Gruppo Sbandieratori Sansepolcro
Dal 1953, amicizia e cultura in Italia e nel mondo
Da sempre ed ovunque,ogni comunità si riconosce e si
definisce attraverso alcuni simboli. Le insegne, i drappi e
le bandiere fanno parte di questi simboli, diventando un
momento di orgoglio e di unione tra le genti.
Nell’Europa tardo-medioevale spesso interessata da conflitti, erano gli ufficiali alfieri con le loro bandiere a precedere
gli armati. Dette bandiere corredate da lame, divenivano
vere e proprie armi. Nei periodi di pace, gli alfieri si trovarono a sviluppare ed a affinare le loro tecniche, dando
sempre più ad esse una valenza di gioco e di spettacolo.
Nascevano gli sbandieratori.
A Sansepolcro, splendida cittadina rinascimentale nel cuore dell’Italia centrale, nel 1953, la Società dei Balestrieri,
portatrice della secolare tradizione del Palio della Balestra,
decise di riscoprire questa antica forma di spettacolo, andando a costituire una compagine di sbandieratori.
Gli Sbandieratori di Sansepolcro, primo gruppo costituitosi in Italia, è tutt’ora il più antico tra i gruppi simili in
attività. Oltre agli esercizi codificati nei manuali, gli Sbandieratori si ispirano alle geometrie del figlio più illustre di
Sansepolcro, Piero della Francesca, il grande pittore maestro
della prospettiva, omaggiato anche con la collaborazione
del celebre artista contemporaneo Milton Glaser, di cui gli
Sbandieratori hanno organizzato una importante mostra
dedicata appunto ad una rivisitazione di alcune opere del
maestro(foto mostra,catalogo). Inoltre il Gruppo ha organizzato mostre con il pittore Franco Alessandrini, nativo di
Sansepolcro, ma che vive e lavora a New Orleans in USA.
Altra iniziativa fatta è stata la ristampa in anastatica del
manuale “ La Bandiera” di Francesco Ferdinando Alfieri
( anno 1638), manuale da noi ritrovato nel 1966 presso
la Biblioteca nazionale di Firenze.
Inoltre il Gruppo Sbandieratori di Sansepolcro possiede
una fornitissima collezione di stampe originali, del 1500 e
1600, raffiguranti sbandieratori in azione. Il Gruppo, composto da sbandieratori, tamburini e chiarine, utilizza drappi
dipinti a mano, ed indossa costumi prodotti da qualificate
sartorie teatrali. Ogni secondo Sabato di Settembre, nella
piazza principale della città, il Gruppo offre a concittadini
ed ospiti un saggio completo della propria attività, nel corso
della serata dedicata ai Giochi di Bandiera. Portare il nostro
spettacolo in giro per l’Italia e per il mondo crediamo sia un
messaggio importante di pace ed amicizia, ed il nostro impegno nel prepararlo ed eseguirlo è sempre stato pienamente ripagato dal successo che ogni tipo di pubblico ha deciso
di tributarci, avendo l’occasione di apprezzare questa forma
di cultura così tipica della nostra terra e del nostro passato.
Senza annoiare con un elenco di luoghi e date,crediamo
che l’immagine sottostante testimonia con chiarezza la
portata del nostro lavoro attraverso tutti i continenti.
Saluto della Pro Loco di Monterchi
Presidente Giuseppe Martellini
L
’amicizia è la solidarietà dei sentimenti quando
l’anima vive in simbiosi di gemellaggio.
Cosi recita un antico proverbio, ed è con questo spirito
che il prossimo 29 e 30 Maggio, il comune di Monterchi aprirà le porte al X raduno dei Polentari d’Italia.
Spinti dall’entusiasmo dell’avventura, dall’amore verso
le nostre tradizioni, la Pro Loco di Monterchi ha accettato, con grande orgoglio, questa scommessa. Una
scommessa a tratti ardua, complessa che non si sottrae
a difficoltà ed ostacoli, una scommessa che però ci rende fieri di far parte di questa importante realtà. Era il
22 Giugno del 2008 quando decidemmo di addentrarci
in questa suggestiva avventura, da allora sono passati
quasi due anni e la convinzione di aver fatto la scelta giusta è sempre più forte. Monterchi è uno scrigno
insito di storia e cultura e il X raduno dei Polentari
d’Italia non deve essere vissuto come una mera esibizione, fine a se stessa. Questa manifestazione è linfa
vitale per il territorio, un vettore indiscutibile di valori
come l’amicizia e la riscoperta delle tradizioni, questo raduno è la volontà di conservare e far conoscere
la storia e la cultura popolare tipica di un territorio,
per un festival appetitoso all’insegna della convivenza
civile. Questa manifestazione è il terreno più adatto
per allargare l’offerta turistica: non solo bei paesaggi,
monumenti e splendidi affreschi di Piero della Francesca, attraverso la polenta possiamo davvero scoprire
l’identità di alcuni paesi italiani. Mentre scrivo queste
righe, ricche di colore e di festa, il mio ricordo vola
verso il fondatore della manifestazione, Walter Mita,
recentemente scomparso. Uomo caparbio, determinato, dall’animo genuino, un capitano di vascello che in
un solo gesto ha riunito l’Italia intera. A lui e all’intera
famiglia va il nostro più sentito cordoglio. Dopo questa
parentesi doverosa e sentita allo stesso tempo, ritorno a
quella che è l’essenza di questa iniziativa: voglio infatti,
ringraziare tutte le delegazioni intervenute, la Cassa di
Rurale di Anghari, la Camera di Commercio, la Comunità Montana Valtiberina Toscana e la Provincia di
Arezzo. Un grazie sincero anche ad alcune realtà locali.
Grazie all’amministrazione comunale che fin dall’inizio, ha accolto e sostenuto questa nostra iniziativa, un
caloroso abbraccio alle associazioni monterchiesi e a
tutti i privati che ci hanno aiutato nell’organizzazione
dell’evento e un ringraziamento speciale anche agli
abitanti del centro storico che per qualche giorno si vedranno privati della loro libertà:
“grazie di cuore sperando che i vostri sacrifici siano
ampiamente ripagati dal flusso di gente che in questi
giorni approderà a Monterchi”. In ultimo, il ricordo
di quell’estate, ancor viva nei ricordi, quando San Costanzo, in occasione del IX raduno dei Polentari d’Italia
ci cedette il testimone, allora noi lo accettammo con
orgoglio e soddisfazione consapevoli del sacrificio che
ci aspettava, un sacrificio affrontato con autenticità e
fierezza qualità ben visibili tipiche della Pro Loco monterchiese. Nel 2012, sulla scia della polenta, sarà Villa
d’Adige ad accogliere le delegazioni italiane, un augurio
sincero e un in bocca al lupo per quella che è una delle
più importanti manifestazioni italiane.
Giuseppe Martellini
Presidente Pro Loco Monterchi
Il Saluto dalle Istituzioni
E
’ con grande piacere che Monterchi si accinge ad
accogliere il X Raduno dei Polentari d’Italia, una
manifestazione che si propone di promuovere i paesi e le associazioni che tradizionalmente si dedicano
alla coltivazione del granturco e alla produzione della farina di polenta.
Non si pensi a queste attività come secondarie e di poco
conto. Al di là del fatto che è sicuramente giusto sottolineare l’importanza di questi raduni come momenti di
incontro tra persone che condividono la passione per il
volontariato e l’amore per la propria terra, è proprio anche attraverso eventi di questo tipo che il nostro Paese
può riflettere sulla propria storia e le proprie tradizioni
e pensare, non già all’Italia che fu, ma alle prospettive
che, in quest’epoca di crisi economica e morale, grazie
alla terra, si possono aprire.
Monterchi e la Valtiberina hanno qualcosa da dire in
questo senso. Non si tratta solo di mettere in evidenza la nostra vocazione all’agricoltura, che nel tempo si
è mantenuta anche grazie all’impegno e ai sacrifici di
tanti operatori del settore.
Si tratta di Storia.
Qui il paesaggio parla e ci racconta di una comunità
che ha saputo mantenere la propria essenza, senza mai
chiudersi in se stessa, ma che è stata capace di aprirsi
con intelligenza al mondo esterno, perché terra di confine tra Umbria, Marche e Romagna.
Qui Piero della Francesca, che tutti chiamano con confidenza Piero, ha lavorato la sua terra come produttore di guado,
una pianta per ricavare una tintura tessile color indaco.
E qui Piero ha realizzato i suoi capolavori, che sempre, nella perfezione prospettica che li caratterizza, ci
rimandano alla concretezza del pensiero razionale di
chi sa esattamente da dove le cose vengono.
Partiamo dunque dalla nostra Storia per accogliere con
consapevolezza i nostri amici provenienti dai paesi della
polenta, perché insieme possiamo vivere questa esperienza in letizia e proporre un messaggio di speranza
incentrato, indubbiamente, sui valori dell’accoglienza
e dell’amicizia, ma anche sulla certezza che solo nel rispetto delle nostre radici c’è futuro.
Massimo Boncompagni
Sindaco di Monterchi
C
on grande piacere e soddisfazione esprimo il
mio benvenuto al “X Raduno Nazionale Polentari d’Italia” che sarà ospitato nei giorni 28-2930 del mese di maggio p.v. a Monterchi, splendido
borgo medievale della provincia di Arezzo.
Da tutta Italia arriveranno 16 delegazioni, i migliori polentari per “raccontarci” la tradizione di questo
piatto antico a cui Monterchi, tra l’altro, dedica la
rinomata Sagra che si svolge ogni anno a settembre
Il territorio aretino è da sempre attento alle produzioni tradizionali d’eccellenza e l’impegno del
nostro ente è continuo, concreto e si realizza in
tanti progetti di qualificazione delle produzioni
d’eccellenza, di sviluppo della filiera corta, di attenzione alla tracciabilità del processo produttivo,
di potenziamento delle sinergie tra il mondo della
produzione e il mondo del consumo, di occasione
per le piccole produzioni e per i piccoli produttori.
La Strada del Vino “Terre di Arezzo”, le Strade dei
Sapori, il Mercatale, sono tutte iniziative di promozione, conoscenza e valorizzazione che, inoltre,
uniscono e rafforzano il connubio tradizione locale
e promozione turistica dei territori. Propositi che si
ritrovano nel “X Raduno dei Polentari”. Riscoprire
le tradizioni, i sapori, la cultura contadina e l’attenzione ai prodotti locali, alle nostre tipicità significa
ritrovare le nostre radici, perché dietro la riscoperta
e la valorizzazione di un piatto c’è il ricordo e la
riscoperta dei momenti cui quel piatto era legato; è
conservazione del patrimonio culturale, è simbolo
di sapori e tradizioni della nostra civiltà contadina,
ma è anche educazione delle nuove generazioni al
gusto delle cose buone.
Questa iniziativa è, infine, un invito a visitare Monterchi paese della Madonna del Parto di Piero della
Francesca, tappa d’obbligo, insieme a Sansepolcro
e Anghiari, lungo il “sentiero dell’arte” pierfrancescana. A Monterchi, potete trovare tradizione, arte,
storia e il paesaggio che fa di queste zone uno dei
luoghi più belli della Toscana.
Roberto Vasai
Presidente della Provincia di Arezzo
Il Saluto dalle Istituzioni
I
n qualità di amministratori della Comunità Montana Valtiberina, portiamo il nostro caloroso saluto a tutti i partecipanti del Raduno Nazionale dei
polentari d’Italia, evento che profuma di storia e di
tradizione. Non si tratta di un semplice appuntamento gastronomico ma anche culturale, dato che
questo alimento - la polenta appunto - ha rappresentato per tanti un essenziale base di sostentamento e
ha attraversato secoli di vita delle nostre popolazioni. La polenta rappresenta al meglio l’emblema di
quella civiltà rurale che ha contrassegnato la crescita
della società tiberina. Una società che nel frattempo
si è evoluta ma non ha mai reciso il cordone ombelicale con le sue tradizioni e con il suo patrimonio
passato. Significativo poi che questo evento si tenga
a Monterchi, “patria” della polenta per eccellenza,
dato che è proprio sulle rive del Cerfone che si tiene,
da sempre, un apprezzatissima kermesse interamente dedicata al cosiddetto “cibo dei poveri”. Questo
raduno sarà così l’occasione di far incontrare alle
nostre latitudini tutti coloro che con passione custodiscono gelosamente l’arte di cucinare la polenta.
Ma significa anche la possibilità di promuovere turisticamente l’antico borgo di Monterchi e l’intera
Valtiberina, terra ricca di storia e che conserva intatti
i suoi tesori architettonici, artistici, ambientali. Un
ringraziamento agli organizzatori di questa significativa manifestazione, assieme al più cordiale benvenuto a tutti gli ospiti che durante i giorni del raduno ci
faranno onore della loro presenza.
Riccardo Marzi
Presidente Comunità Montana Valtiberina
Marcello Minozzi
Assessore turismo Comunità Montana Valtiberina
Monterchi tra cultura e tradizione!
Ovvero, l’arte di fare la “polenda”, polenta
secondo la tradizione della gente italica
D
omenica 30 maggio, le città polentare d’Italia
offriranno una succulenta degustazione delle
loro italiche polente ai visitatori che numerosi, secondo la consuetudine, affolleranno le vie, le piazze e
i vicoli del centro storico in festa, a Monterchi.
La polenta, una volta era il cibo dei poveri e veniva
cucinata in tutta Italia con decine di ricette, oggi è
diventata un piatto prelibato, apprezzato dai buongustai: dal ragù di carne di vitello, al suino, alla papera, passando per il baccalà, lo stoccafisso, il merluzzo, le acciughe, il tonno, le alici, il brodetto, con
le salsicce, le lumache, le cipolle e chi ne ha più ne
metta, mille modi di cucinare ciò che oggi è la regina
della festa.
Senza ombra di smentita, va alle varie Prolo Loco, il
merito di mantenere viva la tradizione culinaria della
polenta, nelle sue diverse specificità, congiuntamente ad altri caratteristici comitati cittadini, attraverso
lo svolgimento delle Sagre Paesane che annualmente
promuovono fattori favorevoli alla promozione turistica, spostando masse considerevoli di persone nei
centri storici, con visite a musei, chiese, monumenti
ed altre bellezze cittadine.
Come componente del Consiglio Regionale delle
Pro Loco della Toscana, sono orgoglioso che tre Paesi della nostra regione facciano parte dell’Associazione delle Città Polentare d’Italia: Guardistallo, Vernio
e il mio... Monterchi. Noi toscani siamo ghiotti della
polenta, tanto che i rappresentanti delle oltre 45 Pro
Loco della Provincia di Arezzo, nella mattina di domenica 30 maggio si riuniranno in assemblea, proprio in Valcerfone, al fine di testimoniare la volontà
di mantenere viva questa tradizione e poter poi...
gustare la prelibata polenta.
Bruno Polverini
Presidente del Comitato Provinciale
delle Pro Loco Unpli di Arezzo e
Componente del consiglio
regionale Unpli della Toscana
Polentari
I Polentari
Monterchi
Polenta con sugo ai funghi e cinghiale
L’ultima testimonianza di Valter Mita, fondatore dell’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia. Questo articolo scritto da
Mita un mese e mezzo prima della sua
morte improvvisa è l’eredità preziosa e
commovente di un “pater familias” indimenticabile.
IL DONO DI VALTER
Il “pezzo” datato 11 Febbraio 2008 ha una postilla scritta a mano dall’autore Valter Mita. “Da
domenica prossima sarò assente fino al 5 marzo”. Appena 25 giorni più tardi, lui, l’ideatore dell’Associazione Culturale Polentari d’Italia, moriva all’ospedale di Imola. Mita è nella memoria
riconoscente di tutti noi per un itinerario costante di crescita e maturazione.
E’ il pater familias che ha offerto e continua ad offrire “compagnia” speciale
perché ha inserito in tutti i polentari il suo Dna di storico e ricercatore, tanto
da contagiarci. Con particolare emozione pubblichiamo, dunque, questo suo
ultimo scritto, testimonianza viva e commovente. Lo facciamo bene attenti
a quello che Mita ci faceva osservare nel suo estremo. N.B. “Il mio nome si
scrive con la V normale e non con la W doppia”. Tranquillo Valter, non ci
sbaglieremo e faremo premura al proto in tal senso. E soprattutto un caro
saluto da tutti noi.
Nel 1988, quando già mi interessavo attivamente della Festa della Polenta
a Tossignano, mi venne il desiderio di conoscere l’esistenza di altre località
ove si svolgevano simili manifestazioni. Mi accinsi allora a scrivere agli
assessorati competenti delle regioni per chiedere notizie in merito. Le risposte mi giungevano e subito contrattavo le varie Associazioni interessate
per potermi recare presso di loro. Avvenne così che dopo vari scambi di
lettere e telefonate il 14 giugno 1988 mi recai con mia moglie a Sermoneta,
patria di Leonardo Scincia governatore di Tossignano che il 1° Febbraio
1622 istituì la prima distribuzione di polenta ai tossignanesi. Ad attenderci
all’ingresso della bella cittadina laziale trovammo il maestro Guido di Falco
divenuto mio grande e sincero amico ed ora purtroppo scomparso. Con lui
visitammo Sermoneta in attesa dell’arrivo del dottore Antonio Scarsella,
assessore alla Cultura di quel comune, che ci offrì il pranzo nel corso del
quale illustrai il motivo della mia visita che mirava a promuovere un gemellaggio fra le nostre sagre. La proposta fu accolta favorevolmente e con
entusiasmo e da allora gli scambi di delegazioni si sono sempre susseguiti.
Il 1° Ottobre dello stesso anno, una piccola delegazione si recava ad Ivrea,
accolta personalmente dall’amico carissimo Walter Garetto, Bano della
Croazia e dai locali polentari ed anche in tale occasione veniva sancito un
ulteriore gemellaggio che il 7 febbraio 1989 si celebrò a Tossignano con la
distribuzione di polenta cucinata e condita secondo le rispettive tradizioni.
Ad immortalare l’evento veniva scoperto un pannello in ceramica posto
sotto il porticato del Palazzo Pretoriale. Ma il numero delle località interessate alla polenta aumentava per cui proposi di organizzare un raduno
nazionale. Avrei desiderato che il primo si fosse svolto a Tossignano, ma
per la difficoltà di reperire fondi accantonai l’idea fino a quando gli amici di
Sermoneta mi comunicarono la loro decisione di ospitare il primo Raduno
dei polentari d’Italia e io ne fui oltremodo felice. Avvenne nei giorni 28,
29 e 30 maggio 1993 quando 13 paesi portarono tra le mura dell’antica
cittadina i profumi e i sapori delle rispettive polente ottenendo un grande
successo di pubblico e di critica. Devo essere grato a questi amici per avere
avuto il coraggio di iniziare un’avventura che ogni due anni viene ripetuta
nelle varie località. Fu poi la volta di Arborea che nei giorni 20, 21 e 22 Ottobre 1995 ospitò il 2° Raduno ottenendo ancora uno strepitoso successo.
Il 3° Raduno avvenne il 29, 30 e 31 Agosto 1997 a Riva del Garda nella
straordinaria cornice del lago. Qui mi è doveroso ricordare lo scomparso
presidente Bruno Pasini. Seguì il 4° Raduno a Santa Maria in Selva – Treia
dal 21 al 23 Agosto 1998, sede del Presidente nazionale don Giuseppe
Branchesi, ed anche quella volta il concorso di pubblico fu straordinario.
Castel di Tora accolse nel duemila, dal 23 al 25 giugno, il 5°Raduno pure
con grande successo. Venne poi la volta di Sa Quirico di Vernio ad ospitare
il 6° Raduno nei giorni 21, 22 e 23 Giugno 2002 con notevolissima partecipazione popolare nonostante il caldo torrido. Il 7° Raduno si svolse ad
Ivrea il 18, 19e 20 Giugno 2004 ed anche qui il successo è stato davvero
straordinario. Venne poi la volta di Guardistallo ad ospitare l’8° Raduno
nei giorni 12, 13 e 14 maggio 2006, un altro grande concorso di pubblico.
(Valter accenna poi al raduno di San Costanzo che si sarebbe tenuto dal 21
al 23 Giugno 2008 e che lui non fece a tempo a vedere, ma la sua previsione
di un “notevole successo” sarebbe stato ampiamente azzeccata ndr). Un
evento molto importante avvenne il 19 Aprile 1998 quando alcuni gruppi
di Polentari si recarono a Cesi per portare festa e solidarietà alle popolazioni colpite dal disastroso terremoto umbro – marchigiano. Altro evento importante il 27 Maggio 1998 a Tossignano quando i rappresentanti di tutti
i veri comitati si riunirono a Villa Santa Maria, alla presenza del notaio,
per celebrare la nascita, con atto costitutivo, dell’Associazione Culturale
dei Polentari d’Italia. Questi incontri e questi raduni, oltre a far conoscere
in Italia le varie tradizioni locali hanno promosso tante nuove amicizie che
si auspichiamo continueranno nel tempo anche con le generazioni future.
Valter Mita.
(dal libro “La polenta nell’Italia dei polentari. Storia, miti e tradizioni”.
Edito nel 2010 dall’Ass. Culturale Polentari d’Italia pag. 15).
LE SPECIALITA’ CULINARIE
I sedici gruppi polentari aderenti all’Associazione Culturale dei Polentari
d’Italia si distinguono fra di loro per il proprio tipico condimento della polenta; sedici modi diversi di cucinare il piatto della tradizione: la Pro Loco
di Altidona (AP) propone polenta con sugo di lumache di terra; la Pro Loco
- Gruppo Polentaro di Arborea (OR), che discende dai primi bonificatori
che emigrano in quella terra malsana e che la resero fertile con una florida agricoltura, condiscono la polenta secondo la tradizione importata dal
continente (veneti, emiliani, friulani e romagnoli) con luganega (salsiccia)
ai ferri; la Pro Loco di Castel di Tora (RI) prepara un polentone condito con
un sugo magro di baccalà, aringhe, tonno e alici; la Pro Loco di Guardistallo
propone polenta con sugo di funghi e cinghiale; il Comitato della Croazia di
Ivrea, polenta con un sugo di cipolle e merluzzo; la Pro Loco di Linguaglossa
(CT) polenta con salsiccia siciliana , pancetta di maiale e muscolo di vitello; la Pro Loco di Monterchi (AR) propone polenta con ragù: la Pro Loco
di Polverigi(AN) come tradizione marinara polenta ai frutti di mare; la Pro
Loco di Ponti (AL) polentone con frittata e merluzzo; la Pro Loco di San Costanzo (PS) da antichissima ricetta dei maestri polentari condisce una soffice
polenta con ragù di carne; la Società della Miseria (PO) prepara un polentone
di farina di castagne che viene tagliato con un filo di cotone e degustata con
aringhe e baccalà; l’Associazione Festeggiamenti Centro Storico di Sermoneta prepara una polenta con salsicce; il Comitato Sagra della Polenta di Santa
Maria in Selva - Treia (MC) propone polenta con salsiccia e sugo di papera;
il Comitato Festa della Polenta di Tossignano (BO)propone polenta al ragù;
il Comitato Polenta e Mortadella di Varone di Garda - Riva del Garda(TN)
prepara un polentone da mangiare con la mortadella (simile alla salsiccia
o luganega); il Gruppo Manifestazioni Villa d’Adige (RO) un’accattivante
polenta con baccalà e polenta e musso (somaro).
I RADUNI
L’evento, che ha cadenza biennale, consiste nel proporre, da parte di ogni Gruppo polentaro partecipante, la propria ricetta tipica del cucinare la polenta; quindi ben sedici o più rigorosi modi di preparare un prodotto base uguale quale la
“farina di granturco” ma arricchito di condimenti diversi, ottenendo così piatti
dal gusto straordinariamente diverso quando li si degusta. Un confronto e non
una sfida tra polente, una vera scuola di cucina regionale espressa dalle capacità
culturali e gastronomiche dei polentari. Dal 1993, a distanza di diciasette anni,
che dimostrano la caparbietà e volontà dei “Polentari” , si sono tenuti ben nove
“raduni” che si sono svolti in città storiche e turistiche di tutta Italia:
1993, I Raduno Sermoneta (LT)
1995, II Raduno, Arborea (OR)
1997, III Raduno, Riva del Garda (TN)
1998, IV Raduno, Treia (MC)
2000, V Raduno, Castel di Tora (RI)
2002, VI Raduno, San Quirico di Vernio (PO)
2004, VII Raduno, Ivrea (TO)
2006, VIII Raduno, Guardistallo (PI)
2008, IX Raduno, San Costanzo (PU)
2010, X Raduno, Monterchi (AR)
2012, XI Raduno, Villa d’Adige (RO)
Saluto del Presidente
dell’Associazione Culturale dei Polentari d’Italia
C
arissimi
Sig. Sindaco di Monterchi-cittadini-ospiti-Delegazioni, intendo scrivere una ‘lettera aperta’ a tutti voi,
per dirvi:
Vivrete un grande “evento”, il Raduno Nazionale dei
Polentari d’Italia, nei giorni 28-30 maggio 2010!
Ci saremo dentro tutti, meravigliati di come un po’ di
polenta riesca a fare tanto:
- animare i gruppi e le Delegazioni, provenienti da tutte le parti d’Italia per “servire” gli altri,
fare volontariato, creare amicizia;
- convincere, con la “sua storia”, anche le autorità a dare man forte ai polentari;
- per accogliere elegantemente gli ospiti numerosi e offrire loro il meglio della bella cittadina di Monterchi, a cominciare dalla grandiosa
opera d’arte “Madonna del parto” di Piero della
Francesca esposta in elegante locale, la piazza,
le sue simpatiche viuzze, il suo “trono” naturale, dove la città è collocata per essere meglio in
mostra con una corona di molteplici colline
disseminate vicino, che come in un girotondo festeggiano le tante persone convenute al
Raduno e i tanti turisti corsi a contemplare la
meravigliosa “tela” quattrocentesca di Piero
della Francesca, e… ancora le proprie tipicità
gastronomiche e il castello ecc…
Già è ben nota ai paesi vicini la manifestazione della
SAGRA della Polenta di Monterchi, “polenta al ragù” e
quanta gente convoca attorno a questo “piatto”!
Il X° Raduno Nazionale Polentari sarà, anzi… è una
festa “esplosiva”, di cui i cittadini entusiasti a lungo faranno memoria, orgogliosi di aver ospitato tanti amici.
Un grazie esprimo all’Amministrazione Comunale di
Monterchi per la preziosa collaborazione offerta alla
Pro Loco per la riuscita di detta manifestazione.
Certamente il Raduno avrà una grossa valenza di promozione turistica della città di Monterchi, come pure sarà forte motivo di “dialogo e amicizia e apertura” tra
gli abitanti stessi.
Ai Polentari di Monterchi vive felicitazioni, per il lavoro svolto, da parte di tutte le Delegazioni presenti
al Raduno.
Con grande piacere annuncio la preziosa pubblicazione del libro “La polenta nell’Italia dei polentari. Storia,
miti e tradizioni”. Edito dall’Associazione Culturale
Polentari d’Italia 2010. Prima di chiudere queste righe,
vorrei ricordare l’ideatore dell’Associazione Polentari,
il carissimo Valter Mita di Tossignano e invitare tutti
i cittadini di Monterchi e gli ospiti ad un pensiero di
riconoscenza.
Con lui ricordiamo quanti hanno”costruito’ ieri la storia dell’Associazione stessa.
Da Monterchi “il testimone” passerà ai Polentari di Villa d’Adige (Rovigo) per il successivo Raduno Nazionale
Polentari d’Italia dell’anno 2012.
Fin da ora buon lavoro.
Don Giuseppe Branchesi
Presidente dell’Associazione Culturale
Polentari d’Italia
Polentari
Le Delegazioni
Monterchi
Polenta con Dove
sugo ai
trovarle
funghi e cinghiale
Monterchi la piantina
Polentari Monterchi
Polenta con sugo ai funghi e cinghiale
Sabato 29 Maggio
ore 9,00
Visita guidata delle Delegazioni al centro storico di Sansepolcro e Anghiari
ore 16,00
Partenza del corteo composto dalle 16 Delegazioni dal Mercatale, verso il
centro storico di Monterchi con costumi folkloristici accompagnati dalla
Banda Filarmonica di Lama con Majorettes
dalle ore 18,00
“I Gladiatori”
Domenica 30 Maggio
ore 9,00
Presso Teatro Comunale di Monterchi Assemblea Provinciale UNPLI
ore 10,00
Pedalata sulle colline della Val Cerfone
ore 11,30
S. Messa presso la Chiesa di S. Simeone, celebrata da Don Giuseppe Branchesi Presidente Associazione Nazionale Polentari d’Italia
ore 13,00
Apertura stands gastronomici con degustazione gratuita delle polente
tradizionali preparate dalle 16 Delegazioni provenienti da tutta Italia.
Durante la manifestazione si esibiranno gli artisti di Strada e gli
Sbandieratori di Sansepolcro
ore 18,00
Saluti di commiato e passaggio del testimone presso La Rocca per
l’XI raduno a Villa d’Adige nel 2012
Associazione Filarmonica Lama
“Fino a qualche anno fa, il pensiero sulla banda, per molti musicisti
e non (e forse per la maggioranza degli ascoltatori dei loro concerti
nelle piazze del paese) era alquanto superficiale, quasi fosse un fenomeno folcloristico da fiere e sagre popolari, da non prendere troppo
sul serio. Certamente questo atteggiamento di noncuranza, dipendeva in larga misura dal livello qualitativo medio degli esecutori
che, almeno fino a qualche tempo fa, era piuttosto modesto...”
L’Associazione Filarmonica Lama, è sicuramente un esempio dell’evoluzione bandistica avvenuta negli ultimi decenni, grazie all’impegno dei
suoi componenti e ai numerosi gemellaggi e scambi musicali effettuati
con altri gruppi Italiani ma soprattutto Nord-Est Europei, che hanno
una cultura musicale (e bandistica) diversa e forse più “seria” di quella
Italiana. Rifondata verso la fine degli anni 70, sotto la spinta di alcuni
appassionati musicisti e di tutto il paese di Lama, venne dato il nome
“La Mezza Età” (tratto da una delle prime marcette in repertorio) e fu
costituito un folto gruppo di majorettes. Da quel momento è stato un
crescendo di successi a livello locale, nazionale ed internazionale.
La guida artistica della Banda, è stata affidata da settembre 2008 al
M°Giovanni Comanducci. La banda infatti svolge ancora la tradizionale funzione di diffonditrice della musica e della cultura bandistica,
oltre che curare la formazione di forze artistiche emergenti. È attualmente composta da circa 35 musicanti, molti dei quali si sono formati
musicalmente nella propria scuola di musica. Il repertorio proposto
è vario ed intenso e spazia dalle marce da parata a composizioni di
tipo concertistico, preferendo comunque composizioni originali per
banda. Oltre al gruppo musicale, fiore all’occhiello dell’Associazione
Filarmonica Lama è da sempre il gruppo Majorettes formato dal gruppo delle “grandi”, composto da fanciulle dai 15 anni agli …enta, che
propongono un repertorio coreografico che spazia dalle più classiche
marce da parata a coinvolgenti danze etniche, senza dimenticare colonne sonore di film o musical. Il corpo di ballo (se così si può defini-
re) colora le proprie esibizioni talvolta con alcuni cambi d’abito e con
l’uso di accessori tipici della majorette, quali pom-pon, mazze, nastri,
ecc.. L’altra metà del gruppo, le “piccole”, è formato da allieve della scuola majorettes (completamente gratuita!!) che frequentano
ancora le scuole elementari o medie, e propone brani più giocosi
ricorrendo talvolta ad altri accessori più consoni, quali ombrelli,
cappelli, ecc… E’ proprio grazie alla varietà musicale-coreografica e
alla coinvolgente vitalità del gruppo che le majorettes e la banda di
Lama godono di simpatia e successo da parte del pubblico ad ogni
loro esibizione. Il merito va sicuramente condiviso con le responsabilicoreografe che sono Silvia del Bene e Sabrina Mariucci, che grazie alla
loro esperienza e pazienza sono riuscite a creare un gruppo affiatato
e di successo. La Filarmonica Lama è oggi un’associazione molto dinamica, con un’intensa e vivace attività che spazia dall’esecuzione di
concerti, alla partecipazione a parate, feste paesane e carnevalesche,
nonché a manifestazioni di carattere sociale, oltre che a promuovere
la diffusione della musica con varie iniziative. E’ consuetudine ormai
da anni, porsi l’obiettivo di effettuare trasferte estive, possibilmente
all’estero (quando anche le finanze lo permettono!). Questi scambi
culturali-musicali con altre realtà sono di notevole stimolo e crescita umana ed artistica. È anche questo uno dei motivi che favoriscono l’inserimento di molti giovani nella banda e nel gruppo
delle majorettes e l’innalzamento del livello qualitativo del gruppo.
Associazione Filarmonica Lama
Via nuova, 1 06013 - Lama - San Giustino - PG
www.filarmonica-lama.it
Presidente: Luca Rebiscini
Cell. 333 1551220
e-mail: [email protected])
Direttore: M° Giovanni Comanducci
Responsabili e coreografe majorettes:
Silvia Del Bene, Sabrina Mariucci
Monterchi
Terra di Piero della Francesca
Cenni Storici
La prima volta che vedrete Monterchi vi apparirà come un
paesino rurale, un’oasi tranquilla, ma se lo guardate bene con
la mente di un viandante dei secoli passati, capirete subito che
questo piccolo centro è un degno protagonista della grande
storia. Giace arroccato sull’antico Mons Herculis e si sviluppa
tra le colline che digradano verso la valle del Tevere, costellate di antiche pievi medievali e monasteri sparsi sul territorio. All’inizio del mondo Monterchi era solo un isolotto
dell’antico lago tiberino che andava da Sansepolcro a Narni,
ma, rievocando a ritroso la storia fino al Pliocene, ecco che si
scopre l’immagine poetica di una valle dell’Alto Tevere dove
pascolavano indisturbati elefanti, ippopotami, iene, castori e
bisonti. Un’immagine mitica, quella che sobbalza nella mente del viandante, un’immagine fatta di storia mischiata alla
leggenda. Dopo l’età romana Monterchi fu terra di conquista
per Goti, Bizantini e Longobardi. Attorno al 1200, il marchese Uguccione, signore di Monterchi, Citerna e Celle, si
mise sotto la protezione di Arezzo e dell’imperatore, i monterchiesi, sentendosi privati della loro libertà, si ribellarono
e scelsero Città di Castello e Papa Innocenzo III. Per secoli
il piccolo comune toscano fu oggetto del desiderio di Toscana ed Umbria. Nel 1265 il popolo monterchiese diede vita
al Libero Comune retto da 3 consoli. Nel 1300 tornarono
a comandare i signori locali e nel 1440, dopo la celeberrima
Battaglia di Anghiari, Monterchi divenne caposaldo del gran
ducato mediceo di Toscana. È di questo periodo la realizzazione del famoso affresco di Piero della Francesca raffigurante la “Madonna del Parto”, opera che l’artista dipinse come
omaggio alla città di Monterchi per aver dato i natali a sua
madre Romana. Durante il periodo della dominazione dei
Medici il borgo della Valcerfone venne fortificato mediante la
costruzione di un’imponente cinta muraria dotata di torri di
avvistamento che ancora oggi è possibile vedere. Alla morte
dell’ultimo discendente del casato mediceo, avvenuta all’inizio del XVIII secolo, i Duchi di Lorena salirono al potere e
posero in atto numerosi interventi miranti alla riqualificazio-
ne urbana e alla bonifica del territorio, favorendo un’ulteriore
crescita dell’economia locale. La dominazione lorenese venne
interrotta all’inizio del XIX secolo, con l’invasione dei francesi
guidati da Napoleone Bonaparte: nel 1815, con il Trattato di
Vienna, Monterchi fu assegnato al Granducato di Toscana e
nel 1861 venne annesso al Regno d’Italia per volere dell’allora
Re Vittorio Emanuele II di Savoia. In quegli anni, un certo
Giuseppe Garibaldi transitò tra Le Ville e Lerchi, ancora oggi
ci sono documenti che lo possono attestare. Fu il 1917 l’anno
più difficile nella storia di Monterchi: un violento terremoto
rase al suolo l’intera cittadina, fu in quell’occasione che la
tenacia e la determinazione tipica dei monterchiesi tornò a
galla, fieri ed orgogliosi della propria terra ricostruirono un
paese oggi meta indiscussa di oltre trentacinque mila turisti
l’anno.
La Sagra della Polenta
Un paiolo, un mestolo, farina di granturco e tanta dedizione,
sono questi gli ingredienti fondamentali che hanno permesso alla Sagra della Polenta monterchiese di divenire una vera
istituzione non solo all’interno dei confini comunali. Migliaia
sono le persone che ogni anno, provenienti da tutte le parti di
Italia vogliono assaggiare la prelibata polenta al ragù di carne,
i fegatelli o le salsicce nostrane. Un trionfo di tradizione, musica e folklore. Era il settembre del 1971 quando per la prima
volta, nel centro storico monterchiese, fu allestita la prima
edizione della sagra. Da allora sono passati 39 anni, ma lo
spirito e l’impegno che la Pro Loco riveste su questa iniziativa
è stato un crescendo di sacrifici ed emozioni. L’appuntamento
è per il penultimo fine settimana di settembre: inizialmente
gli stands gastronomici soggiornavano in paese solo il Sabato
e la Domenica, di recente poi, considerata l’alta affluenza di
visitatori, i festeggiamenti si sono prolungati comprendendo anche il Venerdì precedente la manifestazione. L’appuntamento è oggi irrinunciabile per i buongustai e i nostalgici
delle vecchie tradizioni: in quei giorni Monterchi diventa una
vera e propria esplosione di allegria e attività, dove tutti sono
impegnati in diverse mansioni e dove si respira un’aria del
tempo che fu. La sagra della Polenta nasce per volere della
Pro Loco monterchiese, un’istituzione nata il 6 febbraio del
1971 alla presenza del notaio Dr. Ferdinando Sorrentino. Nel
corso degli anni numerosi sono stati i membri che ne hanno fatto parte e sempre con rinnovato interesse ed impegno.
Attualmente la Pro-Loco è formata da 94 soci ed è così composta: Giuseppe Martellini presidente, Roberto Rondini vicepresidente, Bruno Polverini segretario, Sara Landini cassiere.
Per l’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia, i rappresentanti
sono Bruno Polverini, che ricopre anche la carica di Presidente Provinciale e consigliere regionale, Anna Maria Lejkowski
che fa parte del collegio dei probiviri regionali e Giuseppe
Martellini che fa parte, invece, di quello provinciale.
Madonna del Parto
E’ considerata una delle dieci opere più belle al mondo, da
sola riesce a portare, a Monterchi, oltre trentacinque mila
turisti l’anno, la Madonna del Parto è, da sempre, il fiore
all’occhiello della Valcerfone e dell’intera Valtiberina. Dipinta
da Piero della Francesca, si suppone nel 1459, anno in cui il
giovane pittore giunse in Valcerfone per partecipare ai funerali della madre originaria di Monterchi, la Madonna del Parto
è da sempre meta indiscussa per migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Restaurata nel 1992, l’opera è oggi
protetta da una teca climatizzata posta nel piccolo museo ad
essa dedicato in Via della Reglia. La Madonna del Parto appartiene al periodo della maturità di Piero della Francesca ,
essa è l’ espressione diretta della felicità creativa e della perfetta sintesi prospettica di forma e di colore tipiche dell’autore,
fornisce, inoltre, preziosi indizi per gli sviluppi futuri della
poetica del Maestro, sempre più attratto dalla realtà microscopica delle cose e dalle infinite potenzialità espressive della
luce. La Madonna del Parto, però non è solo arte, ma è anche
quel punto di incontro dove la cultura si fonde con il mito.
L’opera, dipinta in una piccola cappella adiacente al cimitero
monterchiese, in passato fu meta indiscussa di partorienti o
donne che desideravano diventare gravide, a Lei chiedevano
protezione durante il travaglio o un aiuto per poter avere figli.
La visita a Monterchi è dunque il coronamento ideale di un
percorso pierfrancescano, che comincia ad Arezzo, passa per
Sansepolcro e termina in Valcerfone. Ma Monterchi non è
solo la Madonna del Parto, altre importante tappe stimolano
il turista ad approdare in questo piccolo comune. Un altro
gioiello del territorio è infatti il Museo di Pesi e Misure, che a
breve sarà ospitato nel cinquecentesco palazzo Massi: si tratta
di una straordinaria e numerosa raccolta di strumenti di tutte
le epoche per la misurazione dei più svariati pesi. Si va dalle
gigantesche stadere dei secoli passati, alle bilance di precisione per gli esperimenti scientifici, tutte illustrate da esaurienti
didascalie, per quello che è uno dei musei più curiosi di tutto
il Centro Italia. Ad esso si aggiungono gli antichi sentieri,
come Via del Pozzo Vecchio che, costeggiando le mura di cinta del paese, conducono al centro storico: suggestivi e briosi
scorci di panorama che donano a Monterchi un’aurea mitica.
Schola Gladiatoria “LUDUS AEMILIUS”
Roma, Dies Natalis (a.U.C. 2762). Dopo lunga ricerca,
rivede la luce il LUDUS AEMILIUS, una delle palestre
gladiatorie di Roma (citata da Orazio nel 10 a.C.).
Traci, Mirmilloni, Hoplomachi, Reziari, Secutores,
Dimacheri e altri tipi di gladiatori riprendono vita in
grandi combattimenti spettacolari che appassionano
sia il pubblico che i rievocatori stessi.
Il LUDUS AEMILIUS ha anche un gruppo di Pugili
e Lottatori, gli spettacoli gladiatori vengono così
integrati da incontri di Pankration e Lotta.
Il suo simbolo è il Leone e il suo grido è:
“HIC SUNT LEONES”
Mons Herculis 2010 – Il ritorno dei Gladiatori
www.legioxii.it
Altidona
Polenta con le lumache
Cenni Storici
Altidona è un paese di circa duemila abitanti, situato in
collina a 223 metri sul livello del mare da cui dista circa quattro chilometri. All’origine fu un centro dei Piceni, successivamente fu insediamento nell’Ager Firmanum.
Nell’anno Mille divenne parte dei possedimenti dell’Abbazia di Montecassino, quindi dei Farfensi.
Nel 1507 diviene uno dei castelli di Fermo alla cui storia è
strettamente legato. In seguito il paese si è ampliato dando
vita al “Borgo”, quartiere fuori le mura e solo recentemente, alla frazione di Marina di Altidona che oggi è un centro
residenziale e turistico in notevole espansione: essa conta
tre campeggi, Mirage, Riva Verde e Garden River, immersi
nel verde della collina che dà sul mare.
Il centro storico di Altidona ospita manifestazioni di grande attrattiva ed interesse culturale. Il Presepe vivente, ad
esempio, che si svolge il 25 e 26 dicembre, rievoca la natività di Cristo nel suggestivo scenario del centro storico.
Duecento figuranti in costume d’epoca ricostruiscono laboratori artigianali e scene di vita risalenti a 2000 anni fa.
Oltre a ciò, tra i confini di Ascoli Piceno assai noti sono
la rassegna di teatro dialettale molto amata anche dai turisti, la mostra di arte contemporanea “stanze aperte” che
vede la partecipazione di artisti di buon livello tecnico, la
mostra fotografica del tedesco Martin Classeon ed il mercatino dei prodotti tipici.
La Sagra della polenta
La Sagra della polenta con lumache, blasone sovrano del
comune di Altidona, giunta alla sua 24° edizione, si svolge
la prima domenica di Agosto; l’intento è quello di rievocare la frugalità delle mense contadine e paesane.
La tradizione racconta che le lumache venivano raccolte
nei giorni di pioggia in campagna o lungo i fossati poi
fatte “spurgare” per vari giorni, lavate con sale ed aceto,
lessate e rifatte con il sugo, costituivano il condimento alla
polenta di mais coltivato nelle campagne di Altidona.
Un piatto povero ma altrettanto insolito e succulento tanto che la sagra, nel corso delle sue varie edizioni, ha riscosso un consenso sempre maggiore di pubblico, un pubblico
intenditore che non sa rinunciare al gusto particolare e
all’originalità del piatto marchigiano.
Arborea
Polenta e luganega
Cenni
Storici
ARBOREA STORIA
La Sagra della Polenta
Arborea è un comune di 3991 abitanti della provincia di
Oristano. Fu fondata nel ventennio fascista e venne inaugurata il 29 ottobre con il nome di Mussolinia. La denominazione attuale risale al 1944. La sua storia inizia negli anni
‘20 quando, la Società Bonifiche Sarde acquistò un vasto
comprensorio appartenente al Comune di Terralba, bonificandolo. I pionieri di questa bonifica si trovarono davanti tredicimila ettari di bosco impenetrabile popolato da 12
mandriani, costellati da 208 paludi confinanti con il Mare
Mediterraneo e lo stagno Sassu. Migliaia di persone vennero
impegnate in questa operazione di trasformazione fondiaria
che, nel tempo, assunse dimensioni bibliche per il travaglio
di un insediamento umano che patì sofferenze e privazioni
prima ancora di affrancarsi ad un regime di vera e propria
sudditanza. Il primo mezzadro arrivato ad Arborea, nel
1928, fu Alfonso Giorda di Bosa, inserito nella bonifica per
incarichi politici, seguirono le famiglie Tamburin, Panetto,
Cenghialta e altre. Il 29 dicembre del 1930 il Centro abitato
si costituisce in comune autonomo ed il 17 febbraio 1944
il nome di Mussolinia venne sostituito con quello attuale
di Arborea. L’emblema raffigurativo del Comune sardo è lo
stemma riconosciuto con il provvedimento del 19 Giugno
1958 dal Presidente del Consiglio dei Ministri ed iscritto
nel libro araldico degli enti locali. Lo stemma ha la forma
di uno scudo, dominato dalla corona della repubblica Italiana, sorretto da una bordatura a nastro con il motto “De
limo fertilis resurgo”. Esso si compone di due parti, di cui la
prima, in basso, indica la posizione geografica del Comune,
nel Golfo di Oristano e specchio mare antistante, nonché lo
stato squallido, impervio, desertico dell’originaria plaga con
più di quaranta tra paludi grandi e piccole, oltre a numerose
pozzanghere. La seconda parte, in alto, staccata dalla prima
con bordura rettangolare, in giallo, che circoscrive l’intero
scudo, su sfondo azzurro, indica il miracolo delle redenzione e trasformazione della palude, tra cui spicca il campanile
della Chiesa con la scritta “Resurgo” sul frontale. Le spighe
tra cui domina il campanile testimoniano invece, la fertilità
della nuova terra bonificata.
La Sagra della polenta di Arborea si tiene in autunno.
Questo piatto dalle tradizioni plebee, in una terra popolata da veneti, emiliani, friulani, romagnoli e sardi non poteva non costituire il momento per un incontro collettivo.
Le sue origini risalgono al novembre del 1982, quando
nella borgata di Luri si svolse il primo accenno di manifestazione a base di polenta, “osei” e salsicce. L’avvenimento
richiamò l’attenzione di migliaia di persone così che la Pro
Loco decise di inserire questa festa nel suo calendario di
attività promozionali. E’una piccola storia, quella della polenta di Arborea, ma significativa non solo per la gente che
richiama e per le persone che coinvolge nella sua organizzazione, ma per il fatto che l’evento si inserisce nell’ambito
delle iniziative che promuovono Arborea, il suo territorio,
la sua economia e le sue produzioni. Agli “osei” accompagnano le salsicce arrosto, lo spezzatino con il Tocio, il
caratteristico sugo, e il socculento baccalà. La polenta di
Arborea, piatto della gente del luogo e radicato nella tradizione popolare, attraverso questa manifestazione è entrata
di diritto tra i piatti tipico del luogo tanto che molti ristoranti la propongono come piatto prelibato.
Castel di Tora
Polenta con aringhe, baccalà, tonno, alici
Cenni Storici
Le origini di Castel di Tora, risalgono agli inizi dell’anno mille quando fu menzionato per la prima volta nei
documenti farfensi del 1035 con il nome di “Castrum
Vetus de Ophiano” . Per secoli la cittadina in provincia di Rieti fu conosciuta ai più come “Castelvecchio”
nome sostituito nel 1864 con quello di Castel di Tora,
appunto, in ricordo di un antico “pagus” sabino romano
detto Thora Thiora. Successivamente la proprietà del
castello fu dei Buzi - Brancaleoni e quindi dei Mareri,
ai quali fu confiscata nel 1241 da Federico II di Svevia.
Nel 1440 il feudo di Castelvecchio passò agli Orsini e
dal 1558 al 1570 agli Estouteville.Da tale data Castel di
Tora ritornò agli Orsini sino al 1634 per poi passare ai
Borghese. In seguito alla rivoluzione francese si verificò
l’abolizione dei feudi. Seguì la dominazione dei Brancaleoni, dei Cesarini e dei Mattei, fino ai Lante della
Rovere, ai Gentili e ai Principi del Drago. Dopo il 1862
Castel di Tora rimase aggregata all’Umbria, e cioè alla
provincia di Perugia, come tutto il circondario di Rieti, per passare nel 1923 sotto la Provincia di Roma.
Nel 1927 divenne parte integrante della realtà di Rieti.
Nel 1944 il borgo fu bombardato dagli aerei americani e
nel 1950 gli abitanti lo abbandonarono definitivamente.
Dopo oltre 40 anni di incuria il borgo di Antuni era
ridotto ad un cumulo di rovine ed ormai morto, fu nel
1992 che il palazzo del Drago venne acquistato dal Comune di Castel di Tora per impiantarvi un centro di
recupero per tossicodipendenti. Dal 1990 sul Monte vi è
insediata la Comunità Incontro di Don Pierino Germini
e dal 1996 è stata iniziata e portata a termine, l’opera di restauro e recupero del Castello del Drago. Oggi
Castel di Tora è una località di notevole interesse turistico e figura come uno dei “borghi più belli d’Italia”.
La Festa del Polentone
La festa del polentone è una tradizione secolare che si è
sviluppata a Castel di Tora in epoca remota di cui non
si hanno notizie storiche certe. Le uniche certezze che
si hanno riguardano il fatto che la polenta fatta con la
farina di mais, era la risorsa principale delle popolazioni
che abitavano in vallata prima che fosse realizzato il
bacino idroelettrico. Essa veniva condita con un particolare ragù magro i cui ingredienti principali erano e
sono tutt’ora costituiti da pesce tradizionalmente ritenuto “povero” in determinati contesti gastronomici,
come aringhe, stoccafisso, tonno, alici. La polenta, fino
ai primi anni ‘70 ha avuto una fisionomia tipicamente
paesana in funzione della quale il primo mercoledì di
quaresima gli anziani del posto, previo una questua generalizzata con cui venivano racimolati pochi chili di farina di mais e gli spiccioli necessari all’acquisto di tutto
quello che non poteva essere offerto dalla popolazione,
radunavano in pratica tutto il paese in piazza diventando così un eccezionale strumento di aggregazione
Guardistallo
Polenta con sugo ai funghi e cinghiale
Cenni Storici
Guardistallo sorge su una collina a 287 metri di altitudine e dista
dal mare, che ne rappresenta il panorama più tipico e affascinante
soltanto 10 km. La favorevole posizione geografica e la vicinanza
rispetto ai maggiori centri della Toscana ne hanno fatto un luogo privilegiato di villeggiatura, ma anche di abitazione. Il ritrovamento di reperti in pietra e in metallo(forse armi od utensili) e
il prezioso corredo di punte di lancia in selce, esposto al museo
archeologico di Cecina, testimoniano che la prima occupazione
del territorio di Guardistallo risale probabilmente all’età eneolitica (2400-1800 A.C.) Non si hanno notizie certe circa la presenza
degli Etruschi, ma di alcune fibule di età villanoviana indicano una
probebile continuità abitativa in questa zona, fittamente abitata
anche in epoca romana. Certa è invece la traccia del passaggio del
popolo Longobardo, tanto che si fa risalire l’origine del toponimo
“Guardistallo” dal germnico “Warte” (vedetta) o “Wardan” (guardia) e “Stall” (luogo). Questo nome fu assegnato dai Longobardi al
castello che costituirono, intorno al VII sec. D.C. sulla sommità del
colle dove sorge il paese e che passò sotto il dominio dei Conti della
Gherardesca dall’anno 1000 circa fino alla caduta della Repubblica di Pisa sotto Firenze nel 1400. Nel 1447 venne occupato dalle
truppe di Alfonso D’Aragona, re di Napoli, che distrussero gran
parte delle case e dei palazzi; rimase tuttavia in piedi gran parte
della roccia dei conti. Dopo lo scioglimento dei Feudi e la ridistribuzione delle terre nell’ambito della riforma agraria leopoldina si
formò, a partire dal 1776, anche a Guardistallo una nuova classe
di piccoli proprietari terrieri che favorì lo sviluppo dell’agricoltura
e di conseguenza la crescita del paese. Il 14 Agosto del 1846 i paesi
della costa toscana furono colpiti da un violento terremoto che in
pochi attimi abbattè case, palazzi, chiese e torri; Guardistallo fu
uno dei paesi più colpiti. Il 70% delle abitazioni e la parte più alta
del castello, del quale rimane solo l’arco della porta d’accesso, andarono completamente distrutte insieme alla chiesa , al campanile
e al cimitero ridotta ad un ammasso di macerie. Nel 1870 venne costruita la nuova chiesa, intitolata ai Santi Lorenzo e Agata,
patroni del paese, sul lato dell’abitato rivolto verso il mare, quasi
contemporanea è la costruzione di Villa Elena, casa residenziale dei
Marchionneschi, una delle famiglie più importanti di Guardistallo;
nel 1883 fu inaugurato il teatro luogo di svago per le famiglie ricche
ed espressione della loro agiatezza. E’ con riferimentoa questi tempi
e a testimonianza dell’eleganza della vita dei suoi signori che Guardistallo era chiamata “la piccola Parigi” e i suoi abitanti presero il
nome di “Calze Lunghe”. Alla fine della seconda guerra mondiale, il 29 Giugno del 1944, l0esercito tedesco in ritirata mise in
atto una feroce rappresaglia in risposta alle azioni partigiane
svoltesi nella zona. 63 persone, tra le quali donne e sfollati oltre al sindaco, eletto pochi giorni prima, vennero rastrellate,
portate fuori dal paese e fucilate. Un secondo eccidio di circa 120
persone fu impedito dall’eroismo del parroco del paese, Don Mazzetto Rafanelli, che si offrì personalmente in ostaggio. Tale gesto
gli valse in seguito la medaglia d’oro pegno dell’affetto di tutta la
popolazione. Nel 1997 il comune di Guardistallo è stato decorato con la medaglia di bronzo al merito militare e al valore civile.
La Pro Loco Guardistallo
Parlare della Pro Loco Guardistallo significa iniziare dalla polenta, cibo povero della grande cultura contadina, da preservare
e tutelare. La Pro Loco nasce nel 1967 grazie ad un gruppo di
concittadini con l’intento di valorizzare il paese ed il suo territorio; questo gruppo di volenterosi paesani decide di organizzare
una sagra e la scelta ricade sulla polenta. Da allora sono trascorsi
quasi 50 anni e la pro Loco ha portato la sua polenta, ma anche
il suo paese con le proprie tradizioni e la propria cultura in giro
per l’Italia nei vari raduni finora svolti. Nel 2006 Guardistallo
è sede del raduno nazionale dei polentari.La manifestazione ha
riscosso un ottimo successo, grazie alla sinergia tra associazioni,
amministrazione comunale e volontari, riuscendo a dare linfa
vitale all’associazione. La pro Loco non è solo questo; negli ultimi anni ha allacciato rapporti con le altre associazioni del paese,
collaborando con l’amministrazione per varie iniziative rivolte
ai ragazzi del paese, organizza concerti e spettacoli nel periodo
natalizio, facendosi promotrice dell’iniziativa “i mille presepi”.
L’associazione guarda oltre il locale, lo confermano i rapporti
con l’UNPLI sia a livello regionale che provinciale ed ha contatti frequenti con le altre Pro Loco dei paesi limitrofi. Ultima in
ordine di tempo, la Pro-loco ha avviato un rapporto costruttivo
con molti giovani del paese per l’organizzazione della “festa delle
Feste” ovvero “Be mì tempi…quando con mille lire….” Manifestazione che può diventare la vetrina delle sagre di Guardistallo.
A testimonianza della vivacità associazionistica del paese, oltre la
Pro-Loco, sono presenti il comitato locale della C.R.I. di Guardistallo e Casale M.mo, l’Unione Sportiva, la Compagnia del Teatro stabile, Il gruppo storico, il comitato di Casino di Terra, il
Centro commerciale naturale e tre associazioni venatorie, Da notare che lo scorso anno la sez. di Guardistallo della Federcaccia ha
organizzato con un buon successo la sua prima manifestazione.
Ivrea
Polenta con merluzzo e cipolle
Cenni Storici
Importante città industriale, posta sulle rive della Dora con
dintorni abbelliti da graziosi laghetti. E’ una città della provincia di Torino situata a 267 metri di altitudine e con circa
25.000 abitanti. Per l’importanza strategica del suo ponte
romano sulla Dora, Ivrea conobbe fin dai tempi remoti periodi di grazia e di lutto, di occupazione e di liberazione, il
passaggio per il suo territorio fu conteso dai potenti di tutti i tempi. Importante centro dei Salassi, una popolazione
Celtica , divenne colonia romana (Eporedia) nel 654 anno
di Roma cento anni prima di Cristo. Tuttora gli abitanti di
Ivrea, circa 26.000 abitanti, si chiamano Eporediesi. Nonostante le sue vicissitudini resta comunque una città importante del Canavese, territorio confinante con la provincia di
Biella, Vercelli, il torinese, la Francia e la Valle d’Aosta, ricco
di colline, fiumi, laghi e montagne. Grazie alla importanza
storica e alle particolari caratteristiche ambientali la città di
Ivrea e il territorio circostante offrono una notevole quantità di interessi, sia dal punto di vista culturale che da quello
turistico. In città, i visitatori possono ammirare molti monumenti, fra cui il bellissimo Castello che si caratterizza per il
suo storico carnevale famoso in tutta Italia per le tre giornate
di battaglia che gli Eporedisi combattono a suon di arance. Il
castello di Ivrea è solo uno dei tanti castelli che rendono l’area
di Canavese una delle più dense di costruzioni monumentali. L’area geografica che circonda Ivrea è caratterizzata da
una particolare collina, denominata La Serra, che identifica il
limite settentrionale del Canavese; il confine occidentale invece comprende parte del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
La Sagra
La tradizione di distribuire sulla pubblica piazza Polenta e
Merluzzo nella nostra città ha origini antichissime. Risale
infatti alla seconda meta del ‘500, con la controfirma effettuata dalla Chiesa Cattolica che decretò l’osservanza della
Quaresima, il mangiare di magro il venerdì e nelle vigilie.
Si ha così notizia che già a quel tempo questa ricorrenza
veniva celebrata nei vari rioni per l’iniziativa di gruppi di
cittadini che cucinavano nelle loro piazze un po’ di polenta accompagnata da merluzzo e cipolle. Tutto questo durò
fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale che cancellò
tutte queste iniziative e naturalmente anche il Carnevale.
Al termine della guerra, il Comitato della Croazia fece sua
questa iniziativa conferendole un carattere benefico e dandole anno dopo anno la consistenza che ha oggigiorno. La
nostra Polenta e Merluzzo dal 1948 ad oggi ha subito un
notevole incremento, attualmente cuciniamo infatti 800 Kg
di merluzzo con 1440 Kg di cipolle confezionando poi in
piazza 1400 kg di polenta. La nostra Associazione nel 1988
si è gemellata con Tossignano, località dalle antichissime
tradizioni storiche, nel 1990 con Latina e, anche grazie a
questi impulsi, nel 1998 ha avuto un ruolo fondamentale
nella nascita dell’Associazione Culturale Polentari d’Italia.
Linguaglossa
Polenta con vitello e salsiccia
Cenni Storici
Linguaglossa e’ un paese che si sviluppa sul versante nordest dell’Etna ad una altitudine di 550 mt. e gran parte del
suo territorio fa parte del parco dell’Etna, sino ad arrivare
alla sommita’ del vulcano, infatti da Piano Provenzana,
con l’ausilio deli impianti di risalita si raggiungono i 2400
mt. Questo paese non e’ famoso solo per l’ubicazione geografica molto caratteristica, pregevole infatti, la ricchezza
artistica presente in molteplici espressioni e forme, vi ricordiamo: la ristrutturata Villa dei Vespri Siciliani, la Chiesa
di San Francesco di Paola con la statua della Madonna del
Gaggini, il Palazzo Comunale, la Chiesa dell’Immacolata
con l’annesso Convento dei Cappuccini, all’interno della
chiesa e’ presente la celebre Custodia Lignea del 1710 di
Pietro Bencivinni da Polizzi. Molti pregevoli dipinti sono
presenti all’interno del convento, cosi’ come una importante biblioteca con volumi risalenti al XVI secolo fino ad
arrivare al XVIII secolo. Vi ricordiamo ancora la splendida
Villa Milana, e la Chiesa dell’Annunziata e la sua omonima piazzetta, da questa piazzetta si raggiunge la Pro Loco
con il suo Museo Etnografico. Proseguendo, le vostre visite
potranno continuare all’interno della Chiesa Madre con
all’interno il Coro Ligneo del 1782, accanto e’ presente il
monumento della Madonnina della Pineta. La Chiesa di
Sant’Egidio Abate Patrono di Linguaglossa, con all’interno affreschi del XVI secolo. Consigliate anche le Chiese
del Carmine e dei Santi Antonio e Vito. Linguaglossa opera nel settore turistico estivo e invernale con gli impianti
di risalita presenti sull’Etna e la famosa Scuola di Sci, oltre
allo sci e’ possibile effettuare escursioni sia a piedi che con
pulmini 4x4.
Storia della Polenta
In Sicilia ed in particolare a Linguaglossa, in provincia di
Catania, da tempo immemorabile, specie per uso familiare, facevano la polenta di farina di mais condita con “il
piede di maiale, con broccoletti o con altre verdure” fino
ad arrivare al 1971, anno in cui la Pro loco organizza una
delle più grandi manifestazioni di carattere enogastronomico, folkloristico e culturale mai realizzato in Sicilia denominata “Festa dell’Etna”. Da allora, alla fine del mese di
Agosto di ogni anno, viene organizzata nell’ambito della
stessa manifestazione una grande salsicciata e polentata
per molte migliaia di persone intervenute da ogni parte
della Sicilia e non, diventando un evento di grande successo. Per l’occasione il vino rosso DOC dell’Etna esce per la
prima volta dalle cantine dei linguaglossesi per permettere al folto pubblico di gustarlo e comprarlo. Nel corso di
una di queste manifestazioni abbiamo invitato i polentari
di Tossignano, diretti da Walter Mita, conosciuto da tutti
anche come appassionato conoscitore di storia patria e di
costume locale. Dall’esperienza fatta nel corso di quest’incontro abbiamo deciso di affinare la nostra polenta sostituendo alcuni prodotti ed inserendone altri, fino ad arrivare a quella che attualmente proponiamo per le varie
manifestazioni, e che ottiene un grande successo. Questa è
la storia della nostra polenta fino ad oggi. Inoltre da alcuni anni prepariamo, per assaggi limitati, una variante alla
Polenta con il ragù, si tratta della “Polenta al Finocchietto
verde dell’Etna”, la quale per la grande novità e per i sapori particolari che questa “sprigiona” è considerata da tutti
una vera prelibatezza.
Polverigi
Polenta con frutti di mare
Cenni Storici
Polverigi è un comune di circa 3.000 abitanti situato sulle
dolci colline dell’entroterra anconetano a 18 Km dal capoluogo. Fa parte del distretto turistico locale “Terra dei Castelli” ed ha una storia millenaria. Il primo insediamento
abitativo di Polverigi storicamente noto, risale al X secolo
ed il suo castello, che faceva parte della cerchia difensiva
esterna di Ancona, fu costruito tra la fine de l ‘XI e la prima
metà del XII secolo. Il 18 gennaio 1202, “apud castrum
Pulverisiae” fu stipulato un importante Patto di Pace tra
le maggiori 27 città delle Marche che, oltre agli effetti di
politica locale affatto secondari, segnò la fine del medioevo
e del potere imperiale svevo nell’Italia centrale, e l’inizio
dell’età dei Comuni sotto l’egida della Chiesa. Il castello,
che per la sua posizione costituiva un importante luogo di
transito, ha sempre svolto un importante ruolo strategico
rappresentando il principale avamposto di Ancona verso
Jesi e Osimo. Nel ‘400 però, all’apparire delle armi da fuoco si avviò verso una lenta, continua e definitiva decadenza, tra invasioni, lotte, battaglie e distruzioni. Tale stato
di cose non terminò, nemmeno dopo la costituzione dello
stato della Chiesa, quando la situazione divenne difficile
per la politica oppressiva della città dorica e terminò solo
alla fine del XVIII secolo nel periodo napoleonico quando
si costituì in libero comune che confluì nel 1861 nel Regno
d’Italia. Da allora Polverigi fu uno dei tanti borghi agricoli
dell’entroterra anconetano che pagò un forte tributo di sangue sia alla guerra 15/18, che al secondo conflitto mondiale
quando si trovò sulla direttrice d’attacco delle truppe alleate per la II^battaglia di Ancona. Nel dopoguerra, dopo un
periodo di crisi economica, iniziò uno sviluppo destinato a
modificare definitivamente le caratteristiche socio economiche del comune che grazie all’iniziativa dei suoi abitanti
ha assunto l’aspetto odierno con oltre 250 aziende attive.
Dal punto di vista socioculturale Polverigi, grazie all’entusiasmo di tutti i suoi abitanti è un centro estremamente dinamico. 3000 abitanti danno vita a tre centri sociali,
4 società sportive con una ventina di squadre, un corpo
bandistico ultracentenario, una pro loco, il centro internazionale di produzione e studi teatrali Inteatro, un Centro
per le Tradizioni Popolari, e una attivissima Mediateca Comunale che realizzano, tra le tante attività settimanali, due
manifestazioni primaverili di musica popolare (di cui una
internazionale), una festa di fine estate (la Notte delle streghe) che per la sua originalità richiama una folla strabocchevole, un festival internazionale di teatro (InTeatro), una
stagione di spettacoli e concerti estivi, una stagione di sette
Sagre Tradizionali (compresa quella della Polenta), mostre,
ricerche, studi e pubblicazioni sul patrimonio artistico e
culturale locale realizzate dalla Mediateca.
Ponti
Polenta con frittata di cipolle e merluzzo
Cenni Storici
Il paese di Ponti vanta origini preromane; venne fondato, come la vicina Acqui Terme, dai Liguri Statielli, che
lasciarono questo borgo al dominio di Roma. Dell’antica dominazione abbiamo conservato il nome Pontum,
dai ponti che i Romani costruirono sul fiume Bormida,
e la “Colonna Antonina”, pietra miliare della Via Emilia
Scauria, che ancor oggi si può ammirare sotto il porticato del Palazzo Comunale. La colonna è testimonianza
del primo ripristino (inizio III secolo d.C.) della via Iulia Augusta, importante strada costruita dall’Imperatore Augusto in sostituzione della Via Emilia Scauria, che
conduceva da Roma alla Gallia. Il borgo di Ponti nel periodo medievale è stato caratterizzato dalla dominazione
dei Marchesi Del Carretto, successivamente affiancati dai
Conti Guerrieri, nobile famiglia mantovana che aveva
acquistato alcune terre in questo paese. Testimonianza
della famiglia dei Del Carretto sono le pietre raffiguranti
lo stemma gentilizio sui muri di molte case ed i ruderi
del castello ove dimorarono, situato sulla collina che domina Ponti.Nei pressi del castello si ergono il campanile
dell’antica parrocchia (sec. X-XI) ed un vecchio torrione
difensivo denominato “la battagliera”, complesso tutt’ora
in fase di restauro.
La famiglia dei Del Carretto, a partire da Bonifacio nipote del grande Ottone, figlio di Enrico Guercio marchese
di Savona e signore dei domini carretteschi posti fra la
valle Uzzone e la Val Bormida di Spigno, era particolarmente nota per la sua ospitalità e cortesia.
La Sagra
Correva l’anno 1571 quando un gruppo di calderai provenienti da Dipignano, paese del Cosentino, arrivò a Ponti, attirati dalla voce comune che dipingeva il Marchese
Cristoforo Del Carretto, feudatario di questo luogo, come
una persona di gran cuore. Giunti al borgo, infreddoliti
ed affamati, i calderai chiesero ospitalità al Signore della “Casa Carretta”; egli, vista la loro capacità di stagnare,
disse: “Se riuscirete ad aggiustare il vecchio enorme paiolo
delle mie cucine, vi darò tanta farina gialla da riempirlo, in
modo che possiate sfamarvi tutti.” Voltò il cavallo e tornò
al castello, lì giunto, diede ordine ai suoi servitori di portare il vecchio e malandato pentolone ai bravi stagnini che si
misero alacremente all’opera facendolo tornare come nuovo. Cristoforo Del Carretto mantenne la promessa facendo
recapitare agli affamati calderai un buon quantitativo di
farina di mais; intanto gli abitanti del borgo avevano fraternizzato con i magnani venuti da lontano; ed ecco uscire
dagli usci le brave massaie con le cocche del grembiule in
mano: portavano chi uova, chi cipolle, chi merluzzo, e chi
vinello dei nostri colli che dovevano servire per cucinare
una frittata. La farina servì a cuocere un enorme polenta che affiancata da un altrettanto grande frittata, dono,
questa, del buon cuore dei pontesi, sfamò gli infreddoliti
magnani. E fu festa, così grande ed allegra da essere ricordata ogni anno. Così nacque la “Sagra del Polentone”, antica manifestazione risalente a ben quattro secoli fa. Viene
celebrata la penultima domenica di Carnevale, quando i
cuochi di Ponti cucinano una polenta di oltre 12 quintali
e una frittata di 3000 uov con 1,5 quintali di merluzzo e 3
quintali di cipolle. Durante la sagra oltre alla preparazione
e distribuzione di Polenta e Frittata con Merluzzo, si svolge il corteo storico con la rievocazione dell’incontro tra il
Marchese Cristoforo Del Carretto e i Calderai. Ogni anno
circa 3000 persone vengono a degustare la Polenta e Frittata, e oltre a questa attività, propriamente di degustazione, i
turisti colgono l’occasione di potere visitare gli stand allestiti dai sempre più numerosi artigiani ed artisti locali ed il
museo delle macchine agricole del Cavalier Pierino Solia.
San Costanzo
Polenta con ragù di carne
Cenni Storici
A circa 150 metri sul livello del mare, sul crinale tra le valli del Metauro
e del Cesano, sulla collina che domina il Mare Adriatico, si trova San
Costanzo, ridente cittadina ricca di storia, denominato anche “balcone
dell’Adriatico”, e “paese dei cento laghi”. Cinquemila abitanti circa, dediti ad attività collegate alla terra, professionisti, imprenditori, artigiani
ed artisti, numerosi operai ed impiegati che operano nell’edilizia e nella
cantieristica navale. L’origine del nome si farebbe risalire ad una reliquia
di San Costanzo proveniente da Perugia, luogo dove sono conservati i
resti del Vescovo Martire e Santo Patrono di quella città. Le prime notizie
su San Costanzo risalgono all’VIII-VI secolo a.C. quando era abitato dai
piceni, popolo nomade e dedito alla caccia ed alla pastorizia. I romani
hanno probabilmente conosciuto San Costanzo, infatti il ritrovamento di
reperti archeologici fanno presumere ciò anche perché, nella sottostante
Valle del fiume Metauro, si svolse la famosa e cruenta battaglia del Metauro tra i romani di Livio Salinatore, contro il cartaginese Asdrubale in
quanto, molto probabilmente, vide le guarnigioni romane attraversare il
territorio di San Costanzo, provenienti da Senagallica l’attuale Senigallia.
Il centro storico di San Costanzo è dominato dall’alta mole della Torre
Campanaria e dalle possenti mura medioevali. Nel complesso l’architettura urbana si richiama al XVI e XVII secolo, con edifici signorili dei nobili
e le case dei meno abbienti. All’arrivo del visitatore nella centrale Piazza
Perticari San Costanzo si presenta con una bella fontana in pietra calcarea locale, “la fontana di mostra”, adornata con due putti che gettano
acqua ed alla sommità di essa una vasca in ghisa che zampilla grazie ad
un sistema di ricircolo. La fontana venne realizzata nel 1904 a seguito
della costruzione del primo acquedotto consorziato. Piazza Perticari è
dominata dalla poderosa mole della cinquecentesca Torre Campanaria,
ove in una nicchia è conservata la statua cinquecentesca di Madonna con
Bambino, e le maestose Mura Malatestiane. Sulle probabili basi del rivelino e del grande salone della torre di guardia del lato nord-orientale delle
mura, sorge il Teatro Comunale “della Concordia”, costruzione risalente
intorno al settecento, realizzata dai nobili locali, probabilmente per volere
dei Conti Cassi e Perticari. All’interno delle mura del castello è situata la
chiesa Collegiata di San Cristoforo e Costanzo, costruita alla fine del XVI
secolo sulla struttura di un grande salone del Castello e rimaneggiata nel
1700. Nella chiesa Collegiata si conservano un pregiato Crocifisso ligneo
e una Madonna su tavola trovati nella famosa Grotta di San Parteniano in
località Caminate di Fano, una grande tela rappresentante un Presepe di
Ercole Ramazzani, e 15 piccole formelle che rappresentano i Misteri del
Rosario dipinti su tela. Interessanti il coro ed i confessionali lignei nonchè la Via Crucis anch’essa realizzata su piccole tele. Sempre all’interno
delle mura del castello, come riportato da più parti e dallo Strafforello,
fu realizzato sotto i Malatesti un pozzo denominato “pozzo del Tomani”
“di singolare fattura”, tutt’oggi ricchissimo di acqua, a sezione circolare
di m. 2,65 di diametro e 26 metri di profondità. Di particolare interesse,
lungo le mura, la porta di accesso sul fronte della valle del Metauro difesa
da due torri cilindriche scarpate con cordolo e lunghi beccatelli, e la torre
d’angolo anch’essa circolare con una curiosa scala interna semicircolare “a
lumaca” posta sul lato sud-ovest. Poco distante, fuori le Mura, si trova,
lungo l’attuale Corso Matteotti la Chiesa di Sant’Agostino del 1617, sorta per iniziativa dei Padri Agostiniani e del Conte Barbetta ed in primis
dedicata a S. Pietro. Alle pareti si trovano grandi tele del pittore fanese
Giuseppe Ceccarini datate 1787. Sempre del Ceccarini sono le tele del
primo altare di sinistra e del secondo altare di destra. Di pregio, sopra
l’ingresso, l’organo del XVIII sec. del Callido. Il Cristo Morto in legno,
nel primo altare a sinistra è ritenuto opera di un allievo del Canova. Tra gli
edifici monumentali edificati fuori dalle Mura castellane, ma all’interno
del borgo, sorge il nobile Palazzo Cassi che nel 1863 divenne residenza Civica. Ai margini occidentali del borgo, sulla strada provinciale che
conduce alla frazione di Cerasa, sorge la cosiddetta Chiesa del Cimitero,
edificata per volontà della agiata famiglia Vici da Cerasa. Di particolare
interesse il fatto che tale edificio religioso venne costruito inglobando un’
antica edicola sacra di origine quattro-cinquecentesca ove vi era dipinto
un affresco rappresentante una Madonna con Bambino. L’affresco, ora
conservato nella Quadreria Comunale di Palazzo Cassi, per iconografia e
tecnica, è stato datato tra il tardo quattrocento ed il primo cinquecento,
antecedente quindi alla edificazione della chiesa che come ricorda una lapide all’interno di essa ne riporta l’anno di costruzione del 1641.
La Sagra Polentara
Da 150 anni ca. nella prima domenica di quaresima, si celebra a San
Costanzo la Sagra Polentara. Il motivo della scelta di questa data, per
lo svolgimento di una manifestazione che poco si addice al carattere
penitenziale della Quaresima lo spiegano gli anziani del paese. Si racconta che fino alla fine del secolo scorso, in effetti, la manifestazione
era organizzata per invitare i paesani alla penitenza dopo gli eccessi
goderecci del carnevale appena passato; e la polenta, allora - cucinata
come ora in piazza dagli antenati degli attuali polentari - era servita
completamente scondita. Ora nella prima domenica di Quaresima la
spensieratezza popolaresca esplode e porta con sé il sapore dello sconfitto inverno: calderoni immensi al centro della piazza, dove oltre cento
paesani sono intenti a mescolare polenta per sfamare migliaia di bocche
paesane e forestiere che si accalcano attorno allo “steccato” per mangiarla soffiando e vociando che “scotta ma che è buona”. Da circa quaranta
anni la manifestazione viene proposta anche d’estate (l’ultimo sabato e
domenica di luglio), ed oltre la polenta è possibile gustare pannocchie di
granoturco alla brace ed altri piatti tipici locali.
Sermoneta
Polenta con salsiccia
Cenni Storici
Sermoneta, posta su una collina della catena dei Monti Lepini,
a 257m sul livello del mare, si trova nel cuore dell’Italia Centrale,
a 70 Km da Roma e 150 Km da Napoli. Cittadina medievale,
circondata da possenti mura e antichi uliveti, ricca di storia,
cultura e tradizione, si è vista riconoscere nel 2006 dal Touring
Club la bandiera arancione per la sua integrità e la continua valorizzazione del suo patrimonio culturale e ambientale. Sermoneta entra timidamente nelle fonti storiche nel 77 - 78 d. C.: la
voce che cita Sulmone, ossia l’originario nome di Sermoneta, è
quella di Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) nella sua monumentale
opera Naturalis Historia. Dall’inizio del XIII secolo Sermoneta
era feudo della famiglia Annibaldi che lo vendette, nel 1297, ai
Caetani nella persona di papa Bonifacio VIII (1294-1303). L’inizio della signoria Caetani, segna il delinearsi di una storia della
città dai contorni ben definiti, poiché il suo cammino cominciò
a scorrere parallelo ed a fondersi con quello della nobile casata.
Da quel momento, numerosi sono i documenti che testimoniano la storia e la crescita della città, che divenne centro di un
feudo ricchissimo. Sermoneta aveva gradualmente acquisito
un’importanza rilevante grazie alla sua ubicazione geografica, che
la situava in un punto strategico fondamentale per l’accesso a
Roma. Durante i secoli non mancarono momenti di difficoltà,
in particolare con l’ascesa al soglio pontificio di Rodrigo Borgia,
con il nome di Alessandro VI (1492-1503) ha inizio per i Caetani una breve quanto sofferta estromissione da Sermoneta. Nel
1499 infatti, il già citato papa, colse l’opportunità politica offertagli dalle tensioni nate fra Sermoneta e Sezze, riguardo ai confini
di alcuni territori della Pianura Pontina, per scomunicare i Caetani confiscando i loro feudi affidandoli al figlio Cesare Borgia.
Il dominio del Valentino, ossia Cesare Borgia, così detto perché
duca di Valentinois, ebbe termine; morto papa Alessandro VI.
Nel 1503, Sermoneta tornò ai Caetani sino al 1870, anno della
“Breccia di Porta Pia” che decretò l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia, per cui altre istituzioni sostituirono i discendenti di Bonifacio VIII nell’amministrazione di Sermoneta.
La Storia della Polenta
Guglielmo Caetani dopo un lungo esilio, fece ritorno in Sermoneta dopo la morte di Alessandro VI Borgia, avvenuta nel
1503. Guglielo, ritornando al suo paese, portò con sé un sacchetto di strani semi importati dal Nuovo Mondo, e chiamati
“mahiz”, che seminò nei suoi fertili territori ottenendone abbondanti raccolti. La farina del granoturco fu usata inizialmente per procurare pietanze ai prigionieri del Castello, e in seguito
fu usata dai poveri e dai pastori per farvi polenta o la pizza sotto
la brace, allora cibo quotidiano. A quei tempi a Sermoneta tra i
poveri, specie nei mesi invernali, vi erano anche i pastori, scesi
in settembre dai monti dell’alto Lazio o dall’Abruzzo alla ricerca di pascoli più verdi, e numerosi risiedevano in capanne
adiacenti la Palude Pontina. Questi, in occasione della festa di
Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici, che ricorre il 17 gennaio di ogni anno, scendevano in paese per far
benedire i loro animali. In questa occasione veniva offerta loro,
e a tutta la popolazione, un piatto di polenta condita con carne
di maiale, cucinata sulla pubblica piazza. Tale usanza, per secoli, è rimasta fino ad oggi in Sermoneta, e dal 1978 viene curata dall’Associazione festeggiamenti Centro Storico che, il 17
Gennaio di ogni anno, o la domenica successiva, organizza la
tradizionale Festa di Sant’Antonio Abate e Sagra della Polenta.
S. Maria in Selva
Polenta con salsiccia e sugo di papera
La Città
Dicendo S. Maria i n Selva si dice TREIA, la sua città-madre.
S. Maria in Selva, fornita di una bella chiesa antica, restaurata insieme alle strutture adiacenti, era una ‘grancia’ legata alla grandiosa
Abbazia Cistercense di S. Maria in Chiaravalle di Fiastra situata
nelle vicinanze di Macerata, uno dei magazzeni-refettorio destinati a sfamare i tanti monaci là residenti. Ora la chiesa è Parrocchia, con un territorio, sede di una vivace comunità con imprese
industriali e artigianali e attiva nel settore sportivo-teatrale-religioso. Proprio per iniziativa della U.S. ‘Abbadiense’ sorse nel 1972 la
SAGRA della POLENTA, ora gestita da un vivace COMITATO
Parrocchiale collegato alla Pro Loco Treia. TREIA, nota anticamente come Trea, si trova nelle Marche, in provincia di Macerata. Ha grande importanza storica anche per essere stata uno tra i
più importanti nodi della diramazione della Flaminia nota come
Settempedana. Via che ha assorbito per secoli il traffico dei pellegrini sull’asse Roma-Assisi-Loreto, detta anche “Via francescana”.
La Dolores Prato, grande scrittrice treiese del secolo scorso parla
della sua terra ‘intrisa di spiritualità. S. Maria in Selva, che sorge
su insediamento e necropoli del Neolitico, non è l’unico luogo di
culto in correlazione con le origini della città. Treia è tra i pochi siti
al mondo a vantare testimonianze del culto di Iside, scoperte nel
corso degli scavi per la costruzione del Santuario del SS. Crocifisso nell’area dove sorgeva Trea. Alcuni sono di epoca tolemaica ed
hanno un valore tale da aver fatto parte di importanti mostre nei
più grandi musei del mondo. Tradizione vuole che la statua della
Madonna di Loreto venerata nella chiesa di S. Chiara sia quella
la originale, sostituita con una copia per sottrarla alle razzie napoleoniche e mai restituita. La Città vanta una grande ricchezza
“storico-artistica; è patria di famosi personaggi come Fortunato
Benigni,il gesuita Luigi Lanzi uno dei più grandi storici dell’arte
e studioso di archeologia e filologia del periodo etrusco, Ilario
Altobelli matematico e astronomo compagno di studi di Galileo
Galilei, Carlo Didimi giocatore di pallone con il bracciale cantato
da Giacomo Leopardi nella canzone “A un giocatore nel pallone”,
il vescovo Vignati fondatore dell’Accademia dei Sollevati poi detta
Georgica una delle più prestigiose ed attive istituzioni scientificoumanistiche d’Europa di cui sono stati membri tra gli altri anche
D’Alembert-Volta-Momsen, fornita di un edificio gioiello di architettura firmato Valadier e con un archivio storico scientifico di
incunaboli e pergamene e reperti… - ad essa sono dovuti studi nel
settore agrario e meteorologico e sulla estrazione dell’olio dai semi
e nella introduzione di alcune coltura -, il Beato Pietro da Treia,
la Dolores Prato già nominata, il cardinale Nicolò Grimaldi. Nel
territorio vi sono diversi grandi insediamenti industriali, quali la
LUBE, VISMAP… Nelle pubblicazioni turistiche della città si leggono queste espressioni: “A Treia stai come un papa”, “La bellezza
di un capriccio”, “Religiosi…double face”, “Scienza e mistero”,
“La Disfida del bracciale nella 1° domenica di agosto e settimana
precedente con Cortei storici e addobbi e taverne e botteghe artigiane e scenari d’epoca che fanno rivivere il secolo d’oro di Carlo
Didimi”, “Vi prenderemo a… calcioni e polenta”, per indicare la
rinomata Sagra del Calcione e del Raviolo e poi …
La Sagra
Nel 3° e 4° fine settimana di settembre: l’Associazione Polentari serve questo piatto nei tradizionali condimenti di salsiccia
e sugo di papera con farina locale; la manifestazione di grande spessore ha avuto il riconoscimento come prodotto tipico
D.O.P. dalla Regione Marche. All’interno della FESTA, oltre
la cucina che la fa da padrona, si trovano musica-folklore-artesport-cultura, teatro. La sua lunga tradizione ha fatto sì che
la “polenta” di S. Maria in Selva abbia una vasta zona dove
far giungere i suoi sapori. La festa ha ospitato anche grossi
nomi dello spettacolo e della musica. S. Maria in Selva è tra i
soci fondatori dell’ASSOCIAZIONE CULTURALE POLENTARI D’ITALIA ed ha organizzato nel 1998 il 4° RADUNO NAZIONALE POLENTARI, in cui le varie Delegazioni
d’Italia hanno servito 35.00 piatti di polenta nei più svariati
condimenti alle 22.000 persone intervenute. Ma “polenta” è
sta anche coniugata con solidarietà, vedi CESI, - 1998 e 1999
- tra i terremotati, dove insieme ad altre Delegazioni d’Italia si
è costruita una grandi eventi di condivisione con un forte messaggio sul volontariato e sul servizio! Un carissimo amico - Cesare Angeletti - marchigiano dal gran cuore e con una penna
feconda brillantissima e arguta racconta de “La polenta che
va alla guerra”: “…sembra un’affermazione un po’ strana; in
effetti - scrive - il piatto nazionale delle Marche che ci ha dato
il soprannome di “Marchiscià magnapulenda” ha partecipato
alle due guerre mondiali e ai tremendi periodi del dopoguerra
dando un po’ di sollievo ai nostri conterranei affamati dalle
privazioni create dai conflitti. Sia nella prima sia nella seconda
guerra i giovani di leva partivano, su suggerimento forte delle
madri, con un sacchetto di farina di granoturco nel fondo del
fagotto che conteneva gli abiti. La frase di accompagnamento
era: Portetela, fiju caru, non se sa mai! Nelle difficoltà …tirato fuori il sacchettino di farina, vuotato l’elmetto, lo usavano
dopo averlo ben lavato e rovesciato, come “caldaio” per far
polenta. Insomma una provvidenziale razione K suppletiva!
Tossignano
Polenta con ragù
Cenni Storici
E’ un antico paese arroccato sulla collina gessosa dominante la valle
del fiume Santerno, a 17 Km da Imola, all’altitudine di m. 279 sul
livello del mare. Conta attualmente circa 500 abitanti. Non esistono
documenti scritti attestanti la nascita del paese ed incerte risultano
le origini del suo nome. In seguito alle invasioni barbariche i coloni
romani e le popolazioni abitanti nella valle del Santerno si rifugiarono sui monti circostanti, dando così origine a nuovi insediamenti.Così forse nacque Tossignano. Per la sua posizione strategica il
paese fu coinvolto nella guerra fra Bizantini e Longobardi. Nel 787
Carlo Magno fece dono di Tossignano e di tutta le diocesi di Imola
agli Ostiari di Ravenna. Da questo momento la storia e le vicende
di Tossignano sono spesso legate a quelle di Imola, di volta in volta come alleato o antagonista, conservando però sempre le proprie
libertà comunali, i propri statuti, il proprio stemma di concessione imperiale:l’aquila nera su campo azzurro. Il primo millennio si
conclude con la nascita a Tossignano del futuro Papa Giovanni X
(914-928). Nel 1153, nel 1181 e nel 1198, mentre infieriscono le
lotte fra Guelfi e Ghibellini, troviamo Tossignano alleato con Bologna e Faenza contro Imola. Ma proprio nel 1198, fattasi la pace
fra Imola e Bologna, il paese, abbandonato al proprio destino, fu
occupato e distrutto dagli Imolesi, che si vendicarono delle sconfitte
subite. I profughi tossignanesi ottennero di costruire le proprie casupole sulla riva destra del fiume Santerno ai piedi del colle rimasto
deserto per quattro mesi e nacque Borgo. Risorse pure Tossignano
ad opera di potenti famiglie. Nel 1506 i Bolognesi fecero edificare
in Tossignano una rocca imponente sui resti di fortificazioni preesistenti: il paese soffrì scorribande di armati e rappresaglie. Nel 1351
la rocca sostiene la resistenza di Roberto Alidosi, Signore di Imola,
che ivi raccoglie truppe con le quali sconfiggere i Visconti di Milano. Tossignano rimase assoggettato agli Alidosi fino al 1424 con
l’interruzione del breve dominio dei Bentivoglio e di Alberico di
Cunio conte di Barbiano (1404-1408). Tra il 1424 e il 1441 passa
dal governo della Chiesa a quello dei Visconti, poi ai Manfredi di Faenza che lo cedono agli Sforza. Passa poi al Duca Valentino (1500)
quindi ai Veneziani (1503), al Papa Giulio II (1505) e ancora agli
Alidosi (1530) e infine a Ramazzotto dei Ramazotti. Tra il 1537 e il
1538 Tossignano ricade in mano degli Imolesi che ne smantellano
la rocca, cancellando così una delle più belle fortezze della Romagna. Paolo VI nel 1506 fece di Tossignano un feudo per il Marchese
Antonio Carafa e comincia così la serie ininterrotta dei fondatori
dello Stato di Tossignano, Fontana, Codronco e annessi: dai Carafa
ai Borromei, agli Altemps che rimasero i signori di Tossignano fino
al 1700. Sotto il loro governo il paese progredisce e cresce grazie al
lavoro e soprattutto all’impulso di studi e di commerci.Tale sviluppo
prosegue con i marchesi Spada di Bologna e Tartagli Marvelli di
Forlì ultimo signore di Tossignano che perdette il feudo all’arrivo dei
francesi nel 1797.Dopo la caduta di Napoleone, Tossignano ritorna
alla Chiesa e farà parte dello Stato Pontificio fino alla proclamazione
del Regno d’Italia. Nell’autunno del 1944, nel pieno svolgimento delle drammatiche vicende del secondo conflitto mondiale, la
popolazione tossignanese fu costretta ad abbandonare in massa il
paese che divenne un avamposto tedesco.Tossignano a poco a poco
venne raso al suolo dai bombardamenti aerei, dai ripetuti cannoneggiamenti delle artiglierie pesanti e dallo scoppio di mine disseminate ovunque. Toccò a Tossignano il triste appellativo di Cassino
della Romagna. Dal 1945 grazie all’immane e ostinato lavoro dei
tossignanesi, il paese rinasce.Il provvisorio trasferimento della sede
comunale a Borgo, avvenuto nel 1944 a seguito delle devastazioni
belliche, con una discutibile decisione del 1954 diventa definitivo,
la frazione di Borgo assurge a capoluogo del Comune e Tossignano
viene declassato al rango di frazione; inoltre l’antica e storica deno-
minazione “Comune di Tossignano” viene sostituita con “Comune
di Borgo Tossignano”. Di Tossignano rimane però il suo glorioso
passato, la sua storia, i ruderi dell’antica Rocca a strapiombo su un
caratteristico rilievo della vena del Gesso, la sua stupenda posizione
sulla collina dominante l’ubertosa valle del fiume Santerno.
La Sagra
“L’eccellentissimo Messer LEONARDO SINCIA DE SERMONETA Governatore de TOSSIGNANO, FONTANELICE et luoghi annessi ordina et comanda che lo jorno ultimo de carnevale se
faza et se dextrebovisca ne la publica plaza polenta et vino in abundantia”. Così recita il bando istituzionale della festa della Polenta di
Tossignano emanato il 1 febbraio 1622. Da allora, l’ultimo giorno
di carnevale, viene festeggiato in Tossignano con grandi abbuffate
di polenta ben condita con salsiccia e formaggio grana, offerta gratuitamente ai paesani ed ai forestieri. A memoria d’uomo questa
festa, che si celebra con qualsiasi tempo, non ha subito interruzioni
ad eccezione degli anni dal 1942 al 1945, periodo in cui infuriava
la guerra che, tra l’altro, provocò la totale distruzione del glorioso
paese di Tossignano. Negli ultimi anni la sagra della Polenta ha
avuto un incremento notevole: si è gemellata con feste similari,
come quella di Sermoneta (LT) e di Ivrea (TO); ha portato la sua
antica tradizione in varie regioni, d’Italia, dove si è fatta apprezzare
per l’abilità dei “polentari” e la bontà del prodotto. Nel maggio
1998 si è costituita ufficialmente in Tossignano l’ASSOCIAZIONE CULTURALE DEI POLENTARI D’ITALIA, alla quale
hanno aderito tredici comitati che organizzano sagre o feste della
polenta. L’apposito Comitato che organizza la Festa della Polenta
di Tossignano provvede anche alla realizzazione di piatti pregiati
in edizione artistica variati di anno in anno, decorati a mano da
valenti ceramisti della Cooperativa Ceramica di Imola.
Varone di Riva del Garda
Polenta e mortadella
La Città
Varone, paese di origine medioevale, ricco di cultura artigianale a ridosso del lago di Garda, con famosa cascata e un
singolare clima mediterraneo; tra le sue industrie, eccelle
la cartiera Fedrigoni per la lavorazione di carte speciali.
La Tradizione Locale
Cinque secoli e 130 anni. Polenta e Mortadella
La “Tradizionale distribuzione gratuita di Polenta e Mortadella” è una delle feste più antiche e conosciute del Trentino
Alto Adige. La tradizione vuole si tenga annualmente la Prima Domenica di Quaresima a Varone, principale frazione di
Riva del Garda (Trento), paese di origine medioevale, ricco di
cultura artigianale a ridosso del Lago di Garda, e che vanta
una famosa cascata ed un singolare clima mediterraneo. Per
la tradizione locale la polenta ha un legame diretto con la vita,
la fame, la sussistenza nei momenti più difficili della storia.
Se poi appare unita con la mortadella (piccolo insaccato di
impasto di suino puro con aggiunta di spezie e sapori) assume subito il significato dell’abbondanza e della festa che
intende ricordare i disagi e le sofferenze di una vita ormai
lontana, ma da non dimenticare. Nelle sue forme attuali la
festa data sicuramente dall’anno 1877, quindi oltre 130 anni
fa, ma le origini sono moto più antiche, risalgono almeno al
1463, anno in cui venne lasciato il giuspatronato al Comune
di Riva da un certo Ser Gabriel de Pitiliani, fu Ser Valentino. Nel documento risalente al 25 marzo 1550 si riporta la
notizia che l’allora Curato fu costretto ad officiare la messa
all’esterno della chiesa, sul prato, tanta era la folla che si era
radunata ed a distribuire ai presenti i prescritti quatto minali
di frumento in pane cotto, accanto ad un minale di farina di
fave cotte (polenta) e naturalmente una brenta di vino. Le
origini di questa festa risalgono al dicembre 1708 quando il
curato don Gaetano Bertoldi affermava di essere tenuto (in
virtù di un beneficio di cui godeva le rendite, conferitogli
dalla Comunità che ne deteneva lo Jus Patronatus) a distribuire nel giorno dell’Annunziata, nella chiesa di Santa Maria
del Perdono) una soma di pane di frumento, una brenta di
vino ed un minale di farina cotta. L’usanza, modificandosi, è
giunta fino ad oggi e alla farina cotta (polenta) è andata ad
aggiungersi la mortadella.
La tradizionale dispensa gratuita di “Polenta e Mortadella”
è senza dubbio un appuntamento da non perdere, in quanto
offre alle migliaia di persone partecipanti dei momenti unici.
Vernio
Polenta con aringa e baccalà
Cenni Storici
Vernio è un comune di 6.090 abitanti, il più settentrionale
della provincia di Prato. Esso è situato presso la grande
curva del fiume Bisenzio e comprende le valli del Fiumenta, del Carigiola e la parte iniziale della valle del Setta,
affluente del Reno. In tempi antichi il territorio adiacente
al fiume ospitava un accampamento invernale romano (castra hiberna, da cui deriva il nome di Vernio), di questo
periodo era testimone un ponte romano nell’abitato di
Mercatale, distrutto durante la seconda guerra mondiale. Nel XII secolo il feudo di Vernio passò in eredità dai
cadolingi ai Conti Alberti di Prato, che qui vi si ritirarono dopo il 1107 Passata nelXIII secolo ai bardi, la contea
rimase indipendente fino al 1798, quando venne abolita
da Napoleone. Dopo il congresso di Vienna, Vernio, passò
sotto il Granducato di Toscana conservando una vera e
propria autonomia amministrativa rispetto a Firenze, in
quanto le tasse venivano pagate direttamente all’imperatore a Vienna. A causa della sua posizione geografica in
quanto confinava a nord con lo stato pontificio, Vernio è
stata per anni zona di brigantaggio e contrabbando e ha
subito scorribande e saccheggi da eserciti stranieri. Famosa, a tal proposito, è rimasta l’invasione spagnola del 1512,
che provocò una grande carestia a causa della quale i Conti
Bardi distribuirono alla popolazione stremata dalla fame,
farina di castagne, stoccafisso, baccalà e aringhe. da qui è
nata la “società della miseria” che rievoca ogni anno questo
avvenimento la cui ricorrenza era il mercoledì delle ceneri,
da qualche anno spostata alla prima domenica di quaresima. Altrettanto celebre, nelle cittadina toscana, Valerio da
Rimochi, soprannominato il “diavolo di Rimondeto”. Sospesa tra realtà e leggenda la sua storia parla della difesa di
una coppia di giovani sposi costretti dal conte all’osservanza de” jus primae noctis” . La protezione che il giovane Valerio offrì alla coppia ebbe però un tragico epilogo: Il conte
fu ucciso e finita con l’uccisione e il diavolo di Rimondeto
esiliato a Roma al servizio dell’antipapa. Si dice sia morto
da vecchio nella Badia di Montepiano dove aveva vissuto
gli ultimi ani della sua vita come fra Pietro.
La “Pulendina”
Chiamata anche “Festa della Miseria” o “Pulendina”, la celebrazione di Vernio è nata per ricordare la
carestia del 1512 a seguito dell’invasione spagnola.
Gli abitanti della cittadina toscana, stremati dalla fame, furono saziati dalla generosità dei conti Bardi che. Per l’occasione, distribuirono polenta di castagne, aringhe e baccalà.
Dalla fine del XVI secolo la manifestazione si celebra la
prima domenica di Quaresima, anticamente era il mercoledì delle Ceneri, immutata invece la location: piazza di
San Quirico di Vernio di fronte al Casone, oggi sede del
Palazzo Comunale. Tramandata dalla Società della Miseria
la festa corale, raccoglie intorno a sé lunghe fasi di prepa-
razione: più di duecento volontari e ogni anno distribuiscono circa 5.000 porzioni di polenta pari 5 o 6 quintali
di farina di castagne tutta tipicamente locale, prodotta
nei comuni della Val di Bisenzio. La manifestazione, una
delle più antiche rievocazioni storiche italiane, ogni anno
registra sempre più successo e visibilità. Durante l’ultima
edizione, ad esempio, hanno sfilato per le vie del paese oltre 600 figuranti appartenenti ai più antichi gruppi storici
toscani con in testa il Gruppo Storico dei Conti Bardi e
con i suoi splendidi costumi cinquecenteschi.
Villa d’Adige
Polenta con aringa e baccalà - Polenta e musso
Cenni
Storici
VILLA D’ADIGE
PRIMA CULLA ITALIANA DELLA POLENTA
Documenti che non ammettono dubbi fissano la prima coltura di granoturco da noi nel 1554.
“Una gloria veneta” è definito il mais, o granoturco, dal
Messedaglia, il celebre medico e studioso che fu presidente
dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona,
nelle sue “Notizie storiche sul mais” pubblicate nel luglio
del 1924 sul Quaderno Mensile dell’Istituto Federale di
Credito per il Risorgimento delle Venezie. Oltre che gloria
veneta poi il Messedaglia è lieto di definire la polenta gloria veronese - polesana, piazzando la base delle coltivazioni
italiane a Villabona, il paesino cioè che nel 1867 mutò il
proprio nome in quello moderno di Villa d’Adige. Questo
centro infatti apparteneva un tempo, assieme a Begosso,
Castagnaro, Nichesola e Spinimbecco al veronese vicariato
di Carpi (quest’ultimo paese, un tempo molto importante
è ora una modestissima frazione di Legnago). Adesso Villa
d’Adige appartiene come provincia a Rovigo, ed è frazione
di Badia Polesine, e come diocesi a Verona e tale sua posizione dura dal tempo della caduta della Repubblica Veneta.
Dopo una lunga premessa storica tendente a chiarire i vari
punti controversi sulla questione appunto della introduzione in Italia della preziosa pianta, l’autore non esita a confermare, sulla scorta di uno studioso, il Ramusio, che proprio
a Villabona, nell’anno 1554 “erano stati iniziati, verso quei
giorni, degli esperimenti di coltivazione estesa - di “campi
intieri” - di un grano nuovo per l’Italia, il mais d’America:
mais di due varietà, cioè a semi bianchi e a semi rossi”.
In tema di granoturco si fece a lungo una grande confusione poiché con quell’appellativo generico di “turco” vennero
confusi con sorprendente facilità vari tipi di graminacee. E
la ricorrente parola “formenton” servì ad ingarbugliare ancor più la faccenda. Infatti con i due termini si nota che venivano ugualmente denominati il sorgo, la meliga, il miglio
e numerose altre piante. Né i disegni che corroborano le
varie istorie contribuiscono molto a chiarire.
Il Messedaglia però non difetta di chiarezza e con una serie
di argomentazioni serrate scarta ogni ipotesi troppo vaga per
portarsi a quello che è l’autentico “formenton” da polenta.
Né fa parsimonia di citazioni greche e latine e medioevali,
e scomoda persino il grande Omero. Dopo tanta testimonianza non saremo certo noi a porre in dubbio quanto scrisse lo studioso veronese. Non risulta neppure che altri l’abbia
fatto. Qualche ricerca condotta negli archivi della millenaria Abbazia della Vangadizza, proprietaria a quei tempi delle
terre in cui le prime piantagioni si sarebbero verificate, non
ha approdato a nulla, per quanto io sia convinto che qualche
testimonianza ci possa essere, tenuto conto che tutto l’alto
Polesine, bonificato dai Monaci della Vangadizza, doveva al
Monastero le decime dei raccolti, e che tali decime erano
regolarmente registrate. La parte più consistente dell’archivio in parola fu però passata da Napoleone all’Archivio di
Stato di Modena, ed è forse là che qualche testimonianza si
potrebbe trovare. Ma val la pena, domando, di scomodare
tante carte e tanta vetusta polvere per la pur saporita ma
umilissima polenta; per quella preziosa vicenda che a torto,
secondo il Messedaglia, fu per tanto tempo considerata la
causa della pellagra, mentre invece contribuì a salvare tante
vite umane in tempi di carestia; per quella polenta in virtù
della quale gli abitanti del sud sono soliti chiamare noi del
nord col nome di polentoni?
31 Ottobre1951 Giovanni Beggio
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