Teorie e Politiche: una
Prospettiva Storica
Le Politiche di Coesione
dell’Unione Europea
A.A. 2008/2009
Teorie e Politiche: una Prospettiva
Storica
Lo scopo della lezione è quello di individuare le
basi teoriche di alcune prescrizioni generali di
politica economica.
 L’esposizione è centrata sulle teorie presentate
secondo un ordine cronologico.
 Si tratta di un sintetico excursus nella storia
economica e nella storia del pensiero economico
sulle tematiche dello sviluppo.

Teorie e Politiche: una Prospettiva
Storica
L’approccio storico risulta utile perché:
 fornisce esempi concreti delle problematiche cui
sono state applicate le teorie
 analizzando il percorso di crescita dei paesi
attualmente sviluppati, è possibile individuare le
politiche più idonee a ciascuna fase dello
sviluppo

La Scuola Classica





Si sviluppa tra il 1750 ed il 1850 in
corrispondenza della Rivoluzione Industriale.
I suoi esponenti principali sono Smith, Ricardo,
Malthus e Mill
Studia principalmente i problemi di avvio dello
sviluppo e della sua durata nel tempo.
Considera un’economia di tipo agricolo
caratterizzata da solo capitale circolante (es.
sementi).
La struttura dell’economia tuttavia, è già di tipo
moderno.
La Scuola Classica
Vi sono agenti che liberamente scambiano su un
mercato i fattori produttivi di cui sono proprietari
a fronte del pagamento di un prezzo.
 Le tre classi presenti nell’economia sono:
1. I proprietari terrieri che ottengono una rendita in
cambio dell’uso delle loro terre
2. I capitalisti che ottengono un profitto come
remunerazione del capitale impiegato
3. I lavoratori che ottengono un salario
commisurato alla prestazione lavorativa fornita

La Scuola Classica
Il contributo più importante della teoria classica
sta nell’aver riconosciuto nell’investimento il
motore della crescita.
 L’investimento è possibile se il prodotto generato
dalla produzione consente di pagare rendite e
salari, di rimborsare il capitale circolante iniziale
e di generare un surplus rispetto al valore delle
risorse impiegate.
 Tale surplus coincide con il profitto dei capitalisti
e può essere investito incrementando di anno in
anno il capitale impiegato al fine di espandere la
produzione.

La Scuola Classica
Nella fase di avvio dello sviluppo pertanto la
politica economica deve occuparsi
principalmente di incoraggiare l’investimento.
 Un sistema economico in cui il surplus generato
dal processo produttivo non viene reinvestito è
destinato alla mera riproduzione.
 Ciò segna la differenza con il sistema feudale in
cui manca la figura del capitalista e non viene
generato profitto.

La Scuola Classica
Il prodotto al netto del capitale circolante
necessario al successivo ciclo produttivo, viene
diviso tra proprietari terrieri e lavoratori e
impiegato rispettivamente per spese
improduttive e per il sostentamento.
 Si pensi al fenomeno storico delle enclosures in
Inghilterra e l’affermarsi del regime di affitto tra i
contratti agricoli.
 In un’economia agricola esiste un fattore fisso
che non deriva dallo stesso processo produttivo
(come avviene per il capitale): la terra.

La Scuola Classica
Ciò determina l’arresto nel corso del tempo del
processo di sviluppo (il fattore lavoro in un
sistema con ampia disoccupazione ed elevata
natalità non viene mai considerato un limite)
 Nell’analisi di Ricardo l’espansione della
produzione conseguente all’accumulazione di
capitale fa sì che terre sempre meno fertili siano
messe a coltura.
 Ciò significa che la produttività marginale del
capitale decresce con l’accumulazione ed arriva
al punto in cui nessun profitto viene generato.

La Scuola Classica
L’economia quindi è destinata a raggiungere uno
stato stazionario in cui la crescita si interrompe
se altri fattori non intervengono a contrastare la
produttività marginale decrescente del capitale.
 Negli anni della Rivoluzione Industriale il
contributo delle macchine in questo senso risulta
particolarmente evidente ed accompagna la
nascita di un consistente settore secondario.
 Il secondo contributo della teoria classica sta nel
riconoscere il ruolo del progresso tecnico nel
sostenere la crescita dopo il suo avvio.

La Scuola Classica
Si deve a Smith in particolare l’analisi più lucida
degli effetti del progresso tecnico e dei suoi
legami con la dimensione del mercato.
 L’introduzione di nuove tecnologie (ad es. una
maggiore divisione del lavoro) è possibile
quando esiste una domanda effettiva
sufficientemente ampia.
 Le politiche di sostegno allo sviluppo richiedono
principalmente interventi che favoriscano
l’innovazione e l’ampliamento dei mercati.

Lewis (1954)
Un contributo teorico successivo ispirato alla
lezione della scuola classica identifica un modo
peculiare di generare surplus ed avviare
l’accumulazione di capitale e lo sviluppo.
 Consideriamo un’economia arretrata in cui esiste
un settore tradizionale in cui il lavoro non è
remunerato in base alla sua produttività.
 Tale settore si fonda su un principio di
appartenenza per cui tutti sono tenuti a lavorare
e tutti ottengono il diritto a partecipare alla
divisione del prodotto, indipendentemente dal
contributo effettivo offerto.

Lewis (1954)
Nel settore tradizionale la produttività marginale
del lavoro è nulla (c’è disoccupazione nascosta)
ed il salario è fissato al livello della sussistenza.
 E’ possibile trasferire i lavoratori “improduttivi”
del settore tradizionale ad un settore moderno
con produttività marginale del lavoro positiva
offrendo loro il salario di sussistenza
 Tale spostamento lascia inalterato il prodotto del
settore tradizionale e genera un surplus pari alla
differenza tra salario e produttività.
 Il reinvestimento di tali profitti può avviare il
processo di accumulazione e di crescita.

Harrod (1939), Domar (1941)
La fase iniziale dello sviluppo economico in era
moderna è segnato da un evento traumatico di
notevoli dimensioni: la Grande Depressione degli
anni Trenta.
 La portata delle conseguenze di tale fenomeno
inducono la dottrina economica ad interrogarsi
sugli squilibri del percorso di crescita.
 Ci si chiede se la crescita economica generi, in
ogni periodo, una domanda effettiva sufficiente
ad evitare la disoccupazione ed il sotto-utilizzo
dello stock di capitale.

Harrod (1939), Domar (1941)



1.
2.
In altre parole ci si chiede se esista un
percorso bilanciato che garantisca sempre il
pieno utilizzo della capacità produttiva.
Due contributi quasi contemporanei, affrontano
il problema e riconoscono nell’investimento il
fattore cruciale per definire l’esistenza di un
percorso bilanciato di sviluppo.
L’investimento infatti svolge due ruoli
E’ parte della domanda effettiva e contribuisce
all’utilizzo della capacità produttiva presente.
Incrementa la capacità produttiva futura
Harrod (1939), Domar (1941)




Entrambi gli autori trovano che esiste un sentiero di
crescita dell’investimento e dell’economia in grado di
generare una crescita bilanciata.
Harrod nota tuttavia, come nel sistema economico
manchino dei meccanismi automatici in grado di
condurre su tale sentiero.
Ne consegue che sono necessarie politiche di
stabilizzazione per limitare gli squilibri.
Per quanto ridimensionata dagli studi successivi, la
portata di tale risultato resta notevole ed è confermata
dai modelli RBC di ispirazione neokeynesiana che
prevedono la stabilizzazione del sistema nel breve
periodo.
Modelli Neoclassici e Neokeynesiani
Tra il secondo dopoguerra ed il primo shock
petrolifero l’economia mondiale vive la sua età
dell’oro e la fiducia nei benefici derivanti dal
mercato è molto ampia.
 I modelli di ispirazione neoclassica e
neokeynesiana, partendo da presupposti diversi,
identificano nella concorrenza e nel corretto
funzionamento dei mercati, i meccanismi
automatici di riequilibrio del sistema.
 Nel modello di Solow (1956) l’economia
raggiunge nel corso del tempo un equilibrio
economico generale in cui non vi è
disoccupazione né capitale inutilizzato.

Solow (1956)
Il sistema dei prezzi è in grado di rendere
coerenti le scelte degli agenti economici con il
raggiungimento e la permanenza su un sentiero
di crescita bilanciato.
 Quando ciò è avvenuto il reddito pro-capite
dell’economia cresce in equilibrio al tasso di
crescita del progresso tecnico.
 Oltre a ciò, la mobilità dei capitali è in grado di
diffondere lo sviluppo.
 Ne discende la convergenza di tutti i paesi verso
lo stesso livello di reddito o perlomeno la
convergenza tra economie con caratteristiche
strutturali simili.

Solow (1956)
La teoria del commercio internazionale nel
frattempo, mostra con il modello di HeckscherOhlin come le nazioni ottengano un beneficio
netto dal commercio internazionale.
 La coerenza interna del modello di Solow unita
alla sua analisi di equilibrio generale ne fanno un
punto di riferimento per la teoria.
 Anche le politiche vengono pesantemente
influenzate e si orientano verso azioni in grado
di favorire il funzionamento del mercato,
l’apertura al commercio internazionale e il
progresso tecnologico.

La crisi dei modelli neoclassici
Dopo gli anni ’90 diversi studi empirici mettono
in dubbio i risultati del modello neoclassico in
termini di convergenza tanto assoluta quanto
condizionata.
 Ciò mina la convinzione che lo sviluppo
economico sia un processo che si diffonde
autonomamente.
 Le persistenti differenze tra i livelli ed i tassi di
crescita del reddito pro-capite tra diversi paesi
fanno supporre che non sia sufficiente far
funzionare i mercati per avere crescita
economica

La crisi dei modelli neoclassici

Le risposte della teoria economica a questa
evidenza empirica è duplice, e da vita a due
classi di modelli:
1.
I modelli di crescita endogena
2.
I modelli di crescita cumulativa
La crescita endogena
La convergenza nel modello di Solow dipende
dalla produttività marginale decrescente del
capitale.
 Tale risultato discende dall’ipotesi che esistano
dei fattori produttivi fissi capaci, in assenza di
progresso tecnico, di arrestare la crescita così
come accadeva nei modelli classici.
 La teoria della crescita endogena introduce una
nozione allargata di capitale che include tutto
quanto serve alla produzione.
 Non esistono così fattori produttivi che non
possano essere prodotti ed accumulati.

La crescita endogena
L’accumulazione di questi elementi
complementari al capitale fisico dipende dalle
scelte degli agenti economici del sistema (è
endogena all’economia) ed evita che la crescita
rallenti nel corso del tempo.
 Ne consegue che paesi con livelli iniziali di
reddito diversi non convergeranno.
 Ciascuno infatti è caratterizzato da un proprio
tasso di crescita uguale nel corso del tempo che
impedisce una convergenza nei livelli.

La crescita endogena





Vari modelli hanno identificato fattori diversi
che impediscono che la produttività marginale
del capitale sia decrescente.
Ciascuno di essi ha ispirato quindi politiche
specifiche di sostegno allo sviluppo.
Di seguito sono riportate le caratteristiche dei
principali modelli di crescita endogena.
Lucas (1998): il lavoro istruito è il fattore
complementare al capitale fisico.
Le famiglie decidono l’entità dell’investimento
in educazione definendo il ritmo di
accumulazione del capitale umano.
La crescita endogena





Politiche di sostegno all’educazione della
popolazione sono utili per la crescita economica.
Barro (1990): gli investimenti pubblici sono il
fattore complementare al capitale fisico.
Il governo con le sue politiche di spesa decide il
ritmo di accumulazione del capitale pubblico.
La spesa pubblica in infrastrutture e servizi viene
considerata un fattore di sviluppo.
Romer (1986): il learning by doing è il fattore
complementare al capitale fisico.
La crescita endogena
La sua accumulazione dipende dalla dimensione
della scala produttiva, ovvero dalle dimensioni
del mercato.
 Politiche che contrastino la segmentazione del
mercato, l’incremento della domanda estera o
che in altri modi favoriscano l’attività produttiva
anche temporaneamente hanno effetti positivi
permanenti sul tasso di crescita dell’economia.
 Modelli con progresso tecnologico endogeno:
introducono un settore ulteriore rispetto a quello
dei prodotti finiti, che “produce” il fattore
progresso tecnico complementare al capitale
fisico.

La crescita endogena
Il settore della conoscenza è caratterizzato da
forme di mercato non competitive.
 Ciò si deve alla natura del processo di ricerca
che richiede di sostenere costi certi immediati
per ottenere benefici futuri incerti.
 E’ necessario che le imprese di questo settore
generino extra-profitti perché l’attività di ricerca
sia economicamente conveniente ed i costi di
R&D siano coperti.
 La tutela derivante dai brevetti garantisce il
potere di mercato nel settore della ricerca.

La crescita endogena
In particolare, quando l’innovazione migliora la
qualità di un prodotto già esistente, rendendo
obsolete le precedenti versioni, il produttore
avrà potere di monopolio (modelli neo
schumpeteriani ad es. Aghion e Howitt (1992))
 Quando invece, si crea un nuovo prodotto che si
affianca a quelli esistenti, il regime di mercato
sarà quello della concorrenza monopolistica
(Romer (1990)).
 In entrambi i casi la durata del brevetto definisce
l’entità degli extraprofitti ed il ritmo di
“accumulazione” del progresso tecnico endogeno
(politiche relative alla tutela dell’innovazione)

Modelli di crescita cumulativa
In questo tipo di modelli, ispirati al pensiero
dell’economista Nicholas Kaldor, lo sviluppo è
caratterizzato dall’esistenza di circoli viziosi o
virtuosi di causazione cumulativa che causano
crescita economica permanentemente accelerata
o rallentata.
 I paesi che riescono a generare un circolo
virtuoso cresceranno a tassi crescenti, viceversa
quelli in cui si avvia un circolo vizioso
cresceranno a tassi via via decrescenti.

Modelli di crescita cumulativa
Questi modelli definiscono un equilibrio
economico parziale perché richiedono che le
risorse crescenti necessarie a sostenere i cicli
virtuosi siano disponibili ed inutilizzate
nell’economia (es. disoccupazione) oppure che
possano essere permanentemente “importate”
da altre economie.
 Il contributo teorico più importante in questo
campo è quello di Beckerman (1962)
 Il processo di crescita in questo contesto viene
avviato e sostenuto dalla domanda estera.

Modelli di crescita cumulativa
La domanda estera incrementa la scala
produttiva dell’economia e consente di ottenere
guadagni di produttività grazie all’introduzione di
nuove tecnologie (con un processo analogo a
quello descritto da Smith) o al learning by doing.
 L’incremento di produttività conseguito migliora
la competitività del paese sui mercati
internazionali causando una nuova crescita della
domanda estera e riavviando il processo.
 Politiche di sostegno alle esportazioni e volte ad
eliminare frizioni o colli di bottiglia che rallentano
la crescita (politiche attive per il lavoro, fornitura
di infrastrutture, età.)

La crescita economica in una
prospettiva regionale
I modelli dinamici di equilibrio parziale hanno
ispirato alcuni modelli statici di equilibrio
generale utilizzati nell’ambito della geografia
economica che vanno sotto il nome di NEG (New
Economic Geography).
 Lo scopo della NEG è studiare le decisioni di
localizzazione delle imprese per spiegare
processi di agglomerazione che in un contesto
statico richiamano il risultato di non convergenza
a livello di economie nazionali.
 I modelli NEG si caratterizzano per la presenza
di circoli di causazione cumulativa e studiano
economie aperte connotate sul piano territoriale.

La NEG
Ciò significa che lo spazio entra esplicitamente
nel modello e richiede il sostenimento di costi di
trasporto per realizzare la mobilità dei fattori
produttivi e dei prodotti.
 Questo aspetto differenzia la NEG dai modelli
precedenti in cui la mobilità o non era
considerata oppure era limitata ai prodotti.
 Si spiega così perché l’analisi sia particolarmente
adatta allo studio di economie regionali
caratterizzate da una forte apertura di tutti i
mercati ed in cui la crescita cumulativa può
essere sostenuta da risorse provenienti
dall’esterno.

La NEG
Nella NEG la coesistenza di costi di trasporto e
mercati in regime di concorrenza monopolistica
fa sì che mercati geograficamente separati siano
anche mercati distinti in cui la numerosità delle
imprese presenti determina l’elasticità della
domanda al prezzo.
 I profitti delle imprese dipendono dalla loro
localizzazione.
 La coesistenza di costi di trasporto e di legami
input-output fra le imprese fa sì che anche i costi
dell’impresa dipendano dalla sua localizzazione

La NEG


1.
2.
3.
Le decisioni sulla localizzazione pertanto
dipendono dai costi di trasporto e dalla
numerosità delle imprese presenti in uno
specifico mercato.
Quest’ultimo aspetto genera tre effetti:
Price effect: più imprese, più concorrenza,
minori profitti.
Market effect: più imprese, più lavoratori,
maggiore domanda, maggiori profitti.
Cost effect: se i beni prodotti sono utilizzati
anche dalle imprese come beni intermedi, il
price effect ha un feedback positivo anche sui
costi delle imprese e incrementa i profitti
La NEG
L’effetto netto è incerto ma ovviamente vi può
essere agglomerazione solo se i benefici di
market effect e price effect eccedono gli
svantaggi derivanti dal price effect.
 Se ciò avviene e se l’incremento dei ricavi riesce
a coprire i costi di trasporto necessari per servire
anche altri mercati si avvia un processo di
causazione cumulativa che si autoalimenta.
 Ipotizzando l’esistenza di due sole economie, se
i costi di trasporto sono sufficientemente bassi,
tutte le imprese ed i fattori produttivi migreranno
verso l’economia che inizialmente ha un numero
maggiore di imprese.

La NEG
Le implicazioni di politica economica derivabili
dalla NEG sono contrastanti soprattutto se si
ragiona in un’ottica nazionale.
 Da un lato politiche volte a ridurre i costi di
trasporto e di congestione investendo in
infrastrutture, strutture abitative ecc.,
favoriscono la crescita accelerata di alcune
regioni già sviluppate e producono quindi un
beneficio in termini di crescita aggregata.
 Dall’altro lato tuttavia, incrementano gli squilibri
regionali, e fanno sì che le risorse immobili
presenti in specifiche regioni restino inutilizzate e
che vi sia un potenziale di crescita inespresso.

Sviluppo e risorse immobili
Ulteriori implicazioni dei modelli NEG si possono
trarre in materia di politiche che favoriscano
l’avvio di un processo di sviluppo in regioni
arretrate.
 I risultati della NEG in termini di agglomerazione
presentano una forte dipendenza dalle condizioni
iniziali delle diverse economie (history
dependence) e non lasciano apparentemente
spazio a politiche di avvio dello sviluppo.
 Suggeriscono tuttavia, che la chiave per
innescare la crescita siano le risorse immobili di
ciascun territorio.

Sviluppo e risorse immobili
Un esempio di strategia di crescita basata sullo
sfruttamento delle risorse immobili è quello
rappresentato dai distretti.
 Il sistema produttivo distrettuale è fortemente
caratterizzato dal punto di vista spaziale dal
momento che le condizioni sociali e culturali
necessarie alla coerenza interna del sistema
sono ritrovabili solo in uno specifico territorio.
 L’analisi distrettualistica tuttavia, incappa nello
stesso limite della NEG dal momento che le
condizioni per la nascita del distretto dipendono
sostanzialmente dalla storia di ciascun territorio
e impediscono che tale modello sia esportabile.

Sviluppo e risorse immobili
L’avvio dello sviluppo in regioni arretrate
pertanto, dipende da politiche di valorizzazione
delle risorse immobili locali (es. risorse
ambientali, culturali, capitale sociale ecc.) che
diano vita a processi in grado di controbilanciare
le forze centripete dell’agglomerazione.
 L’esistenza in contesti arretrati di rilevanti
trappole della povertà (difficoltà nell’ avvio di
attività in nuovi settori) e di trappole sociali
(eccesso di concorrenza) contrasta l’avvio e la
prosecuzione del processo di sviluppo.

Una sintesi
Sono necessarie quindi politiche concentrate che
consentano il superamento delle soglie critiche
derivanti da problemi di coordinamento fra gli
agenti (strategia del “big push”)
 Partendo dall’analisi precedente è possibile
creare un collegamento tra teoria economica e
politiche concrete
 Tale compito non è facile dal momento che le
indicazioni dei modelli non sono sempre
univoche nè precise.
 La tabella che segue tuttavia propone una
possibile classificazione delle strategie e delle
politiche in base ai propri riferimenti teorici

LIBERALIZZAZIONE DEI MERCATI, STABILITA’
DEI PREZZI, DISCIPLINA FISCALE






Tariffe dognanali
Mobilità del lavoro
Flessibilità di salari e prezzi
Semplificazione amministrativa
Inflazione
Debito pubblico
AREE D’INTERVENTO
MODELLI
STRATEGIE
POLITICHE
STABILIZZAZIONE
•
•
Harrod-Domar
Keynesian and
Neo-Keynesian
1. Stabilizzazione
macroeconomica
1. Domanda effettiva
INNOVAZIONE




Solow
Aghion-Howitt
Romer ‘90
Lewis
1.
2.
1.1 Investimenti diretti esteri
1.2 Sussidi fiscali

Romer ’86,
learning by
doing
Beckerman
1. Infrastrutture
2. Direct Grants
3. Innovazione
AGGLOMERAZIONE

Innovazione
Direct Grants
2.1 R&D
1.1 Accessibilità (Trasporti, etc)
1.2 Utilities (Energia, Acqua,
etc.)
1.3 ICT
2.1
2.2
2.3
2.4
3.1
3.2
Manifattura
Servizi
Turismo
Agricultura
Investimenti diretti esteri
Sussidi fiscali
CAPITALE UMANO

Lucas
1. Innovazione
2. Capitale Sociale
3. Infrastrutture
1.1
2.1
2.2
3.1
Sussidi fiscali
Educazione
Formazione
Sanità
ISTITUZIONI E
CAPITALE SOCIALE


Barro
Distretti
1. Infrastrutture
2. Capitale Sociale
3. Ambiente esterno
alle imprese
1.1
1.2
1.3
1.4
Accessibilità
Utilities
ICT
Sanità
2.1 Fiducia e regole
2.2 Associazionismo
2.3 Educazione
2.4 Istituzioni pubbliche
2.5 Qualità delle istituzioni
2.6 Capacity Building
2.7 Coordinamento delle
decisioni degli agenti
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
Misure “soft”
Servizi
Ambiente
Aree urbane e rurali
Cultura
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2008/09 Teorie della crescita e politiche di coesione Seminario