IL PENSIERO DI BERTRAND RUSSEL Centro Studi “Nino Pino Balotta” PENSIERO Nei Principi della matematica, scritti in collaborazione con Whitehead, Russell cercò di derivare tutta la matematica pura da un ristretto numero di concetti logici fondamentali ed elaborò in modo sistematico la teoria dei tipi, quale soluzione ai paradossi logici derivanti dal concetto di classe, come, ad esempio, quello classico del cretese Epimenide che afferma "tutti i cretesi sono bugiardi". La teoria dei tipi stabilisce una gerarchia di livelli logici tra i concetti ed i simboli i quali si distinguono in tipi di ordine crescente. Sono di tipo zero quelli che indicano gli individui, di tipo uno quelli che indicano le proprietà degli individui, di tipo due quelli che indicano le proprietà delle proprietà degli individui, ecc.. Per tornare al paradosso di Epimenide, questo, in buona sostanza, afferma: "tutte le proposizioni di primo ordine da me affermate sono false". Così facendo, egli però afferma una proposizione di secondo ordine, per cui non cade in nessuna contraddizione. Con l'articolo Sulla denotazione, Russell enunciò una nuova teoria della descrizione, dimostrando come ogni proposizione che contiene una descrizione può essere ricondotta a un'altra equivalente che non contiene più la descrizione. Ciò permette di esaminare tutte le proposizioni esclusivamente sotto il profilo linguistico, prescindendo da qualunque riferimento ontologico. Sulla base di tale apparato teorico è possibile costruire una lingua perfetta in cui gli enunciati complessi sono costruzioni di funzioni e costituenti elementari (costruzionismo logico). Nella sua prima opera propriamente filosofica, I problemi della filosofia, Russell considerò la scienza, in particolare la fisica, il modello della conoscenza certa, a cui si contrappone la conoscenza vaga e contraddittoria del senso comune. La filosofia non può che partire dal senso comune, ma deve elaborare i risultati conseguiti dalla scienza per sfuggire alle trappole dello scetticismo e del solipsismo (dottrina che considera l'io del soggetto l'unica realtà esistente). In tale processo di chiarimento Russell individua dei postulati (l'induzione, la causalità, l'esistenza del mondo esterno e delle menti altrui, l'affidabilità della memoria ecc.) che sono implicitamente accettati sia dalla scienza sia dal senso comune, ma di cui è impossibile una dimostrazione filosofica certa. Anche da un punto di vista ontologico il problema di Russell è di collegare gli oggetti del senso comune e quelli della fisica. Una prima risposta (La filosofia dell'atomismo logico) è quella dell'atomismo logico, per il quale il mondo è costituito da fatti atomici, fatti cioè descritti in una proposizione atomica (non ulteriormente scomponibile): per esempio, "Socrate è ateniese". Per tramite delle leggi della logica si uniscono proposizioni atomiche ottenendo proposizioni complesse, le quali riflettono le strutture complesse della realtà. I fatti atomici sono costituiti da una sostanza neutrale primitiva, né spirituale né materiale, che sta alla base sia della psicologia, sia della fisica. Aforismi di Bertrand Russell I nove decimi delle attività di un governo moderno sono dannose; dunque, peggio son svolte, meglio è. I patrioti parlano spesso di morire per il loro paese, e mai di ammazzare per la loro patria. Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Ciò che gli uomini vogliono realmente non è la conoscenza, ma la certezza. Il proverbio è l'ingegno di un uomo e la saggezza di tutti. Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. I moralisti sono persone che rinunciano ad ogni piacere eccetto quello di immischiarsi nei piaceri altrui. É la preoccupazione per ciò che si possiede, più di ogni altra cosa, che impedisce agli uomini di vivere liberamente e nobilmente. Acquisire un'immunità all'eloquenza è della massima importanza per i cittadini di una democrazia. Esistono due motivi per leggere un libro: uno, perché vi piace, e l'altro, che potrete vantarvi di averlo letto. I nove decimi delle attività di un governo moderno sono dannose; dunque, peggio son svolte, meglio è. (da The Problem of China, George Allen & Unwin, Londra, 1922) I tipi di lavoro sono due: il primo, modificare la posizione di materia sulla o vicino alla superficie della Terra rispettivamente ad altra materia simile; il secondo, dire ad altre persone di fare questo. Il primo tipo è brutto e mal pagato; il secondo è piacevole e pagato molto bene. (da Introduction to Mathematical Philosophy) Il metodo del "postulare" quello che vogliamo ha molti vantaggi; sono gli stessi vantaggi di un furto nei confronti di un onesto lavoro. (da Introduction to Mathematical Philosophy) Il nostro io non è un frammento molto importante del mondo. (da La conquista della felicità) La causa principale dei problemi è che al mondo d'oggi gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. The fundamental cause of the trouble is that in the modern world the stupid are cocksure while the intelligent are full of doubt. (da The Triumph of Stupidity, 1933-05-10) La fede in una missione divina è una delle tante forme di certezza che hanno afflitto la razza umana. (da Saggi impopolari) La matematica può essere definita la materia in cui noi non sappiamo mai di che cosa stiamo parlando né se quello che stiamo dicendo è vero. La matematica, vista nella giusta luce, possiede non soltanto verità ma anche suprema bellezza – una bellezza fredda e austera, come quella della scultura. (da Misticismo e logica) L'amore è una esperienza attraverso la quale tutto il nostro essere viene rinnovato e rinfrescato, come accade alle piante quando la pioggia le bagna dopo la siccità. Nel rapporto sessuale senza amore non vi è nulla di tutto questo. Quando il piacere momentaneo finisce, resta la stanchezza, il disgusto, e la vita sembra vuota. L'amore è parte della vita della terra; il sesso senza l'amore, no. (da La conquista della felicità, trad. Giuliana Pozzo Galeazzi, Longanesi, Milano 1969, p. 64) La psicologia dell'adulterio è stata falsata dalla morale convenzionale, che esclude, nei paesi monogami, che l'attrazione per una persona possa coesistere con il serio affetto per un'altra. Tutti sanno che questo è falso. (da Matrimonio e Morale) La società di oggi tende al formicaio. Lo Stato non si pone più come un assoluto di fronte ai singoli e ai gruppi: è semplicemente lo strumento amministrativo della società stessa. (Hegel aveva presagito qualcosa del genere con l'idea dello «Stato etico»). Perciò lo Stato da una parte è totalitario (ripeto qualsiasi ne sia la struttura istituzionale), ma d'altra parte è sconsacrato.[1] Le condizioni di vita degli uomini influiscono molto sulla loro filosofia, ma d'altra parte la loro filosofia influisce molto sulle loro condizioni. (da Storia della filosofia occidentale, traduzione di L. Pavolini, TEA) Le opinioni dell'uomo medio sono molto meno fallaci di quelle che sarebbero se essi pensassero a se stessi. Le stelle sono nel cervello dell'uomo. L'educazione ha due scopi, da una parte forma lo spirito, dall'altra prepara il cittadino. Gli ateniesi si fissarono sul primo, gli spartani sull'altro. Gli spartani vinsero, ma gli ateniesi furono ricordati. (da La visione scientifica del mondo, traduzione di E. Oliva, Mondadori) Non c'è più «ragione di Stato», nel senso che non si possono più invocare i fini superiori dello Stato contro le esigenze e le convinzioni della comunità sociale.[1] Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c'è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che –posto che la mia asserzione non può essere confutata– dubitarne sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità, ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente. If I were to suggest that between the Earth and Mars there is a china teapot revolving about the sun in an elliptical orbit, nobody would be able to disprove my assertion provided I were careful to add that the teapot is too small to be revealed even by our most powerful telescopes. But if I were to go on to say that, since my assertion cannot be disproved, it is an intolerable presumption on the part of human reason to doubt it, I should rightly be thought to be talking nonsense. If, however, the existence of such a teapot were affirmed in ancient books, taught as the sacred truth every Sunday, and instilled into the minds of children at school, hesitation to believe in its existence would become a mark of eccentricity and entitle the doubter to the attentions of the psychiatrist in an enlightened age or of the Inquisitor in an earlier time. (da Is There a God?, 1952, commissionato (ma mai pubblicato) dalla rivista Illustrated) Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti. (da Matrimonio e Morale) [Sul suo discepolo Ludwig Wittgenstein] Una certa aria di misticismo l'avevo già sentita nel suo libro, ma sono rimasto sconcertato nello scoprire che è diventato un mistico, nel senso pieno del termine. Legge autori come Kierkegaard e Angelus Silesius e sta valutando seriamente l'idea di farsi monaco. (da una lettera citata in Brian McGuinness, Wittgenstein) Una delle differenze tra la poesia e la nuda enunciazione di un fatto è che la poesia cerca di portare il lettore dietro le parole, verso ciò che esse significano. (da La conoscenza umana. Le sue possibilità e i suoi limiti, traduzione di Camillo Pellizzi, Longanesi, Milano) Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. (da La visione scientifica del mondo) Di due attività che gli siano state insegnate, l'uomo generalmente preferisce la più difficile: nessun giocatore di scacchi gioca a dama. (da Saggi scettici (Psicologia e politica)) Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete d'amore, la ricerca della conoscenza e una struggente compassione per le sofferenze dell'umanità. (da Autobiografia) Siamo portati a pensare che, per effettuare in pratica misure precise, sia preferibile usare una sbarra d'acciaio piuttosto che un'anguilla viva. È uno sbaglio; non perché l'anguilla ci dica quel che si presume la sbarra debba dirci; bensì perché in realtà la sbarra non ci dice niente di più di quel che non ci dica l'anguilla. Non è che le anguille siano rigide: è che in realtà le sbarre d'acciaio si contorcono. A un osservatore che si trovasse in un determinato stato di moto, l'anguilla apparirebbe rigida mentre la sbarra sembrerebbe agitarsi esattamente come noi vediamo agitarsi l'anguilla. Per chiunque si muovesse in modo diverso sia da noi sia da questo osservatore, tanto l'anguilla quanto la sbarra apparirebbero in agitazione. E non è il caso di affermare che un osservatore ha ragione e un altro ha torto. In faccende del genere, quel che si vede non va riferito unicamente al processo fisico osservato, ma anche al punto di vista dell'osservatore. Le misure delle distanze e dei tempi non rivelano direttamente le proprietà delle cose misurate, ma i rapporti tra le cose e il misuratore. (da L'ABC della Relatività) L'universo, quale l'astronomia ce lo rivela, è immenso. Quant'altro ci sia di là della portata dei telescopi, non possiamo dire; ma quella parte che non conosciamo è di inimmaginabile immensità. Nel mondo visibile la Via Lattea rappresenta un minuscolo frammento. In questo minuscolo frammento il sistema solare è una macchia infinitesima, e di questa macchia il nostro pianeta costituisce un puntolino microscopico. Su questo puntolino tanti minuscoli aggregati di carbonio ed acqua, dalla struttura complicata, e dotati di alquanto inusuali proprietà fisiche e chimiche, strisciano per pochi anni, fino a quando non tornano a dissolversi negli elementi di cui sono composti. Dividono il loro tempo tra il lavoro escogitato per posticipare il momento in cui ciascuno di essi si dissolverà, e frenetiche lotte per impedire quel lavoro agli altri esseri della loro specie. Convulsioni naturali distruggono periodcamente migliaia o milioni di essi, e le malattie ne spazzano via prematuramente un numero anche maggiore. Questi avvenimenti sono considerati disgrazie; ma quando gli uomini riescono a procurare con le loro stesse mani simili distruzioni, ne gioiscono, e ne rendono grazie a Dio. (da Saggi Scettici, 1928) La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive. (citato in Call of Duty 4: Modern Warfare) BERTRAND RUSSELL: una filosofia per il nostro tempo?* Antonio Catalfamo SUNDAY, 29 JULY 2007 Bertrand Russell è stato uno dei grandi intellettuali che hanno capito la necessità di superare la barriera artificiale che separa sapere umanistico e sapere scientifico. A diciotto anni entra all’Università di Cambridge, dove studia per tre anni matematica e dedica il quarto anno alla filosofia. Diviene di lì a poco uno dei più autorevoli studiosi di filosofia matematica. Insegna al Trinity College di Cambridge dal 1910 al 1916. Il compito della filosofia non è per lui quello di risolvere i “problemi dell’anima”, bensì di affrontare i problemi concreti degli uomini. Perciò è un convinto pacifista e si oppone con tutte le sue forze alle prima guerra mondiale. In conseguenza della sua battaglia per la pace sconta sei mesi di carcere. Il suo impegno si estende sempre più, abbracciando il campo dell’emancipazione della donna e dei diritti civili. Per questo nel 1940 viene estromesso dall’insegnamento al City College di New York come nemico della famiglia e della morale. Nel 1944 torna alla sua cattedra universitaria di Cambridge. Nel 1950 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Nel 1955 firma con Einstein ed altri scienziati il famoso manifesto contro il pericolo di guerra atomica. Nel 1966 dà vita al “Tribunale Russell” contro i crimini americani nel Vietnam. Muore quasi centenario nel 1970. Credo che si possa dire di Bertrand Russell quello ch’egli scrisse di Einstein ne “L’ABC della relatività” (1925): “Tutti sanno che (…) ha fatto qualcosa di sorprendente, ma pochi sanno che cosa abbia fatto esattamente”. A questa ignoranza diffusa si accompagnano le falsificazioni consapevoli. In un’epoca di “inquinamento linguistico”, come la nostra, chi detiene il potere mass-mediatico può facilmente cambiare le carte in tavola, dare un’idea sbagliata del pensiero di un filosofo come Russell. Alcuni giornali di destra hanno recentemente ristampato qualche sua opera, confondendo il suo liberalismo con il liberismo imperante e strumentalizzando il Nostro come un antesignano della lotta contro il comunismo. Ma Russell è stato un liberal-socialista, un anticapitalista, attento più ai bisogni dei lavoratori che a quelli del padronato. In un suo saggio, intitolato “Lacune del socialismo” e confluito nel volume “Le idee politiche” (1917), egli, se, da un lato, critica il “socialismo di Stato”, in quanto responsabile di un accentramento che allontana i burocrati dai problemi dei lavoratori, dall’altro lato, si fa fautore di un “socialismo autogestito”, nel quale ogni settore economico è, appunto, gestito direttamente da coloro che in esso operano e che ben ne conoscono le caratteristiche e le problematiche. Russell considera ancor più pericoloso del potere dei burocrati di Stato quello dei capitalisti, che hanno un interesse esattamente opposto a quello dei lavoratori. In un altro saggio, intitolato “Democrazia e tecnica scientifica”, confluito nel volume “L’impatto della scienza sulla società” (1952), precisa i caratteri fondamentali di quello ch’egli stesso definisce “socialismo democratico”. Egli denuncia il pericolo che l’uomo divenga un “semplice ingranaggio” del sistema. Per evitare ciò, è necessario che “qualsiasi persona” possa influire “sul governo di qualunque gruppo sociale del quale faccia parte”. Non basta assicurare il diritto di voto ad ogni cittadino, dando vita ad un sistema di delega permanente. E’ necessaria, secondo Russell, una fitta rete di organismi di democrazia diretta, che, partendo dal basso, dal posto di lavoro, salga fino ai livelli istituzionali più alti. In ogni unità produttiva bisognerebbe distinguere affari interni, la cui decisione sia affidata a coloro che vi lavorano, e affari esterni, di competenza di organismi istituzionali più ampi. Ogni unità dovrebbe, dunque, far parte di una federazione più ampia, fino ad arrivare ad un utopistico, quanto suggestivo, “governo mondiale”. Quello di Bertrand Russell è, comunque, un federalismo non egoistico, come quello realizzato in Italia dalla destra, ma solidale, egualitario, fondato sulla democrazia dal basso e dominato dal principio: “a ciascuno secondo le sue necessità”. Il filosofo si pone l’esigenza di introdurre stimoli al lavoro, incentivazioni, per evitare il menefreghismo, il blocco della creatività e della produttività del singolo. Tale incentivo dev’essere rappresentato dalla “motivazione di un profitto collettivo”. Egli fa l’esempio, tipicamente inglese, delle miniere di carbone. Lo Stato dovrebbe decidere i prezzi ai quali è disposto a pagare le varie qualità di carbone. I metodi di estrazione dovrebbero essere lasciati alle singole imprese. L’incentivo, in questo caso, sarebbe rappresentato dal fatto che ogni progresso tecnico si tradurrebbe in maggior carbone estratto, quindi più soldi per il singolo lavoratore, o in minor lavoro per i minatori. In conclusione, Bertrand Russell non ha nulla a che fare con il liberismo, è portavoce di un socialismo dal volto umano, altamente democratico, perché fondato sulla partecipazione diretta del cittadino. Si pensi, poi, alle grandi battaglie condotte dal Nostro per la pace nel mondo, contro l’aggressione americana al Vietnam, in occasione della quale fu istituito il famoso tribunale, a lui intitolato, per processare i governanti degli Stati Uniti per i crimini compiuti nel Sud-Est asiatico. Questo pacifismo è in aperto contrasto con la politica guerrafondaia portata avanti dal governo Berlusconi in Iraq, in Afghanistan, negli altri Paesi interessati dal cosiddetto “intervento umanitario” dell’Italia, della Nato, degli americani. Nel 1955 Russell firmò, assieme ad Einstein, poco prima che quest’ultimo morisse, e ad altri scienziati,il famoso manifesto contro l’uso delle armi atomiche. Oggi si potrebbe pensare che la fine del cosiddetto “equilibrio del terrore” ha reso inattuale il pericolo di guerra atomica. Non è così. Il numero degli Stati dotati di arma atomica è destinato ad aumentare nei prossimi anni, perché se le varie nazioni che posseggono risorge energetiche o, comunque, risorse che fanno gola agli Stati Uniti d’America, ormai privi di contrappeso, vorranno evitare di esserne rapinate, dovranno necessariamente sviluppare la loro tecnologia e produrre bombe atomiche, a scopi pur’anche difensivi. Bertrand Russell ha fortemente avversato la prima guerra mondiale, in quanto essa, determinando la nascita di nazismo e comunismo, ha creato le condizioni per lo scoppio della seconda guerra mondiale, che, secondo il Nostro, invece, fu necessaria, per mettere fine alla barbarie nazi-fascista. Ma la posizione di Russell è diversa da quella di storici “revisionisti” oggi di moda come Nolte, perché egli evidenzia le responsabilità ch’ebbero le democrazie occidentali nello scoppio del primo conflitto mondiale. Non è, dunque, possibile parlare, come fa Nolte, di una lunga “guerra civile europea”, iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre e proseguita con il secondo conflitto mondiale, determinato dalla “reazione” nazista al comunismo. Ammesso che si accetti, solo per scopi pratici, la terminologia impropria di Nolte, tale “guerra civile europea” è iniziata non con la Rivoluzione bolscevica, ma con la prima guerra mondiale, della quale furono responsabili, secondo Russell, le democrazie occidentali. Questa attribuzione di responsabilità è molto importante, perché certi storici, muovendo dall’equiparazione insostenibile tra comunismo e nazismo, tacciono sul carattere guerrafondaio delle democrazie borghesi. Una puntualizzazione su questo aspetto è venuta dal recente libro di Luciano Canfora: “La democrazia. Storia di un’ideologia”. Questo volume, pubblicato in Italia da Laterza, è stato tradotto in Francia, Spagna, Inghilterra. Era prevista un’edizione tedesca, ma all’ultimo momento la casa editrice, venendo meno agli impegni contrattuali, si è tirata indietro, suscitando polemiche che hanno avuto ampia eco sulla nostra stampa. Si pensi, ancora, all’agnosticismo di Russell, alla sua avversione per tutte le religioni, definite “false e dannose”, alla quale pure si accompagna la massima tolleranza, alla sua “filosofia del dubbio”, che investe la stessa matematica, ch’egli in gioventù aveva considerato infallibile. Questa sua visione è agli antipodi rispetto all’intolleranza e all’integralismo religioso, predicati dal governo italiano di destra, in piena sintonia con la chiesa cattolica, auspice il presidente del Senato, Marcello Pera, autore di qualche libretto assieme al papa, Benedetto XVI, e di tanti interventi contro l’ “inquinamento della razza” da parte degli immigrati e in difesa della cosiddetta “identità religiosa e culturale” della nazione. Bertrand Russell può essere considerato, inoltre, uno dei massimi rappresentanti di quel “relativismo” tanto deprecato dal “papa-inquisitore” in nome di verità dogmatiche ed assolute. Egli è figlio di un’epoca segnata dalla scoperta della teoria della relatività e della teoria dei quanti, che hanno rifondato su basi probabilistiche la scienza. Ogni teoria scientifica è portatrice di una verità relativa, poiché essa può essere ampliata, trasformata o anche falsificata sulla base di nuove sperimentazioni. Non vedo, dunque, come si possa sfuggire al “relativismo” senza cadere nel dogmatismo. Le concezioni relativiste, fra l’altro, caratterizzano l’epoca moderna, che si apre con la Rivoluzione Francese del 1789 e con la “rivoluzione dei lumi”. Esse contestano che ci sia un’autorità morale trascendentale che abbia il diritto esclusivo di stabilire i criteri del bene e del male. Nel periodo illuminista era questa la contestazione che veniva mossa alla Chiesa come custode della legge di Dio sulla terra. Dio, per gli illuministi, si identificava con l’ordine della natura, con le stesse leggi meccaniche dell’universo e con il dono della ragione agli uomini. Per quanto riguarda, invece, i valori o i disvalori della vita comune, la decisione appartiene di diritto, secondo costoro, all’uomo stesso. Un’eco illuminista, per esempio, è presente nella Costituzione americana, laddove riconosce a ogni individuo il diritto alla felicità. Troviamo in Kant la stessa affermazione dell’autonomia morale dell’uomo, laddove egli parla di una “religione nei limiti della ragione”, per dire, appunto, che i precetti morali che derivano dalla tradizione religiosa sono validi in quanto criteri che appartengono anche alla ragione umana. Negare questo “relativismo” significa tornare indietro rispetto all’epoca moderna, ma anche rispetto all’Umanesimo e al Rinascimento, che, se non negano Dio, riconoscono che l’uomo deve affidarsi, come guida per le proprie azioni, alla propria “intelligenza alacre”. Un concetto simile lo troviamo addirittura nel Trecento, come fondamento ideologico del “Decameron” di Boccaccio, che, come ha opportunamente sottolineato il De Sanctis, anticipa l’Umanesimo e la sua concezione laica dell’uomo. E allora negare il “relativismo” significa piombare nelle tenebre del Medioevo, cioè in un mondo di false certezze assolute, determinate dall’oscurantismo. Nel Novecento il “relativismo” non si limita, come nei secoli passati, a dichiarare l’autonomia morale dell’uomo o la validità dei precetti religiosi in quanto si accordino con la ragione, ma vede nel mondo, con spirito di comprensione e di tolleranza, la pluralità delle culture e delle religioni in cui differenti popoli trovano la loro identità storica. Nasce così la famosa concezione “multiculturalista” di cui oggi tanto si parla, magari con scarsa cognizione. E’ stata ampiamente superata l’impostazione ottocentesca secondo la quale la cultura occidentale è il punto d’arrivo dell’umanità, un punto al quale per evoluzione sarebbero dovute arrivare anche le altre culture. Ogni cultura va considerata nella sua autonomia sociale e simbolica. Ma v’è di più. Una cultura occidentale unitaria non esiste, è un’astrazione di comodo. Nell’Europa occidentale hanno convissuto – e convivono – una cultura cristiana, una cultura liberale, una cultura socialista, una cultura marxista. E ancora: nell’ambito della stessa cultura cristiana esistono differenze tutt’altro che trascurabili, che hanno condotto a forme istituzionali e pastorali molto diverse. Nell’ambito della cultura cattolica, abbiamo concezioni diverse: si va dall’integralismo papalino o, peggio ancora, di Alleanza Cattolica, alla visione molto più aperta e tollerante dei “cattolici di base”. Coloro che, come il papa e la destra italiana, pretendono che nella Costituzione Europea si faccia riferimento esclusivo alle “radici cristiane” compiono un atto di superbia e di falsificazione storica e culturale. Bertrand Russell ha alle spalle tutto il patrimonio culturale laico, scientifico ed antidogmatico, di cui abbiamo detto. Egli stesso scrive nella sua “Storia della filosofia occidentale” (1945): “I filosofi sono insieme effetti e cause: effetti delle condizioni sociali, politiche e istituzionali del loro tempo; cause (se sonofortunati) delle dottrine che modellano la politica e le istituzioni delle età successive. Nella maggior parte delle storie della filosofia, ciascun filosofo risulta isolato; le sue opinioni sono esposte senza nessun riferimento a ciò che le precede fuorché, al massimo, alle opinioni di altri filosofi. Ho tentato, al contrario, di mostrare ciascun filosofo, fin dove la verità lo consente, come un risultato del suo melieu, un uomo che riassume in sé i pensieri e i sentimenti che in una forma vaga e diffusa sono comuni alla società di cui fa parte”. Il filosofo è, dunque, punto d’arrivo della cultura precedente e punto di partenza di quella successiva. E’ profondamente influenzato dalla società in cui vive. Siamo di fronte ad una concessione indiretta allo storicismo marxista, che pure Russell dice di contestare. Egli è il degno erede della visione scientifica del mondo, che si è imposta in maniera indiscutibile con Galileo e Darwin. E, appunto, “La visione scientifica del mondo” (1931) è il titolo di uno dei suoi libri più riusciti. La cultura del mondo classico, per Russell, non può essere definita “scientifica”, perché fondata sul metodo deduttivo. La svolta verso il metodo induttivo si è avuta con Galilei. Già il metodo galileiano esclude ogni predestinazione e, per ciò stesso, fu avversato dalla chiesa. Dall’osservazione lo scienziato ricava una legge scientifica, della quale poi verifica la validità applicandola ad una vasta gamma di fenomeni della stessa specie. La sperimentazione esclude ogni visione metafisica: essa è l’elemento che conferisce validità scientifica ad una teoria, che viene messa continuamente in discussione. I cosiddetti “creazionisti” hanno volutamente equivocato, sostenendo che il racconto biblico e la teoria darwiniana dell’evoluzione sono entrambe “ipotesi”, quindi hanno pari dignità e vanno entrambe studiate a scuola, come avviene oggi in alcune parti degli Stati Uniti. Siamo di fronte ad un sofisma, ad un giuoco di parole. Sono diverse la natura ipotetica di una teoria scientifica e la natura ipotetica di un racconto “mitico”. Quest’ultimo è “ipotetico” nel senso che non può essere assoggettato a sperimentazione: nessuna telecamera ha inquadrato il mitico “creatore” mentre impastava la mota e soffiava la vita. Il racconto biblico è frutto della fantasia umana, che crea “miti”, non “teorie scientifiche”. La teoria scientifica è “ipotetica” nel senso che, attraverso la sperimentazione, può essere anche trasformata e perfezionata. Come ha osservato il chimico tedesco Hofmann, contemporaneo di Darwin, attraverso le “ipotesi” talvolta lo scienziato collega momentaneamente dati isolati, colmando poi le lacune con successive osservazioni ed indagini. Scrive Hofmann: “L’ipotesi è uno dei più pregevoli sussidi dell’indagine scientifica; ma nella maggior parte dei casi essa non ha che un’utilità temporanea, poiché deve essere estesa o ben anche deve essere abbandonata secondo che, per i risultati della continua indagine, diventa troppo angusta oppure cessa di essere la esatta interpretazione dei fatti. D’altra parte se l’ipotesi abbraccia e spiega serie estese di fenomeni e se con gli esperimenti continuati vengono alla luce i risultati che l’ipotesi stessa aveva già messo in vista, se inoltre per le scoperte fatte si innalza più e più sulla scala della probabilità, essa perde il suo carattere provvisorio per associarsi alla fine col nome e col rango di una teoria (da theorèo osservo) alle dottrine riconosciute della scienza”. La teoria darwiniana dell’evoluzione, attraverso ripetuti esperimenti, è stata perfezionata, ma i suoi capisaldi sono rimasti validi. Due punti sono ancor oggi indiscutibili: le specie umane, animali, vegetali, non sono state create come sono attualmente, ma sono il risultato dell’evoluzione; tale evoluzione avviene col metodo della selezione naturale. Ne consegue, secondo Russell, che l’uomo non è stato creato a sua immagine e somiglianza da Dio, ma è il risultato dell’evoluzione. Il grande filosofo e matematico contesta anche la tesi del “disegno intelligente”, oggi portata avanti dai soliti “creazionisti”. Essi sostengono che la complessità e la perfezione dell’universo presuppone un “creatore intelligente”. Russell, d’accordo con Primo Levi, obietta che un mondo in cui ci sono stati Hitler e i campi di sterminio nazisti non è poi così perfetto. Già Darwin osservò che anche l’occhio umano è imperfetto. Russell evidenzia i vantaggi, ma anche i pericoli dello sviluppo scientifico e tecnologico. Gli stessi vantaggi non sono stati estesi a tutti. La tecnologia poteva risolvere il problema alimentare dei poveri del terzo e del quarto mondo, così come delle masse diseredate del cosiddetto “mondo civilizzato”. Ma così non è stato e bisogna chiedersene il perché. Russell, che pure sente il problema, non riesce ad entrare nei meccanismi dello “scambio ineguale”, della politica imperialista, proprio perché non è un marxista e, quindi, non considera l’economia come il “fattore di ultima istanza”, cioè come l’elemento che, in ultima analisi, spiega i problemi. Quanto ai mali, la scienza del ventesimo secolo ha prodotto la bomba atomica, la bomba ad indrogeno, ed altri sofisticati strumenti di distruzione di massa. Ha messo in crisi gli equilibri biologici dell’eco-sistema. Russell è stato uno dei primi ad avvertire questo pericolo, è stato un ecologista “ante litteram”. Ma egli si sofferma anche su un altro aspetto, anch’esso molto attuale: il pericolo del controllo dei comportamenti e quello ancor più grave della manipolazione delle coscienze. Egli è stato uno dei primi ad analizzare i meccanismi perversi della pubblicità, nel già citato volume “La visione scientifica del mondo”. Un esempio valga per tutti. Se si affidasse la pubblicità di un sapone realmente efficace ad un gruppo di scienziati e tale pubblicità fosse veritiera, volta cioè a indicare al consumatore solo le effettive caratteristiche del prodotto, nessuno lo comprerebbe. Se, invece, osserva Russell, si affidasse la pubblicità di un pessimo sapone a noti personaggi dello spettacolo e tale pubblicità fosse superficiale, accattivante ed ingannevole, volta a far credere che quello è il miglior sapone in commercio, tutti lo comprerebbero. Ma il Nostro è stato un precursore, presagendo che anche la chiesa cattolica si sarebbe servita, prima o poi, dei mezzi perversi della pubblicità. Ciò è realmente avvenuto, in particolare a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, che ha fatto un uso spregiudicato dei massmedia. Russell ha previsto con lungimiranza la pericolosità di questi sofisticati strumenti di persuasione occulta e di vero e proprio abuso della credulità popolare, una volta che fossero stati utilizzati dalla chiesa cattolica, dotata di un potere enorme di suggestione e di soggiogamento delle masse. Credo di non poter condividere l’individualismo che domina le concezioni gnoseologiche ed etiche di Russell. Ha ragione Nicola Abbagnano: la filosofia della conoscenza del Nostro è un innesto non troppo riuscito tra l’empirismo di Hume e la metafisica di Leibniz. Dall’empirismo egli ricava la convinzione che la conoscenza umana è fondata sull’esperienza. Ma cade subito nel monadismo leibniziano aggiungendo che tale esperienza è “immediata” e “privata”. Esiste una molteplicità di “spiriti”, ognuno dei quali ha un rapporto “personale” e “privato” con il mondo sensibile, un dominio privato o “egocentrico” dei dati sensibili, una sua “prospettiva”, un suo “mondo particolare”. Le “prospettive” possibili sono infinite e la loro totalità costituisce il “mondo sensibile”. Ma è facile obiettare che, se a fondamento della conoscenza sta l’esperienza immediata e personale e questa è diversa da individuo a individuo, non è possibile uscire dal solipsismo, cioè dall’affermazione che esisto solo io e che tutti gli altri e tutte le cose sono solo mie idee o rappresentazioni. Il Nostro cerca di superare questa obiezione sostenendo che molte delle nostre conoscenze sono “quasi pubbliche”, in quanto simili a quelle degli altri. Il mondo sensibile non sarebbe allora altro che il risultato, il punto d’incontro delle varie prospettive individuali. Fra l’altro, Russell non fa differenza tra conoscenza comune e conoscenza scientifica: anche quest’ultima sarebbe soggettiva, “privata”. Il campo della gnoseologia è sicuramente quello nel quale la rinascita del materialismo dialettico in Italia, ad opera di Ludovico Geymonat e di alcuni suoi allievi, ha dato i maggiori risultati. Secondo la scuola geymonattiana, la realtà esiste oggettivamente, al di là della rappresentazione che se ne danno i singoli individui. Contrariamente a quanto sostiene Russell, essa non è il risultato delle “prospettive convergenti” dei vari “spiriti”. Se non esistesse una realtà oggettiva, nella quale è la Terra a girare intorno al Sole - e non viceversa - , noi non potremmo dire che aveva ragione Galileo e torto Aristotele e Tolomeo. E’ come se esistessero vari livelli di realtà. Un sistema conoscitivo è adeguato a cogliere un livello, ma non quello successivo, che abbisogna di un altro sistema conoscitivo e così via, in un continuo approssimarsi alla realtà oggettiva, senza coglierla mai appieno. La verità scientifica non è, dunque, verità assoluta, bensì relativa, è “processo dialettico asintotico”, per via del continuo approssimarsi dell’uomo ad essa, senza raggiungerla definitivamente. Possiamo, dunque, concludere che, a differenza di quanto si può desumere dalla filosofia della conoscenza di Russell, la realtà oggettiva esiste, è il nostro sistema conoscitivo che è imperfetto. Sul piano etico il Nostro formula la “teoria dei desideri”. Anche l’etica di Russell è fondata su basi individualiste e soggettiviste, in quanto egli identifica la morale con i desideri di ciascuno. Perciò dire che qualcosa è bene o un valore è positivo equivale a dire “mi piace”; dire che qualcosa è cattivo significa esprimere un atteggiamento ugualmente personale e soggettivo. L’intervento razionale serve solo a rafforzare i desideri che possono assicurare la felicità e l’equilibrio della vita e a deprimere o distruggere quelli che confliggono con questo fine. Ma questa posizione è chiaramente contraddittoria: se l’etica ha a che fare esclusivamente con desideri, manca qualsiasi criterio per preferire o far prevalere uno di essi sugli altri. Russell, inoltre, dà un peso preponderante alla sfera soggettiva rispetto ai condizionamenti della realtà oggettiva. Scrive ne “Il mio credo”, confluito nel volume “Perché non sono cristiano”(1927): “La natura è soltanto una parte di ciò che possiamo immaginare; ogni cosa, reale o immaginaria, può essere valutata da noi, e non esiste alcun modello esterno che ci indichi se la nostra valutazione è giusta oppure errata. Noi siamo gli assoluti e irrefutabili arbitri del valore, e nel mondo dei valori la natura è soltanto oggetto. Pertanto nel mondo dei valori noi siamo superiori alla natura”. Russell costruisce un immaginario “mondo dei valori”, nel quale il potere del singolo è assoluto, non tenendo conto dei condizionamenti esterni della morale individuale. Di questi condizionamenti decisivi, soprattutto economici, tiene conto, invece, il marxismo. Per Marx l’etica è condizionata dall’appartenenza di classe. La morale rivoluzionaria del proletariato è fondata su valori come: uguaglianza economica e giustizia sociale, liberazione dallo sfruttamento, soddisfazione dei bisogni di ciascuno. Essi sono contrapposti alle norme della morale borghese, fondata sul profitto ad ogni costo, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul finto solidarismo sociale. L’etica marxista nasce, quindi, come sistema storico di valori classisti che la strategia politica rivoluzionaria ha il compito di realizzare. Questa concezione classista è estranea a Russell, che, anzi, accusa il comunismo di seminare l’odio di classe, dimenticando che la divisione in classi della società e lo scontro tra di esse sono esistiti sempre nella storia umana, non sono un’invenzione di Marx, che ha avuto il merito di analizzare scientificamente il fenomeno in funzione della trasformazione rivoluzionaria. Ma, allora, in che misura l’individualismo di Bertrand Russell può contribuire a delineare una filosofia valida per il nostro tempo? Innanzitutto, nella misura in cui spinge ciascuno di noi a porsi di fronte alla propria coscienza, a coltivare il dubbio, ad alimentare il tanto deprecato “relativismo”; a non identificarsi “tout court” col “branco”; ad assumere un atteggiamento critico nei confronti del patrimonio culturale che pure ci appartiene, per nascita e per formazione, sottoponendolo continuamente a verifica, confrontandolo con quello degli altri popoli; a non contrapporre la nostra cultura e la nostra identità a quelle degli altri, ad avere coraggio di “contaminarle” con esse, senza assumere un atteggiamento di superiorità. Insomma, a “pensare in maniera impersonale”, cioè a regredire in noi stessi per capirci a fondo ma anche per cambiarci e migliorarci nel confronto vivificante con gli altri. Scrive Bertrand Russell in “Una filosofia per il nostro tempo”(1956): “Quando avremo acquistato l’abito di pensare in modo impersonale, potremo osservare le credenze popolari della nostra nazione, della nostra classe sociale e della nostra setta religiosa, con lo stesso distacco con il quale osserviamo quelle degli altri. Scopriremo allora che le credenze nelle quali la gente persevera con la massima fermezza e con la più forte passione sono molto spesso le meno dimostrate. Quando un grande gruppo di uomini crede in A, e un altro grande gruppo di uomini crede in B, v’è la tendenza in entrambi questi gruppi a odiare l’altro perché crede in cose così chiaramente assurde. La miglior cura di questa tendenza consiste nell’abitudine di regolarsi secondo l’evidenza, e di rinunciare alla certezza di quelle cose delle quali non si ha una prova. Questo si applica non solo alle credenze teologiche e politiche, ma anche ai costumi sociali. Lo studio dell’antropologia rivela che esiste una sorprendente varietà di costumanze sociali, e che le società possono persistere con abitudini che si potrebbero considerare contrarie alla natura umana. Questa specie di conoscenza è molto utile come antidoto al dogmatismo, specialmente nel nostro tempo, in cui dogmatismi rivali rappresentano il maggior pericolo che minacci il genere umano”. Credo che siano attuali le considerazioni che fa Russell in merito alle religioni, in particolare nel volume “Perché non sono cristiano”. Egli le definisce tutte “false e dannose”, perché fondate su un presupposto comune: quello di possedere la verità assoluta da imporre agli altri. Così i dogmatismi si scontrano: da una parte si invoca, come ai giorni nostri, la “guerra santa” contro gli infedeli e, dall’altra, si invocano le “crociate”. E si arriva ben presto allo “scontro tra civiltà” - sarebbe meglio dire tra “inciviltà” - e al conflitto armato vero e proprio. Le parole di Bertrand Russell sembrano scritte proprio ora: “La convinzione che è importante credere questo o quello senza ammettere libere indagini, è comune a quasi tutte le religioni, e ispira tutti i sistemi di educazione statale. Ne consegue che il pensiero dei giovani viene soffocato e indirizzato a una fanatica ostilità contro coloro che hanno altri fanatismi, e, anche più violentemente, contro coloro che a qualsiasi fanatismo si oppongono”. Per quanto ci riguarda, il nostro compito è quello di impedire che il marxismo diventi, come lo considerava Russell, una “religione”, anch’essa fondata su dogmi e verità assolute. Esso deve essere un metodo per l’analisi critica della società capitalistica in vista di una trasformazione radicale. Un metodo aperto al confronto con altri metodi, dal quale non può non uscire arricchito. * Intervento al convegno sul tema “Il razionalismo critico di Bertrand Russell: una filosofia per il nostro tempo?”, svoltosi, sabato 28 gennaio 2006, nell’aula magna del Liceo classico “Luigi Valli” di Barcellona P.G. (Me), per iniziativa del Circolo Arci “Città Futura” e del Centro Studi “Nino Pino Balotta”. (pubblicato il 4 Febbraio 2006)