Gruppo Sbandieratori Sansepolcro Dal 1953, amicizia e cultura in Italia e nel mondo Da sempre ed ovunque,ogni comunità si riconosce e si definisce attraverso alcuni simboli. Le insegne, i drappi e le bandiere fanno parte di questi simboli, diventando un momento di orgoglio e di unione tra le genti. Nell’Europa tardo-medioevale spesso interessata da conflitti, erano gli ufficiali alfieri con le loro bandiere a precedere gli armati. Dette bandiere corredate da lame, divenivano vere e proprie armi. Nei periodi di pace, gli alfieri si trovarono a sviluppare ed a affinare le loro tecniche, dando sempre più ad esse una valenza di gioco e di spettacolo. Nascevano gli sbandieratori. A Sansepolcro, splendida cittadina rinascimentale nel cuore dell’Italia centrale, nel 1953, la Società dei Balestrieri, portatrice della secolare tradizione del Palio della Balestra, decise di riscoprire questa antica forma di spettacolo, andando a costituire una compagine di sbandieratori. Gli Sbandieratori di Sansepolcro, primo gruppo costituitosi in Italia, è tutt’ora il più antico tra i gruppi simili in attività. Oltre agli esercizi codificati nei manuali, gli Sbandieratori si ispirano alle geometrie del figlio più illustre di Sansepolcro, Piero della Francesca, il grande pittore maestro della prospettiva, omaggiato anche con la collaborazione del celebre artista contemporaneo Milton Glaser, di cui gli Sbandieratori hanno organizzato una importante mostra dedicata appunto ad una rivisitazione di alcune opere del maestro(foto mostra,catalogo). Inoltre il Gruppo ha organizzato mostre con il pittore Franco Alessandrini, nativo di Sansepolcro, ma che vive e lavora a New Orleans in USA. Altra iniziativa fatta è stata la ristampa in anastatica del manuale “ La Bandiera” di Francesco Ferdinando Alfieri ( anno 1638), manuale da noi ritrovato nel 1966 presso la Biblioteca nazionale di Firenze. Inoltre il Gruppo Sbandieratori di Sansepolcro possiede una fornitissima collezione di stampe originali, del 1500 e 1600, raffiguranti sbandieratori in azione. Il Gruppo, composto da sbandieratori, tamburini e chiarine, utilizza drappi dipinti a mano, ed indossa costumi prodotti da qualificate sartorie teatrali. Ogni secondo Sabato di Settembre, nella piazza principale della città, il Gruppo offre a concittadini ed ospiti un saggio completo della propria attività, nel corso della serata dedicata ai Giochi di Bandiera. Portare il nostro spettacolo in giro per l’Italia e per il mondo crediamo sia un messaggio importante di pace ed amicizia, ed il nostro impegno nel prepararlo ed eseguirlo è sempre stato pienamente ripagato dal successo che ogni tipo di pubblico ha deciso di tributarci, avendo l’occasione di apprezzare questa forma di cultura così tipica della nostra terra e del nostro passato. Senza annoiare con un elenco di luoghi e date,crediamo che l’immagine sottostante testimonia con chiarezza la portata del nostro lavoro attraverso tutti i continenti. Saluto della Pro Loco di Monterchi Presidente Giuseppe Martellini L ’amicizia è la solidarietà dei sentimenti quando l’anima vive in simbiosi di gemellaggio. Cosi recita un antico proverbio, ed è con questo spirito che il prossimo 29 e 30 Maggio, il comune di Monterchi aprirà le porte al X raduno dei Polentari d’Italia. Spinti dall’entusiasmo dell’avventura, dall’amore verso le nostre tradizioni, la Pro Loco di Monterchi ha accettato, con grande orgoglio, questa scommessa. Una scommessa a tratti ardua, complessa che non si sottrae a difficoltà ed ostacoli, una scommessa che però ci rende fieri di far parte di questa importante realtà. Era il 22 Giugno del 2008 quando decidemmo di addentrarci in questa suggestiva avventura, da allora sono passati quasi due anni e la convinzione di aver fatto la scelta giusta è sempre più forte. Monterchi è uno scrigno insito di storia e cultura e il X raduno dei Polentari d’Italia non deve essere vissuto come una mera esibizione, fine a se stessa. Questa manifestazione è linfa vitale per il territorio, un vettore indiscutibile di valori come l’amicizia e la riscoperta delle tradizioni, questo raduno è la volontà di conservare e far conoscere la storia e la cultura popolare tipica di un territorio, per un festival appetitoso all’insegna della convivenza civile. Questa manifestazione è il terreno più adatto per allargare l’offerta turistica: non solo bei paesaggi, monumenti e splendidi affreschi di Piero della Francesca, attraverso la polenta possiamo davvero scoprire l’identità di alcuni paesi italiani. Mentre scrivo queste righe, ricche di colore e di festa, il mio ricordo vola verso il fondatore della manifestazione, Walter Mita, recentemente scomparso. Uomo caparbio, determinato, dall’animo genuino, un capitano di vascello che in un solo gesto ha riunito l’Italia intera. A lui e all’intera famiglia va il nostro più sentito cordoglio. Dopo questa parentesi doverosa e sentita allo stesso tempo, ritorno a quella che è l’essenza di questa iniziativa: voglio infatti, ringraziare tutte le delegazioni intervenute, la Cassa di Rurale di Anghari, la Camera di Commercio, la Comunità Montana Valtiberina Toscana e la Provincia di Arezzo. Un grazie sincero anche ad alcune realtà locali. Grazie all’amministrazione comunale che fin dall’inizio, ha accolto e sostenuto questa nostra iniziativa, un caloroso abbraccio alle associazioni monterchiesi e a tutti i privati che ci hanno aiutato nell’organizzazione dell’evento e un ringraziamento speciale anche agli abitanti del centro storico che per qualche giorno si vedranno privati della loro libertà: “grazie di cuore sperando che i vostri sacrifici siano ampiamente ripagati dal flusso di gente che in questi giorni approderà a Monterchi”. In ultimo, il ricordo di quell’estate, ancor viva nei ricordi, quando San Costanzo, in occasione del IX raduno dei Polentari d’Italia ci cedette il testimone, allora noi lo accettammo con orgoglio e soddisfazione consapevoli del sacrificio che ci aspettava, un sacrificio affrontato con autenticità e fierezza qualità ben visibili tipiche della Pro Loco monterchiese. Nel 2012, sulla scia della polenta, sarà Villa d’Adige ad accogliere le delegazioni italiane, un augurio sincero e un in bocca al lupo per quella che è una delle più importanti manifestazioni italiane. Giuseppe Martellini Presidente Pro Loco Monterchi Il Saluto dalle Istituzioni E ’ con grande piacere che Monterchi si accinge ad accogliere il X Raduno dei Polentari d’Italia, una manifestazione che si propone di promuovere i paesi e le associazioni che tradizionalmente si dedicano alla coltivazione del granturco e alla produzione della farina di polenta. Non si pensi a queste attività come secondarie e di poco conto. Al di là del fatto che è sicuramente giusto sottolineare l’importanza di questi raduni come momenti di incontro tra persone che condividono la passione per il volontariato e l’amore per la propria terra, è proprio anche attraverso eventi di questo tipo che il nostro Paese può riflettere sulla propria storia e le proprie tradizioni e pensare, non già all’Italia che fu, ma alle prospettive che, in quest’epoca di crisi economica e morale, grazie alla terra, si possono aprire. Monterchi e la Valtiberina hanno qualcosa da dire in questo senso. Non si tratta solo di mettere in evidenza la nostra vocazione all’agricoltura, che nel tempo si è mantenuta anche grazie all’impegno e ai sacrifici di tanti operatori del settore. Si tratta di Storia. Qui il paesaggio parla e ci racconta di una comunità che ha saputo mantenere la propria essenza, senza mai chiudersi in se stessa, ma che è stata capace di aprirsi con intelligenza al mondo esterno, perché terra di confine tra Umbria, Marche e Romagna. Qui Piero della Francesca, che tutti chiamano con confidenza Piero, ha lavorato la sua terra come produttore di guado, una pianta per ricavare una tintura tessile color indaco. E qui Piero ha realizzato i suoi capolavori, che sempre, nella perfezione prospettica che li caratterizza, ci rimandano alla concretezza del pensiero razionale di chi sa esattamente da dove le cose vengono. Partiamo dunque dalla nostra Storia per accogliere con consapevolezza i nostri amici provenienti dai paesi della polenta, perché insieme possiamo vivere questa esperienza in letizia e proporre un messaggio di speranza incentrato, indubbiamente, sui valori dell’accoglienza e dell’amicizia, ma anche sulla certezza che solo nel rispetto delle nostre radici c’è futuro. Massimo Boncompagni Sindaco di Monterchi C on grande piacere e soddisfazione esprimo il mio benvenuto al “X Raduno Nazionale Polentari d’Italia” che sarà ospitato nei giorni 28-2930 del mese di maggio p.v. a Monterchi, splendido borgo medievale della provincia di Arezzo. Da tutta Italia arriveranno 16 delegazioni, i migliori polentari per “raccontarci” la tradizione di questo piatto antico a cui Monterchi, tra l’altro, dedica la rinomata Sagra che si svolge ogni anno a settembre Il territorio aretino è da sempre attento alle produzioni tradizionali d’eccellenza e l’impegno del nostro ente è continuo, concreto e si realizza in tanti progetti di qualificazione delle produzioni d’eccellenza, di sviluppo della filiera corta, di attenzione alla tracciabilità del processo produttivo, di potenziamento delle sinergie tra il mondo della produzione e il mondo del consumo, di occasione per le piccole produzioni e per i piccoli produttori. La Strada del Vino “Terre di Arezzo”, le Strade dei Sapori, il Mercatale, sono tutte iniziative di promozione, conoscenza e valorizzazione che, inoltre, uniscono e rafforzano il connubio tradizione locale e promozione turistica dei territori. Propositi che si ritrovano nel “X Raduno dei Polentari”. Riscoprire le tradizioni, i sapori, la cultura contadina e l’attenzione ai prodotti locali, alle nostre tipicità significa ritrovare le nostre radici, perché dietro la riscoperta e la valorizzazione di un piatto c’è il ricordo e la riscoperta dei momenti cui quel piatto era legato; è conservazione del patrimonio culturale, è simbolo di sapori e tradizioni della nostra civiltà contadina, ma è anche educazione delle nuove generazioni al gusto delle cose buone. Questa iniziativa è, infine, un invito a visitare Monterchi paese della Madonna del Parto di Piero della Francesca, tappa d’obbligo, insieme a Sansepolcro e Anghiari, lungo il “sentiero dell’arte” pierfrancescana. A Monterchi, potete trovare tradizione, arte, storia e il paesaggio che fa di queste zone uno dei luoghi più belli della Toscana. Roberto Vasai Presidente della Provincia di Arezzo Il Saluto dalle Istituzioni I n qualità di amministratori della Comunità Montana Valtiberina, portiamo il nostro caloroso saluto a tutti i partecipanti del Raduno Nazionale dei polentari d’Italia, evento che profuma di storia e di tradizione. Non si tratta di un semplice appuntamento gastronomico ma anche culturale, dato che questo alimento - la polenta appunto - ha rappresentato per tanti un essenziale base di sostentamento e ha attraversato secoli di vita delle nostre popolazioni. La polenta rappresenta al meglio l’emblema di quella civiltà rurale che ha contrassegnato la crescita della società tiberina. Una società che nel frattempo si è evoluta ma non ha mai reciso il cordone ombelicale con le sue tradizioni e con il suo patrimonio passato. Significativo poi che questo evento si tenga a Monterchi, “patria” della polenta per eccellenza, dato che è proprio sulle rive del Cerfone che si tiene, da sempre, un apprezzatissima kermesse interamente dedicata al cosiddetto “cibo dei poveri”. Questo raduno sarà così l’occasione di far incontrare alle nostre latitudini tutti coloro che con passione custodiscono gelosamente l’arte di cucinare la polenta. Ma significa anche la possibilità di promuovere turisticamente l’antico borgo di Monterchi e l’intera Valtiberina, terra ricca di storia e che conserva intatti i suoi tesori architettonici, artistici, ambientali. Un ringraziamento agli organizzatori di questa significativa manifestazione, assieme al più cordiale benvenuto a tutti gli ospiti che durante i giorni del raduno ci faranno onore della loro presenza. Riccardo Marzi Presidente Comunità Montana Valtiberina Marcello Minozzi Assessore turismo Comunità Montana Valtiberina Monterchi tra cultura e tradizione! Ovvero, l’arte di fare la “polenda”, polenta secondo la tradizione della gente italica D omenica 30 maggio, le città polentare d’Italia offriranno una succulenta degustazione delle loro italiche polente ai visitatori che numerosi, secondo la consuetudine, affolleranno le vie, le piazze e i vicoli del centro storico in festa, a Monterchi. La polenta, una volta era il cibo dei poveri e veniva cucinata in tutta Italia con decine di ricette, oggi è diventata un piatto prelibato, apprezzato dai buongustai: dal ragù di carne di vitello, al suino, alla papera, passando per il baccalà, lo stoccafisso, il merluzzo, le acciughe, il tonno, le alici, il brodetto, con le salsicce, le lumache, le cipolle e chi ne ha più ne metta, mille modi di cucinare ciò che oggi è la regina della festa. Senza ombra di smentita, va alle varie Prolo Loco, il merito di mantenere viva la tradizione culinaria della polenta, nelle sue diverse specificità, congiuntamente ad altri caratteristici comitati cittadini, attraverso lo svolgimento delle Sagre Paesane che annualmente promuovono fattori favorevoli alla promozione turistica, spostando masse considerevoli di persone nei centri storici, con visite a musei, chiese, monumenti ed altre bellezze cittadine. Come componente del Consiglio Regionale delle Pro Loco della Toscana, sono orgoglioso che tre Paesi della nostra regione facciano parte dell’Associazione delle Città Polentare d’Italia: Guardistallo, Vernio e il mio... Monterchi. Noi toscani siamo ghiotti della polenta, tanto che i rappresentanti delle oltre 45 Pro Loco della Provincia di Arezzo, nella mattina di domenica 30 maggio si riuniranno in assemblea, proprio in Valcerfone, al fine di testimoniare la volontà di mantenere viva questa tradizione e poter poi... gustare la prelibata polenta. Bruno Polverini Presidente del Comitato Provinciale delle Pro Loco Unpli di Arezzo e Componente del consiglio regionale Unpli della Toscana Polentari I Polentari Monterchi Polenta con sugo ai funghi e cinghiale L’ultima testimonianza di Valter Mita, fondatore dell’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia. Questo articolo scritto da Mita un mese e mezzo prima della sua morte improvvisa è l’eredità preziosa e commovente di un “pater familias” indimenticabile. IL DONO DI VALTER Il “pezzo” datato 11 Febbraio 2008 ha una postilla scritta a mano dall’autore Valter Mita. “Da domenica prossima sarò assente fino al 5 marzo”. Appena 25 giorni più tardi, lui, l’ideatore dell’Associazione Culturale Polentari d’Italia, moriva all’ospedale di Imola. Mita è nella memoria riconoscente di tutti noi per un itinerario costante di crescita e maturazione. E’ il pater familias che ha offerto e continua ad offrire “compagnia” speciale perché ha inserito in tutti i polentari il suo Dna di storico e ricercatore, tanto da contagiarci. Con particolare emozione pubblichiamo, dunque, questo suo ultimo scritto, testimonianza viva e commovente. Lo facciamo bene attenti a quello che Mita ci faceva osservare nel suo estremo. N.B. “Il mio nome si scrive con la V normale e non con la W doppia”. Tranquillo Valter, non ci sbaglieremo e faremo premura al proto in tal senso. E soprattutto un caro saluto da tutti noi. Nel 1988, quando già mi interessavo attivamente della Festa della Polenta a Tossignano, mi venne il desiderio di conoscere l’esistenza di altre località ove si svolgevano simili manifestazioni. Mi accinsi allora a scrivere agli assessorati competenti delle regioni per chiedere notizie in merito. Le risposte mi giungevano e subito contrattavo le varie Associazioni interessate per potermi recare presso di loro. Avvenne così che dopo vari scambi di lettere e telefonate il 14 giugno 1988 mi recai con mia moglie a Sermoneta, patria di Leonardo Scincia governatore di Tossignano che il 1° Febbraio 1622 istituì la prima distribuzione di polenta ai tossignanesi. Ad attenderci all’ingresso della bella cittadina laziale trovammo il maestro Guido di Falco divenuto mio grande e sincero amico ed ora purtroppo scomparso. Con lui visitammo Sermoneta in attesa dell’arrivo del dottore Antonio Scarsella, assessore alla Cultura di quel comune, che ci offrì il pranzo nel corso del quale illustrai il motivo della mia visita che mirava a promuovere un gemellaggio fra le nostre sagre. La proposta fu accolta favorevolmente e con entusiasmo e da allora gli scambi di delegazioni si sono sempre susseguiti. Il 1° Ottobre dello stesso anno, una piccola delegazione si recava ad Ivrea, accolta personalmente dall’amico carissimo Walter Garetto, Bano della Croazia e dai locali polentari ed anche in tale occasione veniva sancito un ulteriore gemellaggio che il 7 febbraio 1989 si celebrò a Tossignano con la distribuzione di polenta cucinata e condita secondo le rispettive tradizioni. Ad immortalare l’evento veniva scoperto un pannello in ceramica posto sotto il porticato del Palazzo Pretoriale. Ma il numero delle località interessate alla polenta aumentava per cui proposi di organizzare un raduno nazionale. Avrei desiderato che il primo si fosse svolto a Tossignano, ma per la difficoltà di reperire fondi accantonai l’idea fino a quando gli amici di Sermoneta mi comunicarono la loro decisione di ospitare il primo Raduno dei polentari d’Italia e io ne fui oltremodo felice. Avvenne nei giorni 28, 29 e 30 maggio 1993 quando 13 paesi portarono tra le mura dell’antica cittadina i profumi e i sapori delle rispettive polente ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. Devo essere grato a questi amici per avere avuto il coraggio di iniziare un’avventura che ogni due anni viene ripetuta nelle varie località. Fu poi la volta di Arborea che nei giorni 20, 21 e 22 Ottobre 1995 ospitò il 2° Raduno ottenendo ancora uno strepitoso successo. Il 3° Raduno avvenne il 29, 30 e 31 Agosto 1997 a Riva del Garda nella straordinaria cornice del lago. Qui mi è doveroso ricordare lo scomparso presidente Bruno Pasini. Seguì il 4° Raduno a Santa Maria in Selva – Treia dal 21 al 23 Agosto 1998, sede del Presidente nazionale don Giuseppe Branchesi, ed anche quella volta il concorso di pubblico fu straordinario. Castel di Tora accolse nel duemila, dal 23 al 25 giugno, il 5°Raduno pure con grande successo. Venne poi la volta di Sa Quirico di Vernio ad ospitare il 6° Raduno nei giorni 21, 22 e 23 Giugno 2002 con notevolissima partecipazione popolare nonostante il caldo torrido. Il 7° Raduno si svolse ad Ivrea il 18, 19e 20 Giugno 2004 ed anche qui il successo è stato davvero straordinario. Venne poi la volta di Guardistallo ad ospitare l’8° Raduno nei giorni 12, 13 e 14 maggio 2006, un altro grande concorso di pubblico. (Valter accenna poi al raduno di San Costanzo che si sarebbe tenuto dal 21 al 23 Giugno 2008 e che lui non fece a tempo a vedere, ma la sua previsione di un “notevole successo” sarebbe stato ampiamente azzeccata ndr). Un evento molto importante avvenne il 19 Aprile 1998 quando alcuni gruppi di Polentari si recarono a Cesi per portare festa e solidarietà alle popolazioni colpite dal disastroso terremoto umbro – marchigiano. Altro evento importante il 27 Maggio 1998 a Tossignano quando i rappresentanti di tutti i veri comitati si riunirono a Villa Santa Maria, alla presenza del notaio, per celebrare la nascita, con atto costitutivo, dell’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia. Questi incontri e questi raduni, oltre a far conoscere in Italia le varie tradizioni locali hanno promosso tante nuove amicizie che si auspichiamo continueranno nel tempo anche con le generazioni future. Valter Mita. (dal libro “La polenta nell’Italia dei polentari. Storia, miti e tradizioni”. Edito nel 2010 dall’Ass. Culturale Polentari d’Italia pag. 15). LE SPECIALITA’ CULINARIE I sedici gruppi polentari aderenti all’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia si distinguono fra di loro per il proprio tipico condimento della polenta; sedici modi diversi di cucinare il piatto della tradizione: la Pro Loco di Altidona (AP) propone polenta con sugo di lumache di terra; la Pro Loco - Gruppo Polentaro di Arborea (OR), che discende dai primi bonificatori che emigrano in quella terra malsana e che la resero fertile con una florida agricoltura, condiscono la polenta secondo la tradizione importata dal continente (veneti, emiliani, friulani e romagnoli) con luganega (salsiccia) ai ferri; la Pro Loco di Castel di Tora (RI) prepara un polentone condito con un sugo magro di baccalà, aringhe, tonno e alici; la Pro Loco di Guardistallo propone polenta con sugo di funghi e cinghiale; il Comitato della Croazia di Ivrea, polenta con un sugo di cipolle e merluzzo; la Pro Loco di Linguaglossa (CT) polenta con salsiccia siciliana , pancetta di maiale e muscolo di vitello; la Pro Loco di Monterchi (AR) propone polenta con ragù: la Pro Loco di Polverigi(AN) come tradizione marinara polenta ai frutti di mare; la Pro Loco di Ponti (AL) polentone con frittata e merluzzo; la Pro Loco di San Costanzo (PS) da antichissima ricetta dei maestri polentari condisce una soffice polenta con ragù di carne; la Società della Miseria (PO) prepara un polentone di farina di castagne che viene tagliato con un filo di cotone e degustata con aringhe e baccalà; l’Associazione Festeggiamenti Centro Storico di Sermoneta prepara una polenta con salsicce; il Comitato Sagra della Polenta di Santa Maria in Selva - Treia (MC) propone polenta con salsiccia e sugo di papera; il Comitato Festa della Polenta di Tossignano (BO)propone polenta al ragù; il Comitato Polenta e Mortadella di Varone di Garda - Riva del Garda(TN) prepara un polentone da mangiare con la mortadella (simile alla salsiccia o luganega); il Gruppo Manifestazioni Villa d’Adige (RO) un’accattivante polenta con baccalà e polenta e musso (somaro). I RADUNI L’evento, che ha cadenza biennale, consiste nel proporre, da parte di ogni Gruppo polentaro partecipante, la propria ricetta tipica del cucinare la polenta; quindi ben sedici o più rigorosi modi di preparare un prodotto base uguale quale la “farina di granturco” ma arricchito di condimenti diversi, ottenendo così piatti dal gusto straordinariamente diverso quando li si degusta. Un confronto e non una sfida tra polente, una vera scuola di cucina regionale espressa dalle capacità culturali e gastronomiche dei polentari. Dal 1993, a distanza di diciasette anni, che dimostrano la caparbietà e volontà dei “Polentari” , si sono tenuti ben nove “raduni” che si sono svolti in città storiche e turistiche di tutta Italia: 1993, I Raduno Sermoneta (LT) 1995, II Raduno, Arborea (OR) 1997, III Raduno, Riva del Garda (TN) 1998, IV Raduno, Treia (MC) 2000, V Raduno, Castel di Tora (RI) 2002, VI Raduno, San Quirico di Vernio (PO) 2004, VII Raduno, Ivrea (TO) 2006, VIII Raduno, Guardistallo (PI) 2008, IX Raduno, San Costanzo (PU) 2010, X Raduno, Monterchi (AR) 2012, XI Raduno, Villa d’Adige (RO) Saluto del Presidente dell’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia C arissimi Sig. Sindaco di Monterchi-cittadini-ospiti-Delegazioni, intendo scrivere una ‘lettera aperta’ a tutti voi, per dirvi: Vivrete un grande “evento”, il Raduno Nazionale dei Polentari d’Italia, nei giorni 28-30 maggio 2010! Ci saremo dentro tutti, meravigliati di come un po’ di polenta riesca a fare tanto: - animare i gruppi e le Delegazioni, provenienti da tutte le parti d’Italia per “servire” gli altri, fare volontariato, creare amicizia; - convincere, con la “sua storia”, anche le autorità a dare man forte ai polentari; - per accogliere elegantemente gli ospiti numerosi e offrire loro il meglio della bella cittadina di Monterchi, a cominciare dalla grandiosa opera d’arte “Madonna del parto” di Piero della Francesca esposta in elegante locale, la piazza, le sue simpatiche viuzze, il suo “trono” naturale, dove la città è collocata per essere meglio in mostra con una corona di molteplici colline disseminate vicino, che come in un girotondo festeggiano le tante persone convenute al Raduno e i tanti turisti corsi a contemplare la meravigliosa “tela” quattrocentesca di Piero della Francesca, e… ancora le proprie tipicità gastronomiche e il castello ecc… Già è ben nota ai paesi vicini la manifestazione della SAGRA della Polenta di Monterchi, “polenta al ragù” e quanta gente convoca attorno a questo “piatto”! Il X° Raduno Nazionale Polentari sarà, anzi… è una festa “esplosiva”, di cui i cittadini entusiasti a lungo faranno memoria, orgogliosi di aver ospitato tanti amici. Un grazie esprimo all’Amministrazione Comunale di Monterchi per la preziosa collaborazione offerta alla Pro Loco per la riuscita di detta manifestazione. Certamente il Raduno avrà una grossa valenza di promozione turistica della città di Monterchi, come pure sarà forte motivo di “dialogo e amicizia e apertura” tra gli abitanti stessi. Ai Polentari di Monterchi vive felicitazioni, per il lavoro svolto, da parte di tutte le Delegazioni presenti al Raduno. Con grande piacere annuncio la preziosa pubblicazione del libro “La polenta nell’Italia dei polentari. Storia, miti e tradizioni”. Edito dall’Associazione Culturale Polentari d’Italia 2010. Prima di chiudere queste righe, vorrei ricordare l’ideatore dell’Associazione Polentari, il carissimo Valter Mita di Tossignano e invitare tutti i cittadini di Monterchi e gli ospiti ad un pensiero di riconoscenza. Con lui ricordiamo quanti hanno”costruito’ ieri la storia dell’Associazione stessa. Da Monterchi “il testimone” passerà ai Polentari di Villa d’Adige (Rovigo) per il successivo Raduno Nazionale Polentari d’Italia dell’anno 2012. Fin da ora buon lavoro. Don Giuseppe Branchesi Presidente dell’Associazione Culturale Polentari d’Italia Polentari Le Delegazioni Monterchi Polenta con Dove sugo ai trovarle funghi e cinghiale Monterchi la piantina Polentari Monterchi Polenta con sugo ai funghi e cinghiale Sabato 29 Maggio ore 9,00 Visita guidata delle Delegazioni al centro storico di Sansepolcro e Anghiari ore 16,00 Partenza del corteo composto dalle 16 Delegazioni dal Mercatale, verso il centro storico di Monterchi con costumi folkloristici accompagnati dalla Banda Filarmonica di Lama con Majorettes dalle ore 18,00 “I Gladiatori” Domenica 30 Maggio ore 9,00 Presso Teatro Comunale di Monterchi Assemblea Provinciale UNPLI ore 10,00 Pedalata sulle colline della Val Cerfone ore 11,30 S. Messa presso la Chiesa di S. Simeone, celebrata da Don Giuseppe Branchesi Presidente Associazione Nazionale Polentari d’Italia ore 13,00 Apertura stands gastronomici con degustazione gratuita delle polente tradizionali preparate dalle 16 Delegazioni provenienti da tutta Italia. Durante la manifestazione si esibiranno gli artisti di Strada e gli Sbandieratori di Sansepolcro ore 18,00 Saluti di commiato e passaggio del testimone presso La Rocca per l’XI raduno a Villa d’Adige nel 2012 Associazione Filarmonica Lama “Fino a qualche anno fa, il pensiero sulla banda, per molti musicisti e non (e forse per la maggioranza degli ascoltatori dei loro concerti nelle piazze del paese) era alquanto superficiale, quasi fosse un fenomeno folcloristico da fiere e sagre popolari, da non prendere troppo sul serio. Certamente questo atteggiamento di noncuranza, dipendeva in larga misura dal livello qualitativo medio degli esecutori che, almeno fino a qualche tempo fa, era piuttosto modesto...” L’Associazione Filarmonica Lama, è sicuramente un esempio dell’evoluzione bandistica avvenuta negli ultimi decenni, grazie all’impegno dei suoi componenti e ai numerosi gemellaggi e scambi musicali effettuati con altri gruppi Italiani ma soprattutto Nord-Est Europei, che hanno una cultura musicale (e bandistica) diversa e forse più “seria” di quella Italiana. Rifondata verso la fine degli anni 70, sotto la spinta di alcuni appassionati musicisti e di tutto il paese di Lama, venne dato il nome “La Mezza Età” (tratto da una delle prime marcette in repertorio) e fu costituito un folto gruppo di majorettes. Da quel momento è stato un crescendo di successi a livello locale, nazionale ed internazionale. La guida artistica della Banda, è stata affidata da settembre 2008 al M°Giovanni Comanducci. La banda infatti svolge ancora la tradizionale funzione di diffonditrice della musica e della cultura bandistica, oltre che curare la formazione di forze artistiche emergenti. È attualmente composta da circa 35 musicanti, molti dei quali si sono formati musicalmente nella propria scuola di musica. Il repertorio proposto è vario ed intenso e spazia dalle marce da parata a composizioni di tipo concertistico, preferendo comunque composizioni originali per banda. Oltre al gruppo musicale, fiore all’occhiello dell’Associazione Filarmonica Lama è da sempre il gruppo Majorettes formato dal gruppo delle “grandi”, composto da fanciulle dai 15 anni agli …enta, che propongono un repertorio coreografico che spazia dalle più classiche marce da parata a coinvolgenti danze etniche, senza dimenticare colonne sonore di film o musical. Il corpo di ballo (se così si può defini- re) colora le proprie esibizioni talvolta con alcuni cambi d’abito e con l’uso di accessori tipici della majorette, quali pom-pon, mazze, nastri, ecc.. L’altra metà del gruppo, le “piccole”, è formato da allieve della scuola majorettes (completamente gratuita!!) che frequentano ancora le scuole elementari o medie, e propone brani più giocosi ricorrendo talvolta ad altri accessori più consoni, quali ombrelli, cappelli, ecc… E’ proprio grazie alla varietà musicale-coreografica e alla coinvolgente vitalità del gruppo che le majorettes e la banda di Lama godono di simpatia e successo da parte del pubblico ad ogni loro esibizione. Il merito va sicuramente condiviso con le responsabilicoreografe che sono Silvia del Bene e Sabrina Mariucci, che grazie alla loro esperienza e pazienza sono riuscite a creare un gruppo affiatato e di successo. La Filarmonica Lama è oggi un’associazione molto dinamica, con un’intensa e vivace attività che spazia dall’esecuzione di concerti, alla partecipazione a parate, feste paesane e carnevalesche, nonché a manifestazioni di carattere sociale, oltre che a promuovere la diffusione della musica con varie iniziative. E’ consuetudine ormai da anni, porsi l’obiettivo di effettuare trasferte estive, possibilmente all’estero (quando anche le finanze lo permettono!). Questi scambi culturali-musicali con altre realtà sono di notevole stimolo e crescita umana ed artistica. È anche questo uno dei motivi che favoriscono l’inserimento di molti giovani nella banda e nel gruppo delle majorettes e l’innalzamento del livello qualitativo del gruppo. Associazione Filarmonica Lama Via nuova, 1 06013 - Lama - San Giustino - PG www.filarmonica-lama.it Presidente: Luca Rebiscini Cell. 333 1551220 e-mail: [email protected]) Direttore: M° Giovanni Comanducci Responsabili e coreografe majorettes: Silvia Del Bene, Sabrina Mariucci Monterchi Terra di Piero della Francesca Cenni Storici La prima volta che vedrete Monterchi vi apparirà come un paesino rurale, un’oasi tranquilla, ma se lo guardate bene con la mente di un viandante dei secoli passati, capirete subito che questo piccolo centro è un degno protagonista della grande storia. Giace arroccato sull’antico Mons Herculis e si sviluppa tra le colline che digradano verso la valle del Tevere, costellate di antiche pievi medievali e monasteri sparsi sul territorio. All’inizio del mondo Monterchi era solo un isolotto dell’antico lago tiberino che andava da Sansepolcro a Narni, ma, rievocando a ritroso la storia fino al Pliocene, ecco che si scopre l’immagine poetica di una valle dell’Alto Tevere dove pascolavano indisturbati elefanti, ippopotami, iene, castori e bisonti. Un’immagine mitica, quella che sobbalza nella mente del viandante, un’immagine fatta di storia mischiata alla leggenda. Dopo l’età romana Monterchi fu terra di conquista per Goti, Bizantini e Longobardi. Attorno al 1200, il marchese Uguccione, signore di Monterchi, Citerna e Celle, si mise sotto la protezione di Arezzo e dell’imperatore, i monterchiesi, sentendosi privati della loro libertà, si ribellarono e scelsero Città di Castello e Papa Innocenzo III. Per secoli il piccolo comune toscano fu oggetto del desiderio di Toscana ed Umbria. Nel 1265 il popolo monterchiese diede vita al Libero Comune retto da 3 consoli. Nel 1300 tornarono a comandare i signori locali e nel 1440, dopo la celeberrima Battaglia di Anghiari, Monterchi divenne caposaldo del gran ducato mediceo di Toscana. È di questo periodo la realizzazione del famoso affresco di Piero della Francesca raffigurante la “Madonna del Parto”, opera che l’artista dipinse come omaggio alla città di Monterchi per aver dato i natali a sua madre Romana. Durante il periodo della dominazione dei Medici il borgo della Valcerfone venne fortificato mediante la costruzione di un’imponente cinta muraria dotata di torri di avvistamento che ancora oggi è possibile vedere. Alla morte dell’ultimo discendente del casato mediceo, avvenuta all’inizio del XVIII secolo, i Duchi di Lorena salirono al potere e posero in atto numerosi interventi miranti alla riqualificazio- ne urbana e alla bonifica del territorio, favorendo un’ulteriore crescita dell’economia locale. La dominazione lorenese venne interrotta all’inizio del XIX secolo, con l’invasione dei francesi guidati da Napoleone Bonaparte: nel 1815, con il Trattato di Vienna, Monterchi fu assegnato al Granducato di Toscana e nel 1861 venne annesso al Regno d’Italia per volere dell’allora Re Vittorio Emanuele II di Savoia. In quegli anni, un certo Giuseppe Garibaldi transitò tra Le Ville e Lerchi, ancora oggi ci sono documenti che lo possono attestare. Fu il 1917 l’anno più difficile nella storia di Monterchi: un violento terremoto rase al suolo l’intera cittadina, fu in quell’occasione che la tenacia e la determinazione tipica dei monterchiesi tornò a galla, fieri ed orgogliosi della propria terra ricostruirono un paese oggi meta indiscussa di oltre trentacinque mila turisti l’anno. La Sagra della Polenta Un paiolo, un mestolo, farina di granturco e tanta dedizione, sono questi gli ingredienti fondamentali che hanno permesso alla Sagra della Polenta monterchiese di divenire una vera istituzione non solo all’interno dei confini comunali. Migliaia sono le persone che ogni anno, provenienti da tutte le parti di Italia vogliono assaggiare la prelibata polenta al ragù di carne, i fegatelli o le salsicce nostrane. Un trionfo di tradizione, musica e folklore. Era il settembre del 1971 quando per la prima volta, nel centro storico monterchiese, fu allestita la prima edizione della sagra. Da allora sono passati 39 anni, ma lo spirito e l’impegno che la Pro Loco riveste su questa iniziativa è stato un crescendo di sacrifici ed emozioni. L’appuntamento è per il penultimo fine settimana di settembre: inizialmente gli stands gastronomici soggiornavano in paese solo il Sabato e la Domenica, di recente poi, considerata l’alta affluenza di visitatori, i festeggiamenti si sono prolungati comprendendo anche il Venerdì precedente la manifestazione. L’appuntamento è oggi irrinunciabile per i buongustai e i nostalgici delle vecchie tradizioni: in quei giorni Monterchi diventa una vera e propria esplosione di allegria e attività, dove tutti sono impegnati in diverse mansioni e dove si respira un’aria del tempo che fu. La sagra della Polenta nasce per volere della Pro Loco monterchiese, un’istituzione nata il 6 febbraio del 1971 alla presenza del notaio Dr. Ferdinando Sorrentino. Nel corso degli anni numerosi sono stati i membri che ne hanno fatto parte e sempre con rinnovato interesse ed impegno. Attualmente la Pro-Loco è formata da 94 soci ed è così composta: Giuseppe Martellini presidente, Roberto Rondini vicepresidente, Bruno Polverini segretario, Sara Landini cassiere. Per l’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia, i rappresentanti sono Bruno Polverini, che ricopre anche la carica di Presidente Provinciale e consigliere regionale, Anna Maria Lejkowski che fa parte del collegio dei probiviri regionali e Giuseppe Martellini che fa parte, invece, di quello provinciale. Madonna del Parto E’ considerata una delle dieci opere più belle al mondo, da sola riesce a portare, a Monterchi, oltre trentacinque mila turisti l’anno, la Madonna del Parto è, da sempre, il fiore all’occhiello della Valcerfone e dell’intera Valtiberina. Dipinta da Piero della Francesca, si suppone nel 1459, anno in cui il giovane pittore giunse in Valcerfone per partecipare ai funerali della madre originaria di Monterchi, la Madonna del Parto è da sempre meta indiscussa per migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Restaurata nel 1992, l’opera è oggi protetta da una teca climatizzata posta nel piccolo museo ad essa dedicato in Via della Reglia. La Madonna del Parto appartiene al periodo della maturità di Piero della Francesca , essa è l’ espressione diretta della felicità creativa e della perfetta sintesi prospettica di forma e di colore tipiche dell’autore, fornisce, inoltre, preziosi indizi per gli sviluppi futuri della poetica del Maestro, sempre più attratto dalla realtà microscopica delle cose e dalle infinite potenzialità espressive della luce. La Madonna del Parto, però non è solo arte, ma è anche quel punto di incontro dove la cultura si fonde con il mito. L’opera, dipinta in una piccola cappella adiacente al cimitero monterchiese, in passato fu meta indiscussa di partorienti o donne che desideravano diventare gravide, a Lei chiedevano protezione durante il travaglio o un aiuto per poter avere figli. La visita a Monterchi è dunque il coronamento ideale di un percorso pierfrancescano, che comincia ad Arezzo, passa per Sansepolcro e termina in Valcerfone. Ma Monterchi non è solo la Madonna del Parto, altre importante tappe stimolano il turista ad approdare in questo piccolo comune. Un altro gioiello del territorio è infatti il Museo di Pesi e Misure, che a breve sarà ospitato nel cinquecentesco palazzo Massi: si tratta di una straordinaria e numerosa raccolta di strumenti di tutte le epoche per la misurazione dei più svariati pesi. Si va dalle gigantesche stadere dei secoli passati, alle bilance di precisione per gli esperimenti scientifici, tutte illustrate da esaurienti didascalie, per quello che è uno dei musei più curiosi di tutto il Centro Italia. Ad esso si aggiungono gli antichi sentieri, come Via del Pozzo Vecchio che, costeggiando le mura di cinta del paese, conducono al centro storico: suggestivi e briosi scorci di panorama che donano a Monterchi un’aurea mitica. Schola Gladiatoria “LUDUS AEMILIUS” Roma, Dies Natalis (a.U.C. 2762). Dopo lunga ricerca, rivede la luce il LUDUS AEMILIUS, una delle palestre gladiatorie di Roma (citata da Orazio nel 10 a.C.). Traci, Mirmilloni, Hoplomachi, Reziari, Secutores, Dimacheri e altri tipi di gladiatori riprendono vita in grandi combattimenti spettacolari che appassionano sia il pubblico che i rievocatori stessi. Il LUDUS AEMILIUS ha anche un gruppo di Pugili e Lottatori, gli spettacoli gladiatori vengono così integrati da incontri di Pankration e Lotta. Il suo simbolo è il Leone e il suo grido è: “HIC SUNT LEONES” Mons Herculis 2010 – Il ritorno dei Gladiatori www.legioxii.it Altidona Polenta con le lumache Cenni Storici Altidona è un paese di circa duemila abitanti, situato in collina a 223 metri sul livello del mare da cui dista circa quattro chilometri. All’origine fu un centro dei Piceni, successivamente fu insediamento nell’Ager Firmanum. Nell’anno Mille divenne parte dei possedimenti dell’Abbazia di Montecassino, quindi dei Farfensi. Nel 1507 diviene uno dei castelli di Fermo alla cui storia è strettamente legato. In seguito il paese si è ampliato dando vita al “Borgo”, quartiere fuori le mura e solo recentemente, alla frazione di Marina di Altidona che oggi è un centro residenziale e turistico in notevole espansione: essa conta tre campeggi, Mirage, Riva Verde e Garden River, immersi nel verde della collina che dà sul mare. Il centro storico di Altidona ospita manifestazioni di grande attrattiva ed interesse culturale. Il Presepe vivente, ad esempio, che si svolge il 25 e 26 dicembre, rievoca la natività di Cristo nel suggestivo scenario del centro storico. Duecento figuranti in costume d’epoca ricostruiscono laboratori artigianali e scene di vita risalenti a 2000 anni fa. Oltre a ciò, tra i confini di Ascoli Piceno assai noti sono la rassegna di teatro dialettale molto amata anche dai turisti, la mostra di arte contemporanea “stanze aperte” che vede la partecipazione di artisti di buon livello tecnico, la mostra fotografica del tedesco Martin Classeon ed il mercatino dei prodotti tipici. La Sagra della polenta La Sagra della polenta con lumache, blasone sovrano del comune di Altidona, giunta alla sua 24° edizione, si svolge la prima domenica di Agosto; l’intento è quello di rievocare la frugalità delle mense contadine e paesane. La tradizione racconta che le lumache venivano raccolte nei giorni di pioggia in campagna o lungo i fossati poi fatte “spurgare” per vari giorni, lavate con sale ed aceto, lessate e rifatte con il sugo, costituivano il condimento alla polenta di mais coltivato nelle campagne di Altidona. Un piatto povero ma altrettanto insolito e succulento tanto che la sagra, nel corso delle sue varie edizioni, ha riscosso un consenso sempre maggiore di pubblico, un pubblico intenditore che non sa rinunciare al gusto particolare e all’originalità del piatto marchigiano. Arborea Polenta e luganega Cenni Storici ARBOREA STORIA La Sagra della Polenta Arborea è un comune di 3991 abitanti della provincia di Oristano. Fu fondata nel ventennio fascista e venne inaugurata il 29 ottobre con il nome di Mussolinia. La denominazione attuale risale al 1944. La sua storia inizia negli anni ‘20 quando, la Società Bonifiche Sarde acquistò un vasto comprensorio appartenente al Comune di Terralba, bonificandolo. I pionieri di questa bonifica si trovarono davanti tredicimila ettari di bosco impenetrabile popolato da 12 mandriani, costellati da 208 paludi confinanti con il Mare Mediterraneo e lo stagno Sassu. Migliaia di persone vennero impegnate in questa operazione di trasformazione fondiaria che, nel tempo, assunse dimensioni bibliche per il travaglio di un insediamento umano che patì sofferenze e privazioni prima ancora di affrancarsi ad un regime di vera e propria sudditanza. Il primo mezzadro arrivato ad Arborea, nel 1928, fu Alfonso Giorda di Bosa, inserito nella bonifica per incarichi politici, seguirono le famiglie Tamburin, Panetto, Cenghialta e altre. Il 29 dicembre del 1930 il Centro abitato si costituisce in comune autonomo ed il 17 febbraio 1944 il nome di Mussolinia venne sostituito con quello attuale di Arborea. L’emblema raffigurativo del Comune sardo è lo stemma riconosciuto con il provvedimento del 19 Giugno 1958 dal Presidente del Consiglio dei Ministri ed iscritto nel libro araldico degli enti locali. Lo stemma ha la forma di uno scudo, dominato dalla corona della repubblica Italiana, sorretto da una bordatura a nastro con il motto “De limo fertilis resurgo”. Esso si compone di due parti, di cui la prima, in basso, indica la posizione geografica del Comune, nel Golfo di Oristano e specchio mare antistante, nonché lo stato squallido, impervio, desertico dell’originaria plaga con più di quaranta tra paludi grandi e piccole, oltre a numerose pozzanghere. La seconda parte, in alto, staccata dalla prima con bordura rettangolare, in giallo, che circoscrive l’intero scudo, su sfondo azzurro, indica il miracolo delle redenzione e trasformazione della palude, tra cui spicca il campanile della Chiesa con la scritta “Resurgo” sul frontale. Le spighe tra cui domina il campanile testimoniano invece, la fertilità della nuova terra bonificata. La Sagra della polenta di Arborea si tiene in autunno. Questo piatto dalle tradizioni plebee, in una terra popolata da veneti, emiliani, friulani, romagnoli e sardi non poteva non costituire il momento per un incontro collettivo. Le sue origini risalgono al novembre del 1982, quando nella borgata di Luri si svolse il primo accenno di manifestazione a base di polenta, “osei” e salsicce. L’avvenimento richiamò l’attenzione di migliaia di persone così che la Pro Loco decise di inserire questa festa nel suo calendario di attività promozionali. E’una piccola storia, quella della polenta di Arborea, ma significativa non solo per la gente che richiama e per le persone che coinvolge nella sua organizzazione, ma per il fatto che l’evento si inserisce nell’ambito delle iniziative che promuovono Arborea, il suo territorio, la sua economia e le sue produzioni. Agli “osei” accompagnano le salsicce arrosto, lo spezzatino con il Tocio, il caratteristico sugo, e il socculento baccalà. La polenta di Arborea, piatto della gente del luogo e radicato nella tradizione popolare, attraverso questa manifestazione è entrata di diritto tra i piatti tipico del luogo tanto che molti ristoranti la propongono come piatto prelibato. Castel di Tora Polenta con aringhe, baccalà, tonno, alici Cenni Storici Le origini di Castel di Tora, risalgono agli inizi dell’anno mille quando fu menzionato per la prima volta nei documenti farfensi del 1035 con il nome di “Castrum Vetus de Ophiano” . Per secoli la cittadina in provincia di Rieti fu conosciuta ai più come “Castelvecchio” nome sostituito nel 1864 con quello di Castel di Tora, appunto, in ricordo di un antico “pagus” sabino romano detto Thora Thiora. Successivamente la proprietà del castello fu dei Buzi - Brancaleoni e quindi dei Mareri, ai quali fu confiscata nel 1241 da Federico II di Svevia. Nel 1440 il feudo di Castelvecchio passò agli Orsini e dal 1558 al 1570 agli Estouteville.Da tale data Castel di Tora ritornò agli Orsini sino al 1634 per poi passare ai Borghese. In seguito alla rivoluzione francese si verificò l’abolizione dei feudi. Seguì la dominazione dei Brancaleoni, dei Cesarini e dei Mattei, fino ai Lante della Rovere, ai Gentili e ai Principi del Drago. Dopo il 1862 Castel di Tora rimase aggregata all’Umbria, e cioè alla provincia di Perugia, come tutto il circondario di Rieti, per passare nel 1923 sotto la Provincia di Roma. Nel 1927 divenne parte integrante della realtà di Rieti. Nel 1944 il borgo fu bombardato dagli aerei americani e nel 1950 gli abitanti lo abbandonarono definitivamente. Dopo oltre 40 anni di incuria il borgo di Antuni era ridotto ad un cumulo di rovine ed ormai morto, fu nel 1992 che il palazzo del Drago venne acquistato dal Comune di Castel di Tora per impiantarvi un centro di recupero per tossicodipendenti. Dal 1990 sul Monte vi è insediata la Comunità Incontro di Don Pierino Germini e dal 1996 è stata iniziata e portata a termine, l’opera di restauro e recupero del Castello del Drago. Oggi Castel di Tora è una località di notevole interesse turistico e figura come uno dei “borghi più belli d’Italia”. La Festa del Polentone La festa del polentone è una tradizione secolare che si è sviluppata a Castel di Tora in epoca remota di cui non si hanno notizie storiche certe. Le uniche certezze che si hanno riguardano il fatto che la polenta fatta con la farina di mais, era la risorsa principale delle popolazioni che abitavano in vallata prima che fosse realizzato il bacino idroelettrico. Essa veniva condita con un particolare ragù magro i cui ingredienti principali erano e sono tutt’ora costituiti da pesce tradizionalmente ritenuto “povero” in determinati contesti gastronomici, come aringhe, stoccafisso, tonno, alici. La polenta, fino ai primi anni ‘70 ha avuto una fisionomia tipicamente paesana in funzione della quale il primo mercoledì di quaresima gli anziani del posto, previo una questua generalizzata con cui venivano racimolati pochi chili di farina di mais e gli spiccioli necessari all’acquisto di tutto quello che non poteva essere offerto dalla popolazione, radunavano in pratica tutto il paese in piazza diventando così un eccezionale strumento di aggregazione Guardistallo Polenta con sugo ai funghi e cinghiale Cenni Storici Guardistallo sorge su una collina a 287 metri di altitudine e dista dal mare, che ne rappresenta il panorama più tipico e affascinante soltanto 10 km. La favorevole posizione geografica e la vicinanza rispetto ai maggiori centri della Toscana ne hanno fatto un luogo privilegiato di villeggiatura, ma anche di abitazione. Il ritrovamento di reperti in pietra e in metallo(forse armi od utensili) e il prezioso corredo di punte di lancia in selce, esposto al museo archeologico di Cecina, testimoniano che la prima occupazione del territorio di Guardistallo risale probabilmente all’età eneolitica (2400-1800 A.C.) Non si hanno notizie certe circa la presenza degli Etruschi, ma di alcune fibule di età villanoviana indicano una probebile continuità abitativa in questa zona, fittamente abitata anche in epoca romana. Certa è invece la traccia del passaggio del popolo Longobardo, tanto che si fa risalire l’origine del toponimo “Guardistallo” dal germnico “Warte” (vedetta) o “Wardan” (guardia) e “Stall” (luogo). Questo nome fu assegnato dai Longobardi al castello che costituirono, intorno al VII sec. D.C. sulla sommità del colle dove sorge il paese e che passò sotto il dominio dei Conti della Gherardesca dall’anno 1000 circa fino alla caduta della Repubblica di Pisa sotto Firenze nel 1400. Nel 1447 venne occupato dalle truppe di Alfonso D’Aragona, re di Napoli, che distrussero gran parte delle case e dei palazzi; rimase tuttavia in piedi gran parte della roccia dei conti. Dopo lo scioglimento dei Feudi e la ridistribuzione delle terre nell’ambito della riforma agraria leopoldina si formò, a partire dal 1776, anche a Guardistallo una nuova classe di piccoli proprietari terrieri che favorì lo sviluppo dell’agricoltura e di conseguenza la crescita del paese. Il 14 Agosto del 1846 i paesi della costa toscana furono colpiti da un violento terremoto che in pochi attimi abbattè case, palazzi, chiese e torri; Guardistallo fu uno dei paesi più colpiti. Il 70% delle abitazioni e la parte più alta del castello, del quale rimane solo l’arco della porta d’accesso, andarono completamente distrutte insieme alla chiesa , al campanile e al cimitero ridotta ad un ammasso di macerie. Nel 1870 venne costruita la nuova chiesa, intitolata ai Santi Lorenzo e Agata, patroni del paese, sul lato dell’abitato rivolto verso il mare, quasi contemporanea è la costruzione di Villa Elena, casa residenziale dei Marchionneschi, una delle famiglie più importanti di Guardistallo; nel 1883 fu inaugurato il teatro luogo di svago per le famiglie ricche ed espressione della loro agiatezza. E’ con riferimentoa questi tempi e a testimonianza dell’eleganza della vita dei suoi signori che Guardistallo era chiamata “la piccola Parigi” e i suoi abitanti presero il nome di “Calze Lunghe”. Alla fine della seconda guerra mondiale, il 29 Giugno del 1944, l0esercito tedesco in ritirata mise in atto una feroce rappresaglia in risposta alle azioni partigiane svoltesi nella zona. 63 persone, tra le quali donne e sfollati oltre al sindaco, eletto pochi giorni prima, vennero rastrellate, portate fuori dal paese e fucilate. Un secondo eccidio di circa 120 persone fu impedito dall’eroismo del parroco del paese, Don Mazzetto Rafanelli, che si offrì personalmente in ostaggio. Tale gesto gli valse in seguito la medaglia d’oro pegno dell’affetto di tutta la popolazione. Nel 1997 il comune di Guardistallo è stato decorato con la medaglia di bronzo al merito militare e al valore civile. La Pro Loco Guardistallo Parlare della Pro Loco Guardistallo significa iniziare dalla polenta, cibo povero della grande cultura contadina, da preservare e tutelare. La Pro Loco nasce nel 1967 grazie ad un gruppo di concittadini con l’intento di valorizzare il paese ed il suo territorio; questo gruppo di volenterosi paesani decide di organizzare una sagra e la scelta ricade sulla polenta. Da allora sono trascorsi quasi 50 anni e la pro Loco ha portato la sua polenta, ma anche il suo paese con le proprie tradizioni e la propria cultura in giro per l’Italia nei vari raduni finora svolti. Nel 2006 Guardistallo è sede del raduno nazionale dei polentari.La manifestazione ha riscosso un ottimo successo, grazie alla sinergia tra associazioni, amministrazione comunale e volontari, riuscendo a dare linfa vitale all’associazione. La pro Loco non è solo questo; negli ultimi anni ha allacciato rapporti con le altre associazioni del paese, collaborando con l’amministrazione per varie iniziative rivolte ai ragazzi del paese, organizza concerti e spettacoli nel periodo natalizio, facendosi promotrice dell’iniziativa “i mille presepi”. L’associazione guarda oltre il locale, lo confermano i rapporti con l’UNPLI sia a livello regionale che provinciale ed ha contatti frequenti con le altre Pro Loco dei paesi limitrofi. Ultima in ordine di tempo, la Pro-loco ha avviato un rapporto costruttivo con molti giovani del paese per l’organizzazione della “festa delle Feste” ovvero “Be mì tempi…quando con mille lire….” Manifestazione che può diventare la vetrina delle sagre di Guardistallo. A testimonianza della vivacità associazionistica del paese, oltre la Pro-Loco, sono presenti il comitato locale della C.R.I. di Guardistallo e Casale M.mo, l’Unione Sportiva, la Compagnia del Teatro stabile, Il gruppo storico, il comitato di Casino di Terra, il Centro commerciale naturale e tre associazioni venatorie, Da notare che lo scorso anno la sez. di Guardistallo della Federcaccia ha organizzato con un buon successo la sua prima manifestazione. Ivrea Polenta con merluzzo e cipolle Cenni Storici Importante città industriale, posta sulle rive della Dora con dintorni abbelliti da graziosi laghetti. E’ una città della provincia di Torino situata a 267 metri di altitudine e con circa 25.000 abitanti. Per l’importanza strategica del suo ponte romano sulla Dora, Ivrea conobbe fin dai tempi remoti periodi di grazia e di lutto, di occupazione e di liberazione, il passaggio per il suo territorio fu conteso dai potenti di tutti i tempi. Importante centro dei Salassi, una popolazione Celtica , divenne colonia romana (Eporedia) nel 654 anno di Roma cento anni prima di Cristo. Tuttora gli abitanti di Ivrea, circa 26.000 abitanti, si chiamano Eporediesi. Nonostante le sue vicissitudini resta comunque una città importante del Canavese, territorio confinante con la provincia di Biella, Vercelli, il torinese, la Francia e la Valle d’Aosta, ricco di colline, fiumi, laghi e montagne. Grazie alla importanza storica e alle particolari caratteristiche ambientali la città di Ivrea e il territorio circostante offrono una notevole quantità di interessi, sia dal punto di vista culturale che da quello turistico. In città, i visitatori possono ammirare molti monumenti, fra cui il bellissimo Castello che si caratterizza per il suo storico carnevale famoso in tutta Italia per le tre giornate di battaglia che gli Eporedisi combattono a suon di arance. Il castello di Ivrea è solo uno dei tanti castelli che rendono l’area di Canavese una delle più dense di costruzioni monumentali. L’area geografica che circonda Ivrea è caratterizzata da una particolare collina, denominata La Serra, che identifica il limite settentrionale del Canavese; il confine occidentale invece comprende parte del Parco Nazionale del Gran Paradiso. La Sagra La tradizione di distribuire sulla pubblica piazza Polenta e Merluzzo nella nostra città ha origini antichissime. Risale infatti alla seconda meta del ‘500, con la controfirma effettuata dalla Chiesa Cattolica che decretò l’osservanza della Quaresima, il mangiare di magro il venerdì e nelle vigilie. Si ha così notizia che già a quel tempo questa ricorrenza veniva celebrata nei vari rioni per l’iniziativa di gruppi di cittadini che cucinavano nelle loro piazze un po’ di polenta accompagnata da merluzzo e cipolle. Tutto questo durò fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale che cancellò tutte queste iniziative e naturalmente anche il Carnevale. Al termine della guerra, il Comitato della Croazia fece sua questa iniziativa conferendole un carattere benefico e dandole anno dopo anno la consistenza che ha oggigiorno. La nostra Polenta e Merluzzo dal 1948 ad oggi ha subito un notevole incremento, attualmente cuciniamo infatti 800 Kg di merluzzo con 1440 Kg di cipolle confezionando poi in piazza 1400 kg di polenta. La nostra Associazione nel 1988 si è gemellata con Tossignano, località dalle antichissime tradizioni storiche, nel 1990 con Latina e, anche grazie a questi impulsi, nel 1998 ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita dell’Associazione Culturale Polentari d’Italia. Linguaglossa Polenta con vitello e salsiccia Cenni Storici Linguaglossa e’ un paese che si sviluppa sul versante nordest dell’Etna ad una altitudine di 550 mt. e gran parte del suo territorio fa parte del parco dell’Etna, sino ad arrivare alla sommita’ del vulcano, infatti da Piano Provenzana, con l’ausilio deli impianti di risalita si raggiungono i 2400 mt. Questo paese non e’ famoso solo per l’ubicazione geografica molto caratteristica, pregevole infatti, la ricchezza artistica presente in molteplici espressioni e forme, vi ricordiamo: la ristrutturata Villa dei Vespri Siciliani, la Chiesa di San Francesco di Paola con la statua della Madonna del Gaggini, il Palazzo Comunale, la Chiesa dell’Immacolata con l’annesso Convento dei Cappuccini, all’interno della chiesa e’ presente la celebre Custodia Lignea del 1710 di Pietro Bencivinni da Polizzi. Molti pregevoli dipinti sono presenti all’interno del convento, cosi’ come una importante biblioteca con volumi risalenti al XVI secolo fino ad arrivare al XVIII secolo. Vi ricordiamo ancora la splendida Villa Milana, e la Chiesa dell’Annunziata e la sua omonima piazzetta, da questa piazzetta si raggiunge la Pro Loco con il suo Museo Etnografico. Proseguendo, le vostre visite potranno continuare all’interno della Chiesa Madre con all’interno il Coro Ligneo del 1782, accanto e’ presente il monumento della Madonnina della Pineta. La Chiesa di Sant’Egidio Abate Patrono di Linguaglossa, con all’interno affreschi del XVI secolo. Consigliate anche le Chiese del Carmine e dei Santi Antonio e Vito. Linguaglossa opera nel settore turistico estivo e invernale con gli impianti di risalita presenti sull’Etna e la famosa Scuola di Sci, oltre allo sci e’ possibile effettuare escursioni sia a piedi che con pulmini 4x4. Storia della Polenta In Sicilia ed in particolare a Linguaglossa, in provincia di Catania, da tempo immemorabile, specie per uso familiare, facevano la polenta di farina di mais condita con “il piede di maiale, con broccoletti o con altre verdure” fino ad arrivare al 1971, anno in cui la Pro loco organizza una delle più grandi manifestazioni di carattere enogastronomico, folkloristico e culturale mai realizzato in Sicilia denominata “Festa dell’Etna”. Da allora, alla fine del mese di Agosto di ogni anno, viene organizzata nell’ambito della stessa manifestazione una grande salsicciata e polentata per molte migliaia di persone intervenute da ogni parte della Sicilia e non, diventando un evento di grande successo. Per l’occasione il vino rosso DOC dell’Etna esce per la prima volta dalle cantine dei linguaglossesi per permettere al folto pubblico di gustarlo e comprarlo. Nel corso di una di queste manifestazioni abbiamo invitato i polentari di Tossignano, diretti da Walter Mita, conosciuto da tutti anche come appassionato conoscitore di storia patria e di costume locale. Dall’esperienza fatta nel corso di quest’incontro abbiamo deciso di affinare la nostra polenta sostituendo alcuni prodotti ed inserendone altri, fino ad arrivare a quella che attualmente proponiamo per le varie manifestazioni, e che ottiene un grande successo. Questa è la storia della nostra polenta fino ad oggi. Inoltre da alcuni anni prepariamo, per assaggi limitati, una variante alla Polenta con il ragù, si tratta della “Polenta al Finocchietto verde dell’Etna”, la quale per la grande novità e per i sapori particolari che questa “sprigiona” è considerata da tutti una vera prelibatezza. Polverigi Polenta con frutti di mare Cenni Storici Polverigi è un comune di circa 3.000 abitanti situato sulle dolci colline dell’entroterra anconetano a 18 Km dal capoluogo. Fa parte del distretto turistico locale “Terra dei Castelli” ed ha una storia millenaria. Il primo insediamento abitativo di Polverigi storicamente noto, risale al X secolo ed il suo castello, che faceva parte della cerchia difensiva esterna di Ancona, fu costruito tra la fine de l ‘XI e la prima metà del XII secolo. Il 18 gennaio 1202, “apud castrum Pulverisiae” fu stipulato un importante Patto di Pace tra le maggiori 27 città delle Marche che, oltre agli effetti di politica locale affatto secondari, segnò la fine del medioevo e del potere imperiale svevo nell’Italia centrale, e l’inizio dell’età dei Comuni sotto l’egida della Chiesa. Il castello, che per la sua posizione costituiva un importante luogo di transito, ha sempre svolto un importante ruolo strategico rappresentando il principale avamposto di Ancona verso Jesi e Osimo. Nel ‘400 però, all’apparire delle armi da fuoco si avviò verso una lenta, continua e definitiva decadenza, tra invasioni, lotte, battaglie e distruzioni. Tale stato di cose non terminò, nemmeno dopo la costituzione dello stato della Chiesa, quando la situazione divenne difficile per la politica oppressiva della città dorica e terminò solo alla fine del XVIII secolo nel periodo napoleonico quando si costituì in libero comune che confluì nel 1861 nel Regno d’Italia. Da allora Polverigi fu uno dei tanti borghi agricoli dell’entroterra anconetano che pagò un forte tributo di sangue sia alla guerra 15/18, che al secondo conflitto mondiale quando si trovò sulla direttrice d’attacco delle truppe alleate per la II^battaglia di Ancona. Nel dopoguerra, dopo un periodo di crisi economica, iniziò uno sviluppo destinato a modificare definitivamente le caratteristiche socio economiche del comune che grazie all’iniziativa dei suoi abitanti ha assunto l’aspetto odierno con oltre 250 aziende attive. Dal punto di vista socioculturale Polverigi, grazie all’entusiasmo di tutti i suoi abitanti è un centro estremamente dinamico. 3000 abitanti danno vita a tre centri sociali, 4 società sportive con una ventina di squadre, un corpo bandistico ultracentenario, una pro loco, il centro internazionale di produzione e studi teatrali Inteatro, un Centro per le Tradizioni Popolari, e una attivissima Mediateca Comunale che realizzano, tra le tante attività settimanali, due manifestazioni primaverili di musica popolare (di cui una internazionale), una festa di fine estate (la Notte delle streghe) che per la sua originalità richiama una folla strabocchevole, un festival internazionale di teatro (InTeatro), una stagione di spettacoli e concerti estivi, una stagione di sette Sagre Tradizionali (compresa quella della Polenta), mostre, ricerche, studi e pubblicazioni sul patrimonio artistico e culturale locale realizzate dalla Mediateca. Ponti Polenta con frittata di cipolle e merluzzo Cenni Storici Il paese di Ponti vanta origini preromane; venne fondato, come la vicina Acqui Terme, dai Liguri Statielli, che lasciarono questo borgo al dominio di Roma. Dell’antica dominazione abbiamo conservato il nome Pontum, dai ponti che i Romani costruirono sul fiume Bormida, e la “Colonna Antonina”, pietra miliare della Via Emilia Scauria, che ancor oggi si può ammirare sotto il porticato del Palazzo Comunale. La colonna è testimonianza del primo ripristino (inizio III secolo d.C.) della via Iulia Augusta, importante strada costruita dall’Imperatore Augusto in sostituzione della Via Emilia Scauria, che conduceva da Roma alla Gallia. Il borgo di Ponti nel periodo medievale è stato caratterizzato dalla dominazione dei Marchesi Del Carretto, successivamente affiancati dai Conti Guerrieri, nobile famiglia mantovana che aveva acquistato alcune terre in questo paese. Testimonianza della famiglia dei Del Carretto sono le pietre raffiguranti lo stemma gentilizio sui muri di molte case ed i ruderi del castello ove dimorarono, situato sulla collina che domina Ponti.Nei pressi del castello si ergono il campanile dell’antica parrocchia (sec. X-XI) ed un vecchio torrione difensivo denominato “la battagliera”, complesso tutt’ora in fase di restauro. La famiglia dei Del Carretto, a partire da Bonifacio nipote del grande Ottone, figlio di Enrico Guercio marchese di Savona e signore dei domini carretteschi posti fra la valle Uzzone e la Val Bormida di Spigno, era particolarmente nota per la sua ospitalità e cortesia. La Sagra Correva l’anno 1571 quando un gruppo di calderai provenienti da Dipignano, paese del Cosentino, arrivò a Ponti, attirati dalla voce comune che dipingeva il Marchese Cristoforo Del Carretto, feudatario di questo luogo, come una persona di gran cuore. Giunti al borgo, infreddoliti ed affamati, i calderai chiesero ospitalità al Signore della “Casa Carretta”; egli, vista la loro capacità di stagnare, disse: “Se riuscirete ad aggiustare il vecchio enorme paiolo delle mie cucine, vi darò tanta farina gialla da riempirlo, in modo che possiate sfamarvi tutti.” Voltò il cavallo e tornò al castello, lì giunto, diede ordine ai suoi servitori di portare il vecchio e malandato pentolone ai bravi stagnini che si misero alacremente all’opera facendolo tornare come nuovo. Cristoforo Del Carretto mantenne la promessa facendo recapitare agli affamati calderai un buon quantitativo di farina di mais; intanto gli abitanti del borgo avevano fraternizzato con i magnani venuti da lontano; ed ecco uscire dagli usci le brave massaie con le cocche del grembiule in mano: portavano chi uova, chi cipolle, chi merluzzo, e chi vinello dei nostri colli che dovevano servire per cucinare una frittata. La farina servì a cuocere un enorme polenta che affiancata da un altrettanto grande frittata, dono, questa, del buon cuore dei pontesi, sfamò gli infreddoliti magnani. E fu festa, così grande ed allegra da essere ricordata ogni anno. Così nacque la “Sagra del Polentone”, antica manifestazione risalente a ben quattro secoli fa. Viene celebrata la penultima domenica di Carnevale, quando i cuochi di Ponti cucinano una polenta di oltre 12 quintali e una frittata di 3000 uov con 1,5 quintali di merluzzo e 3 quintali di cipolle. Durante la sagra oltre alla preparazione e distribuzione di Polenta e Frittata con Merluzzo, si svolge il corteo storico con la rievocazione dell’incontro tra il Marchese Cristoforo Del Carretto e i Calderai. Ogni anno circa 3000 persone vengono a degustare la Polenta e Frittata, e oltre a questa attività, propriamente di degustazione, i turisti colgono l’occasione di potere visitare gli stand allestiti dai sempre più numerosi artigiani ed artisti locali ed il museo delle macchine agricole del Cavalier Pierino Solia. San Costanzo Polenta con ragù di carne Cenni Storici A circa 150 metri sul livello del mare, sul crinale tra le valli del Metauro e del Cesano, sulla collina che domina il Mare Adriatico, si trova San Costanzo, ridente cittadina ricca di storia, denominato anche “balcone dell’Adriatico”, e “paese dei cento laghi”. Cinquemila abitanti circa, dediti ad attività collegate alla terra, professionisti, imprenditori, artigiani ed artisti, numerosi operai ed impiegati che operano nell’edilizia e nella cantieristica navale. L’origine del nome si farebbe risalire ad una reliquia di San Costanzo proveniente da Perugia, luogo dove sono conservati i resti del Vescovo Martire e Santo Patrono di quella città. Le prime notizie su San Costanzo risalgono all’VIII-VI secolo a.C. quando era abitato dai piceni, popolo nomade e dedito alla caccia ed alla pastorizia. I romani hanno probabilmente conosciuto San Costanzo, infatti il ritrovamento di reperti archeologici fanno presumere ciò anche perché, nella sottostante Valle del fiume Metauro, si svolse la famosa e cruenta battaglia del Metauro tra i romani di Livio Salinatore, contro il cartaginese Asdrubale in quanto, molto probabilmente, vide le guarnigioni romane attraversare il territorio di San Costanzo, provenienti da Senagallica l’attuale Senigallia. Il centro storico di San Costanzo è dominato dall’alta mole della Torre Campanaria e dalle possenti mura medioevali. Nel complesso l’architettura urbana si richiama al XVI e XVII secolo, con edifici signorili dei nobili e le case dei meno abbienti. All’arrivo del visitatore nella centrale Piazza Perticari San Costanzo si presenta con una bella fontana in pietra calcarea locale, “la fontana di mostra”, adornata con due putti che gettano acqua ed alla sommità di essa una vasca in ghisa che zampilla grazie ad un sistema di ricircolo. La fontana venne realizzata nel 1904 a seguito della costruzione del primo acquedotto consorziato. Piazza Perticari è dominata dalla poderosa mole della cinquecentesca Torre Campanaria, ove in una nicchia è conservata la statua cinquecentesca di Madonna con Bambino, e le maestose Mura Malatestiane. Sulle probabili basi del rivelino e del grande salone della torre di guardia del lato nord-orientale delle mura, sorge il Teatro Comunale “della Concordia”, costruzione risalente intorno al settecento, realizzata dai nobili locali, probabilmente per volere dei Conti Cassi e Perticari. All’interno delle mura del castello è situata la chiesa Collegiata di San Cristoforo e Costanzo, costruita alla fine del XVI secolo sulla struttura di un grande salone del Castello e rimaneggiata nel 1700. Nella chiesa Collegiata si conservano un pregiato Crocifisso ligneo e una Madonna su tavola trovati nella famosa Grotta di San Parteniano in località Caminate di Fano, una grande tela rappresentante un Presepe di Ercole Ramazzani, e 15 piccole formelle che rappresentano i Misteri del Rosario dipinti su tela. Interessanti il coro ed i confessionali lignei nonchè la Via Crucis anch’essa realizzata su piccole tele. Sempre all’interno delle mura del castello, come riportato da più parti e dallo Strafforello, fu realizzato sotto i Malatesti un pozzo denominato “pozzo del Tomani” “di singolare fattura”, tutt’oggi ricchissimo di acqua, a sezione circolare di m. 2,65 di diametro e 26 metri di profondità. Di particolare interesse, lungo le mura, la porta di accesso sul fronte della valle del Metauro difesa da due torri cilindriche scarpate con cordolo e lunghi beccatelli, e la torre d’angolo anch’essa circolare con una curiosa scala interna semicircolare “a lumaca” posta sul lato sud-ovest. Poco distante, fuori le Mura, si trova, lungo l’attuale Corso Matteotti la Chiesa di Sant’Agostino del 1617, sorta per iniziativa dei Padri Agostiniani e del Conte Barbetta ed in primis dedicata a S. Pietro. Alle pareti si trovano grandi tele del pittore fanese Giuseppe Ceccarini datate 1787. Sempre del Ceccarini sono le tele del primo altare di sinistra e del secondo altare di destra. Di pregio, sopra l’ingresso, l’organo del XVIII sec. del Callido. Il Cristo Morto in legno, nel primo altare a sinistra è ritenuto opera di un allievo del Canova. Tra gli edifici monumentali edificati fuori dalle Mura castellane, ma all’interno del borgo, sorge il nobile Palazzo Cassi che nel 1863 divenne residenza Civica. Ai margini occidentali del borgo, sulla strada provinciale che conduce alla frazione di Cerasa, sorge la cosiddetta Chiesa del Cimitero, edificata per volontà della agiata famiglia Vici da Cerasa. Di particolare interesse il fatto che tale edificio religioso venne costruito inglobando un’ antica edicola sacra di origine quattro-cinquecentesca ove vi era dipinto un affresco rappresentante una Madonna con Bambino. L’affresco, ora conservato nella Quadreria Comunale di Palazzo Cassi, per iconografia e tecnica, è stato datato tra il tardo quattrocento ed il primo cinquecento, antecedente quindi alla edificazione della chiesa che come ricorda una lapide all’interno di essa ne riporta l’anno di costruzione del 1641. La Sagra Polentara Da 150 anni ca. nella prima domenica di quaresima, si celebra a San Costanzo la Sagra Polentara. Il motivo della scelta di questa data, per lo svolgimento di una manifestazione che poco si addice al carattere penitenziale della Quaresima lo spiegano gli anziani del paese. Si racconta che fino alla fine del secolo scorso, in effetti, la manifestazione era organizzata per invitare i paesani alla penitenza dopo gli eccessi goderecci del carnevale appena passato; e la polenta, allora - cucinata come ora in piazza dagli antenati degli attuali polentari - era servita completamente scondita. Ora nella prima domenica di Quaresima la spensieratezza popolaresca esplode e porta con sé il sapore dello sconfitto inverno: calderoni immensi al centro della piazza, dove oltre cento paesani sono intenti a mescolare polenta per sfamare migliaia di bocche paesane e forestiere che si accalcano attorno allo “steccato” per mangiarla soffiando e vociando che “scotta ma che è buona”. Da circa quaranta anni la manifestazione viene proposta anche d’estate (l’ultimo sabato e domenica di luglio), ed oltre la polenta è possibile gustare pannocchie di granoturco alla brace ed altri piatti tipici locali. Sermoneta Polenta con salsiccia Cenni Storici Sermoneta, posta su una collina della catena dei Monti Lepini, a 257m sul livello del mare, si trova nel cuore dell’Italia Centrale, a 70 Km da Roma e 150 Km da Napoli. Cittadina medievale, circondata da possenti mura e antichi uliveti, ricca di storia, cultura e tradizione, si è vista riconoscere nel 2006 dal Touring Club la bandiera arancione per la sua integrità e la continua valorizzazione del suo patrimonio culturale e ambientale. Sermoneta entra timidamente nelle fonti storiche nel 77 - 78 d. C.: la voce che cita Sulmone, ossia l’originario nome di Sermoneta, è quella di Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) nella sua monumentale opera Naturalis Historia. Dall’inizio del XIII secolo Sermoneta era feudo della famiglia Annibaldi che lo vendette, nel 1297, ai Caetani nella persona di papa Bonifacio VIII (1294-1303). L’inizio della signoria Caetani, segna il delinearsi di una storia della città dai contorni ben definiti, poiché il suo cammino cominciò a scorrere parallelo ed a fondersi con quello della nobile casata. Da quel momento, numerosi sono i documenti che testimoniano la storia e la crescita della città, che divenne centro di un feudo ricchissimo. Sermoneta aveva gradualmente acquisito un’importanza rilevante grazie alla sua ubicazione geografica, che la situava in un punto strategico fondamentale per l’accesso a Roma. Durante i secoli non mancarono momenti di difficoltà, in particolare con l’ascesa al soglio pontificio di Rodrigo Borgia, con il nome di Alessandro VI (1492-1503) ha inizio per i Caetani una breve quanto sofferta estromissione da Sermoneta. Nel 1499 infatti, il già citato papa, colse l’opportunità politica offertagli dalle tensioni nate fra Sermoneta e Sezze, riguardo ai confini di alcuni territori della Pianura Pontina, per scomunicare i Caetani confiscando i loro feudi affidandoli al figlio Cesare Borgia. Il dominio del Valentino, ossia Cesare Borgia, così detto perché duca di Valentinois, ebbe termine; morto papa Alessandro VI. Nel 1503, Sermoneta tornò ai Caetani sino al 1870, anno della “Breccia di Porta Pia” che decretò l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia, per cui altre istituzioni sostituirono i discendenti di Bonifacio VIII nell’amministrazione di Sermoneta. La Storia della Polenta Guglielmo Caetani dopo un lungo esilio, fece ritorno in Sermoneta dopo la morte di Alessandro VI Borgia, avvenuta nel 1503. Guglielo, ritornando al suo paese, portò con sé un sacchetto di strani semi importati dal Nuovo Mondo, e chiamati “mahiz”, che seminò nei suoi fertili territori ottenendone abbondanti raccolti. La farina del granoturco fu usata inizialmente per procurare pietanze ai prigionieri del Castello, e in seguito fu usata dai poveri e dai pastori per farvi polenta o la pizza sotto la brace, allora cibo quotidiano. A quei tempi a Sermoneta tra i poveri, specie nei mesi invernali, vi erano anche i pastori, scesi in settembre dai monti dell’alto Lazio o dall’Abruzzo alla ricerca di pascoli più verdi, e numerosi risiedevano in capanne adiacenti la Palude Pontina. Questi, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici, che ricorre il 17 gennaio di ogni anno, scendevano in paese per far benedire i loro animali. In questa occasione veniva offerta loro, e a tutta la popolazione, un piatto di polenta condita con carne di maiale, cucinata sulla pubblica piazza. Tale usanza, per secoli, è rimasta fino ad oggi in Sermoneta, e dal 1978 viene curata dall’Associazione festeggiamenti Centro Storico che, il 17 Gennaio di ogni anno, o la domenica successiva, organizza la tradizionale Festa di Sant’Antonio Abate e Sagra della Polenta. S. Maria in Selva Polenta con salsiccia e sugo di papera La Città Dicendo S. Maria i n Selva si dice TREIA, la sua città-madre. S. Maria in Selva, fornita di una bella chiesa antica, restaurata insieme alle strutture adiacenti, era una ‘grancia’ legata alla grandiosa Abbazia Cistercense di S. Maria in Chiaravalle di Fiastra situata nelle vicinanze di Macerata, uno dei magazzeni-refettorio destinati a sfamare i tanti monaci là residenti. Ora la chiesa è Parrocchia, con un territorio, sede di una vivace comunità con imprese industriali e artigianali e attiva nel settore sportivo-teatrale-religioso. Proprio per iniziativa della U.S. ‘Abbadiense’ sorse nel 1972 la SAGRA della POLENTA, ora gestita da un vivace COMITATO Parrocchiale collegato alla Pro Loco Treia. TREIA, nota anticamente come Trea, si trova nelle Marche, in provincia di Macerata. Ha grande importanza storica anche per essere stata uno tra i più importanti nodi della diramazione della Flaminia nota come Settempedana. Via che ha assorbito per secoli il traffico dei pellegrini sull’asse Roma-Assisi-Loreto, detta anche “Via francescana”. La Dolores Prato, grande scrittrice treiese del secolo scorso parla della sua terra ‘intrisa di spiritualità. S. Maria in Selva, che sorge su insediamento e necropoli del Neolitico, non è l’unico luogo di culto in correlazione con le origini della città. Treia è tra i pochi siti al mondo a vantare testimonianze del culto di Iside, scoperte nel corso degli scavi per la costruzione del Santuario del SS. Crocifisso nell’area dove sorgeva Trea. Alcuni sono di epoca tolemaica ed hanno un valore tale da aver fatto parte di importanti mostre nei più grandi musei del mondo. Tradizione vuole che la statua della Madonna di Loreto venerata nella chiesa di S. Chiara sia quella la originale, sostituita con una copia per sottrarla alle razzie napoleoniche e mai restituita. La Città vanta una grande ricchezza “storico-artistica; è patria di famosi personaggi come Fortunato Benigni,il gesuita Luigi Lanzi uno dei più grandi storici dell’arte e studioso di archeologia e filologia del periodo etrusco, Ilario Altobelli matematico e astronomo compagno di studi di Galileo Galilei, Carlo Didimi giocatore di pallone con il bracciale cantato da Giacomo Leopardi nella canzone “A un giocatore nel pallone”, il vescovo Vignati fondatore dell’Accademia dei Sollevati poi detta Georgica una delle più prestigiose ed attive istituzioni scientificoumanistiche d’Europa di cui sono stati membri tra gli altri anche D’Alembert-Volta-Momsen, fornita di un edificio gioiello di architettura firmato Valadier e con un archivio storico scientifico di incunaboli e pergamene e reperti… - ad essa sono dovuti studi nel settore agrario e meteorologico e sulla estrazione dell’olio dai semi e nella introduzione di alcune coltura -, il Beato Pietro da Treia, la Dolores Prato già nominata, il cardinale Nicolò Grimaldi. Nel territorio vi sono diversi grandi insediamenti industriali, quali la LUBE, VISMAP… Nelle pubblicazioni turistiche della città si leggono queste espressioni: “A Treia stai come un papa”, “La bellezza di un capriccio”, “Religiosi…double face”, “Scienza e mistero”, “La Disfida del bracciale nella 1° domenica di agosto e settimana precedente con Cortei storici e addobbi e taverne e botteghe artigiane e scenari d’epoca che fanno rivivere il secolo d’oro di Carlo Didimi”, “Vi prenderemo a… calcioni e polenta”, per indicare la rinomata Sagra del Calcione e del Raviolo e poi … La Sagra Nel 3° e 4° fine settimana di settembre: l’Associazione Polentari serve questo piatto nei tradizionali condimenti di salsiccia e sugo di papera con farina locale; la manifestazione di grande spessore ha avuto il riconoscimento come prodotto tipico D.O.P. dalla Regione Marche. All’interno della FESTA, oltre la cucina che la fa da padrona, si trovano musica-folklore-artesport-cultura, teatro. La sua lunga tradizione ha fatto sì che la “polenta” di S. Maria in Selva abbia una vasta zona dove far giungere i suoi sapori. La festa ha ospitato anche grossi nomi dello spettacolo e della musica. S. Maria in Selva è tra i soci fondatori dell’ASSOCIAZIONE CULTURALE POLENTARI D’ITALIA ed ha organizzato nel 1998 il 4° RADUNO NAZIONALE POLENTARI, in cui le varie Delegazioni d’Italia hanno servito 35.00 piatti di polenta nei più svariati condimenti alle 22.000 persone intervenute. Ma “polenta” è sta anche coniugata con solidarietà, vedi CESI, - 1998 e 1999 - tra i terremotati, dove insieme ad altre Delegazioni d’Italia si è costruita una grandi eventi di condivisione con un forte messaggio sul volontariato e sul servizio! Un carissimo amico - Cesare Angeletti - marchigiano dal gran cuore e con una penna feconda brillantissima e arguta racconta de “La polenta che va alla guerra”: “…sembra un’affermazione un po’ strana; in effetti - scrive - il piatto nazionale delle Marche che ci ha dato il soprannome di “Marchiscià magnapulenda” ha partecipato alle due guerre mondiali e ai tremendi periodi del dopoguerra dando un po’ di sollievo ai nostri conterranei affamati dalle privazioni create dai conflitti. Sia nella prima sia nella seconda guerra i giovani di leva partivano, su suggerimento forte delle madri, con un sacchetto di farina di granoturco nel fondo del fagotto che conteneva gli abiti. La frase di accompagnamento era: Portetela, fiju caru, non se sa mai! Nelle difficoltà …tirato fuori il sacchettino di farina, vuotato l’elmetto, lo usavano dopo averlo ben lavato e rovesciato, come “caldaio” per far polenta. Insomma una provvidenziale razione K suppletiva! Tossignano Polenta con ragù Cenni Storici E’ un antico paese arroccato sulla collina gessosa dominante la valle del fiume Santerno, a 17 Km da Imola, all’altitudine di m. 279 sul livello del mare. Conta attualmente circa 500 abitanti. Non esistono documenti scritti attestanti la nascita del paese ed incerte risultano le origini del suo nome. In seguito alle invasioni barbariche i coloni romani e le popolazioni abitanti nella valle del Santerno si rifugiarono sui monti circostanti, dando così origine a nuovi insediamenti.Così forse nacque Tossignano. Per la sua posizione strategica il paese fu coinvolto nella guerra fra Bizantini e Longobardi. Nel 787 Carlo Magno fece dono di Tossignano e di tutta le diocesi di Imola agli Ostiari di Ravenna. Da questo momento la storia e le vicende di Tossignano sono spesso legate a quelle di Imola, di volta in volta come alleato o antagonista, conservando però sempre le proprie libertà comunali, i propri statuti, il proprio stemma di concessione imperiale:l’aquila nera su campo azzurro. Il primo millennio si conclude con la nascita a Tossignano del futuro Papa Giovanni X (914-928). Nel 1153, nel 1181 e nel 1198, mentre infieriscono le lotte fra Guelfi e Ghibellini, troviamo Tossignano alleato con Bologna e Faenza contro Imola. Ma proprio nel 1198, fattasi la pace fra Imola e Bologna, il paese, abbandonato al proprio destino, fu occupato e distrutto dagli Imolesi, che si vendicarono delle sconfitte subite. I profughi tossignanesi ottennero di costruire le proprie casupole sulla riva destra del fiume Santerno ai piedi del colle rimasto deserto per quattro mesi e nacque Borgo. Risorse pure Tossignano ad opera di potenti famiglie. Nel 1506 i Bolognesi fecero edificare in Tossignano una rocca imponente sui resti di fortificazioni preesistenti: il paese soffrì scorribande di armati e rappresaglie. Nel 1351 la rocca sostiene la resistenza di Roberto Alidosi, Signore di Imola, che ivi raccoglie truppe con le quali sconfiggere i Visconti di Milano. Tossignano rimase assoggettato agli Alidosi fino al 1424 con l’interruzione del breve dominio dei Bentivoglio e di Alberico di Cunio conte di Barbiano (1404-1408). Tra il 1424 e il 1441 passa dal governo della Chiesa a quello dei Visconti, poi ai Manfredi di Faenza che lo cedono agli Sforza. Passa poi al Duca Valentino (1500) quindi ai Veneziani (1503), al Papa Giulio II (1505) e ancora agli Alidosi (1530) e infine a Ramazzotto dei Ramazotti. Tra il 1537 e il 1538 Tossignano ricade in mano degli Imolesi che ne smantellano la rocca, cancellando così una delle più belle fortezze della Romagna. Paolo VI nel 1506 fece di Tossignano un feudo per il Marchese Antonio Carafa e comincia così la serie ininterrotta dei fondatori dello Stato di Tossignano, Fontana, Codronco e annessi: dai Carafa ai Borromei, agli Altemps che rimasero i signori di Tossignano fino al 1700. Sotto il loro governo il paese progredisce e cresce grazie al lavoro e soprattutto all’impulso di studi e di commerci.Tale sviluppo prosegue con i marchesi Spada di Bologna e Tartagli Marvelli di Forlì ultimo signore di Tossignano che perdette il feudo all’arrivo dei francesi nel 1797.Dopo la caduta di Napoleone, Tossignano ritorna alla Chiesa e farà parte dello Stato Pontificio fino alla proclamazione del Regno d’Italia. Nell’autunno del 1944, nel pieno svolgimento delle drammatiche vicende del secondo conflitto mondiale, la popolazione tossignanese fu costretta ad abbandonare in massa il paese che divenne un avamposto tedesco.Tossignano a poco a poco venne raso al suolo dai bombardamenti aerei, dai ripetuti cannoneggiamenti delle artiglierie pesanti e dallo scoppio di mine disseminate ovunque. Toccò a Tossignano il triste appellativo di Cassino della Romagna. Dal 1945 grazie all’immane e ostinato lavoro dei tossignanesi, il paese rinasce.Il provvisorio trasferimento della sede comunale a Borgo, avvenuto nel 1944 a seguito delle devastazioni belliche, con una discutibile decisione del 1954 diventa definitivo, la frazione di Borgo assurge a capoluogo del Comune e Tossignano viene declassato al rango di frazione; inoltre l’antica e storica deno- minazione “Comune di Tossignano” viene sostituita con “Comune di Borgo Tossignano”. Di Tossignano rimane però il suo glorioso passato, la sua storia, i ruderi dell’antica Rocca a strapiombo su un caratteristico rilievo della vena del Gesso, la sua stupenda posizione sulla collina dominante l’ubertosa valle del fiume Santerno. La Sagra “L’eccellentissimo Messer LEONARDO SINCIA DE SERMONETA Governatore de TOSSIGNANO, FONTANELICE et luoghi annessi ordina et comanda che lo jorno ultimo de carnevale se faza et se dextrebovisca ne la publica plaza polenta et vino in abundantia”. Così recita il bando istituzionale della festa della Polenta di Tossignano emanato il 1 febbraio 1622. Da allora, l’ultimo giorno di carnevale, viene festeggiato in Tossignano con grandi abbuffate di polenta ben condita con salsiccia e formaggio grana, offerta gratuitamente ai paesani ed ai forestieri. A memoria d’uomo questa festa, che si celebra con qualsiasi tempo, non ha subito interruzioni ad eccezione degli anni dal 1942 al 1945, periodo in cui infuriava la guerra che, tra l’altro, provocò la totale distruzione del glorioso paese di Tossignano. Negli ultimi anni la sagra della Polenta ha avuto un incremento notevole: si è gemellata con feste similari, come quella di Sermoneta (LT) e di Ivrea (TO); ha portato la sua antica tradizione in varie regioni, d’Italia, dove si è fatta apprezzare per l’abilità dei “polentari” e la bontà del prodotto. Nel maggio 1998 si è costituita ufficialmente in Tossignano l’ASSOCIAZIONE CULTURALE DEI POLENTARI D’ITALIA, alla quale hanno aderito tredici comitati che organizzano sagre o feste della polenta. L’apposito Comitato che organizza la Festa della Polenta di Tossignano provvede anche alla realizzazione di piatti pregiati in edizione artistica variati di anno in anno, decorati a mano da valenti ceramisti della Cooperativa Ceramica di Imola. Varone di Riva del Garda Polenta e mortadella La Città Varone, paese di origine medioevale, ricco di cultura artigianale a ridosso del lago di Garda, con famosa cascata e un singolare clima mediterraneo; tra le sue industrie, eccelle la cartiera Fedrigoni per la lavorazione di carte speciali. La Tradizione Locale Cinque secoli e 130 anni. Polenta e Mortadella La “Tradizionale distribuzione gratuita di Polenta e Mortadella” è una delle feste più antiche e conosciute del Trentino Alto Adige. La tradizione vuole si tenga annualmente la Prima Domenica di Quaresima a Varone, principale frazione di Riva del Garda (Trento), paese di origine medioevale, ricco di cultura artigianale a ridosso del Lago di Garda, e che vanta una famosa cascata ed un singolare clima mediterraneo. Per la tradizione locale la polenta ha un legame diretto con la vita, la fame, la sussistenza nei momenti più difficili della storia. Se poi appare unita con la mortadella (piccolo insaccato di impasto di suino puro con aggiunta di spezie e sapori) assume subito il significato dell’abbondanza e della festa che intende ricordare i disagi e le sofferenze di una vita ormai lontana, ma da non dimenticare. Nelle sue forme attuali la festa data sicuramente dall’anno 1877, quindi oltre 130 anni fa, ma le origini sono moto più antiche, risalgono almeno al 1463, anno in cui venne lasciato il giuspatronato al Comune di Riva da un certo Ser Gabriel de Pitiliani, fu Ser Valentino. Nel documento risalente al 25 marzo 1550 si riporta la notizia che l’allora Curato fu costretto ad officiare la messa all’esterno della chiesa, sul prato, tanta era la folla che si era radunata ed a distribuire ai presenti i prescritti quatto minali di frumento in pane cotto, accanto ad un minale di farina di fave cotte (polenta) e naturalmente una brenta di vino. Le origini di questa festa risalgono al dicembre 1708 quando il curato don Gaetano Bertoldi affermava di essere tenuto (in virtù di un beneficio di cui godeva le rendite, conferitogli dalla Comunità che ne deteneva lo Jus Patronatus) a distribuire nel giorno dell’Annunziata, nella chiesa di Santa Maria del Perdono) una soma di pane di frumento, una brenta di vino ed un minale di farina cotta. L’usanza, modificandosi, è giunta fino ad oggi e alla farina cotta (polenta) è andata ad aggiungersi la mortadella. La tradizionale dispensa gratuita di “Polenta e Mortadella” è senza dubbio un appuntamento da non perdere, in quanto offre alle migliaia di persone partecipanti dei momenti unici. Vernio Polenta con aringa e baccalà Cenni Storici Vernio è un comune di 6.090 abitanti, il più settentrionale della provincia di Prato. Esso è situato presso la grande curva del fiume Bisenzio e comprende le valli del Fiumenta, del Carigiola e la parte iniziale della valle del Setta, affluente del Reno. In tempi antichi il territorio adiacente al fiume ospitava un accampamento invernale romano (castra hiberna, da cui deriva il nome di Vernio), di questo periodo era testimone un ponte romano nell’abitato di Mercatale, distrutto durante la seconda guerra mondiale. Nel XII secolo il feudo di Vernio passò in eredità dai cadolingi ai Conti Alberti di Prato, che qui vi si ritirarono dopo il 1107 Passata nelXIII secolo ai bardi, la contea rimase indipendente fino al 1798, quando venne abolita da Napoleone. Dopo il congresso di Vienna, Vernio, passò sotto il Granducato di Toscana conservando una vera e propria autonomia amministrativa rispetto a Firenze, in quanto le tasse venivano pagate direttamente all’imperatore a Vienna. A causa della sua posizione geografica in quanto confinava a nord con lo stato pontificio, Vernio è stata per anni zona di brigantaggio e contrabbando e ha subito scorribande e saccheggi da eserciti stranieri. Famosa, a tal proposito, è rimasta l’invasione spagnola del 1512, che provocò una grande carestia a causa della quale i Conti Bardi distribuirono alla popolazione stremata dalla fame, farina di castagne, stoccafisso, baccalà e aringhe. da qui è nata la “società della miseria” che rievoca ogni anno questo avvenimento la cui ricorrenza era il mercoledì delle ceneri, da qualche anno spostata alla prima domenica di quaresima. Altrettanto celebre, nelle cittadina toscana, Valerio da Rimochi, soprannominato il “diavolo di Rimondeto”. Sospesa tra realtà e leggenda la sua storia parla della difesa di una coppia di giovani sposi costretti dal conte all’osservanza de” jus primae noctis” . La protezione che il giovane Valerio offrì alla coppia ebbe però un tragico epilogo: Il conte fu ucciso e finita con l’uccisione e il diavolo di Rimondeto esiliato a Roma al servizio dell’antipapa. Si dice sia morto da vecchio nella Badia di Montepiano dove aveva vissuto gli ultimi ani della sua vita come fra Pietro. La “Pulendina” Chiamata anche “Festa della Miseria” o “Pulendina”, la celebrazione di Vernio è nata per ricordare la carestia del 1512 a seguito dell’invasione spagnola. Gli abitanti della cittadina toscana, stremati dalla fame, furono saziati dalla generosità dei conti Bardi che. Per l’occasione, distribuirono polenta di castagne, aringhe e baccalà. Dalla fine del XVI secolo la manifestazione si celebra la prima domenica di Quaresima, anticamente era il mercoledì delle Ceneri, immutata invece la location: piazza di San Quirico di Vernio di fronte al Casone, oggi sede del Palazzo Comunale. Tramandata dalla Società della Miseria la festa corale, raccoglie intorno a sé lunghe fasi di prepa- razione: più di duecento volontari e ogni anno distribuiscono circa 5.000 porzioni di polenta pari 5 o 6 quintali di farina di castagne tutta tipicamente locale, prodotta nei comuni della Val di Bisenzio. La manifestazione, una delle più antiche rievocazioni storiche italiane, ogni anno registra sempre più successo e visibilità. Durante l’ultima edizione, ad esempio, hanno sfilato per le vie del paese oltre 600 figuranti appartenenti ai più antichi gruppi storici toscani con in testa il Gruppo Storico dei Conti Bardi e con i suoi splendidi costumi cinquecenteschi. Villa d’Adige Polenta con aringa e baccalà - Polenta e musso Cenni Storici VILLA D’ADIGE PRIMA CULLA ITALIANA DELLA POLENTA Documenti che non ammettono dubbi fissano la prima coltura di granoturco da noi nel 1554. “Una gloria veneta” è definito il mais, o granoturco, dal Messedaglia, il celebre medico e studioso che fu presidente dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, nelle sue “Notizie storiche sul mais” pubblicate nel luglio del 1924 sul Quaderno Mensile dell’Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle Venezie. Oltre che gloria veneta poi il Messedaglia è lieto di definire la polenta gloria veronese - polesana, piazzando la base delle coltivazioni italiane a Villabona, il paesino cioè che nel 1867 mutò il proprio nome in quello moderno di Villa d’Adige. Questo centro infatti apparteneva un tempo, assieme a Begosso, Castagnaro, Nichesola e Spinimbecco al veronese vicariato di Carpi (quest’ultimo paese, un tempo molto importante è ora una modestissima frazione di Legnago). Adesso Villa d’Adige appartiene come provincia a Rovigo, ed è frazione di Badia Polesine, e come diocesi a Verona e tale sua posizione dura dal tempo della caduta della Repubblica Veneta. Dopo una lunga premessa storica tendente a chiarire i vari punti controversi sulla questione appunto della introduzione in Italia della preziosa pianta, l’autore non esita a confermare, sulla scorta di uno studioso, il Ramusio, che proprio a Villabona, nell’anno 1554 “erano stati iniziati, verso quei giorni, degli esperimenti di coltivazione estesa - di “campi intieri” - di un grano nuovo per l’Italia, il mais d’America: mais di due varietà, cioè a semi bianchi e a semi rossi”. In tema di granoturco si fece a lungo una grande confusione poiché con quell’appellativo generico di “turco” vennero confusi con sorprendente facilità vari tipi di graminacee. E la ricorrente parola “formenton” servì ad ingarbugliare ancor più la faccenda. Infatti con i due termini si nota che venivano ugualmente denominati il sorgo, la meliga, il miglio e numerose altre piante. Né i disegni che corroborano le varie istorie contribuiscono molto a chiarire. Il Messedaglia però non difetta di chiarezza e con una serie di argomentazioni serrate scarta ogni ipotesi troppo vaga per portarsi a quello che è l’autentico “formenton” da polenta. Né fa parsimonia di citazioni greche e latine e medioevali, e scomoda persino il grande Omero. Dopo tanta testimonianza non saremo certo noi a porre in dubbio quanto scrisse lo studioso veronese. Non risulta neppure che altri l’abbia fatto. Qualche ricerca condotta negli archivi della millenaria Abbazia della Vangadizza, proprietaria a quei tempi delle terre in cui le prime piantagioni si sarebbero verificate, non ha approdato a nulla, per quanto io sia convinto che qualche testimonianza ci possa essere, tenuto conto che tutto l’alto Polesine, bonificato dai Monaci della Vangadizza, doveva al Monastero le decime dei raccolti, e che tali decime erano regolarmente registrate. La parte più consistente dell’archivio in parola fu però passata da Napoleone all’Archivio di Stato di Modena, ed è forse là che qualche testimonianza si potrebbe trovare. Ma val la pena, domando, di scomodare tante carte e tanta vetusta polvere per la pur saporita ma umilissima polenta; per quella preziosa vicenda che a torto, secondo il Messedaglia, fu per tanto tempo considerata la causa della pellagra, mentre invece contribuì a salvare tante vite umane in tempi di carestia; per quella polenta in virtù della quale gli abitanti del sud sono soliti chiamare noi del nord col nome di polentoni? 31 Ottobre1951 Giovanni Beggio