Tradizionalmente, lo shock è stato identificato con un quadro di
ipotensione grave e di collasso cardiocircolatorio:
tale interpretazione trovava giustificazione nelle limitate conoscenze, nella
scarsità dei metodi di rilevazione e monitoraggio, nella inadeguatezza della
terapia.
Nel corso degli anni, gli sviluppi nel campo della fisiologia, della biochimica, della
immunologia, insieme ai più perfezionati metodi di monitoraggio e alle più
sofisticate tecniche di terapia intensiva e rianimazione, hanno fornito gli strumenti
per un nuovo approccio metodologico al fenomeno shock; di conseguenza
oggi si parla di shock indipendentemente dalla presenza di ipotensione se
sulla base di rilevazioni dirette o indirette venga riconosciuta un’alterazione
del trasporto e/o utilizzazione dell’ossigeno e dei substrati da parte dei
tessuti
Al momento attuale delle conoscenze, quindi, lo shock può essere definito
come una sindrome pluridisfunzionale dovuta all’alterazione
dei
processi di produzione energetica cellulare da
diminuzione della disponibilità o della utilizzazione
dell’ossigeno e ai meccanismi fisiopatologici di
compenso che ne derivano.
>>>>> Non c’è ossigeno disponibile
Sotto questa angolazione è possibile concepire lo shock come un’entità patologica
unitaria, anche se i fattori eziologici e i meccanismi che concorrono a realizzarne il
quadro possono essere differenti.
>>> Sul piano nosografico lo shock contempla fenomeni plurieziologici (per es.
cardiogeno, ipovolemico, traumatico, settico, neurologico, anafilattico), a
ripercussione pluriviscerale ed evoluzione in complicanze di organi vitali (cuore,
polmoni, reni, fegato, SNC).
>>> Sul piano clinico si tratta di una condizione che, senza predilezione di sesso o
età, ha le caratteristiche di insorgere più o meno acutamente, di compromettere la
stabilità cardiocircolatoria, di produrre a carico di organi vitali una perfusione
inadeguata ai livelli di funzionalità richiesti in queste circostanze, di somigliare più
a una “sindrome” che a una “malattia” perché racchiude una costellazione di sintomi
e segni clinici che spesso, pur aiutandoci a individuarla, non ci indicano la o le
cause.
shock emorragico,
rappresenta la forma di shock ipovolemico più comune in chirurgia,
storicamente è la più studiata sia dal punto di vista clinico che sperimentale.
La riduzione della massa circolante (ipovolemia) comporta diminuzione del
ritorno venoso (evidenziata dalla bassa pressione venosa centrale) con
conseguente riduzione del riempimento ventricolare nella fase di diastole
(precarico = pre-load) e quindi della gittata cardiaca (cardiac output).
In risposta all’ipovolemia si verifica una immediata attivazione neurormonale
indotta in gran parte dalla stimolazione di vari recettori con lo scopo di:
>mantenere una adeguata perfusione degli organi vitali;
>ripristinare una volemia adeguata;
>facilitare la mobilizzazione e la utilizzazione dei substrati energetici.
I recettori coinvolti in questa reazione sono:
barocettori (del seno carotideo e dell’arco aortico) sensibili alle modificazioni della
pressione arteriosa;
volocettori (atriali) sensibili al volume di riempimento atriale;
chemocettori (del glomo carotideo) sensibili alle variazioni della pressione parziale
di ossigeno e anidride carbonica nel sangue arterioso;
osmocettori (ipotalamici) sensibili alle variazioni della osmolarità plasmatica;
nocicettori (cutanei, viscerali, scheletrici) sensibili agli stimoli dolorosi.
Gli effetti conseguenti alla loro stimolazione rappresentano costanti ed efficaci
meccanismi di compenso all’ipoperfusione:
stimolazione del sistema nervoso simpatico cardiaco e vasomotore;
iperincrezione di numerosi ormoni ad azione metabolica e cardiovascolare:
catecolamine (midollare surrenale);
vasopressina o ADH (neuroipofisi);
attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (apparato iuxtaglomerulare
e corticale surrenale);
ACTH, GH (adenoipofisi);
cortisolo (corticale surrenale);
glucagone (pancreas endocrino).
entità delle perdite e modalità
(“shock a basso flusso”).
Ciò avviene a seguito di:
ipovolemia (perdita di sangue, plasma, liquidi);
ipodinamismo da riduzione della gittata cardiaca dovuta sia a cause
cardiache (infarto, aritmie, depressione miocardica) che extracardiache
(embolia polmonare, tamponamento cardiaco, pneumotorace iperteso,
ostruzione cavale);
ipodinamismo e ipovolemia da vasoplegia con aumento della
capacitanza del microcircolo per motivi neurogeni (traumi del SNC,
anestesia spinale, intossicazione da farmaci, riflessi neurogeni
anormali) e umorali (vasodilatazione e alterazioni della permeabilità
vasale del microcircolo indotta da reazioni antigene-anticorpo,
istamina e sostanze istamino-simili come accade nella anafilassi).
In questi casi parleremo allora di shock da patologia metabolica cellulare
secondaria.
“shock ad alto flusso”.
È quanto avviene nella sepsi (batterica, virale, fungina), ove, a causa
dell’agente infettivo e/o delle sue tossine, si verifica un’alterazione di alcune
tappe enzimatiche cruciali nel metabolismo ossidativo che porta ad
un’alterazione del consumo di ossigeno e della ossidazione dei substrati –
pur in presenza,almeno inizialmente,di una normale disponibilità di ossigeno
– che si ripercuote su tutti gli altri organi e sistemi.
Parleremo allora di shock da patologia metabolica cellulare primitiva.
Il termine di “shock settico”va riservato al “momento”più o meno
duraturo, in cui il compenso emodinamico non è più adeguato nonostante
adeguata fluidoterapia e quindi compaiono ipotensione (pressione
sistolica < 90 mmHg), vasocostrizione, spesso ipotermia (shock algido):
tali modificazioni possono manifestarsi in qualunque stadio del processo
settico, ma sono più frequenti nelle fasi tardive quando vi è maggiore
compromissione cellulare e organica, e ovviamente aggravano la
prognosi. I pazienti che ricevono inotropi e vasopressori possono non
presentare ipotensione nonostante siano evidenti i segni di ipoperfusione.
L’instaurarsi di una sepsi comporta quindi un insieme di modificazioni
neurormonali, immunologiche e metaboliche che alterano i meccanismi di
difesa dell’organismo. L’alterazione primitiva è a livello cellulare e sconvolge i
metabolismi: la difficoltà di utilizzare ossigeno da una parte e la messa in opera
dei meccanismi di difesa dall’altra comportano una ristrutturazione biologicoumorale che è alla base di ulteriori alterazioni multi-sistemiche (cardioemodinamiche, respiratorie, renali, epatiche, cerebrali), che concorrono a
produrre il quadro tipico della sepsi clinica.
Dalla lesività prodotta direttamente dai microrganismi o dai loro prodotti tossici
a livello cellulare, dalla risposta bioumorale (effetti dannosi di mediatori) e dagli
effetti derivanti dai meccanismi di adattamento possono derivare condizioni di
scompenso organico (insufficienza cardiaca, circolatoria, respiratoria, renale,
epatica, cerebrale), assai spesso responsabili dell’esito letale.
Segni clinici della sepsi
Fase di compenso
Tipicamente i segni clinici della sepsi sono rappresentati da:
iperpiressia (intermittente e con brivido in caso di sepsi batterica; continua e senza
brivido in caso di sepsi da miceti o virus);
sudorazione, stato di prostrazione, ansia;
tachicardia, tachipnea, normale pressione arteriosa.
Anche durante questa fase possono comparire segni riferibili a insufficienza
organica: così, per esempio, è possibile riscontrare un quadro di insufficienza
respiratoria (da aumento del lavoro respiratorio), cardiaca (da aumentato lavoro
conseguente all’iperdinamismo), renale (da insufficiente apporto di liquidi, da fattori
umorali vasocostrittori tipo l’endotelina, da farmaci).
Tali scompensi d’organo, se prontamente riconosciuti, possono regredire oppure
essere preludio della sindrome da insufficienza multiorgano.
Fase di scompenso
Ai segni iniziali si aggiungono:
alterazioni del SNC: agitazione, confusione,alterazioni della coscienza sino
al coma; può comparire ipotensione inizialmente ortostatica;
alterazioni renali: iperazotemia (conseguenza anche dell’ipercatabolismo),
ipercreatininemia, oliguria, sino alla insufficienza renale manifesta che
richiede trattamento emodialitico;
alterazioni cardiache: possono comparire aritmie; dal classico
iperdinamismo compensatorio si passa a ipodinamismo (riduzione gittata),
sino allo scompenso cardiaco;
alterazioni epatiche: iperbilirubinemia, aumento transaminasi (cosiddetta
epatopatia settica);
alterazioni intestinali: nausea, vomito, diarrea, sanguinamenti;
alterazioni ematologiche: piastrinopenia (specie nelle sepsi da Gramnegativi), alterazioni del profilo coagulativo, episodi di CID.
Fase di MOFS
Rappresenta lo scompenso di più organi. È tipico osservarla in corso di sepsi
e di ogni altra forma di shock.
In una classica sequenza il polmone (ARDS) e i reni (insufficienza renale
oligoanurica) sono i primi a essere colpiti, seguiti poi da insufficienza
cardiaca, gastrointestinale, epatica, turbe della coagulazione e alterazioni del
SNC.
Assai spesso, soprattutto nel decorso del paziente critico, non è facile
riconoscere l’insorgenza di uno stato settico, per le difficoltà di individuare
microrganismi in circolo o nelle sedi più abituali e per la mancanza di sintomi
locali o generali (per es. normali valori di temperatura e globuli bianchi in
pazienti anergici).
Tra i segni che più di tutti suggeriscono il sospetto di una sepsi ricordiamo:
· iperglicemia con intolleranza alla somministrazione di glucosio e resistenza
all’insulina;
· iperazotemia, in assenza di insufficienza renale, e aumentata escrezione di
urea;
· aumento del consumo di O2;
· aumento della gittata cardiaca e riduzione della differenza arterovenosa di
O2;
· aumentata saturazione venosa centrale di O2;
· riduzione delle resistenze vascolari periferiche;
· scompenso cardiorespiratorio in assenza di cause organiche.
Procedure diagnostico-terapeutiche in caso di shock quale evento
acuto
Controllo ventilazione e attività cardiaca (di fronte a un paziente in coma,
la valutazione cardiorespiratoria precede o è contemporanea alla
cateterizzazione venosa);può essere necessario effettuare:
intubazione tracheale e/o assistenza del respiro;
massaggio cardiaco e successiva terapia per l’arresto cardiaco.
Incannulamento di una o più vene periferiche (preferibilmente agocannule
di grosso calibro e corte per poter infondere rapidamente grandi quantità di
liquidi) con un duplice scopo:
a)prelievo di sangue per eseguire esami ematochimici fondamentali:
emocromo, glicemia, azotemia, creatininemia, elettroliti (Na, K, Ca, Cl),
bilirubinemia, transaminasi (SGOT, SGPT), LDH, CPK, diastasemia, test
di coagulazione (TAP, PTT, fibrinogenemia); gruppo sanguigno; prove
crociate di compatibilità sanguigna;
b)infusione di liquidi cristalloidi e/o colloidi in attesa degli esami ematochimici
(eventuale necessità di sangue).
Emogasanalisi arteriosa per la valutazione di:
ossigenazione (paO2) e compenso respiratorio (paCO2);
equilibrio acido-base (pH, paCO2, bicarbonati, eccesso base).
Apposizione di catetere vescicale, per monitoraggio della diuresi oraria (normale
se superiore a 50 ml/ora).
Elettrocardiogramma, per la valutazione di:
turbe del ritmo;
lesioni ischemiche infartuali;
segni indiretti di embolia polmonare;
segni di alterazioni elettrolitiche.
Esame radiologico del torace, utile per documentare:
alterazioni dei tessuti molli (enfisema sottocutaneo), e delle ossa (fratture
costali, sternali);
alterazioni pleuriche (pneumotorace, versamenti);
alterazioni parenchimali (atelettasie, contusioni, edema, congestione ilare,
segni non sempre presenti di tromboembolia);
alterazioni mediastiniche (pneumomediastino, slargamenti, irregolarità del
profilo aortico);
alterazioni morfologiche della immagine cardiaca (segni di insufficienza
cardiaca, tamponamento cardiaco);
posizione del catetere venoso centrale (se introdotto).
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