STORIA McLaren Story ARC. D’ALESSIO In principio fu il Kiwi Il suo primo Gran Premio in F.1 è datato 22 maggio 1966. Più precisamente sul circuito cittadino di Monte Carlo, dove venne portata al debutto dal suo fondatore, il neozelandese Bruce McLaren, classe 1937. Per la verità, la Bruce McLaren Motor Racing Ltd era nata il 2 settembre del 1963 e da allora sono trascorsi ben 50 anni, in cui quell’officina è divenuta una holding con attività che orbitano in svariati settori: dal motorsport all’automotive, dalla produzione di componenti elettronici alle consulenze tecniche, fino alla progettazione di prodotti hi-tech. In campo sportivo i risultati sono eloquenti: dei 732 GP iniziati, ne ha conquistati 182. I titoli mondiali piloti sono 12, mentre quelli costruttori sono 8. Numeri che fanno della McLaren una scuderia che ha scritto la storia dell’automobilismo, attraverso le sue imprese e perché no, anche attraverso le sue particolari livree ed i simboli che l’hanno contraddistinta. Quando McLaren decide di creare un proprio team, è già un pilota affermato. Dopo gli esordi sulle piste di casa in Nuova Zelanda, McLaren sbarca in Europa, dove nel ’58 debutta in F.1 e l’anno dopo conquista la sua prima vittoria nel GP degli Stati Uniti, a Sebring, sulla Cooper Climax. Per sei stagioni, McLaren resterà alla Cooper, arrivando secondo e terzo nei mondiali ’60 e ‘62. Nel frattempo, segue l’esempio dell’amico Jack Brabham, che nel 1961 aveva deciso di passare da pilota a costruttore. Nella sede di Slough, nei pressi di Londra, si concentra subito sui campionati minori, come la Tasman Cup. Una categoria sorta nel 1964, il cui calendario prevede gare su tracciati, per lo più stradali, in Australia e Nuova Zelanda. Vengono preparate due CooperT70 con motore Climax da 2700cc dalla livrea dipinta col classico “British Racing Green”, recante sul cofano anteriore due linee parallele verticali bianche, che si innestano su un’altra parte bianca, intorno al musetto. Questa categoria vedrà trionfare proprio McLaren, ma segnerà la scomparsa del suo compagno, il giovane driver americano Timmy Mayer, fratello di quel Teddy, di professione avvocato, che di lì a poco diverrà il team manager della scuderia. Per conoscere la prima McLaren della storia occorre attende- 46 Il team fondato dal neozelandese Bruce McLaren ha una storia gloriosa che sconfina in tanti campi. Una storia che può essere ripercorsa seguendo l'evoluzione del marchio "societario". re il 1° settembre 1964, quando a Goodwood viene testata una sport, denominata M1A con motore Oldsmobile da 4,5 litri. Un modello che il 10 ottobre siglerà la prima vittoria McLaren nella gara di qualificazione che precede il Los Angeles Times GP, sulla pista americana del Riverside International Raceway. La vettura sfoggia una colorazione nera e argento, in omaggio ai colori nazionali neozelandesi, così come il kiwi, volatile icona della Nuova Zelanda, che campeggia al centro dello scudetto della scuderia. Lo studio grafico del logo, porta la firma di un amico di McLaren, Michael Turner, che diviene anche il designer della M1A. Turner è un illustre artista inglese, divenuto famoso per i suoi dipinti nel campo dell’aviazione e del motorsport. Di forma tondeggiante, all’interno dello stemma bordato di rosso scuro, si trovano una monoposto stilizzata nera su fondo verde scuro nella parte superiore ed una bandiera a scacchi verde come sfondo al kiwi nero. Nel 1965, compare un nuova livrea: rossa con striscia centrale argento e oltre alla M1A, scende in pista anche la M1B. Le affermazioni non mancano, anzi. Dai circuiti europei al Canada (Mont-Tremblant), per arrivare a Daytona. Nella stagione successiva, dopo il trasferimento della sede a Feltham, nel Middlesex, inizia a prendere corpo definitivamente il progetto F.1. McLaren ingaggia Robin Herd, un eccellente ingegnere aeronautico e, nell’autunno ’65, la M2A, una vettura laboratorio, effettua alcuni giri di prova a Brands Hatch. Un modello che viene successivamente aggiornato e che nel 1966 esordisce nel Principato di Monaco con la Dennis Hulme e Bruce McLaren (a sinistra) posano accanto alla fiammante M7 del 1969. In alto la livrea rosso argento del 1967 e, nella foto in basso, le monoposto del costruttore e pilota neozelandese nel GP di Montecarlo. ARC. D’ALESSIO ARC. D’ALESSIO I 47 ARC. D’ALESSIO la M4B (una F.2 modificata) spinta da un motore BRM V8 e successivamente la M5A, leggermente più grande per montare il V12. Rispetto a prima le monoposto sfoggiano una colorazione rossa, con una fascia bianca orizzontale posta intorno al musetto, oppure una linea verticale grigia lungo il cofano anteriore. Una livrea che però dovrà essere abbandonata, in quanto il rosso è destinato alle vetture italiane, come ad esempio la Ferrari. Novità anche per il logo della scuderia inglese, dove il soggetto principale resta sempre il kiwi, ma in versione “speedy”, ossia molto più stilizzato in modo da esprimere graficamente una maggiore dinamicità. L’autore è sempre Turner, che sullo sfondo inserisce l’arancione brillante. Una tonalità nuova che sarà adottata dalla McLaren per tutte le sue vetture per ben quattro stagioni. Non solo in F.1, ma anche in altre categorie, come la Can-Am. Una serie dove l’arancio McLaren spopolerà per un lustro. Dal ’67 al ’71 saranno le McLarenChevrolet a conquistare il titolo, con McLaren, Hulme e Revson. Nella Tasman Cup invece, le M4A Ford sono dipinte di rosso. Ma l’arancio si rivela ben presto beneaugurante. Il 1968 si apre Non solo Formula 1: nei primi anni della sua storia il Team McLaren è una presenza assidua anche ad Indy e nella Can Am (in alto a sinistra). Nel 1972 scompare la livrea rosso-arancio, per fare posto allo sponsor Yardley, rimpiazzato, a partire dal 1974, dal bianco e rosso della Marlboro. E arrivano i primi titoli mondiali con Fittipaldi e Hunt (immagini in basso). ARC. D’ALESSIO Hatch, McLaren arpiona il primo punto iridato, piazzandosi sesto. E altri due punti arriveranno dalla trasferta in Usa a Watkins Glen, con McLaren quinto. Il 1967 vede la McLaren spostare ancora la sede, questa volta a Colnbrock, mentre nel mondiale fa il suo esordio dapprima ARC. D’ALESSIO ARC. D’ALESSIO ARC. D’ALESSIO sigla M2B. La livrea della monoposto, è alquanto semplice; interamente bianca, decorata con una linea verticale verde scuro sul musetto. È ovviamente pilotata da McLaren, che dopo dieci tornate deve abbandonare, complice una perdita d’olio. Nel round successivo, a Brands con la vittoria nella Race of Champions di Brand Hatch e nel Daily Express Trophy a Silverstone, due gare per vetture di F.1, non valide ai fini del mondiale. E il viatico per il primo trionfo nel GP del Belgio. Il 9 giugno, sullo storico tracciato di Spa-Franchorchamps, la versione M7A Ford progettata dal nuovo tecnico Gordon Coppuck, scende in pista con ben tre esemplari. I piloti sono: McLaren, Hulme, Campione del Mondo in carica, e Bonnier. Complice una sosta ai box nel finale, per effettuare un rabbocco di benzina, il leader Stewart vede sfumare la vittoria, che va a McLaren che lo segue in seconda posizione. Sulla carrozzeria arancione spicca la scritta McLaren Cars sulla pancia laterale sinistra accanto al numero di gara e poco sopra all’altezza del cockpit è raffigurato il piccolo kiwi nero. In quella stagione le vetture inglesi saranno una vera rivelazione, tanto che a due gare dal termine, Hulme è primo in classifica con Graham Hill. Due incidenti consecutivi consentiranno all’inglese della BRM di laurearsi campione, mentre il neozelandese chiuderà terzo, superato anche da Stewart. La McLaren invece sarà seconda nel costruttori a undici punti dalla Lotus. Nelle stagioni successive, i risultati saranno un po’ al di sotto delle aspettative e quando nel 1970 le attese sono confortate da due secondi posti nei primi GP stagionali, la scuderia è sconvolta da una tragedia che segnerà indelebilmente il futuro. È il 2 giugno quando, nel corso di un test a Goodwood con la M8D, Bruce McLaren rimane vittima di un incidente mortale. La sua vettura realizzata per la Can-Am, perde una sezione della coda mentre viaggia a circa 270 km/h. Priva di ogni controllo sbatte contro le barriere e dopo essersi divisa in due prende fuoco. Una dinamica drammatica che non lascia scampo al pilota neozelandese. Si chiude così, a soli 32 anni e con 101 GP alle spalle, la carriera di Bruce, marito di Patty e padre di una figlia di quattro anni. Superato lo choc iniziale, le sorti della McLaren sono raccolte da Teddy Mayer e da Phil Kerr. Inizialmente la loro gestione non è 48 49 STORIA ARC. D’ALESSIO STORIA della vettura è bianca e sulla parte alta dell’avantreno, sotto il volante, si nota una “Y” formata da tre linee ben distinte di colore, nero, marrone e oro. Le scritta “Yardley” compare sulle ali anteriore e posteriore e sulle fiancate, seguita dalla scritta “McLaren”. L’arancio comunque resterà sui colori delle divise di meccanici e tecnici, mentre le tute dei piloti riprendono il motivo delle loro vetture: bianche con una striscia verticale sul petto nera, oro e marrone. Ma, restando al ’72, è curioso ricordare che nei GP di Canada e Stati Uniti, le vetture di Hulme e Revson si presentano con una strana colorazione blu e gialla legata allo sponsor Sunoco. Una scelta commerciale che ci riporta al 27 maggio di quello stesso anno. Al volante di una McLaren M16B, Offenhauser, Mark Donohue trionfa nella 500 Miglia di Indianapolis. Il team è quello di Roger Penske e la monoposto n°66 sfoggia per l’appunto i colori della Sunoco. Il sodalizio con la Yardley dura per tutto il 1973, poi ecco la Marlboro. Il popolare marchio di sigarette prodotte dalla Phillip Morris, filiale della multinazionale Altria, già presente in F.1 dal ’72 sulle BRM e sulle Iso-Williams, decide di legarsi alla scuderia di Teddy Mayer, rivoluzionandone l’immagine. Sulle vetture dominano il bianco ed il rosso fluorescente, che sul muso termina con il triangolo bianco. Il richiamo al pacchetto di sigarette è eloquente. Spicca anche la presenza della Texaco, la compagnia petrolifera fornitrice dei carburanti, il cui nome si trova quasi sempre accanto a quello della Marlboro. Discorso analogo per il logo, che cambia radicalmente. Il kiwi, cede il passo ai loghi Marlboro e Texaco. Per la McLaren si tratta di una svolta epocale, che contraddistinguerà la sua storia per oltre 20 anni. Non a caso nel 1974, la M23-Ford, conquisterà il titolo mondiale con il brasiliano Emer son Fittipaldi. E nel 1976, sulla M23 aggiornata, trionferà col vulcanico inglese James Hunt. Sarà proprio il biondo capellone britannico a detronizzare il ferrarista Lauda, complice anche il drammatico incidente al Nürburgring, che comprometterà la stagione dell’austriaco. Sempre in quella stagione, arriva il secondo trionfo nel catino di Indy. A bordo della McLaren M16E Offenhauser, di colore arancione, Johnny Rutheford s’impone nella mitica 500 Miglia. Con il secondo titolo iridato, la McLaren è sempre più una realtà, ma i risultati altalenanti nelle stagioni successive freneranno la sua ascesa nel Circus. La seconda grande svolta si concretizzerà con l’entrata in scena di Ron Dennis. Inglese di Woking, cittadina del Surrey, classe 1947, Dennis comincia sin da giovanissimo come apprendista meccanico. Lavora accanto a campioni come Rindt, Brabham, conquistando la loro fiducia e dimostrando di avere la vista lunga. Si mette in proprio fondando la Rondel, insieme a Neil Trundle, le cui Brabham partecipano al campionato di F.2. Da lì in avanti le ambizioni di Dennis galoppano, così come i suoi impegni: nasce così la “Project Four Racing”. Dall’incontro con un giovane e geniale tecnico inglese, che risponde al nome di John Barnard, scaturisce l’idea di realizzare un’intera monoposto di F.1 in fibra di carbonio, grazie anche alla collaborazione con la Hercules, l’industria aerospaziale statunitense con sede a Salt Lake City. Un progetto con cui Dennis riesce a far colpo sulla Marlboro, che intuisce la soluzione per risollevare le sorti della McLaren alle prese con parecchie difficoltà economiche. È il 1° novembre 1980, quando la McLaren Racing e la Project Four Racing si fondano dando vita alla McLaren International. È l’inizio di quella che potrebbe essere considerata la terza era. La creazione del nuovo logo viene affidata a Raymond Loewy, una firma leggendaria nel campo del design e della grafica. Tanto per intenderci è il creatore dei loghi di Shell e BP. Il soggetto è ancora il cosiddetto “Marlboro chevron” (il poligonetto rosso che richiama la forma del marchio del noto benzinaio), che viene riproposto in modo da riprodurre la bandiera a scacchi. Al fine di aumentare il senso di velocità, il logo segue delle linee oblique a 3 colori: il bianco di fondo, il nero ed il classico rosso fluorescente Marlboro. Alla base, si trova la nuova denominazione: McLaren International. Le monoposto invece non presentano grandi variazioni rispetto al passato. A partire dal 1981, tutto il corpo vettu- Dopo anni di crisi, a metà degli anni ottanta la McLaren torna alla ribalta in Formula 1 con la MP4/2, guidata da Niki Lauda (in alto a sinistra) e Alain Prost (in basso a sinistra). La fine degli anni novanta e i primi del nuovo decennio portano invece la firma di Ayrton Senna (sopra) iridato nel 1988, 1990 e 1991. ra centrale viene colorato di bianco e le parti rosse, con il classico triangolo, compaiono sulla parte alta dell’avantreno e sul cosiddetto “coca cola”, per quanto concerne la parte posteriore, compresa l’ala. I primi risultati dell’avvento di Dennis, cominciano a vedersi già nell’81, più precisamente il 18 luglio, sulla pista di casa a Silverstone. Al volante della MP4/1, il nord irlandese John Watson porta al successo la prima monoposto in carbonio della storia. Un risultato che proietta la F.1 nel futuro. E così pure la McLaren, che sposta la sua sede a Woking, in un’area di circa seimila metri quadrati, dove la factory è in grado di produrre le proprie vetture ad eccezione del propulsore e degli ingranaggi del cambio. Dennis cura dettagliatamente tutti gli aspetti legati all’immagine, intuendo quanto siano importanti ai fini della ricerca di nuovi sponsor. Non a caso crea un ufficio marketing, preposto alle iniziative promo- ARC. D’ALESSIO certo priva di difficoltà. Kerr si tuffa alla ricerca di nuovi sponsor e, nell’autunno del 1971, viene raggiunto l’accordo con la Yardley, un’azienda leader del settore dei cosmetici con antiche origini inglesi, passata nel 1960 sotto il controllo della British American Tobacco. Da qui la volontà di rilanciare i propri prodotti per uomini e donne, entrando nel Circus che sta spalancando le proprie porte ai nuovi e munifici sponsors. La presenza del nuovo main sponsor, cambia non solo la denominazione del team in “Yardley McLaren”, ma introduce una nuova livrea coi propri colori. L’arancione resta soltanto sulla parte inferiore delle pance laterali sormontato da una banda marrone. Gran parte 50 51 STORIA 52 filo dell’immagine. La Marlboro ha abbandonato la scuderia inglese alla volta della Ferrari, che ha ingaggiato Michael Schumacher. Ma per un tabaccaio che va, eccone un altro che arriva, la West. E proprio grazie a questo brand, del gruppo tedesco Reemtsma, si profila un nuovo vernissage per le monoposto di Woking. Dal rosso fluorescente si passa alla dominante grigia, una tonalità che ben si sposa con la presenza della Mercedes, richiamando alla memoria le “Frecce d’argento” del grande Juan Manuel Fangio. Alla presentazione ufficiale della stagione 1997, la West McLaren Mercedes presenta la nuova MP4/12, dove sulle pance laterali della monoposto spicca la scritta West, così come sull’ala posteriore e la parte superiore dell’avantreno, colorato di grigio metallizzato sfumato in bianco. Tonalità che ricopre anche l’airscope e la parte centrale dell’alettone. I profili laterali delle ali (sia davanti che dietro) sono nere, così come la parte bassa del musetto (interrotto da una piccola parte centrale rosso fluorescente) e le superfici superiori delle fiancate. Proprio su queste parti fa la sua comparsa (a coppie) un nuovo simbolo, che tutt’ora rappresenta il team inglese. Si tratta di un’evoluzione, molto più dinamica e aggressiva, del vecchio “Marlboro chevron”. Un concetto innovativo realizzato dai grafici interni, che traduce graficamente il flusso d’aria prodotto dall’ala posteriore. Questa sorta di “vortice”, rosso fluorescente con effetti a rilievo, va a posizionarsi sopra la lettera “n” del nome McLaren scritto in corsivo bianco, ben in evidenziato dallo sfondo nero. Una tendenza che ritroviamo anche sulla livrea della monoposto, dove vengono riprodotte a mano mediante l’uso dell’aerografo delle sottili sfumature grigio chiare, atte a raffigurare i flussi sopracitati generati dalla velocità che si distribuiscono sulla carrozzeria. Anche le divise di meccanici, piloti e management sono all’insegna del grigio e del nero. Dopo una stagione all’insegna di alcuni problemi di gioventù, la scuderia anglo-tedesca s’impone l’anno dopo grazie al modello MP4-13 perfezionato dal genio tecnico di Adrain Newey. Il finlandese Mika Hakkinen sale sul trono mondiale e fa il bis nel ’99, mentre il titolo costruttori arriverà a Woking, solo nel ‘98. Per buona parte degli anni 2000, non si registrano grandi cambiamenti nella livrea delle vetture, se non l’allungamento, verso il centro della scocca, della linea rossa che cinge il musetto e la scomparsa del nome “West”, per effetto del divieto a pubblicizzare i marchi di sigarette. Obbligo che inizialmente viene “aggirato” scrivendo sulla carrozzeria i nomi dei piloti, con lo stesso lettering del marchio del tabaccaio. Diverso discorso, invece, per quanto concerne il logo, che D’A abbandona lo sfondo nero in ragione del bianco, con conseguente inversione di colore per la scritta “McLaren”, che adotta un font più sottile. Un logo molto pulito, che trasmette un grande senso di luminosità e che ben si sposa con l’avveniristica struttura a vetri progettata dall’archistar britannica Norman Foster: il McLaren Technology Center. La nuova sede sorta a Woking, sulle rive di un lago LESSIO artificiale, inaugurata nel 2004. Per qualcuno è il viatico verso l’ennesima metamorfosi, quella datata 2007. Persa la West, giunto alla scadenza del contratto, spunta un nuovo importante title sponsor, la Vodafone, legata alla Ferrari fino all’anno prima. Il colore del colosso telefonico, molto simile al rosso acceso già presente sulle monoposto, occupa buona parte delle monoposto, ovviamente insieme alla scritta Vodafone. Dalle pance laterali dove forma graficamente un goccia con contorni neri, ai profili alari anteriori e posteriori. Il grigio ha invece ceduto il posto ad una tonalità argentea, ma con effetto speculare, sulla quale vengono raffigurati ancora i flussi, ma questa volta di colore nero sfumato. Trionfa il bianco anche sulle divise del team e dei piloti, anche se per alcuni capi d’abbigliamento è stato mantenuto il grigio. Una nuova immagine che ha salutato la conquista di un nuovo titolo mondiale, conquistato con la MP4/23, all’ultimo round in Brasile nel 2008, da Lewis Hamilton. Il giovane pilota britannico di colore, che all’età di 13 anni ha trovato in Ron Dennis il proprio mentore. L’attenzione è ora rivolta alla prossima stagione, che tiene in serbo due importanti novità. La prima riguarda la dipartita della Vodafone, con la quale non è stato rinnovato il contratto. La seconda invece riguarda l’accordo raggiunto con la Honda, ufficializzato come motorista al posto della Mercedes dal 2015. Per il marchio si tratta di un grande ritorno, soprattutto in una stagione che sarà contrassegnata dalla nuova era turbo. Per quanto concerne la nuova colorazione c’è grande curiosità, visto che nulla è ancora trapelato circa il nome del nuovo title sponsor. C’è solo una dichiarazione del team principal Martin Whitmarsh, che di recente ha affermato di gradire un ritorno al colore arancio voluto da Bruce McLaren. Si tratterebbe di un ritorno al passato, ma nemmeno di tanti anni, in quanto nel 1997, nel ’98 e nel 2006, le test-cars di Woking, fecero il loro debutto in pista con l’originale livrea arancio, decorata con gli sponsor ufficiali. Oggi l’arancio metallizzato viene utilizzato solo sulle McLaren da strada. Su questi modelli, in particolare sull’ultima nata la Supercar MP412C, entrata in produzione nel 2011, è presente sul muso l’ultima evoluzione del marchio McLaren. Il nome della factory è scomparso, c’è soltanto la figura curvilinea, precedentemente rosso-fluo, ora colorata con un texture che riproduce fedelmente la trama della fibra di carbonio, sinonimo di alta tecnologia. Una soluzione grafica che rispecchia la filosofia che il gruppo inglese, segue da parecchio tempo. Carlo Baffi D’ALESSIO Dopo i tre titoli di Senna, all’inizio degli anni novanta, bisogna attendere il bienno 1998/99 per ritrovare una McLaren iridata, con Hakkinen (in alto a sinistra) e fino al 2008 per celebrare il ritorno ai vertici con un pilota inglese (a sinistra al centro Lewis Hamilton). Decisamente poco incisive le prestazioni del 2013, con Jenson Button e il neo arrivato Perez (in questa pagina). D’ALESSIO zionali. Proprio in quegli anni consolida il rapporto con la Tag, l’azienda del magnate francosaudita Mansour Ojjeh, leader nel campo della tecnologia avanzata ed entrata in F.1 con la Williams. La presenza della Tag permette alla McLaren di sviluppare il nuovo motore Porsche V6 da 1,5 litri, che nel triennio ’84-‘85-’86 spingerà i bolidi biancorossi alla conquista del titolo mondiale, prima con Lauda e due volte con Alain Prost. È di questo periodo la trasformazione della McLaren in una holding, di cui fanno parte due società: la Tag-McLaren Marketing Service Ltd.e la Tag McLaren Research Ltd. Questo per effetto dell’acquisizione del pacchetto azionario di Barnard da parte di Ojjeh, a tutt’oggi uno degli azionisti più importanti del gruppo. In quegli anni si registrano grandi successi anche nel settore endurance, grazie al modello F.1 GTR. La supersportiva prodotta a partire dal 1984 e progettata dal genio sudafricano Gordon Murray. Una vettura con posto di guida centrale, spinta da un V12 BMW da 6 litri, che si distingue subito per le ottime prestazioni, tra cui la 24 Ore di Le Mans. La livrea di questi prototipi però non segue la linea aziendale, bensì la colorazione dettata dagli sponsor. In F.1 invece le monoposto biancorosse, si apprestano a vivere i loro anni d’oro, grazie all’arrivo di un altro grande colosso dell’automobile, la Honda. Spinte dal turbo a sei cilindri giapponese, il modello MP4/4 domina la stagione 1988, con 15 vittorie su 16 GP, che trasforma Prost e Senna da compagni ad odiati rivali. Nel 1991, viene apportata un’ulteriore variazione al logo aziendale. Viene dato maggiore spazio al nome McLaren, scritto in corsivo con tonalità nera, dove sopra la lettera “n” viene posizionato l’unico “Marlboro Chevron” di colore rosso, rimasto. Ma con l’uscita di scena della Honda nel 1992, la McLaren accuserà il colpo e faticherà a tornare ai vertici. Dennis però non demorde e quando sigla il contratto con il nuovo motorista, la Mercedes, la riscossa è ormai vicina. Una rinascita che coincide con una nuova svolta anche sotto il pro- STORIA 53