IL PENSIERO DI BERTRAND RUSSEL
Centro Studi “Nino Pino Balotta”
PENSIERO
Nei Principi della matematica, scritti in collaborazione con Whitehead, Russell
cercò di derivare tutta la matematica pura da un ristretto numero di concetti
logici fondamentali ed elaborò in modo sistematico la teoria dei tipi, quale
soluzione ai paradossi logici derivanti dal concetto di classe, come, ad esempio,
quello classico del cretese Epimenide che afferma "tutti i cretesi sono bugiardi".
La teoria dei tipi stabilisce una gerarchia di livelli logici tra i concetti ed i simboli
i quali si distinguono in tipi di ordine crescente. Sono di tipo zero quelli che
indicano gli individui, di tipo uno quelli che indicano le proprietà degli individui,
di tipo due quelli che indicano le proprietà delle proprietà degli individui, ecc.. Per
tornare al paradosso di Epimenide, questo, in buona sostanza, afferma: "tutte le
proposizioni di primo ordine da me affermate sono false". Così facendo, egli però
afferma una proposizione di secondo ordine, per cui non cade in nessuna
contraddizione.
Con l'articolo Sulla denotazione, Russell enunciò una nuova teoria della
descrizione, dimostrando come ogni proposizione che contiene una descrizione
può essere ricondotta a un'altra equivalente che non contiene più la descrizione.
Ciò permette di esaminare tutte le proposizioni esclusivamente sotto il profilo
linguistico, prescindendo da qualunque riferimento ontologico. Sulla base di tale
apparato teorico è possibile costruire una lingua perfetta in cui gli enunciati
complessi sono costruzioni di funzioni e costituenti elementari (costruzionismo
logico).
Nella sua prima opera propriamente filosofica, I problemi della filosofia,
Russell considerò la scienza, in particolare la fisica, il modello della conoscenza
certa, a cui si contrappone la conoscenza vaga e contraddittoria del senso
comune. La filosofia non può che partire dal senso comune, ma deve elaborare i
risultati conseguiti dalla scienza per sfuggire alle trappole dello scetticismo e del
solipsismo (dottrina che considera l'io del soggetto l'unica realtà esistente). In
tale processo di chiarimento Russell individua dei postulati (l'induzione, la
causalità, l'esistenza del mondo esterno e delle menti altrui, l'affidabilità della
memoria ecc.) che sono implicitamente accettati sia dalla scienza sia dal senso
comune, ma di cui è impossibile una dimostrazione filosofica certa. Anche da un
punto di vista ontologico il problema di Russell è di collegare gli oggetti del senso
comune e quelli della fisica. Una prima risposta (La filosofia dell'atomismo
logico) è quella dell'atomismo logico, per il quale il mondo è costituito da fatti
atomici, fatti cioè descritti in una proposizione atomica (non ulteriormente
scomponibile): per esempio, "Socrate è ateniese". Per tramite delle leggi della
logica si uniscono proposizioni atomiche ottenendo proposizioni complesse, le
quali riflettono le strutture complesse della realtà. I fatti atomici sono costituiti da
una sostanza neutrale primitiva, né spirituale né materiale, che sta alla base sia
della psicologia, sia della fisica.
Aforismi di Bertrand Russell
I nove decimi delle attività di un governo moderno sono dannose; dunque, peggio
son svolte, meglio è.
I patrioti parlano spesso di morire per il loro paese, e mai di ammazzare per la
loro patria.
Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che
non sia completamente assurda.
Ciò che gli uomini vogliono realmente non è la conoscenza, ma la certezza.
Il proverbio è l'ingegno di un uomo e la saggezza di tutti.
Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti
sono pieni di dubbi.
I moralisti sono persone che rinunciano ad ogni piacere eccetto quello di
immischiarsi nei piaceri altrui.
É la preoccupazione per ciò che si possiede, più di ogni altra cosa, che impedisce
agli uomini di vivere liberamente e nobilmente.
Acquisire un'immunità all'eloquenza è della massima importanza per i cittadini di
una democrazia.
Esistono due motivi per leggere un libro: uno, perché vi piace, e l'altro, che
potrete vantarvi di averlo letto.
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I nove decimi delle attività di un governo moderno sono dannose; dunque,
peggio son svolte, meglio è. (da The Problem of China, George Allen & Unwin,
Londra, 1922)
I tipi di lavoro sono due: il primo, modificare la posizione di materia sulla o
vicino alla superficie della Terra rispettivamente ad altra materia simile; il
secondo, dire ad altre persone di fare questo. Il primo tipo è brutto e mal
pagato; il secondo è piacevole e pagato molto bene. (da Introduction to
Mathematical Philosophy)
Il metodo del "postulare" quello che vogliamo ha molti vantaggi; sono gli stessi
vantaggi di un furto nei confronti di un onesto lavoro. (da Introduction to
Mathematical Philosophy)
Il nostro io non è un frammento molto importante del mondo. (da La conquista
della felicità)
La causa principale dei problemi è che al mondo d'oggi gli stupidi sono
strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
The fundamental cause of the trouble is that in the modern world the stupid are
cocksure while the intelligent are full of doubt. (da The Triumph of Stupidity,
1933-05-10)
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La fede in una missione divina è una delle tante forme di certezza che hanno
afflitto la razza umana. (da Saggi impopolari)
La matematica può essere definita la materia in cui noi non sappiamo mai di
che cosa stiamo parlando né se quello che stiamo dicendo è vero.
La matematica, vista nella giusta luce, possiede non soltanto verità ma anche
suprema bellezza – una bellezza fredda e austera, come quella della scultura.
(da Misticismo e logica)
L'amore è una esperienza attraverso la quale tutto il nostro essere viene
rinnovato e rinfrescato, come accade alle piante quando la pioggia le bagna
dopo la siccità. Nel rapporto sessuale senza amore non vi è nulla di tutto
questo. Quando il piacere momentaneo finisce, resta la stanchezza, il disgusto,
e la vita sembra vuota. L'amore è parte della vita della terra; il sesso senza
l'amore, no. (da La conquista della felicità, trad. Giuliana Pozzo Galeazzi,
Longanesi, Milano 1969, p. 64)
La psicologia dell'adulterio è stata falsata dalla morale convenzionale, che
esclude, nei paesi monogami, che l'attrazione per una persona possa
coesistere con il serio affetto per un'altra. Tutti sanno che questo è falso. (da
Matrimonio e Morale)
La società di oggi tende al formicaio. Lo Stato non si pone più come un
assoluto di fronte ai singoli e ai gruppi: è semplicemente lo strumento
amministrativo della società stessa. (Hegel aveva presagito qualcosa del genere
con l'idea dello «Stato etico»). Perciò lo Stato da una parte è totalitario (ripeto
qualsiasi ne sia la struttura istituzionale), ma d'altra parte è sconsacrato.[1]
Le condizioni di vita degli uomini influiscono molto sulla loro filosofia, ma
d'altra parte la loro filosofia influisce molto sulle loro condizioni. (da Storia
della filosofia occidentale, traduzione di L. Pavolini, TEA)
Le opinioni dell'uomo medio sono molto meno fallaci di quelle che sarebbero se
essi pensassero a se stessi.
Le stelle sono nel cervello dell'uomo.
L'educazione ha due scopi, da una parte forma lo spirito, dall'altra prepara il
cittadino. Gli ateniesi si fissarono sul primo, gli spartani sull'altro. Gli spartani
vinsero, ma gli ateniesi furono ricordati. (da La visione scientifica del mondo,
traduzione di E. Oliva, Mondadori)
Non c'è più «ragione di Stato», nel senso che non si possono più invocare i fini
superiori dello Stato contro le esigenze e le convinzioni della comunità
sociale.[1]
Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c'è una teiera di porcellana in
rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire
la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola
per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io
dicessi che –posto che la mia asserzione non può essere confutata– dubitarne
sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si
penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l'esistenza di
una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica
come la sacra verità, ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione
nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe
il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore
in un tempo antecedente.
If I were to suggest that between the Earth and Mars there is a china teapot
revolving about the sun in an elliptical orbit, nobody would be able to disprove
my assertion provided I were careful to add that the teapot is too small to be
revealed even by our most powerful telescopes. But if I were to go on to say that,
since my assertion cannot be disproved, it is an intolerable presumption on the
part of human reason to doubt it, I should rightly be thought to be talking
nonsense. If, however, the existence of such a teapot were affirmed in ancient
books, taught as the sacred truth every Sunday, and instilled into the minds of
children at school, hesitation to believe in its existence would become a mark of
eccentricity and entitle the doubter to the attentions of the psychiatrist in an
enlightened age or of the Inquisitor in an earlier time. (da Is There a God?, 1952,
commissionato (ma mai pubblicato) dalla rivista Illustrated)
 Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti.
(da Matrimonio e Morale)
 [Sul suo discepolo Ludwig Wittgenstein] Una certa aria di misticismo l'avevo già
sentita nel suo libro, ma sono rimasto sconcertato nello scoprire che è
diventato un mistico, nel senso pieno del termine. Legge autori come
Kierkegaard e Angelus Silesius e sta valutando seriamente l'idea di farsi
monaco. (da una lettera citata in Brian McGuinness, Wittgenstein)
 Una delle differenze tra la poesia e la nuda enunciazione di un fatto è che la
poesia cerca di portare il lettore dietro le parole, verso ciò che esse significano.
(da La conoscenza umana. Le sue possibilità e i suoi limiti, traduzione di
Camillo Pellizzi, Longanesi, Milano)
 Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero
non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità
aumentano, ma la saggezza svanisce. (da La visione scientifica del mondo)
 Di due attività che gli siano state insegnate, l'uomo generalmente preferisce la
più difficile: nessun giocatore di scacchi gioca a dama. (da Saggi scettici
(Psicologia e politica))
 Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete
d'amore, la ricerca della conoscenza e una struggente compassione per le
sofferenze dell'umanità. (da Autobiografia)
 Siamo portati a pensare che, per effettuare in pratica misure precise, sia
preferibile usare una sbarra d'acciaio piuttosto che un'anguilla viva. È uno
sbaglio; non perché l'anguilla ci dica quel che si presume la sbarra debba
dirci; bensì perché in realtà la sbarra non ci dice niente di più di quel che non
ci dica l'anguilla. Non è che le anguille siano rigide: è che in realtà le sbarre
d'acciaio si contorcono. A un osservatore che si trovasse in un determinato
stato di moto, l'anguilla apparirebbe rigida mentre la sbarra sembrerebbe
agitarsi esattamente come noi vediamo agitarsi l'anguilla. Per chiunque si
muovesse in modo diverso sia da noi sia da questo osservatore, tanto l'anguilla
quanto la sbarra apparirebbero in agitazione. E non è il caso di affermare che
un osservatore ha ragione e un altro ha torto. In faccende del genere, quel che
si vede non va riferito unicamente al processo fisico osservato, ma anche al
punto di vista dell'osservatore. Le misure delle distanze e dei tempi non
rivelano direttamente le proprietà delle cose misurate, ma i rapporti tra le cose
e il misuratore. (da L'ABC della Relatività)
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L'universo, quale l'astronomia ce lo rivela, è immenso. Quant'altro ci sia di là
della portata dei telescopi, non possiamo dire; ma quella parte che non
conosciamo è di inimmaginabile immensità. Nel mondo visibile la Via Lattea
rappresenta un minuscolo frammento. In questo minuscolo frammento il
sistema solare è una macchia infinitesima, e di questa macchia il nostro
pianeta costituisce un puntolino microscopico. Su questo puntolino tanti
minuscoli aggregati di carbonio ed acqua, dalla struttura complicata, e dotati
di alquanto inusuali proprietà fisiche e chimiche, strisciano per pochi anni,
fino a quando non tornano a dissolversi negli elementi di cui sono composti.
Dividono il loro tempo tra il lavoro escogitato per posticipare il momento in cui
ciascuno di essi si dissolverà, e frenetiche lotte per impedire quel lavoro agli
altri esseri della loro specie. Convulsioni naturali distruggono periodcamente
migliaia o milioni di essi, e le malattie ne spazzano via prematuramente un
numero anche maggiore. Questi avvenimenti sono considerati disgrazie; ma
quando gli uomini riescono a procurare con le loro stesse mani simili
distruzioni, ne gioiscono, e ne rendono grazie a Dio. (da Saggi Scettici, 1928)
La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive. (citato in Call
of Duty 4: Modern Warfare)
BERTRAND RUSSELL:
una filosofia per il nostro tempo?*
Antonio Catalfamo
SUNDAY, 29 JULY 2007
Bertrand Russell è stato uno dei grandi intellettuali che hanno capito la necessità
di superare la barriera artificiale che separa sapere umanistico e sapere
scientifico. A diciotto anni entra all’Università di Cambridge, dove studia per tre
anni matematica e dedica il quarto anno alla filosofia.
Diviene di lì a poco uno dei più autorevoli studiosi di filosofia matematica.
Insegna al Trinity College di Cambridge dal 1910 al 1916. Il compito della filosofia
non è per lui quello di risolvere i “problemi dell’anima”, bensì di affrontare i
problemi concreti degli uomini. Perciò è un convinto pacifista e si oppone con
tutte le sue forze alle prima guerra mondiale. In conseguenza della sua battaglia
per la pace sconta sei mesi di carcere. Il suo impegno si estende sempre più,
abbracciando il campo dell’emancipazione della donna e dei diritti civili. Per
questo nel 1940 viene estromesso dall’insegnamento al City College di New York
come nemico della famiglia e della morale. Nel 1944 torna alla sua cattedra
universitaria di Cambridge. Nel 1950 viene insignito del Premio Nobel per la
Letteratura. Nel 1955 firma con Einstein ed altri scienziati il famoso manifesto
contro il pericolo di guerra atomica. Nel 1966 dà vita al “Tribunale Russell” contro
i crimini americani nel Vietnam. Muore quasi centenario nel 1970.
Credo che si possa dire di Bertrand Russell quello ch’egli scrisse di Einstein ne
“L’ABC della relatività” (1925): “Tutti sanno che (…) ha fatto qualcosa di
sorprendente, ma pochi sanno che cosa abbia fatto esattamente”. A questa
ignoranza diffusa si accompagnano le falsificazioni consapevoli. In un’epoca di
“inquinamento linguistico”, come la nostra, chi detiene il potere mass-mediatico
può facilmente cambiare le carte in tavola, dare un’idea sbagliata del pensiero di
un filosofo come Russell. Alcuni giornali di destra hanno
recentemente ristampato qualche sua opera, confondendo il suo liberalismo con il
liberismo imperante e strumentalizzando il Nostro come un antesignano della
lotta contro il comunismo. Ma Russell è stato un liberal-socialista, un
anticapitalista, attento più ai bisogni dei lavoratori che a quelli del padronato. In
un suo saggio, intitolato “Lacune del socialismo” e confluito nel volume “Le idee
politiche” (1917), egli, se, da un lato, critica il “socialismo di Stato”, in quanto
responsabile di un accentramento che allontana i burocrati dai problemi dei
lavoratori, dall’altro lato, si fa fautore di un “socialismo autogestito”, nel quale
ogni settore economico è, appunto, gestito direttamente da coloro che in esso
operano e che ben ne conoscono le caratteristiche e le problematiche. Russell
considera ancor più pericoloso del potere dei burocrati di Stato quello dei
capitalisti, che hanno un interesse esattamente opposto a quello dei lavoratori. In
un altro saggio, intitolato “Democrazia e tecnica scientifica”, confluito nel volume
“L’impatto della scienza sulla società” (1952), precisa i caratteri fondamentali di
quello ch’egli stesso definisce “socialismo democratico”. Egli denuncia il pericolo
che l’uomo divenga un “semplice ingranaggio” del sistema. Per evitare ciò, è
necessario che “qualsiasi persona” possa influire “sul governo di qualunque
gruppo sociale del quale faccia parte”. Non basta assicurare il diritto di voto ad
ogni cittadino, dando vita ad un sistema di delega permanente. E’ necessaria,
secondo Russell, una fitta rete di organismi di democrazia diretta, che, partendo
dal basso, dal posto di lavoro, salga fino ai livelli istituzionali più alti. In ogni
unità produttiva bisognerebbe distinguere affari interni, la cui decisione sia
affidata a coloro che vi lavorano, e affari esterni, di competenza di organismi
istituzionali più ampi. Ogni unità dovrebbe, dunque, far parte di una federazione
più ampia, fino ad arrivare ad un utopistico, quanto suggestivo, “governo
mondiale”. Quello di Bertrand Russell è, comunque, un federalismo non egoistico,
come quello realizzato in Italia dalla destra, ma solidale, egualitario, fondato sulla
democrazia dal basso e dominato dal principio: “a ciascuno secondo le sue
necessità”. Il filosofo si pone l’esigenza di introdurre stimoli al lavoro,
incentivazioni, per evitare il menefreghismo, il blocco della creatività e della
produttività del singolo. Tale incentivo dev’essere rappresentato dalla
“motivazione di un profitto collettivo”. Egli fa l’esempio, tipicamente inglese, delle
miniere di carbone. Lo Stato dovrebbe decidere i prezzi ai quali è disposto a
pagare le varie qualità di carbone. I metodi di estrazione dovrebbero essere
lasciati alle singole imprese. L’incentivo, in questo caso, sarebbe rappresentato
dal fatto che ogni progresso tecnico si tradurrebbe in maggior carbone estratto,
quindi più soldi per il singolo lavoratore, o in minor lavoro per i minatori. In
conclusione, Bertrand Russell non ha nulla a che fare con il liberismo, è
portavoce di un socialismo dal volto umano, altamente democratico, perché
fondato
sulla
partecipazione
diretta
del
cittadino.
Si pensi, poi, alle grandi battaglie condotte dal Nostro per la pace nel mondo,
contro l’aggressione americana al Vietnam, in occasione della quale fu istituito il
famoso tribunale, a lui intitolato, per processare i governanti degli Stati Uniti per
i crimini compiuti nel Sud-Est asiatico. Questo pacifismo è in aperto contrasto
con la politica guerrafondaia portata avanti dal governo Berlusconi in Iraq, in
Afghanistan, negli altri Paesi interessati dal cosiddetto “intervento umanitario”
dell’Italia, della Nato, degli americani. Nel 1955 Russell firmò, assieme ad
Einstein, poco prima che quest’ultimo morisse, e ad altri scienziati,il famoso
manifesto contro l’uso delle armi atomiche. Oggi si potrebbe pensare che la fine
del cosiddetto “equilibrio del terrore” ha reso inattuale il pericolo di guerra
atomica. Non è così. Il numero degli Stati dotati di arma atomica è destinato ad
aumentare nei prossimi anni, perché se le varie nazioni che posseggono risorge
energetiche o, comunque, risorse che fanno gola agli Stati Uniti d’America, ormai
privi di contrappeso, vorranno evitare di esserne rapinate, dovranno
necessariamente sviluppare la loro tecnologia e produrre bombe atomiche, a scopi
pur’anche difensivi.
Bertrand Russell ha fortemente avversato la prima guerra mondiale, in quanto
essa, determinando la nascita di nazismo e comunismo, ha creato le condizioni
per lo scoppio della seconda guerra mondiale, che, secondo il Nostro, invece, fu
necessaria, per mettere fine alla barbarie nazi-fascista. Ma la posizione di Russell
è diversa da quella di storici “revisionisti” oggi di moda come Nolte, perché egli
evidenzia le responsabilità ch’ebbero le democrazie occidentali nello scoppio del
primo conflitto mondiale. Non è, dunque, possibile parlare, come fa Nolte, di una
lunga “guerra civile europea”, iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre e proseguita
con il secondo conflitto mondiale, determinato dalla “reazione” nazista al
comunismo. Ammesso che si accetti, solo per scopi pratici, la terminologia
impropria di Nolte, tale “guerra civile europea” è iniziata non con la Rivoluzione
bolscevica, ma con la prima guerra mondiale, della quale furono responsabili,
secondo Russell, le democrazie occidentali. Questa attribuzione di responsabilità
è molto importante, perché certi storici, muovendo dall’equiparazione
insostenibile tra comunismo e nazismo, tacciono sul carattere guerrafondaio delle
democrazie borghesi. Una puntualizzazione su questo aspetto è venuta dal
recente libro di Luciano Canfora: “La democrazia. Storia di un’ideologia”. Questo
volume, pubblicato in Italia da Laterza, è stato tradotto in Francia, Spagna,
Inghilterra. Era prevista un’edizione tedesca, ma all’ultimo momento la casa
editrice, venendo meno agli impegni contrattuali, si è tirata indietro, suscitando
polemiche
che
hanno
avuto
ampia
eco
sulla
nostra
stampa.
Si pensi, ancora, all’agnosticismo di Russell, alla sua avversione per tutte le
religioni, definite “false e dannose”, alla quale pure si accompagna la massima
tolleranza, alla sua “filosofia del dubbio”, che investe la stessa matematica, ch’egli
in gioventù aveva considerato infallibile. Questa sua visione è agli antipodi
rispetto all’intolleranza e all’integralismo religioso, predicati dal governo italiano
di destra, in piena sintonia con la chiesa cattolica, auspice il presidente del
Senato, Marcello Pera, autore di qualche libretto assieme al papa, Benedetto XVI,
e di tanti interventi contro l’ “inquinamento della razza” da parte degli immigrati e
in difesa della cosiddetta “identità religiosa e culturale” della nazione. Bertrand
Russell può essere considerato, inoltre, uno dei massimi rappresentanti di quel
“relativismo” tanto deprecato dal “papa-inquisitore” in nome di verità dogmatiche
ed assolute. Egli è figlio di un’epoca segnata dalla scoperta della teoria della
relatività e della teoria dei quanti, che hanno rifondato su basi probabilistiche la
scienza. Ogni teoria scientifica è portatrice di una verità relativa, poiché essa può
essere ampliata, trasformata o anche falsificata sulla base di nuove
sperimentazioni. Non vedo, dunque, come si possa sfuggire al “relativismo” senza
cadere nel dogmatismo. Le concezioni relativiste, fra l’altro, caratterizzano l’epoca
moderna, che si apre con la Rivoluzione Francese del 1789 e con la “rivoluzione
dei lumi”. Esse contestano che ci sia un’autorità morale trascendentale che abbia
il diritto esclusivo di stabilire i criteri del bene e del male. Nel periodo illuminista
era questa la contestazione che veniva mossa alla Chiesa come custode della
legge di Dio sulla terra. Dio, per gli illuministi, si identificava con l’ordine della
natura, con le stesse leggi meccaniche dell’universo e con il dono della ragione
agli uomini. Per quanto riguarda, invece, i valori o i disvalori della vita comune, la
decisione appartiene di diritto, secondo costoro, all’uomo stesso. Un’eco
illuminista, per esempio, è presente nella Costituzione americana, laddove
riconosce a ogni individuo il diritto alla felicità. Troviamo in Kant la stessa
affermazione dell’autonomia morale dell’uomo, laddove egli parla di una “religione
nei limiti della ragione”, per dire, appunto, che i precetti morali che derivano dalla
tradizione religiosa sono validi in quanto criteri che appartengono anche alla
ragione umana. Negare questo “relativismo” significa tornare indietro rispetto
all’epoca moderna, ma anche rispetto all’Umanesimo e al Rinascimento, che, se
non negano Dio, riconoscono che l’uomo deve affidarsi, come guida per le proprie
azioni, alla propria “intelligenza alacre”. Un concetto simile lo troviamo
addirittura nel Trecento, come fondamento ideologico del “Decameron” di
Boccaccio, che, come ha opportunamente sottolineato il De Sanctis, anticipa
l’Umanesimo e la sua concezione laica dell’uomo. E allora negare il “relativismo”
significa piombare nelle tenebre del Medioevo, cioè in un mondo di false certezze
assolute, determinate dall’oscurantismo.
Nel Novecento il “relativismo” non si limita, come nei secoli passati, a dichiarare
l’autonomia morale dell’uomo o la validità dei precetti religiosi in quanto si
accordino con la ragione, ma vede nel mondo, con spirito di comprensione e di
tolleranza, la pluralità delle culture e delle religioni in cui differenti popoli trovano
la loro identità storica. Nasce così la famosa concezione “multiculturalista” di cui
oggi tanto si parla, magari con scarsa cognizione. E’ stata ampiamente superata
l’impostazione ottocentesca secondo la quale la cultura occidentale è il punto
d’arrivo dell’umanità, un punto al quale per evoluzione sarebbero dovute arrivare
anche le altre culture. Ogni cultura va considerata nella sua autonomia sociale e
simbolica. Ma v’è di più. Una cultura occidentale unitaria non esiste, è
un’astrazione di comodo. Nell’Europa occidentale hanno convissuto – e convivono
– una cultura cristiana, una cultura liberale, una cultura socialista, una cultura
marxista. E ancora: nell’ambito della stessa cultura cristiana esistono differenze
tutt’altro che trascurabili, che hanno condotto a forme istituzionali e pastorali
molto diverse. Nell’ambito della cultura cattolica, abbiamo concezioni diverse: si
va dall’integralismo papalino o, peggio ancora, di Alleanza Cattolica, alla visione
molto più aperta e tollerante dei “cattolici di base”. Coloro che, come il papa e la
destra italiana, pretendono che nella Costituzione Europea si faccia riferimento
esclusivo alle “radici cristiane” compiono un atto di superbia e di falsificazione
storica e culturale.
Bertrand Russell ha alle spalle tutto il patrimonio culturale laico, scientifico ed
antidogmatico, di cui abbiamo detto. Egli stesso scrive nella sua “Storia della
filosofia occidentale” (1945): “I filosofi sono insieme effetti e cause: effetti delle
condizioni sociali, politiche e istituzionali del loro tempo; cause (se sonofortunati)
delle dottrine che modellano la politica e le istituzioni delle età successive. Nella
maggior parte delle storie della filosofia, ciascun filosofo risulta isolato; le sue
opinioni sono esposte senza nessun riferimento a ciò che le precede fuorché, al
massimo, alle opinioni di altri filosofi. Ho tentato, al contrario, di mostrare
ciascun filosofo, fin dove la verità lo consente, come un risultato del suo melieu,
un uomo che riassume in sé i pensieri e i sentimenti che in una forma vaga e
diffusa sono comuni alla società di cui fa parte”. Il filosofo è, dunque, punto
d’arrivo della cultura precedente e punto di partenza di quella successiva. E’
profondamente influenzato dalla società in cui vive. Siamo di fronte ad una
concessione indiretta allo storicismo marxista, che pure Russell dice di
contestare. Egli è il degno erede della visione scientifica del mondo, che si è
imposta in maniera indiscutibile con Galileo e Darwin. E, appunto, “La visione
scientifica del mondo” (1931) è il titolo di uno dei suoi libri più riusciti. La cultura
del mondo classico, per Russell, non può essere definita “scientifica”, perché
fondata sul metodo deduttivo. La svolta verso il metodo induttivo si è avuta con
Galilei. Già il metodo galileiano esclude ogni predestinazione e, per ciò stesso, fu
avversato dalla chiesa. Dall’osservazione lo scienziato ricava una legge scientifica,
della quale poi verifica la validità applicandola ad una vasta gamma di fenomeni
della stessa specie. La sperimentazione esclude ogni visione metafisica: essa è
l’elemento che conferisce validità scientifica ad una teoria, che viene messa
continuamente in discussione. I cosiddetti “creazionisti” hanno volutamente
equivocato, sostenendo che il racconto biblico e la teoria darwiniana
dell’evoluzione sono entrambe “ipotesi”, quindi hanno pari dignità e vanno
entrambe studiate a scuola, come avviene oggi in alcune parti degli Stati Uniti.
Siamo di fronte ad un sofisma, ad un giuoco di parole. Sono diverse la natura
ipotetica di una teoria scientifica e la natura ipotetica di un racconto “mitico”.
Quest’ultimo è “ipotetico” nel senso che non può essere assoggettato a
sperimentazione: nessuna telecamera ha inquadrato il mitico “creatore” mentre
impastava la mota e soffiava la vita. Il racconto biblico è frutto della fantasia
umana, che crea “miti”, non “teorie scientifiche”. La teoria scientifica è “ipotetica”
nel senso che, attraverso la sperimentazione, può essere anche trasformata e
perfezionata. Come ha osservato il chimico tedesco Hofmann, contemporaneo di
Darwin, attraverso le “ipotesi” talvolta lo scienziato collega momentaneamente
dati isolati, colmando poi le lacune con successive osservazioni ed indagini.
Scrive Hofmann: “L’ipotesi è uno dei più pregevoli sussidi dell’indagine scientifica;
ma nella maggior parte dei casi essa non ha che un’utilità temporanea, poiché
deve essere estesa o ben anche deve essere abbandonata secondo che, per i
risultati della continua indagine, diventa troppo angusta oppure cessa di essere
la esatta interpretazione dei fatti. D’altra parte se l’ipotesi abbraccia e spiega serie
estese di fenomeni e se con gli esperimenti continuati vengono alla luce i risultati
che l’ipotesi stessa aveva già messo in vista, se inoltre per le scoperte fatte si
innalza più e più sulla scala della probabilità, essa perde il suo carattere
provvisorio per associarsi alla fine col nome e col rango di una teoria (da theorèo
osservo) alle dottrine riconosciute della scienza”. La teoria darwiniana
dell’evoluzione, attraverso ripetuti esperimenti, è stata perfezionata, ma i suoi
capisaldi sono rimasti validi. Due punti sono ancor oggi indiscutibili: le specie
umane, animali, vegetali, non sono state create come sono attualmente, ma sono
il risultato dell’evoluzione; tale evoluzione avviene col metodo della selezione
naturale. Ne consegue, secondo Russell, che l’uomo non è stato creato a sua
immagine e somiglianza da Dio, ma è il risultato dell’evoluzione. Il grande filosofo
e matematico contesta anche la tesi del “disegno intelligente”, oggi portata avanti
dai soliti “creazionisti”. Essi sostengono che la complessità e la perfezione
dell’universo presuppone un “creatore intelligente”. Russell, d’accordo con Primo
Levi, obietta che un mondo in cui ci sono stati Hitler e i campi di sterminio nazisti
non è poi così perfetto. Già Darwin osservò che anche l’occhio umano è
imperfetto.
Russell evidenzia i vantaggi, ma anche i pericoli dello sviluppo scientifico e
tecnologico. Gli stessi vantaggi non sono stati estesi a tutti. La tecnologia poteva
risolvere il problema alimentare dei poveri del terzo e del quarto mondo, così
come delle masse diseredate del cosiddetto “mondo civilizzato”. Ma così non è
stato e bisogna chiedersene il perché. Russell, che pure sente il problema, non
riesce ad entrare nei meccanismi dello “scambio ineguale”, della politica
imperialista, proprio perché non è un marxista e, quindi, non considera
l’economia come il “fattore di ultima istanza”, cioè come l’elemento che, in ultima
analisi, spiega i problemi. Quanto ai mali, la scienza del ventesimo secolo ha
prodotto la bomba atomica, la bomba ad indrogeno, ed altri sofisticati strumenti
di distruzione di massa. Ha messo in crisi gli equilibri biologici dell’eco-sistema.
Russell è stato uno dei primi ad avvertire questo pericolo, è stato un ecologista
“ante litteram”. Ma egli si sofferma anche su un altro aspetto, anch’esso molto
attuale: il pericolo del controllo dei comportamenti e quello ancor più grave della
manipolazione delle coscienze. Egli è stato uno dei primi ad analizzare i
meccanismi perversi della pubblicità, nel già citato volume “La visione scientifica
del mondo”. Un esempio valga per tutti. Se si affidasse la pubblicità di un sapone
realmente efficace ad un gruppo di scienziati e tale pubblicità fosse veritiera, volta
cioè a indicare al consumatore solo le effettive caratteristiche del prodotto,
nessuno lo comprerebbe. Se, invece, osserva Russell, si affidasse la pubblicità di
un pessimo sapone a noti personaggi dello spettacolo e tale pubblicità fosse
superficiale, accattivante ed ingannevole, volta a far credere che quello è il miglior
sapone in commercio, tutti lo comprerebbero. Ma il Nostro è stato un precursore,
presagendo che anche la chiesa cattolica si sarebbe servita, prima o poi, dei mezzi
perversi della pubblicità. Ciò è realmente avvenuto, in particolare a partire dal
pontificato di Giovanni Paolo II, che ha fatto un uso spregiudicato dei massmedia. Russell ha previsto con lungimiranza la pericolosità di questi sofisticati
strumenti di persuasione occulta e di vero e proprio abuso della credulità
popolare, una volta che fossero stati utilizzati dalla chiesa cattolica, dotata di un
potere
enorme
di
suggestione
e
di
soggiogamento
delle
masse.
Credo di non poter condividere l’individualismo che domina le concezioni
gnoseologiche ed etiche di Russell. Ha ragione Nicola Abbagnano: la filosofia della
conoscenza del Nostro è un innesto non troppo riuscito tra l’empirismo di Hume e
la metafisica di Leibniz. Dall’empirismo egli ricava la convinzione che la
conoscenza umana è fondata sull’esperienza. Ma cade subito nel monadismo
leibniziano aggiungendo che tale esperienza è “immediata” e “privata”. Esiste una
molteplicità di “spiriti”, ognuno dei quali ha un rapporto “personale” e “privato”
con il mondo sensibile, un dominio privato o “egocentrico” dei dati sensibili, una
sua “prospettiva”, un suo “mondo particolare”. Le “prospettive” possibili sono
infinite e la loro totalità costituisce il “mondo sensibile”. Ma è facile obiettare che,
se a fondamento della conoscenza sta l’esperienza immediata e personale e
questa è diversa da individuo a individuo, non è possibile uscire dal solipsismo,
cioè dall’affermazione che esisto solo io e che tutti gli altri e tutte le cose sono solo
mie idee o rappresentazioni. Il Nostro cerca di superare questa obiezione
sostenendo che molte delle nostre conoscenze sono “quasi pubbliche”, in quanto
simili a quelle degli altri. Il mondo sensibile non sarebbe allora altro che il
risultato, il punto d’incontro delle varie prospettive individuali. Fra l’altro, Russell
non fa differenza tra conoscenza comune e conoscenza scientifica: anche
quest’ultima sarebbe soggettiva, “privata”.
Il campo della gnoseologia è sicuramente quello nel quale la rinascita del
materialismo dialettico in Italia, ad opera di Ludovico Geymonat e di alcuni suoi
allievi, ha dato i maggiori risultati. Secondo la scuola geymonattiana, la realtà
esiste oggettivamente, al di là della rappresentazione che se ne danno i singoli
individui. Contrariamente a quanto sostiene Russell, essa non è il risultato delle
“prospettive convergenti” dei vari “spiriti”. Se non esistesse una realtà oggettiva,
nella quale è la Terra a girare intorno al Sole - e non viceversa - , noi non
potremmo dire che aveva ragione Galileo e torto Aristotele e Tolomeo. E’ come se
esistessero vari livelli di realtà. Un sistema conoscitivo è adeguato a cogliere un
livello, ma non quello successivo, che abbisogna di un altro sistema conoscitivo e
così via, in un continuo approssimarsi alla realtà oggettiva, senza coglierla mai
appieno. La verità scientifica non è, dunque, verità assoluta, bensì relativa, è
“processo dialettico asintotico”, per via del continuo approssimarsi dell’uomo ad
essa, senza raggiungerla definitivamente. Possiamo, dunque, concludere che, a
differenza di quanto si può desumere dalla filosofia della conoscenza di Russell, la
realtà oggettiva esiste, è il nostro sistema conoscitivo che è imperfetto.
Sul piano etico il Nostro formula la “teoria dei desideri”. Anche l’etica di Russell è
fondata su basi individualiste e soggettiviste, in quanto egli identifica la morale
con i desideri di ciascuno. Perciò dire che qualcosa è bene o un valore è positivo
equivale a dire “mi piace”; dire che qualcosa è cattivo significa esprimere un
atteggiamento ugualmente personale e soggettivo. L’intervento razionale serve
solo a rafforzare i desideri che possono assicurare la felicità e l’equilibrio della vita
e a deprimere o distruggere quelli che confliggono con questo fine. Ma questa
posizione è chiaramente contraddittoria: se l’etica ha a che fare esclusivamente
con desideri, manca qualsiasi criterio per preferire o far prevalere uno di essi
sugli altri. Russell, inoltre, dà un peso preponderante alla sfera soggettiva rispetto
ai condizionamenti della realtà oggettiva. Scrive ne “Il mio credo”, confluito nel
volume “Perché non sono cristiano”(1927): “La natura è soltanto una parte di ciò
che possiamo immaginare; ogni cosa, reale o immaginaria, può essere valutata da
noi, e non esiste alcun modello esterno che ci indichi se la nostra valutazione è
giusta oppure errata. Noi siamo gli assoluti e irrefutabili arbitri del valore, e nel
mondo dei valori la natura è soltanto oggetto. Pertanto nel mondo dei valori noi
siamo superiori alla natura”. Russell costruisce un immaginario “mondo dei
valori”, nel quale il potere del singolo è assoluto, non tenendo conto dei
condizionamenti esterni della morale individuale. Di questi condizionamenti
decisivi, soprattutto economici, tiene conto, invece, il marxismo. Per Marx l’etica è
condizionata dall’appartenenza di classe. La morale rivoluzionaria del proletariato
è fondata su valori come: uguaglianza economica e giustizia sociale, liberazione
dallo sfruttamento, soddisfazione dei bisogni di ciascuno. Essi sono contrapposti
alle norme della morale borghese, fondata sul profitto ad ogni costo, sullo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul finto solidarismo sociale. L’etica marxista
nasce, quindi, come sistema storico di valori classisti che la strategia politica
rivoluzionaria ha il compito di realizzare. Questa concezione classista è estranea a
Russell, che, anzi, accusa il comunismo di seminare l’odio di classe,
dimenticando che la divisione in classi della società e lo scontro tra di esse sono
esistiti sempre nella storia umana, non sono un’invenzione di Marx, che ha avuto
il merito di analizzare scientificamente il fenomeno in funzione della
trasformazione rivoluzionaria.
Ma, allora, in che misura l’individualismo di Bertrand Russell può contribuire a
delineare una filosofia valida per il nostro tempo? Innanzitutto, nella misura in
cui spinge ciascuno di noi a porsi di fronte alla propria coscienza, a coltivare il
dubbio, ad alimentare il tanto deprecato “relativismo”; a non identificarsi “tout
court” col “branco”; ad assumere un atteggiamento critico nei confronti del
patrimonio culturale che pure ci appartiene, per nascita e per formazione,
sottoponendolo continuamente a verifica, confrontandolo con quello degli altri
popoli; a non contrapporre la nostra cultura e la nostra identità a quelle degli
altri, ad avere coraggio di “contaminarle” con esse, senza assumere un
atteggiamento di superiorità. Insomma, a “pensare in maniera impersonale”, cioè
a regredire in noi stessi per capirci a fondo ma anche per cambiarci e migliorarci
nel confronto vivificante con gli altri. Scrive Bertrand Russell in “Una filosofia per
il nostro tempo”(1956): “Quando avremo acquistato l’abito di pensare in modo
impersonale, potremo osservare le credenze popolari della nostra nazione, della
nostra classe sociale e della nostra setta religiosa, con lo stesso distacco con il
quale osserviamo quelle degli altri. Scopriremo allora che le credenze nelle quali
la gente persevera con la massima fermezza e con la più forte passione sono
molto spesso le meno dimostrate. Quando un grande gruppo di uomini crede in
A, e un altro grande gruppo di uomini crede in B, v’è la tendenza in entrambi
questi gruppi a odiare l’altro perché crede in cose così chiaramente assurde. La
miglior cura di questa tendenza consiste nell’abitudine di regolarsi secondo
l’evidenza, e di rinunciare alla certezza di quelle cose delle quali non si ha una
prova. Questo si applica non solo alle credenze teologiche e politiche, ma anche ai
costumi sociali. Lo studio dell’antropologia rivela che esiste una sorprendente
varietà di costumanze sociali, e che le società possono persistere con abitudini
che si potrebbero considerare contrarie alla natura umana. Questa specie di
conoscenza è molto utile come antidoto al dogmatismo, specialmente nel nostro
tempo, in cui dogmatismi rivali rappresentano il maggior pericolo che minacci il
genere umano”.
Credo che siano attuali le considerazioni che fa Russell in merito alle religioni, in
particolare nel volume “Perché non sono cristiano”. Egli le definisce tutte “false e
dannose”, perché fondate su un presupposto comune: quello di possedere la
verità assoluta da imporre agli altri. Così i dogmatismi si scontrano: da una parte
si invoca, come ai giorni nostri, la “guerra santa” contro gli infedeli e, dall’altra, si
invocano le “crociate”. E si arriva ben presto allo “scontro tra civiltà” - sarebbe
meglio dire tra “inciviltà” - e al conflitto armato vero e proprio. Le parole di
Bertrand Russell sembrano scritte proprio ora: “La convinzione che è importante
credere questo o quello senza ammettere libere indagini, è comune a quasi tutte
le religioni, e ispira tutti i sistemi di educazione statale. Ne consegue che il
pensiero dei giovani viene soffocato e indirizzato a una fanatica ostilità contro
coloro che hanno altri fanatismi, e, anche più violentemente, contro coloro che a
qualsiasi fanatismo si oppongono”.
Per quanto ci riguarda, il nostro compito è quello di impedire che il marxismo
diventi, come lo considerava Russell, una “religione”, anch’essa fondata su dogmi
e verità assolute. Esso deve essere un metodo per l’analisi critica della società
capitalistica in vista di una trasformazione radicale. Un metodo aperto al
confronto con altri metodi, dal quale non può non uscire arricchito.
* Intervento al convegno sul tema “Il razionalismo critico di Bertrand Russell: una
filosofia per il nostro tempo?”, svoltosi, sabato 28 gennaio 2006, nell’aula magna
del Liceo classico “Luigi Valli” di Barcellona P.G. (Me), per iniziativa del Circolo
Arci “Città Futura” e del Centro Studi “Nino Pino Balotta”.
(pubblicato il 4 Febbraio 2006)
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il pensiero di bertrand russel