Lavoro (Rapporto) – Impugnazione di licenziamento – Dipendente di Casa di Cura Privata – Contestazioni
disciplinari – Legittimità formale e sostanziale – Licenziamento per giusta causa – Elementi oggettivo e soggettivo –
Infondatezza della sanzione ablativa – Obbligo di reintegrazione – Risarcimento del danno – Esclusione – Lavoro
(Rapporto) – Categoria qualifica mansioni: demansionamento – Ostetrica – Equivalenza della qualifica con quella
di infermiere professionale – Jus variandi o derogabilità delle mansioni del lavoratore – Atti di mobbing – Insussistenza
- Rif.Leg. artt.1464, 1465, 2049, 2087, 2103, 2104, 2105, 2106 cc; art.18 L 300/70;
Sentenza n. 262/06
Pronunziata il 31/05/2006
Depositata il 19/06/2006
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI MODENA - SOTTOSEZIONE LAVORO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
All'udienza del 31.5.06 il Tribunale di Modena in funzione di giudice del lavoro ha
pronunciato la seguente sentenza nella causa promossa da:
M.B.K., rappresentata e difesa in forza di procura speciale in calce dei ricorso dall' Avv.
Ernesto Giliani e dall'Avv. Raffaella Bertoni, nello studio dei quali in Modena è
elettivamente domiciliata
parte attrice
CONTRO
Casa di Cura YY S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa in forza di procura speciale a margine della memoria difensiva dall'Avv Giovanni
Zanasi, con domicilio eletto in Modena, presso lo studio del predetto difensore
parte convenuta
Conclusioni di parte attrice:
annullarsi il licenziamento con condanna alla reintegrazione ed al risarcimento del danno
pari alle retribuzioni perdute, oltre al versamento dei contributi, nonché al risarcimento
del danno biologico conseguente al mobbing, spese rifuse;
Conclusioni di parte convenuta:
rigettarsi le domande attoree, con rifusione delle spese di lite.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art 414 c.p.c. la ricorrente in epigrafe, premesso di essere stata dipendente
della convenuta come ostetrica si doleva del mobbing cui era stata sottoposta e
concretatosi, in particolare, in un demansionamento e in ripetute, quanto infondate,
contestazioni disciplinari, nel cui contesto andava poi iscritto anche il conclusivo atto di
recesso per pretesa giusta causa del 25.7.01.
Il licenziamento presentava profili di illegittimità formale, perché nessun specifico codice
disciplinare era stato formato e, quindi, pubblicizzato (essendo generico sul punto il ccnl
inter partes), e del pari generica la contestazione disciplinare del 16.7.01, e quindi,
formalmente illegittimo, in quanto era stato "intimato sulla base di una successione di
comportamenti non previamente contestati".
Il licenziamento era poi ingiustificato nel merito, posto che il trasporto dei pazienti non
rientrava nella categoria di appartenenza, e comunque, allo stesso – come da
certificazioni del medico competente – la ricorrente non era, incondizionatamente,
idonea.
Infondato il motivo ulteriore, posto che un tipo di copricapo era incompatibile con la
dermatite che la affliggeva, come da certificazione in atti.
In via gradata, la massima sanzione espulsiva, anche per quanto sopra, non poteva
ritenersi proporzionata.
Le conseguenze andavano ricercate nell'alveo della tutela reale, come da conclusioni in
epigrafe, conclusioni inclusive della domanda risarcitoria, sotto il profilo del danno
biologico, conseguente al predetto mancato rispetto dell'art 2087 c.c.
Si costituiva la convenuta, chiedendo la reiezione delle domande, posto che il ccnl inter
partes, era tutto rituale e, comunque, le condotte addebitate non esigevano alcuna previa
pubblicizzazione.
Nel merito gli inadempimenti contestati da ultimo erano sussistenti e, in uno con i
precedenti ritualmente contestati e non, palesavano una non più sostenibile
disfunzionalità organizzativa.
Assunti gli interpelli delle parti, escussi i testi indotti all'esito della riduzione ex art 245
c.p.c. delle relative lista, ed espletata ctu medico legale, la causa all'odierna udienza, era
definita come da separato dispositivo, di cui era data immediata lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le varie questioni vanno partitamente esaminate
1. Licenziamento
1. A Legittimità
1.A.1. Violazione dell'art 7, primo comma, di fonte statutaria e residue eccezioni formali
Il diritto vivente è per la ristretta lettura, così come proposta dalla pregressa datrice,
posto che l'inottemperanza alle prescrizioni datoriali in punto a quid e quomodo, ove
legittime, costituisce illecito percepibile dalla coscienza comune, rappresentando la
negazione dei doveri di cui agli artt.2105 e 2106 c.c. e quindi trattasi di mancanza che
non necessita, all'evidenza, di previa affissione informativa veruna (Cass n. 12902/00).
Sotto altro profilo, le prescrizioni dei ccnl (e del ccnl non è, comunque, contestata la non
affissione quanto al cd codice disciplinare, affissione per quanto sopra osservato non
richiesta), in punto ad infrazioni e sanzioni, come è noto, sono meramente
esemplificative e non tassative.
Si veda il seguente arresto:
"L'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al
contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente
esemplificativa e non esclude la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o
per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del
comune vivere civile alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave
comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore
di lavoro e lavoratore. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva
ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento nel comportamento del lavoratore che
aveva percosso un superiore, pur se l'art. 25 del c.c.n.l. per i metalmeccanici dell'industria
privata prevedeva come giusta causa di licenziamento la rissa).”
La contestazione disciplinare poi, ad avviso del tribunale, non deve avere la analiticità
della memoria difensiva di cui all'art 416 c.p.c., dovendo semplicemente individuare i
fatti con sufficiente precisione, anche in via sintetica, una volta che non risulti incertezza
circa le questioni sulle quali il prestatore è chiamato a difendersi – Cass. n. 624/98 –.
Nella specie, ad avviso del tribunale, salvo quanto al punto quattro, rispetto alle quali la
eccezione è fondata, sono indicate con sufficiente precisione le condotte addebitate.
Estrinseca rispetto alla fattispecie concreta la giurisprudenza di legittimità invocata (ad
esempio l'arresto n. 11817/00), posto che gli asseriti inadempimenti sono stati
tempestivamente contestati, ancorché in taluni casi irritualmente.
Il licenziamento poi non fa riferimento ad una recidiva non contestata, ma
semplicemente richiama gli episodi pregressi ai fini della giustificazione della specie della
sanzione comminata, il ché, ove l'ultima condotta sia di per sé potenzialmente
giustificativa del recesso, e i precedenti concorrono semplicemente a dare conto della
graduazione della sanzione, è, di per sé, legittimo – Cass n. 10344/90 –.
1 A 2. Sussistenza della giusta causa
Il diritto vivente in materia di scrutinio della legittimità (sotto il profilo dell'annullabilità
alla luce della legislazione vincolistica, che condiziona il recesso del datore alla esistenza
della giusta causa o giustificato motivo soggettivo) del licenziamento per motivi
soggettivi, è nel senso che occorre avere riguardo all'elemento oggettivo in ogni suo
aspetto, anche in relazione alla posizione delle parti, della dedotta inadempienza, nonché
all'elemento psicologico soggettivo del prestatore dedotto inadempiente, alla luce del
rilievo che, essendo la massima sanzione espulsiva la estrema ratio (disponendo il datore
di sanzioni disciplinari anche gravi, ma conservative), entrambi gli elementi devono
essere rivelatori di una estrema gravità oggettiva e soggettiva dell'inadempimento, alla
stregua del quale appunto nessuna altra sanzione (salvo la massima ablativa) si riveli
adeguata.
Espressive di tali impostazioni interpretative possono ritenersi le seguenti sentenze della
Corte suprema, che, per completezza espositiva, pare opportuno trascrivere in parte qua:
"L'inadempimento legittimante il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo deve
essere notevole, in particolare per il venir meno dell'elemento della fiducia che deve
necessariamente sussistere tra le parti, e vanno valutati gli aspetti concreti dei fatti addebitati
al lavoratore, con riguardo alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle
parti stesse, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, alle
circostanze del loro verificarsi, ai motivi ed all'intensità dell'elemento intenzionale. La
valutazione della gravità delle infrazioni commesse da un lavoratore subordinato e la loro
attitudine a costituire giustificato motivo di licenziamento per giusta causa o giustificato
motivo, si sostanzia in un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito, censurabile,
in sede di legittimità, nel caso in cui, in relazione alle circostanze di fatto, ai motivi ed
all'intensità dell'elemento intenzionale, non sia motivato in modo congruo. Nella specie non
possono ravvisarsi gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo nel ritardato invio di
due certificati medici e nelle ingiurie proferite dalla lavoratrice ad un consulente esterno
dell'azienda, in quanto la lavoratrice aveva comunicato tempestivamente per telefono la
malattia e, in considerazione della veste di consulente esterno dell'offeso, il comportamento
della stessa non appare di gravità tale da incidere sulla fiducia insita nel rapporto di lavoro.”
Cassazione civile, sez. lav., 14 luglio 1989, n. 3330;
Nello stesso senso le pronuncie di seguito in massima riportate:
"la giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c. deve rivestire il carattere di grave negazione
degli elementi del rapporto di lavoro ed in particolare dell'elemento della fiducia che deve
effettivamente sussistere fra le parti; tale valutazione va operata con riferimento non al fatto
astrattamente considerato bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del
singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche
mansioni del dipendente nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze
del suo verificarsi, ai motivi ed all'intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo.”
Cassazione civile sez. lav., 27 novembre 1992 n. 12678;
“Per stabilire l'esistenza della giusta causa di licenziamento occorre accertare in concreto se in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso
abbia avuto il prestatore d'opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di
fiducia che quel rapporto comportava - la specifica mancanza commessa dal dipendente,
considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata
soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in
essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente, risulti
obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere, in modo grave, così da farla venir meno, la
fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere sanzioni
non minori di quelle massime, definitivamente espulsive. La valutazione della gravità
dell'infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un
apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se
congruamente motivato.”
Cassazione civile sez. lav., 28 aprile 1992 n. 5080;
“È incensurabile in sede di legittimità, in quanto sorretto da motivazione adeguata ed immune
da vizi, l'accertamento del giudice del merito in ordine alla legittimità del licenziamento con
preavviso del vicedirettore di un'agenzia bancaria ritenuto responsabile, ad onta dei particolari
doveri di correttezza e diligenza impostigli dal grado, di reiterare violazioni di istruzioni e
regole organizzative con conseguente lesione dell'immagine della banca e rischio per l'attività
creditizia della medesima.”
Cassazione civile sez. lav., 3 dicembre 1991 n. 12938;
“il comportamento di un funzionario di banca, consistente in reiterate violazioni di regole
organizzative e di istruzioni precise dell'istituto, essendo lesivo dell'immagine della banca verso
i clienti e fonte di pericolo e di rischio per la stessa attività creditizia e concretandosi in fatti
rivelatori della abituale inosservanza della normativa, pregiudica profondamente ed
irreparabilmente il vincolo di fiducia e legittima il licenziamento per giustificato motivo
soggettivo del lavoratore."
Cassazione civile sez. lav., 3 dicembre 1991 n. 12938;
"Al fine della verifica della sussistenza o meno del giustificato motivo di licenziamento di un
dipendente bancario, le violazioni del dovere di diligenza e di obbedienza, intesi
rispettivamente, ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 2104 c.c., come obbligo di usare la diligenza
richiesta dalla natura della prestazione lavorativa e di osservare le disposizioni impartite dal
datore di lavoro, debbono essere valutate con riguardo alla idoneità del comportamento del
lavoratore ad arrecare pregiudizio all'interesse del datore di lavoro, indipendentemente dalla
verificazione o meno di un danno effettivo da apprezzare, peraltro, ove sussistente, in via non
assoluta ma relativa, cioè in rapporto alla posizione del dipendente nell'ambito
dell'organizzazione imprenditoriale bancaria (con la conseguenza di ritenere tanto maggiore
l'inadempimento quanto maggiore è l'importo del profitto indebitamente acquisito in rapporto a
quello acquisibile in virtù della posizione predetta) - e tenendo anche conto, con specifico
riguardo al settore degli affidamenti, della maggiore o minore probabilità del danno in relazione
alle qualità, sul piano sia economico che morale, del soggetto cui il fido è stato
illegittimamente concesso."
Cassazione civile, sez. lav., 9 febbraio 1989 n. 823;
Nel caso di specie gli inadempimenti particolari contestati in data 16.7.01 fanno
riferimento o alla questione del copricapo o a quella del trasporto dei pazienti.
Quanto allo jus variandi, la mansione di ostetrica può ritenersi sostanzialmente
equivalente a quella di infermiere professionale, (ed infatti il ccnl le include nella
categoria C) e, comunque, si è trattato di uno jus variandi accettato dalla ricorrente
quanto meno per facta concludentia e non specificatamente contestato, e, comunque,
emerge, dalla deposizione del teste Rosi e della teste Giusti, la riduzione della necessità
delle ostetriche e, dunque, a fronte della prevalente esigenza della conservazione del
rapporto di lavoro, l'art 2103 c.c., in parte qua, è, per diritto vivente, derogabile.
Non vi è prova, però, che la ricorrente abbia accettato le mansioni proprie della categoria
A2 - "provvedano al trasporto degli infermi"-, cioè di due categorie inferiori rispetto a
quella di appartenenza formale, ma anzi uno dei motivi dei contrasti è stato
rappresentato dalla sua non valutazione di non esigibilità contrattuale (teste Carretti,
"adducendo che non rientrava nelle sue mansioni"), valutazione che, non trattandosi di
mansione richiesta in via episodica, ad avviso del tribunale, deve ritenersi fondata.
In ogni caso, (e fermo restando il diritto ad un recesso per motivi oggettivi, cioè a
cagione di una non integra capacità di lavoro), è documentale la non piena idoneità della
ricorrente a mansioni implicanti sforzi fisici "eccessivi" (cfr. certificazioni medico
competente in data 11.3.98 e 20.3.00, doc. n. 20 e n.29 delle produzioni attoree).
Ciò inverte, ad avviso del tribunale l'onere della prova, posto che la pregressa datrice
doveva comprovare non solo il rifiuto della mansioni, ma anche che questa fosse in
concreto esigibile.
Quanto al punto 1 della contestazione del 16.7.01 (come poi è emerso dalla deposizione
del teste Galletti), non vi è prova dell'esistenza di un collega che fosse disponibile a
coadiuvarla, né, comunque, della compatibilità in concreto in riferimento al peso del
paziente, e ciò anche in riferimento quanto al predetto peso (punto 3 della contestazione,
cfr. doc n. 26 di parte convenuta, deposizione teste Galletti). E la ricorrente ha sempre
addotto a motivo del rifiuto la sua non integra capacità di lavoro (teste Carretti).
Quanto alla questione copricapo non si è, comunque, di nuovo trattato di una gratuita
iattanza (e quindi di una immotivata insubordinazione), posto che, quanto meno, sotto il
profilo soggettivo, non può non assegnarsi rilevanza alla certificazione in data 6.6.00
(doc n. 28 di parte ricorrente), di nuovo di non incondizionata piena idoneità al "velo",
in ragione di una dermatite, il ché di nuovo, in mancanza dell'esercizio di un recesso per
motivi oggettivi, inverte l'onere della prova, che doveva quindi avere ad oggetto la
fornitura di un capo di vestiario (copricapo) compatibile, e sul punto le deposizioni al
pari delle valutazioni dell'ausiliare officiato sono generiche. Anche in relazione alla ultime
due contestazioni del 16.7.06, la diatriba, quanto meno sul piano soggettivo, non era
sopita, posto che il direttore sanitario, (cfr. doc n. 25 di parte convenuta), era in data
29.6.01 a dichiarare:" (..) siamo in attesa di conoscere dal suo medico curante ulteriori
indicazioni su come debba essere la cuffia da indossare, quella di cotone puro, senza
elastici è stata rifiutata (..)". Non senza aggiungere, che gli inadempimenti che il ccnl
valuta costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso sono assai più
gravi, e che quelli addebitati, anche ove reieterati, sembrano annoverati, specie ove
assistiti da una non particolare intensità dell'elemento soggettivo, per quanto sopra
osservato, come meritevoli di sanzioni meramente conservative, e non già espulsive.
Per completezza espositiva si trascrive l'art.33 del ccnl 23.12.99:
SANITÀ PRIVATA - CCNL PERSONALE NON MEDICO - PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
SANITA' PRIVATA - PERSONALE NON MEDICO
(Provvedimenti disciplinari)
I provvedimenti disciplinari debbono essere adottati da parte dell'Amministrazione in
conformità all'art. 7, della legge n. 300 del 20 maggio 1970, e nel pieno rispetto delle
procedure ivi stabilite (necessità della contestazione per iscritto, obbligo di assegnare al
lavoratore un termine di almeno cinque giorni per presentare le proprie deduzioni, facoltà del
lavoratore di essere ascoltato di persona e/o di essere assistito dal Rappresentante delle
OO.SS. cui conferisce mandato), nonché nel rispetto, da parte del datore di lavoro, dei principi
generali di diritto vigenti in materia di immediatezza, contestualità ed immodificabilità della
contestazione disciplinare.
Al riguardo si conviene che la contestazione disciplinare deve essere inviata al lavoratore
non oltre il termine di trenta giorni dal momento in cui gli Organi direttivi sanitari ed
amministrativi delle Strutture di cui all'art. 1 del presente contratto hanno avuto effettiva
conoscenza della mancanza commessa.
Si conviene altresì che il provvedimento disciplinare non possa essere adottato dal datore
di lavoro oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della deduzione da parte del
lavoratore.
Si pattuisce che il predetto termine di trenta giorni rimane sospeso nel caso in cui il
dipendente richieda di essere ascoltato di persona unitamente al Rappresentante
sindacale, riprendendo poi a decorrere "ab initio" per ulteriori trenta giorni dalla data in
cui le parti si saranno incontrate per discutere della contestazione.
Le mancanze del dipendente possono dar luogo all'adozione dei seguenti provvedimenti
disciplinari da parte dell'Amministrazione:
1) richiamo verbale;
2) richiamo scritto;
3) multa non superiore all'importo di quattro ore della retribuzione;
4) sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un periodo non superiore a dieci
giorni.
Esemplificativamente, a seconda della gravità della mancanza e nel rispetto del principio
della proporzionalità, incorre nei provvedimenti di cui sopra il lavoratore che:
a) non si presenti al lavoro omettendo di darne comunicazione e
giustificazione ai sensi dell'art. 28, o abbandoni anche temporaneamente il
posto di lavoro senza giustificato motivo;
b) ritardi l'inizio del lavoro, o lo sospenda, o ne anticipi la cessazione senza
giustificato motivo;
c) commetta grave negligenza in servizio, o irregolarità nell'espletamento dei
compiti assegnati;
d) non si attenga alle disposizioni terapeutiche impartite, non si attenga alle
indicazioni educative, non esegua le altre mansioni comunque connesse alla
qualifica, assegnate dalla Direzione o dal superiore gerarchico diretto;
e) ometta di registrare la presenza secondo le modalità stabilite dalla Struttura;
f) compia qualsiasi insubordinazione nei confronti dei superiori gerarchici;
esegua il lavoro affidatogli negligentemente, o non ottemperando alle
disposizioni impartite;
g) tenga un contegno scorretto o offensivo verso i degenti, il pubblico e gli
altri dipendenti;
h) violi il segreto professionale e di ufficio; non rispetti l'impostazione e la
fisionomia propria della Struttura sanitaria e non attui metodologie
educative, didattiche e riabilitative proposte dalle equipes direttive;
i) compia in genere atti che possono arrecare pregiudizio all'economia,
all'ordine e all'immagine della Struttura sanitaria, fermi restando i diritti
tutelati dalla legge n. 300/1970;
j) ometta di comunicare all'Amministrazione ogni mutamento, anche di
carattere temporaneo dei dati di cui all'art. 10 del presente c.c.n.l., ovvero
rilasci autocertificazioni non veritiere;
k) ometta di esporre in modo visibile il cartellino identificativo;
l) ponga in essere atti, comportamenti, molestie anche di carattere sessuale
lesivi della dignità della persona nei confronti di altro personale.
Sempreché si configuri un notevole inadempimento e con il rispetto delle normative
vigenti, è consentito il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo:
A) nei casi previsti dal capoverso precedente qualora le infrazioni
abbiano carattere di particolare gravità;
B) assenza ingiustificata per tre giorni consecutivi o assenze
ingiustificate ripetute per tre volte in un anno, in un giorno
precedente e/o seguente alle festività ed alle ferie;
C) recidivo in qualunque mancanza quando siano stati comminati due
provvedimenti di sospensione disciplinare nell'arco di un anno
dall'applicazione della prima sanzione;
D) assenze per simulata malattia;
E) introduzione di persone estranee nell'azienda senza regolare
permesso;
F) abbandono del posto di lavoro durante il turno di lavoro notturno;
G) alteri o falsifichi le indicazioni del registro delle presenze o
dell'orologio marcatempo o compia su queste, comunque,
volontariamente annotazioni irregolari;
H) per uso dell'impiego ai fini di interessi personali;
I) per violazione del segreto professionale e di ufficio per qualsiasi
atto compiuto per negligenza che abbia prodotto grave danno ad
un infermo, all'Amministrazione o a terzi;
J) per tolleranza di abusi commessi da dipendenti;
K) per svolgimento di attività continuativa privata, o comunque per
conto terzi, con esclusione dei rapporti a tempo parziale;
L) per i casi di concorrenza sleale posti in essere dal dipendente,
secondo i principi generali di diritto vigente;
M) detenzione per uso o spaccio di sostanze stupefacenti all'interno
della Struttura;
N) molestie di carattere sessuale rivolte a degenti e/o accompagnatori
all'interno della Struttura;
O) per atti di libidine commessi all'interno della Struttura.
È in facoltà dell'Amministrazione di provvedere alla sospensione cautelare onde
procedere ad accertamenti preliminari in caso di adozione di licenziamento. Al
dipendente sospeso cautelativamente è concesso un assegno alimentare nella misura non
superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia.
La predetta elencazione ha carattere indicativo ed esemplificativo e non esaustivo dei
casi che potranno dar luogo all'adozione del provvedimento di licenziamento per
mancanze.
Ed è noto che la valutazione di proporzionalità non ha natura astratta, ma deve, in primo
luogo, essere parametrata ai prodotti della autonomia negoziale collettiva.
Si veda, ad esempio, il seguente arresto:
"Il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo
costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una
determinata infrazione. (Nella specie, la S.C. ha annullato per vizio di motivazione la sentenza
impugnata, che aveva omesso ogni riferimento alla normativa contrattuale applicabile al
rapporto di lavoro subordinato con mansioni di "merchandising", essendosi limitata a
sottolineare che la libertà di cui gode il lavoratore-venditore nella gestione del tempo e delle
modalità di lavoro non lo esonera dall'obbligo di presenza attiva ed assidua nella zona
assegnatagli e che nel caso del venditore l'elemento fiduciario assume valore determinante,
attesa l'impossibilità di effettuare i controlli tipici del rapporto di lavoro subordinato).”
Cassazione civile, sez. lav., 29 settembre 2005, n. 19053, Vittone c. Soc. Energizer Italia,
in Giust. civ. Mass. 2005, f. 7/8;
Piuttosto è il profilo oggettivo quello che pare emergere, con più nitidezza, nel senso che
una ridotta capacità di lavoro, del 15%, (cfr elaborato dell'ausiliare), in uno con la
"sindrome ansiosa depressiva di notevole intensità", che l'ausiliare officiato ha ricondotto
ad una genesi extraprofessionale, (l'intervento chirurgico del 98 - si veda la certificazione
attorea n. 25 in data 27.1.00), in un contesto lavorativo necessariamente sinergico ed anzi
sincronico, e intriso da evidente delicatezza delle relative mansioni e quindi dall'elevato
grado di affidabilità necessario, avrebbe potuto costituire, ove di imprevedibile durata,
un motivo di recesso ex art 1463 e 1464 c.c., (e, in questo senso, era stata la
"segnalazione" del medico competente dott. Gambuzzi in data 20.3.00; cfr. predetto doc.
n. 29 attoreo). Ma tale diritto non è stato, dalla odierna convenuta, esercitato.
Quanto al versante soggettivo, invece, (l'unico sub judice), ad avviso del tribunale, difetta,
(complessivamente valutata la condotta addebitata, in uno con i precedenti), il suo
comportamento processuale.
Invero, se l'emanazione dell'ordine di esibizione delle dichiarazioni dei redditi o
"certificazioni sostitutive", sollecitato dalla convenuta all'udienza del 19.5.04, avrebbe
postulato la prova della loro esistenza, così come esplorativa deve ritenersi, ad avviso del
tribunale, la richiesta di esibizione del libretto di lavoro, ben la ricorrente poteva
richiedere e produrre le relative certificazioni alla locale agenzia delle entrate in punto ai
redditi conseguiti o meno nel lasso temporale di riferimento.
E, comunque, l’onere della prova delle ragioni eventualmente non imputabili della
cessazione del rapporto ammesso, (spirare del termine, recesso dell'altro contraente non
assistito da giusta causa e così via) e, quindi, della incolpevole perdita del reddito relativo,
gravava sul ricorrente, e con ogni correlativo riflesso sul versante assicurativo, posto che
l'istituto della contribuzione figurativa è eccezionale, e quella effettiva non può che
essere commisurata alle mensilità riconosciute (Cass. n.3905/02).
Si veda il seguente arresto:
"In tema di risarcimento del danno subito dall'invalido, o da altro appartenente alle categorie
protette avviato al lavoro ex l. 2 aprile 1968 n. 482, a seguito dell'ingiustificato rifiuto di
assunzione dall'imprenditore, e corrispondente alle retribuzioni non percepite, il danno non è
risarcibile, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., nella misura in cui il danneggiato abbia
trascurato di attivarsi per evitarlo, mostrando una negligenza di cui possono essere sintomi
l'oggettivo ritardo con cui è stata proposta l'azione giudiziale e la mancata attivazione nella
ricerca di una nuova occupazione agevolata dalla situazione di invalidità. La misura del danno
risarcibile può, quindi, essere determinata in via equitativa, ex art. 1226, c.c., mediante la
riduzione della somma richiesta, anche in difetto di una espressa eccezione di controparte in
ordine al quantum, essendo sufficiente che vi sia stata la rituale allegazione dei fatti rilevanti
che gli stessi risultino provati."
Cassazione civile, sez. lav., 11 novembre 2002, n. 15838, Pizzardi c. Soc. Villa del Sole, in
Giust. civ. Mass. 2002, 1957; Soc. Baldati e altro c. Pezzella, in Riv. it. dir. lav. 1997, II,
800 (con nota di Bonardi).
Sul collegamento tra disponibilità della prova e soggetto onerato si veda, da ultimo, Cass.
S.U. n.141/06.
1. B. Conclusioni
Va, dunque, resa la pronuncia condannatoria di cui al dispositivo in calce, posto che gli
accessori sono di nuovo cumulabili all'esito della sentenza n. 459/00 del giudice delle
leggi e sono, come è noto, riconoscibili anche d'ufficio, (Cass n. 13430/00).
2. Mobbing
Il "mobbing "non ha ancora avuto una specifica regolamentazione da parte del diritto
positivo, e consiste, alla stregua dell'elaborazione dottrinale e della sua emersione
giurisprudenziale, in una serie di atti datoriali (o all'organizzazione datoriale riferibili,
quanto meno, ex art 2049 cod civ, in caso di mobbing "orrizontale" o di mobbing
"ascendente"), sforniti di qualsiasi utilità diretta per l'organizzazione e, quindi,
(presuntivamente) diretti alla (gratuita) lesione dell'integrità psico-fisica del prestatore.
Da un punto di vista oggettivo occorre quindi una serialità di atti o, comunque, di
comportamenti ognuno dei quali o già di per sé privo di tutela (ed anzi, riprovato
dall'ordinamento già ex art .1345 cod civ o ex art 15 della legge n. 300/70) o, comunque,
ove sotto altro profilo lecito, ma, si ribadisce, privo di una utilità aziendale e con finalità
unicamente vessatoria.
Da uno soggettivo e finalistico non pare bastevole la consapevolezza della illegittimità,
(ad esempio, l'esercizio dello jus variandi in peius potrebbe semplicemente rispondere
all'esigenza di ovviare ad una vacanza nelle qualifiche inferiori - nel caso di specie in
relazione ad un sottodimensionamento, per ragioni presuntivamente di risparmio dei
relativi costi, del contingente degli ausiliari in senso stretto -), ma pare occorrere uno
specifico animus nocendi diretto alla lesione della personalità del prestatore.
Si veda, ad esempio, il seguente arresto:
"Le controversie dirette ad accertare fattispecie di "mobbing" comportano per loro stessa
natura una penetrazione psicologica dei comportamenti, al di là di atti che possono presentarsi
anche come legittimi e inoffensivi, in modo da indagarne il carattere eventualmente vessatorio,
ossia dolosamente diretto a svilire, nuocere o ledere la dignità personale e professionale di un
dipendente. La coscienza e volontà del "mobber" si pone rispetto al fatto non solo come
elemento essenziale e costitutivo dell'illecito, ma come elemento idoneo persino a darvi
significato: in altri termini, senza il dolo specifico del "mobber" gli atti potrebbero tutti apparire
legittimi e leciti.”
Tribunale Trieste, 10 dicembre 2003, P.S. c. Camera comm. ind. artig. agr. e altro, in
Lavoro nella giur. (II) 2004, 1183, (con nota di Nunin);
Non dissimilmente, di recente, si veda Cass. n.4774/06.
Premesso che l'onere probatorio della condotta datoriale che si assume costituire
"mobbing" grava sul prestatore, lo stesso non pare possa dirsi, ad avviso del tribunale,
assolto.
Quanto alle mansioni, il trasporto dei pazienti era richiesto anche alle altre infermiere e,
quindi, pare derivare, si ribadisce, da una penuria di ausiliari e non è, quindi, espressiva di
una gratuita finalità di vessare la ricorrente.
Anche nei confronti delle colleghe era preteso l'indossare capi conformi alle direttive
aziendali ed il contenzioso, in parte qua, pare originato dalla dermatite allegata, di cui
sopra, rimasta – anche per responsabilità della ricorrente – in punto ad effettuazione di
esami mirati, ignota quanto a eziopatogenesi specifica (si vedano le osservazioni della
ctu sul punto).
Il proporre una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non è un atto
antigiuridico, né, di per sé, vessatorio. Trattasi di una proposta contrattuale assai
frequente nei rapporti di lavoro ad opera di una o dell'altra parte, che può essere, nel
simmetrico esercizio dell'autonomia negoziale individuale, accettata o, come nella specie,
- cfr. teste D'Anna – rifiutata, e semplicemente rivela un non particolare interesse per il
proponente in punto alla prosecuzione del rapporto.
Le contestazioni disciplinari non sono state (per quanto viziate nella forma o, per quanto
sopra osservato, nel merito) pretestuose, né, al pari dell'atto di recesso, poste in essere
con modalità ingiuriose, e quindi anche le conseguenze della illegittimità del recesso non
possono che essere solo quelle di cui all'art 18 della legge n.300/70 e non di più.
Si veda, ad esempio, la seguente massima:
"L'ingiuriosità del licenziamento non consiste nella contestazione di un fatto lesivo dell'onere e
del decoro del lavoratore (essendo tale contestazione dovuta dal datore di lavoro), bensì nella
forma del provvedimento e nella pubblicità che venga eventualmente data ad esso, né consiste
nel mero difetto di giustificazione del licenziamento o nella genericità della relativa
contestazione, essendo sempre necessaria la prova che tale licenziamento, per le forme
adottate o per altre peculiarità, sia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, ed atteso
altresì che un licenziamento ingiustificato o non motivato (ovvero motivato sulla base di una
contestazione generica) è sicuramente illegittimo e come tale produce un danno risarcibile a
norma di legge, ma non è, perciò solo, anche ingiurioso, onde il lavoratore non può pretendere
a tale titolo un ulteriore risarcimento ove non provi di aver subito anche un danno diverso da
quello derivante dall'essere stato illegittimamente licenziato o da quello consistente nel non
aver potuto adeguatamente replicare alle contestazioni mossegli a causa della estrema
genericità delle medesime.”
Cassazione civile, sez. lav., 14 maggio 2003, n. 7479, Cannatà c. Rebaudi, in Giust. civ.
Mass. 2003, f. 5;
3. Regolazione delle spese di lite
La peculiarità della fattispecie e la parziale soccombenza anche attorea, inducono ad
avviso del tribunale, quanto alla regolazione delle spese di lite, alla determinazione resa
con il dispositivo.
PQM
definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda od eccezione disattesa e respinta:
annulla il licenziamento impugnato e condanna la convenuta a reintegrare parte
ricorrente nel posto di lavoro e a corrisponderle la retribuzione globale di fatto dal
licenziamento al 31.12.02, oltre agli accessori, di cui all'art 429, terzo comma, cpc, dal
dovuto al saldo, nonché a versare, in relazione all'imponibile predetto, la contribuzione
di legge.
Respinge le residue domande attoree.
Compensa le spese di lite fra le parti.
Modena, 31.5.06
IL G.D.L.
Dott. Claudio Bisi
Depositata in Cancelleria il 19 GIU 2006
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Testo completo della sentenza n. 262/06 del 19/06/06