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3.1
Il controllo nel settore alimentare
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Annona: origine e significato
La distribuzione dei viveri alla plebe oziosa e sempre in subbuglio al grido di «Panem
et circenses!» divenne però ben presto un gravissimo problema.
Augusto creò il praefectus - annonae, incaricato di provvedere il grano e distribuirlo;
si pensi che nel sec. I° a.C. si trattava di saziare 300.000 bocche, e che, sebbene Giulio
Cesare avesse ridotto alla metà il numero degli iscritti, nei secoli successivi la prima
cifra venne di molto superata.
I prefetti dell’A. avevano facoltà di impedire l’esportazione, la circolazione o la
vendita delle derrate per tutto l’impero; si aggiunga che la concorrenza dei grani
africani e spagnoli rese assolutamente non remunerativa la coltivazione in Italia,
3. Il controllo nel settore alimentare
Il termine annona, pieno di fascino e di mistero per gli «iniziati» a tali e tanti
controlli, è quello che piace riportare integralmente dal Grande dizionario enciclopedico UTET 1991, p. 883. «Annona (dal lat. annus, anno).
Nel significato primitivo era, tra i romani, l’insieme della produzione agricola (cereali
in particolare) di tutto un anno, per tutto lo Stato; da questa prima accezione passò
ad avere parecchi significati:
— di provvigioni in generale e, in specie, del frumento, che negli ultimi tempi della
Repubblica veniva ammassato nei granai dello Stato e venduto poi ai poveri, a
buon mercato, negli anni di carestia e che all’epoca degli imperatori si distribuiva
gratuitamente al popolo, o si dispensava a titolo di mercede e di ricompensa
(A.civilis);
— di vettovagliamento (A. militaris) dell’esercito in campagna, cioè quella data
quantità di olio, sale, pane, carne, grano, vino, fieno e paglia, che annualmente
era provveduta dagli appaltatori o fornitori dell’esercito;
— di razione corrisposta a un soldato per un dato tempo (ratio); i soldati dislocati
ai confini dell’impero (limitanei) la ricevevano in denaro; se la paga era doppia,
era detta A. duplex;
— di prezzo di viveri, specialmente se fissato dall’autorità.
La voce A., al plurale, era adoperata talora nel senso di paga annua, o mensile,
scontata in tanto grano, e allora si diceva annonae aerariae; senza questo aggettivo
indicava viveri distribuiti ai braccianti a titolo di salario.
Allorché la produzione della penisola non bastò più a nutrire la popolazione di Roma
e delle regioni italiane, si ricorse alle province, e grandi centri annonari dell’impero
furono la Spagna, la Sicilia, l’Egitto e l’Africa del Nord; questa doveva fornire un
terzo del fabbisogno, l’Egitto un altro terzo, il resto gli altri paesi nominati.
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cosicché, mentre i piccoli proprietari abbandonavano i campi per accorrere a Roma
ad aumentarvi il numero dei proletari da nutrire gratuitamente o quasi, i grandi
possessori di terre non facevano più coltivare che viti, olivi o giardini o abbandonavano le terre al pascolo, contribuendo alla rovina completa dell’economia agricola
italiana.
Per circondare di maggior rispetto l’istituzione dell’A., i romani ne fecero una divinità, erigendo statue alla dea A., un altare in Campidoglio e dedicandole annuali
feste.
La si rappresentava in figura muliebre, nudi il braccio e la spalla sinistra, con spighe
nella destra e la cornucopia nella sinistra; se si riferiva alle derrate provenienti per
via di mare, si raffigurava con un timone; se venivano dal paese, con un vomere;
se si trattava di elargizioni dello imperatore, la dea compariva sulle monete e sulle
medaglie, in piedi, con una tavoletta su cui erano segnati tanti punti quante erano
state le distribuzioni; l’A. militare era contrassegnata da una picca.
Nelle epoche successive, il termine A. perse la molteplicità di significati che aveva
avuto presso i romani ed assunse quello di intervento dei pubblici poteri nel campo
del rifornimento alimentare e della distribuzione dei beni di prima necessità, in
particolare dei cereali (nell’antica Roma il «praefectus annonae» esercitava poteri
amministrativi per delega dei magistrati superiori).
Nel Medioevo, l’instabilità politica, le guerre, le carestie, l’insicurezza dei traffici e le
difficoltà di trasporto delle merci resero molto spesso difficile il soddisfacimento del
fabbisogno alimentare delle popolazioni, in particolare di quelle urbane; la politica
annonaria fu allora oggetto di legislazioni molto complesse, concretizzatesi in provvedimenti quali l’imposizione di calmieri, i divieti di esportazione, gli ammassi
forzosi, etc.
Parte Prima - La normativa
Gli interventi dell’autorità in materia annonaria si protrassero in diverse forme in età
moderna, venendo quindi gradualmente abbandonati con l’affermarsi delle dottrine
economiche liberiste e con l’instaurarsi dell’economia industriale.
Nel secolo XX misure di politica annonaria furono introdotte durante i due conflitti
mondiali; nelle società contemporanee la politica sociale ed assistenziale svolta in
diverse forme dai governi si realizza tra l’altro in interventi di regolamentazione e
controllo della produzione, della circolazione e della distribuzione dei beni alimentari».
Gli operatori di vigilanza
Con la denominazione di «operatori di vigilanza» si comprende tutto il personale di
vigilanza e ispezione, ora appartenente alle Aziende U.S.L. (All.1, tabella M, d.P.R.
20 dicembre 1979, n. 761), che ivi è confluito da vari enti.
In passato, gli organi esecutivi (vigili) e gli organi tecnici (laboratori provinciali)
operavano sotto la direzione del medico provinciale (art. 83 T.U.L.S.), e dovevano
pure soddisfare le richieste dell’ufficiale sanitario (art. 18 r.d. 16 gennaio 1927,
n.155), pur sempre secondo le istruzioni impartite dal medico provinciale (art. 83 ult.
comma T.U.L.S.). In sostanza, il medico provinciale e l’ufficiale sanitario erano l’autorità sanitaria per eccellenza, dalla quale dipendeva il personale di vigilanza.
Tutti gli organi che operavano e operano nel settore sanitario sono detti di vigilanza
perché devono vigilare al fine di evitare o reprimere possibili trasgressioni.
Le trasgressioni, com’è noto, sono qualificate dalla legge:
a) come reati:
— delitti, se puniti con la reclusione e/o la multa;
— contravvenzioni, se puniti con l’arresto e/o l’ammenda;
b) come infrazioni amministrative.
I reati possono essere perseguiti solo dalla polizia giudiziaria, all’interno della quale
si distinguono due gradi: l’ufficiale e l’agente di polizia giudiziaria. Il codice di
procedura penale stabilisce non solo chi è agente e chi è ufficiale di p.g., ma anche
quali sono i poteri che la p.g. può esercitare nella ricerca dei colpevoli (artt. 57 e ss.
c.p.p.), con l’avvertenza che, con l’entrata in vigore della legge 7 marzo 1986, n. 65,
anche nei vigili urbani vi sono ora ufficiali di p.g.
Non si deve, però, dimenticare che la vigilanza igienico-sanitaria, oltre che alle
A.S.L., è affidata anche ad altri organismi.
Basti, qui, ricordare:
1. il nucleo antisofisticazioni (N.A.S.), nucleo speciale dell’Arma dei carabinieri, che
è stato alle dipendenze funzionali del Ministero della sanità, pur potendo sfruttare
la preparazione di polizia giudiziaria propria dell’Arma, e potendo operare sull’intero territorio nazionale contando — in caso di necessità — sull’appoggio dell’intera Arma.
I compiti di controllo e vigilanza, che all’inizio riguardavano soltanto l’igiene
degli alimenti (d.m. 5 novembre 1963), sono stati ampliati col passare degli anni
e coprono ora l’intero campo igienico-sanitario per quanto riguarda la repressione
dei reati; infatti, trattandosi pur sempre di sottufficiali e di carabinieri, questi
operatori hanno sempre avuto funzioni di polizia giudiziaria; inoltre, ai sensi
dell’art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689, essi possono anche perseguire
tutte le infrazioni amministrative.
Sostanzialmente, gli appartenenti al N.A.S. si distinguono dagli altri carabinieri
perché si occupano a tempo pieno del campo sanitario.
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3. Il controllo nel settore alimentare
3.2
Parte Prima - La normativa
58
2. i vigili urbani, i quali, nell’ambito del territorio comunale, non sono soltanto
agenti di polizia giudiziaria, ma anche ufficiali (legge 7 marzo 1986, n. 65): ne
consegue che essi possono perseguire — al pari dei carabinieri — sia tutti i reati
che tutte le infrazioni amministrative nel campo sanitario;
3. la Guardia di Finanza e il Corpo forestale dello Stato, i quali - come ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria — hanno una specifica competenza nel reprimere le
frodi agrarie (es. r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 — r.d. 1 luglio 1926, n. 361).
Gli illeciti amministrativi possono essere sempre perseguiti da coloro che rivestono
la qualifica di ufficiali e di agenti di p.g. (art. 13, comma 4, legge 689/1981), ed
anche dal personale espressamente addetto per legge al controllo sull’osservanza
delle disposizioni per la violazione delle quali è prevista, appunto, la sanzione
amministrativa (art. 13, comma 1, legge 689/1981).
I poteri esercitabili dagli organi di vigilanza al fine di ricercare i colpevoli di questo
tipo di violazioni sono solo quelli previsti dall’art. 13 della legge 689/1981.
Appare allora che è essenziale distinguere innanzitutto se ci si trova di fonte a un
reato oppure a un illecito amministrativo, perché diversi sono i poteri a disposizione
dell’autorità per ricercare i colpevoli di un tipo di illecito o dell’altro; e mentre la p.g.
può sempre perseguire anche le infrazioni amministrative, non è affatto vero il
contrario. Inoltre, è indispensabile stabilire se l’operatore è un agente oppure un
ufficiale di p.g., posto che, in un caso, ha determinati poteri; nell’altro, ha poteri
nettamente superiori.
Risulta, a questo punto, agevole dare, in sintesi, il concetto di «Polizia Sanitaria».
La polizia sanitaria riguarda tutte le norme contenute nel Testo Unico delle leggi
sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, che, nel tempo, ha subito
numerose modifiche sino alla legge 30 aprile 1962, n. 283, modificata dalle leggi 26
febbraio 1983, n. 441, e nel relativo regolamento di esecuzione, approvato con d.P.R.
26 marzo 1980, n. 327, modificato con decreto del Ministero della Sanità 1 aprile
1988, n.178 (G.U. — Serie Generale — 3 giugno 1988, n. 129) e nel regolamento per
l’esecuzione della legge sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, approvato con
r.d. 3 febbraio 1901, n. 45; le disposizioni riguardanti la produzione e la vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande; le disposizioni per la lotta contro le mosche,
previste dal decreto del Commissario di Governo 20 maggio 1928, contenente norme
obbligatorie per l’attuazione della legge 29 marzo 1928, n. 858, riguardante disposizioni per la lotta contro le mosche (G.U. 21 maggio 1928, n. 118), e quelle
sull’inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque.
Il concetto di Polizia Sanitaria riguarda, altresì, le norme sul prelevamento dei
campioni, attuando gli scopi a mezzo della vigilanza sanitaria.
Essa è esercitata dai Comuni, attraverso le Aziende Unità Sanitarie Locali, che ne
dettano le direttive in conformità di legge, ed è affidata ad agenti che ne hanno una
specifica competenza, denominati vigili sanitari, i quali agiscono, principalmente, alle
dipendenze degli organi preposti al servizio sanitario delle Aziende Unità Sanitarie
Locali.
La vigilanza sanitaria è affidata anche alla Polizia Municipale e agli altri organi
prima citati, i quali:
a) vigilano sulle condizioni igieniche del suolo, degli aggregati urbani e rurali e delle
abitazioni, sulla salubrità delle bevande e delle sostanze alimentari, sui mercati e
sui pubblici esercizi;
b) compiono ispezioni che vengono disposte dagli organi preposti al servizio sanitario delle
Aziende Unità Sanitarie Locali o dal direttore di reparto del Laboratorio provinciale di
Igiene e Profilassi, inserito nel servizio di Igiene e Ambiente dell’Azienda U.S.L.;
c) vigilano sulla esecuzione delle misure disposte per la profilassi delle malattie
infettive;
d) esercitano tutte le altre attribuzioni di vigilanza igienico-sanitaria che sono prescritte dalle leggi.
3.3
59
Ambito ed autorità di vigilanza
Si deve, in primo luogo, rilevare che ai sensi della legge e del regolamento ed in base
ai principi generali di diritto, per vigilanza si deve intendere ogni atto della competente autorità preventivo o successivo all’espletamento dell’attività del cittadino.
Nel caso che rileva, quindi, vigilanza è l’ispezione preventiva ai laboratori di produzione di sostanze alimentari, come anche l’ispezione durante le fasi della produzione, come anche il prelievo dei campioni; è vigilanza preventiva il rilascio del
libretto di idoneità sanitaria, mentre è successiva la vigilanza diretta ad appurare che
gli addetti alla lavorazione di sostanze alimentari siano in possesso del libretto
summenzionato. È vigilanza anche l’ordine di sequestro cautelativo di sostanze alimentari emesso, quando ne ricorrano le condizioni, dall’autorità competente.
Per quanto riguarda l’ultimo comma dell’articolo, si deve far presente che, ai sensi
della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in particolare per quanto disposto dall’articolo
32, comma 2, spetta alla legge regionale l’incombenza di organizzazione delle funzioni amministrative in materia di igiene e sanità pubblica, anche per individuare con
esattezza il personale addetto alla vigilanza igienico-sanitaria degli alimenti.
Ai sensi dell’art. 5, Ambito della vigilanza operativa, la circolare si esprime come segue:
La legge, come d’altra parte il regolamento, prevede che l’autorità sanitaria può procedere
in qualunque momento ad operazioni di vigilanza in materia di igiene degli alimenti.
3. Il controllo nel settore alimentare
I quesiti posti dalle pubbliche amministrazioni e dalle associazioni di categoria
interessate all’applicazione del d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327 hanno avuto ad oggetto
anche gli articoli 3 e 4, rispetto ai quali puntuale è stato l’intervento chiarificatore
del Ministero della Sanità.
In merito all’art. 3, rubricato Individuazione delle autorità sanitarie competenti, la
già citata circolare n. 46 del 21 luglio 1982 precisa che:
60
Ciò in quanto l’attività di che trattasi non si concreta in atti di polizia giudiziaria
(ricerca delle prove di responsabilità penale a seguito dell’insorgenza di un indizio
di reato) bensì di in atti di polizia sanitaria, liberi, come tali, dalla forma e dai vincoli
del codice di procedura penale.
Sembra tuttavia ovvio ritenere che le suddette operazioni vengano normalmente
espletate durante l’orario di lavoro degli stabilimenti, laboratori, esercizi pubblici,
ecc., e che solo circostanze eccezionali, discrezionalmente valutabili dall’autorità
preposta alla vigilanza, possano indurre ad intervenire in orari diversi affinché i
controlli risultino efficaci.
3.4
Vigilanza e controllo
Parte Prima - La normativa
Il decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 1231, di attuazione della direttiva n. 89/397/
CEE, che disciplina in forma completa le modalità da seguire per l’effettuazione dei
controlli ufficiali destinati ad assicurare la conformità dei prodotti alimentari alle
disposizioni dirette a prevenire i rischi per la pubblica salute, si pone l’obiettivo di
proteggere gli interessi dei consumatori e di assicurare la lealtà delle transazioni
commerciali.
Il controllo deve riguardare tutte le fasi della produzione, della fabbricazione, della
lavorazione, del magazzinaggio, del trasporto, della distribuzione, del commercio e
dell’importazione e consiste:
— nell’ispezione degli impianti, delle attrezzature, degli utensili, dei locali e delle
strutture, ivi compresi gli uffici ed i terreni, i mezzi di trasporto, le materie prime,
gli ingredienti, i prodotti semilavorati, i prodotto finiti, i contenitori, i procedimenti di disinfezione, di pulizia e di manutenzione, i presidi chimici, i detergenti
e gli antiparassitari, i processi tecnologici, l’etichettatura, i mezzi e le modalità di
conservazione;
— nel prelievo dei campioni;
— nel controllo dell’igiene del personale;
— nell’esame del materiale scritto e di documenti di vario genere;
— nell’esame dei sistemi di verifica installati nell’impresa e dei relativi risultati
(HACCP: Hazard Analysis Critical Control Point).
Gli organi incaricati del controllo possono prendere conoscenza del materiale
scritto e di ogni altro documento in possesso delle persone fisiche e giuridiche
nonché acquisire copia o estratto del materiale e dei documenti sottoposti al loro
esame.
Le persone fisiche e giuridiche soggette a controllo ufficiale sono tenute a sottoporsi
alla verifica esercitata conformemente alle modalità previste e ad assicurare la ne-
1 In G.U. del 27 aprile 1993, n. 97.
61
3. Il controllo nel settore alimentare
cessaria assistenza al personale incaricato del controllo nell’esercizio delle proprie
funzioni.
Si ritiene opportuno, preliminarmente, richiamare l’attenzione sul d.m. 16 dicembre
1993 (G.U. del 28 dicembre 1993, n. 303) in relazione al contenuto dell’articolo 4,
comma 1, del decreto legislativo n. 123/1993, in forza del quale, per i controlli
microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili individuati con decreto ministeriale, il responsabile del laboratorio provvede ai relativi accertamenti su una aliquota
del campione e, in caso di non conformità, a darne avviso all’interessato tempestivamente, specificando il parametro difforme e la metodica di analisi e comunicando
il luogo, il giorno e l’ora in cui le analisi saranno ripetute, limitatamente ai parametri
non conformi.
I prodotti alimentari deteriorabili sono stati individuati all’articolo 1 del d.m. 16
dicembre 1993, mentre, nell’articolo 4, si indicano le modalità di prelevamento, le
modalità di comunicazione agli interessati da parte del laboratorio competente, dell’ora e del luogo della seconda analisi in caso di difformità, la possibilità per gli
interessati di presenziare alle operazioni personalmente o mediante persone di fiducia, nonché l’obbligo del laboratorio di dare la priorità all’effettuazione delle analisi
sui prodotti in parola.
Il decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 123 fissa, inoltre, le linee guida per le modalità
di effettuazione dei controlli ufficiali, che devono svolgersi sia in modo sistematico
sia nei casi in cui esiste il sospetto che i prodotti non siano conformi alle disposizioni
di cui all’art. 1, comma 2.
Il controllo regolare dovrà svolgersi secondo un programma preordinato con carattere sistematico, che fissa, durante un periodo di tempo determinato, la natura e la
frequenza degli interventi in modo tale da assicurare il perseguimento degli obiettivi
voluti dalla normativa vigente.
In applicazione del decreto legislativo in esame è stato emanato il d.P.R. 14 luglio
1995 (G.U. del 7 novembre 1995, n. 260, S.O.) atto di indirizzo e coordinamento alle
Regioni e Province autonome sui criteri uniformi per la elaborazione dei programmi
di controllo ufficiale degli alimenti e bevande.
Per i prodotti di origine animale indicati nella tabella 1) si applicano, di norma, le
disposizioni e le procedure di controllo inserite nelle norme di settore nonché, in
quanto applicabili, le norme del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 123.
Per quanto riguarda gli esercizi di commercializzazione, le frequenze sono quelle
fissate dalle tabelle annesse allo stesso d.P.R. 14 luglio 1995, citato.
Per gli esercizi di somministrazione e per gli esercizi di commercializzazione di
prodotti non esclusivamente di origine animale appare utile che il programma, onde
evitare duplicazione di interventi, venga stabilito d’intesa con il competente Servizio
di Igiene alimenti e nutrizione.
L’articolo 6 del citato d.P.R. 14 luglio 1995 fissa i principi per l’effettuazione dei
controlli negli esercizi di commercializzazione, le cui frequenze sono indicate nella
tabella 5.
62
Le frequenze minime raccomandate di ispezione a esercizi di somministrazione sono
stabilite come segue:
TABELLA 3 (prevista dall’articolo 5 comma 1)
Frequenze minime raccomandate (a) di ispezione a esercizi di somministrazione
Esercizi di somministrazione
Frequenze minime
Istituti di ricovero e assistenza a lunga degenza, collegi, istituti di assistenza per l’infanzia
Ogni sei mesi
Mense scolastiche, ospedaliere e mense di solidarietà
Ogni nove mesi
Alberghi, ristoranti, snack- bar, mense aziendali, trattorie, rosticcerie,
pizzerie, birrerie, enotoche e altri esercizi similari.
Ogni dodici mesi
Ambulanti, esercizi stagionali ed altri esercizi.
Da definirsi a cura delle regioni
(a) le frequenze minime raccomandate sono da verificarsi sulla base delle attività
ispettive relative ad un periodo di tre anni.
Le frequenze minime raccomandate di ispezione a esercizi di commercializzazione
risultano stabilite come segue:
Parte Prima - La normativa
TABELLA 5 (prevista dall’articolo 6 comma 1)
Frequenze minime raccomandate (b) di ispezione a esercizi di commercializzazione
Esercizi di commercializzazione
Frequenze minime
Mercati generali;
Supermercati, ipermercati, superette;2
Depositi all’ingrosso;
Ogni nove mesi
Esercizi di vendita al dettaglio
Ogni dodici mesi
Esercizi stagionali ed ambulanti
Da definirsi a cura delle regioni
(b) le frequenze minime raccomandate sono da verificarsi sulla base delle attività
ispettive relative ad un periodo di tre anni.
Nel corso delle ispezioni, come detto, si dovrà procedere anche al prelevamento di
campioni secondo le indicazioni globali indicate nella tabella 6.
2 Superette = Minimarket.
Tale campionamento va effettuato preferibilmente presso la grande distribuzione e,
per quanto possibile, in proporzione alle percentuali dei consumi medi nazionali per
ciascun prodotto.
Il controllo degli esercizi commerciali
Nell’analizzare i compiti demandati alla Polizia Municipale per quanto concerne i
controlli e gli interventi nell’ambito delle attività commerciali, si ritiene non sia del
tutto fuor di luogo una considerazione di carattere generale.
Il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, attuativo della legge 22 luglio 1975, n. 382, precisa,
all’art. 18, sotto il titolo polizia locale urbana e rurale, che le funzioni amministrative
relative alla materia polizia locale urbana e rurale concernono le attività di polizia
che si svolgono esclusivamente nell’ambito comunale e che non siano proprie delle
competenti autorità statali.
La legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale) ha precisato, a sua volta, all’art. 5, che il personale che svolge servizio di Polizia
Municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie
attribuzioni, esercita anche funzioni di polizia giudiziaria.
La polizia di sicurezza e la polizia amministrativa hanno compiti precipui di prevenzione, cioè compiti di evitare che determinate turbative possano verificarsi; la polizia
giudiziaria, intervenendo quando determinati fatti (reati) si sono già verificati, ha
funzione repressiva.
Nel settore commerciale e della vigilanza igienico-sanitaria vanno svolte funzioni di
polizia amministrativa e di polizia giudiziaria, potendovisi verificare anche ipotesi
delittuose.
I controlli commerciali e di vigilanza igienico-sanitaria sono di natura particolarmente delicata; è bene, pertanto, che gli stessi siano sempre svolti da una pattuglia di
almeno due unità.
Occorre tenere presente che i commercianti appartengono a categoria certamente benemerita; tuttavia, come ogni essere umano, anche il commerciante è soggetto a particolari
situazioni contingenti, che possono influire pesantemente sul suo stato d’animo.
Nell’accedere in un esercizio commerciale, ragioni di opportunità suggeriscono di
mantenere un contegno austero anche se improntato alla massima cortesia. Una
battuta di scherzo, anche se banale ed ammissibile, può portare, se rivolta a persona
con stato d’animo particolarmente esacerbato, a conseguenze drammatiche.
Viene consigliato di iniziare il controllo chiedendo l’esibizione della relativa autorizzazione.
Il controllo deve tendere alla verifica che i prodotti posti in vendita rientrino tra
quelli per i quali è stata autorizzata la vendita, senza trascurare l’osservanza delle
norme sulla pubblicità dei prezzi.
Va anche accertato che gli strumenti per pesare e misurare siano conformi a quelli
voluti dalle norme di legge, che siano stati sottoposti alle verifiche, se e quando
3. Il controllo nel settore alimentare
3.5
63
Parte Prima - La normativa
64
prescritte, che le bilance siano collocate in modo da renderne visibili le indicazioni
all’acquirente.
Nell’effettuare un controllo tendente alla repressione delle frodi in commercio, è
necessario fermare l’acquirente nel momento in cui si appresta ad uscire dall’esercizio
commerciale; se non si indossa l’uniforme, è necessario qualificarsi subito mediante
esibizione della tessera di riconoscimento. Si procede chiedendo all’acquirente cosa
ha comprato, il peso richiesto, il prezzo pagato e se la merce si trova nello stato in
cui è stata consegnata.
Insieme con l’acquirente, all’interno dell’esercizio, si procede al controllo del peso,
prima sulla stessa bilancia con la quale la merce è stata pesata, quindi su altra
bilancia anche presso altro esercizio vicino; nel caso in cui vi sia differenza fra le
due pesate, va verificato se la bilancia abbia subito manomissioni.
Rilevato in modo inequivocabile che la merce è di peso inferiore a quello pattuito e
pagato, si contesta all’esercente il reato di frode in commercio, avendo cura di rilevare
anche le generalità dell’acquirente; se l’esercente, per carpire la buona fede di quest’ultimo, ha messo in atto artifici o raggiri, ricorre il delitto di truffa e non quello di frode
in commercio (Cassazione 29 maggio 1952 - Cassazione 23 giugno 1958).
È da tenere presente che, nell’accertamento di un reato, qual è appunto la frode in
commercio, si evidenzia l’attività della polizia giudiziaria intesa come indagine tendente alla raccolta delle prove e di ogni indizio che possa essere utile al giudice nella
valutazione degli elementi e quindi nell’applicazione della legge penale.
Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria devono curare che non vadano disperse le
tracce del reato e, se vi è fondato motivo di ritenere che tali tracce possano essere
alterate o disperse, procedono al sequestro dei corpi di reato (ad esempio bilance
alterate), da porre immediatamente a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
È buona norma estendere i controlli alla vigilanza igienico - sanitaria quando trattasi
di esercizi di vendita e/o di somministrazione di alimenti e bevande.
Quindi, per i negozi di generi alimentari, si potrà accertare che siano soddisfatti gli
obblighi inerenti alla igienicità del locale e delle attrezzature e che il personale
addetto alla vendita sia munito di regolare tessera sanitaria, debitamente vidimata
alle scadenze, e indossi tuta o sopraveste di colore chiaro e copricapo. Sono da
esperirsi accertamenti anche per quanto concerne l’obbligo, per gli operatori commerciali, di «curare la pulizia della propria persona e in particolare delle mani e di
eseguire il proprio lavoro in modo igienicamente corretto».
E corretto non appare il modo di servire un piatto con il pollice all’interno, in modo
da intingervi anche l’unghia così nera che più nera non si può.
Corretto non risulta il prendere il pane o altri alimenti con l’indice e il pollice che
poco prima erano stati impiegati per sostituire il fazzoletto.
Corretto non è il modo di operare di quel cameriere di trattoria che spruzza l’aceto
dalla bocca sull’insalata per assicurarne lo spargimento uniforme.
Va ispezionato il frigorifero, per constatare che non vi siano merci in incipiente stato
di putrefazione: nel caso ve ne siano, si procede a sequestro cautelare avvolgendo
3.6
Il controllo ufficiale dei prodotti alimentari
Il già citato d.lgs. 3 marzo 1993, n. 123 in attuazione della direttiva CEE 89/397 ha
profondamente innovato relativamente alle procedure di controllo sui prodotti alimentari.
Ha specificato, anzitutto, che il controllo deve essere esteso ricomprendendo negli
alimenti anche gli additivi alimentari, le vitamine, i sali minerali — inclusi i sali degli
oligoelementi — i materiali e gli oggetti destinati a venire in contatto con gli
3 D’Orsi, S., Le vendite straordinarie e di liquidazione in Sicilia, Rimini, Maggioli Editore 1999.
65
3. Il controllo nel settore alimentare
le merci in sacchetto di plastica chiuso con legacci, ai margini dei quali va applicato
sigillo di piombo con impressa sigla di riconoscimento. Le merci vanno depositate
nello stesso frigorifero, nominando custode giudiziario lo stesso esercente, dopo
averlo reso edotto delle responsabilità che incombono sul custode giudiziario, dandone immediata comunicazione, per gli ulteriori adempimenti, ai funzionari dell’Azienda Unità Sanitaria Locale competente per territorio.
Per tutti gli esercizi commerciali vanno esperiti accertamenti in relazione al pagamento della tassa sulle insegne, se poste in opera; analoghi accertamenti vanno
condotti per T.O.S.A.P. o C.O.S.A.P.
È da accertare ancora che il prezzo di vendita sia indicato per unità di misura e che
non vi siano maggiorazioni sui prodotti per i quali il prezzo di vendita è stato fissato
dal produttore.
Nel caso di vendite straordinarie, va chiesta in visione copia della comunicazione
inoltrata al Comune e, per le vendite con sconti o ribassi, va chiesta sempre copia
delle fatture di acquisto delle merci interessate, sia per accertare che non siano messe
in vendita, a prezzi scontati, merci introdotte in data successiva a quella della
comunicazione di inizio della vendita straordinaria, sia per controllare che, nel caso
di vendita a prezzi di costo o sottocosto, il prezzo di vendita sia rispettivamente
uguale o inferiore a quello di acquisto3.
Si tratta di attivare, anche, vigilanza igienico-sanitaria-annonaria, quando si verifica
il caso di manovre speculative, tendenti a sottrarre al mercato rilevanti quantità di
prodotti di prima necessità per procurarne aumento ingiustificato dei prezzi (aggiotaggio, art. 501 bis c.p.).
È capitato con la pasta, nel 1983.
È capitato con lo zucchero e col latte.
È capitato con i generi alimentari e di vestiario in occasione dei conflitti mondiali.
Nasce, in tali circostanze, la borsa nera.
Si attiva la vigilanza annonaria, anche per prevenire e reprimere le frodi sanitarie,
consistenti nell’annacquare latte e vino, nell’aggiungere olio di semi e di sansa
all’olio vergine di oliva oppure nel vendere olio di semi per olio di oliva anche ad
analisti di alto livello.
Parte Prima - La normativa
66
alimenti; ed ha sottolineato l’importanza di tutta l’attività di ispezione, che riguarda
lo stato, le condizioni igieniche ed i relativi impieghi degli impianti, delle attrezzature, degli utensili, dei locali e delle strutture, ivi compresi gli uffici ed i terreni, dei
mezzi di trasporto. Sono da valutare attentamente, durante l’ispezione, le materie
prime, gli ingredienti, i coadiuvanti tecnologici e gli altri prodotti utilizzati per la
preparazione e la produzione dei prodotti alimentari, i prodotti semilavorati; i prodotti finiti; i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti; i
procedimenti di disinfezione, di pulizia e di manutenzione ed i relativi presidi chimici
ed i detergenti, nonché gli antiparassitari impiegati per la disinfestazione; i processi
tecnologici per produrre o lavorare i prodotti alimentari; l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari; i mezzi e le modalità di conservazione.
Durante l’ispezione è possibile chiedere informazioni al responsabile dell’impresa
ispezionata e alle persone che vi lavorano; rilevare i valori dagli strumenti di misurazione e verificarli con i propri; valutare le procedure di valutazione per assicurare
la qualità igienica degli alimenti e delle bevande, attraverso un processo che consente
di analizzare i vari punti, denominato H.A.C.C.P.
Ampi poteri godono gli organi di vigilanza in sede ispettiva, potendo visionare tutti
i documenti inerenti all’attività, senza preventiva autorizzazione, acquisendo anche
copia dei documenti medesimi.
La legge istituisce il sistema di allerta con il quale, in caso di riscontro di frode
tossica o di prodotti alimentari nocivi, o pericolosi per la salute pubblica, il responsabile del laboratorio che ha eseguito l’accertamento analitico, oppure l’organo di
controllo che ha eseguito l’ispezione, ferma restando l’immediata comunicazione
all’autorità giudiziaria, provvede a comunicare (entro le 24 ore, alle Regioni ed alle
Province autonome, al Sindaco ed al Prefetto territorialmente competenti, nonché ai
Ministeri della Salute e dell’agricoltura e delle foreste4, le informazioni che permettono di identificare il prodotto, il numero di lotto, il fabbricante o il distributore
oppure entrambi) i risultati di qualsiasi accertamento di laboratorio o di altra informazione che consentono di valutare l’entità del rischio per la salute; le misure
adottate o predisposte, al fine di fronteggiare il rischio per la salute pubblica, mediante l’eventuale segnalazione ad altra Regione o Provincia autonoma interessata,
con ogni utile informazione anche ai Paesi comunitari ed ai Paesi terzi.
Ai fini dell’attività di prelevamento dei campioni, in attuazione dell’art. 4 del d.lgs.
123/1993, è stato emanato il decreto del Ministro della Sanità in data 16 dicembre
1993 (G.U. 28 dicembre 1993, n. 303), con il quale vengono individuate le sostanze
alimentari deteriorabili, alle quali si applica il regime di controlli microbiologici.
I prodotti alimentari deteriorabili sono:
a) i prodotti alimentari preconfezionati, destinati come tali al consumatore, il cui
periodo di vita commerciale, inferiore a 90 giorni, risulti dalla data di scadenza
4 Si tenga presente che a far data dal maggio 2001 quest’ultimo Ministero di riferimento è il Ministero delle
Politiche agricole e forestali.
Lo stesso decreto legislativo n. 123/1993, all’articolo 5, obblighi, recita: “1. Le persone
fisiche e giuridiche soggette a controllo ufficiale sono tenute a sottoporsi alle verifiche esercitate conformemente alle modalità previste e ad assicurare agli incaricati
la necessaria assistenza nell’esercizio delle loro funzioni. 2. Fatti salvi gli obblighi
previsti da leggi o da regolamenti speciali, il personale incaricato del controllo è
tenuto all’osservanza del segreto professionale.”
A seguito della verifica periodica il servizio rilascerà alla ditta un attestato sul
perdurare dei requisiti igienico-sanitari, che la ditta interessata dovrà produrre in
caso di ulteriore ispezione. Va sempre rilasciato, redatto nei modi di legge, da parte
del personale di vigilanza e ispezione, copia del verbale dell’ispezione effettuata al
titolare dell’esercizio controllato, raffigurandosi la mancata consegna del verbale
come omissione (cfr. articolo 2, comma 8, del d.lgs. n. 123 del 1993 e punto 4.4,
secondo periodo, dell’allegato 1 del citato D.A. Sanità della Regione Siciliana del 20
maggio 1996, n. 19372).
Nel caso di mancata eliminazione delle carenze entro i termini previsti, e quindi di
recidiva, il sindaco o il rappresentante legale dell’Azienda unità sanitaria locale, su
proposta del capo settore competente, adotterà il provvedimento di chiusura dell’eser-
67
3. Il controllo nel settore alimentare
indicata in etichetta, con la dicitura “da consumarsi entro...”, ai sensi dell’art. l0,
comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109;
b) i prodotti a base di carne che non abbiano subito un trattamento completo e
presentino pertanto caratteristiche fisico-chimiche particolari;
c) i prodotti alimentari sfusi e quelli posti in involucro protettivo destinati alla
vendita previo frazionamento ai sensi dell’art. 1, comma 3, del decreto legislativo
27 gennaio 1992, n. 109, non sottoposti a congelazione o a trattamenti atti a
determinarne la conservazione allo stato sfuso per periodi superiori a tre mesi
(sterilizzazione, disidratazione, affumicatura), costituiti in parte da:
— latte, ivi compreso quello parzialmente concentrato;
— derivati del latte quali: crema di latte, formaggi freschi spalmabili, formaggi
freschi a pasta filata preincartati di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. 11 aprile
1986, n. 98, convertito nella legge 11 giugno 1986, n. 252, modificato dall’art.
23 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109; e latticini freschi, formaggi
molli senza crosta, formaggi molli con crosta a stagionatura non superiore a
sessanta giorni;
— carni fresche e preparazioni gastronomiche fresche a base di carni fresche;
— prodotti della pesca freschi, nonché alimenti compositi freschi e preparazioni
gastronomiche a base di prodotti della pesca;
— prodotti d’uovo, freschi o pastorizzati, nonché alimenti compositi e di pasticceria e preparazioni gastronomiche a base di prodotti d’uovo;
— prodotti ortofrutticoli freschi, refrigerati e non;
— paste fresche con ripieno, destinate ad essere vendute allo stato sfuso ai sensi
dell’art. 16, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109.
Parte Prima - La normativa
68
cizio. L’attivazione di un esercizio, laboratorio, deposito industriale o la prosecuzione
di attività in difetto degli originari requisiti di impianto e/o funzionali comporta, in
aggiunta alla sanzione pecuniaria di cui all’articolo 2, comma 3, della legge n. 283/
1962 (sanzione da euro 154 a euro 775), la chiusura dell’esercizio stesso. Il provvedimento di chiusura deve essere emesso, in base alle rispettive competenze, dal
sindaco o dal legale rappresentante dell’A.U.S.L., entro cinque giorni dalla ricezione
della comunicazione del pubblico ufficiale (il quale deve riferire senza ritardo – cfr.
art. 17 ter del Testo unico delle leggi di P.S.) e immediatamente notificato ed eseguito
tramite il personale di vigilanza con affissione di un cartello indicante il motivo della
chiusura (cfr. artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 507/1999). Sarà compito del personale di
vigilanza verificare il rispetto dell’ordinanza di chiusura. (cfr. artt. 12bis e 15 della
legge n. 283/1962; articolo 22 d.P.R. n. 327/1980; articolo 8 d.lgs. n. 507/1999; per
la Sicilia: D.A. sanità n. 19372/ 20 maggio 1996). Il provvedimento di chiusura
dell’esercizio, adottato nei casi di insussistenza dei requisiti igienico-sanitari necessari
ai fini del rilascio dell’autorizzazione sanitaria, è immediatamente revocato se la
situazione viene regolarizzata (cfr. art. 8, comma 2, d.lgs. n. 507/1999).
Occorre tener conto del fatto che la legislazione in subiecta materia è percorsa, oltre
che da pene principali, anche da pene accessorie, prevalentemente riconducibili allo
schema della chiusura temporanea dello stabilimento o dell’esercizio, secondo un modulo
ricorrente che prevede, quali presupposti applicativi, la recidiva specifica o la particolare gravità del fatto concretamente posto in essere. Ed è proprio sull’incisività di tali
ultime sanzioni che attualmente poggia buona parte dell’efficacia deterrente delle
previsioni punitive. L’articolo 7 del decreto legislativo n. 507/1999 stabilisce, infatti, che
nei casi in cui venga irrogata, per le violazioni di settore, una sanzione amministrativa
pecuniaria non inferiore a euro 7.746, possa altresì disporsi la pubblicazione o l’affissione del provvedimento che accerta la violazione, quasi in sintonia con la chiusura
temporanea di cui tratta l’articolo 15 della legge n. 283 del 1962, della quale deve
essere data «pubblicità a mezzo di avviso da apporre all’esterno dello stabilimento o
dell’esercizio per l’intero periodo di chiusura (temporanea fino a sei mesi), con l’indicazione del motivo del provvedimento». La pubblicazione, l’affissione e l’avviso da
apporre all’esterno dello stabilimento o dell’esercizio sono misure idonee, per il loro
effetto di stigma; una significativa azione preventiva, collocandosi, così, a buon titolo,
nel solco del recupero di deterrenza attraverso le sanzioni accessorie, ritenute di rango
inferiore quando è venuto meno il carattere penale degli illeciti.
La chiusura dello stabilimento in caso di insussistenza dei requisiti igienico-sanitari
appare caratterizzata da una funzione «preventivo- cautelare», invece che tipicamente
sanzionatoria. Essa non consegue, infatti, all’accertamento di specifici illeciti, bensì
alla verifica dell’insussistenza dei requisiti igienico-sanitari previsti per il rilascio
dell’autorizzazione sanitaria; in questa prospettiva, ne è dunque prevista la revoca
immediata non appena la situazione di irregolarità venga eliminata (cfr. art. 8,
comma 2, d.lgs. 507/1999). Comunque, per evitare ogni possibile dubbio interpretativo, è fatta espressamente salva l’applicabilità delle disposizioni che prevedono, a
qualunque titolo, l’adozione del provvedimento di chiusura, rispetto alle quali l’articolo in esame viene pertanto ad atteggiarsi come norma residuale (cfr. stralcio della
relazione al decreto n. 507/1999, pp. 11-14).
Accertamenti sui prodotti alimentari
Gli accertamenti più elementari, perché puramente visivi, che l’operatore di vigilanza
può effettuare sui prodotti alimentari, possono riguardare soltanto la contaminazione
e l’igiene in generale; solo il laboratorio può, invece, accertare le sofisticazioni.
Visivamente si può accertare il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari impiegate nella preparazione di alimenti e bevande, detenute per la vendita,
somministrate o comunque distribuite (art. 5, lett. b, della legge 283/1962).
Il verduriere che vende frutta marcia, il salumiere che vende insaccati color verdastro,
l’alimentarista che vende surgelati non conservati a –18°C, rispondono penalmente
di questa grave contravvenzione.
Questa contravvenzione si applica anche qualora, ad esempio, in una bottiglia di
acqua minerale sigillata si trovino corpi estranei in sospensione, perché le previsioni
contemplate nell’art. 5 della legge 283/1962 si applicano anche alle acque minerali,
in quanto quelle particolari in materia sono norme regolamentari e, come tali,
subordinate alla legge.
Si può, altresì, accertare l’impiego, nella preparazione di alimenti o bevande o nella
detenzione per la vendita, somministrazione o distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari nocive ovvero sottoposte a trattamenti diretti a mascherare un
preesistente stato di alterazione (art. 5, lett. d, della legge 283/1962).
Il panettiere che rovescia per strada un cesta di pane, lo raccoglie e lo vende;
l’alimentarista che vende pasta invasa da camole; il pasticciere che vende cioccolato
avariato, il barista che vende cestini da viaggio con carne invasa da vermi, rispondono di questa grave contravvenzione.
Occorre anche distinguere fra prodotto confezionato e prodotto sfuso: il legislatore
(vedasi, ad esempio, articolo 1, lett. b, d.P.R. 18 maggio 1982, n. 322, decreto
abrogato dall’art. 29, comma 2, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109) ha accettato la
definizione elaborata dalla giurisprudenza secondo la quale per prodotto confezionato
deve intendersi quello racchiuso in un involucro fornito di un sistema di chiusura
ermetica tale che non consenta manomissioni o intromissioni dall’esterno senza che
esse lascino tracce evidenti e ineliminabili sulla confezione o sul sigillo e sia destinato
a non essere rimosso che una sola volta dal futuro consumatore del prodotto, sì da
garantire l’acquirente che il contenuto della confezione non abbia potuto subire
alcuna manomissione.
Non sono confezionati quei prodotti alimentari preparati e posti in commercio in
forme o pezzi, destinati normalmente alla vendita sfusa e relativamente ai quali il
recipiente o involucro, in cui sono contenuti, ha solo la funzione di permetterne il
trasporto o la conservazione in modo da evitarne lo spargimento o l’inquinamento.
3. Il controllo nel settore alimentare
3.7
69
Parte Prima - La normativa
70
Pertanto, mentre il commerciante di qualsiasi prodotto alimentare sfuso ha il dovere
di porlo in vendita solo se conforme alle prescrizioni della legge, sì che è tenuto ad
eseguire opportuni controlli e a prendere precauzioni idonee ad evitare l’immissione
in commercio di prodotti non regolamentari5, il commerciante di prodotti confezionati non è responsabile del contenuto, sempre che la confezione originale non
presenti segni di alterazione (ad esempio scatola bombata o arrugginita) o sempre che
egli non sia comunque a conoscenza della eventuale violazione delle prescrizioni di
legge (art. 19 della legge 283/1962).
In particolare, si è molto discusso per stabilire se la vendita di un prodotto scaduto
integra di per sé sola il reato di cui all’art. 5, lett. a) o b), della legge 283/1962, o meno.
È noto che, ai sensi dell’art. l0 del d.P.R. 18 maggio 1982, n. 3226, ora art. 10 del
d.lgs. 109/1992, sui prodotti alimentari deve esser normalmente indicato il cosiddetto
TMC, ossia il termine minimo7 fino al quale il prodotto mantiene le sue qualità, se
adeguatamente conservato.
Il termine minimo di conservazione, di norma, è scelto discrezionalmente dal produttore (o dall’importatore, nel caso previsto dall’art. 72 del d.P.R. 327/1980, sostituito dall’art. 11 del d.P.R. 8 maggio 1985, n. 254), il quale sceglierà, per maggior
sicurezza, una data sicuramente anteriore a quella reale di scadenza.
Pertanto, sui prodotti, si possono leggere alternativamente due formule:
a) da consumarsi entro…;
b) da consumarsi preferibilmente entro….
Conseguentemente, la data indicata con la formula sub a) — che è obbligatoria solo
per gli alimenti altamente deperibili sotto l’aspetto microbiologico e della validità
dietetica (art. 15, comma 4, d.P.R. 322/1982), cioè per quegli alimenti che debbono
essere normalmente conservati a una temperatura di + 4°C — é una vera e propria
data di scadenza, sì che la vendita del prodotto dopo tale data potrebbe integrare gli
estremi della contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b), della legge 283/1962 (reato di
pericolo presunto per sostanza alimentare in cattivo stato di conservazione).
Per una corretta interpretazione funzionale della “data di scadenza” apposta sulla
confezione di prodotti alimentari, occorre ricordare che essa produce effetti giuridici
esclusivamente in materia di commercializzazione al pubblico, escludendo la presunzione assoluta per la quale il superamento della data di scadenza comporta necessariamente l’alterazione del prodotto8.
5 In questo caso, la responsabilità del commerciante può essere esclusa solo dalla assoluta buona fede:
quando cioè risulti provato che l’agente ha compiuto tutto quanto era necessario per l’osservanza delle norme, sì che la
violazione appaia determinata da inevitabile errore che si identifica con la forza maggiore o il caso fortuito (fattispecie
relativa al controllo da parte del dettagliante su prodotti alimentari già trattati con additivi chimici dal grossista. Cass., Sez.
VI, 9 gennaio 1976 - Volpe).
6 In G.U. 9 giugno 1982, n. 156.
7 Il termine massimo di conservazione è imposto dalla legge solo per pochissimi prodotti, tipo camomilla
(art. 6 legge 30 ottobre 1940, n. 1724).
8 Correra, C., I prodotti alimentari non «scadono», «scadono» le confezioni, in «COMMERCIO & SERVIZI», n. 1, 1998,
pp. 18-22.
Un primo equivoco ha investito i due istituti sotto il profilo della individuazione della
sanzione da comminare a chi persista nel porre in vendita un alimento fuori termine
e oltre la data di scadenza.
La giurisprudenza per anni ha dato la prevalenza alla sanzione penale di cui all’art.
6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, in relazione all’ipotesi di reato contravvenzionale di cui alla lettera b) dell’art. 5 della stessa legge: «prodotto in cattivo stato di
conservazione».
Una soluzione, questa, ampiamente criticabile in quanto dava per scontato che un
prodotto fuori «termine» o fuori «scadenza» fosse per ciò stesso un prodotto o «malamente conservato o in stato di alterazione»: in pratica si fondava su di una
«presunzione assoluta» di alterazione della sostanza alimentare.
Presunzione, questa, palesemente irreale per tutti i prodotti «fuori termine» (ove
questo il fabbricante lo abbia predeterminato con un minimo di discernimento), ma
anche — non è azzardato sostenere — per quelli oltre «scadenza» nei primissimi giorni
di superamento della fatidica «data». Anche per questi, infatti, il fabbricante/confezionatore, dotato di un minimo di diligenza professionale, ben si guarda dal determinare una «data» eccessivamente risicata.
In altre parole: «termine» e «data» non sono un timer di un prodotto esplosivo, bensì
il primo un «termine di garanzia qualitativa» (superato il quale ogni responsabilità
passa al rivenditore) ed il secondo una «data di commerciabilità» che impone la fine
delle operazioni di «vendita» riguardanti la «confezione» con «data di scadenza»
superata.
Arbitrario, appare, pertanto, ritenere — senza averne fatto concreto riscontro analitico
od anche solo organolettico — che all’interno della confezione scaduta (o fuori
termine) vi sia già un prodotto alterato.
Arbitrarie, conseguentemente, sono da ritenersi le decisioni giudiziarie che, sulla base
di questa indimostrata ed inverosimile coincidenza, hanno ravvisato, in tale ipotesi,
il caso di infrazione all’art. 5, lett. b), della legge n. 283/1962.
L’indirizzo giurisprudenziale citato subisce riforma dalla Corte di Cassazione9, la
quale approda alla conclusione di ravvisare — in caso di «vendita» di prodotto
«scaduto» — soltanto l’illecito amministrativo di cui all’art. 18 del d.lgs. n. 109/199210.
9 Cass., sez. unite pen., 27 settembre 1995, n. 1; Pres. Guasco, Rel. Pisanti, Ric. Timpanaro.
10 In G.U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.
71
3. Il controllo nel settore alimentare
L’introduzione — con il d.lgs. n. 109/1992 — dello sdoppiamento tra «termine minimo
di conservazione» e «data di scadenza» tra le indicazioni obbligatorie per l’etichettatura dei prodotti alimentari non ha purtroppo soddisfatto la generale attesa di un
definitivo chiarimento sui molti dubbi che da sempre accompagnano la formulazione
di una «data di garanzia» sulle qualità e sulla commestibilità di un prodotto alimentare.
72
«Produzione e commercio - Prodotti alimentari in confezioni e prodotti sfusi Indicazioni e denominazioni - Prodotti “scaduti” di data - Illecito amministrativo Sussistenza.
Il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari riguarda quelle situazioni
in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane,
si presentano mal conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita
senza l’osservazione di quelle prescrizioni — di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali — che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto
il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce
degradazione o contaminazione o alterazione.
Parte Prima - La normativa
A tali situazioni si riferisce la previsione normativa di cui alla lettera b) dell’art. 5
della legge n. 283/1962 che ha il ruolo di completare, in armonia con le differenti
ipotesi previste dallo stesso articolo, il quadro di protezione a tutela delle sostanze
alimentari dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato e,
quindi, anche a quello, rilevante, della loro conservazione.
In tale prospettiva la data di scadenza del prodotto, là dove ne è prevista l’indicazione obbligatoria, non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione dei
prodotti alimentari.
Ne consegue che l’impiego per la preparazione di alimenti, la detenzione per la
vendita o la distribuzione al consumo di prodotti confezionati, per i quali — essendo
prescritta l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il…” o quella diversa “da
consumarsi entro il…” — la data indicata sia stata superata, non integra alcuna ipotesi
di reato, ma solo l’illecito amministrativo di cui agli artt. 10, comma settimo, e 18
d.lgs. n. 109 del 1992».
Passando al fulcro di questa ricerca, appare opportuno prendere le mosse dalle
specifiche disposizioni attinenti alla figura giuridica della scadenza delle confezioni
alimentari.
L’istituto della data di scadenza per i prodotti alimentari è previsto e disciplinato dal
d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, in sede di art. 10, nei seguenti termini:
… 2. La data di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare va consumato; essa va indicata con la dicitura «da consumarsi entro» seguita dalla data
oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura.
… 7. È vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal
giorno successivo a quello indicato sulla confezione.
Due considerazioni immediate:
— la data di scadenza viene formulata in termini tali (si veda l’espressione sulla
confezione di cui al comma 7) da far nettamente intendere come la stessa sia
riferita ai prodotti preconfezionati;
Appare, a questo punto, di tutta evidenza che il concetto e l’istituto della data di
scadenza riguardano la confezione (ovvero: quel complesso composto da sostanza
alimentare e materiale di preconfezionamento) e non la sostanza alimentare in sé e
per sé.
In termini più semplici: gli alimenti non scadono, ma si alterano; invece scadono le
confezioni di alimenti (ovvero: gli alimenti preconfezionati).
Appare dunque evidente che una confezione scaduta in senso stretto (ovvero: oltre
la data di scadenza, ed a maggior ragione una fuori termine minimo di conservazione) non comporta automaticamente una collocazione della sostanza alimentare
fuori da una lecita possibilità di impiego ad uso alimentare umano, ma semplicemente — come unica conseguenza giuridica — quella di una impossibilità di commercializzazione della confezione medesima al pubblico dei consumatori11.
Assolutamente apodittico è pretendere di ridurre una confezione scaduta al rango
giuridico di rifiuto, dal momento che il mero fatto della scadenza — per le ragioni
esposte — non equivale a preclusione giuridica di ulteriore impiego della sostanza
alimentare in ciclo di lavorazione con destinazione finale l’alimentazione umana (si
pensi, ad esempio, al caso di latte pastorizzato scaduto, che ben può essere ancora
trasformato in latte sterilizzato).
Rifiuto potrà semmai divenire la sostanza contenuta nella confezione scaduta quando
se ne sia verificata in concreto l’attuale incommestibilità e quando se ne sia esclusa
la possibilità — per scelta dell’imprenditore o per difficoltà tecnica — di un recupero
in un nuovo ciclo di fabbricazione alimentare.
Sembra evidente che i resi dal circuito di distribuzione commerciale, anche ove si
tratti di «confezioni» scadute, non possono giuridicamente essere ricondotti alla
categoria dei «rifiuti».
Conclusione giuridica, questa, che significativamente coincide con principi di economicità delle attività imprenditoriali in genere e con principi di non spreco delle
risorse, che la più recente normativa di ispirazione Cee nel settore alimentare (vedasi
d.P.R. n. 541/1997, art. 13, comma 2, punto g) sembra pienamente condividere ed
applicare, persino rispetto a prodotti che devono essere ritirati dal mercato in quanto
presentano un rischio immediato per la salute.
I due aspetti esaminati hanno un regime sanzionatorio diverso, perché diverse sono
le norme che disciplinano la materia e diversi sono gli interessi ed i beni giuridici
che tali norme intendono tutelare. Infatti, mentre la legge 283/1962 tutela l’igiene
11 Correra, C., Termine minimo di conservazione e data di scadenza. Prodotti alimentari. Sicurezza, igiene e qualità,
Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore 1998, pp. 329-340.
73
3. Il controllo nel settore alimentare
— il divieto di cui al comma 7 riguarda la vendita, espressione che deve far circoscrivere la portata della disposizione negativa (qual è quella contenente un divieto)
alla sola fase della commercializzazione della confezione di un prodotto alimentare
preconfezionato che sia oltre la data di scadenza.
Parte Prima - La normativa
74
e la salubrità degli alimenti, il d.lgs. 109/1992 detta norme tecniche per il corretto
confezionamento dei prodotti, che solo indirettamente hanno finalità igieniche.
Le violazioni alle norme relative alla etichettatura degli alimenti sono perseguite con
sanzioni amministrative; quelle relative alla qualità della conservazione costituiscono
reati contravvenzionali.
Chiarito il concetto di cattivo stato di conservazione dei prodotti alimentari preconfezionati che, sulla base delle argomentazioni effettuate, inerisce al mancato rispetto
delle disposizioni che regolano la materia del confezionamento, appare evidente che
il superamento della data di scadenza costituisce violazione del precetto dell’art. 10,
comma 7, del d.lgs. n. 109/1992 e non violazione dei precetti inerenti alla conservazione.
La suddetta violazione, come la violazione degli altri precetti contenuti nel d.lgs. in
precedenza riferito, viene sanzionata dall’art. 18 dello stesso provvedimento delegato,
quando prevede che, qualora non costituiscano più grave reato, la confezione, la
detenzione per vendere o la vendita di prodotti alimentari non conformi alle norme
del decreto, è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.549 a
euro 9.296. La sanzione liberatoria è di euro 3.098, da introitarsi dallo Stato in forza
del disposto dell’art. 18, comma 3, del decreto legislativo n. 109 del 1992.
Il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, ha previsto di indicare, nel caso di prodotti
alimentari altamente deperibili dal punto di vista microbiologico, la data di scadenza,
la cui nozione è fornita dal comma 2 dell’art. 10 del citato decreto legislativo n. 109
del 1992: «La data di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare va
consumato». L’enunciato induce a rilevare che la data di scadenza è strutturata come
data di consumabilità del prodotto alimentare, fondata sulla presenzione assoluta di
non edibilità del prodotto oltre la data di scadenza. Conseguenza della non consumabilità, cioè della non edibilità del prodotto alimentare, è la non commerciabilità.
Il che trova riscontro al comma 7 dell’art.10 del decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n.109, che recita: «È vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza
a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione». Ecco perché la
data di scadenza non è solo data oltre la quale insorge la non edibilità, ma è anche
la data oltre la quale insorge la non commerciabilità.
Diversa appare la nozione di termine minimo di conservazione, come definita al
comma 1 dell’art. 10 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109: «Il termine
minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva
le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione». In questa definizione non si rileva alcuna previsione di non consumabilità e di non commerciabilità oltre la data del termine minimo di conservazione.
A sopperire alle diverse interpretazioni interviene opportunamente la Sentenza delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 27 settembre 1995, Timpanaro, in Cass.
Pen., 1996, 1399,12 nella cui parte conclusiva si legge che, in caso di superamento
12 Correra, C., Termine minimo di conservazione, cit., pp. 329-340.
o della data di scadenza o del termine minimo di conservazione, tale fattispecie «non
integra alcuna ipotesi di reato, ma solo l’illecito amministrativo di cui agli artt. 10
comma 7 e 18 d.lgs. n. 109 del 1992».
Etichettatura delle sostanze alimentari
L’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari rimangono
disciplinate dal decreto legislativo n. 109 del 27 gennaio 1992 in attuazione delle
direttive CEE n. 89/395 e n. 89/396.
Per etichettatura s’intende l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di
fabbrica o di commercio, delle immagini e dei simboli che si riferiscono al prodotto
alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi
o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati sul prodotto o, in
mancanza ed in quanto permesso, sui documenti di accompagnamento.
Il prodotto alimentare preconfezionato è l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore, costituita da un prodotto alimentare in modo che
il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o
alterata.
Il prodotto alimentare preincartato è unità di vendita costituita dal prodotto alimentare e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi di vendita.
La legge definisce anche che i consumatori sono i consumatori finali diretti e,
insieme, i ristoranti, gli ospedali, le mense e le collettività analoghe.
L’etichettatura non deve indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto circa: la natura, la identità, la qualità, la composizione, la quantità, la durabilità,
il luogo d’origine o di provenienza, il modo di ottenimento o di fabbricazione del
prodotto stesso.
Non si devono attribuire al prodotto proprietà atte a prevenire, curare o guarire
malattie umane, né accennare a proprietà che non possiede; ed inoltre non si devono
evidenziare caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi
possiedono le stesse caratteristiche.
Nell’etichettatura devono essere riportate obbligatoriamente alcune indicazioni:
a) denominazione di vendita;
b) elenco degli ingredienti;
c) quantità netta, o nel caso di prodotti preconfezionati, quantità nominale;
d) termine minimo di conservazione o, nel caso di prodotti molto deperibili dal
punto di vista microbiologico, la data di scadenza;
e) il nome, la ragione sociale o il marchio del fabbricante o del confezionatore o del
venditore;
f) la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, intesa come
località ove è ubicata l’azienda o lo stabilimento;
g) per le bevande alcoliche aventi un contenuto di alcole superiore a 1,2% in volume
il titolo alcolometrico volumico;
3. Il controllo nel settore alimentare
3.7.1
75
76
h) il lotto di appartenenza del prodotto;
i) le modalità di conservazione e di utilizzazione qualora sia necessaria l’adozione
di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto;
j) le istruzioni per l’uso, ove necessario.
Le indicazioni devono essere riportate in lingua italiana; è consentito riportarle anche
in più lingue; solo nel caso di menzioni che non abbiano corrispondenti termini in
italiano, è consentito riportare le menzioni originarie.
La denominazione di vendita di un prodotto è la denominazione prevista dalle
disposizioni che disciplinano il prodotto stesso, ovvero il nome derivante da usi e
consuetudini, oppure da una descrizione del prodotto, accompagnata, se necessario,
da informazioni sulla sua natura e utilizzazione, in modo da consentire all’acquirente
di distinguerlo da altri prodotti.
Per ingrediente, s’intende qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella
fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel
prodotto finito, anche se in forma modificata.
Il termine minimo di conservazione è la data alla quale il prodotto alimentare
conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; esso va
indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro», seguita dalla data
oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura.
Parte Prima - La normativa
La data di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare va consumato;
essa va indicata con la dicitura «da consumarsi entro», seguita dalla data oppure dalla
indicazione del punto della confezione in cui essa figura.
Il decreto poi definisce il lotto come l’insieme di unità di vendita di una derrata
alimentare, prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze praticamente identiche.
L’etichettatura, la denominazione di vendita, la quantità, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, nonché il titolo alcolometrico volumico effettivo,
devono figurare nello stesso campo visivo.
Anche i prodotti alimentari preconfezionati, posti in vendita attraverso distributori automatici o semiautomatici, devono riportare le indicazioni obbligatorie sopra indicate.
I prodotti sfusi, o più correttamente i prodotti alimentari non preconfezionati o
generalmente venduti previo frazionamento, anche se originariamente preconfezionati, devono essere muniti di apposito cartello, applicato ai recipienti che li contengono ovvero applicato nei comparti in cui sono esposti e riportante le indicazioni
obbligatorie prima menzionate.
Per i prodotti della pasticceria, della panetteria e della gelateria, l’elenco degli ingredienti può essere riportato su unico apposito cartello tenuto bene in vista.
Per i prodotti della gastronomia, ivi comprese le preparazioni alimentari pronte per
cuocere, l’elenco degli ingredienti può essere riportato su apposito registro o altro
sistema equivalente da tenersi a disposizione dell’acquirente, in prossimità dei banchi
di esposizione dei prodotti alimentari.
I prodotti alimentari destinati all’industria, agli utilizzatori commerciali intermedi ed
agli artigiani per i loro usi professionali, ovvero per essere sottoposti ad ulteriori
lavorazioni, nonché i semilavorati non destinati al consumatore, devono riportare le
indicazioni obbligatorie sull’imballaggio o sul recipiente o sulla confezione o sull’etichetta appostavi o sui documenti commerciali.
Prodotti alimentari in commercio: l’etichettatura
Le modalità di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari posti
in commercio trovano disciplina nel decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109,
concernente l’attuazione delle obiettive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE, relative
all’etichettatura, alla presentazione e alla pubblicità dei prodotti alimentari.
Al decreto legislativo n. 109/1992, citato, si accede anche con le modifiche recate dai
decreti legislativi n. 68/2000, n. 84/2000, n. 259/2000, nonché con le modifiche
introdotte dal decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, sulla depenalizzazione dei
reati minori e sulla riforma del sistema sanzionatorio.
Il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 84, introduce l’obbligo di indicare il prezzo
dei prodotti posti in vendita nell’esercizio dell’attività commerciale sia per unità di
misura che per prezzo confezionato: in un supermercato, ad esempio, ci sono salumi
in confezioni nella quali vanno indicati il tipo di salume, gli ingredienti, il peso, il
prezzo unitario e il prezzo al chilogrammo.
Lo stesso decreto insiste nella definizione del consumatore: egli è qualsiasi persona
che acquisti un prodotto destinandolo a scopi che non rientrano nella sfera della sua
attività commerciale o professionale.
«Etichettatura» è il termine che comprende l’indicazione, sul prodotto destinato, al consumatore, delle menzioni di fabbricazione e di commercio che lo riguardano: quantità,
qualità, ingredienti, peso netto, tara, fabbricante, distributore, etc., giusta quanto evincesi
dal disposto dell’articolo 1 del ripetuto decreto legislativo del 25 febbraio 2000, n. 84.
Si sente dire di «prodotto preconfezionato» e «prodotto preincartato». Quale differenza?
Il prodotto preconfezionato è un prodotto alimentare imballato dopo la preparazione
e prima della immissione al consumo: esso non può essere modificato o comunque
manomesso senza che la sua confezione sia aperta o alterata.
Il prodotto preincartato è quello contenuto in un involucro nel quale è stato avvolto
nell’esercizio di vendita, prima della vendita oppure al momento della vendita (art.
1, c. 2, d.lgs. 109/1992 e art. 1, lett. f) d.lgs. 84/2000).
In fatto di pubblicità, di presentazione e di etichettatura del prodotto ci sono regole
precise che vengono ribadite e chiarite dai decreti legislativi n. 109/1992, n. 68/2000
e n. 84/2000.
3. Il controllo nel settore alimentare
3.7.2
77
78
Si tratta di indicazioni da effettuarsi in modo che l’acquirente non sia indotto in
errore, non sia «ingannato» sulle caratteristiche del prodotto, sulla sua natura, sulla
composizione, sull’origine, sulla quantità, sulla qualità, sul prezzo unitario e sul
prezzo per unità di misura.
Sulla carta, tutto a posto.
Di fatto, però, in materia di controlli per l’accertamento delle infrazioni, le difficoltà
interpretative ed applicative non sono poche, perché agevole non risulta individuare
e stabilire la linea di demarcazione tra la pubblicità ingannevole, da una parte, e la
pubblicità corretta e lecita dall’altra parte.
La disciplina legislativa in esame prevede una serie di informazioni da inserire
obbligatoriamente sulle etichette dei prodotti alimentari:
1. denominazione;
2. ingredienti: categorie e quantità;
3. modalità di conservazione;
4. stabilimento di produzione o di confezionamento;
5. marchio;
6. termine minino di conservazione (è la data «giorno, mese, anno» di scadenza fino
a cui il prodotto conserva le proprie qualità specifiche: «da consumarsi preferibilmente entro…»);
7. termine massimo di conservazione dei prodotti deperibili, cioè data di scadenza
dei prodotti deperibili (= prodotti da mantenere a temperatura controllata): questa
è la data (giorno, mese, anno) entro la quale il prodotto deve essere consumato
(«da consumarsi entro…»);
8. coloranti, conservanti, addensanti, zucchero;
9. peso lordo e peso netto;
10.prodotto sgocciolato: peso netto, quando si tratta di prodotto immerso in un
liquido (olio, aceto, acqua).
Parte Prima - La normativa
3.7.3
La vendita di prodotti alimentari scaduti: le autorità competenti e
le sanzioni amministrative
Le sanzioni per i prodotti «scaduti» sono quelle previste dall’articolo 18 del decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come inasprite dal decreto legislativo n. 68/2000:
pagamento di una somma di denaro da euro 1.549 ad euro 9.296.
La procedura sanzionatoria approda alla legge 24 novembre 1981, n. 689, come
modificata dal decreto legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999.
In materia di pubblicità ingannevole è prevista la sanzione pecuniaria da euro 3.098
ad euro 18.592 nonché la sanzione accessoria del sequestro cautelare delle cose che
possono formare oggetto di confisca amministrativa di cui all’articolo 13 della legge
n. 689/1981.
13 Si tenga presente che a far data dal maggio 2001 l’attuale Ministero di riferimento è il Ministero delle
Attività produttive.
79
3. Il controllo nel settore alimentare
Il comma 7 dell’art. 10 della legge n. 109/1992 stabilisce che è vietata la vendita dei
prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello
indicato sulla confezione.
La sanzione pecuniaria è quella comminata dall’articolo 18, comma 1, del decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 109: pagamento di una somma di euro 1.549 a euro
9.269; il pagamento in misura ridotta ascende a euro 3.098. I proventi sono devoluti
allo Stato tramite il concessionario del servizio di riscossione tributi.
Come già accennato, l’autorità competente a ricevere il rapporto di cui all’articolo 17
della legge 24 novembre 1981, n. 689, è la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, giusta comma 3 dell’art. 18 del d.lgs. n. 109/1992 e circolare del
Ministero dell’Industria13 27 aprile 1993, n. 140/1993.
Sempre ai sensi dell’art. 18, comma 3, del d.lgs. 109/1992 le somme delle sanzioni
amministrative da pagare sono versate all’erario. Il decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 237 (G.U. del 26 luglio 1997, n.173) ha soppresso, dal 1 gennaio 1998, i servizi
autonomi di cassa degli uffici dipendenti dal Dipartimento delle Entrate e dal Dipartimento del territorio: gli uffici del registro non effettuano, pertanto, il servizio di
cassa di introitare i proventi destinati allo Stato a far tempo dal 1 gennaio 1998. Tra
le entrate, le sanzioni inflitte dalle autorità giudiziarie e amministrative.
Sembra potersi affermare, anche per quanto previsto dal d.P.R. 571/1992, che l’autorità competente a ricevere il rapporto è la Camera di commercio competente per
territorio, a seguito dell’intervenuta soppressione degli U.P.I.C.A. dal 1 settembre
2000, giusta d.P.C.M. 26 maggio 2000 (in G.U. del 7 agosto 2000, n. 183) e giusta
decreto dell’Assessore Regionale della cooperazione, del commercio, dell’artigianato
e della pesca 31 maggio 2000 (in G.U.R.S. del 4 agosto 2000, n. 36).
La previsione di cui all’art. 18 del d.lgs. 109/1992, menzionato, ha richiesto l’intervento della Corte costituzionale perché la Regione Toscana aveva sollevato questione
di legittimità costituzionale per il fatto che la materia della tutela igienica degli
alimenti rientra tra le competenze regionali.
Tale organo, con decisione 19-26 ottobre 1992, n. 401/R, ha dichiarato non fondata
la questione sollevata con la seguente motivazione:
«La nuova normativa, abrogando la disciplina precedente in tema di etichettatura,
si inserisce, invece, come si è già rilevato, in un contesto del tutto diverso che,
anche se di riflesso coinvolge aspetti attinenti all’igiene ed alla sanità (non più
separatamente considerati in tema di etichettatura), dà attuazione a direttive comunitarie riguardanti una materia, come quella del commercio, in funzione precipua della protezione del consumatore, una materia cioè di spettanza dello Stato.
Legittimamente pertanto la norma impugnata attribuisce agli uffici statali, implicitamente, la competenza a ricevere il rapporto per le relative infrazioni ed, esplicitamente, quella di ricevere il versamento degli importi, per cui viene meno anche
Parte Prima - La normativa
80
il presupposto su cui si fonda la censura facente riferimento all’art.119 della
Costituzione».
Il Ministero del commercio industria ed artigianato ha diramato, nel merito, la
circolare 27 aprile 1993, n. 140/93, con la quale, dopo aver richiamato la propria
precedente circolare 3303/c del 23 febbraio1993, che aveva fatto luce, a seguito della
riferita sentenza, sulla natura tecnico-commerciale delle norme in materia di etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari, ha chiarito che l’autorità preposta a
ricevere i rapporti sulle infrazioni è l’U.P.I.C.A. (Camera di commercio dal 1 settembre
2000) competente per territorio, impartendo istruzioni agli organi interessati al fine
di evitare comportamenti difformi.
La suddetta circolare, relativamente alla disciplina sanzionatoria, ha precisato che:
— i rapporti in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari ed altre normative concernenti la materia, oltre che ai diretti interessati, vanno
trasmessi anche agli U.P.I.C.A. (Camere di Commercio dal 1 settembre 2000);
— gli operatori interessati, oltre che agli U.P.I.C.A. (Camere di Commercio dal 1
settembre 2000), possono inviare gli scritti difensivi ed i documenti anche al
Ministero dell’industria, commercio ed artigianato — Direzione generale produzione industriale — per le conseguenti valutazioni al riguardo; alla strega di recente
giurisprudenza, avverso il verbale di accertamento della violazione è ammesso che
l’interessato possa proporre direttamente l’opposizione davanti all’A.G.O. (Autorità
Giudiziaria Ordinaria) con «atto depositato, a pena di inammissibilità, nella cancelleria del Giudice nel termine di sessanta giorni dalla contestazione o dalla
notifica» Corte di Cassazione, sez. III, sentenza n.10768 del 4 giugno/29 settembre
1999, in Ministero dell’Interno, nota prot. M/ 2413/11/20 ottobre 2000);
— contro l’ingiunzione gli interessati possono proporre opposizione, ai sensi dell’art.
22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, direttamente dinanzi al Pretore (ora
Autorità Giudiziaria Ordinaria) del luogo dove è stata commessa la violazione;
— gli U.P.I.C.A. (Camere di Commercio dal 1 settembre 2000) si avvalgono, nell’espletamento dei compiti di cui sopra, della collaborazione del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato per una corretta ed uniforme applicazione della normativa in materia14.
Giova, al riguardo, tenere presente che il M.I.C.A., con circolare n. 3446 del 15
giugno 1998, ha precisato che il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 «opera il
trasferimento delle competenze alle regioni, le quali a loro volta adotteranno gli atti
concernenti l’attribuzione delle competenze medesime agli enti locali.
Inoltre, come dispone l’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, richiamato dall’art.
7, comma 1, del decreto legislativo n. 112/1998, i previsti decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri determinano la decorrenza dell’esercizio delle funzioni da parte
delle regioni e degli enti locali delle funzioni conferite.
14 Cfr. Fontanella, G., I prodotti alimentari preconfezionati in cattivo stato di conservazione, il superamento delle
date di consumazione e la frode in commercio, in «Commercio & Servizi», n. 4 1997, pp. 527 e sgg.
Pertanto gli U.P.I.C.A., fino all’adozione dei predetti dd.P.C.M., (sono rimasti) gli
organi competenti per l’irrogazione delle sanzioni in parola».
Sequestro delle merci alimentari
Come già detto in precedenza la produzione ed il commercio delle sostanze destinate
alla alimentazione sono soggetti a vigilanza per la tutela della pubblica salute. L’art.
1 della legge n. 283/1962, a tale scopo, dispone che l’autorità sanitaria può procedere, in qualunque momento ed a mezzo dei competenti organi ed uffici, ad ispezione e prelievo di campioni negli stabilimenti ed esercizi pubblici, dove si producono, si conservano in deposito, si smerciano o si consumano le predette sostanze,
nonché sugli scali e sui mezzi di trasporto. Lo stesso articolo prevede la possibilità
di procedere al sequestro delle merci e, ove dagli accertamenti eseguiti risulti necessario per la tutela della pubblica salute, alla loro distruzione.
Il sequestro viene disposto, ove risulti necessario per la tutela della salute pubblica,
dall’autorità sanitaria, ma, in caso di necessità ed urgenza, può procedere al sequestro
anche il personale che presta la propria opera alle dipendenze della stessa autorità
sanitaria o di altre amministrazioni, salvo conferma, nel termine di 48 ore, da parte
della autorità sanitaria.
Quando sussista grave ed imminente pericolo di danno alla salute pubblica, la merce
sequestrata deve essere immediatamente distrutta, dopo che dalla stessa merce sia
stato effettuato il prelevamento dei campioni. La distruzione, salvo quanto stabilito
da norme particolari, viene disposta dall’autorità sanitaria.
Se l’autorità sanitaria non dispone diversamente, la merce sequestrata è affidata in
custodia, in quanto possibile, al proprietario o detentore, che è anche responsabile
della sua corretta conservazione.
Dell’operazione di sequestro deve essere compilato motivato e circostanziato verbale,
da redigersi in più copie, delle quali una viene trattenuta dall’autorità sanitaria, una
viene rilasciata al detentore, le altre vengono trasmesse, con raccomandata a carico,
al produttore della merce e ad altri eventuali corresponsabili.
I soggetti interessati, entro dieci giorni dalla data di ricezione del verbale di sequestro, possono far pervenire le proprie deduzioni scritte oppure eventuali istanze di
dissequestro all’autorità sanitaria competente.
Trascorso tale termine ed acquisito il referto d’analisi sui campioni prelevati, l’autorità sanitaria competente ordina il dissequestro della merce che sia risultata conforme
alle norme vigenti.
In caso contrario, l’autorità sanitaria ne accerta la commestibilità, facendo ricorso, ove
occorra, ad ulteriori specifiche indagini di laboratorio. Dell’esito dell’indagine è immediatamente informato il procuratore della Repubblica per i successivi provvedimenti.
Il verbale di sequestro deve essere inviato, come disposto dall’art. 20, comma 1, del
d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, alla competente autorità sanitaria (sindaco) per la
conferma nel termine di 48 ore.
3. Il controllo nel settore alimentare
3.7.4
81
82
Dalla merce sequestrata deve essere prelevato apposito campione per trasmetterlo al
laboratorio provinciale di igiene e profilassi per gli esami e le analisi di competenza
per verificarne l’eventuale tossicità.
Per il prelevamento dei campioni appare opportuno fare intervenire il personale
dell’A.S.L., perché, per eseguire l’intervento, bisogna attenersi, con specifica professionalità, alle disposizioni contenute nel d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, recante il
regolamento di esecuzione della legge 30 aprile 1962, n. 283.
Parte Prima - La normativa
3.8
Il sistema di autocontrollo per i negozietti di ortofrutticoli
Il decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, pubblicato nel supplemento ordinario
alla Gazzetta Ufficiale n. 118/L del 13 giugno 1997, stabilisce le «norme generali di
igiene dei prodotti alimentari e le modalità di verifica dell’osservanza di tali norme».
La nuova legislazione pone a carico delle aziende del settore — dalla produzione alla
vendita o fornitura al consumatore finale — alcuni adempimenti di carattere documentale e gestionale, imponendo un sistema di analisi dei rischi e di controllo dei
punti critici del processo, che interessa anche le fasi successive alla produzione
primaria, la quale include, tra l’altro, la raccolta, la macellazione e la mungitura.
Il controllo costante riguarda, pertanto, la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari.
La nuova normativa sposta l’attenzione dal controllo a valle del prodotto finito al
controllo costante del processo produttivo attraverso la verifica dell’adozione e della
corretta esecuzione, da parte del produttore, di specifiche procedure di autocontrollo.
La convinzione è che, in campo alimentare, date le specificità del settore, ciò che
occorre tenere sotto controllo è il ciclo produttivo: solo in tal modo si può tendere
all’obiettivo finale di avere dei prodotti alimentari sicuri.
Il legislatore, nel disciplinare il controllo degli alimenti, ha inteso dare maggiore
importanza alla componente preventiva, piuttosto che a quella repressiva. L’applicazione della normativa riguarda l’industria alimentare.
In base all’articolo 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 155/1997, si considera tale
«ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più
delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, il confezionamento, la
manipolazione, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita
o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari».
Tale definizione annovera, tra i soggetti coinvolti, più attori, a partire dalla grande
industria alimentare fino ad arrivare alla più modesta attività artigianale del settore
alimentare (gastronomie, pizzerie al trancio, pasticcerie, pasta fresca, gelaterie, panifici...) e al più periferico e piccolo esercizio commerciale. Proprio per questi ultimi
soggetti occorrerà un grande sforzo per istituire un sistema di autocontrollo documentato, in cui ognuno sia sempre in grado di dimostrare di aver operato in modo
da minimizzare il rischio, nel limite del possibile.
Tali punti critici non hanno le caratteristiche dei CCP veri e propri, che sono specifici
per processo e per linee di produzione, ma possono essere comunque un punto di
partenza per le piccole realtà produttive. Le principali procedure di controllo del
processo produttivo riguardano:
— la pulizia e la disinfezione;
— la selezione e la verifica dei fornitori;
— la derattizzazione e la disinfestazione;
— la formazione del personale;
— il controllo di potabilità dell’acqua.
83
3. Il controllo nel settore alimentare
Questo sistema di autocontrollo consiste nell’applicare il cosiddetto sistema HACCP,
di cui è cenno all’articolo 3, comma 2, del d.lgs. n. 155/1997.
Partendo dalla descrizione dettagliata delle fasi di lavorazione, occorre definire quali
sono i fattori di rischio gravi, cioè gli agenti che hanno la potenzialità di causare
un danno alla salute del consumatore. La gravità del rischio è data dal prodotto della
gravità del danno (cioè della gravità della patologia sul consumatore) per la probabilità che tale evento dannoso si verifichi.
Attraverso l’analisi del ciclo produttivo occorre poi individuare i punti di rischio
critici (Ccp - Critical Control Points), cioè i punti da cui dipende in misura decisiva
o critica la contaminazione del prodotto, di cui tratta il comma 2 dell’articolo 3 del
d.lgs. n. 155/1997.
In questa fase delicata è necessario, oltre che avere conoscenze specifiche sui fattori
di rischi (biologici, chimici, fisici), applicare buone dosi di competenza e di esperienza. I punti di rischio critici sono punti che necessitano di esperta azione di controllo
per prevenire o eliminare o ridurre a un livello accettabile un fattore di rischio; la
loro corretta identificazione risulta, pertanto, di primaria importanza al fine di avere
un efficace sistema di autocontrollo.
Appare evidente, già da questa sommaria descrizione delle fasi applicative del sistema HACCP di autocontrollo, che per le aziende artigianali di piccole dimensioni come
per le industrie alimentari che vendono o somministrano prodotti alimentari su aree
pubbliche, la normativa, che qui occupa, si ritiene di non facile applicazione concreta. In queste aziende vanno almeno identificate le fasi generali di lavorazione,
raggruppando le produzioni ottenute in condizioni omogenee.
Per ogni singola fase è opportuno indicare i tempi di lavorazione, i locali e le
attrezzature utilizzate, secondo le indicazioni dell’ALLEGATO al d.lgs n. 155/1997 e
dell’ALLEGATO II al d.lgs 3 marzo 1993, n. 123.
Sono fasi comuni tutti i processi che rivestono le caratteristiche del punto critico:
— ricevimento delle merci;
— stoccaggio delle materie prime;
— trattamenti termici;
— raffreddamento del prodotto;
— stoccaggio dei prodotti finiti.
Parte Prima - La normativa
84
Per un’efficace riduzione del rischio è necessario definire dei limiti di accettabilità.
Le operazioni soggette a queste regole sono:
— analisi microbiologiche;
— analisi di superfici (corretta applicazione della procedura di pulizia, assenza di
germi patogeni) con registrazione e conservazione dei dati;
— verifiche fisico-chimiche sul processo (in genere verifiche termiche);
— verifiche al ricevimento delle merci.
Molti possono ritenere che l’autocontrollo sia solo un adempimento burocratico per
rassicurare gli organi di vigilanza e limitare i controlli ufficiali, riducendo il tutto
all’esecuzione di esami di laboratorio, svolti su campioni prelevati secondo criteri non
scritti.
Occorre, invece, un sistema compatibile e quindi gestibile per l’azienda, orientato al
cambiamento della cultura aziendale e del metodo di lavoro che possa coinvolgere
in modo attivo tutti gli addetti.
Il monitoraggio del corretto andamento dell’attività produttiva si avvale, nella maggior parte dei casi, di controlli ispettivi interni diretti e della rilevazione, più o meno
frequente, di parametri quali la temperatura, la pulizia e la integrità delle strutture.
Tutta l’impalcatura dell’HACCP dà per scontato il rispetto della normativa igienica
vigente, che regola gli aspetti specifici di ogni singola produzione del settore alimentare.
Il d.lgs. 155/1997 si inserisce in via trasversale, configurandosi come rispetto di un
sistema di gestioni delle prescrizioni igieniche (sistema che va documentato), attraverso procedure e istruzioni di cui l’azienda ritiene opportunamente di dotarsi, purché
siano garantite la sicurezza e la salubrità finale del prodotto.
In allegato al decreto legislativo 26 marzo 1997, n. 155, sono riportati i principi
generali di igiene del “Codex Alimentarius”. Dall’allegato si desume l’opportunità che
le aziende interessate tengano sotto controllo la conformità alle prescrizioni generali
di igiene, mediante le seguenti procedure:
— manutenzione delle strutture edilizie:
— detergenza e disinfezione delle strutture edilizie:
— manutenzione degli impianti:
— detergenza e disinfezione degli impianti;
— disinfestazione da insetti e animali infestanti;
— rifornimento idrico;
— igiene del personale;
— formazione del personale.
Sarebbero state necessarie indicazioni ministeriali applicative, che potessero dare
uniformità a una serie di iniziative territoriali sviluppate dalle associazioni di categoria e dai servizi competenti delle A.S.L per sensibilizzare le aziende nell’attivazione
di questo sistema di autocontrollo.
15 Cfr. D’Orsi, S., L’Attività di vigilanza in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande, Marciano di Romagna, Casa Editrice E. Gaspari 2000.
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3. Il controllo nel settore alimentare
Si deve iniziare un confronto che, in assenza di chiarimenti applicativi, potrà essere
di ausilio alle aziende, specialmente quelle artigiane e i piccoli laboratori, per realizzare un sistema di autocontrollo snello ma efficace, senza lasciare gli imprenditori
in balia dei propri dubbi, ma anche di uno stuolo di improvvisati consulenti, non
sempre affidabili.
Controllo dai competenti organi ed autocontrollo da parte delle aziende di produzione e di distribuzione, con la finalità di assicurare, come chiarisce il secondo comma
dell’articolo 1 del d.lgs. 3 marzo 1993, n. 123, la conformità dei prodotti e degli
additivi alimentari, come dei materiali e degli oggetti destinati a venirne a contatto,
alle disposizioni dirette a prevenire i rischi per la pubblica salute e a proteggere gli
interessi dei consumatori, tra cui quelli inerenti la corretta informazione, onde assicurare anche la lealtà delle transazioni commerciali.
Un nuovo modo di concepire la tutela della salute dell’uomo, il cui avvenire presenta,
tuttavia, luci e ombre, forse perché non poche congreghe stanno in agguato per
ghermire e arraffare a danno dei più deboli, i quali, per cause molteplici, non sanno
cosa fare, quando farlo e come farlo.
Informazione? Formazione?
Gli interrogativi sono tanti. Non ultimo quello relativo a dubbi sulla congruità e sulla
applicabilità delle sanzioni per i piccoli pescivendoli e fruttivendoli, in aree private
e in aree pubbliche, ai quali incombe l’obbligo di adeguarsi alle statuizioni del d.lgs.
n. 155/1977.
Si tratta di svolta epocale, che implica impegno comune per tenere lontane le ombre
dell’insuccesso15.
Parlare soltanto di autocontrollo sarebbe alquanto riduttivo. Proverò a parlare di
quello che riguarda la quotidianità del servizio della Polizia Municipale in fatto di
vigilanza igienico-sanitaria-annonaria per la tutela della vita umana, scopo primario
di ogni controllo. Di ogni controllo e di ogni verifica da porre in essere con alta
professionalità e al di sopra delle parti, in sintonia con Pericle: Sapere quello che va
fatto ed essere capace di spiegarlo, amare il proprio paese ed essere incorruttibile
sono le qualità necessarie ad un uomo che vuole governare la propria città.
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3 Il controllo nel settore alimentare