DE VITA BEATA: LA VIRTU’ E LA FELICITA’ Il De vita beata è il VII libro dei Dialoghi di Lucio Anneo Seneca. Il dialogo ci è pervenuto mutilo infatti la parte conclusiva presenta una lacuna. L’opera è dedicata al fratello: prima NOVATO 52d.C. dopo GALLIONE Nel De vita beata Seneca afferma che la virtù è il solo bene che possa rendere gli uomini felici. Invece i “bona” sono dei falsi beni dati dalla fortuna che portano l’uomo in uno stato di sicurezza e lo rendono dipendente dalla fortuna, costituendo per l’animo un pericolo minaccioso. Infatti questi falsi beni conducono l’animo alla ricerca della voluptas (piacere) che porta alla rovina e rende dipendenti dalla fortuna. I finti bona vanno ritenuti come adiaphora (dal greco ἀδιάφορα, “cose indifferenti”) che non hanno in se alcun valore, in quanto non contribuiscono né alla felicità né all’infelicità Dunque solo la virtù ci permette di raggiungere la felicità. Per quanto riguarda le ricchezze, esse sono molto pericolose per gli stolti poiché ne diventano schiavi; mentre sono utili al saggio che riesce a farne a meno in qualsiasi momento. Con questo trattato Seneca entra in polemica con Epicuro e con la teoria della voluptas, da lui sostenuta. Seneca dichiara che il sommo bene per il saggio non è il piacere ma l’esercizio corretto della virtù. Seneca Epicuro La sapienza non si identifica con la povertà e la virtù non consiste nel non avere ricchezze ma nel saperne fare buon uso. E’ probabile che l’opera possa essere intesa come una risposta all’accusa che P.Smillio rivolse contro Seneca accusandolo di incoerenza fra il suo pensiero e il suo agire, poiché Seneca possedeva ricchezze considerevoli. INCOERENTE Realizzato da: Costa Ilenia e Orfanò Vanessa III A