Indice
Abstract…………………………………………………
3
1. Introduzione…………….…..…..………………………
4
2. Patologia e genetica della mammella……………..
2.1 Il cancro della mammella………………………………….
2.1.1 Epidemiologia……………………………………………
2.1.2 Fattori di rischio…………………………………………
2.1.3 Carcinoma mammario nell’uomo……………………….
2.1.4 Malattie benigne della mammella…………....................
2.1.5 Tumori maligni della mammella………………………...
2.1.5.1 Carcinoma in situ……………………..……………….
2.1.5.2 Carcinoma duttale infiltrante (o invasivo)…………....
2.1.5.3 Carcinoma lobulare infiltrante (o invasivo)…………..
2.1.5.4 Carcinoma midollare……………………………….....
2.1.5.5 Carcinoma muciparo………………………………….
2.1.5.6 Carcinoma tubulare…………………………………...
2.1.5.7 Carcinoma infiammatorio……………………………..
2.1.5.8 Malattia di Paget………………………………...…….
2.1.5.9 Cistosarcoma filloide………………….……………….
2.1.6 Fattori genetici e familiari………………………………
2.1.6.1 Geni e cancro…………………………………….……
2.1.6.2 Genetica del cancro della mammella…………… . ….
2.1.6.3 Il cancro della mammella familiare: BRCA1-BRCA2…
2.1.6.4 TP53…………………………………………………..
2.1.6.5 Ormoni endogeni……………………………………...
2.1.6.6 ErbB2/HER2/neu……………………………………..
2.2 La target therapy ed i bersagli molecolari............................
2.3 Anticorpi monoclonali……………………………………
2.4 Trastuzumab………………………………………………
2.4.1 Azione del farmaco……………………………………..
2.4.2 Utilizzo clinico………………………………………….
2.4.3 Tollerabilità ed effetti collaterali ……………………….
2.4.4 Attuale somministrazione del farmaco………………….
2.5 Lo stadio della neoplasia…………………………………
2.5.1 Definizione del TNM nel carcinoma mammario….........
2.5.1.1 Norme per la classificazione………………………….
2.5.1.2 Linfonodo sentinella……………………….………….
2.5.1.3 Classificazione TNM……………………….................
2.6 Grading istologico………………………………………...
5
5
5
6
7
8
10
11
13
13
14
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15
16
16
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20
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32
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36
39
40
40
41
43
46
3. Razionale dello studio……………………………..
47
4. Materiali e metodi……….…………………………
4.1 Scelta dei pazienti………………… ……………………..
48
48
1
4.1.1Confronto della metodica Fish con la metodica
Sish……………………………………………………….
4.1.2 Valutazione dello stato del gene HER2 in
pazienti con scorie 1+ all’Hercept test…………………..
4.2 Determinazione dei fattori prognostici……………………
4.3. Sish (Silver enhanced in situ hybridization)
inform TM her2 dna probe (ventana medical system)……..
4.3.1 Principio della procedura………………………………..
4.3.2 Controllo di qualità………………………………………
4.3.3 Interpretazione dei risultati………………………….......
4.3.4 Determinazione dello stato del gene HER2………………
4.3.4.1 Metodo semiquantitativo……………………………...
4.3.4.2 Metodo quantitativo…………………………………..
4 4.Fish (Fluorescence in situ hybridization)
Vysis path vysionTM her2 dna probe………………………
4.4.1 Principio della procedura (63) ………………………….
4.4.2 Interpretazione della colorazione ………………………
4.4.2.1 Tessuti idonei alla valutazione ……………………….
4.4.2.2 Conteggio dei segnali ………………………………..
4.4.3 Scoring …………………………………………………
4.4.4 Limitazioni della metodica …………………………….
4.5 Materiali utilizzati per hercept test (dako cytomation) …..
4.5.1 Strumenti ……………………………………………….
4.5.2 Metodica ……………………………………………….
4.6 Materiali utilizzati per la determinazione
dei fattori prognostici……………………………………...
4.6.1 Strumenti ……………………………………………….
4.6.2 Reagenti necessari ……………………………………..
4.6.3 Anticorpi primari ………………………………………
4.6.4 Metodica ……………………………………………….
4.7 Materiali utilizzati per la fluorescence
in situ hybridization (fish)……………………………….
4.7.1 Strumenti ……………………………………………….
4.7.2 Reagenti necessari ……………………………………..
4.7.3 Metodica ……………………………………………….
4.7.4 Controllo qualità ……………………………………….
4.8 Materiali utilizzati per la Silver enhanced in situ
hybridazation informTM her2 dna probe
(ventana medical system) ……………………………….
4.8.1 Strumenti e reagenti necessari …………………………
4.8.2 Metodica automatica (benchmark xt) ……………….....
5. Risultati e conclusioni ……………………………….
48
49
51
57
57
58
60
62
63
63
64
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65
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68
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70
70
71
71
73
73
73
74
75
77
77
77
5.1 Risultati ………………… ……………………………….
5.2 Conclusioni ………………………………………………
79
79
93
6. Discussione ……………………………………………..
96
7. Bibliografia …………………………………………….
97
2
ABSTRACT.
L’analisi dello stato del gene HER2 nei pazienti affetti da carcinoma della
mammella è di fondamentale importanza per la scelta dell’approccio
terapeutico, in particolare per verificare la candidatura all’utilizzo
dell’anticorpo monoclonale Trastuzumab.
L’amplificazione
genica
può
essere
ottenuta
utilizzando
diverse
metodiche; attualmente la più utilizzata è la FISH (Fluorescence in Situ
Hybridization).
Lo studio condotto aveva lo scopo di valutare la concordanza tra
l’amplificazione genica determinata mediante la metodica FISH (Path
Vision® Abbott/Vysis) e la SISH (Silver Enhanced in Situ Hybridization)
(INFORM
®
Ventana) nella rilevazione dell’amplificazione del gene
HER2 in pazienti con carcinoma mammario
Sono stati testati 53 pazienti precedentemente sottoposti ad analisi
immunoenzimatica (DAKO-HerceptTest™) per la valutazione della
presenza della proteina HER2 sulla membrana cellulare, tutti con score 2+.
La concordanza tra le due metodiche si è rivelata pari a 96,2%,
soddisfacendo i criteri stabiliti dalle linee guida dell’American Society of
Clinical Oncology/College of American Pathologist (ASCO/CAP), che
richiedono un minimo di concordanza del 95 %.
Nella seconda parte dello studio , utilizzando unicamente la metodica
SISH, si è valutata l’eventuale amplificazione
in 30 casi con debole
positività all’HerceptTest (score 1+). Tali pazienti sono ritenuti non
candidabili all’utilizzo di terapia con Trastuzumab. Venti dei 30 dei casi
sono risultati negativi all’amplificazione genica con score HER2/CEN17
compresi tra 0.9 e 1,4; un caso è risultato polisomico per il cromosoma 17
ed è stato successivamente valutato anche con FISH. Con entrambe le
metodiche si è ottenuto uno score HER2/CEN17 di 1.1. Il nostro studio
conferma l’utilità della sola analisi dell’iperespressione di HER2 tramite il
test immunoenzimatico.
3
1.
INTRODUZIONE.
L’identificazione dell’iperespressione
del recettore ErbB2 (chiamato
anche HER2) nel cancro della mammella è indispensabile per poter
indirizzare i pazienti ad un trattamento attraverso la cosiddetta “targeted
therapy”.(1)
Il farmaco impiegato a tale scopo da alcuni anni è l’anticorpo monoclonale
Trastuzumab (2) specifico per la proteina HER2; inoltre sta per essere
approvato in Europa anche l’utilizzo dell’inibitore di tirosina-chinasi
Lapatinib (3), già impiegato da circa un anno negli Stati Uniti in
associazione a Capecitabina nel cancro della mammella in stadio avanzato
in pazienti HER2 positivi.
L’iperespressione del gene è in genere dovuta ad un processo di
amplificazione genica.
La determinazione della proteina espressa in membrana e dello stato del
gene, vengono effettuate rispettivamente attraverso immunoistochimica ed
ibridizzazione in situ.(4) La tecnica di ibridizzazione in situ più usata
attualmente è la FISH (Fluorescence in Situ Hibridization), che richiede
una speciale attrezzatura ed ha il problema del decadimento del fluorforo,
che la stabilità a lungo termine della reazione.
La tecnica necessita inoltre di personale esperto in grado di interpretare
correttamente la lettura dei vetrini. Recentemente è stata introdotta la
nuova metodica automatica SISH (Silver Enhanced in Situ Hybridization),
che potrebbe ovviare ad alcuni degli svantaggi della FISH, permettendo di
identificare il rapporto HER2/cromosoma 17 attraverso un microscopio
convenzionale.(4)
4
2.
PATOLOGIA E GENETICA DELLA
MAMMELLA.
2.1 IL CANCRO DELLA MAMMELLA.
2.1.1 EPIDEMIOLOGIA.
Il carcinoma della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne nei
Paesi industrializzati, ed è la maggior causa di morbilità e mortalità
oncologiche. L’incidenza del cancro della mammella presenta un’ampia
variabilità geografica. E’ quasi 10 volte più frequente nelle popolazioni
ricche dell’Occidente rispetto alle aree del Terzo Mondo; la stima di
incidenza negli Stati Uniti per il 2005 è di 242.570 nuovi casi (il 32% delle
neoplasie diagnosticate nella donna) con tendenza a lieve e costante
incremento nell’ultima decade. In Italia stima è di circa 40.000 nuovi casi
l’anno, in media con i valori europei.(6)
I tassi di incidenza aumentano in maniera esponenziale con l’età, ma
intorno a 50-55 anni, a differenza di altri tumori epiteliali non dipendenti
da fattori ormonali e riproduttivi, l’incremento cessa, per poi riprendere
meno pronunciato dopo i 60 anni.(5,6)
In realtà la tendenza all’incremento dell’incidenza in Italia nelle ultime
decadi è riconducibile anche alla tempestività delle diagnosi in relazione a
campagne di screening di prevenzione secondaria.
Globalmente, nei Paesi Occidentali, la mortalità per carcinoma della
mammella rappresenta la prima causa di morte per tumore nella donna e la
prima causa di morte in assoluto tra i 40 ed i 60 anni. Negli Stati Uniti
tuttavia la mortalità per carcinoma mammario (40.410 morti stimate
nell’anno 2005 pari al 15% delle morti per cancro) è superata dalla
mortalità per carcinoma polmonare. In Italia viene stimato per il 2005 un
tasso di mortalità di 21 x 100.000, di poco inferiore alla media europea ( il
tasso per i Paesi dell’Europa Occidentale per l’anno 2002 è del 22,3 x
100.000).(6)
5
I dati più recenti per quanto riguarda la sopravvivenza su base di
popolazione resi noti dal National Cancer Institute per gli Stati Uniti
evidenziano una tendenza significativa al miglioramento della prognosi
( dal 75% a 5 anni degli anni ’70 all’88% del 2000); i dati italiani ed
europei ricavabili dai confronti dei registri tumori evidenziano nel tempo
lo stesso miglioramento. In Europa la sopravvivenza per carcinoma
mammario a 5 anni sale dal 72,5% nel periodo 1985-1989 al 76% nel
periodo 1990-1994. Il dato italiano negli stessi periodi passa dal 76%
all’80%.(6)
A causa dell’alta incidenza e della relativa buona prognosi, il tumore della
mammella è quello con una maggiore prevalenza nel mondo ed in Italia la
stima dei dati mostra una chiara tendenza all’incremento, dai circa 100.000
casi nel 1970 ai 350.000 casi nel 1997, fino a circa 420.000 casi nel 2005.
Tale incremento è attribuibile sia all’aumento della sopravvivenza che
all’invecchiamento della popolazione.(6)
2.1.2 FATTORI DI RISCHIO.
Il rischio di sviluppare il carcinoma della mammella è associato a fattori di
ordine genetico e familiare, endocrino, dietetico, ambientale, ad abitudini
di vita e a pregresse malattie mammarie, anche se più della metà dei casi
non è tuttavia riconducibile ad alcun fattore di rischio noto. L’età è
chiaramente un fattore di rischio in rapporto a meccanismi che possono
coinvolgere
il
prolungato
stimolo
endocrino
alla
proliferazione,
l’accumulo di danni al DNA a livello di oncogeni ed oncosoppressori,
l’espressione patologica di geni correlati al ciclo cellulare e all’apoptosi, la
mancata regolazione di meccanismi connessi ai fattori di crescita ed ai loro
recettori.
La maggior parte delle mutazioni degli oncogeni e degli (mutazione
somatica) durante tutta la vita. In una piccola percentuale oncosoppressori
è acquisita e si sviluppa casualmente a carico delle cellule somatiche di
casi (5-10%), la mutazione è ereditaria (mutazione germinale), cioè
presente nei gameti e quindi può essere trasferita da una generazione alla
successiva.
6
Le mutazioni somatiche si verificano a carico del DNA di singole cellule
e, quindi, l’alterazione genetica è riscontrabile solo nelle cellule derivate
dalla cellula mutata. Le mutazioni germinali invece, sono rilevabili in tutte
le cellule del corpo perché originariamente presenti nelle cellule germinali
dalle quali derivano, appunto, tutte le cellule dell’organismo.
La presenza di una mutazione germinale può essere determinata attraverso
un test genetico che consiste nell’esaminare il DNA di un individuo,
estratto da cellule di un campione di sangue (es. leucociti) o talora di altri
liquidi o tessuti corporei, per ricercare alterazioni correlate con una
malattia. Le alterazioni del DNA possono essere numerose come
aberrazioni cromosomiche rilevabili dall’esame cariotipico (delezioni di
frammenti di cromosomi, duplicazioni e traslocazioni) o alterazioni di
singoli geni attraverso delezioni, mutazioni puntiformi, mutazioni frameshift (inserimento o delezione di singole basi in un esone), amplificazione
genica.
I test genetici hanno una vasta applicazione in oncologia sia da un punto di
vista diagnostico che prognostico e terapeutico (7).
2.1.3 CARCINOMA MAMMARIO NELL’UOMO.
Il carcinoma mammario maschile è raro e rappresenta meno dell’1% di
tutti i carcinomi della mammella. Il tasso di incidenza in Italia e nel mondo
occidentale è di circa 1 caso su 100.000 e mostra un lieve incremento negli
ultimi decenni, con evidenza di una riduzione del tasso di mortalità. La
prevalenza aumenta con l’età e mostra una distribuzione unimodale; l’età
mediana è intorno ai 67 anni, con ritardo di circa 5 anni rispetto al sesso
femminile.
I fattori eziologici o predisponenti, probabilmente multifattoriali, restano
controversi. Essi comprendono varie condizioni di alterato metabolismo
ormonale con uno sbilanciamento del rapporto estrogeni/progesterone a
seguito di patologie del testicolo, Sindrome di Klinefelter, cirrosi epatica,
obesità, assunzione esogena di estrogeni, ginecomastia secondaria a
farmaci
o
pregresso
trattamento
radiante
nell’area
mammaria.
Un’anamnesi familiare positiva per carcinoma mammario è riportata in
circa 30% dei casi. Il fattore genetico più frequentemente associato è la
7
mutazione del gene BRCA2. Studi recenti dimostrano un incremento del
rischio per gli uomini che presentino tale mutazione da 80 a 100 volte
rispetto alla popolazione generale, mentre per l’alterazione del gene
BRCA1 l’incremento è di circa 60 volte. La mutazione di BRCA2 si
riscontra nel 15% di neoplasia mammaria maschile e la sua frequenza varia
dal 4 al 40% con una maggiore incidenza nella popolazione ebraica di
discendenza Askenazy.(9,10)
2.1.4 MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA.
Figura 1: Malattie benigne della mammella
Le malattie benigne della mammella costituiscono un vasto ed eterogeneo
gruppo di lesioni la cui frequenza è notevolmente superiore a quella delle
lesioni maligne. La loro importanza consiste soprattutto nel fatto che
alcune possono simulare clinicamente un cancro della mammella (per es.
ectasia dei dotti mammari, necrosi del grasso), mentre altre rappresentano
fattori di rischio per lo sviluppo di un successivo carcinoma. In realtà solo
8
una parte di esse rientra in quest’ultima categoria, trattandosi di poche
lesioni che fanno parte del gruppo delle malattie benigne a carattere
proliferativo. (Fig.1)
A carico della mammella possono riscontrarsi vari tumori benigni, quali
lipomi, adenomi , emangiomi ecc. L’asportazione completa di questi
tumori rappresenta un trattamento adeguato e definitivo. Una delle più note
lesioni proliferative della mammella è costituita dal fibroadenoma, che si
riscontra più frequentemente tra i 25 e i 35 anni di età, aumenta di
dimensioni durante la gravidanza e tende a regredire con l’aumentare
dell’età della paziente. In genere è una lesione singola, ma nel 20% dei casi
può essere multipla o bilaterale. Microscopicamente i fibroadenomi sono
costituiti da tessuto connettivo e tessuto ghiandolare. Una trasformazione
maligna è stata riportata molto raramente (0,1% dei casi) per la
componente epiteliale in genere sotto forma di carcinoma in situ . La
trasformazione sarcomatosa della componente connettivale è ancora più
rara, se realmente esiste .
Il rischio di trasformazione del fibroadenoma in cancro della mammella è
però aumentato se è presente iperplasia duttale o storia familiare di
carcinoma mammario.
Un’altra lesione benigna della mammella è il papilloma intraduttale che,
in media, si riscontra intorno ai 48 anni di età, nel 90% dei casi è solitario
ed è costituito da una lesione polipoide all’interno dei dotti che può essere
causa di secrezione ematica del capezzolo.
L’escissione chirurgica
guarisce questo tumore, e non vi è, in queste condizioni, un maggior
rischio di cancro alla mammella a lungo termine. Il rischio è aumentato in
presenza di papillomi multipli microscopicamente evidenti. Il papilloma
intraduttale è una delle cause più frequenti di secrezione del capezzolo, che
complessivamente si riscontra in circa il 5% delle donne che presentano
problemi mammari.
La malattia fibrocistica rappresenta di certo la condizione benigna più
comune; si riscontra nel 50-90% delle donne, più frequentemente nell’età
compresa tra i 25 e i 45 anni di età. Generalmente è bilaterale, anche se una
mammella può essere notevolmente più colpita dell’altra. E’ rappresentata
da un insieme di alterazioni mammarie, tra cui cisti, fibrosi, infiammazione
9
cronica, iperplasia epiteliale; la sua origine non è del tutto nota, ma è certo
che risenta di influenze ormonali. Questo tipo di patologia di per sé non
aumenta il rischio di cancro che, invece, è correlato a presenza di iperplasia
duttale o lobulare, soprattutto se atipica ed associata a storia familiare di
carcinoma della mammella.(11)
Figura 3: Anatomia normale e patologica della mammella
2.1.5 TUMORI MALIGNI DELLA MAMMELLA.
Nella mammella possono insorgere diversi tipi di tumore ma, nella
stragrande maggioranza dei casi, si tratta di tumori epiteliali, cioè di
carcinomi, mentre rari sono i sarcomi ed i tumori di origine connettivale.
Il carcinoma della mammella rappresenta una crescita abnorme delle
cellule che rivestono i dotti ed i lobuli ed è classificato in base alla cellula
di origine (duttale o lobulare), alla invasione (diffusione e crescita)
attraverso il dotto o il lobulo e dall’aspetto istologico.(Fig 3-4)
10
Figura 4: Struttura della mammella femminile
2.1.5.1 Carcinoma in situ.
La definizione carcinoma in situ indica che le cellule tumorali si trovano
ancora nella sede dove è avvenuta l’iniziale trasformazione neoplastica,
confinate entro la membrana basale e non ancora diffuse in altre parti del
corpo.
Esistono due tipi di carcinoma in situ:
Carcinoma lobulare in situ (LCIS). E’anche detto neoplasia lobulare, inizia
a livello dei lobuli, ma non si accresce attraverso la parete dei lobuli. E’un
reperto occasionale e non si ritiene che si trasformi abitualmente in cancro
invasivo.
11
Figura 5: Carcinoma lobulare in situ
Carcinoma duttale in situ (DCIS) o carcinoma intraduttale. E’ il tipo più
frequente di carcinoma della mammella non invasivo ed è a sua volta,
costituito da più varianti. Se non trattato può lentamente trasformarsi in
carcinoma invasivo.
Fig. 6:Carcinoma duttale in situ
12
2.1.5.2 Carcinoma duttale infiltrante (o invasivo).
Rappresenta circa l’80% di tutti i tumori della mammella ed origina dalle
cellule epiteliali dei dotti galattofori. Col tempo le cellule tumorali
superano la membrana basale, penetrano nel tessuto adiposo mammario e
possono così invadere i vasi linfatici o ematici diffondendosi in altre parti
del corpo.
Figura 7: Carcinoma duttale
2.1.5.3 Carcinoma lobulare infiltrante (o invasivo).
Rappresenta il 10-15% di tutti i tumori della mammella ed origina dalle
cellule epiteliali dei lobuli. Come il carcinoma duttale infiltrante, invade la
membrana basale e si diffonde in altri distretti corporei.
13
Figura 8: Carcinoma lobulare invasivo
2.1.5.4 Carcinoma midollare.
Questo tipo di carcinoma duttale infiltrante, che costituisce circa il 5% di
tutti i tumori mammari, ha la caratteristica di presentare margini ben
circoscritti, una diffusa infiltrazione di linfociti e cellule tumorali di grandi
dimensioni. Quando è puro, cioè non commisto ad altre varianti, ha una
prognosi migliore rispetto ai due precedenti.
Figura 9: Carcinoma midollare
14
2.1.5.5 Carcinoma muciparo.
Detto anche carcinoma colloide, è un raro carcinoma duttale infiltrante
costituito da cellule che producono muco. In genere ha una prognosi
migliore ed un minor rischio di metastasi rispetto al carcinoma lobulare o
duttale invasivi delle stesse dimensioni.
Figura 10: Carcinoma muciparo (colloide) invasivo
2.1.5.6 Carcinoma tubulare.
E’ un tipo particolare di carcinoma duttale infiltrante della mammella,
costituito dalla proliferazione di piccoli tubuli irregolari. E’ spesso
multicentrico e bilaterale, e di rado si accompagna a metastasi linfonodali.
La forma pura ha una prognosi molto favorevole, essendo guaribile in più
del 90% dei casi.
15
Figura 11: Carcinoma tubulare infiltrante
2.1.5.7 Carcinoma infiammatorio.
E’ un tipo non comune di carcinoma invasivo che costituisce l’1-3% di
tutti i tumori della ghiandola mammaria. La cute della mammella si
presenta di colorito rosso, è calda ed ha l’aspetto della buccia d’arancia. In
realtà non esiste un processo infiammatorio di base e l’aspetto è
determinato dalle cellule tumorali che bloccano i vasi linfatici. Questo
tumore ha un’elevata probabilità di metastatizzare a distanza ed ha una
prognosi peggiore rispetto ai carcinomi invasivi duttale e lobulare.
1.1.5.8 Malattia di Paget.
Si presenta con alterazioni del capezzolo costituite da lesioni eczematose
con prurito, arrossamento e secrezione sierosa o sieroematica dal
capezzolo. Nella quasi totalità dei casi si incontra una contemporanea
neoplasia della mammella che può essere sia un carcinoma duttale in situ
(più frequente) che un carcinoma duttale invasivo. E’ una neoplasia rara
che rappresenta meno dell’1% dei tumori della mammella.
16
Figura 12: Mallattia di Paget con lesione eczematosa diffusa
2.1.5.9 Cistosarcoma filloide.
Questo tumore fu così denominato nel 1838 da Johannes Müller per le sue
caratteristiche macroscopiche costituite da lobulazioni simili a foglie (dal
greco phillion, foglia) che aggettano in cavità cistiche e, talora, da un
aspetto sarcomatoso. Il tumore, in realtà, ha in genere un decorso benigno,
e solo raramente presenta caratteristiche francamente maligne. Quando il
tumore dà metastasi a distanza, ciò avviene per via ematogena, come nel
caso dei sarcomi.
17
2.1.6
FATTORI GENETICI E FAMILIARI.
2.1.6.1 Geni e cancro.
Il cancro è una malattia genetica dovuta all’alterazione (es. mutazione) di
più geni. In genere sono interessati i geni la cui funzione è quella di
controllare che la moltiplicazione delle cellule avvenga in maniera
ordinata. Se è presente un’alterazione, le cellule si possono riprodurre in
maniera disordinata, infiltrare i tessuti vicini e diffondersi dappertutto nel
corpo.
I geni più frequentemente coinvolti sono: gli oncogeni che normalmente
stimolano la proliferazione cellulare (quando sono mutati la stimolazione è
continua); i geni oncosoppressori i quali normalmente frenano la
moltiplicazione delle cellule (quando sono mutati perdono la loro funzione
e viene favorita la proliferazione cellulare).; i geni riparatori del danno del
DNA, che favoriscono l’insorgenza di un tumore non correggendo gli
errori che si verificano quando il DNA viene duplicato e consentendo,
pertanto, l’accumulo di mutazioni.
Particolare importanza hanno i test genetici predittivi miranti ad
individuare i soggetti a rischio di sviluppare una neoplasia per il fatto di
avere ereditato un gene mutato, prima della comparsa di segni o sintomi.
Un test genetico predittivo, dirà se è presente o meno una mutazione
genetica correlata ad una determinata neoplasia. Se la mutazione è presente
lo sviluppo successivo di un tumore dipende dalla penetranza del gene.(7)
2.1.6.2 Genetica nel cancro della mammella.
Nel cancro della mammella sono stati individuati vari geni che possono
essere oggetto di mutazioni somatiche o germinali tra cui quelli che
codificano per il recettore dell’estrogeno (ERs), del progesterone (PRs)
ErbB2, p53, BRCA1 e BRCA2 (Fig 1).
Alcune sindromi familiari si associano ad aumentata suscettibilità di
carcinoma mammario, nell’ambito di malattie complesse con neoplasie
18
multiple. Per alcune di esse è stata è stata identificata la mutazione genica
coinvolta: una mutazione di p53 nella Sindrome di Li Fraumeni, del gene
PTEN nella Sindrome di Cowden e del gene AT nella Sindrome atassiateleangectasia.
La frequenza delle mutazioni varia da 1/1000 nel caso di BRCA1-2 a circa
1/10.000 nelle sindromi più rare.
Mutazioni relativamente comuni a livello di geni a bassa penetranza
agiscono insieme a fattori endogeni e a condizioni legate allo stile di vita
nell’insorgenza di neoplasie sporadiche, che rappresentano la maggior
parte dei carcinomi mammari. (Fig.13)
Figura 13: Pathways di risposta al danno del DNA e cancro della
mammella
19
2.1.6.3 Il cancro della mammella familiare: BRCA1- BRCA2.
Non esiste una mutazione genetica univocamente ed esclusivamente
associata al rischio. L’anamnesi familiare positiva per carcinoma
mammario
aumenta il
rischio
di
sviluppare la malattia;
studi
epidemiologici hanno dimostrato che circa il 12% di pazienti con
carcinoma della mammella ha almeno un familiare affetto dalla malattia, e
che il rischio aumenta con l’aumentare dei familiari interessati.(6,7)
La probabilità che sia presente una mutazione genetica aumenta se la storia
familiare include giovane età alla diagnosi, raggruppamenti di carcinomi
mammari e ovarici (80% BRCA1), carcinoma della mammella maschile
(66% BRCA2) e altre rare neoplasie come sarcomi e tumori dalla corticale
del surrene (70% TP53).
Dal 5 al 10% dei carcinomi mammari compaiono come risultato di
specifiche mutazioni in geni ad alta penetranza. In circa metà di tali
mutazioni, trasmesse con eredità mendeliana autosomica dominante, sono
relative ai geni oncosoppressori BRCA1(cromosoma 17q21) e BRCA2
(cromosoma 13.q13); essi sono responsabili dell’80-90% delle neoplasie
geneticamente determinate codificando proteine nucleari implicate nei
meccanismi biochimici che controllano l’integrità del genoma. Essi
rappresentano i più forti predittori di rischio attualmente noti e conferiscono
un aumentato rischio di neoplasia mammaria, a esordio spesso bilaterale, in
età più precoce alla popolazione generale ( Tab 1).
Mutazioni a carico del BRCA1 comportano un rischio del 50-85 % di
sviluppare un cancro della mammella nel corso della vita, ed un rischio del
15-40 % di andare incontro, invece, ad un cancro dell’ovaio. Nel sesso
maschile le mutazioni di BRCA1 non comportano un incremento di rischio
di carcinoma mammario, ma probabilmente di cancro della prostata e del
colon.
Nel caso di mutazioni di BRCA2, il rischio di sviluppare nel corso della
vita un cancro della mammella è 6-7.5 % per gli uomini e del 50-85 % per
le donne, mentre per il cancro dell’ovaio è del 14-27 %. Nella popolazione
generale, una mutazione di BRCA1 è presente in uno ogni 500-800
individui. Mutazioni a carico di BRCA2 sono ancora meno frequenti. Negli
20
ebrei Askenazi (cioè dell’ Europa Occidentale e degli USA), una
mutazione di BRCA2 si riscontra addirittura in un individuo ogni
40.(14,15,16,17)
La maggior parte di tumori della mammella non è correlata a geni BRCA1
e BRCA2 alterati. Mutazioni di questi geni, infatti, si riscontrano solo in
circa il 6 % di donne con cancro della mammella diagnosticato in età
minore di 36 anni ed in circa il 4 % di donne in cui la diagnosi di neoplasia
mammaria è fatta in età compresa tra 36 e 45 anni. Pertanto, al massimo,
soltanto un cancro della mammella ogni 10 è correlato ad un gene mutato
ereditato e non tutti i tumori della mammella ereditati sono in rapporto con
BRCA1 o BRCA2. Sono in corso studi per identificare possibili mutazioni
di un altro gene indicato come BRCA3.(Fig 14)
Finora sono state identificate più di 500 lesioni di BRCA1 e più di 250 di
BRCA2 (10). (Tab. 2)
Storia personale
Cancro della mammella diagnosticato in età minore di 40 anni.
Cancro della mammella bilaterale, soprattutto allorché il primo
Storia personale
Cancro della mammella diagnosticato in età minore di 40 anni.
Cancro della mammella bilaterale, soprattutto allorché il primo
tumore sia stato diagnosticato in età minore di 50 anni.
Storia di cancro della mammella e dell’ovaio.
Storia familiare
Due o più membri della famiglia con cancro della mammella
diagnosticato dall’età di 50 anni o prima.
Presenza nella famiglia sia di cancro della mammella che
dell’ovaio.
Uno o più membri della famiglia con cancro della mammella
diagnosticato all’età di 50 anni o prima, ed appartenenza
alla stirpe degli ebrei Askenazi.
Uno o più membri della famiglia con cancro dell’ovaio
ed appartenenza alla stirpe degli Askenazi.
Cancro della mammella maschile.
Tabella 2: Predisposizione al cancro mammario
21
Le neoplasie in pazienti con mutazione BRCA2 non hanno un fenotipo
distinto dalle neoplasie sporadiche; i carcinomi associati a mutazioni di
BRCA1 invece presentano frequentemente neoplasie a istotipo duttale,
elevato grado istologico e negatività ai recettori ormonali e ad HER2 ed
iperespressione di p53.
10%
20%
Sporad
Familiare
Ereditario
70%
Figura 14: Eterogeneità del cancro della mammella
2.1.6.4 TP53.
TP53 è un importante gene oncosoppressore situato sul cromosoma 17p14,
presente in molti tessuti, inclusi quelli della mammella. Si stima che il 3050% dei carcinomi della mammella abbia una mutazione somatica di TP53.
Inoltre molte donne con mutazioni di TP53 nella linea germinale
(Sindrome di Li-Fraumeni), che sopravvivano a cancri in età giovanile,
sviluppano un cancro della mammella in età adulta.
Il 50-70% dei carcinomi della mammella in donne con mutazioni di
BRCA1 hanno anche mutazioni di TP53 e ciò suggerisce un’interazione di
questi geni nello sviluppo della malattia.
TP53 è un importante componente della risposta cellulare al danno del
DNA. Tramite l’induzione di p21 determina l’arresto del ciclo cellulare,
per permettere al sistema di riparo del DNA di intervenire e correggere
eventuali lesioni; tramite l’induzione di BAX determina l’apoptosi della
cellula in caso di danno più esteso.
22
Diversi modelli murini sono stati importanti nella definizione del ruolo di
TP53 nello sviluppo del cancro della mammella. Nella maggior parte dei
casi, l’assenza di TP53 normale nella ghiandola mammaria non è associato
a più alta incidenza di tumori. Comunque la specifica perdita di funzione di
TP53 nella ghiandola stessa riduce la latenza dello sviluppo di tumore
mammario in topi, quando questi sono incrociati con animali transgenici
con iperespressione di MYC, ErbB2, IGF1 e WNT1. Questi dati
suggeriscono che TP53 promuova lo sviluppo di tumore mammario, ma
che non sia l’evento iniziale.
Sebbene l’associazione tra mutazioni di TP53 e prognosi infausta dei
tumori non sia del tutto chiara, i cancri TP53 mutanti possono avere
ridotta sensibilità alle condizioni che inducono apoptosi, marcata instabilità
genetica, incremento di capacità proliferativa ed angiogenetica. Le
mutazioni di TP53 sono anche collegate alla resistenza farmacologica e
sono forti indicatori di fallimento del trattamento; infatti sono associate a
resistenza a Tamoxifene, terapia radiante e doxorubicina (18,19,20).
2.1.6.5 Ormoni endogeni.
Ogni evento riproduttivo nella vita della donna è stato variamente associato
al rischio di sviluppare un tumore della mammella, e gli ormoni sessuali
endogeni, gli estrogeni in particolare, sono stati lungamente implicati
nell’induzione e progressione neoplastica. Infatti molti tumori maligni
della mammella sono dipendenti dagli estrogeni per la loro crescita e la
loro sopravvivenza. Questo effetto è mediato da ER, un fattore di
trascrizione nucleare che ha come ligandi gli estrogeni, i quali inducono la
formazione di un omodimero, attivando i promotori di diversi geni (incluso
PGR), i quali a loro volta inducono la proliferazione delle cellule e
conferiscono loro resistenza all’apoptosi.
L’estradiolo è il più potente degli estrogeni non coniugati. Entra nelle
cellule per diffusione malgrado la concentrazione intracellulare è
notevolmente aumentata in quegli organi o tessuti che esprimono i
recettori per gli estrogeni. L’ingresso nelle cellule è impedito dal legame
23
a bassa affinità con l’albumina e ad alta affinità con la Sex Hormon
Binding Globulin (SHBG). L’estradiolo è convertito in modo reversibile a
estrone e quindi a estrone solfato.
La relazione tra estrogeni e tumore mammario è dimostrata da evidenze
cliniche come il calo di incidenza di neoplasie mammarie dopo la
menopausa, il rischio ridotto in donne ovariectomizzate o con menopausa
precoce, l’efficacia di antiestrogeni nella prevenzione e nel trattamento del
tumore stesso e da una larga serie di studi epidemiologici.(21,22)
La neoplasia della mammella che esprime alti livelli di ER è, almeno
inizialmente, responsiva alla terapia ormonale, cioè a farmaci come
Tamoxifene ed inibitori dell’aromatasi. (23)
Il ruolo del progesterone è sostenuto dal fatto che la proliferazione
dell’epitelio mammario è maggiore in fase luteale, con un picco di 9-10
giorni dopo l’ovulazione, cui corrisponde l’aumento di attività mitotica in
particolar modo a livello dell’unità termino-lobulare, dove originano la
maggior parte dei carcinomi, e dalla dimostrazione che la terapia
sostitutiva con estro-progestinici aumenta il rischio di sviluppare un
carcinoma mammario in misura superiore rispetto ai soli estrogeni. In
contrasto con questa teoria alcuni studi (24) hanno mostrato una
correlazione inversa tra livelli sierici di progestinici ed incidenza di
carcinoma mammario in pre-menopausa.
In realtà il progesterone ha complessi effetti di crescita nei tessuti
ormonoresponsivi. E’ risaputo che il progesterone blocca la proliferazione
endometriale stimolata dagli estrogeni. La maggior parte degli studi in
vitro suggerisce che i progestinici riducono gli effetti mitogenici degli
estrogeni; d’altro canto studi in vivo paiono dimostrare il contrario, con
primario effetto sull’epitelio della mammella di tipo proliferativo,
conseguentemente gli antagonisti del progesterone bloccherebbero tale
proliferazione.
Sia gli estrogeni che il progesterone sono necessari per il normale sviluppo
della mammella. PGR è un gene regolato dagli estrogeni, avendo nel suo
promoter un elemento sensibile ad essi; inoltre in generale le neoplasie
della mammella ER positive sono anche PGR positive. (21,23,24)
24
2.1.6.6 Erb B2 (HER2/neu).
Il proto-oncogene ErbB2 (HER2/neu) è situato sul braccio lungo del
cromosoma 17 (17q11.2-q12), in posizione prossima ad un altro protooncogene, GRB7. Esso codifica un mRNA di 4.6 kb, tradotto in una
proteina del peso di 185 kD, chiamata appunto P185, al quale ha funzione
recettoriale ad attività tirosin-chinasica.
ErbB2 appartenente ad una famiglia di quattro recettori di fattori di crescita
che comprende ErbB1, più noto come EGFR (Epidermal Growth Factor
Receptor), ErbB3 (HER3) e ErbB4 (HER4).
La struttura monomerica di questi recettori è costituita da un dominio
transmembrana di 25-30 amminoacidi, da un dominio extracellulare Nterminale che lega i fattori di crescita di circa 620 amminoacidi, strutturato
in quattro sottodomini denominati L1, L2 (leucine-rich), CR1 e CR2
(cysteine-rich), ed infine da un dominio intracellulare C-terminale
responsabile dell’attività tirosin- chinasica.
La fosforilazione della tirosina nel recettore produce siti leganti proteine
che contengono domini SH2 (Src homology 2) e PTB (Phosphotyrosine
binding). Fanno parte di questo gruppo di proteine Grb2, Grb7, Crk,e
Gab1, proteine e lipidi-chinasi come fosfatidilinositolo-3-chinasi e
fosfolipasi Cγ e proteine-fosfatasi come SHP1 e SHP2.
Dopo l’attivazione si innescano i meccanismi di trasduzione del segnale
che portano a divisione cellulare.
L’integrità del segnale di ErbB richiede anche l’unione indipendente da
fosforilazione con proteine che regolano l’attività recettoriale e la corretta
localizzazione in membrana.
I fattori di crescita che legano questi recettori sono conosciuti come
“hereguline” o “neureguline”, ed il loro legame con ErbB3 e ErbB4 induce
una eterodimerizzazione con ErbB2 e successiva trasduzione a valle del
segnale. (Fig. 15)
ErbB2 non è in grado di legarsi a fattori endogeni (è definito in gergo
tecnico “orfano”), ma forma dimeri con altri recettori della famiglia, già
legati, stabilizzandoli ed innescando la trasduzione del segnale chinasi25
mediata. Essenzialmente tutte le combinazioni dei quattro recettori possono
essere indotte da dieci specifici ligandi di ErbB, generando segnali molto
diversi fra loro.
In alternativa, l’iperespressione di recettori che può essere osservata in
alcuni tumori, inclusi quelli della mammella, promuove dimerizzazione
spontanea in assenza di ligando, e quindi attivazione costitutiva.
L’amplificazione di ErbB2 e l’iperespressione della relativa proteina sono
riscontrati nel 20-30% dei cancri della mammella e sono associati ad un
decorso clinico sfavorevole ed a diminuzione del tempo di sopravvivenza.
Dati recenti suggeriscono che anche l’iperespressione di ErbB3
contribuisca al fenotipo maligno attraverso l’aumento della motilità
cellulare, con induzione di potenziali metastasi e trasduzione di segnali
antiapoptotici che prolungherebbero la sopravvivenza delle cellule e
contribuirebbero all’insorgenza di instabilità genetica e di resistenza
farmacologica.
Con riferimento al comportamento metastatico, le hereguline sono
importanti fattori migratori delle cellule neoplastiche nel cancro della
mammella, inducendo la riorganizzazione dell’actina e la formazione di
strutture citoscheletriche mobili.
Le hereguline stimolano anche PAK1 (p21-activate-kinase), una chinasi
implicata nella promozione della migrazione delle cellule. Clinicamente
ciò può avere rilevanza nello sviluppo della malattia metastatica che nel
carcinoma della mammella, come abbiamo detto precedentemente, è
associato a iperespressione di ErbB2.
Essa può anche essere causa di resistenza farmacologia, grazie
all’induzione della riparazione delle rotture del DNA determinate da
chemioterapici come ad esempio la doxorubicina. Infatti l’iperespressione
di
recettori
tirosin-chinasi
della
famiglia
ErbB
contribuisce
al
prolungamento del ciclo cellulare, permettendo la riparazione del DNA e
sovraregolando membri antiapoptotici della famiglia BCL2.
L’espressione di ErbB2 risulta associata ad una sottoregolazione di BAX
ed ad una sovraregolazione di molecole anti-apoptotiche BCL2 e BCL-XL.
Il segnale apoptotico risulta ridotto, viene favorita l’instabilità genomica e
compare resistenza agli agenti chemioterapici.
26
Questo vale soprattutto nel caso di farmaci che agiscono producendo un
danno al DNA come gli analoghi nucleosidici (6-mercaptopurina, 6tioguanina,
5-fluorouracile,
citarabina,
fludarabina),
gli
antibiotici
intercalanti del DNA (adriamicina, daunorubicina) e gli agenti alchilanti
che formano legami tra i due filamenti (nitrosuree, ciclofosfamide). La
cellula neoplastica ha un’aumentata capacità di riparo di questo tipo di
lesioni ed incrementa la sua tolleranza ai danni causati da questi agenti
chemioterapici, promuovendo lo sviluppo della progressione maligna.
(25,26,27).
Figura 15: Segnali cellulari di ErbB2 (HER2/neu)
27
2.2 LA TARGETED THERAPY ED I BERSAGLI
MOLECOLARI.
Negli ultimi anni sono stati compiuti progressi straordinari nella scoperta
delle lesioni genetiche alla base delle neoplasie. Queste scoperte hanno
aperto nuovi scenari per lo sviluppo di targeted therapy, cioè terapie
molecolari indirizzate selettivamente contro le proteine responsabili della
formazione dei tumori. Infatti le cellule tumorali dipendono in maniera
assoluta da alcune specifiche vie di trasduzione del segnale, e l’inibizione
di queste vie può portare ad arresto irreversibile della crescita, oppure a
morte delle cellule neoplastiche.
L’utilizzo di targeted therapy richiede una corretta ed esaustiva definizione
del target. Un bersaglio terapeutico ideale, in particolare, deve avere le
seguenti caratteristiche:
• essere esclusivo o preminente del tumore;
• essere assente o irrilevante negli organi sani;
• rivestire un importante ruolo patogenetico per la progressione del
tumore,
preferibilmente
rappresentando
una
delle
caratteristiche
fondamentali della biologia della cellula tumorale (si può trattare di un
processo che coinvolge diverse molecole);
• dimostrarsi bersagliabile farmacologicamente; il farmaco, o comunque
la terapia, deve risultare con un indice terapeutico almeno accettabile;
• essere misurabile clinicamente; la misurazione si dovrebbe correlare
con l’outcome clinico durante la terapia.
Le proteine codificate da oncogeni e oncosoppressori rappresentano
bersagli elettivi per la messa a punto delle terapie molecolari, cioè terapie
dirette a bloccare le molecole che sono alla base delle neoplasie. Infatti
colpire
bersagli
molecolari
specifici
rappresenta
un
approccio
potenzialmente più efficace e meno tossico delle terapie tradizionali.
Produrre composti in grado di bloccare il funzionamento di proteine
superattive (quelle codificate dagli oncogeni) è più agevole che identificare
molecole in grado di ripristinare la funzione delle proteine inattivate
(quelle codificate dagli oncosoppressori). Non sorprende quindi che le
28
proteine codificate dagli oncogeni siano state identificate come i bersagli
più promettenti per terapie molecolari.
Bersagli molto promettenti sono, per esempio, le proteine RAS.
Esse sono infatti da annoverare tra le oncoproteine più spesso coinvolte nei
tumori dell’uomo. Per poter funzionare le proteine RAS hanno bisogno di
essere coniugate a catene lipidiche da enzimi (noti come farnesiltransferasi
o geraniltransferasi). Inibitori di questi enzimi hanno efficacia terapeutica
grazie al blocco di RAS o di proteine della stessa famiglia.(28,29)
Altri bersagli terapeutici promettenti sono le oncoproteine con funzione
anti-apoptotica. La loro inibizione potrebbe infatti favorire la morte delle
cellule tumorali. Sono in sperimentazione molecole in grado di inibire le
proteine IAP (Inhibitor of Apoptosis), oppure BCL2, un’altra proteina con
funzione antiapoptotica. Tuttavia esistono anche esempi di strategie
terapeutiche che hanno come obiettivo l’attivazione di oncosoppressori. La
proteina p53, per esempio, ha potenti effetti antitumorali, in larga parte
mediati dalla capacità di indurre apoptosi oppure arresto del ciclo cellulare.
Di recente sono stati identificati alcuni composti che bloccano la
degradazione proteolitica di p53, aumentandone i livelli intracellulari e, di
conseguenza, uccidendo le cellule tumorali.(28,29) Un’altra classe di
composti antitumorali sono gli inibitori delle istonedeacetilasi (Histone De
Acetylase; HDAC), enzimi che favoriscono l’acetilazione degli istoni e
quindi
il
distacco
della
cromatina.
Questi
composti
stimolano
potenzialmente la trascrizione genica; infatti l’effetto terapeutico degli
inibitori di HDAC è legato alla capacità di riattivare l’espressione di
proteine con funzione di soppressione tumorale. (30)
Le strategie citate, sebbene molto promettenti, sono ancora in fase
sperimentale. Invece due altre strategie, basate sullo sviluppo di inibitori a
basso peso molecolare per chinasi oncogeniche oppure di anticorpi
monoclonali diretti contro antigeni posti sulla superficie delle cellule
tumorali, hanno prodotto molecole terapeutiche presenti già in pratica
clinica.
I farmaci diretti a target specifici si sono sviluppati di pari passo con le
progressive scoperte sui meccanismi molecolari eziologici dei tumori, la
29
definizione e la mappatura dei più importanti pathway che controllano
proliferazione, differenziamento e morte cellulare e con i progressi della
chimica combinatoriale, che hanno permesso di formulare l’ipotesi che una
volta trovato un target biologicamente significativo, sia possibile
“costruire” un farmaco ad hoc.
La denominazione targeted therapy è quanto mai appropriata perché il
meccanismo di questi farmaci non è più diretto, come per i citotossici
tradizionali , genericamente “contro” la sintesi degli acidi nucleici ed i
normali processi cellulari, ma contro particolari target molecolari rilevanti
per la patogenesi dei tumori.(1,2)
Tuttavia le neoplasie sono malattie eterogenee, che solo terapie combinate,
dirette contemporaneamente contro più bersagli molecolari, possono
riuscire a controllare in maniera efficace.
Combinazioni farmacologiche opportune potranno anche ridurre il rischio
di sviluppo di cellule neoplastiche resistenti, un rischio che rappresenta,
attualmente, uno dei principali problemi della targeted therapy.
2.3 ANTICORPI MONOCLONALI UMANIZZATI.
La terapia con anticorpi monoclonali (mAb) è basata sulla scoperta che
mAb specifici per un antigene possono essere ottenuti fondendo una cellula
B che produce anticorpi con una cellula immortalizzata di mieloma.
Provocando una fusione cellulare di linfociti B provenienti da un topo con
una linea cellulare proveniente da un mieloma si ottiene un ibridoma,
facendo crescere i singoli ibridomi si ottengono cloni cellulari ognuno dei
quali sintetizza uno specifico tipo di anticorpo monoclonale con struttura
chimica definita e con la capacità di riconoscere un singolo epitopo.(32)
Nel 1975 sono stati prodotti i primi anticorpi murini mediante la tecnica
degli ibridomi (32), tuttavia questi anticorpi sono immunogenici nell’uomo
e inducono risposte anticorpali anti-immunoglobulina (Ig) di topo, causa di
reazioni simili alla malattia da siero e di rapida rimozione degli anticorpi dal
30
circolo. Successivamente, grazie allo sviluppo di tecniche di ingegneria
genetica, è stato possibile produrre anticorpi più simili a quelli umani e
quindi meno immunogenici (33). Gli anticorpi chimerici sono stati prodotti
da geni ibridi derivanti dalla fusione dei geni codificanti per le regioni
variabili (VH e VL) delle Ig di un mAb di topo con corrispondenti regioni H
e L di anticorpi umani. Tali geni ibridi devono essere inseriti mediante
trasfezione genica in una cellula (trasfettoma) che diventerà così produttrice
degli anticorpi chimerici.
Gli anticorpi chimerici, pur mantenendo la specificità di riconoscimento
dell’anticorpo originale murino, sono meno immunogenici rispetto alle
controparti Ig interamente murine e inducono meno anticorpi umani antitopo (human anti-mouse antibodies, HAMA) (34). Tuttavia, poiché la
regione variabile che riconosce l’antigene è comunque ancora murina,
possono essere ancora prodotti anticorpi neutralizzanti.
Gli anticorpi primatizzati, hanno la regione variabile codificata da geni di
primati; la loro immunogenicità è ridotta ma sono ancora possibili reazioni
da parte dell’organismo ospite.
Sono detti anticorpi umanizzati quelli in cui tutte le porzioni che non sono
coinvolte nel legame con l’antigene, escluse quindi le regioni ipervariabili,
sono ottenute da sequenze geniche umane. Questi anticorpi vengono ottenuti
mediante la tecnica del CDR-grafting, attraverso isolamento di c-DNA delle
catene L e H da ibridomi prodotti in topi transgenici in cui vengono inseriti
geni umani. Si amplificano attraverso PCR le regioni variabili VH e VL
degli anticorpi murini (CDR). Attraverso 6 cicli di mutagenesi vengono
quindi sostituiti altrettanti frammenti CDR. Si clonano i geni ricombinanti
in vettori di espressione, e quindi si introducono in cellule ospiti idonee
(E.coli o mammifero)per la produzione degli anticorpi. Meno del 10%
dell’anticorpo monoclonale umanizzato ha sequenze geniche murine.
Gli anticorpi monoclonali possono essere usati a scopo terapeutico come
mAb immodificati o non coniugati e come mAb coniugati.
Gli anticorpi non coniugati di classe IgG1 possono agire direttamente a
livello cellulare provocando apoptosi, citotossicità complemento-mediata
(CDC) e citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC).
31
Inoltre, gli anticorpi possono agire tramite il blocco di recettori per fattori di
crescita provocando inibizione della crescita ed alterazioni del ciclo
cellulare.
Gli anticorpi coniugati non sfruttano l’attività immunologica anticorpale ma
servono per dirigere in maniera specifica il composto tossico a cui sono
coniugati,
come
ad
esempio
agenti
chemioterapici
,
tossine
o
radioisotopi.(38)
L’anticorpo monoclonale murino 4D5 è stato umanizzato ed il risultante
anticorpo monoclonale anti-Her2 umano ricombinante (rhumAb-Her2,
Trastuzumab- Herceptin™) si è dimostrato efficace in trials clinici di fase II
e III condotti su pazienti con tumore mammario metastatico. (39)
Figura 16: Trastuzumab
2.4 TRASTUZUMAB.
2.4.1 AZIONE DEL FARMACO.
Trastuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato (Fig.
16), prodotto mediante un sistema di espressione genica in cellule di
mammifero CHO. E’ stato sviluppato agli inizi degli anni ’90.; possiede
elevata affinità di legame per la proteina HER2/neu ed è in grado di inibirne
gli effetti sulla trasformazione cellulare maligna a livello dei tessuti
epiteliali.
Si lega alla porzione extracellulare dei recettore Her2 (p105) e ne determina
la downregolazione con alterazioni nella trasduzione dei segnali
intracellulari
HER2
mediati
(40)
(Fig.
17);
inoltre
accelera
32
l’internalizzazione e la degradazione dei recettori HER2 dalla membrana
cellulare.
Trastuzumab è inoltre un potente mediatore della citotossicità anticorpo
dipendente cellulo-mediata (ADCC) con reclutamento delle cellule natural
killer (NK) attratte dal complesso anticorpo-HER2. In vitro la ADCC è
esercitata in maniera preferenziale sulle cellule tumorali con iperespressione
di HER2 (38).(Fig 18)
Numerosi studi in vitro hanno dimostrato che il Trastuzumab esercita la sua
attività
su linee cellulari umane di tumori della mammella, gastrici e
dell’ovaio
che iperesprimono HER2 ma non su quelle che non lo
iperesprimono.(41)
Studi in vitro ed in vivo hanno dimostrato che Trastuzumab potenzia
l’effetto della terapia tradizionale.
Figura 17:Legame selettivo di Herceptin al recettore Her2
33
Figura 18: Azione selettiva sulle cellule tumorali a causa della elevata
espressione dei recettori.
2.4.2 UTILIZZO CLINICO.
Il Trastuzumab è stato approvato nel 1998 negli Stati Uniti in combinazione
con Paclitaxel nel trattamento di prima linea per neoplasie metastatiche
della mammella con iperespressione della proteina HER2(2); è stato
conseguentemente approvato in Europa nel 2000.
Generalmente, nella pratica clinica i nuovi farmaci per il trattamento del
cancro vengono utilizzati dapprima nella malattia metastatica.(42)
Dopo che i farmaci hanno dimostrato di avere effetto positivo sulla malattia
metastatica, seguono di consuetudine studi sul loro impiego nella terapia
adiuvante e neoadiuvante.
Il razionale per iniziare lo studio di Trastuzumab nel trattamento del
carcinoma mammario operabile si è basato su una serie di fattori:
-
la malattia HER2 positiva è associata a prognosi sfavorevole; è una
malattia aggressiva, con alto rischio di recidive e metastasi;
-
la positività HER2 è un evento precoce nello sviluppo del carcinoma
mammario;
-
Trastuzumab è diretto in modo specifico contro il carcinoma della
mammella HER2 positivo e, nella malattia metastatica, è associato ad un
beneficio clinico significativo;
34
-
Trastuzumab ha dimostrato di indurre scarsi effetti collaterali e di essere
dotato di un profilo di tossicità favorevole.
Trials clinici conclusi nel 2005 (40,41,42,43) hanno evidenziato che
Trastuzumab somministrato a donne con carcinoma mammario HER2
positivo, in combinazione con agenti citotossici usati comunemente nella
terapia adiuvante di carcinoma mammario, come Paclitaxel, Doxorubicina e
Ciclofosfamide, riduce di circa la metà le recidive neoplastiche
indipendentemente dallo stato dei recettori ormonali delle pazienti.
Questi studi hanno anche dimostrato che la terapia adiuvante con
Trastuzumab riduce il tasso di mortalità di un terzo. Inoltre riduce
l’incidenza di altri tipi di neoplasie primarie e la comparsa di neoplasie
mammarie controlaterali. Lo studio HERA (42) ha inoltre valutato
l’efficacia del Trastuzumab somministrandolo per 1 anno ad un gruppo di
pazienti e per 2 anni ad un secondo gruppo di pazienti ogni 3 settimane (8
mg/kg nella prima somministrazione e 6 mg/kg nelle somministrazioni
seguenti).
Questo studio ha evidenziato che il Trastuzumab, dopo un anno di
somministrazione, riduce la percentuale di recidiva del 46% e determina un
prolungamento della sopravvivenza del 20%.
2.4.3 TOLLERABILITA’ ED EFFETTI COLLATERALI.
Una delle ragioni principali per l’impiego di anticorpi monoclonali nel
trattamento dei tumori risiede nella potenzialità di sfruttare la specificità e la
sensibilità del sistema immunitario per ottenere effetti terapeutici selettivi
senza che si manifesti la tossicità, talora grave, indotta dalla chemioterapia.
Trastuzumab è generalmente ben tollerato con effetti collaterali di grado
lieve-moderato. Tossicità cardiaca e reazioni anafilattiche gravi correlate
all’infusione sono gli eventi avversi associati a Trastuzumab maggiormente
discussi.
A causa della cardiotossicità del Trastuzumab non è infatti consigliabile in
associazione con antracicline, anch’esse potenzialmente dannose per il
cuore; i rischi di danno cardiaco sono minori
quando l’anticorpo
monoclonale viene impiegato da solo al termine della terapia (40). Inoltre
35
questo tipo di tossicità è reversibile nella maggior parte dei casi con la
sospensione del farmaco, per cui l’interruzione della terapia deve essere
presa in considerazione nei pazienti che sviluppano insufficienza cardiaca
clinicamente significativa.
L’insorgenza di sintomi dovuti a reazioni gravi correlate all’infusione si
verifica generalmente entro due ore dall’inizio della prima infusione. Si
manifestano con dispnea, broncospasmo e stress respiratorio.
Alcune pazienti possono manifestare reazioni di tipo anafilattico con
ipotensione e rash cutaneo.
E’ stato dimostrato il passaggio di Trastuzumab attraverso la placenta
durante lo sviluppo fetale; non è tuttavia noto se il farmaco possa provocare
danni al feto se somministrato in gravidanza
2.4.4 ATTUALE SOMMINISTRAZIONE DEL FARMACO.
Il Trastuzumab è somministrato attualmente:
-
in combinazione con Docetaxel per il trattamento di prima linea di
pazienti non precedentemente trattate con chemioterapia per malattia
metastatica;
-
come trattamento di prima linea in combinazione con Paclitaxel in
pazienti trattate in precedenza con antracicline o non idonee al
trattamento con antracicline;
-
come monoterapia in pazienti trattate in precedenza per malattia
metastatica;
-
nella terapia adiuvante in associazione con taxani ed ultimamente con
agenti chemioterapici tra cui Vinorelbina, Gemcitabina e Capacitabina e
nei casi ormono-responsivi, con Tamoxifene ed inibitori delle aromatasi
(41).
La tendenza attuale è di trattare le pazienti con Trastuzmab in monoterapia
per 12 mesi dopo la fine della chemioterapia.
Esiste una valida evidenza preclinica che suggerisce l’esistenza di
un’interazione o di un crosstalk tra i segnali di trasduzione di HER2 e di
ER.(Fig.19)
36
HER2 è in grado di attivare la via Ras/MAPK che a sua volta determina la
fosforilazione e la conseguente attivazione del recettore degli estrogeni. Nei
tumori con iperespresione di HER2, la fosforilazione e l’attivazione della
proteina AIB1 determinano un potenziamento dell’attività trascrizionale del
recettore estrogenico ed un aumento dell’attività agonista del Tamoxifene.
Attraverso MAPK vengono fosforilati sia il recettore che i coattivatori,
promuovendo la proliferazione, mentre da parte del recettore viene favorita
la produzione di fattori di crescita, che potenziano ulteriormente la via
MAPK.
Queste vie possono essere inibite somministrando farmaci come il
Trastuzumab, in grado di bloccare la via di Ras, il loop di comunicazione
con il recettore e di evitare la fosforilazione del coattivatore a livello del
recettore estrogenico.
Gli inibitori dell’aromatasi, invece, riducendo la sintesi degli estrogeni,
riducono l’attivazione di ER: in questo modo ER non è più un target per la
cascata delle MAPK indotta da HER2 e viene bloccato cosi’ il meccanismo
di resistenza ipotizzato per il Tamoxifene.(45)
Il promotore di HER2 contiene inoltre un elemento di risposta all’estrogeno,
il quale può inibire la trascrizione del gene; questo effetto è stato dimostrato
in linee cellulari di carcinoma mammario MCF-7, nelle quali l’estrogeno
induce una diminuzione di HER2, mentre la presenza dell’antiestrogeno
porta a parziale inversione di questo effetto.(47)
Un mediatore del segnale di HER2 stimola la fosforilazione di ER portando
ad un aumento della trascrizione e della proliferazione; in questa situazione,
l’effetto
agonista
del
Tamoxifene
prevarica
l’effetto
antagonista,
convertendolo da soppressore a stimolatore delle cellule di tumore
mammario.
Questo fenomeno potrebbe in parte spiegare la relativa resistenza che tumori
ER ed HER2 positivi mostrano al trattamento con Tamoxifene.(47)
Si deduce che la via del duplice bersaglio ER ed HER2 rappresenti una
ragionevole opzione terapeutica.
37
Figura 19: Interconnessioni esistenti tra le vie di trasduzione del
segnale mediate da HER2 ed ER
38
2.5 LO STADIO DELLA NEOPLASIA.
I tumori sono classificati assegnando loro uno stadio; la stadiazione
(staging) è il processo attraverso cui si determina quanto il tumore è
progredito (cioè l’estensione anatomica della neoplasia) allorché
diagnosticato.
Lo stadio viene determinato mediante esami che si eseguono sul tumore,
sui linfonodi e su organi distanti, e rappresenta il fattore più importante per
scegliere il miglior trattamento poiché è predittivo dell’evoluzione
(prognosi) della malattia.
Il sistema classificativo generalmente usato è il sistema TNM, dove T
( Tumor = tumore) indica le dimensioni in centimetri della neoplasia, N
( Nodes = linfonodi) si riferisce alla diffusione dei linfonodi che si trovano
nell’area della mammella (cioè i linfonodi regionali) e M ( Metastasis =
metastasi) sta per metastasi a distanza, cioè in organi del corpo distanti
dalla sede primitiva del tumore.
Nella stadiazione TNM, le informazioni relative al tumore, ai linfonodi
regionali ed alle metastasi a distanza vengono associate per definire lo
stadio. Gli stadi della neoplasia sono descritti con numeri romani da I a IV.
Lo stadio clinico (cTNM) è determinato in base alle informazioni derivanti
dalla visita medica e dagli esami imaging (per es. radiografie,
mammografia, ecc). Lo stadio patologico (pTNM), invece, comprende i
risultati degli esami eseguiti sul pezzo operatorio ed è, di certo, il più
importante, perché fornisce informazioni sullo stato linfonodale, cioè
sull’eventuale diffusione del tumore ai linfonodi, fatto in genere non noto
fino a che i linfonodi non sono stati esaminati istologicamente (per valutare
la presenza di macrometastasi) e tramite indagini immunoistochimiche (per
valutare la presenza di micro metastasi).
39
2.5.1 DEFINIZIONE DEL TNM NEL CARCINOMA MAMMARIO.
2.5.1.1 Norme per la classificazione.
Stadiazione clinica: la stadiazione clinica comprende l’esame obiettivo,
con accurata ispezione e palpazione della cute, della mammella e dei
linfonodi (ascellari, sopraclavicolari e cervicali), l’imaging radiologico e
l’esame istologico della mammella e di altri tessuti, come si ritiene
necessario al fine di stabilire la diagnosi di carcinoma della mammella.
La quantità di tessuto esaminata dal patologo per la stadiazione clinica è
molto inferiore rispetto a quella necessaria per la stadiazione patologica. I
dati radiologici sono utili al fine della stadiazione se eseguiti entro 4 mesi
dalla diagnosi, purchè non si sia verificata una progressione della malattia
o la paziente sia in fase di esecuzione del programma chirurgico. I dati
forniti dall’imaging comprendono le dimensioni del tumore primitivo e
l’invasione della parete toracica, e la presenza o l’assenza di metastasi
regionali o a distanza. I dati radiologici e quelli chirurgici dopo trattamento
neoadiuvante di tipo chemioterapico, ormonoterapico, immunoterapico o
radiante non sono validi ai fini della stadiazione iniziale.
Stadiazione patologica: la stadiazione patologica comprende tutte le
informazioni fornite dalla stadiazione clinica e quelle ottenute nel corso
dell’intervento esplorativo e recettivo, oltre ai dati forniti dall’esame
istologico del tumore primitivo, dei linfonodi regionali e delle sedi di
metastasi (se possibile), purchè venga effettuata almeno l’asportazione del
tumore primitivo senza alcuna evidenza macroscopica di tumore sui
margini di resezione all’esame patologico. Un tumore può essere
classificato patologicamente in base al pT se è presente solo
interessamento microscopico, ma non macroscopico, dei margini di
resezione. Se questi risultano microscopicamente interessati, la neoplasia
viene classificata pTX, poiché non è possibile stabilire l’esatta dimensione.
Se il tumore primitivo è invasivo (e non solo microinvasivo), è necessaria
la dissezione linfonodale almeno del I livello, ovvero dei linfonodi posti
lateralmente al margine laterale del muscolo piccolo pettorale, per poter
effettuare la classificazione patologica (pN). Questo intervento permette di
40
esaminare 6 o più linfonodi. In alternativa, per formulare la stadiazione
patologica si può ricorrere alla biopsia di uno o più linfonodi sentinella.
Alcuni istotipi, come il carcinoma tubulare vero < 1 cm, il carcinoma
mucinoso vero < 1 cm ed il carcinoma microinvasivo, hanno un rischio
molto basso per metastasi linfonodali ascellari e solitamente, in questi casi
non è necessario eseguire una dissezione ascellare. I noduli tumorali
rinvenuti nel tessuto adiposo ascellare adiacente la mammella, senza
evidenza istologica di tessuto linfatico residuo, vengono classificati come
metastasi linfonodali regionali (N). La suddivisione in stadi patologici
comprende una delle seguenti combinazioni di classificazione clinica e
patologica: pT pN pM o pT pN cM o cT cN pM. In caso di intervento
chirurgico eseguito dopo un trattamento chemioterapico, ormonoterapico,
immunoterapico o radiante, bisogna aggiungere il prefisso “y” nella
classificazione TNM, p.e. ypTNM.
2.5.1.2 Linfonodo sentinella.
Il trattamento del tumore della mammella ha subito profonde modificazioni
a partire dagli anni settanta, quando l’avvento della chirurgia conservativa
ha rivoluzionato l’approccio al carcinoma della mammella, permettendo la
conservazione del seno nelle donne con tumore mammario di piccole
dimensioni. Negli anni, le tecniche di chirurgia conservativa si sono
progressivamente
affinate,
e
la
ricerca
clinica
ha
coinvolto
progressivamente anche il trattamento chirurgico dei linfonodi ascellari; a
tale proposito la biopsia del linfonodo sentinella ha ormai dimostrato la sua
validità in una grande percentuale di tumore in stadio precoce.
Il concetto di linfonodo sentinella è stato sviluppato nel 1992 da Morton
( J. Wayne Cancer Center, Los Angeles) (50). Assumendo che, nei pazienti
affetti da melanoma, le metastasi per via linfatica precedono quelle per via
ematogena, Morton sviluppò una tecnica diagnostica in grado di stadiare le
regioni linfonodali potenzialmente coinvolte, al fine di selezionare i
pazienti da sottoporre a resezione completa dei linfonodi regionali.
Morton dimostrò che ad ogni determinata regione cutanea corrisponde una
ben definita area di drenaggio linfatico, e che il drenaggio avviene
41
costantemente verso il linfonodo sentinella. L’assenza di malattia del
linfonodo sentinella indica con alta probabilità che anche i rimanenti
linfonodi sono liberi da malattia.
La localizzazione del linfonodo sentinella messa a punto da Morton
prevede l’inoculo intradermico di un colorante (il vital blue dye) a livello
della lesione primitiva e l’individuazione del linfonodo praticando
un’incisione cutanea, seguendo la diffusione linfatica del colorante.
Giuliano et al (51,52) usando il vital blue dye in pazienti affette da
carcinoma della mammella hanno indicato la validità di questo concetto
anche in queste neoplasie. La procedura di vital blue dye è comunque una
tecnica limitata da una procedura alquanto laboriosa, che prevede una
grande esperienza da parte degli operatori, con percentuali di successo
nell’identificazione del linfonodo sentinella non elevatissime.
La linfoscintigrafia è un esame medico-nucleare che ha in parte sostituito
l’iniezione di colorante vitale nell’identificazione del linfonodo sentinella
nel carcinoma della mammella (53).
Attualmente l’identificazione del linfonodo sentinella è una pratica
standard nel trattamento dei carcinomi della mammella di piccole
dimensioni. La biopsia del linfonodo sentinella permette di evitare la
dissezione completa dei linfonodi ascellari nelle pazienti in cui il linfonodo
sentinella è risultato negativo, eliminando quindi tutte le sequele che ne
possono conseguire. Le più frequenti complicanze che si possono
verificare in seguito ad un intervento chirurgico di dissezione dei linfonodi
ascellari sono l’insorgenza di linfedema secondario dell’arto con
conseguente limitazione funzionale, parestesie e più raramente, linfocele e
processi infettivi.
Il rischio di falsi negativi è basso e può essere ulteriormente ridotto
escludendo i casi di tumore multicentrico. (54)
42
2.5.1.3 Classificazione TNM.
Tumore primitivo (T)
TX
Il tumore primitivo non può essere definito.
T0
Non segni di tumore primitivo.
Tis
Carcinoma in situ.
Tis (DCIS)
Carcinoma duttale in situ.
Tis (LCIS)
Carcinoma globulare in situ.
Tis (Paget’s) Malattia di Paget del capezzolo senza nodulo .
T1
Tumore di 2 cm o meno nella dimensione massima.
T1mic
Microinvasione di 1 mm nel suo diametro maggiore.
T1a
Tumore di 0,5 cm o meno nella sua dimensione massima.
T1b
Tumore superiore a 0,5 cm, ma non più di 1 cm nella
dimensione massima.
T1c
Tumore superore a 1 cm, ma non più di 2 cm nella
dimensione massima.
T2
Tumore superiore a 2 cm, ma non più di 5 cm nella
dimensione massima.
T3
Tumore superiore a 5 cm nella dimensione massima.
T4
Tumore di qualsiasi dimensione con estensione diretta alla
parete toracica (a), o alla cute (b), come di seguito
riportato.
T4a
Estensione alla parete toracica con esclusione dei muscoli
pettorali.
T4b
Edema (inclusa la pelle a buccia d’arancio), o ulcerazione
della cute della mammella o noduli satelliti situati sulla
medesima mammella.
43
T4c
Presenza contemporanea delle caratteristiche 4a e 4b.
T4d
Carcinoma infiammatorio.
Linfonodi regionali (N)
NX
I linfonodi regionali non possono essere definiti (ad esempio
se precedentemente asportati).
N0
Non metastasi nei linfonodi regionali.
N1
Metastasi in linfonodo(i) ascellare(i) omolaterale(i) mobile(i).
N2
Metastasi in linfonodi ascellari omolaterali fissi o a
pacchetto, o in linfonodi mammari interni omolaterali
clinicamente apparenti * in assenza di metastasi clinicamente
evidenti nei linfonodi ascellari.
N2a
Metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali fissi tra loro (“a
pacchetto”) o adesi ad altre strutture.
N2b
Metastasi solo in linfonodi mammari interni omolaterali
clinicamente apparenti * e in assenza di metastasi linfonodali
ascellari clinicamente evidenti.
N3
Metastasi in linfonodo(i) infraclavicolare(i) in assenza o
meno di interessamento dei linfonodi ascellari o con
metastasi clinicamente apparenti * in linfonodo(i)
omolaterale(i) della mammaria interna o la presenza di
metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari; o
presenza di metastasi in linfonodo(i) sopraclavicolare(i) con o
senza interessamento dei linfonodi ascellari o mammari interni.
N3a
Metastasi in linfonodo(i) omolaterale(i) infraclavicolare(i).
N3b
Metastasi in linfonodo(i) mammari(o) interno(i) e ascellare(i).
44
N3c
Metastasi in linfonodo(i) sopraclavicolare(i) omolaterale(i)
* Clinicamente apparente si riferisce al riscontro mediante imaging
radiologico (linfoscintigrafia esclusa) o valutazione clinica o riscontro
patologico macroscopico.
Metastasi a distanza (M)
MX
La presenza di metastasi non può essere accertata.
M0
Non metastasi a distanza.
M1
Metastasi a distanza.
45
2.6 GRADING ISTOLOGICO.
Tutti i carcinomi mammari invasivi, ad eccezione del carcinoma midollare,
devono essere contrassegnati da grading.
Il grading di un tumore viene determinato stabilendo le caratteristiche
morfologiche, assegnando un valore da 1 (favorevole) a 3 (sfavorevole) per
ognuna delle caratteristiche, sommando poi tutti i punteggi delle tre
categorie. Un valore combinato di 3-5 punti contrassegna un grado 1; un
valore combinato di 6-7 punti il grado 2; un valore combinato di 8-9 punti
il grado 3.
GX
Il grado di differenziazione non può essere definito.
G1
Grading istologico combinato basso (favorevole).
G2
Grading istologico combinato intermedio(moderatamente
favorevole).
G3
Grading istologico combinato elevato (sfavorevole).
46
3.
RAZIONALE DELLO STUDIO.
In questo studio è stato esaminato lo stato del gene HER2 in 53
pazienti sia con la metodica FISH che con la metodica SISH, con lo
scopo di verificare l’interscambiabilità delle due tecniche dal punto
di vista della specificità e dell’accuratezza. I criteri da rispettare
sono stati quelli definiti dalle linee guida dell’ASCO/CAP, che
richiedono una concordanza uguale o maggiore del 95%.(4)
Nella seconda parte dello studio si è valutato lo stato del gene HER2
utilizzando la sola tecnica SISH in 30 casi debolmente positivi ai
saggi di immunoistochimica (score 1+), i quali routinariamente
vengono
giudicati
a
priori
non
idonei
alla
terapia
con
Trastuzumab.(2)
Un’amplificazione genica significativa in questi, casi avrebbe
potuto influenzare gli attuali trial clinico-farmacologici.
47
4.
MATERIALI E METODI.
4.1 SCELTA DEI PAZIENTI.
4.1.1 CONFRONTO DELLA METODICA FISH CON LA METODICA
SISH.
Sono stati analizzati 53 pazienti, di cui 52 donne ed 1 uomo, aventi tutti
neoplasie della mammella infiltranti:
-
41/53 pazienti affetti da carcinoma duttale infiltrante, di cui 15 con metastasi
linfonodali;
-
5/53 pazienti affetti da carcinoma lobulare infiltrante, di cui 2 con metastasi
linfonodali;
-
2/53 pazienti affetti da carcinoma misto duttulo-lobulare, entrambi con
metastasi linfonodali;
5/53 pazienti affetti da carcinoma infiltrante di cui non si conosce l’istotipo.
In termini assoluti e percentuale, 20 (37.7%) pazienti avevano linfonodi
positivi, 41 (77.3%) avevano i recettori ormonali positivi. La grandezza del
tumore variava da 0 a 2 cm (T1) in 25 pazienti (47.%), da 2 a 5 cm (T2) in
16 pazienti (30%.) ed era inferiore a 5 cm (T3 e T4) in 7 pazienti (13.%). In 5
pazienti (9.%) non è stato possibile effettuare la classificazione isotipica della
neoplasia in 5 casi su 53 a causa del tipo di prelievo effettuato (piccole
biopsie escissionali o mammotome).
Non si è inoltre potuto studiare il T (TNM) nei casi di asportazione parziale
della neoplasia o nodulectomie, l’N (TNM) nei casi di quadrantectomie senza
l’asportazione di cavo ascellare intero o linfonodo sentinella.
La presenza di metastasi a distanza M (TNM) non è stata valutata.
L’età massima dei pazienti esaminati è di 96 anni, l’età minima di 33 anni,
l’età media di 63,6 anni.
La valutazione dello stato dei recettori ormonali attraverso indagine
immunoistochimica ha evidenziato che:
-
22/53 pazienti hanno recettori estrogenici maggiori del 50% ;
48
-
19/53 pazienti hanno recettori estrogenici minori od uguali al 50%;
-
12/53 pazienti hanno recettori estrogenici completamente negativi.
Caratteristica fondamentale di tutti i pazienti esaminati è lo score 2+
all’Hercept Test (DAKO CYTOMATION).
4.1.2 VALUTAZIONE DELLO STATO DEL GENE HER2 IN PAZIENTI
CON SCORE 1+ ALL’HERCEPT TEST
Sono stati studiati 30 pazienti, tutte donne, con neoplasie infiltranti della
mammella:
-
22/30 pazienti affetti da carcinoma duttale infiltrante, 5/22 con metastasi
linfonodali;
-
3/30 pazienti affetti da carcinoma invasivo generico;
-
4/30 pazienti affetti da carcinoma lobulare, 1/4 con metastasi linfonodali;
-
1/30 pazienti affetti da carcinoma duttulo-lobulare
L’età massima dei pazienti è di 92 anni, l’età minima di 33 anni, l’età media
di 65,6 anni.
I pazienti in esame sono stati scelti in base alla loro nulla/scarsa positività ai
recettori ormonali (ER e PR):
-
7/30 pazienti hanno entrambi i recettori ER e PR negativi (-/-);
-
2/20 pazienti hanno il recettore ER negativo ed il recettore PR positivo (-/+);
-
6/30 pazienti hanno il recettore ER positivo ed il recettore PR negativo (+/-);
-
15/3 pazienti hanno entrambi i recettori ER e PR positivi (+/+).
La positività di un singolo recettore o di entrambi i recettori non ha mai
superato la soglia del 40%.
-
25/30 pazienti con recettori estrogenici aventi score minore o uguale al 30%;
-
5/30 pazienti con recettori estrogenici aventi score compreso tra il 30% ed il
40%;
-
29/30 pazienti con recettori progestinici aventi score minore o uguale al
30%;
-
1/30 pazienti con recettori progestinici aventi score compreso tra il 30 ed il
40%.
49
In questi casi, una percentuale bassa (<50%) di cellule tumorali era positiva
ai recettori ormonali; la terapia ormonale basata sull’utilizzo di antagonisti
degli estrogeni sarebbe stata in grado di agire solo a livello delle poche
cellule tumorali positive agli anticorpi anti-ER e anti-PR. Più della metà di
cellule che formano la neoplasia erano quindi non responsive al Tamoxifene
e agli inibitori delle aromatasi. La presenza del gene HER2 amplificato
avrebbe potuto validare il razionale relativo all’utilizzo del Trastuzumab
come terapia adiuvante dopo chemioterapia classica.
50
4.2 DETERMINAZIONE DEI FATTORI PROGNOSTICI.
La valutazione dei fattori prognostici del cancro della mammella viene
eseguita routinariamente attraverso tecniche di immunoistochimica su
sezione istologica fissata in formalina ed inclusa in paraffina. Mediante
queste tecniche è possibile valutare l’espressione di HER2/neu, l’indice di
proliferazione (mediante la valutazione della molecola Ki67) e la positività
di recettori per gli estrogeni e per il progesterone.
L’immunoistochimica si basa su reazioni immunoenzimatiche che utilizzano
anticorpi direttamente coniugati con un enzima o sistemi che veicolano una
molecola enzimatica utilizzata come tracciante. (55)
L’enzima teoricamente deve:
-
essere reperibile in forma pura,
- possedere un basso peso molecolare (per limitare l’ingombro sterico);
- non denaturare l’immunoglobulina vettrice;
- conservare la propria attività dopo coniugazione;
-
formare legami stabili con l’anticorpo o con le altre proteine utilizzate
nel sistema di rivelazione;
- risultare assente nei tessuti da analizzare.
La perossidasi è un enzima di 40 Kda ottenuto dal rafano, del quale sono
conosciute numerose isoforme; in realtà viene utilizzato solo l’isoenzima
dotato di caratteristiche isoelettriche più vicine a quelle fisiologiche.
La molecola di perossidasi, forma con l’immunoglobulina un legame di tipo
covalente e catalizza una reazione di ossido-riduzione, nella quale un
substrato ridotto rilascia elettroni che ossidano un cromogeno; il substrato è
il perossido di idrogeno che viene ridotto ad acqua dalla perossidasi e,
liberando ossigeno nascente, fornisce l’elemento ossidante per il
cromogeno.
Il cromogeno utilizzato è il tetracloruro di 3,3’-diaminobenzidina (DAB)
che, in presenza di perossidasi, produce un prodotto di ossidazione
insolubile in alcool, colorato in bruno, precipitante sul luogo di reazione;
il principale svantaggio della diaminobenzidina è la sua nocività, essendo
una sostanza potenzialmente oncogena; essa è inattivata con una
concentrazione almeno 10 volte maggiore di candeggina.
51
Il metodo di rivelazione utilizzato è l’ABC complex (complesso avidinabiotina).
Questa tecnica include 3 stadi:
- nel primo stadio la sezione istologica è messa a contatto con l’antisiero
primario (anticorpo primario) non marcato;
- nel secondo stadio la sezione è incubata con antisiero secondario
precedentemente biotinilato e diretto contro l’antisiero primario.
La biotina è una vitamina idrosolubile di dimensioni molto ridotte (peso
molecolare 244 dalton) ed è utilizzata in immunoistochimica perché le sue
ridotte dimensioni consentono di coniugare molte molecole di biotina ad un
singolo anticorpo senza alterarne le caratteristiche funzionali e perché ha
affinità elevata per la streptavidina;
- nel terzo stadio, la sezione cosi’ preparata viene esposta al complesso
ABC, costituito da una miscela di streptavidina e di perossidasi
biotinilata.
La streptavidina è una molecola estratta dallo Streptomyces avidinii,
analoga all’avidina e, come questa, possiede quattro siti leganti la biotina.
A differenza dell’avidina, è una proteina (e non una glicoproteina) ed ha un
punto isoelettrico neutro: per questi motivi dà meno colorazione aspecifica
di
fondo,
ed
ha
sostituito
l’avidina
in
molte
applicazioni
immunocitochimiche
La biotinilazione è la reazione chimica che consente di coniugare la biotina
ad altre molecole: dapprima la biotina viene attivata attraverso una reazione
di esterificazione e in seguito viene legata ai residui amminici delle
molecole enzimatiche. (56)
La stechiometria della reazione è calcolata in modo che l’enzima biotinilato
si leghi alla streptavidina e che quest’ultima conservi almeno un sito libero
per legarsi, a sua volta, con la biotina presente sull’anticorpo secondario.
La tecnica, ABC (figura 20) è caratterizzata da elevata sensibilità in quanto
consente di inserire, sull’anticorpo secondario, più complessi avidinaperossidasi biotinilata, aumentando la risposta cromatica. (57)
52
Figura 20: Rappresentazione del metodo ABC.
E’importante ricordare che la perossidasi è presente fisiologicamente in vari
tessuti tra cui le cellule del sangue,la milza, il fegato, l’utero, le ghiandole
lacrimali, la mucosa intestinali e il polmone.
La reazione substrato-cromogeno utilizzata non può distinguere tra l’enzima
che fa parte del sistema sperimentale che localizza immunologicamente l’Ag
cellulare ed una attività enzimatica simile presente fisiologicamente nel
campione; per evitare falsi positivi dovuti a perossidasi endogene al tessuto
si esegue una pre-incubazione delle sezioni con perossido di idrogeno
(H2O2), al fine di “spegnere” la loro attività.
La biotina è normalmente presente in alcune cellule e tessuti umani (fegato,
rene, tessuto adiposo); teoricamente ad essa può legarsi la streptavidina
marcata, causando la comparsa di colorazione falso-positiva.
Per ovviare a questa eventuale causa di artefatto è possibile procedere al
blocco dalla biotina endogena, mediante incubazione con avidina non
marcata; in realtà tale procedura però non è particolarmente diffusa perché la
biotina endogena non sembra in grado di legare la streptovidina quando fa
parte del complesso ABC.
53
La valutazione dei fattori prognostici nelle neoplasie mammarie include
l’identificazione di specifici antigeni proteici nelle cellule neoplastiche, ed
in particolare:
Ki67 (Mib-1): antigene associato alla proliferazione cellulare e reperibile
attraverso le varie fasi del ciclo cellulare (G1,S,G2,M) ma assente nelle
cellule quiescenti. E’ un marker utile per lo studio della proliferazione
cellulare nelle popolazioni di cellule neoplastiche e può essere usato per
stabilire la frazione delle cellule proliferanti in una neoplasia. Si osserva
una marcatura nucleare.(Fig 21)
Figura 21: Marcatura nucleare con anticorpo anti-Ki67(DBS)
RECETTORI PER GLI ESTROGENI: questi antigeni sono localizzati
nei nuclei delle cellule epiteliali nel carcinoma della mammella, e
costituiscono importanti regolatori di crescita e differenziazione nella
ghiandola mammaria.
La presenza di ER a livello nucleare nei tumori della mammella può essere
predittiva di responsività alla terapia ormonale con Tamoxifene o inibitori
delle aromatasi. Presentano marcatura nucleare.(Fig. 22)
54
Figura 22: Marcatura nucleare con anticorpo anti-ER (NeoMarkers
RECETTORI PER IL PROGESTERONE: Esistono due isoforme di 116
KDa e 81 KDa; funzionano da ligandi che attivano fattori di trascrizione che
regolano l’espressione dei geni bersaglio. Sono utilizzati per determinare la
possibile responsività del tumore alla terapia ormonale. Presentano una
marcatura nucleare.( Fig. 23)
Figura 23: Marcatura nucleare con anticorpo anti-PR (NeoMarers)
55
HER2: L’identificazione corretta dell’iperespressione di HER2 ha una forte
valenza prognostica e predittiva ed è il più importante pre-requisito alla
terapia con Trastuzumab.
Per la ricerca della proteina è stato utilizzato il Kit Hercept Test (DAKO
CYTOMATION) FDA approved.
La valutazione dell’iperespressione di Her2 avviene attraverso uno score:
0 la reattività di membrana è completamente assente;
1+ la reattività di membrana è rilevabile in più del 10% delle cellule
neoplastiche, ma è incompleta (presente solo in parti di membrana cellulare)
e debole;
2+ la reattività di membrana è completa (presenta con la stessa intensità
su tutta la membrana cellulare), di intensità moderata e rilevabile in più del
10% delle cellule neoplastiche;
3+ la reattività di membrana è completa, forte, e rilevabile in più del 10%
delle cellule tumorali.( Fig. 24)
Figura 24: Esempi di preparato istologico derivati da carcinoma
mammario con score all’Hercept test 1+ 2+ e 3+
Per garantire una corretta valutazione di Her2/neu in IHC è fondamentale
tener conto delle seguenti osservazioni (58):
56
- La fissazione in formalina è una tappa molto importante, una fissazione
breve può indurre falsi positivi, viceversa, una prolungata fissazione è
responsabile di falsi negativi;
- Occorre trascurare l’immunoreattività citoplasmatica aspecifica;
- E’ necessario ignorare le componenti neoplastiche in situ e valutare solo
quelle invasive;
- L’anticorpo va titolato in modo tale che la componente epiteliale benigna
risulti negativa;
- Va valutata solo la positività di membrana espressa in maniera completa,
la quale deve essere almeno del 10%;
- L’intensità della positività deve essere determinata nella maniera più
oggettiva possibile.
4.3 SISH (SILVER ENHANCED IN SITU HYBRIDIZATION)
INFORM™ HER2 DNA Probe (VENTANA MEDICAL
SYSTEM).
4.3.1 PRINCIPIO DELLA PROCEDURA.
La SISH è una metodica quasi completamente automatizzata che permette la
visualizzazione quantitativa delle copie del gene HER2 mediante
ibridazione in situ con argento.
La rilevazione è effettuata su campioni di tessuto tumorale mammario
umano fissato in formalina ed incluso in paraffina.
I vetrini vengono privati della paraffina e sottoposti a trattamento con
proteasi per permettere alle sonde di penetrare nelle cellule; tali sonde,
marcate con DNP (2,4 dinitrofenolo),si legano a specifiche sequenze target
di DNA.
57
Il probe, è visualizzato mediante l’utilizzo di un anticorpo primario antiDNP di coniglio ed anticorpo secondario anti-coniglio di capra coniugato a
perossidasi di rafano (HRP) utilizzato come substrato cromogenico.
La reazione di ibridazione in situ con argento è indotta dall’aggiunta in
sequenza di argento acetato, idrochinone e perossido di idrogeno. In questa
reazione gli ioni argento (Ag+) sono ridotti dall’idrochinone in atomi di
argento metallico.
Il precipitato di argento si deposita nei nuclei e una singola copia del gene
HER2 (17q11.2-q2), o il centromero del cromosoma 17, viene visualizzata
come punto nero.( Fig. 25)
Il campione viene successivamente controcolorato e disidratato per
l’interpretazione al microscopio ottico.
La procedura consente di visualizzare su un campione di tessuto lo stato del
gene HER2 della neoplasia e contemporaneamente, su un altro campione di
tessuto, lo stato del cromosoma 17.
Figura 25: L’HRP catalizza la riduzione dello ione argento ad argento
metallico e permette la visualizzazione del gene Her2 o del centromero
del cromosoma 17.
58
4.3.2
CONTROLLO DI QUALITA’
Il controllo esterno di qualità della metodica è rappresentato da tre distinte
sezioni di tessuto fissate in formalina e incluse in un singolo blocco di
paraffina (Her2 3-in-1 Xenograft Control Slides): BT474, ZR-75-1, MCF7.
Le tre sezioni di tessuto derivano da tumori prodotti in topi SCID e derivati
da tre linee cellulari
di carcinoma mammario umano, ognuna con un
diverso stato del gene HER2.
Quando il sistema ed i reagenti funzionano correttamente
il controllo
BT474 deve presentare la maggior parte del segnale nelle cellule tumorali
vitali, mentre il controllo ZR-75-1 ed il controllo MCF7 devono rivelare
segnali discreti.
Il controllo esterno di qualità della metodica è rappresentato da tre distinte
sezioni di tessuto fissate in formalina e incluse in un singolo blocco di
paraffina (Her2 3-in-1 Xenograft Control Slides): BT474, ZR-75-1, MCF7.
Le tre sezioni di tessuto derivano da tumori prodotti in topi SCID e derivati
da tre linee cellulari
di carcinoma mammario umano, ognuna con un
diverso stato del gene HER2.
Quando il sistema ed i reagenti funzionano correttamente
il controllo
BT474 deve presentare la maggior parte del segnale nelle cellule tumorali
vitali, mentre il controllo ZR-75-1 ed il controllo MCF7 devono rivelare
segnali discreti
Linea
Livello
di Numero approssimativo Stato
cellulare
espressione
proteina HER2
BT474
3+
del
della del gene Her2 tramite gene
FISH
maggiore o uguale a 20 amplificato
copie/nucleo
ZR-75-1
1+
3 copie/nucleo
non
amplificato
MCF7
0
1-2 copie/nucleo
non
amplificato
Tabella 2: linee cellulari di controllo SISH
59
Figura 26: INFORM™ HER2 DNA Probe della linea cellulare BT474
(Interpretative guide for Ventana INFORM™ HER2 DNA Probe Staining of Breast
Carcinoma)
Figura 27: INFORM™ HER2 DNA Probe della linea cellulare ZR-75-1
(Interpretative guide for Ventana INFORM™ HER2 DNA Probe Staining of Breast
Carcinoma)
4.3.3 INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI.
Lo stato del gene HER2 è una funzione del rapporto tra il numero di copie
del gene HER2 ed il numero di copie del cromosoma 17 per ogni cellula
(59,60).
-
Rapporto HER2/Chr17 inferiore a 1,8 campione negativo per
amplificazione del gene;
-
Rapporto HER2/Chr17 compreso tra 1,8 e 2,2campione ambiguo per
amplificazione del gene HER2;
60
-
Rapporto HER2/Chr17 superiore a 2,2 campione positivo per
amplificazione del gene HER2
Rapporto medio
Risultati
HER2/Chr 17
HER2/Chr 17 < 1.8
Negativo per amplificazione
gene HER2
1.8≤HER2/Chr17≥ 2.2
Equivoco per amplificazione
gene HER2
HER2/Chr17>2.2
Positivo
per
amplificazione
gene HER2
Tabella 3: Scoring SISH
Il singolo vetrino per la determinazione dello stato del gene HER2 o del
cromosoma 17 deve soddisfare due criteri per essere ritenuto adeguato:
1) deve contenere un controllo interno positivo rappresentato da cellule non
neoplastiche tra le quali fibroblasti stromali, cellule endoteliali, linfociti
e cellule epiteliali mammarie benigne;
2) deve includere cellule tumorali di carcinoma mammario invasivo visibili
e di cui è possibile la conta usando fattori di ingrandimento 20x e 40x.
L’area target per la valutazione del segnale deve essere ottimale, con
segnale SISH chiaro e visibile e con nuclei non sovrapposti, non necrotici e
non compressi. In alcuni casi, il carcinoma mammario può contenere aree di
tessuto con carcinoma invasivo geneticamente eterogenee, questo fenomeno
può essere visibile all’interno di un’unica area target o in aree target
differenti.
La visualizzazione dei segnali SISH include i segnali evidenziabili in copia
singola, copie multiple e come cluster.
I punti singoli discreti, visualizzati nei nuclei del controllo positivo, sono
usate come riferimento per le dimensioni di una copia singola nelle cellule
del carcinoma invasivo; la dimensione dei punti singoli è usata come
61
riferimento il numero relativo di copie amplificate nei nuclei cellulari
tumorali.
Un cluster di segnali, in base alle sue dimensioni, viene conteggiato come 6
o 12 copie del gene.(Fig. 28)
Figura 28: Visualizzazione dei segnali in punti discreti e cluster
(Interpretative guide for Ventana INFORM™ HER2 DNA Probe Staining of Breast
Carcinoma)
4.3.4 DETERMINAZIONE DELLO STATO DEL GENE HER2.
Lo stato del gene HER2 può essere determinato mediante la tecnica SISH
utilizzando due metodiche: il metodo semi-quantitativo ed i metodo
quantitativo. (60)
62
Figura 29: Rappresentazione schematica dei metodi di determinazione
dello stato del gene HER2
4.3.4.1 Metodo semiquantitativo.
Il metodo semiquantitativo permette di fare una stima semi-quantitativa del
numero di segnali di Her2 e di Chr17 presenti in un’area target (campo
visivo) specifica, uguale per entrambi i vetrini .
Se il rapporto Her2/Chr17 è inferiore a 1,4, il preparato è negativo per
l’amplificazione del gene Her2, se il rapporto è superiore a 4,0 il preparato è
positivo mentre se il rapporto è compreso tra 1,4 e 4,0, il preparato deve
essere valutato attraverso il metodo quantitativo.(Fig. 29)
4.3.4.2 Metodo quantitativo.
Il metodo quantitativo si basa sul conteggio del numero dei segnali del gene
Her2 e del Chr17 contenuti in 20 cellule all’interno di un’area target.
Se il rapporto Her2/Chr17 è inferiore a 1,8 il preparato è negativo per
l’amplificazione del gene Her2, se il rapporto è superiore a 2,2 il preparato è
positivo mentre se il rapporto è compreso tra 1,8 e 2,2 il preparato va
rivalutato attraverso il conteggio di altre 20 cellule in un’altra area target.
Il rapporto sarà poi valutato sul totale di segnali Her2 e Chr17 presenti in 40
cellule.( Fig 29)
63
4.4 FISH (FLUORESCENCE IN SITU HYBRIDIZATION)
Vysis PathVysion™ HER2 DNA Probe
4.4.1 PRINCIPIO DELLA PROCEDURA (63)
Nella presente tesi è stato utilizzato il test Vysis PathVysion™ HER2 DNA
Probe sul gene HER2(neu);
esso è un saggio di ibridazione in situ in
fluorescenza diretta per la determinazione quantitativa dell’amplificazione
del gene HER2 in tessuti di carcinoma mammario fissati in formalina ed
inclusi in paraffina.
Dopo la paraffinatura del preparato e la reidratazione, i campioni sono
digeriti mediante l’utilizzo di pepsina. In seguito il kit impiega una miscela
di sonde, che include una sonda di DNA Locus Specific Identifier (LSI)
HER2/neu (17q11.2-q12) lunga 190 Kb e direttamente marcata con
SpectrumOrange ed una sonda DNA Chromosome Enumeration Probe
(CEP) 17 lunga 5,4 Kb marcata direttamente con SpectrumGreen specifica
per la sequenza di DNA alfa satellite nella regione del centromero.
del cromosoma 17. (64)
Si colloca il vetrino in forno di ibridazione a 82 ± 2 °C. Il campione viene
denaturato per 5 minuti, assicurandosi che la temperatura del blocco non
scenda al di sotto degli 80 °C. I vetrini vengono poi collocati all’interno di
una camera di ibridazione umidificata precedentemente riscaldata. Si
lasciano incubare tutta la notte (14-20 ore) a 45 ± 2 °C.
L’ibridazione specifica ai due siti bersaglio porta alla formazione di un
segnale fluorescente rosso in corrispondenza di ciascun locus del gene
HER2 e ad un segnale fluorescente verde in corrispondenza di ciascun
centromero del cromosoma 17.
Per minimizzare la colorazione di fondo e sopprimere i segnali che derivano
da sequenze omologhe e presenti su altri cromosomi, nella miscela è
contenuto anche DNA bloccante non marcato.
64
La mattina seguente, dopo un lavaggio in condizioni di stringenza, i
campioni sono controcolorati con DAPI (4,6 diamidino-2-fenilindolo), un
colorante specifico per DNA a fluorescenza blu.
Fluorocromo
Lunghezza
Lunghezza
d’onda di
d’onda di
eccitazione
emissione
FITC
495 nm
520 nm
TEXAS RED
596 nm
615 nm
Tabella 4: filtri per microscopio a fluorescenza
4.4.2 INTERPRETAZIONE DELLA COLORAZIONE
4.4.2.1 Tessuti idonei alla valutazione
Devono essere considerati per l’analisi solamente i campioni provenienti da
pazienti con carcinoma mammario invasivo.
Nei casi di carcinoma in situ ed invasivo nello stesso campione, va
considerata solamente la componente invasiva.
Bisogna evitare le aree di necrosi e laddove i bordi nucleari risultano
ambigui ed ignorare i nuclei con intensità di segnale debole e con fondo non
specifico o elevato.
4.4.2.2 Conteggio dei segnali
Occorre collocare il tumore nel contesto del vetrino colorato con
ematossilina ed eosina e valutare la stessa area sul vetrino colorato secondo
la tecnica FISH.
65
E’necessario considerare numerose aree del vetrino per giustificare
l’eventuale eterogeneità.
Si seleziona un’area caratterizzata da una buona distribuzione cellulare e si
comincia l’analisi sul quadrante in alto a sinistra dell’area scelta e,
eseguendo l’esame da sinistra a destra, si conta il numero dei segnali
all’interno del bordo nucleare di ciascun nucleo esaminato secondo le
seguenti linee guida:
-
Occorre variare la profondità del fuoco per rilevare tutti i segnali del
nucleo;
-
E’ opportuno contare 2 segnali di dimensioni uguali e separati da una
distanza pari od inferiore al diametro del segnale come un solo segnale;
-
Nei nuclei con elevati livelli di amplificazione del gene HER2, i segnali
HER2 possono essere posizionati molto vicini l’uno all’altro, formando
un cluster di segnali. In questi casi, il numero di segnali HER2 non può
essere contato, ma deve essere stimato.
Occorre prestare attenzione ad i segnali verdi, dal momento che i cluster dei
segnali HER2 possono ricoprire tali segnali rendendoli invisibili; in caso di
dubbio, controllare i segnali verdi con un filtro FITC specifico.
Figura 30: Rappresentazione fotografica di FISH con gene HER2 non
amplificato (A-B-C) e con amplificazione del gene HER2 (D)
66
4.4.3 SCORING.
-
Vengono contati 20 nuclei per campione di tessuto, se possibile da aree
di tumore distinte (65);
-
Viene calcolato il rapporto HER2/CEN-17 dividendo il numero totale
di segnali HER2 rossi per il numero totale di segnali CEN-17 verdi. I
campioni con un rapporto HER2/CEN-17 superiore o pari a 2 devono
essere considerati amplificati per il gene HER2 (66);
-
I risultati vicini o coincidenti al valore di cut-off (1,8- 2,2) devono
essere interpretati con cautela, se il rapporto è ad un valore limite
eseguire il conteggio di altri 20 nuclei e calcolare nuovamente il
rapporto per i 40 nuclei;
-
In caso di dubbio, il vetrino del campione deve essere sottoposto ad
una nuova lettura.
4.4.4 LIMITAZIONI DELLA METODICA.
La FISH è una tecnica diagnostica multistadio che richiede la selezione dei
reagenti appropriati, la fissazione e la processazione dei tessuti, la
preparazione del vetrino per FISH e l’interpretazione dei risultati per la
colorazione.
La scorretta esecuzione della fissazione, del lavaggio, dell’essiccazione, del
riscaldamento, del taglio, oppure la contaminazione con altri tessuti o fluidi,
possono alterare l’ibridazione della sonda.
Risultati anomali possono essere dovuti ad errori nei metodi di fissazione e
di inclusione, o ad irregolarità intrinseche del tessuto.
Per risultati ottimali e riproducibili, i vetrini dei tessuti devono essere de
paraffinati completamente; la rimozione della paraffina deve essere
completa all’inizio dell’intero processo di colorazione.
67
4.5 MATERIALI UTILIZZATI PER HERCEPT TEST
(DAKO CYTOMATION).
l’Hercept Test è un test immunoenzimatico manuale per la determinazione
della presenza della proteina HER-2 sulla membrana cellulare delle cellule
neoplastiche.
Il test deve essere effettuato contemporaneamente sui preparati da analizzare
e su un vetrino di controllo contenente 3 spot formati da linee cellulari con
diversa espressione della proteina in esame:
•
Control Cell Line SK-BR-3 con score 3+;
•
Control cell Line MDA-175 con score 1+;
•
Control Cell Line MDA-231 con score.
4.5.1 STRUMENTI
Microtomo Leica RM2145;
Stendifettine contenente acqua corrente a 37 °C;
Bagno termostatico a 98 °C.
4.5.2 METODICA
-
Eliminazione della paraffina dai preparati in soluzioni sequenziali
contenenti decrescente concentrazione alcolica: analogo dello xilolo
(BioClear), alcool 99, alcool 95, alcool 70, acqua distillata, tampone tris
salino;
-
Pretrattamento per lo smascheramento dei siti antigenici in bagnetto
termostatato per 40’
nel tampone di smascheramento (EPITOPE
RETRIEVAL SOLUTION) diluito 1:10 seguito da raffreddamento a
temperatura ambiente nel tampone stesso;
68
-
Lavaggio dei preparati nel buffer di lavaggio (WASH BUFFER TBST
0.05 mol/L) diluito 1:10;
-
Applicazione di circa 100 microlitri di reagente per il blocco delle
perossidasi endogene sui preparati per 5 minuti;
-
Lavaggio in buffer;
-
Applicazione di circa 100 microlitri di Anticorpo Primario (Rabbit AntiHuman HER2 Protein) sui preparati per 30 minuti;
-
Lavaggio in buffer;
-
Applicazione di circa 100 microlitri di Anticorpo Secondario
(VISUALIZATION REAGENT) sui preparati per 30 minuti;
-
Lavaggio in buffer;
-
Applicazione di circa 100 microlitri di Diamminobenzidina (DAB)
ottenuta miscelando 20 microlitri (circa 1 goccia) di DAB pura in 1
millilitro di DAB buffer;
-
Lavaggio in acqua distillata;
-
Controcolorazione dei preparati in ematossilina;
-
Lettura dei preparati.
69
4.6 MATERIALI UTILIZZATI PER LA
DETERMINAZIONE DEI FATTORI PROGNOSTICI.
4.6.1 STRUMENTI.
Microtomo Leica RM2145;
Stendifettine contenente acqua corrente a 37 °C;
Bagno termostatico a 98 °C;
Lab Vision Corporation (Bio Optica).
4.6.2 REAGENTI NECESSARI.
-
Scala dell’eliminazione della paraffina: K-clear plus (analogo dello
xilolo), alcool 99, alcool 95, alcool 70, acqua distillata;
-
Tampone PBS (tampone tris salino) 1:10 in acqua distillata (Bio
Optica);
-
Sapone Tween 20;
-
Tampone di pretrattamento EDTA pH8 (Bio Optica);
-
H2O2 3% per bloccare le per ossidasi endogene;
-
Ultra V Block per bloccare i siti non immuni(Bio Optica) ;
-
Anticorpo primario;
- Sistema di rivelazione: antisiero biotinilato Goat anti-Polyvalent,
soluzione streptavidina perossidasi (Bio Optica) ;
-
Cromogeno 3,3 diamminobenzidina (DAB): DAB soluzione concentrata
e substrato DAB (Bio Optica);
-
Scala per la controcolorazione in ematossilina.
.
70
4.6.3 ANTICORPI PRIMARI.
Anti Ki 67 (Clone MB67 same as MM1)
Mouse Monoclonal Antibody IgG (DBS)
Localizzazione nucleare
Diluizione 1:75 in buffer per anticorpi primari
Pretrattamento in tampone EDTA (pH 8) per 60 minuti a 98°C (67)
Anti ER (Clone SP1)
Rabbit Monoclonal Antibody IgG (NeoMarkers)
Localizzazione nucleare
Diluizione 1:40 in buffer per anticorpi primari
Pretrattamento in tampone EDTA (pH 8) per 60 minuti a 98°C (68)
Anti PR (Clone PgR636)
Mouse Monoclonal Antibody IgG (NeoMarkers)
Localizzazione nucleare
Diluizione 1:40 in buffer per anticorpi primari
Pretrattamento in tampone EDTA (pH 8) per 60 minuti a 98°C (69)
4.6.4 METODICA.
-
Tagliare la fettina di tessuto in paraffina al microtomo di spessore non
superiore a 3 nanometri;
-
Adagiare la fettina nell’acqua a 37°C all’interno dello stendifettine;
-
Fare aderire la fettina al vetrino SUPERFROST PLUS carico positivamente;
-
Mettere il vetrino in stufa a 60°C per 30 minuti fino alla completa
asciugatura e ad un parziale scioglimento della paraffina;
-
Eliminare la paraffina o reidratare il preparato attraverso passaggi in:
xilolo alcool 99 alcool 95alcool 70 acqua distillata;
-
Mantenere il vetrino in tampone PBS (tampone tris salino) diluito 1:10 in
acqua distillata;
-
Porre il vetrino in tampone di pretrattamento EDTA pH 8 precedentemente
riscaldato a 98°C in bagno termostatico per 60 minuti.
71
Parte automatizzata Lab Vision (Bio Optica):
-
Lavare i vetrini con PBS tensioattivato con sapone Tween 20;
-
incubare con H2O2 per 5 minuti;
-
Lavare i vetrini con PBS;
-
Incubare con Ultra V-block per 5 minuti;
-
Scolare i vetrini;
-
Incubare con anticorpo primario per 40 minuti a T ambiente;
-
Lavare i vetrini con PBS;
-
Incubare con anticorpo secondario (Enhancer) per 15 minuti;
-
Lavare vetrini con PBS;
-
Incubare con anticorpo terziario streptavidina perossidasi (Polimero) per 15
minuti;
-
Lavare i vetrini con PBS;
-
Incubare con cromogeno DAB per 10 minuti;
-
Risciacquare i vetrini con acqua distillata;
-
Controcolorare in ematossilina;
-
Effettuare la lettura dei preparati.
72
4.7 MATERIALI UTILIZZATI
PER LA
FLUORESCENCE IN SITU HYBRIDIZATION (FISH)
Vysis PathVysion™ HER2 DNA Probe.
4.7.1 STRUMENTI.
Microtomo Leica RM2145;
Stendifettine contenente acqua corrente a 37 °C;
Bagno termostatico;
Incubatore;
Strumento di ibridazione Hybrite;
Microscopio a fluorescenza
Piattaforma di digitalizzazione delle immagini:
4.7.2 REAGENTI NECESSARI.
-
Soluzione di HCl 0.2 M
-
Soluzione di NaSCN 1M
-
SSC (3M di sodium chloride, 0.3M Trisodium citrate)
-
SSC con 0.3% di detergente NP-40
-
Acqua distillata e demonizzata
-
Pepsina
-
Soluzione neutrale di formalina
-
Soluzione al 70% di formamide e di SSC al 30%
-
Etanolo assoluto
-
Sonde: LSI HER2/neu, CEP17
-
DAPI (4-6 diaminidino-2-phenylindole)
73
4.7.3 METODICA.
-
Tagliare sezioni di tessuto fissato in formalina, paraffinato
-
Utilizzare un microtomo che consente di orientare le sezioni (4-6
micron) in maniera uniforme sul vetrino.
-
Rimuovere la paraffina e permeabilizzare l’intera sezione di tessuto
evitare l'incompleta rimozione dei residui di paraffina che causano un
aumento di colorazione non specifica.
-
Identificare l'appropriata area della cellula tumorale sul vetrino
-
Porre i vetrini in una incubatore a 60°C per 2 ore.
-
Caricare i vetrini in un rastrello e rimuovere la paraffina dalla sezione
di tessuto immergendolo in una serie di tre contenitori con xilolo per
5 minuti e poi attraverso tre cambi di alcol assoluto.
-
Asciugare i vetrini per 3 minuti a 45°C.
-
Immergere i vetrini in 50ml di HCl 0.2N a temperatura ambiente per
20 minuti.
-
Lavare poi i vetrini immergendoli in 50ml di acqua distillata per 1
minuto poi immergere i vetrini tre volte in SSC per 3 minuti.
-
Immergere i vetrini in NaSCN 1M per 30 minuti a temperatura 81°C
-
Lasciare i vetrini in acqua distillata per 1 minuto e successivamente
immergerli per 3 volte in SSC per 3 minuti.
-
Immergere i vetrini nella soluzione di pepsina a 37°C in un tempo
compreso tra i 3-10 minuti, verificare sempre il pH dell’enzima che
deve essere 2.
In alternativa portarlo la pepsina a pH 2 con HCl 1 N o NaOH 1N
-
Immergere i vetrini in 50ml di acqua distillata per 1 minuto e
successivamente per 3 volte in SSC per 3 minuti.
-
Asciugare i vetrini a 45°C per 3 minuti.
-
Effettuare la seconda fissazione: immergere i vetrini in soluzione
di formalina neutrale al 10% per 10 minuti a temperatura
ambiente.
-
Lavare i vetrini per 3 minuti attraverso due cambi di SSC
-
Asciugare i vetrini a 45°C per 3 minuti; denaturare il DNA delle
cellule immergendo il vetrino in soluzione 70% formamide 30% SSC
74
a 81°C per 5 minuti; immediatamente immergere i vetrini in alcol 70,
85% in successione, e alcol assoluto per 1 minuto ciascuno.
Asciugare i vetrini a 45% per non più di 2 minuti.
-
Oscurare la luce nella stanza.
-
Usando un micropipettatore estrarre 10 microlitri della soluzione
contenente la sonda.
-
Coprire il campione di tessuto con un coverslip e sigillare le estremità
temporaneamente con una line di rubber cement.
-
Mettere i vetrini in una stanza chiusa, umidificata a 37°C per 18h.
-
Portare a 71°C una soluzione contenete 50 ml di SSC con 0.3% di
detergente.
-
Abbassare la luce.
-
Togliere i vetrini dall'incubatore, togliere con le pinzette la rubber
cement e bagnare i vetrini per alcuni minuti con SSC 0.3% NP a
temperatura ambiente.
-
Mettere i vetrini in una soluzione di SSC/0.3% NP per 2 minuti a
72°C.
-
Rimuovere i vetrini e immergerli in SSC a temperatura ambiente e
fare asciugare all'aria.
-
Coprire la fetta con 10 microlitri di DAPI.
-
Porre i vetrini a –20°C.
-
Analizzare il vetrino con il microscopio a fluorescenza.
4.7.4 CONTROLLO DI QUALITA'.
Le cellule normali rappresentano un controllo di interno di qualità.
Le cellule normali devono presentare 1-2 segnali verdi chiaramente visibili
indicanti che la sonda per il CEN17 è stata ibridata con successo alla
regione centromerica del cromosoma 17.
Le cellule normali devono presentare inoltre 1-2 segnali rossi chiaramente
visibili indicanti che la sonda di DNA per HER2 è stata ibridata con
successo al sito di amplificazione di HER2.
75
La mancata rilevazione dei segnali nelle cellule normali indica che il saggio
non è valido e i risultati devono essere considerati non validi.
76
4.8 MATERIALI UTILIZZATI PER LA SILVER
ENHANCED IN SITU HYBRIDIZATION
INFORM™ HER2 DNA Probe (VENTANA MEDICAL
SYSTEM).
4.8.1 STRUMENTI E REAGENTI NECESSARI.
-
Coloratore automatico di vetrini BENCHMARK XT
-
EZ Prep™ Ventana: soluzione sparaffinatrice a base acquosa (10X)
-
SSC Ventana: soluzione di stringenza (5X)
-
Reaction Buffer Ventana (10X): buffer di reazione
-
Cell Conditioning 2 Ventana: soluzione per lo smascheramento
antigenico a pH 6
-
INFORM® HER2 DNA Probe Ventana
-
INFORM® Chromosome 17 Probe Ventana
-
ultraView™ SISH Detection kit Ventana
-
Rabbit anti-DNP Antibody Ventana
-
ultraView™ Silver Wash Ventana
-
ISH Proteasi 3 Ventana
-
Hematoxylin II Counterstain Ventana
-
Bluing Reagent Ventana
-
Scala di disidratazione alcool 80alcool 95 alcool 99 xilolo
-
Montante permanente
4.8.2 METODICA AUTOMATICA (BENCHMARK XT).
Gene HER2: eP3-8
-
Eliminazione della paraffina;
-
Permeabilizzazione cellulare con trattamento esteso a pH6;
-
Incubazione con proteasi per 8 minuti;
-
Probe HER2 DNA;
-
Controcolorazione con HEMATOXYLIN II;
77
-
Post Controcolorazione con BLUING REAGENt
Centromero CEN-17: eP3-12
-
Eliminazione paraffina;
-
Permeabilizzazione cellulare con trattamento esteso a pH6;
-
Incubazione con proteasi per 12 minuti;
-
Probe Chr 17;
-
Controcolorazione conHEMATOXYLIN II;
-
Post Controcolorazione con BLUING REAGENT
L’automatizzazione è conseguente al taglio manuale delle sezioni
istologiche, fissate in formalina ed incluse in paraffina, a 4 micron.
Alla fine della procedura i vetrini con i preparati devono essere disidratati e
montati per la lettura al microscopio ottico.
78
5.
RISULTATI E CONCLUSIONI.
5.1 RISULTATI.
Il gene umano HER2 (noto anche come ErbB2 o neu) è localizzato sul
cromosoma 17 e codifica per una proteina indicata come HER2 o p185; tale
proteina è un recettore transmembrana ad attività tirosin chinasica omologo
al recettore del fattore di crescita epidermico (EGF-R) (70).
Un sottogruppo di pazienti con carcinoma mammario (15%-25%) presenta
un’amplificazione
del
gene
HER2
come
parte
del
processo
di
trasformazione maligna e di avanzamento del tumore. (71) L’amplificazione
del gene HER2 porta generalmente all’iperespressione della proteina HER2
sulla superficie delle cellule tumorali, la quale è stata dimostrata nel 25-30%
dei carcinomi mammari. La up regulation è associata a prognosi infausta,
aumentato rischio di ricorrenza e ad una diminuzione della sopravvivenza.
I pazienti con iperespressione di HER2 rispondono favorevolmente al
trattamento con Trastuzumab, un anticorpo monoclonale rivolto verso
HER2.
Usualmente la selezione dei pazienti da trattare con Trastuzumab viene
effettuata mediante l’indagine immunoistochimica Hercept Test, che valuta
la presenza in membrana della proteina. (score Hercept Test 0, 1+, 2+, 3+).
(72-73). Le linee guida attuali prevedono che i pazienti con score 3+
all’Hercept Test vengano direttamente considerati idonei alla terapia, mentre
i pazienti con score 0 o 1+ vengono considerati non idonei. Solo in caso di
nelle neoplasie con espressione media (2+ all’Hercept Test) della proteina
HER2 sulla membrana della cellule tumorali viene utilizzata la metodica
FISH per valutare lo stato del gene HER2. In questo caso vengono trattati
con Trastuzumab solo i soggetti che presentano amplificazione dl gene.
Nel nostro studio sono state confrontate la metodica FISH (Vysis
PathVysion™ HER2 DNA Probe) e la nuova metodica SISH (INFORM™
HER2 DNA Probe VENTANA MEDICAL SYSTEM).
79
Le due metodiche hanno dato risultato corrispondente in 51 casi su 53
cioè nel 96,2% dei casi. In 2 casi le tecniche hanno mostrato risultati
diversi. Infatti risultano positivi all’amplificazione genica del gene HER2
9/53 casi con entrambe le tecniche; le metodiche non concordano però nel
risultato di 2 dei 9 casi: in un caso la FISH è positiva (score >2.5) mentre
la SISH è negativa (score 1.1), nel secondo caso la FISH è negativa (score
1.6) mentre la SISH è positiva (score >3).
La valutazione è stata fatta per entrambe le metodiche esaminando
esclusivamente le cellule della neoplasia con carattere infiltrativi. Per ogni
caso sono stati contati come minimo due campi microscopici diversi per
un totale minimo di 40 cellule.
Nei casi dubbi (score 1.8<X<2.2) sono stati contati ulteriori campi e
successivamente è stata fatta la media degli score HER2/CEN17 dei
diversi campi.
La conta è stata effettuata per entrambe le metodiche in doppio cieco, cioè
da due diversi operatori (medici anatomo-patologi), i quali hanno valutato
singolarmente i casi senza conoscere i corrispondenti dati di scoring del
collega
Nella metodica SISH è stato valutato lo scoring attraverso il metodo
quantitativo.
80
Caso positivo: Donna di anni 69
Score FISH: >2.5- Score SISH: 2.4
KI67(Mib-1): 60%; ER: 70%; PR: 30%
Figura 31: istologia ed immunoistochimica sul recettore estrogenico
Figura 32: Hercept Test e FISH
81
Figura 33: gene HER2 e CEN17 (metodica SISH)
Caso positivo: donna di anni 63
Score FISH: >2.5- Score SISH: >2.5
Ki67 (Mib-1): 50%; ER: 70%; PR: 30%
Figura 34: Hercept Test ed immunoistochimica sul recettore estrogenico
82
Figura 35: SISH e FISH del gene HER2
Caso positivo: donna di anni 66
Score FISH: >3- Score SISH: >2.5
Ki67 (Mib-1): 15%; ER: 90%; PR: 90%
Figura 36: istologia ed immunoistochimica sul Ki67 (Mib-1)
83
Figura 37: SISH e FISH del gene HER2
Caso positivo: donna di anni 69
Score FISH: >3- Score SISH: 2.5
Ki67 (Mib-1): 10%; ER: 60%; PR: 70%
Figura 38: Hercept Test e SISH del gene HER2
84
Caso positivo: donna di anni 74
Score FISH: >8- Score SISH: >8
Ki67 (Mib-1): 50%; ER: 90%; PR: 90%
Figura 39: FISH e SISH sul gene HER2
Figura 40: Hercept Test ed immunoistochimica sul recettore estrogenico
85
Caso positivo: donna di anni 77
Score FISH: >3- Score SISH: >3.3
Ki67 (Mib-1): 20%; ER: 50%; PR: 70%
Figura 41: istologia ed immunoistochimica sul recettore estrogenico
Figura 42: FISH e SISH sul gene HER2
86
Caso positivo per SISH e negativo per FISH: donna di anni 66
Score FISH: 1.6- Score SISH: >3.3
Ki67 (Mib-1): 10%; ER: 40%; PR: 80%
Figura 43: istologia ed Hercept Test
Figura 44: SISH positiva e FISH negativa sul gene HER2
87
Caso positivo per FISH e negativo per SISH: donna di anni 77
Score FISH: >2.5- Score SISH: 1.1
Ki67 (Mib-1): 20%; ER: 80%; PR: 80%
Figura 45: SISH negativa e FISH positiva sul gene HER2
Caso negativo: donna di anni 42
Score SISH: 1.1
Ki67 (Mib-1): >20%; ER: -; PR: -
Figura 46: HER2 (foto a sinistra), CEN 17 (foto a destra)
Caso negativo per amplificazione genica tramite SISH
88
Grafico 1: Correlazione tra gli score tra la FISH e la SISH nei 53 casi studiati.
I dati forniti da questo studio hanno dimostrato che le due metodiche prese
in esame, la FISH
e la SISH sono concordanti nel 96,2% dei casi,
soddisfacendo i criteri dell’ASCO/CAP (American Society of Clinical
Oncology and the College of American Pathologist) che richiedono un
livello minimo di concordanza del 95% ed in accordo con i dati di
letteratura che indicano il valore di concordanza al 96% (74).
89
Grafico 2: distribuzione della frequenza del valore del ratio HER2/CEN 17
con metodica FISH (59)
20
18
16
14
12
10
8
6
4
FISH
SISH
2
0
0,9 1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,6 2,8 3,3 4
8
Grafico 3: distribuzione della frequenza del valore del ratio HER2/CEN 17
con metodica FISH e metodica SISH nei 53 casi del nostro studio
90
Nella seconda parte del nostro lavoro abbiamo valutato attraverso metodica
automatizzata SISH trenta casi aventi debole positività all’Hercept Test
(Dako Cytomation) con score 1+
Dopo avere valutato l’accuratezza della metodica in paragone con la FISH,
si è deciso di studiare se esistessero casi con amplificazione del gene HER2
caratterizzati da score 1+ all’Hercept Test con reattività di membrana
rilevabile in più del 10% delle cellule neoplastiche ma incompleta (presente
solo in parti di membrana cellulare) e debole.
Ventinove dei 30 casi 1+ all’Hercept Test analizzati sono risultati negativi
per amplificazione del gene HER2, un caso è risultato polisomico cioè
contenente più di due cromosomi 17 (o di centromeri del cromosoma 17)
all’interno del nucleo.
Questo caso è stato successivamente testato attraverso metodica manuale
FISH.
Tramite metodica SISH, che prevede la lettura sequenziale prima del vetrino
contenente gli spot marcanti il gene HER2 e poi del vetrino contenente gli
spot marcanti il CEN17, la polisomia può essere inizialmente erroneamente
interpretata come amplificazione genica; dopo aver effettuato la conta dei
segnali HER2 e CEN17 ed aver calcolato lo scoring HER2/CEN17 (nel
nostro caso si è ottenuto un rapporto inferiore ad 1.8) la polisomia diviene
evidente (62).
Tramite metodica FISH, la visualizzazione di un grande numero di spot
verdi (sonda CEN17) all’interno del nucleo delle cellule tumorali, che
rappresentano i cromosomi 17, è immediatamente visualizzabile.
91
Caso polisomico: donna di anni 66
Score FISH: 1.1- Score SISH: 1.3
Ki67 (Mib-1): 30%; ER: -; PR: -
Figura 47: polisomia del cromosoma 17 in SISH ed in FISH
92
5.2 CONCLUSIONI .
L’analisi dello stato del gene HER2 in tumori primitivi o in lesioni
metastatiche è di primaria importanza per la valutazione del tipo di terapia a
cui sottoporre il paziente, non solo viene usato per verificare la candidatura
all’utilizzo dell’anticorpo monoclonale Trastuzumab, ma anche per la scelta
del tipo di farmaci chemioterapici da somministrare. (38)
Dati di letteratura suggeriscono infatti che neoplasie HER2 positive sono
più sensibili all’azione delle antracicline in termini di sopravvivenza e di
tempo libero da malattia.(38) La valutazione dello stato del gene HER2
attualmente assume particolare importanza anche nei casi con recettori
ormonali completamente negativi o con score percentuali bassi; in questi
casi infatti la terapia con Tamoxifene o inibitori delle aromatasi non agisce a
livello delle cellule tumorali e l’eventuale terapia con Trastuzumab rimane
l’ultima possibilità per fermare in maniera specifica la crescita delle cellule
neoplastiche.(40). Inoltre prossimamente verrà approvato in Europa anche
l’utilizzo dell’inibitore di tirosina-chinasi Lapatinib, che negli Stati Uniti è
già impiegato da circa un anno in associazione a Capecitabina nel il
trattamento del carcinoma della mammella HER2 positivo in stadio
avanzato . (3)
Le due metodiche prese in considerazione nella prima parte del nostro
studio, la metodica manuale FISH e la metodica automatica SISH, sono
concordanti nel 96,2% dei casi (HerceptTest 2+), soddisfacendo i criteri
dell’ASCO/CAP (American Society of Clinical Oncology and the College
of American Pathologist) che richiedono un livello minimo di concordanza
del 95%, ed in accordo con i dati di letteratura che indicano il valore di
concordanza al 96%.(4)
La metodica manuale FISH (Vysis PathVysion™ HER2 DNA Probe) (IVD
CE) viene effettuata nell’arco di due giorni, richiede un operatore
specializzato, la lettura deve essere effettuata con un microscopio a
fluorescenza e necessita di un sistema di acquisizione delle immagini a
causa del rapido decadimento della fluorescenza dei fluorofori. La lettura e
lo scoring vengono valutati su un solo preparato, marcato con doppia
fluorescenza SpectrumOrange e SpectrumGreen.
93
La metodica automatica SISH (INFORM™ HER2 DNA Probe VENTANA
MEDICAL SYSTEM) (IVD CE) è effettuata su piattaforme BenchMark™
in modo automatizzato in 6,5 ore, il segnale è evidenziato con cromogeno
argentico (Silver-ISH) permanente ed il preparato può essere conservato a
temperatura ambiente senza decadimento del segnale.
La lettura e lo scoring vengono valutati in campo chiaro, con microscopio
ottico convenzionale, su due preparati, uno in cui il segnale (spot) marca il
gene HER2 e l’altro in cui il segnale marca il CEN-17.(Tab. 5)
CARATTERISTICA
FISH
SISH
Tipo di metodica
Manuale
Automatica
Tempo di esecuzione
2 giorni
6,5 ore
Caratteristiche
Operatore
Operatore non
dell’operatore
specializzato
specializzato
Tipo di microscopio
A fluorescenza
Ottico
Tipo di segnale
Fluorescenza
Cromogeno
argentico
N° di preparati
. 1 .
. 2 .
Decadimento del segnale
Rapido
. / .
Conservazione
Necessita di lettura
Temperatura
immediata
ambiente
Legenda: vantaggio
svantaggio
Tabella 5 : confronto tra le caratteristiche della FISH e quelle della SISH
Il confronto delle caratteristiche delle due metodiche mette in evidenza un
possibile risparmio economico e di tempo nella tecnica SISH rispetto alla
FISH. Infatti per la SISH non è necessario personale specializzato per
l’interpretazione corretta dei risultati, è sufficiente un microscopio ottico e
la metodica risulta nettamente più veloce rispetto alla FISH. Inoltre il
preparato non è soggetto a decadimento del segnale, per cui non è
indispensabile effettuare una lettura immediata.
94
Per contro la lettura della SISH può risultare meno immediata, in quanto
viene effettuata su due vetrini ed il segnale è evidenziato come uno spot
nero. La FISH invece si effettua su unico vetrino e la lettura appare facilitata
in quanto l’ibridazione specifica ai due siti bersaglio porta alla formazione
di un segnale fluorescente rosso in corrispondenza di ciascun locus del gene
HER2 e ad un segnale fluorescente verde in corrispondenza di ciascun
centromero del cromosoma 17.
Nella seconda parte del nostro studio, sono stati valutati con metodica SISH
30 casi aventi recettori ormonali completamente negativi o con percentuali
minori al 40% e caratterizzati da Hercept Test con score 1+.
29/30 casi sono risultati negativi all’amplificazione genica, con score
HER2/CEN17 compresi tra 0.9 e 1.4, un caso è risultato polisomico.
Il caso polisomico è stato successivamente testato anche con metodica
FISH; entrambe le metodiche hanno dato come risultato di score
HER2/CEN17 il valore di 1.1, quindi la paziente non è stata ritenuta idonea
per il trattamento.
95
6.
DISCUSSIONE.
Dopo aver verificato la concordanza dei risultati ottenuti con la metodica
SISH con quelli ottenuti con la metodica FISH riteniamo che le due tecniche
siano assolutamente paragonabili in termini di accuratezza ed efficacia.
Inoltre la metodica SISH presenta alcuni vantaggi e relativamente pochi
svantaggi rispetto la FISH, come è stato descritto nel capitolo precedente.
Per questi motivi pensiamo che la SISH possa essere una valida alternativa
alla FISH, soprattutto in piccoli centri dove l’ibridazione in situ non viene
utilizzata su larga scala. In questi centri l’analisi potrebbe essere effettuata
con metodica SISH, con effettivo risparmio economico e di tempo, e senza
necessità di personale esperto dedicato.
La seconda parte dello studio non ha mostrato evidenze di amplificazione
genica in pazienti con carcinoma della mammella con score 1+ all’Hercept
Test.
E’ stato quindi confermato che il trend diagnostico-terapeutico seguito
attualmente è corretto, essendo legittimo escludere questi pazienti dalla
terapia
con
Trastuzumab
dopo
la
sola
esecuzione
del
saggio
immunoistochimico, senza necessità di procedere all’amplificazione del
gene HER2.
96
7.
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FISH SISH TESI definitiva