una vera e propria rivoluzione!
8
Credo che non ci siano dubbi, guardando la tua
“linea” e vedendo il tuo sorriso... tu aspetti qualcosa!
Si è avverato un sogno e mi trovo a sorridere alla vita, al cielo, al sole e il mondo ha assunto colori rassicuranti e gioiosi.
È più forte di me, non riesco a fermare le mani, qualunque cosa io faccia, in qualunque modo io cerchi di
renderle impegnate, loro finiscono lì, sulla mia pancia.
Perché è proprio tra le mie mani che posso finalmente
sentire che una favola, la mia favola, è giunta finalmente
al suo tanto atteso lieto fine.
Tra le mie mani pulsano 600 grammi d’amore, l’amore
che si preannuncia essere il più grande della mia vita e
che, con le sue capriole e calcetti, sembra dirmi: “hey
mamma! Io sono davvero qui!”
È già così pieno di energie il mio Cristian!
Ed è tutto lì tra le mie mani, le stesse mani che tre anni
fa, sentendo nel profondo che qualcosa nella mia gravidanza non stava andando per il verso giusto, cercando
la vita hanno trovato un mostro da sconfiggere, hanno
trovato un intruso, un cancro al seno, che è stato capace
di annientare, in un solo attimo, tutte le speranze, i sogni,
i sorrisi e la gioia di due aspiranti genitori.
Ricordi qualcosa di quei momenti?
In un mio scritto di quel periodo, raccontavo: “Finalmente
tutto era perfetto e, ciliegina sulla torta, nell’aria c’era
in programma un bambino e la casa era già invasa del
suo profumo... Sentivo però che quella serenità faceva
parte di un equilibrio delicato e di una felicità effimera;
in fondo al mio cuore c’era la paura che tutto potesse
frantumarsi in pochi attimi. In fin dei conti questi momenti non possono durare un’eternità e, se la felicità
non avesse mai fine, chi potrebbe ancora apprezzarla
ed assaporarla quando arriva?”.
Più il tempo passava e più sentivo che c’era qualcosa che
non andava, fino a quando dentro di me si accese un cam-
panello d’allarme, come se il mio corpo sapesse già tutto.
Purtroppo gli accertamenti me lo confermarono e mi diedero quell’assurda sentenza con la quale nessuna donna
vorrebbe fare i conti: cancro al seno.
Purtroppo non era finita, un altro esito imprevisto ci
aspettava al varco e ci lasciò senza fiato: quello del test
di gravidanza... positivo.
Inutile ricordare in quale modo dovetti impegnare il mio
successivo anno: non ci furono pannolini e biberon per me!
I tuoi pensieri...? Le tue paure...?
Credo che non sia stata solo la voglia di vivere a darmi
l’energia necessaria per affrontare la malattia, ma la
voglia di dare la vita!
Non è stata la paura di morire ad aleggiare sulla mia vita,
ma la paura di non poter diventare mamma!
Sentivo che non sarei morta, ne avevo la certezza,
ed io e mio marito sapevamo che dovevamo solo ascoltare i nostri cuori ed andare avanti per la nostra strada,
una strada - inutile nasconderlo - lastricata di incertezze.
Ci sentivamo impotenti di fronte al tempo necessario
per le cure, ai due anni d’attesa consigliati dai medici
ed, ahimè, alla possibilità che nel frattempo una recidiva
potesse prolungare i tempi o addirittura cancellare il
nostro sogno.
Il mio stato d’animo non era dei più felici. Vedevo intorno
a me solo donne incinte e pensavo che per la maggior
parte di esse fosse stato facile come bere un bicchier
d’acqua, che mai avrebbero realizzato quanto erano state
fortunate e che il diventar mamma potesse non essere
una cosa così semplice e scontata.
Cosa ti è stato di aiuto in quel momento?
Prima di tutto il nostro obiettivo, perché niente poteva
fermarci e questo è stato la mia salvezza.
Poi devo ammettere, con immensa gratitudine, che
sono arrivata a tutto questo grazie anche al supporto di Attivecomeprima, così
prezioso nella fase delicata del mio percorso sia fisico che emotivo di quel
periodo. Gibran, il profeta, non me ne voglia, ma Attivecomeprima è stata per me
come l’arco teso pronto a scoccare la mia freccia, lontano dalle mie paure, che
altrimenti mi avrebbero tolto la voglia di perseguire i miei progetti.
Così, in volo verso il mio domani e verso i miei desideri, con un bagaglio carico
di speranza e determinazione, ho “chiesto” al mio corpo di non deludermi e lui
ha risposto all’appello: pregavo di non dovermi sottoporre a cure ormonali dopo
la chemioterapia e così è stato.
Le mie ovaie hanno continuato a funzionare nonostante la chemioterapia,
lasciando a bocca aperta tutti i medici e persino la ginecologa oncologa che mi
aveva in cura.
Ho sperato di non avere recidive e il dubbio sorto durante uno dei miei esami di
follow-up si è risolto - dopo tre lunghi mesi - in un falso positivo: una macchia di
7 mm. che inspiegabilmente è retrocessa da sola.
Io non so quanto conti davvero per la medicina, ma sono certa che la mia caparbietà abbia avuto la meglio sulla mia mente ed il mio corpo, più di qualunque
altra cosa.
Hai trovato appoggio in questa tua decisione?
Nessun medico, tra tutti quelli consultati e conosciuti, ha mai sconsigliato
apertamente una gravidanza dopo il mio cancro; tutti sembravano avere opinioni
contrastanti fra di loro ed ognuno seguiva una determinata scuola di pensiero.
Solo uno specialista ci ha supportato al 100% elencandoci i benefici di una
gravidanza dopo un cancro mammario, ma, nella maggioranza dei casi, nessuno
si è mai sbilanciato o ci ha dato informazioni certe, né tantomeno rassicurazioni
alle nostre domande.
Quanto era pericoloso per me? C’era la possibilità di aver perso la mia fertilità a
causa della chemioterapia? Avrei avuto le stesse possibilità di un’altra donna di
avere un figlio sano? Sarebbero bastati i due anni di attesa? Perché sono poche
le donne che decidono di diventare mamme dopo il cancro?
Tutto era preceduto da tanti MA e SE e altrettanti FORSE e POTREBBE.
Mi chiedo come possano tante donne prendere una decisione del genere se non
esistono certezze e supporti concreti per loro.
Alla fine di ogni colloquio il chiaro messaggio era sempre lo stesso:
STA A VOI LA SCELTA.
Ma noi la scelta l’avevamo già fatta. Non avevamo intenzione di permettere alla
paura di controllare la nostra vita.
Domanda scontata... i tuoi desideri per il futuro ?
Ovviamente una vita serena per la mia famiglia e soprattutto per il mio bambino,
ma mi piacerebbe anche poter scrivere un libro e usare la mia storia per dare
speranza ad altre donne.
In questi tre anni io non ho mai avuto la fortuna di confrontarmi, prima di affrontare la gravidanza, con chi ha avuto figli dopo un cancro.
Ad oggi esistono tanti siti web che trattano l’argomento, ma fino a tre anni fa le
mie ricerche non avevano ottenuto molti risultati.
Se avessi una bacchetta magica vorrei tornare indietro nel tempo e permettere
alla Silvia di oggi, quella felice ed orgogliosa del suo pancione, di rassicurare la
Silvia di tre anni fa, così impotente e dubbiosa riguardo al suo futuro di mamma
e di donna, felice e realizzata.
Come dice Ada Burrone: “la speranza è contagiosa!”
Quindi mi piacerebbe... contagiare di speranza!
Ma un desiderio ancora più grande è far sapere a mio figlio
quanto la sua mamma ed il suo papà l’abbiano desiderato e
cosa c’è di meglio che raccontargli la nostra storia e la lunga
attesa prima di poterlo avere con noi?
Paola Bertolotti. Psicologa e psicoterapeuta.
Conduce in Associazione i gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di vivere”.
9
Il linguaggio degli affetti
Cosa c’entra
il Kers?
A volte fermarci ci permette
di ripartire con più energia.
Il Kers è un dispositivo utilizzato in campo automobilistico (è famoso quello delle auto di Formula 1) che
funziona pressappoco così: in frenata l’energia viene
immagazzinata in un volano che ruota ad altissima
velocità e poi, quando serve, viene rilasciata e aggiunta a quella fornita dal motore, per dare maggiore
potenza alle ruote. Il Kers è un’invenzione recente ma
corrisponde anche, secondo me, a un tipo di possibile
funzionamento del nostro sistema mentale e affettivo.
Faccio un esempio. Ci sono studenti, talvolta anche
molto brillanti che hanno un modo particolare di
studiare: stanno seduti al tavolo per un po’, poi si
alzano e fanno altro, per tornare in seguito a studiare;
dopo un po’ si allontanano di nuovo... sembra che si
distraggano, che siano discontinui e dispersivi.
In realtà ciò che fanno è collegato all’enorme energia
emotiva che essi investono nei tempi di studio diretto,
un’energia che non può essere mantenuta a lungo.
Così, come sulle Formula 1, essi frenano e riposano,
immagazzinando questa forza per renderla disponibile
allo sprint successivo.
Molti insegnanti, educatori, genitori, disapprovano questo
metodo perché non lo capiscono: vedono in esso una
incapacità di concentrazione, una dissipazione di energie,
un allontanamento dal compito.
Nei momenti di “ricarica” tendono quindi a fare osservazioni critiche quali: “insomma, non riesci proprio a stare
concentrato per più di mezz’ora?”, “come puoi studiare se
ti distrai continuamente?” e sbagliano tutto, perché interferiscono in un processo delicato, generano nervosismo
e polemiche, impediscono la ricarica e, con essa, il buon
svolgimento dello studio.
Nell’organizzazione della vita quotidiana, la maggior parte
delle persone somma compiti lavorativi e famigliari, preoccupazioni economiche e professionali, impegno importante
di tempo ed energie per gli spostamenti.
La spesa energetica è elevata e i tempi dedicati al
riposo e al piacere sono spesso marginali.
Possiamo imparare tutti da quegli studenti, che staccano, frenano, recuperano energia e ripartono.
In termini sociologici, potremmo anche definire ciò
come saper valorizzare i tempi interstiziali, quelli tra
una cosa e l’altra, oppure quelli che ricaviamo “all’interno” di qualcosa che stiamo facendo.
Sono del tutto favorevole alla pausa caffè e a ogni altra pausa che allontani la mente dal compito in corso,
per un tempo anche molto breve, e consenta così di
ripulire i circuiti, un po’ come succede se si soffia su
un disegno che si sta facendo a matita: riappare più
nitido e chiaro.
La concentrazione e l’attenzione non sono fatti psichici
continui, ma intermittenti, pieni di interstizi, di disconnessioni. Se ciò non fosse utile, perché dovrebbero
funzionare così?
Calo di tensione stressante, recupero di energie,
aumento della nitidezza di visione, migliore capacità
di cogliere il contesto e il nocciolo delle questioni...
tutto depone in favore dell’utilizzo del nostro “Kers
interiore”.
Forse esagero, ma anche Leonardo da Vinci si concedeva micro-sonnellini nel corso delle sue lunghissime
giornate di lavoro!
Stefano
InfoGastaldi.
autore
Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”.
11
Caregiver
Un amore...
tante mani!
Abbiamo deciso di pubblicare
in questo spazio la lettera di
Fabrizio, marito di Lorella,
perché rende visibile ciò che di
solito avviene nel segreto della vita
di coppia: un intero mondo di
storie, slanci, speranze, paure,
pensieri e fragilità.
Certamente non saranno sufficienti queste parole per
ringraziarvi di quanto avete fatto per Lorella e per me in
questi anni ma accettatele come un gesto di riconoscenza dovuto.
L’incontro con voi è nato sei anni fa, casualmente,
quando in fondo al corridoio di un ospedale ho visto un
vostro manifesto con il volto di una donna e un semplice
messaggio di forza e speranza.
Ho pensato che un incontro con voi avrebbe potuto essere
un’occasione e un’importate opportunità per Lorella.
Non mi ero sbagliato.
È da quando abbiamo avuto il primo colloquio con una
vostra fiduciaria che mi sono reso conto della serietà e
della profonda dedizione che il vostro gruppo offriva.
Dopo il tremendo shock della malattia che aveva colpito
una giovane donna e mamma, lo spirito e l’aiuto della
vostra associazione hanno mostrato a Lorella la possibilità di reagire di fronte a quanto successo e alimentato
in lei una voglia di riscatto e di rivincita ben più forti della
rabbia e della prostrazione seguite alla malattia.
Per due anni le era sembrato che tutto avrebbe potuto
tornare come prima e la vita riprendere con la stessa
normalità; ma alla prima ricaduta, per lei e per noi, è
diventato tutto più difficile e incomprensibile.
All’immediato rifiuto di una situazione che mai ci saremmo aspettati potesse accadere, si è lentamente sostituita
una presa di coscienza dell’inizio di un nuovo cammino
dove la lotta tra la vita di una persona e la sua malattia
delineava prospettive incerte, dubbi, paure e angosce.
Ed è in quel momento e grazie a voi che Lorella si è resa
conto della necessità di scindere la propria esistenza in
due percorsi: quello della malattia e della lotta contro di
essa e quello della vita.
Certo, tutto questo è diventato più difficile e faticoso per
lei e per la nostra famiglia. E ancora una volta ci siete
stati d’aiuto fornendo anche a me un supporto, ma non
solo, uno spazio per parlare, per riporre i miei pensieri,
i miei dubbi, le mie ansie e paure.
La vostra sede, la vostra associazione sono via via diventate per Lorella una seconda casa, una seconda famiglia
dove poter trovare momenti per sfogarsi, discutere
e instaurare nuove relazioni ma anche per avere momenti per attività piacevoli e ricreative.
Quando tutto sembrava volgersi al meglio mai ci
saremmo aspettati di veder ricomparire la malattia in una
forma che “poco” avrebbe lasciato spazio alla speranza.
Ma anche a quel poco, ancora una volta, Lorella si era
aggrappata e, nonostante la presa di coscienza della
sua grave situazione, la sua tenacia e la sua forza
d’animo le permettevano di continuare a lottare,
a sperare, a “vivere”.
Ricordo ancora quando nei giorni più difficili riusciva
a prendere un treno per venire da voi.
Il suo ritorno era sempre carico di stanchezza fisica, ma
la sua mente era sempre più lucida e forte.
Ed è stato così fino alla fine, con una copresenza di
speranza e serena rassegnazione che solo in una donna
forte come lei potevano convivere e darle ancora un
momento di serenità.
Dal letto di ospedale mi invitava a venirvi a trovare perché sapeva che anch’io, qualsiasi cosa sarebbe potuta
accadere, dovevo essere più forte e preparato.
Ma io non volevo lasciarla sola e preferivo rimanere con
lei. Sapevo che poi avrei trovato ancora la vostra disponibilità per riprendere un cammino interrotto qualche
anno fa.
La vostra presenza non è mancata nemmeno negli ultimi
momenti e immagino quanto possa averle fatto piacere
e averle dato conforto la telefonata di Ada pochi giorni
prima del suo passaggio ad altra vita.
Perché, al di là delle diverse convinzioni e delle diverse
fedi, noi tutti siamo convinti che Lorella un’altra vita, su
un altro “luogo” la stia vivendo ancora profondamente in
noi, in Francesco, nella nostra casa, nei nostri pensieri.
Credo dobbiamo ritenerci fortunati tutti noi che l’abbiamo
incontrata, come del resto, devo ritenermi privilegiato io
per averla conosciuta ed amata per tanti anni.
Vi ringrazio di nuovo per quello che avete fatto per lei e
per noi e sono certo che, da dove vive adesso, ve ne sarà
per sempre riconoscente.
Un abbraccio,
Fabrizio
Manuela Provantini.
Psicologa, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività.
Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver:
13
Le vostre lettere
foto Paolo Liaci
a cura di Ada Burrone
Susy ci ha mandato questo suo
scritto che riportiamo integralmente nello spazio delle lettere.
Uno scritto così lucido e allo
stesso tempo così emotivamente
intenso che testimonia quanto
sia possibile stare consapevolmente nella vita, anche in
condizioni fisiche difficili.

14
Cara Ada,
incontrare persone come voi lungo il
cammino della vita è veramente un
grande dono. La luce e la trasparenza dei vostri occhi, l’abbraccio
valgono più di mille parole. Grazie
ad Attive, che da due anni è parte
integrante della mia vita.
La storia del mondo è divisa in due
ere: a.c. - d.c. Anche nella mia vita,
come in quella di tutte le Attive, c’è
questo prima e questo dopo, che il
caso vuole siano indicati proprio con
le stesse lettere a.c. - d.c. avanti
cancro - dopo cancro.
Il mio “avanti” è finito il 3 Ottobre
2005. Poi è cominciato il “dopo”.
Da quella data sono passati sei
anni, trascorsi quasi tutti facendo
chemioterapia. Pochi mesi di intervallo fra un ciclo e l’altro. I capelli
che cadono, che ricrescono, che
ricadono... Non riconoscersi più nel
proprio corpo, con quattordici chili
in più e soprattutto cambiare dentro,
cambiare la scala dei valori e delle
priorità mentre quella del mondo
che ti gira intorno è rimasta uguale.
Un grande senso di solitudine che
svanisce quando ci si trova con le
Attive. Solo loro sanno come ti senti,
solo loro possono capire che cos’è
la paura che ti attanaglia, cos’è
l’angoscia al pensiero di lasciare
solo tuo figlio, che ancora ha bisogno di te. Loro sanno bene come ci
si sente sole dentro il tunnel della
TAC o PET o RM. Solo loro sanno
com’è la vita sul “pianeta cancro”.
Questo pianeta nel quale ti trovi
catapultata da un giorno all’altro,
del quale non conoscevi nulla o
quasi, questo pianeta fatto di sentimenti nuovi, persino di odori nuovi,
di attese, di speranze, di delusioni,
di rabbia, di impotenza...Per me inizialmente anche di una grande dose
di incoscienza.
Pensavo che tutto si sarebbe risolto
con l’intervento e con un ciclo di
chemio. Veramente incosciente! Non
volevo sapere. Non chiedevo nulla.
Volevo credere che sarebbe stata
una corsa di 100 metri.
È in una centrometrista che io, per
impostazione mentale e caratteriale,
mi sono sempre identificata. Con la
malattia invece mi sono trovata a
dover affrontare una maratona. Una
maratona che durerà tutta la mia vita.
Non è la morte a farmi paura.
Per citare Seneca “se c’è lei non ci
sono io e se ci sono io non c’è lei”.
Io ho paura dell’attesa della morte,
ho paura della paura e, soprattutto,
ho paura che la morte mi trovi già
morta dentro. Vorrei riuscire a concludere la mia vita terrena mantenendo la mia capacità di amare,
di emozionarmi, di indignarmi, la
mia generosità, lo stupore che provo
ad ogni primavera quando guardo
una gemma inturgidirsi, il calore
di amicizie coltivate da decenni,
il piacere di intingere i cantuccini
nel passito di Pantelleria, davanti
al camino acceso. Godere il profumo di pace che invade la cucina
quando sforno la crostata, sentire
le vibrazioni del mio corpo che
segue la musica di Arsen, estraniarmi immergendomi nella lettura di
un libro, andare da sola al cinema
gustando tutti i dettagli di un buon
film, una passeggiata sui colli piacentini e fermarsi in un bar a bere
un bicchiere di porto. E ancora quelle belle sane risate fatte al corso
di cucina impastando la farina per
fare il pane. Vorrei arrivare alla fine
essendo ancora capace di emozionarmi ascoltando la voce struggente
di Violeta Parra che canta “Gracias
a la vida”. Con questo e tanto altro
ancora vorrei che la morte mi trovasse. Vorrei che mi trovasse VIVA.
Vorrei che la malattia mi temprasse
ma non mi indurisse. Qualche volta
invece sento dentro di me una
durezza che a.c. non conoscevo.
Come a.c. non conoscevo il sentimento dell’invidia.
Ora lo provo nei confronti di chiunque sia arrivato a concludere il
suo ciclo vitale: che sia arrivato a
crescere i propri figli, che sia stato
al loro fianco fino alla loro indipendenza e (perché no?) che abbia visto
nascere i nipotini. È nell’ordine delle
cose andarsene nell’inverno della
vita... non lo è in primavera o in
estate...
Nel libro “Città invisibili” l’autore,
Italo Calvino, fa dire ad uno dei protagonisti: “Due modi ci sono per non
soffrire. Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte
fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige
attenzione e apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e che
cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”.
Che grande messaggio! Sembra
essere indirizzato proprio a noi
Attive! In questa direzione io voglio
usare le mie energie.
Ci sono due frasi sentite da due
Attive che mi hanno illuminata. Nella
loro semplicità sono state capaci di
Informazioni utili:
spalancarmi delle finestre su una
visione della vita e della malattia
che non mi apparteneva. La prima,
durante un incontro della Terapia
degli Affetti, tutte noi, o quasi, ci
stavamo chiedendo i come e i perché, il senso della malattia, della
nostra vita, del nostro passato.
Una parte di noi aveva rimpianti,
o si chiedeva il classico: “ma perché proprio a me?”. Questa Attiva
con la sua vocina sottile ha detto:
“che senso ha guardarsi indietro,
continuare a porsi domande e fare
raffronti?” OGNUNO DI NOI HA LA
SUA STORIA. Quella bisogna accettare e con quella fare i conti. È un
concetto che mi è proprio entrato
dentro. Così semplice da risultare
persino banale ma così profondo!
Non l’ho mai dimenticato. E da
allora non c’è giorno che io non
pensi: QUESTA È LA MIA STORIA.
Qualcuno l’ha scritta per me.
Non la posso cambiare.
Quello che invece posso fare è il
viverla nel migliore dei modi.
L’altra frase, che ancora di più mi
ha colpita e credo aiutata molto
nel cambiare il mio atteggiamento
riguardo alla malattia, è stata scritta in una mail. Questa Attiva che
scriveva aveva appena terminato
tutti gli esami di controllo e voleva
condividere con noi del gruppo
il sollievo degli esiti abbastanza
buoni. Diceva testualmente:
“la massa che ospito nel mio pancino
si è leggermente ridotta”.
Ha detto OSPITO!!! E la tenerezza
verso se stessa nel chiamare il
suo addome occupato da un tale
ospite PANCINO!!! Ho capito che
c’è un altro modo di rapportarsi
alla malattia, dalla quale non si può
prescindere e pertanto la si può,
in un certo senso, accettare come
parte di noi. Parte della nostra storia. Grazie Attive. Vi sono debitrice.
Vorrei tanto che la mia testimonianza riuscisse ad aiutare qualche
Attiva, come voi avete fatto con me.
A questo punto della mia storia,
quando ormai nessun medico mi
parla più di guarigione, quando ho
provato praticamente tutti i farmaci
a disposizione senza alcun miglioramento, per caso (?) mi è capitato
di sentire parlare di un libro dal
titolo “Guarigioni straordinarie.
Quando il corpo guarisce se stesso”.
(Caryle Hirshberg - Marcian Ian
Barasch ed. Mondadori).
È tra l’altro introvabile in tutte le
librerie a cui mi sono rivolta e ho
dovuto ordinarlo via internet.
È un libro che, a mio avviso,
dovrebbe essere usato in tutte le
facoltà di medicina. È un testo che
documenta un fenomeno che la
medicina ignora completamente.
I casi descritti sono sconcertanti
quanto inspiegabili dalla scienza.
Qual era stata la cura miracolosa?
La risposta che danno questi due
medici è: “in loro stessi, il medico
che aveva fatto il miracolo era...
il loro corpo. [...] Con un potere
che, coinvolgendo il nostro sistema
corpo-mente-spirito, è in grado di
rispondere all’attacco della malattia”.
Io credo in questo e avrei voglia di
gridare a tutti i medici del mondo:
“perché ignorate questi casi?
Perché? Perché non studiare quella
PERSONA nella sua interezza e non
solo la malattia di quella persona?”.
“Questi casi di remissione spontanea
costituiscono un tesoro inestimabile,
fonte di indizi vitali per una possibile
cura del male. Ignorare le guarigioni
straordinarie è un peccato di mancanza di immaginazione.
La natura grida: ‘qui giace un tesoro.
Scava e lo troverai!’”.
Perché non potrebbe essere questa
la strada da percorrere, la vera
rivoluzione? Tu stessa, Ada, fai
parte di questa casistica. Dovresti
essere inserita in questo libro!
Quanto tempo dovrà passare
perché la medicina, la scienza in
generale, arrivi a tale rivoluzione?
Mah! Intanto io continuo a leggere
“Guarigioni straordinarie” e poi si
vedrà... domani è un altro giorno...
Ti abbraccio Ada.
Con tanto affetto.
Susy.
Sant’Angelo Lodigiano.
Cara Ada, è con grande orgoglio e soddisfazione che
desidero condividere un nuovo, importante risultato
normativo che abbiamo ottenuto per la tutela dei
diritti del malati di cancro in ambito lavorativo ai quali
sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 50%.
Elisabetta
Il Consiglio dei Ministri lo scorso 9 giugno 2011
ha approvato in via definitiva il decreto legislativo
delegato in attuazione dell’articolo 23 del collegato
lavoro (legge 4 Novembre 2010, n.183) di “delega
al Governo per il riordino della normativa in materia
di congedi, aspettative e permessi”, sollecitato per
lungo tempo dall’AIMaC (Associazione Italiana Malati
di Cancro). La novità più rilevante è il richiamo e la
riconferma del diritto al Congedo per cure per gli
invalidi. A sancire il diritto del malato di cancro a
curarsi mantenendo la retribuzione e la possibilità di
affrontare con serenità le fasi critiche della malattia è
l’Art. 7 del decreto: i lavoratori mutilati e invalidi civili,
cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità
lavorativa superiore al 50 per cento, potranno fruire
ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta
giorni. La disposizione di legge, inoltre, chiarisce
che durante il periodo di congedo, il dipendente ha
diritto a percepire il trattamento calcolato secondo
il regime economico delle assenze per malattia. In
più, il decreto sancisce che la necessità della cura
in relazione all’infermità invalidante riconosciuta,
risulti espressamente dalla domanda del dipendente
interessato, accompagnata dalla richiesta del medico
convenzionato con il servizio sanitario nazionale o
appartenente ad una struttura sanitaria pubblica. Si
riconosce, inoltre, che tale congedo non rientra nel
periodo di comporto. E questo vuol dire in sostanza
che il posto di lavoro è tutelato per un lasso di tempo
più lungo. Un risultato, ottenuto grazie all’impegno
di AIMaC, che rappresenta il cambiamento epocale
in quanto incide sulla qualità della vita del malato,
migliorando le condizioni di tutela per i 2 milioni di
cittadini che ogni giorno combattono il cancro e che
convivono con questa malattia assistiti con amore e
dedizione dai loro cari”.
Avv. Elisabetta Iannelli
Segretario Generale FAVO
Federazione delle Associazioni di Volontariato
in Oncologia www.favo.it
V. Presidente AIMaC
Tel. +39 06 4825107
www.aimac.it
Per i vostri quesiti vi ricordiamo i nostri recapiti:
ATTIVEcomeprima via Livigno, 3 - 20158 Milano Tel 026889647 mail: [email protected]
Per parlare con Ada potete telefonare il lunedì e il mercoledì dalle h. 14,00 alle h. 17,00. Tra medico e paziente
Il giusto peso
Star bene non vuol dire non avere
malattia e questo, culturalmente,
porta ad una visione della vita come
un processo in continua evoluzione.
16
In una ancor fredda mattina di fine febbraio, Paola Bertolotti
ed io, ci siamo recati di buon’ora alla sede dell’AISLA per
incontrare il suo Presidente, Mario Melazzini. Non si può
non notare il sorriso, la calma, i modi gentili e accoglienti
delle persone che lavorano con lui. D’altra parte queste sono
qualità umane dello stesso Presidente che conosciamo da
tempo e abbiamo subito pensato che le persone intorno a lui
non potessero essere diverse.
Ci attendeva nel suo studio, dove era già al lavoro seduto
alla scrivania; una stanza luminosa, computer, documenti,
tutto in perfetto ordine.
“Accomodatevi...”, un sorriso, uno scambio di parole,
i saluti da parte di Ada e degli amici di Attive e via...
accendiamo il registratore...
Prof. Melazzini cosa le ha fatto pensare che il metodo
di lavoro di Attivecomeprima potesse essere utilizzato
anche per i suoi pazienti malati di SLA?
Quello che mi ha colpito, prima di tutto, è stato il clima che
ho trovato entrando ad Attivecomeprima, un clima estremamente aperto all’altro e disponibile.
Ma ho trovato anche molta competenza riguardo ai temi
dell’oncologia e particolare attenzione nel mettere al centro
i bisogni della persona.
Ha stimolato la mia curiosità come medico, ma anche
come persona malata, portatore di un bisogno, vedere
quanto sia forte la volontà di far partecipe la persona,
di renderla protagonista, insieme ai suoi famigliari, nel
percorso di elaborazione del suo vissuto.
Nella SLA, una delle grandi criticità che si sta cercando di
superare è proprio la posizione del paziente, che subisce
passivamente non solo la malattia, ma anche tutte le
problematiche che ne conseguono e che ricadono a
cascata sui famigliari.
Quindi, un lavoro che aiuti a vivere in modo diverso e a
riprogrammarsi la vita indipendentemente dalla malattia,
ad essere protagonista della propria quotidianità, mi ha
incuriosito e stimolato.
Noi medici parliamo spesso della presa in carico totale del
malato, però devi avere anche gli strumenti di cura per poterlo
fare e quello che ho visto nel vostro gruppo è un vero e proprio strumento di cura, un ulteriore strumento per far sì che il
paziente si senta realmente preso in carico, mai abbandonato.
Condividere non solo con professionisti ma anche con altri
malati, altri famigliari, il percorso di una malattia che a prima
vista ti toglie tutto e che sembra impossibile coniugare ad un
poter continuare a vivere, ti porta a sperare invece che tutto
ciò sia possibile.
Diciamo che fino a non molto tempo fa, ci si faceva carico
della malattia piuttosto che tenere in conto la persona. Non
dico che si debba vivere dalla mattina alla sera le problematiche del paziente, però sarebbe bene ricordarsi che quest’ultimo è prima di tutto una persona e non solo una malattia.
Intendo il prendersi carico di una persona nel senso che,
verso di lei, ho delle responsabilità da condividere, quindi
significa iniziare insieme quel percorso che ti può far ritornare
o a un recupero totale della tua normalità o a una riprogrammazione di una nuova normalità, anche con la malattia.
Come dire che è necessaria una presa in carico reale
della persona e non un atto solamente burocratico e che
il prendersi “cura”, l’ascolto, dovrebbero diventare parte
integrante della terapia della malattia.
Assolutamente si, quando si parla di umanizzare la cura ci si
riferisce proprio a questo: prendersi cura nel senso di avere
il tempo per parlare, ma soprattutto per ascoltare e avere
l’opportunità di fare quel percorso che a volte non è solo fatto
di tecnicismi, ma anche di empatia e condivisione.
Questo darebbe la possibilità di “tagliare su misura” della
persona anche le prescrizioni.
Quali sono i principali bisogni che raccoglie
dai suoi pazienti?
Fondamentalmente sono due: chi è malato di SLA si chiede, di primo impatto, se ci sarà una terapia e a che punto è
la ricerca, perché il suo pensiero è quello di guarire.
Parallelamente c’è l’altro bisogno che nasce dalla non
conoscenza dell’ostacolo, di quel muro che si è parato
davanti: “dove andrò a finire, cosa mi succederà?”. C’è
un profondo bisogno di informazioni, di sentirsi dire dal
medico non tanto quello che ogni malato vorrebbe sentirsi
dire, cioè “stai tranquillo, vedrai che guarirai, vai avanti lo
stesso”, ma piuttosto che se ci sarà un problema ci sarà
anche il rimedio, che lo si troverà insieme.
Non è che io, neurologo, ti dico: “tu hai questa malattia,
tu hai la SLA e punto”.
Perché questa persona va
a casa, cerca di sapere
A Mario Melazzini, 52 anni,
qualcosa sul motoneurone
oncologo medico, nel 2002 è stata
diagnosticata la SLA.
e scopre che arriverà a un
Direttore dell’Unità operativa di
punto dove non respirerà,
Day Hospital Oncologico della Fonnon mangerà, non berrà.
dazione Maugeri IRCCS di Pavia,
Presidente nazionale dell’AISLA
Va in paranoia totale.
(Associazione Italiana Sclerosi LaIl bisogno fondamentale è
terale Amiotrofica), Direttore scienquesto: conoscere, essere
tifico del Centro clinico NEMO per
la ricerca e la cura delle malattie
informato, ma con informaneuromuscolari (Azienda Ospedazioni più personalizzate.
liera Niguarda, Milano), ha avviato,
Nel senso che può darsi che
con Attivecomeprima, un progetto
di supporto per pazienti colpiti da
la tua malattia non ti faccia
SLA e per i loro famigliari.
più parlare, deglutire, respirare, ma non possiamo sapere
quando accadrà, se tra 5 mesi o 5 anni.
Quello che io medico posso dirti è che, se ti dovesse succedere, ci sono gli strumenti per poter intervenire, se lo vorrai e se
decidi di partecipare attivamente al tuo percorso di malattia,
valutando insieme quelle offerte, a te più congeniali, che la
scienza potrà mettere a disposizione.
Questi sono i due bisogni fondamentali che raccolgo: uno
che riguarda gli aspetti puramente tecnici e scientifici della
malattia, l’altro che esprime la necessità di essere rassicurato
che, qualsiasi cosa potrà succedere, il medico non lo lascerà
a sé stesso, ma sarà al suo fianco.
Noi vediamo delle assurdità, dei malati che arrivano al Nemo
ai quali è stato detto: “lei ha la SLA, ci vedremo trimestralmente. Per valutare la funzione respiratoria vada dal pneumologo, se ha disturbi di deglutizione o di digestione vada
a sentire il nutrizionista”. Vada, faccia.... Paradossalmente
abbiamo pazienti bulbari, quindi quelli che camminano ancora
bene ma che hanno una disfagia importante e che rischiano
di andare incontro a una polmonite ab ingestis [polmonite
causata dal passaggio di cibo o di succhi gastrici nelle vie
respiratorie, dovuto a una disfunzione della deglutizione (ndr)],
una condizione che porta a far precipitare il quadro della
funzione respiratoria.
Si trovano così in pronto soccorso, intubati. Il problema
è che poi è difficile svezzare il paziente bulbare dal tubo,
perché il bulbo non accetta più le informazioni per far
funzionare il diaframma.
Succede così che al paziente viene proposta la tracheostomia
e, dalla sera alla mattina, il paziente si trova in una situazione
della quale non era stato informato e che non aveva potuto
elaborare precedentemente. Sono i malati e i famigliari i più
arrabbiati, contro tutto e tutti.
Invece ci sono pazienti bulbari che col timing giusto vanno
incontro alla PEG [Gastrostomia Percutanea Endoscopica:
consiste nel posizionamento, attraverso la parete anteriore
dell’addome, di una sonda nello stomaco, attraverso la quale
la persona potrà alimentarsi (ndr)] e vanno avanti anni prima
di avere bisogno di un supporto meccanico ventilatorio.
Quindi quando ci troviamo di fronte ad atteggiamenti molto
negativi del paziente o del famigliare, nel 90% dei casi la
colpa è di noi medici, perché devi pensare prima al bene
del paziente e poi a quello del medico.
Se fai solo il tecnocrate incappi in questi sbagli.
Si può pensare che questo atteggiamento da
tecnocrate sia una difesa dalla paura e dal
senso di impotenza di fronte a una situazione
clinica che, molto probabilmente, è destinata a
peggiorare.
È così, l’ho vissuto su di me e non mi ero mai fermato a riflettere su questo, ma è proprio vero: il medico si scontra con il
senso di impotenza e c’è un atteggiamento ambivalente.
Ci sono quelli che, è brutto dirlo, si compiacciono di poter
curare queste persone che purtroppo non hanno terapia, ma
allo stesso tempo hanno paura di non poter dare di più quando viene chiesto loro, sia dal punto di vista tecnico, ma anche
emotivo e così si nascondono dietro al ruolo.
Anche nel mio caso, quando mi diagnosticarono la malattia,
un clinico molto importante, che io stimo tantissimo, mi disse
“Melazzini lei ha la SLA e io mi fermo qui”. Certo forse ha
pensato: “è un medico, quindi sa”, ma in quel momento aveva
davanti a sé una persona che magari conosceva la malattia,
ma non propriamente quello che significava. Quindi si pensi
cosa può scatenare in una persona sentirsi dare una diagnosi
di una malattia così ... e vedere il medico che “si ferma lì”.
17
In un’ intervista lei parlava della dignità come di un
carattere ontologico dell’essere, un po’ come lo è la
speranza per Franco Fornari.
In una situazione come quella di cui parlava, nella quale
il medico ha poco da offrire in termini di terapia risolutiva, rispetto ad altre situazioni in cui c’è tantissimo da
offrire come nell’oncologia, quali sono i contenuti della
speranza nel quotidiano? Da cosa è alimentata?
Grazie a questo confrontarmi nel quotidiano con persone che
hanno questa condizione di malattia inguaribile e poco curabile, ho rimodulato un po’ la definizione di speranza.
Noi medici, nella veste di ricercatori, nell’attivare la nostra
progettualità diamo alla speranza una dimensione concreta.
Vediamo e crediamo che facendo una determinata cosa si
arrivi ad un obiettivo. In questo senso, la speranza la posso
anche misurare attraverso gli indicatori che ho a disposizione e in base ai risultati raggiunti. Noi ricercatori dovremmo
riuscire a traslare questa nostra motivazione, che è anche
entusiasmo, nella nostra quotidianità. Perché, se la ricerca per
i nostri malati è speranza, per noi malati diventa vita.
E quindi la speranza diventa, essa stessa, uno strumento
di cura. Da tempo ho fatto mia la definizione di un collega
americano, l’ematoncologo Jerome Groopman che ha scritto
il libro “Anatomia della speranza” [Ed. Vita e Pensiero, Milano,
2006 (ndr)], in cui la definisce così: “quel sentimento
confortante che provo quando vedo con l’occhio della
mente quel cammino che mi può condurre alla condizione migliore”. Ecco perché la speranza ha un carattere
ontologico, perché ce l’abbiamo dentro. Però, se da un lato
deve essere motivata dallo stesso individuo, dall’altro deve
essere alimentata gettando legna secca su quel fuoco; e la
legna secca rappresenta chi ti è vicino, chi ti cura, chi si fa
carico di te. E questa non è illusione...
18
Quindi ai suoi pazienti dà speranza comunicando
la sua presenza, il suo esserci per loro, oltre ovviamente
facendo sentire che sono curati al meglio.
Si, poi soprattutto sono convinto che la speranza e la dignità
siano due cose che vanno a braccetto. Noi operatori, quando
visitiamo i nostri pazienti, quando parliamo con loro e con i
famigliari dovremmo avere il coraggio di guardarli negli occhi
perché, come dice quel libro di Groopman: “la dignità la dà
l’occhio del curante ed è uno sguardo bidirezionale che
dà dignità anche all’operatore che così si arricchisce di
un dare e di un avere”.
Queste sono tutte, secondo me, quelle piccole cose alle quali
noi non diamo attenzione, o meglio, che non valorizziamo.
E non è un atteggiamento paternalistico, è veramente quella
“compassione”, nel senso di una condivisione, che diventa
quell’elemento in più che dà speranza e dignità.
Poi, per carità, vorremmo avere la ricetta, la formula magica
per salvare tutti, ma bisogna stare con i piedi per terra.
Oggi la nostra scienza medica fa e farà delle cose incredibili,
ne sono certissimo, però non dimentichiamoci che tutto è
rivolto a una persona e non solamente a una soddisfazione
personale finalizzata a trovare il rimedio che ti farà vincere il
Nobel. Nel frattempo le persone devono essere seguite
e curate; oggi noi parliamo di nano-tecnologia e perdiamo
di vista quelle che sono le cose talmente macroscopiche, pur
nella loro piccolezza, alle quali non si dà più attenzione.
E tra queste c’è l’attenzione alla persona.
Certamente, perché si dice sempre che l’obiettivo della
medicina è quello di guarire, ma la guarigione è solo
uno dei possibili risultati del suo operato perché il suo
operare è molto più ampio. Lei si sente diverso come
medico, oggi?
Si, e non è una risposta dovuta.
Ci sono tre aspetti, il primo è che ora, a 52 anni, mi rendo
conto della fortuna che ho avuto ad approcciarmi alla
professione del medico, una fortuna forse dettata dalla gran
passione che avevo e che continuo ad avere.
Dal punto di vista medico, ho capito che si può fare una
buona medicina anche da medici del 2000, in modo
diverso, cioè con l’attenzione alla persona; e non è “medicina alternativa”... Quando il paziente viene da noi, il
compito è quello di risolvere i problemi che porta, perché
sicuramente viene per quello; ma nel contempo devi
avere quell’attenzione che va al di là della condizione
patologica per la quale il paziente è venuto da te.
E infine l’altra cosa è che con i miei colleghi al NEMO
discutiamo degli eventuali approcci cercando sempre
di personalizzarli, chiedendoci se a questa persona può
andare bene questa cosa, non perché lo dicono le linee
guida. Bisogna cercare sempre di tenere conto, indipendentemente dalle competenze scientifiche, di una personalizzazione del percorso, della necessità che venga calato
nella realtà del singolo.
C’è un altro aspetto che in questa patologia è ancora
più acuto che in altre: il problema del tempo.
Il tempo della malattia vissuto dalla parte del paziente
e il tempo della cura vissuto dalla parte del medico,
non coincidono sempre...
Ho riflettuto su questo, per esempio quando la mattina parto
per il giro visite con tutta la squadra. Noi non sappiamo quanto
vogliono o non vogliono sapere quelle persone che sono nel
letto e che però sono in attesa che tu dica qualcosa.
Passi del tempo con loro, spesso dimenticandoti di quella
grande vulnerabilità e dipendenza che il paziente ha nei
confronti del medico o anche dell’infermiere, perché in quel
momento è molto più fragile.
Quando fai il giro vai in stanza, chiedi come va o come non va;
poi ti giri e parli con i colleghi, con la caposala per dire cosa
deve fare; poi dici “buongiorno” ed esci perché devi passare
alla stanza successiva. Quello è il tempo concesso. Non dico
di passarci un’ora, ci puoi stare se è necessario, ma non è
possibile valutare l’efficienza in base ai numeri che produci.
Ormai si lavora sulla produttività e sul numero di pazienti che
vedi. Non è possibile, perché questo va a scapito prima di tutto
della qualità tecnica e, secondo, a svantaggio del paziente, al
quale non dai nulla e sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Come medico puoi dire che gli hai dato il ciclo di terapia
perfetto, ma non è solo quello. È lo sguardo che passa, l’attenzione che gli comunichi. Certo, noi medici siamo uomini, con
i nostri limiti, ma in quel momento non è che stiamo facendo
altro, è questa la nostra missione.
Quando la persona viene messa al centro
delle attenzioni della medicina cambia il significato
che si da al “vincere la malattia”?
Vincere la malattia assume un significato, in questo modo,
più ampio. Vuol dire riuscire a vivere con la malattia dandole il
giusto peso, né sottovalutandola, né sopravvalutandola.
Non è convivere con la malattia, né sopravvivere alla malattia,
ma è condividere con la malattia un percorso di vita che va riprogrammato in base ai limiti che la malattia stessa ti propone.
Credo che questo esprima una definizione nuova di medicina
e di uomo-malato. Star bene non vuol dire non avere malattia
e questo, culturalmente, porta ad una visione della vita come
un processo in continua evoluzione e che si può adattare
anche intorno a una condizione di malattia.
Per questa intervista, nelle quale ha parlato
sia la voce di un medico attento e sensibile sia
quella di un malato che testimonia ogni giorno
il piacere di vivere, grazie Dottor Melazzini!
Alberto Ricciuti. Medico di medicina generale.
Responsabile in Associazione del Supporto di Medicina Generale durante la chemioterapia.
La medicina che ci aspettiamo
Malattia senza
sensi di colpa?
Tra le parole che intercorrono tra chi è malato e chi offre
la cura nessuna è più pesante di quella che addossa
la colpa al malato stesso. “Malato? Sei colpevole!”.
Sembrerebbe una storia vecchia, da relegare nelle fasi
più arcaiche della cultura. Sappiamo con quanto vigore
nella tradizione ebraico-cristiana si è cercato di distanziarsi dalla rappresentazione semplicistica secondo cui
il malato è punito nel corpo per le sue colpe: era la tesi
degli “amici teologi” di Giobbe e anche quella dei rabbini
che, ponendo il cieco nato di fronte a Gesù, gli chiedono
se avesse peccato lui o si suoi genitori per essere nato
cieco (Giov. 9,2). Se nella visione religiosa la malattia è
“segno”, lo è di qualche cosa d’altro, non della colpa di
chi ne è colpito. Ma non è così semplice liberarsi della
terribile associazione tra male fisico e senso di colpa.
Talvolta è evocata dal malato stesso con la domanda:
“Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”.
Le agenzie colpevolizzanti nella nostra cultura non sono
primariamente quelle religiose, ma laiche. Per esempio
il pensiero psico-somatico. È lucidissima l’analisi che
la scrittrice Susan Sontag ha dedicato alle spiegazioni
psicologiche del cancro: “Le teorie psicologiche della
malattia sono un mezzo poderoso di gettare la colpa
sul malato. Spiegare ai pazienti che sono loro
stessi la causa, involontaria, della propria malattia significa anche convincerli che se la sono
meritata” (S. Sontag: “Malattia come metafora”).
Silvia Bonino, una docente di psicologia che ha
scritto un libro sulla malattia che l’ha colpita, considera
non concluso il compito culturale di contrastare le colpevolizzazioni del malato che si ammantano di psicologia.
Ricorda una donna che combatteva faticosamente contro
un cancro, assalita da un’angoscia profondissima
quando un’assistente sociale la sollecitava a interrogarsi
per capire “perché se l’era fatto venire” (S. Bonino,
“Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia”).
La colpevolizzazione si presenta come una seducente
scorciatoia per rispondere alle domande che ci poniamo
sulla malattia. Può darsi che dia le risposte che amiamo
ascoltare. Ma le domande non sono quelle giuste.
Dal piano delle cause “perché?” dobbiamo spostarci
verso quello dei fini “per che cosa?”; allora anche la
malattia può dischiudere un orizzonte di crescita umana.
La vita con la malattia sarà diversa dalla vita senza ma
sarà ancora vita; la sfida consiste nel far sì che sia anche
migliore. Siamo riluttanti ad accettare il cambiamento
che ci viene richiesto. La strategia più diffusa per
aggrapparci al passato è proprio quella di continuarci
a chiederci “perché?”.
Dobbiamo resistere ai tanti colpevolizzatori volontari, disposti a darci una mano quando ci mettiamo alla ricerca
delle nostre presunte colpe che avrebbero provocato la malattia. Il vero salto di qualità comincia
quando cambiamo registro voltando le spalle al
passato, ci rivolgiamo al futuro: “così è”.
Ora, che aspetto potrà assumere la mia vita?
Sandro Spinsanti
Direttore Istituto Giano - Roma
19
Nutrire il benessere
Nel labirinto del
supermercato
Entrando in un supermercato la scelta dei prodotti è davvero impressionante.
Cosa si può scegliere in questo mondo di odori, sapori e colori così variegato?
20
Per prima cosa andiamo a fare la spesa a stomaco ben
pieno, perché altrimenti acquisteremo troppo e male.
Poi usciamo dalle accattivanti offerte e dagli slogan pubblicitari e vediamo di acquistare qualcosa che soddisfi
per primo il nostro cervello e poi la nostra gola.
Quindi, prima di mettere qualcosa nel carrello, leggiamo
attentamente le etichette che avvolgono i vari alimenti,
perché ci forniscono molte le informazioni su un prodotto.
È l’insieme delle indicazioni, dei marchi di fabbrica, delle
immagini e dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare. Una specie di carta di identità che ci permette
di scoprire cosa stiamo per acquistare e di capire se chi
vende un certo prodotto ce la sta raccontando giusta.
Ma dobbiamo leggerla tutta e molto attentamente.
Infatti, se ci fermiamo a quanto c’è scritto in grande vicino al nome del prodotto, potremmo acquistare qualcosa
di molto diverso da quello che crediamo.
Ad esempio, da poco è arrivata alla mia attenzione
l’etichetta di una insalata di pesce... gli ingredienti sono:
imitazione di code di gambero, acqua, amido di frumento, zucchero, sale, olio di palma, amido si soia e di
tapioca, carbonato di calcio, E170, aroma di gambero
e aroma di aragosta, insalata mista.
Ma davvero voi comprereste una cosa così?!?
O la acquistiamo solo perché la scritta “insalata di
pesce” ci evoca qualcosa di sano?
Allora inforchiamo gli occhiali e leggiamo almeno gli
ingredienti, sapendo che il primo riportato è quello
presente in maggiore quantità e poi via via a ridurre man
mano che si scorre la lista.
Leggiamo allora cosa c’è, ad esempio, nei cibi “senza
zucchero”. Comunemente per zucchero si intende il sac-
carosio (cioè quello utilizzato in cucina) che è sicuramente assente... ma allora con cosa danno il sapore dolce a
questi cibi? Forse con cose naturali?
Ed ecco che capovolgendo la scatola tra gli ingredienti
compare la scritta: “sciroppo di glucosio” o “maltosio” o
“destrosio”: tutti ingredienti che fanno ingrassare, quasi
più dello zucchero, nel caso foste tentati di acquistarli
per perdere un po’di peso, ma, quello che è peggio, è
che sono tutti ingredienti che alzano velocemente la
glicemia (perché contengono glucosio), quindi assolutamente non consigliati a chi soffre di diabete o ai pazienti
oncologici... ci avevate mai pensato? Ma se il dolcificante
fosse lo “sciroppo di fruttosio” sappiate che, se anche
nell’immediato non alza la glicemia, alla lunga fa produrre trigliceridi in eccesso e fa ingrassare. Cerchiamo
invece, attraverso l’etichetta, un cibo realmente senza
zucchero dove la parte dolce viene dalla natura stessa
(come ad esempio dal succo di mela o succo d’uva).
Per quanto riguarda i grassi, ormai tutti sanno che i grassi idrogenati sono composti industriali di sintesi derivati
da grassi insaturi (che proteggono le arterie), che per
modifiche chimiche si trasformano in grassi saturi (che
aumentano il rischio di patologie cardiovascolari e non
solo) e grassi in configurazione trans, che sono tra i nutrienti più correlati al rischio di malattie cardiovascolari.
Il loro consumo riduce i livelli di colesterolo HDL (buono)
e alza quelli di LDL (cattivo), altera la permeabilità e la
fluidità delle membrane cellulari ed è causa di insulinoresistenza e, inoltre, favorisce la produzione di radicali
liberi. Tutti effetti negativi per l’organismo. Per evitare
questi grassi bisogna controllare che, tra gli ingredienti
scritti sulle etichette, non compaiano: olii vegetali idrogenati e parzialmente idrogenati, grassi vegetali idrogenati
e parzialmente idrogenati, margarina (che è la stessa
cosa). Per educare l’industria alla trasparenza evitiamo
anche i prodotti su cui è scritto “grassi non-idrogenati”
perché non sappiamo cosa ci stanno facendo mangiare.
È meglio acquistare quei prodotti in cui è scritto in modo
chiaro ogni ingrediente. Così è possibile scegliere di non
mangiare olio di colza (che è composto, tra gli altri, di un
grasso che forma placche alle coronarie, l’acido erucico)
o di palma (che contiene molti grassi saturi del tutto
simili a quelli del burro) o olii di semi vari (che non saprei
effettivamente cosa contengono). Certo, se un produttore
utilizza olio extravergine di oliva, ha tutto l’interesse di
scriverlo in etichetta e allora acquistiamo quel prodotto!
Poi diamo un’occhiata agli “additivi”, sostanze che vengono aggiunte al cibo per prolungarne la conservazione
(conservanti), per prevenire i fenomeni di irrancidimento
(antiossidanti), per migliorarne l’aspetto, il colore e il
sapore (coloranti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti,
esaltatori di sapidità e adiuvanti), che comprendono tutti
quei nomi strani che solitamente non si sa cosa siano o
dei numeri preceduti dalla lettera E.
Più ce ne sono e di peggior qualità è la materia prima
utilizzata perché hanno dovuto modificarla molto per renderla buona da mangiare. Inoltre, alcuni additivi possono
causare problemi alla salute specialmente se mangiati
per lungo tempo. Pensate solo che in commercio ci sono
bevande o sciroppi dove l’unico ingrediente naturale
è l’acqua tutto il resto sono aromi ed additivi... il cibo
artificiale cerchiamo di rifiutarlo...
E ora rileggete gli ingredienti dell’insalata di pesce scritti
sopra...secondo me vi sembrerà più immangiabile di
quanto non vi sia sembrata ad una prima lettura...
io vi consiglio invece di provare le ricette di Angela.
Anna Villarini
Biologa specializzata in scienze dell’alimentazione
21
Le ricette d
Cuscus con
verdure e pesce
22
Ingredienti:

1/2 kg. cuscus
semi-integrale

1 carota

1 cipolla bianca

2 zucchine

1/2 Kg misto pesce
(gamberetti, seppioline, calamari, salmone,
coda di rospo e altro)

olio extravergine
d’oliva

1 manciata
prezzemolo tritato

4 scalogni

sale q.b.

timo e finocchietto
Pasta di farro
alle verdure
(Foto 1) Fare bollire 1/2 litro d’acqua
con un po’ di sale. Raggiunto il bollore
togliere dal gas e aggiungere il cuscus
con 2 cucchiai di olio d’oliva e lasciare
riposare per 20 minuti circa - coperto.
Scoperchiare e sgranare con una
forchetta o con le mani il cuscus.
Togliere le verdure a dadini e le
zucchine a mezzaluna.
(Foto 2) Soffriggere ogni verdura
in padella con un cucchiaio di olio
e aggiungere al cuscus.
In una padella, con un cucchiaio
di olio, fare appassire lo scalogno,
aggiungete il pesce tutto
(Foto 3) tagliare a tocchetti e cuocere
per un paio di minuti. Incorporare del
timo e il finocchietto tritati, una macinata di pepe e aggiungere del sale.
Fare delle tortine di cuscus e servire
con il pesce sopra.
Spolverare con del prezzemolo tritato.
Ingredienti:
250 gr. pasta di farro
1 cipolla a tocchetti
1 carota a dadini
1 gambo di sedano
a dadini
1 zucchina a dadini
o a rondelle
olive nere snocciolate
e tagliate a rondelle
olio extravergine
d’oliva
1/2 limone
1 pizzico di sale
di Angela
Foto GiòArt
Castagnaccio
Torta di farina
di castagne
(Foto 1) Far saltare le verdure
in padella con poco olio.
Ingredienti:
350 gr. farina
di castagne
1/2 litro di acqua
50 gr. di pinoli
50 gr. di uvette
1 rametto
di rosmarino
3 C. olio extravergine
d’oliva (q.b.)
1 pizzico di sale
(Foto 1) Setacciare la farina di castagne.
Mettere a bagno l’uvetta.
In un recipiente mettere la farina
setacciata, 2 C. di olio extravergine,
il 1/2 litro di acqua,1 pizzico di sale
e mescolare fino ad avere un impasto
morbido ed omogeneo.
Aggiungere l’uvetta ammollata e i pinoli.
(Foto 2) Cuocere la pasta al dente,
scolarla e unirla alle verdure.
Aggiungere le olive a rondelle, un po’
d’olio e il limone spremuto.
(Foto 2) Ungere una teglia di 24 cm.
di diametro con un po’ d’olio ed
irrorare il composto della farina di
castagne. Decorare con degli aghi di
rosmarino e un po’ d’olio.
(Foto 3) Variante.
Aggiungere delle altre verdure a seconda
della stagione (cavolfiore, zucca,
broccolo romano, ecc...)
(Foto 3) Riscaldare il forno a 180°
e infornare la teglia per 45 minuti.
Poi tagliare a spicchi e servire.
Angela Angarano
Assistente cuoca nella ricerca Diana
Mini Master
Mentre stiamo organizzando la terza
edizione del Mini-Master rivolto
agli oncologi, che si terrà nel 2012,
ci perviene un commento “a caldo”
di una partecipante. Ne vogliamo
condividere una parte con voi.

Ho conosciuto Attivecomeprima circa un anno fa,
24
quando ho trovato un cofanetto di opuscoli intitolato “La
forza di vivere” sulla scrivania di una delle psicologhe che
lavorano al Servizio di Psicologia dell’Istituto Tumori di
Genova insieme a me. Presa dall’entusiasmo di parole così
belle, ho cominciato ad informarmi sull’associazione esplorando il suo sito. Quando ho visto qual era l’approccio,
il modo di lavorare e i servizi offerti, dentro di me mi sono
detta: “Ecco! Questo è proprio il modo in cui io intendo
il concetto di “prendersi cura di una persona”: a 360°”.
Mi chiedevo (e mi chiedo ancora) perché sia così difficile
riproporre un modello di questo tipo in tutti gli istituti,
ospedali e in qualunque posto ci si prenda cura di un
paziente oncologico, perché sia così difficile far passare
un’idea che in realtà dovrebbe essere così scontata.
Da un anno a questa parte, a contatto con la realtà dei
servizi sanitari, con quel loro essere spenti e senza vita,
ho visto lentamente, ma inesorabilmente, decrescere
il mio entusiasmo, cominciando a riconsiderarlo sotto un’ottica diversa da quella iniziale: forse era stato
semplicemente il frutto delle mie manie di grandezza
e di onnipotenza. Non è facile cambiare le cose, non è
facile cambiare il modo in cui funziona un sistema, e chi
sono io, alle prime armi, senza esperienza, senza molte
competenze e senza alcun tipo di potere, per pensare di
poter fare qualcosa in quella direzione?
E così nell’ultimo periodo di lavoro ero molto demotivata
e forse anche un po’ rassegnata; non credevo più di
poter dare davvero qualcosa ai pazienti che incontravo.
Beh, devo dire, con mia sorpresa e piacere, che mi è
bastata una mezza mattinata di corso per cambiare idea
e ricaricarmi di voglia di fare! Era da tempo che non
vedevo delle persone parlare con tanta passione ed entusiasmo, persone capaci poi di trasmettere e infondere
tali sentimenti agli altri.
Io non so che cosa ci sia in questo posto, cosa abbia di
diverso l’aria che si respira, fatto sta che entrare dentro
la sede dell’associazione mi ha dato la sensazione di
entrare in un’oasi di tranquillità e di calma, in mezzo al
traffico di Milano e alla frenesia del quotidiano.
Quello che trasmettono le mura di quel posto non è
descrivibile a parole, ma appena entrata ho sentito “quel
qualcosa” che non saprei definire.
L’intervento introduttivo di Ada ci ha messo tutti nello
spirito giusto per cominciare e, successivamente,
i relatori sono stati in grado di coinvolgermi non solo
a livello cognitivo, ma anche a livello emotivo.
La capacità di far provare delle emozioni non è
assolutamente comune tra i medici quando parlano di
pazienti oncologici, o almeno queste sono state le mie
esperienze fino ad ora.
Questo messaggio è passato forte e chiaro: parlando
del paziente, si parla del suo organismo fisico, delle
terapie che deve fare, ma anche delle sue emozioni,
dei suoi pensieri, della sua alimentazione, della sua
vita nel quotidiano e pure della sua spiritualità. E tutte
queste cose sono strettamente interrelate: per com-
Cultura e formazione
Attività formativa
e progettuale 2012:
•Mini-Master per oncologi
e altri medici che lavorano in ambito
oncologico (accr. ECM).
prendere il paziente non si può affrontare un aspetto
senza affrontare gli altri.
Sono stati illustrati inoltre concetti di base per costruire
un’équipe terapeutica che sia veramente funzionante.
Troppo spesso è proprio il concetto di équipe ad essere
frainteso. Infatti, se per équipe si intende semplicemente
il mettere in una stanza diversi professionisti che lavorano con un paziente, ognuno focalizzato esclusivamente
sulla sua parte specifica di competenza, scambiandosi
informazioni, ma senza comunicare veramente, in realtà
non si sta facendo nulla di diverso dal lavorare singolarmente. Il paziente resta comunque suddiviso “a pezzetti”.
Perché ci sia un’équipe che funzioni davvero è necessario fare un salto di qualità, acquisire una consapevolezza
diversa del paziente e del lavoro in gruppo, cambiare
ottica, cambiare visione.
Bisogna fare in modo che tutti i professionisti lavorino
insieme in modo integrato. Lo psicologo all’interno di
un’équipe multiprofessionale può fare molte cose:
aiutare i medici a riflettere sul bisogno di mettersi in relazione con il paziente, sensibilizzarli circa gli aspetti psicologici, emotivi e cognitivi che necessitano di essere presi
in considerazione, lavorare con loro sul miglioramento
delle strategie comunicative e molto altro. Ciò che lo
psicologo non può assolutamente fare è sostituirsi al medico per quei compiti che il medico (alcuni medici) non
ritiene importanti o strettamente necessari. Lo psicologo
infatti non può sostituirsi al medico nella comunicazione
e nella relazione con il paziente. Queste due componenti
non possono essere vissute dal medico come una zavorra, un peso di cui eventualmente liberarsi, affidandole
a qualche altro professionista, ma piuttosto come parte
fondamentale e integrante della cura.
Per dirla attraverso una metafora, l’équipe dovrebbe
essere come una squadra di calciatori: ogni giocatore ha
il suo ruolo e ogni giocatore conosce qual è il ruolo degli
altri. Tutti seguono lo stesso schema condiviso e le stesse strategie di gioco per arrivare ad un obiettivo comune:
fare goal. Allo stesso modo, all’interno dell’équipe, ogni
professionista, consapevole del proprio ruolo e di quello
altrui, deve lavorare insieme agli altri verso un unico
obiettivo: far star bene il paziente.
È stata un’ottima mossa permettere a persone con diversi
tipi di professionalità di partecipare a questo Mini-Master,
perché, in questo modo, è stato possibile un confronto più
ampio e completo di diversi punti di vista.
Altro punto importante, secondo me, è quello della
comunicazione del paziente al medico rispetto all’eventuale
ricorso a terapie non convenzionali.
Durante il corso sono state esplicitate le possibili motivazioni che il paziente potrebbe avere nel non comunicare
questo al proprio medico, tra cui la paura di essere deriso,
biasimato, criticato e non capito.
Ritengo che biasimare il paziente per il fatto che stia
facendo delle terapie non convenzionali, esprimendo
il nostro dissenso, equivalga a fargli una violenza.
Il paziente a cui diremo che non siamo d’accordo con
quello che fa potrebbe cominciare ad essere dubbioso,
perdere la speranza, smettere di crederci.
È importantissimo, secondo me, mantenere un atteggiamento non solo di apertura nei confronti di ciò che
il paziente fa, ma anche, e soprattutto, di RISPETTO, per
quello che il paziente ha deciso di fare.
Concludo ringraziandovi ancora tantissimo per i meravigliosi giorni di formazione VERA che ci avete regalato.
Aspetto con gioia il prossimo incontro!
Saluti tutti calorosamente,
a presto.
Marzena F.
IST Genova
•Corsi per medici di medicina
generale con ASL di Milano (accr. ECM).
•Corso settimanale per specializzandi
in oncologia medica.
•Formazione per psicologi e psicoterapeuti.
I programmi e i calendari saranno pubblicati sul sito www.attive.org
Per informazioni 02 6889647
25
Profili
a cura di Cristina Nava
Mauro
Porta
Uno sguardo nuovo
che viene dal cuore
Devo ammettere che prima di incontrarlo ero un po’ preoccupata: mi aspettavo uno di quei professoroni che ti parlano “da lontano”, dall’alto della loro
lunga esperienza e, perché no, anche della loro fama. E invece no.
Ada Burrone, cara amica e fondatrice di Attivecomeprima, mi aveva parlato
di lui come di una persona molto interessante, un uomo con un grande cuore
e davvero in gamba, che aveva dedicato la propria vita ad aiutare gli altri
attraverso la medicina e in effetti questa descrizione corrisponde perfettamente
al Mauro Porta che ho avuto il piacere di conoscere e intervistare.
‘Na tazzulella ‘e cafe
Ci diamo appuntamento in una clinica del centro di
Milano. Arrivo con un po’ di anticipo e comincio a
guardarmi intorno curiosa, come spesso faccio, poi
la mente torna al lavoro con un breve ripasso degli
argomenti che avrei voluto trattare con questo importante neurochirurgo. Finalmente ci incontriamo: niente
intervista in uno studio medico, niente scrivania che
separa intervistatore da intervistato, ma una piacevole
chiacchierata di fronte a una tazzina di caffè al bar.
E la frase di apertura di questa chiacchierata già ci
mette di fronte all’atteggiamento che guida Mauro
Porta nel suo lavoro di neurochirurgo - è anche
direttore del Centro per le malattie extrapiramidali e
sindrome di Tourette dell’IRCCS Galeazzi di Milano.
“Oggi i miei obiettivi come medico sono profondamente cambiati” dice “perché è cambiato il panorama
che ci circonda. Quando ero un giovane medico ero
piuttosto interessato a una malattia e ai suoi sintomi,
poi, andando avanti con gli anni, mi sono accorto che
questa malattia non aveva senso se non era correlata
alla persona che aveva tale malattia.
Quindi c’era la polmonite quando ero giovane, poi è
arrivata la polmonite del signor Rossi che fa il portiere
d’albergo ed è esposto al freddo e ora, a fine carriera,
c’è il signor Rossi con la polmonite.
La situazione si è invertita”.
La persona al centro
In perfetta sintonia con lo spirito che anima Attivecomeprima, Mauro Porta è convinto che non sia possibile curare una persona senza “prendersene cura”
a 360 gradi. “Oggi gli ospedali sono vere e proprie
aziende, che collocano la malattia in un ambito di
spesa sanitaria: la malattia produce dei costi per essere
trattata e chi è malato non lavora più, quindi, di fatto,
è un costo. Si misura la malattia in base anche a quale
impatto ha, a livello sociale, sulla persona. Tutto questo
ora che sono arrivato ai 65 anni, mi fa riflettere non
poco”. Secondo Porta, nessun uomo ha una sola malattia ben definita, ma ne ha tante che si trascinano l’una
con l’altra. “E così” spiega “mi trovo spesso di fronte a
situazioni intermedie: c’è, per esempio, la patologia che
produce un dolore fisico che a sua volta ne produce
uno morale e viceversa”. Ecco perché non ha senso
separare la malattia dal malato, la mente dal corpo.
“Il medico deve essere aperto nel capire l’uomo che ha
di fronte e non solo la malattia che lo affligge”.
E per capire fino in fondo gli altri è indispensabile mettere in luce le differenze tra le persone,
differenze che devono essere viste come una
grande ricchezza e non certo come un ostacolo alla
cura. “Se riusciremo a fare nostro questo modo di
pensare” dice Mauro Porta “saremo finalmente pronti
ad accogliere la malattia con un atteggiamento nuovo
e ad accettare senza grossi problemi anche chi non è
‘perfetto’, come lo vuole la nostra società, ma magari
deve camminare con una gamba sola, non ci vede bene
o ha un braccio paralizzato”.
Occhi nuovi per guardare lontano
“Oggi la medicina dà troppa importanza all’aspetto
tecnologico” afferma Porta “e guarda con sguardo
ebete, senza riuscire a vedere ciò che nasconde una
malattia”. Per esempio, il dolore - del quale Mauro
Porta si occupa da anni - non può essere curato solo
con un potente farmaco anti-dolorifico. “Anche quello
serve” afferma “ma c’è una grande parte di dolore
che non può essere lenita con un farmaco, per quanto
potente ed efficace esso sia. In questi casi bisogna
andare oltre la tecnologia e la medicina intesa solo
nei suoi aspetti tecnici e arrivare alla persona nella
sua totalità”. Il medico ha un ruolo molto importante,
perché può guidare chi è malato attraverso un percorso
di guarigione fatto non solo di medicine e interventi
chirurgici che curano il corpo, ma anche di un sostegno
per assicurare il benessere della mente e dello spirito.
Il primo passo è sicuramente la comunicazione.
“Parlare con il paziente è molto importante” sostiene
Porta “Oggi la gente è male informata e questa cattiva
informazione crea una serie di fraintendimenti che possono essere anche molto pericolosi”.
“Per esempio vediamo che la paura della morte fa
morire di paura” dice. E per superare questa paura, per
accettarla e ritrovare la forza di vivere bisogna parlare
di morte e di dolore, tenendo sempre presente che
il dolore morale può essere anche più devastante di
quello fisico e molto più difficile da curare.
“Ma come raggiungere obiettivi tanto ambiziosi?”
gli chiedo. “Serve un grande lavoro di equipe, come in
un’orchestra dove ciascuno suona il proprio strumento
ma alla fine si raggiunge l’armonia” risponde.
Squilla un cellulare che ricorda al dottor Porta i suoi
impegni con i pazienti che lo stanno aspettando.
Ci salutiamo, dopo una chiacchierata davvero interessante nella quale ho avuto l’opportunità e il piacere di
constatare come i valori e i principi che hanno ispirato
il metodo di lavoro di Attivecomeprima
trovino spazio anche nella mente e nel cuore di
medici disposti a prendersi davvero cura di chi
hanno di fronte.
Cristina Ferrario.
Giornalista.
27
28
Sappiamo tutti che il cancro porta con
sé un’altra malattia, seppur invisibile:
la paura.
Chi ne è colpito teme la ripetizione
della malattia e la sofferenza fisica
e vive la sensazione di provvisorietà
legata all’incognita del futuro che
impedisce di attivare preziose risorse
personali, fondamentali nel processo
di cura.
Diventa quindi necessario affrontare
le emozioni e le paure che il cancro
ha sollevato per armonizzarsi con
il cambiamento e trovare l’energia
per non vivere paralizzati dagli aspetti
negativi di questa esperienza.
Attivecomeprima ha creato in quasi
quarant’anni di lavoro un proprio metodo di sostegno psicologico di gruppo
articolato in tre tappe consequenziali:
Riprogettiamo l’esistenza,
Decido di vivere,
La Terapia degli Affetti.
I pazienti vengono aiutati ad esprimere
pensieri e sentimenti legati alla malattia
e alla vita che il cancro ha fatto emergere.
L’obiettivo è quello di trovare il coraggio di guardare in faccia la paura per
non rafforzarla nello strenuo tentativo
di evitarla.
Il cambiamento dell’atteggiamento mentale può così trasformare il sentimento
di impotenza e fragilità in una nuova
consapevolezza di poter essere parte
attiva della propria realtà, comunque
essa sia.
• La paura del pericolo può
diventare più pericolosa del
pericolo stesso.
• La paura può diventare una
seconda malattia che, a differenza
del cancro, è contagiosa.
• Tentando di respingere la paura,
disperdiamo l’energia che potrebbe
invece essere incanalata e utilizzata per vivere una vita più piena e
autentica.
• L’accettazione della paura
funziona da “vaccino psicologico”
che immunizza liberando
i sentimenti repressi e lasciando
scorrere l’energia congelata
dalla paura stessa.
Sarà questo un grande contributo
che la persona potrà dare a se stessa
per vivere meglio e di più.
Sapevate che...
a cura di Benedetta Giovannini
consulente enogastronoma
Se i sedili della macchina si sono macchiati con l’omogeneizzato del vostro piccolino, diluite poche gocce di ammoniaca in acqua fredda e sfregate con una pezzuola
di cotone. Pulite ancora con acqua.
Basta con le formiche! Combattere l’invasione di formiche
senza gli insetticidi è la soluzione più rispettosa per l’ambiente. Un rimedio naturale è fornito ancora una volta dai
fondi di caffè che, dopo averli posati sui luoghi di provenienza di questi piccoli insetti o direttamente sopra i loro
nascondigli, diventeranno una barriera inviolabile.
Mani morbide: mettete qualche goccia di olio di mandorle
dolci sulle mani e strofinate come fosse una crema.
Vi assicuro che il risultato è garantito. Per non parlare del
profumo che emanano le mani per tutta la giornata…
Un ultimo segreto per conservare morbide le mani: lavatele
con l’acqua in cui sono state cotte delle patate, asciugatele
e strofinatele con una fetta di limone.
L’aloe è un’ottima pianta antizanzare. Tenetela sul terrazzo,
in vaso e al sole (non diretto). Basta staccare un pezzo di
foglia ed inciderla lungo le spine per far uscire la sostanza
miracolosa che va applicata sopra la puntura di zanzara.
Il succo che scorre all’interno delle foglie è un ottimo antinfiammatorio e lenitivo. In sollievo è immediato e la pianta
non soffre per questa mutilazione.
Velluto come nuovo. Se notate dei punti in cui il pelo del
tessuto vi appare rovinato, per ravvivarlo spazzolatelo contropelo aiutandovi con un asciugacapelli.
I cibi fritti rilasciano cattivi odori nell’aria. Per evitare questo
inconveniente, ad inizio cottura basta mettere a bollire una
padella con acqua e aceto accanto a quella dell’olio.
La sua evaporazione mantiene pura l’aria.
La vostra giacca di pelle scamosciata si è macchiata di
cibo? Prima tamponate con del bicarbonato che assorbirà
l’unto, quindi spazzolatela con una spazzola con setole di
ferro per rimuovere il tutto.
Quando è tempo di cambio stagione io non sopporto l’odore
della naftalina, perciò, per evitare i cattivi odori, mi faccio
dei sacchettini profumati. Prendo una bustina di tè, due
foglie di alloro, cinque o sei chiodi di garofano, una o due spighe di lavanda, un pezzettino di legno di cedro e un cucchiaio
di bicarbonato, metto tutto dentro un
sacchetto da confetti o in un fazzoletto
di cotone e chiudo con uno spago.
Contro il calcare nel box
doccia preparate una soluzione
“fai da te” riempiendo uno spruzzino metà con acqua e metà con
aceto bianco. Dopo aver fatto la
doccia spruzzatelo sul box.
Ripetete questa operazione abbastanza
spesso. Sarebbe
buona norma
asciugare con una
normale spatola da
vetri in gomma.
Per chi
non
ci
conosce
Attivecomeprima Onlus è la prima
associazione italiana fondata nel 1973
da una ex paziente, Ada Burrone,
per migliorare la qualità della vita
del malato oncologico e dei suoi famigliari.
Si avvale di un proprio metodo di lavoro
sistematico e trasmissibile che riduce
la sofferenza psicologica e fisica attraverso
il sostegno psicologico di gruppo
e individuale, il supporto di medicina
generale durante le terapie oncologiche,
attività psicocorporee e creative.
Nata inizialmente per le donne colpite
dal cancro al seno, ha, negli anni,
esteso le sue attività di sostegno globale
a tutti i pazienti oncologici.
Il suo obiettivo fondamentale è quello
di aiutare le persone colpite dal cancro
ad affrontare le sfide che esso propone
e a sentire la vita anche nella malattia,
contribuendo così al buon esito delle terapie.
IL TUO CONTRIBUTO
ci darà più forza
per aiutare
Bonifico Bancario
IBAN
IT64 X030 6909 5180 0000 6409 190
SWIFT:
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Bollettino di c/c Postale n. 11705209
Intestato a: ATTIVEcomeprima Onlus
Via Livigno 3 - 20158 Milano
Assegno intestato a:
ATTIVEcomeprima Onlus
Pay Pal attraverso il sito www.attive.org
5 per mille
Nella dichiarazione dei redditi firma nel riquadro:
“a sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”
e inserisci il codice fiscale di Attivecomeprima Onlus:
10801070151
L’8 per mille e il 5 per mille non sono in alternativa:
puoi sceglierli entrambi.
“Le erogazioni liberali a favore di ATTIVEcomeprima
Onlus sono deducibili/detraibili ai sensi di legge”.
I nostri maggiori sostenitori 2010
Comune di Milano
Fondazione Fondiaria SAI
Fondazione Johnson & Johnson
Fondazione Cariplo
Banca Popolare di Milano
Credit Suisse Italy
Dompé Farmaceutici
Ge Capital Services
Gruppo Re
JPMorgan Chase Bank
Podravska Banka
Net Present Value
Roche
Susan G. Komen Italia
Besozzi Elettromeccanica
Ringraziamo i finanziatori istituzionali, le aziende
e le persone che, con liberi contributi, sostengono
Attivecomeprima Onlus e la sua “Mission”.
Letti e piaciuti
a cura di Paola Malinverni
Virgilio Sacchini con Sergio Perego
Dai sempre speranza
I pazienti che hanno cambiato
la mia vita
Edizioni Mondadori
€ 18,50
Virgilio Sacchini, tra i 100 Best Doctors degli Stati Uniti,
muove i suoi primi passi come oncologo in Italia accanto
ad Umberto Veronesi, decidendo in seguito di proseguire
la propria brillante carriera presso il Memorial SloanKettering Cancer Center di New York dove ha potuto
raccogliere e magistralmente descrivere, in questo libro,
i casi più sentiti, quelli che hanno dato vita a differenti
riflessioni ed interrogativi. Da Oriana Fallaci, scrittrice di
fama mondiale, a James, piccolo boss di Harlem, a Shena,
musulmana che dopo gli attentati alle Torri Gemelle non
vuole farsi operare al Memorial perché teme discriminazioni. Un percorso, un’avventura umana e professionale,
che Virgilio Sacchini intraprende come uomo e insieme
come medico capace di “dare sempre speranza”.
Maria Grazia Ciuferri
Nascere due volte
Edizioni Lampi di Stampa
€ 13,00
Una storia vera, di coraggio e speranza, di rinascita dopo
l’esperienza del cancro. Il libro, la cui postfazione è stata
scritta da Maria Rita Parsi, ha la forma di una lunga lettera
rivolta al medico che ha operato la protagonista, Giulia,
colpita da un tumore al cervello. Un medico che, accet-
tando di operarla, riuscirà a salvarle la vita, quella stessa
che viene ripercorsa passo passo per rimarginare ferite
lontane. Maria Grazia Ciuferri è una psicologa, un’amica
di Attivecomeprima che ha deciso di donare i proventi
derivanti dalla vendita del suo scritto all’Associazione.
Willy Pasini
La seduzione
è un’arma divina
L’arte di piacere e di piacersi
Edizioni Mondadori
€ 18,50
Attraverso personaggi storici, passando per citazioni
mitologiche, sino a giungere ai giorni nostri con una
“carrellata di seduttori seriali” del cinema e della
televisione, si delineano una seduzione “buona”, volta
ad istituire un legame paritario ed una “cattiva”, fine
a se stessa, che cattura la preda senza preoccuparsi
dei suoi sentimenti. La seduzione come fenomeno di
massa, come movimento sociale il cui valore viene
spesso negato o sminuito, ma che continua ad ispirare il
comportamento della maggior parte degli esseri umani.
con
Noi
gli altri
24 Maggio 2011.
Milano, Palazzo Visconti.
Attestati di Benemerenza ai volontari
di Attivecomeprima Onlus
Attivecomeprima e Vivisalute hanno organizzato la serata, moderata
da Dea D’Aprile (direttore di Vivisalute “Magazine”), che ha visto
una calorosa partecipazione.
Ospiti d’Onore: Paolo Veronesi, Willy Pasini.
Hanno consegnato gli attestati alle fiduciarie (ex pazienti):
Ada Burrone (Presidente Attivecomeprima),
ai collaboratori: Maurizio Dallocchio (Università Bocconi),
ai medici: Elio Borgonovi (Cergas Bocconi).
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È la prima fiduciaria sin da quando Attivecomeprima aveva sede
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all’Istituto dei Tumori di Milano. È nel contempo diventata mamma
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e nonna e si occupa di accogliere, ascoltare e informare le persone che
si rivolgono per la prima volta a noi.
Questa attività richiede una profonda capacità di ascolto e una grande
sensibilità per entrare in empatia con le persone e orientarle alle attività.
Marina Negri
Ci ha conosciuti negli anni ‘70 quando lei lavorava come fisioterapista
all’Istituto dei Tumori. Affianca una nostra psicologa nella conduzione
e fiduciaria che ha lasciato una singolare testimonianza di amore e di coraggio. Mario
dei due primi gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di
si rende disponibile per ogni necessità pratica e organizzativa, sia in Associazione sia in
Vivere”, della durata di quattro mesi, e nel contempo mette a disposizione la sua comoccasione di iniziative esterne. A lui si deve soprattutto l’appassionata cura e la bellezza
petenza nell’attività di Feldenkrais.
del giardino che fa da cornice alla sede.
Elena Bertolina e Lucia Totaro
Giovannacarla Rolando
Sono le fiduciarie che affiancano lo psicologo nel terzo lavoro di gruppo “La Terapia
Instancabile presenza nella crescita e nello sviluppo di Attivecomeprima sin da quando
degli Affetti”. Ad entrambe è stato da sempre assegnato il delicato compito di conclul’Associazione ha mosso i suoi primi passi. Allora studentessa di medicina, ha continuadere il percorso del gruppo, della durata di sei mesi, presentando un documento da loro
to ad offrire il suo sapere e la sua vasta cultura in diversi ambiti, contribuendo anche
interamente redatto, che tematizza e testimonia gli elementi più significativi del lavoro.
all’arricchimento della rivista “ATTIVE”.
Silvana Lovati
Maria Grazia Unito
Offre la sua sentita e sempre pronta collaborazione nei diversi spazi organizzativi
Al di là della sua professione di insegnante di yoga, mette a disposizione di
e di supporto logistico. Collabora inoltre alla realizzazione dei corsi di cucina, tenuti in
Attivecomeprima il suo tempo, la sua sensibilità e la sua cultura al servizio delle attività
Associazione, sulla base della ricerca DIANA promossa da Franco Berrino per la prevendi comunicazione.
zione alimentare dei tumori.
Franco Berrino (ritira per lui la Dottoressa Anna Villarini)
Maria Di Ottavio
Per essersi reso disponibile nel gruppo di lavoro “Dottore si spogli” a rispondere alle
Ha portato il “cuore” dell’attività di Attivecomeprima a contatti internazionali durante
tante domande delle persone, promuovendo una cultura alimentare attenta alla
la sua residenza a Santo Domingo. Rappresenta l’Associazione in diverse occasioni
prevenzione dei tumori così come è emerso fin dal primo studio DIANA, realizzato nella
pubbliche in Italia.
sede di Attivecomeprima.
Mario Abram
Massimo Callegari
Fin dalla nascita dell’Associazione ha garantito la sua presenza competente e discreta.
Per la disponibilità in tutti questi anni ad incontrare le donne presso la sede di
A lui dobbiamo la gestione informatica, l’archiviazione dei dati e l’organizzazione delle
Attivecomeprima chiarendo ogni dubbio sugli interrogativi riguardanti la chirurgia
procedure della privacy.
ricostruttiva nel gruppo “Dottore si spogli”.
Angela Angarano
Salvo Catania
Dalla prima ricerca DIANA sulla prevenzione alimentare dei tumori, che ha avuto inizio
È stato l’ideatore dell’attività di gruppo “Dottore si spogli”. Ha coraggiosamente accettato
nella sede di Attivecomeprima, è stata l’anima e il capo chef dei corsi di cucina realizun confronto del tutto aperto con le persone colpite dal cancro.
zati in Associazione. Si è distinta per la grande capacità di amare il gusto, pur restando
Questo avveniva in tempi in cui la consuetudine medica era ancorata ad uno schema di
rigorosa nelle scelte degli alimenti.
relazione rigido e paternalistico.
Ornella Bolzoni Puricelli
Giorgio Secreto
Già dalla nascita di Attivecomeprima, si è resa disponibile insieme al marito Ezio per
Per la sua disponibilità nell’attività di gruppo “Dottore si spogli” a dare informazioni
ogni necessità pratica dell’Associazione e ha insegnato alle donne l’arte del dipinto su
scientifiche e pratiche per la gestione della menopausa, in particolare per quella indotta
ceramica con la genuinità che la contraddistingue.
dalle terapie oncologiche e per la sua grande umanità.
Angelo Cominardi
Claudio Verusio
Dobbiamo a lui la quasi totalità delle testimonianze fotografiche della storia e della vita
Per l’appassionato impegno umano e scientifico nei confronti di moltissime fra le persone
dell’Associazione. È un professionista che sa far rispecchiare la qualità umana
che negli anni hanno chiesto aiuto ad Attivecomeprima e per i significativi contributi
e l’atmosfera affettiva che sono elementi fondamentali del lavoro. La sua dote innata
dati alle attività di studio e formazione dell’Associazione, in particolare al Progetto
di grande umorista allieta lo spirito anche nei momenti più impegnativi.
Chirone, prima ricerca al mondo sui medici colpiti dal cancro e alle edizioni annuali del
Francesco Della Beffa
Mini-Master rivolto agli oncologi.
Per il suo contributo appassionato e illuminato nell’area scientifica e alla metodologia
Silvia Villa
di studio e ricerca come matematico statistico. In ogni momento, in cui i progetti lo
Per aver messo a disposizione di Attivecomeprima, in occasioni pubbliche e formative,
richiedono, lui arriva col cuore e con la mente.
la sua esperienza di oncologo medico che ha vissuto in prima persona l’esperienza
Mario Galantucci (ritira per lui la figlia Silvia)
della malattia e per il generoso contributo alle attività di studio e ricerca, in particolare
Di lui si potrebbe parlare molto a lungo. Marito affettuoso di Anna Keller, preziosa amica
al Progetto Chirone.
con
Noi
gli altri
29 Marzo 2011.
Milano, Palazzo Marino
Milano premia, tra altre Associazioni, l’impegno
di Attivecomeprima.
Maggio 2011.
Milano, rete metropolitana
Affissione pubblicitaria in Metrò
34
La campagna pubblicitaria offertaci da IGP, ha avuto una ottima visibilità
nelle principali stazioni del Metrò milanese.
7 Giugno 2011.
Milano, Teatro Manzoni
Spettacolo teatrale “Scherzi del Destino”
scritto e diretto da Marco Calindri. Una parte dell’incasso della serata
è stata devoluta alla nostra Associazione.
Nella foto: Marco Calindri insieme agli attori protagonisti.
14 Giugno 2011.
Milano, Società del Giardino
Service del Club Inner Wheel di Mi-Sempione
a favore di Attivecomeprima
Da sinistra: Rossana Leccese (Presidente), Augusta Micheli (Past President),
Lilli Lagonigro (Immediate Past President), Arianna Leccese (Segretario del nostro C.D.).
22 Giugno 2011.
Roma, Libreria Melbook store
Presentazione del libro di Maria Grazia Ciuferri
“Nascere due volte”
edizione Lampi di Stampa. L’autrice dona ad Attivecomeprima
il ricavato della vendita di questa sua opera.
Da sinistra: Maria Diottavio (fiduciaria di Attivecomeprima), Maria Grazia Ciuferri
(autrice del libro), Mariano Settembri (editore).
24 settembre e 1 ottobre 2011.
Milano, sede di Attivecomeprima
La prevenzione e la cura della fatigue
nel malato oncologico con un approccio sistemico
Attivecomeprima e il Dipartimento di Cure Primarie ASL di Milano
hanno organizzato due giornate formative, accreditate ECM, rivolte
ai medici di medicina generale e medici di continuità assistenziale,
sul tema della prevenzione e della cura della fatigue.
5 novembre 2011.
Milano, Auditorium Don Alberione
Periodici San Paolo - Via Giotto, 36
La prevenzione e la cura della fatigue,
parte integrante delle cure oncologiche
Convegno organizzato in collaborazione con l’OmCEO
(Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri),
e accreditato ECM.
“Ciò che per il bruco è la fine del mondo,
in realtà è una bellissima farfalla”
Lao Tzu
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2011 n°2 - Attivecomeprima