Per ogni negozio che apre, ne chiudono due. Il piano-giovani di Letta è un flop. Crescono le tasse sulle pensioni. La crisi non cambia verso Domenica 29 giugno 2014 – Anno 6 – n° 177 y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!"!]!?!; e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 RIFORME, IMMUNITÀ SÌ FALSO IN BILANCIO NO Domani in Cdm solo una vaghissima discussione sulle linee guida, sebbene il premier avesse giurato “a giugno il pacchetto giustizia”. Per lo scudo su Palazzo Madama invece nessun passo d’Esposito e Marra » pag. 6 - 7 indietro. Senato elettivo, Razzi e Scilipoti si convertono a Chiti NAPOLITANO E LE PROCURE LO SCANDALO MOSE Lo strapotere del capo dei pm e la lettera al Csm: il Quirinale della trasparenza zero Orsoni, il Gip dice no al patteggiamento: “Fatti troppo gravi” Ma c’è rischio prescrizione Tinti » pag. 5 Amurri, Massari e Vecchi » pag. 4 LE PAGELLE DEL VERTICE Il gran risiko di Bruxelles: vince la Merkel, Renzi pareggia e Cameron va ko Con la nomina di Juncker, inizia la battaglia su regole e flessibilità. Per le altre caselle scoperte giù D’Alema e Letta, su la Mogherini Feltri » pag. 8 » IL REPORTAGE » L’eterno disastro dell’Ilva e la rabbia della gente per strada Taranto, il veleno rosa sulle mani dei bambini Vita, morte e tribolazioni della città che, secondo i funzionari dello Stato, gode di aria pulita e sana: i quartieri invasi dalle polveri, i malati di cancro, i bimbi costretti a giocare dentro casa anche d’estate Borromeo » pag. 2 - 3 LA CATTIVERIA I fumi dell’Ilva e le polveri sulle mani dei bambini Luigi Piepoli L’INTERVISTA 100 anni fa il casus belli della Grande Guerra. L’Austria lanciò l’hashtag #Serbiastaiserena » www.forum.spinoza.it I MONDIALI DI CALCIO Piera Degli Esposti: “Io, De Chirico e la Renault 4 di Moro” Il grande teatro, i tamburi della Maraini e le giacche di Moretti E ora la felicità delle fiction tv Corallo e Pagani » pag. 16 - 17 Brasile, che paura! Con il Cile si salva all’ultimo rigore (e grazie a due pali) Malcolm X: “Solo con la violenza non saremo schiavi” Enzo Biagi » pag. 12 - 13 Maledizione “Roja”: sulla traversa il tiro al 120° minuto di gioco, sul legno il penalty finale. Neymar & co. passano ai quarti Beccantini e Beha » pag. 18 - 19 Latitante? No, senatore di Marco Travaglio opo due settimane di inseguimenti, il giallo D dell’immunità ai senatori non più eletti è dunque risolto: nel progetto originario del go- verno Renzi non c’era; poi il 17 giugno – fa sapere Palazzo Chigi, dopo le nostre ripetute insistenze – il premier incontrò una delegazione di senatori Pd che la chiesero a gran voce; allora il Rottamatore divenne Restauratore e diede l’ok al ripristino dello scudo impunitario. Che infatti si tramutò immantinente in emendamento firmato da Finocchiaro&Calderoli, relatori in commissione Affari costituzionali, che intanto avevano raccolto l’unanime analoga richiesta degli altri partiti favorevoli al Senato non elettivo (Ncd, FI, Lega e centrini). Emendamento approvato per ben due volte via email il giorno 19 dal ministero delle Riforme guidato da Maria Elena Boschi. Il 21 giugno il lieto evento apparve sui giornali. E il 22 la bella addormentata nei Boschi dichiarò a Repubblica che era tutta colpa dei partiti, mentre lei e il governo tutto erano contrari. Una bugia bella a buona, visto che sia Renzi sia lei avevano avallato il ripristino dell’immunità. Finocchiaro e Calderoli, rimasti col cerino acceso in mano, si ribellarono e dissero che erano tutti d’accordo – partiti e governo –, precisando di essersi limitati a fare i notai della suprema volontà della maggioranza delle riforme, cioè della somma di quella del governo più FI e Lega (esclusi una dozzina di dissidenti del Pd). Apriti cielo, fuggi-fuggi generale: a parole, tutti i partiti favorevoli divennero contrari. Nei fatti, pur potendo cancellare l’emendamento Calderoli-Finocchiaro, si guardarono bene dal farlo. La solita fiera del tartufo. Tant’è l’immunità rimane scritta a caratteri aurei nel testo che il Senato inizierà a votare a metà luglio. L’unica differenza rispetto all’attuale articolo 68 della Costituzione è l’annuncio che a votare l’autorizzazione agli arresti, alle intercettazioni e alle perquisizioni dei parlamentari non saranno più Camera e Senato, ma la Corte costituzionale. Vedremo se questa bizzarra innovazione, che affida al giudice delle leggi la responsabilità di esprimersi su un’indagine giudiziaria in corso, resterà affidata alla tradizione orale tipica dell’èra renziana, o si tradurrà in qualcosa di scritto. La sostanza è che i senatori, anche se non verranno più eletti ma nominati dalla Casta, resteranno cittadini più uguali degli altri. Come i maiali di Orwell. Infatti di questa porcata nessuno vuole assumersi la paternità, come se l’avesse portata la cicogna all’insaputa di tutti. Da ieri, grazie al nostro giornale, sappiamo invece che: a chiederla è stato il Pd, a volerla è stato Renzi in persona e a dire le bugie è stata anche la Boschi. Sarà bene tenerlo a mente in vista del voto al Senato, perché lì la questione tornerà d’attualità e ripartiranno le supercazzole e gli scaricabarile. La principale scusa per giustificare l’ingiustificabile è questa: l’immunità non è un privilegio per gli eletti, ma una garanzia per la carica. Lo scrive il giurista Michele Ainis sul Corriere di ieri, rammentando che sono immuni anche i giudici costituzionali, che nessuno elegge. Vero, ma il giudice costituzionale fa solo il giudice costituzionale. Il nuovo senatore invece è un cittadino eletto per fare il sindaco o il consigliere regionale, dopodiché il consiglio regionale gli mette pure il pennacchio di senatore: il fatto che sia anzitutto un amministratore locale è dimostrato dal fatto che scade da senatore non al termine della legislatura senatoriale, ma quando chiude il mandato nel suo comune o nella sua regione, o quando la sua giunta cade in anticipo. Il nuovo Senato non esercita più il potere legislativo (non vota le leggi, a parte quelle costituzionali, ma esprime solo pareri non vincolanti alla Camera): è una sorta di dopolavoro gratuito e part-time per amministratori locali, che non si vede perché mai dovrebbero essere immuni full-time. O meglio, si vede benissimo: i partiti già pensano di mandarci i loro compagnucci nei guai con la giustizia per salvarli dalla galera. In fondo il Senato è sempre meglio della latitanza. 2 SPROFONDO SUD DOMENICA 29 GIUGNO 2014 Sdeii guasta la pompa rifornimenti, petrolio in mare ANCHE IERI UN INCIDENTE a Taranto: la rottura della valvola di una tubazione attraverso la quale era stata rifornita di gasolio una nave della Marina militare nella base navale Chiapparo ha provocato lo sversamento in mare di carburante. Angelo Bonelli, dei Verdi: “Tra diossina (Ilva), benzene (Eni) e petrolio, Taranto si trova in una situazione drammatica con un futuro compromesso”. C’è Ignazio, il barista, ad accogliere i giornalisti: “Voi venite, scrivete e poi andate via. Ma qua la guerra non finisce mai” C’è Sabrina, che ha perso papà Peppino e il marito Nicola: “A mio padre è andata bene, solo un mese di malattia. Nicola invece ci ha messo tanto. E io vorrei andarmene, portare via almeno la bambina: ma chi viene a comprarsi adesso una casa a Tamburi?” di Beatrice Borromeo L’ inviata a Taranto uomo fa scivolare il dito indice lentamente, da destra a sinistra, sulla superficie liscia e scura del bancone del suo bar. “Sono un concorrente del Grande Fratello”, dice mostrando la polvere rossastra che gli si è accumulata sul polpastrello. Polvere che sembra cipria, che quando la soffi controluce brilla. “Oggi chi è stato nominato? Io? Allora oggi muoio io”. Il piccolo bar nella piazza centrale del quartiere Tamburi – quello che, secondo il sub-commissario Ilva, Edo Ronchi, gode dell’aria tra le migliori d’Italia – fotografa la realtà complessa di Taranto. “Pulisco tutti i giorni, e ogni venerdì strofino per bene ogni angolo e lavo i vetri. Ma non c’è niente da fare: la polvere entra lo stesso, s’infiltra ovunque. Respiro tutto il giorno un’aria che fa venire il cancro”. Ignazio con la barba bianca e i capelli neri ha due categorie di clienti. I giornalisti e gli operai. Quando entriamo noi, comincia lo show: ci racconta, indicando col dito ancora sporco di “quella zoccola dell’Ilva”, che la sua città “sembra uscita dalla guerra. È tutto sospeso. Si parla dei Mondiali, non dei tumori. Siamo abituati, indifferenti. Voi cronisti scrivete due righe e poi ve ne fregate. Ma qui la guerra dovrebbe essere finita già da un po’, eppure la vita non riparte”. Ignazio dice tutto quello che ti aspetti di sentire: “C’è un altro funerale, oggi, a Santa Rita. Un altro ragazzo morto di tumore”. Ma se gli chiedi di farsi fotografare, la disinvoltura che ormai ha con la stampa lascia il posto alla paura di perdere la clientela: “Non posso. Qui ci vengono gli operai. Non si può parlar male della zoccola. Altrimenti la gente si arrabbia: ha paura di perdere il lavoro. Vi faccio lo sconto-giornalisti, un euro per i vostri caffè, ma non chiedetemi la foto”. LA CITTÀ ROSA E LE COZZE ILLEGALI Più ti avvicini a Tamburi, più il paesaggio si colora di rosa. Appena attraversi il ponte girevole, che divide la città vecchia da quella nuova, e ti lasci alle spalle il Castello Aragonese e la sua storia millenaria, cominci a notare le ferite con cui convive la gente. Basta guardare il mare. Anche dove non piovono i siluri della Marina militare – un bagnante ne ha trovato uno di un paio di metri sganciato qualche giorno fa, per errore, da un elicottero – di spie ce ne sono eccome. E sono rosse, di plastica, galleggianti. Sono le decine di boe disseminate nel Mar Piccolo di Taranto a indicare le coltivazioni delle cozze tarantine, famose nel mondo ma ormai contaminate. “Per legge non si possono più né mangiare né vendere, anche se i pescatori a volte se ne fregano”, raccontano sul lungomare, mentre due ragazzini sfrecciano avanti e indietro su un motorino grigio, senza meta e senza casco. Rosse come le recinzioni che confinano la terra tossica del cimitero San Brunone, dove i morti non si possono più seppellire perché il rischio per chi scava le fosse è troppo alto. Poi alzi gli occhi e vedi le boe sovrastate da una torre blu che sulla cima si dipinge di strisce rosse e bianche. È il camino E 312, quello dove gli operai salivano per protestare contro la diossina sparata nell’aria. IL TANFO, LE NUVOLE, IL BENZO(A)PIRENE L’Ilva si vede, ma è ancora lontana, avvolta da una cappa che offusca tutto il cielo tarantino. Davanti a noi ci sono due navi con la chiglia arrugginita. Anche la Marina militare – denuncia Legambiente – ha un ruolo importante nell’avvelenamento di queste acque. Così come inquinano gli altri impianti industriali, da Cememtir all’Eni. Capisci dove sei anche a occhi chiusi, perché vicino a ogni stabilimento c’è un odore diverso. Prima arriva la puzza di gas, poi quella di marcio. Passi sotto i lunghi nastri trasportatori che, come trenini blu sospesi per aria, spostano ogni anno milioni di tonnellate di materie prime –minerali di ferro e carbon fossile – dal porto commerciale ai parchi dell’Ilva. Lì inali qualcosa di diverso, di acre, una puntura metallica che fa pizzicare le narici. Dall’acciaieria, di giorno, escono grappoli di nuvole bianche, fumi densi e compatti, innocui per l’azienda (“è solo vapore”) e tossici per i cittadini (“contengono polveri e benzo(a)pirene, che sono sicuramente cancerogeni”). “L’Ilva è oggi un’azienda in via di risanamento ambientale – ha insistito Ronchi – il benzo(a)pirene si è ridotto di dieci volte. Nel quartiere Tamburi è ampiamente a norma per tutti i parametri”. UNO SU DICIOTTO SI BECCA IL CANCRO Qui gente e paesaggio raccontano però un’altra storia. Il parchetto di Tamburi, davanti alla scuola elementare, è recintato: “Divieto d’ingresso”, dice l’ordinanza del sindaco. Neanche le aiuole si possono toccare: “Dobbiamo tenere i bambini in casa, non possono giocare sull’erba”, racconta una madre. Quasi tutti i portoni hanno tre cose in comune: il numero civico scritto con la bomboletta spray, la bandiera dell’Italia che sventola anche dopo l’eliminazione degli Azzurri e un cartello con su scritto “vendesi”. Solo che nessuno vuole comprare. Alessandro Marescotti, professore delle superiori che da qualche anno gira con un rilevatore di IPA – tra i principali cancerogeni presenti nell’aria tarantina – ci mostra i dati raccolti il giorno prima, all’alba. “È di notte che all’Ilva bruciano quello che non dovrebbero bruciare”. La qualità dell’aria, dice MARIO lui, “è pessima. Ieri oscillava tra i E I BIMBI 17 e i 36 nanogrammi al metro Qui a destra cubo, superando addirittura la Mario concentrazione che Arpa aveva Amodio, già rilevato a Tamburi nell’anno campione di delle telefonate tra Archinà e Niarti marziali. chi Vendola, il 2010 (cioè 19 naSotto, i bambinogrammi al metro cubo)”. Proprio verso le sette di mattina si ni del quartiere Tamburi, con vede una striscia orizzontale che come un soufflè si accascia sulla le mani sporche di polvere città: “È in quel momento che biFoto Luigi Piepoli sogna analizzare l’aria. Il sistema di monitoraggio che rende così ottimista Ronchi è inaffidabile”. Il professore cita il numero dei malati di tumore, in continuo aumento: “Uno ogni diciotto persone a Tamburi, nel resto della città uno ogni ventisei abitanti”. Dati non necessariamente incompatibili con le affermazioni del sub-commissario, considerando il periodo d’incubazione. “La prova che i rischi sono ancora enormi – dice Marescotti – è il Fatto Quotidiano SPROFONDO SUD il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 GIUGNO 2014 3 DICE EDO RONCHI LA LUNGA NOTTE NERA DI TARANTO CITTÀ MALATA Mentre le autorità giurano che ormai la qualità dell’aria “è tra le migliori d’Italia” la gente combatte le polveri killer. Il professore: “L’Ilva brucia le schifezze col buio” “Risanamento avviato, a parte le opere più care” ALTRO CHE INQUINAMENTO e pericoloso attacco alla salute dei cittadini: l’aria di Taranto è tra le migliori d’Italia. Lo dice il subcommissario dell’Ilva, Edo Ronchi, confortato dai dati dell’Agenzia regionale pugliese per l’Ambiente: “La qualità dell’aria a Taranto è buona, in particolare per le polveri sottili: i dati sono tra i migliori delle città italiane. Il benzo(a)pirene si è ridotto di dieci volte. Nel quartiere Tamburi, l’aria è ampiamente a norma per tutti i parametri”. Anche le prospettive future dell’area tarantina sono eccellenti: “L’Ilva è oggi un’azienda in via di risanamento ambientale, l’81% dei numerosi interventi prescritti dall’Aia del 2011 e del 2012 sono stati attuati e il 98% degli interventi è stato avviato”. Per l'applicazione dell’Aia, ammette però Ronchi, occorrono 1,8 miliardi, dei quali 500 milioni entro l’anno, “perché non sono ancora stati completati gli interventi più costosi”. Il colosso franco-indiano Arcelor Mittal potrebbe essere interessato a investire in Puglia. INDAGINI IN CORSO In tribunale a settembre per “Ambiente svenduto” LA GIUSTIZIA SI FERMA fino al 16 settembre: solo allora il tribunale di Taranto deciderà se accettare la costituzione di parte civile al processo “Ambiente svenduto” per circa 800 fra associazioni e cittadini convinti di aver avuto la vita rovinata dall’Ilva con la gestione Riva. Gli ex proprietari, invece, attendono la decisione della Cassazione sulla richiesta di trasferimento del processo a Potenza: troppa pressione in città, troppa ostilità, dicono. La procura chiede il processo per 49 imputati e tre società fra dirigenti e rappresentanti della famiglia Riva, accusati di associazione per delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Mancherà in aula Emilio Riva, scomparso a 87 anni il 29 aprile scorso. Tra gli imputati anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, l'ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, il deputato di Sel, Nicola Fratoianni, l'assessore regionale all'Ambiente, Lorenzo Nicastro. che abbiamo fatto fare gli esami del sangue a un gruppo di bambini di Tamburi. E nel loro sangue c’è piombo. Il piombo resiste tre o quattro settimane al massimo. Se la situazione fosse buona come vogliono farci credere, non avremmo un probabile cancerogeno dentro di noi: sì, ce l’ho anche io, e sono preoccupato per la mia salute”. FRATELLI D’ITALIA E AMORE SUI MURI All’ingresso della città, appena dopo l’autostrada, c’è questa scritta: “Oggi bistecca alla diossina”. A Tamburi invece, oltre al patriottismo calcistico, stupiscono anche i messaggi verniciati sui muri. Ci sono solo frasi d’amore: “Silvia ti prego torna”; “Piccola mia io e te sempre insieme”; “Tanti auguri mamma”. Sulla facciata di una casa popolare, però, c’è affissa una targa: “Ennesimo decesso per neoplasia polmonare. 8 marzo 2012”. “L’ha voluta mio padre, operaio dell’Ilva, subito prima di morire”, ricorda Sabrina Corisi, occhi azzurri e combattivi. “Voleva fosse chiaro a tutti che siamo solo numeri. Lui, almeno, è stato fortunato: è morto in LA RETE E I MORTI Sopra, lo stabilimento dell’Ilva intorno al quale è stata messa una rete che in teoria - dovrebbe evitare lo spargimento delle polveri. A destra, il cimitero: non si può spalare la terra per l’inquinamento Foto Luigi Piepoli 25 giorni”. Entriamo nella sua casa, tirata a lucido “perché qui abbiamo la fobia della polvere”. Fuori dalle finestre ci sono stracci bagnati per impedire che entri, stracci che dopo qualche ora si colorano di rosa. Nella cucina, sul frigo, sono attaccate fotografie di due uomini: “Quello è mio padre Peppino. L’altro invece, è mio marito Nicola. Stesso lavoro, stessa sorte. Ma a Nicola è andata molto peggio: ci ha messo sei mesi a morire. Alla fine aveva 52 metastasi solo al collo. Tre lesioni cerebrali. Un nodulo al polmone. Non riusciva più né a respirare né a bere o mangiare. Qui dicono che bisogna scegliere se morire di cancro o di fame: lui è morto di tutt’e due”. Sabrina è in casa con la sorella, la madre e la figlia di due anni, Gaia, che indossa una maglietta con la foto del padre sul davanti e del nonno sulla schiena. Di tanto in tanto dà un occhiata al cortile, dove Swami, 8 anni, gioca con gli amici: “So che non dovrebbero star fuori, ma tenere i bambini tutto il giorno chiusi in casa è impossibile”. Le mani e la fronte, quando si appoggiano al muro per giocare a nascondino, di- ventano subito rosse di polvere, come se avessero toccato una vernice fresca color mattone. “Se dovesse succedere qualcosa ai miei figli non me lo perdonerei mai, alla fine la scelta di restare è mia”, dice Sabrina. Che però, ad andarsene, ci ha provato: “La casa è invendibile. Il lavoro non c’è. Io dico che tutti noi che abitiamo qui, in fondo, lavoriamo per l’Ilva. Quando è morto mio marito, sono andata in banca perché da sola non riesco a pagare il mutuo. Ho detto: ‘Voglio pagarne solo metà, perché mio marito non è più qui, non usufruisce più di questa casa”. Lui, mangiando patatine, si è messo a ridere: ‘Facile la vita, eh?’, ha risposto. Sabrina ci mostra un volantino che sta distribuendo in tutto il vicinato. “Chiedo alla gente di Tamburi di svegliarsi. So che avete paura di perdere il posto, ma qui stiamo morendo tutti. Dobbiamo essere uniti, solo così obbligheremo Renzi, Ronchi o chi per loro a fare qualcosa. Venissero qui, a governare. Li ospito io, vediamo se insistono con la cazzata che la nostra aria è la migliore d’Italia”. Per un’oretta, Sabrina racconta la sua storia e resta tranquilla. Poi gli scudi cadono e le parole escono veloci, una dopo l’altra. È quando si parla della famiglia Riva: “Io li odio. Mentre ero in ospedale ho sentito della morte di Emilio Riva. Aveva 80 anni, quindi la vita l’ha vissuta, ha visto i figli crescere, e questo mi dispiace. Ma in quel momento, quando ho saputo che non esisteva più, sono stata felice. Fanculo, sei morto pure tu. Sarai anche morto vecchio e ricco, ma almeno sei sotto terra. E dopo di te ci vada pure l’Ilva”. CAMPIONI DEL MONDO Ma c’è anche chi, si chiama Mario Amodio, vuole che l’acciaieria resti aperta: “Che la mettano in sicurezza. Altrimenti qui non si mangia più”: Mario è stato campione del mondo di kick boxing e karate, la sua casa è colma di trofei e medaglie. Sua moglie Felicetta, che dei tarantini dice “siamo un branco di pecore, non riusciamo a coalizzarci”, li guarda e poi abbassa gli occhi a terra. Adesso Mario pesa 40 chili. “Ho lavorato nell’Ilva e nel suo indotto tutta la mia vita. Poi mi hanno detto che avevo un tumore alla lingua e uno all’esofago. Io ero così in forma, così forte, che non avrei mai pensato potesse succedere proprio a me”. Le parole sono le stesse usate da Sabrina: “Dopo mio padre, come avrei potuto immaginare che capitasse anche a Nicola?”. Mario, che parla grazie a una macchina appoggiata sotto al mento, si rivolge direttamente al premier: “Per colpa dell’Ilva sto vivendo un’altra vita. Mi hanno tolto l’esofago: non posso digerire, se mangio troppo mi esce tutto. Non posso fare la doccia perché rischio di affogare. Non posso essere un marito per mia moglie, che è l’unica ragione per cui vado avanti. E sapete cos’ha fatto l’Asl? Mi ha tolto l’accompagnamento! Erano solo 500 euro al mese, ma aiutavano. Dicono che mi vedono bene, che sto meglio. Che lavoro posso fare – dice con la voce metallica che filtra dalle vibrazioni del laringofano – l’operatore di un call center?”. Mario e Felicetta scoppiano a ridere: “Dobbiamo metterla in quel posto a chi ci vuole morti. Restiamo di buon umore. Siamo più forti di te, Ilva”. Twitter@BorromeoBea Ha collaborato Luigi Piepoli 4 AFFARI LORO DOMENICA 29 GIUGNO 2014 R ai, Mieli benedice Campo Dall’Orto promesso dg PER IL FUTURO del sistema televisivo servono “una pulizia di progetto, una guida chiara e un gruppo di lavoro onesto”: parola di Antonio Campo Dall’Orto, protagonista del primo dei tre appuntamenti organizzati da Aleteia Communication che da oggi per tre sabati consecutivi si terranno a Spoleto durante il Festival Dei Due Mondi. Chi è oggi Campo Dall’Orto? “È l’uomo più citato come il Fatto Quotidiano prossimo numero uno della Rai di Renzi”, ha detto Paolo Mieli, che tiene il filo di queste conversazioni spoletine, “uno dei pochissimi che oggi in Italia ha le competenze per ricoprire quel ruolo”. Tra visione e televisione per un’ora si è discusso del presente e del futuro della comunicazione, “un mercato da 5 miliardi di euro, di cui il 57% è prodotto ancora oggi dalla televisione" ha sottolineato Campo Dall’Or- to, considerato un enfant prodige della tv italiana. Già vicedirettore di Canale 5 e direttore di La7, artefice del lancio e del successo di Mtv Italia, Campo Dall’Orto, oltre a immaginare un futuro della televisione da lui sognata, ha raccontato le sue esperienze spiegando alcune delle sue scelte del passato. Come quando da vicedirettore di Canale 5 decise di passare all’allora sconosciuta Mtv. ORSONI, IL FUTURO PRESCRITTO: NEGATO IL PATTEGGIAMENTO PARADOSSO A VENEZIA: IL GIP RESPINGE LA PENA CONCORDATA PER L’EX SINDACO COME “NON CONGRUA” E ORDINA IL PROCESSO. MA I TERMINI DOVREBBERO SCADERE di Antonio Massari e Davide Vecchi I inviati a Venezia l paradosso va in scena alle dieci del mattino: le accuse contro l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, sono così fondate che rischia di non esser mai punito. Oggi – con il patteggiamento – Orsoni avrebbe potuto incassare una condanna a quattro mesi di reclusione e 15 mila euro. Il giudice per le indagini preliminari, Massimo Vicinanza, ha però rigettato il patteggiamento perché la pena non è congrua. L’ex sindaco sarà giudicato in un processo con il rito ordinario. Nel quale, però, va incontro a una prescrizione quasi certa. Eppure lo stesso Orsoni, accettando il patteggiamento, s’era mosso con una “sostanziale ammissione di responsabilità” – per usare le parole del procuratore aggiunto Carlo Nordio. E così, se da un lato il lavoro della procura veneziana – altro paradosso – esce rafforzato dalla sentenza del gup, dall’altro si mette in moto la sua sostanziale inutilità, poiché Orsoni, per via della prescrizione, potrebbe non essere mai punito. L’ex sindaco è accusato d’aver incassato dal presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, un finanziamento illecito di 260 mila euro per la campagna elettorale del 2010. Mazzacurati ha riferito di una somma anche più ingente, pari a circa 500mila euro, consegnata a Orsoni in più tranche. Dopo l’arresto, avvenuto ai primi di giugno, e la successiva remissione in libertà, Orsoni aveva accettato il patteggiamento e nel frattempo - scaricato dal Pd - s’era dimesso dalla poltrona di primo cittadino. “Impianto accusatorio fondato” IL COLPO DI SCENA che il Gup Vicinanza ha riservato a tutti – procura e difesa – merita di essere analizzato. L’impianto accusatorio che viene definito “fondato” e il giudice non ha dubbi sulla gravità delle accuse mosse a Orsoni. E per due motivi. Il primo: “Le condotte da lui tenute sono gior costo e rilievo che ha interessato la città della quale l'indagato è poi divenuto sindaco”. E così il giudice viene al punto. Per Orsoni è stata chiesta una pena che, sotto il profilo economico, somiglia a una mancia da ristorante. Ed è altrettanto lieve, troppo lieve, anche sotto il profilo della detenzione: “È del tutto incongruo... concordare una pena... detentiva inferiore” al limite edittale. Sotto il profilo economico, invece, il limite è “oltre cento volte inferiore” al massimo erogabile “se si tiene conto dell’entità del finanziamento illecito ricevuto”. Il gup invia gli atti ai tre pm che hanno TOGHE DIVERSE “L’impianto accusatorio è fondato”scrive il giudice. Il procuratore Nordio: “Meglio una sentenza certa che una tardiva condanna” molto gravi, sia per l'entità del contributo illecito ricevuto, sia per la provenienza soggettiva e oggettiva del denaro”. Il secondo: è altrettanto grave “l’inevitabile rischio, per la corretta gestione della cosa pubblica, che ha comportato l’aver ricevuto ingenti somme”. E averle ricevute dal patron del Mose, il gestore dell’“opera pubblica di mag- formulato l’accusa – Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini – che dovranno procedere quindi secondo il rito ordinario. Per loro non si tratta di una sconfitta, anzi, piuttosto di una delusione, per aver chiesto una pena troppo lieve, nella speranza di giungere a una condanna certa, invece che a una altrettanto certa prescrizione. Orsoni invece commenta: “Ora posso finalmente difendermi”. Poi parla di “uso sproporzionato della misura cautelare” - si riferisce ai giorni di carcere preventivo – e aggiunge: “La scelta di accettare il patteggiamento, proposto dalla Procura, era stata dettata dalla necessità di tutelare l’Amministrazione. Ero ben consapevole della assoluta infondatezza dei fatti addebitati e della insussistenza della fattispecie di reato ipotizzato”. In realtà, come abbiamo visto, il gup la pensa diversamente. E CHE L’IMPIANTO accusatorio continui a reggere è dimostrato da un altro dato: il tribunale del Riesame ieri ha confermato il carcere per l’ex assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso (Fi), accusato di aver incassato mazzette dalla cricca del Mose. Il procuratore aggiunto Nordio commenta: “La pronuncia del Tribunale del Riesame dimostra l’assoluta fondatezza dell’intero impianto accusatorio. Anche il rigetto dell’istanza di patteggiamento del professor Orsoni si colloca in questa linea, consolidando la correttezza giuridica del reato e la gravità delle prove a suo carico. Questa procura ritiene che una sentenza certa e immediata, con l'applicazione di una pena comunque significativa, sia preferibile ai costi e alle lungaggini di un processo, con una tardiva pronuncia di condanna a forte rischio di prescrizione”. [email protected] [email protected] Arriva la Pinotti, l’F-35 si rompe ENNESIMO GUASTO A UN CACCIA IN FLORIDA, DURANTE LA VISITA AMERICANA DELLA MINISTRA di Daniele Martini a maledizione degli F-35 L colpisce ancora. Proprio mentre la ministra italiana della Difesa, Roberta Pinotti, era a Washington per ridiscutere i termini dell'impegno italiano per i Joint Strike Fighter della Lockheed Martin, si è miseramente rotto in fase di prova un altro di quei costosissimi caccia. È successo durante un decollo sulla pista di Eglin in Florida, e ne ha dato notizia il Washington Post. La cronaca dell’accaduto rasenta il ridicolo: sulla pista l’aereo ha perso alcuni pezzi e poi si è incendiato nella parte posteriore. Dal racconto sembra coinvolto non il jet più sofisticato e costoso di tutta la storia dell’aviazione, ma un qualche decrepito scassone di una sco- nosciuta compagnia sudamericana. Molto opportunamente il pilota ha abortito la manovra e altrettanto opportunamente il Pentagono ha sospeso tutte le esercitazioni in corso. Il Washington Post ha scritto pure che un altro guasto si era verificato tre settimane fa. IN QUEL CASO il pilota si era ac- corto che l’aereo stava perdendo olio in volo e aveva frettolosamente riportato il caccia alla base. Alla luce di questi nuovi episodi regge sempre di meno la giustificazione fornita dai sostenitori del costosissimo programma che il susseguirsi degli incidenti sia fisiologico per un aereo in fase di sviluppo. Questa volta il grave inconveniente ha riguardato un F 35 del modello A, destinato negli Stati Uniti all’Air Force, mentre in Italia dovrebbe costituire i due terzi della commessa in discussione (60 esemplari su 90). Il condizionale è d’obbligo perché dopo mesi e mesi di infinite polemiche non è ancora per niente chiaro quanti aerei alla fine l’Italia comprerà davvero. Nel suo viaggio americano la Pinotti ha incontrato il capo del Pentagono, Un F-35 Ansa Chuck Hagel e forse proprio in preparazione della trasferta alcuni giorni fa aveva rilasciato una dichiarazione favorevole al mantenimento da parte dell’Italia della piena commessa di 90 F-35, sostenendo che i tagli avrebbero comportato conseguenze negative per la fabbrica Alenia-Finmeccanica di Cameri (Novara). La Pinotti non aveva ricordato, però, che lo stabilimento di Cameri è strutturalmente in perdita a prescindere dall’entità della commessa italiana, per il semplice motivo che è stato avventatamente costruito al buio, in assenza di ogni definizione ufficiale dei programmi F-35 per l’Europa. Di recente Norvegia, Olanda e Gran Bretagna hanno fatto sapere che non intendono più assemblare i loro F-35 nello stabilimento novarese. L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni Ansa LA TESTIMONIANZA “A Galan ho ceduto la casa così com’era: e basta” LUI NEGA DI AVER RESTAURATO LA VILLA CON UN MILIONE SOSPETTO. IL VENDITORE: SE LO DICE LUI... di Sandra Amurri no dei capi di imputazione della corposa ordinanza di U custodia cautelare per l’onorevole Giancarlo Galan, su cui l’11 luglio dovrà decidere la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, si fonda su quel milione di euro per la ristrutturazione della sua villa di Cinto Euganeo che, secondo l’accusa, sarebbe stato pagato dalla Mantovani, impresa capofila del Consorzio Venezia Nuova. Il grande accusatore, l’ingegnere Piergiorgio Baita, dice a verbale che il plusvalore proveniente dalle fatture gonfiate per lavori realizzati dall’architetto Danilo Turato per la Mantovani serviva per liquidare le parcelle del professionista per la ristrutturazione della villa di Galan, ai tempi governatore del Veneto. GALAN nell’intervista al Fatto si difende spiegando di aver ac- quistato la villa da “Totò, un dentista di Pantelleria, simpaticissimo. Io la compro a meno di 1 milione di euro, cioè a 6 volte il prezzo pagato da lui, perché era già tutta restaurata”. Ci fa “solo due interventi, dell'impresa di Turato. Baita sbaglia addirittura la ditta che fa i lavori, che non si chiama Tecnoqualcosa ma Architest. E sbaglia le date: parla di lavori ancora nel 2011, quando erano finiti da due anni!”. Era ristrutturata la villa quando Galan l’ha comperata? Lo abbiamo chiesto a chi gliel’ha venduta, il dottor Salvatore Romano, originario di Gela e non di Pantelleria, medico condotto con un piccolo studio dentistico di Lozzo Atestino, paese di origine della moglie, Maria Nunzia Piccolo. Lo stesso paesino dove viveva Sandra Peregato prima di diventare la moglie di Galan. Dottor Romano, lei ha venduto la villa a Galan già ristrutturata? “Io non ho niente da dire sa, comunque risulta com’era, non ho niente da dire”. Ma l’ha venduta così come l’aveva acquistata? “Risulta com’era, non insista”, ripete con tono sorpreso, imbarazzato e supplichevole ma mai scortese. Poi aggiunge: “Perché vuole saperlo? Era com’era, a lui gli è andata bene e abbiamo fatto l’affare”. Galan dice che lei l’aveva ristrutturata, di averla acquistata con i lavori già fatti. “In proposito non ho niente da dirle, chieda al dottor Galan, se ha detto così va bene così”. Non mi dice se è vero ciò che afferma Galan? “Io non le sto dicendo né che è vero né che non è vero. Non insista, la prego”. Non c’è nulla di segreto. È un argomento di cui non vuole parlare? “No. Non ne voglio parlare, non insista, la prego, chiedete a lui”. Un colpo alla difesa di Galan arriva dall’architetto Diego Zamaica, direttore del cantiere. Nel verbale depositato dai Pm al Riesame per la scarcerazione dell’architetto Danilo Turato di Tecnostudio e di altre società come la Architest di cui parla l’ex governatore del Veneto, dice che i lavori per il corpo centrale e la barchessa (edificio di servizio) sono iniziati nel 2006 - pochi mesi dopo l’acquisto della villa avvenuto a novembre 2005 - e sono terminati nel 2008-2009. Costo, circa 1 milione di euro. Esattamente come racconta l’ingegner Baita, ex ad della Mantovani: “Ho liquidato l’architetto Turato per i lavori della villa di Galan in due tranche: una di 600mila euro e una di 400 mila euro, l’ultimo pagamento è avvenuto circa due anni dopo il termine dei lavori, cioè nel 2011 perché abbiamo fatto un po’ penare l’architetto Turato”. Parole confermate da Niccolò Buson, direttore finanziario della Mantovani. Ma non da Galan. RE GIORGIO il Fatto Quotidiano Fsi eltri e la Pascale sono iscritti all’Arcigay FRANCESCA PASCALE e Vittorio Feltri si sono iscritti all’Arcigay, perché “ne condividono le battaglie in favore dell’estensione massima dei diritti civili e della libertà.” La scelta della Pascale viene poche settimane dopo l’intervista al Corriere della Sera, in cui la compagna dell’ex Cavaliere aveva dichiarato di es- sere favorevole alle unioni civili ed esortava tutto il centrodestra a spendersi per i diritti delle coppie gay. “È un gesto simbolico, per affermare la necessità di estendere al massimo i diritti civili”, ha commentato invece Feltri. La notizia è stata data, con una nota, dal quotidiano il Giornale, di cui Feltri è editorialista. I magistrati perdono la voce quando interviene il Colle SILENZIO SU NAPOLITANO, CSM E CASO BRUTI, MA RACANELLI E SANSA PROTESTANO di Antonella Mascali A ppena si nomina il presidente Giorgio Napolitano la stragrande maggioranza dei magistrati chiamati al telefono, tantissimi, si inventano ogni tipo di scusa per non rispondere su quanto scritto dal capo dello Stato nella lettera a favore di Edmondo Bruti Liberati, alla vigilia del voto del plenum del Csm, la settimana scorsa, sullo scontro alla procura milanese. Insomma, silenzio quasi assoluto su quanto scritto dal capo dello Stato. Eppure nell’atto costitutivo di Magistratura democratica del 1964, per esempio, è indicato l’obiettivo “dell’eliminazione dell’attuale assetto gerarchico-piramidale” degli uffici giudiziari. importante la concezione del ruolo dei procuratori: “Con la riforma Castelli e poi Mastella si è tornati indietro: il procuratore è diventato unico titolare dell’azione penale e si è ridotta l’azione dei pubblici ministeri. In questa situazione, la discussione sui limiti del potere del capo è estremamente impor- tante perché se si arrivasse a dire che può dare le disposizioni che vuole avremmo il possibile condizionamento politico delle inchieste. Dunque, l’azione di Napolitano dà la sensazione di un interventismo della Presidenza della Repubblica più che di un intervento. È inquietante che abbia inviato una lettera al fatto a mano MA NON TUTTI i magistrati vogliono stare zitti. Accetta di rispondere il presidente del tribunale per i minorenni di Genova, Adriano Sansa, che prima di criticare Napolitano “interventista” vuole fare una premessa per far capire quanto sia Csm per dire, in sostanza, fate come vi dico. Il suo è stato un gesto che deve preoccupare: dà forza alla visione in senso strettamente gerarchico delle funzioni del procuratore della Repubblica”. Per il consigliere del Csm Antonello Racanelli, di Mi, la lettera del capo dello Stato rappresenta “una vicenda che desta perplessità poiché nella parte conclusiva della missiva c’è un invito ai consiglieri a tener conto di quanto espresso dal presidente. Ciò vuol dire che era destinata a essere conosciuta dai consiglieri. Perché non è stata letta? (dal vicepresidente Michele Vietti al plenum, ndr). Forse si temeva che consiglieri togati, che almeno a parole hanno sempre difeso l’autonomia e l’indipendenza dei pubblici ministeri, avessero difficoltà a votare proposte di maggioranza rivedute e corrette, e assumessero posizione contro la tesi del presidente? Al di là del massimo rispetto e la massima considerazione che si deve avere per le valutazioni del capo dello Stato, non necessariamente devono essere fatte proprie dal DOMENICA 29 GIUGNO 2014 5 LECC LECCAA Rampino, la cronista allergica alle notizie ANTONELLA RAMPINO, quirinalista de La Stampa, è inconsolabile: l'Italia è proprio un “bizzarro Paese” se addirittura “ci si indigna se il presidente del Csm scrive una lettera al suo vicepresidente”. In realtà, nessuno s'è indignato per la lettera: le polemiche riguardavano il fatto che il testo di Napolitano restasse segreto anche per i membri del Csm, oltreché per l’opinione pubblica. Vabbè, dettagli. “Infatti – prosegue la cronista sempre più stupefatta - dopo giorni di titoloni dei giornali berlusconiani che ipotizzano ‘assalti giudiziari’ (ma quando, ma dove, ma quali assalti? Boh, ndr) e del Fatto Quotidiano che definiscono (sic, ndr) ‘surreale’ quel che attiene invece al normale svolgimento di una funzione istituzionale, ieri Giorgio Napolitano ha deciso di rendere integralmente pubblica la lettera inviata il 13 giugno a Michele Vietti”. Sfugge anzitutto il senso di quell'”infatti”: se Napolitano aveva ragione a tenere segreta quella lettera, come può avere ragione anche quando decide di renderla pubblica (e “integralmente”, mica una parola sì e una no)? E soprattutto: quando mai s'è visto un giornalista felice di commentare un documento segreto che non solo non fa nulla per conoscerne il contenuto, ma se la prende con i colleghi che lo cercano e lo invocano (non solo dei giornali berlusconiani e del Fatto, ma anche del Corriere della Sera)? Mai, da nessuna parte al mondo. Però Antonella va compresa: al cuore non si comanda. Ci appelliamo perciò al capo ufficio stampa del Quirinale: assumetela, datele un incarico qualsiasi, non vi deluderà. plenum. Anzi, auspico, rispetto ai poteri del procuratore della Repubblica, che il plenum sostenga una posizione diversa”. OPPOSTA L’OPINIONE di un altro consigliere del Csm, Paolo Auriemma, di Unicost: “È apprezzabile la scelta del vicepresidente di non leggere la lettera al plenum (ne ha letto solo qualche frase, ndr) perché così ha fatto in modo di non condizionare il dibattito. La delibera fi- nale è in sintonia con quanto pensa il capo dello Stato ma noi non conoscevamo il contenuto della missiva”. Però, osserviamo, soprattutto il testo della Settima commissione è stato limato di tutti i passaggi critici sul procuratore Bruti dopo che si è appreso dell’esistenza della lettera... “I testi delle relazioni sono stati modificati prima del voto in plenum semplicemente perché si voleva avere un’ampia condivisione delle scelte”. A GAMBA TESA di Bruno Tinti ono le azioni che tradiscono S il pensiero. Prendiamo ad esempio la lettera che Napolita- Quella lettera incomprensibile e le pericolose svolte autoritarie no ha scritto al vicepresidente del Csm Vietti. Questi se la porta al plenum: “Il Presidente della Repubblica mi ha mandato una lettera che però voi non dovete leggere; vi basti sapere che, secondo lui, il Procuratore della Repubblica ha ampi poteri per via della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario”. La maggior parte dei componenti del CSM, autonomi e indipendenti quanti altri mai e che evidentemente tutto ignora di questa riforma, butta nel cestino gli interventi già preparati e ne scrive altri in esito ai quali l’esposto di Robledo contro Bruti Liberati viene archiviato. Dopo una decina di giorni di ritardo, la lettera è pubblicata sul sito del Quirinale. Il Presidente Napolitano, pur avendo a suo tempo “ritenuto opportuno considerare riservata la missiva, ritiene utile renderne ora noto il contenuto.” Lui è fatto così, fa quello che gli pare, quando gli pare. In realtà si è comportato proprio come Bruti: ieri mi andava bene che Robledo trattasse i processi per reati contro la PA; oggi non mi va più. Perché? Fatevi i fatti vostri. CON QUESTA CONCEZIONE autoritaria del ruolo non c’è da meravigliarsi che il contenuto della lettera sia del tutto illogico e contraddittorio: motivare i pregiudizi è una cosa complicata. “Mi preme sottolineare che, a differenza del giudice, le garanzie di indipendenza "interna" del Pubblico Ministero riguardano l'ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato”. Trattasi di frase incomprensibile. Napolitano sottolinea, le virgolette so- Il presidente Giorgio Napolitano LaPresse no sue, che sta parlando di indipendenza “interna”; cioè indipendenza nei confronti di altri magistrati o uffici o enti appartenenti all’ordine giudiziario. Cosa diversa dunque dall’indipendenza “esterna”, che si ha nei confronti di Parlamento, Governo, lobbies etc. Come possa “l’ufficio nel suo complesso”, una Procura della Repubblica, vedere insidiate le sue garanzie di indipendenza “interna” non è dato capire. Un Tribunale, una Corte d’Appello o di Cassazione possono dissentire dall’operato di un PM; e quindi assolvere in luogo di condannare (o viceversa). Ma in nessun modo è possibile che insidino le prerogative di indipendenza dell’Ufficio. Che in effetti non esistono: una Procura (e anche un Tribunale, una Corte) non possono essere destinatari di comportamenti che pregiudichino le loro prerogative di indipendenza; non ne hanno. Chi le ha sono i singoli magistrati che li compongono. Sono loro a dover essere tutelati, non l’Ufficio nel suo complesso. QUESTA FRASE non è solo incomprensibile. E’ anche sbagliata quando contesta che la modifica dei principi organizzativi dell’Ufficio possa tradursi in violazione delle garanzie di indipendenza dei singoli PM. “Ciò che deve caratterizzare gli Uffici di Procura è l'impersonalità e l'unitarietà della loro azione, sicché i criteri organizzativi di ogni singolo ufficio requirente non possono essere intesi come rigide regole immodificabili, in quanto COSA AVRÀ VOLUTO DIRE? Procura (Tribunale o Corte) non possono essere destinatari di comportamenti che pregiudichino le prerogative di indipendenza: non ne hanno deve sempre consentirsi una equilibrata elasticità nella loro applicazione, volta sempre al miglior esercizio dell'azione penale da parte dell'Ufficio nel suo complesso". E chi lo nega. E’ noto che in udienza l’accusa può essere sostenuta da un PM diverso da quello che ha svolto le indagini e che un interrogatorio svolto da un PM diverso da quello titolare del fascicolo non è nullo. Ed è del tutto ovvio che i criteri organizzativi devono essere elastici per forza, pena la paralisi dell’ufficio: arrivano 100 grossi processi per reati contro la PA, i 10 poveri Sostituti che fanno parte di quel Gruppo non ce la fanno, si trasferiscono altri 10 Sostituti dagli altri gruppi per il tempo necessario. Ma il proble- ma sta appunto lì: ci deve essere una ragione per cui i criteri organizzativi sono modificati; e deve essere esplicitata. Altrimenti si cade nell’arbitrio. Che è, ovviamente, pericolosissimo. Immaginiamo che un Procuratore sia convinto che l’Amministratore di una società, accusato di corruzione, sia innocente; e immaginiamo che sappia che l’Aggiunto competente lo consideri colpevole. Non può semplicemente affidare il processo a un altro PM senza spiegare le ragioni del suo provvedimento. Sarebbe del tutto legittimo che dicesse (anzi scrivesse):”Caro collega ho letto attentamente gli atti e credo che la tua decisone non sia corretta per questo e quest’altro motivo; siccome mia è la responsabilità della conduzione delle indagini in questa Procura, assegno il processo al PM …(o a me stesso) per evitare quello che credo sia un errore”. Ma sottrarglielo senza adeguata motivazione non può essere lecito. Pensate se la revoca dell’assegnazione fosse dovuta al desiderio di favorire un imputato o compiacere una parte politica. Davvero saremmo contenti di un potere incontrollato che permettesse a un Procuratore di fare tutto quello che vuole? Insomma, quello che proprio non sta nelle corde di Napolitano, è la trasparenza. Oggi, quando - non si sa perché - decide di rendere conoscibile la lettera che ieri voleva tenere riservata. L’altro ieri, quando fece fuoco e fiamme perché si derogasse al codice di procedura solo per lui e si distruggessero le intercettazioni delle sue telefonate, anche in pregiudizio delle difese degli altri imputati che avrebbero potuto avere interesse (processuale) a conoscerle. Della serie: state contenti umane genti al quiz - che se potuto aveste veder tutto - mestier non era partorir Maria. 6 NEL PANTANO DOMENICA 29 GIUGNO 2014 Sla arà a Bologna Festa dell’Unità riesumata dal Pd SI TERRÀ DAL 27 AGOSTO al 7 settembre. Per la Festa nazionale dell’Unità è stata scelta, non a caso, Bologna, con la sua tradizionale festa del parco Nord, dove i militanti hanno sempre scelto di continuare a chiamare Festa dell’Unità quella che altrove veniva ribattezzata “Festa Democratica”. La scelta ha un significato politico ma anche pratico: a Bologna, Modena e Reggio Emilia le feste il Fatto Quotidiano provinciali che si svolgono fra la fine di agosto e i primi di settembre, sono macchine rodate che ogni anno sono frequentate da migliaia di persone, che guadagnano con decine di ristoranti e alla cui organizzazione i volontari lavorano tutto l’anno. Altrove, al contrario, le feste nazionali vanno costruite quasi da zero (non di rado con esiti catastrofici per le casse del partito), nel triangolo emiliano basta mettere il bollino di festa nazionale su una manifestazione che esiste comunque e il gioco è fatto. Il segretario bolognese del Pd Raffaele Donini e il responsabile delle feste Fabio Querci ringraziano per la fiducia, ma ricordano che, di fatto, la festa è già bella che organizzata: sarà su un’area di 30 mila metri quadrati, che l'anno scorso ha fatto un milione di visitatori e tre di fatturato. GIUSTIZIA CANAGLIA FALSO IN BILANCIO SLITTA L’IMMUNITÀ RIMANE Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi in aula al Senato NONOSTANTE GLI ANNUNCI, DOMANI IN CONSIGLIO DEI MINISTRI SI DISCUTERANNO SOLO “LINEE GUIDA”. PER I PROVVEDIMENTI CI SI AFFIDERÀ A DISEGNI DI LEGGE NON ANCORA IN CALENDARIO di Wanda Marra A lla fine l’immunità resterà così come è prevista nel testo emendato dai relatori, Finocchiaro e Calderoli”, ragionava qualche giorno fa un senatore democratico che sta seguendo molto da vicino le riforme costituzionali. Prevedendo che nessuna cancellazione dello “scudo” ci sarebbe stata. Guardando ai fatti, sembra proprio che abbia ragione. Non solo il governo ha dato il suo assenso alla norma sull’immunità durante il vertice a Palazzo Chigi del 17 giugno, non solo il premier si è assunto in proprio la responsabilità di averla approvata. Ma c’è un altro dato di fatto: venerdì è scaduto il termine in commissione Affari costituzionali per i sub emendamenti al testo consegnato da Finocchiaro & Calderoli. E non ce n’è uno di iniziativa governativa e neanche degli stessi relatori che cancelli la norma in questione. Domani inizia il voto in commissione Affari Costituzionali e i sub emendamenti che vogliono l’abrogazione dell’immunità sono firmati dai Cinque Stelle o dai “ribelli” Pd, in testa Vannino Chiti. Anna Finocchiaro aveva annunciato che avrebbe presentato lei stessa una modifica per affidare alla Consulta la decisione (soluzione questa che ha fatto registrare perplessità sia dal Quirinale, che dalla stessa Consulta). Ma, a conti fatti, ha preferito non fare niente e lasciare il cerino nelle mani del governo. Che per ora ha lasciato tutto com’era. I renziani meglio informati sono certi che lo scudo non verrà tolto: potrebbe essere riformulato, prevedendo che valga per i membri della nuova Camera delle autonomie solo nell’esercizio delle loro funzioni da senatori e non da amministratori. Ma tutto sta a vedere come andrà il dibattito in Aula. PERCHÉ poi le riforme si accaval- lano, le esigenze si incrociano. E quando si parla di giustizia il tema diventa incandescente. Domani in Consiglio dei ministri non ci sarà la riforma annunciata dal premier, già durante il discorso per la fiducia, per giugno, termine ribadito più volte nei mesi. Alla fine dell’ultimo Cdm era stato il ministro Boschi ad annunciare che nel prossimo (quello di domani appunto) si sarebbe discussa la riforma. Ma il dibattito si limiterà alle linee guida, che verranno illustrate ai ministri dal Guardasigilli, Andrea Orlando. Da via Arenula la raccontano così: il ministro e il premier si sono sentiti giovedì mattina, prima della partenza di Renzi per il Consiglio Ue, e non avendo di fatto mai avuto il tempo di discutere a fondo hanno deciso INDISPOSTA Anna Finocchiaro non firma emendamenti soppressivi dello scudo Renzi incalza: “Le polemiche interne non devono frenarci” che sarebbe stato necessario un ulteriore approfondimento, prima di entrare nel merito di provvedimenti molto delicati, magari rischiando dissensi dai titolari degli altri dicasteri. Fino a quando? Non è chiaro. Ci sarà, di certo, un decreto che affronterà il sistema della giustizia civile per fare fronte all’arretrato pesantissimo rappresentato da milioni di cause. I tecnici di Palazzo Chigi stanno decidendo quando vararlo: stanno valutando bene le questioni legate all’iter parlamentare. Tradotto: se si fa a inizio luglio si rischia di non riuscire a convertirlo entro i tempi a disposizione, ovvero fine Ansa agosto. Quindi si potrebbe spostare in là, magari alla fine del mese. E il resto? Sarà tutto affidato a disegni di legge, che saranno presentati in momenti successivi, anche qui difficilmente prevedibili. Se si prende il caso Pa, il Cdm con “le linee guida” si è fatto il 30 aprile, quello con i provvedimenti (in bozza) il 13 giugno, e i decreti effettivi sono stati scritti solo dopo e firmati dal Quirinale martedì 24. Se è per la riforma del Senato, il ddl costituzionale è stato approvato il 31 marzo, il voto in Commissione inizia domani, con un testo che è stato quasi riscritto. A proposito di ddl, a Palazzo Chigi ne esiste già uno sull’autoriclaggio, predisposto dal ministero della Giustizia, e consegnato oltre un mese fa, al quale lo stesso dicastero ha ipotizzato di aggiungere alcune norme sul falso in bilancio. Ma, a meno di sorprese dell’ultimo secondo, domani non verrà tirato fuori. I tempi si dilatano. E a occhio e croce l’iter parlamentare dei provvedimenti in questione non comincerà che dopo l’estate. Il metodo Renzi ormai s’è capito - è quello di spingere l’annuncio oltre l’ostacolo. Pe- rò trattandosi di materia incandescente come la giustizia ogni sospetto è lecito. Anche perché il governo ha chiesto in Senato un rinvio della legge sull’anticorruzione proprio in attesa dei provvedimenti di fine giugno. Che non ci saranno. Tra le voci che si rincorrono a Palazzo Madama ce n’è una insistente secondo la quale Forza Italia starebbe facendo pressione perché l’accertamento del falso in bilancio abbia il via solo su querela di parte (come adesso), e non diventi automatico. RENZI ha bisogno dei voti di Forza Italia per portare a casa le riforme costituzionali, tanto più la fronda di Palazzo Madama si allarga. E l’“ombra” dello scambio si allunga soprattutto quando trattativa su alcuni temi e temporeggiamento su altri vanno di pari passo. Ieri il presidente del Consiglio ha annunciato che questa settimana è “decisiva” e quindi vedrà tutti: Pd, Forza Italia e Cinque Stelle. “Le polemiche non devono frenarci, neanche quelle interne”, ha detto ai fedelissimi. I suoi lavorano ad allargare la maggioranza, ma le falle restano. IL RIENTRO Foto di Umberto Fini non lo caccia più nessuno BERTINOTTI STUDIA Sinistra psichiatrica D ice Bertinotti: “Con un gruppo di amici psicanalisti lacaniani sto lavorando a capire perché a sinistra si producono conflitti mortali diversamente dalle altre storie politiche. I socialisti e i democristiani fanno scelte opposte ma restano affratellati. Noi deflagriamo”. Bertinotti non scherza. Sta davvero conducendo questo studio, con un gruppo di psicanalisti delle Marche e produrrà anche un libro. L’idea è nata quando Nichi Vendola disse che lui è stato il primo padre a uccidere i figli. In genere è avvenuto il contrario. La sinistra, probabilmente, è destinata a rinascere sul lettino? fd’e Pizzi l presentatore, un ragazzo che impugna il microfono I da esperto rapper, introduce “Gianfranco” sulle note ultracontemporanee di Human del gruppo americano The Killers. Sul video scorrono le immagini vincenti di cari campioni dello sport e Gianfranco Fini entra nella sala facendo una miniprocessione in platea. Roma, Palazzo dei congressi dell’Eur. Le poltrone sono mille, riempite a fatica per due terzi, forse. L’assemblea aperta della destra che non c’è soffre il caldo e anche il traffico. Lo stesso Fini: “Sul raccordo anulare ci sono molti partecipanti bloccati”. Il finismo edizione 2014 rientra in campo sotto forma di allenatore: “Voglio allenare una nuova classe dirigente che coniughi tradizione e modernità”. Fini abiura il montismo, “una catastrofe”, evoca le radici missini (pur senza citare Almirante) e ripropone una destra repubblicana ed europeista a fronte della diaspora di An oggi rappresentata da un florilegio di sigle. Pochi i volti noti tra i finiani di un tempo: Menia, Consolo, Mazzocchi, Di Biagio, Giuseppe Tatarella. L’analisi della realtà è comunque perfetta: “Renzi rischia di governare per vent’anni per l’assenza di un vero competitore a destra. Non è pensabile fare una sommatoria, mettere insieme Alfano e Salvini, Tajani e la Meloni”. È la verità. Il renzismo ha invecchiato tutti, compreso Fini: “Non esistono uomini per tutte le stagioni, io ho fatto errori ma non sono pentito. Dobbiamo recuperare i delusi del centrodestra, quelli che hanno votato Renzi, Grillo o si sono astenuti. Oggi parte una fase movimentista”. E se i risultati arriveranno nascerà il partito. Fini parla per un’ora esatta, dalle 11 e 40 alle 12 e 40, e anche tra i suoi deve scontare una contestazione isolata. Giovanni Angelini, romano, lo interrompe un paio di volte per gridargli: “Sei tu che hai ucciso la destra”, “Traditore”. IL CAMERATA ROMAGNOLI Luca Romagnoli, il secondo seduto, fondò la Fiamma quando nacque An. Fini non sapeva che fosse in sala TRENDY La camicia nera subisce l’evoluzione dei tempi: l’assonnato partecipante si è presentato con una Lacoste scura NON È PIÙ TEMPO DI FIUGGI Fini beve un bicchiere d’acqua, ma non è Fiuggi laddove il Msi abbandonò la Casa del Padre VISPO Anonimo finiano espone il cartello con lo slogan della manifestazione: “Partecipo”. Per la precisione i cartelli erano di tre colori (bianco, rosso e verde) per formare il tricolore QUIETE Due partecipanti si mascherano con occhiali e scialli per passare inosservate e dormire in santa pace LA FRONDA il Fatto Quotidiano G rillo caccia tutti gli scontenti: ”Cercatevi un partito” DISFATTISTI, malpancisti, fautori dell’implosione: il Movimento 5 Stelle non ha bisogno di voi”. Con un intervento sul suo blog, Beppe Grillo serra le file all’interno del M5S e, ancora una volta, se la prende con chi presta il fianco ai nemici parlando con i giornalisti (“pennivendoli” nella sua definizione) che fanno titoli “sul Movimento spaccato, sulle divisioni, sugli errori, sui flop, su fazioni DOMENICA 29 GIUGNO 2014 7 interne. All'interno del M5S – prosegue il post – alcuni si fanno trascinare in polemiche sterili per affermare una propria alterità, marcare un territorio, un'indipendenza ostentata. Il M5S non ha bisogno di queste persone”. Per questo dissidenti e scontenti hanno “l’imbarazzo della scelta, i pennivendoli li intervisteranno, i partiti li accoglieranno a braccia aperte”. Nella trincea del Senato tra Chiti, Razzi e Scilipoti LA BATTAGLIA PER L’ELEZIONE DIRETTA DEI COMPONENTI DI PALAZZO MADAMA HA UN FRONTE BIPARTISAN. MUCCHETTI: “NON ABBIAMO NULLA DA PERDERE” di Fabrizio d’Esposito G li anticorpi al renzismo hanno generato nella pancia parlamentare una nuova specie: l’Homo Senatus, l’Uomo del Senato. L’Homo Senatus è un Frankenstein costituzionale che assembla spezzoni di tutti i partiti e ha soprattutto una caratteristica: di fronte al renzismo imperante mette insieme uomini e donne che non hanno più nulla da perdere e si ritengono più liberi dei tantissimi che sono saliti sul carro del vincitore di Firenze. La linea di confine tra loro e il resto del mondo è il Senato elettivo. Capofila di questa battaglia nel Pd è Vannino Chiti, ex ministro. Ma ci sono, per esempio, anche Casson, Mucchetti, Tocci e Mineo. In tutto sono 35 i senatori, tra democrat, ex grillini e Sel, che si battono per il suffragio universale, e non un’elezione indiretta. Ecco cosa significa non aver nulla da perdere secondo Massimo Mucchetti, già firma di peso del Corriere della Sera poi senatore nel Pd bersaniano: “Io mi sono impegnato in questa battaglia nel momento in cui hanno messo fuori la testa per- sone con una notevole cultura istituzionale. Questa è la principale molla che li spinge. Ovviamente ho messo nel conto un prezzo da pagare. Un prezzo si paga sempre in certi frangenti, già mi è capitato professionalmente e non mi sono mai spaventato. Non credo quindi che il Pd mi chiamerà più a fare il capolista in Lombardia come è successo l’anno scorso”. È come se l’Homo Senatus, a differenza degli abolizionisti che vogliono riempire Palazzo Madama di sindaci e consiglieri regionali, si fosse liberato allo stesso tempo di due ossessioni, legate tra di loro. Quella di dire sì al Capo di turno (ieri Berlusconi, oggi Renzi) e quella della poltrona a tutti i costi. Almeno a sentire Mucchetti, che conclude con un’osservazione acuta sulla propaganda tipica dei partiti padronali-carismatici o sem- plicemente carismatici: “C’è una vera e propria manipolazione del reale. Noi che stiamo denunciando tutti i rischi di questa operazione siamo la palude, chi invece dà ragione al Capo diventa un riformista”. Ma chi vincerà alla fine? Risposta: “Il sentimento sul Senato elettivo è maggioritario tra tutti i miei colleghi, ma non so come finirà. Comunque reputo difficile il raggiungimento dei due terzi come prevede la Costitu- del Transatlantico renziano. Ma non è l’unico. Dentro Forza Italia c’è un consistente movimento che non va nel verso renziano. Il volto più noto di questo schieramento è Augusto Minzolini, giornalista come Mucchetti. Anche lui ha la sensazione che in giro per Palazzo Madama siano in tanti a non avere più nulla da perdere, compresi quelli che, realisticamente, non credono più nella possibilità di un altro giro LA PROPOSTA Minzolini: “Il mio ddl costituzionale ha raccolto 37 firme, quella è la base che potrebbe fare da sponda all’altro lato” I DISSIDENTI Non ci sono solo i Democratici. Nella pattuglia degli eletti Pdl le defezioni crescono: ci sono pure Mussolini e Villari zione”. I dissidenti del Pd, più ex grillini e Sel, sono per il momento un iceberg di medie dimensioni che minaccia la navigazione parlamentare. La pubblicistica corrente individua solo quattri azzurri contrari alla riforma del Senato (oltre Minzolini: Tarquinio, D’Ambrosio, Lettieri e SPENDING REVIEW A CHI? Cottarelli esule da Padoan medita la riscossa: “Ora parlo io” di Carlo Tecce così buio intorno a Carlo Cottarelli, È ignorato dai trionfalistici cronoprogrammi di governo, in isolamento vo- lontario al Tesoro, che il signor spending review annuncia e poi smentisce, precisa e poi rettifica che vuole cominciare a tagliare l’illuminazione pubblica. Inedita sindrome dell’oscurità. Cottarelli fu un’invenzione di Enrico Letta e di Enrico Letta è l’estrema testimonianza. Non un richiamo per amorosi sensi (che da tempo sono dissensi) con lo spavaldo Matteo. CON SPIRITO DA ULTIMO commissario dentro un ultimo bastione, Cottarelli fa trapelare stringati comunicati, brandelli di dichiarazioni, anacoluti incompresi. A un paio di mesi dai negoziati non sereni a palazzo Chigi per sorreggere gli 80 euro in busta paga, questa settimana, in mezzo a una faticosa risalita renziana (arriva o non arriva la riforma della giustizia?), Cottarelli vuole sequestrare la scena: in maniera garbata perché l’economista è persona garbata. Il signor spending review ha allertato gli uffici di via XX Settembre per un incontro con i giornalisti, i dettagli non sono espliciti, la forma non è pianificata, ma il contenuto è affinato da giorni: Cottarelli vuole svelare l’ennesi- ma strategia per grattare facciano su Largo un pacco di miliardi (7 Chigi: non a Palazzo nel 2014) che, entro il Chigi, ma vicini; sotto 2016, dovranno ragsorveglianza di Renzi, giungere quota 32 a rema senza invadenza o gime. Cioè per sempre. troppa complicità. Cioè non lineari: non a DA MESI, PARE, che casaccio. Non i mancati ci siano irrisolte queacquisti per Comuni, stioni burocratiche Province e Regioni – 2,1 che impediscono a miliardi in totale – che Cottarelli di complehanno garantito gli 80 tare il trasloco. La vereuro di Renzi. Oltre ai sione meno ufficiale e lampioni in strada, il sipiù veritiera è che gnor spending review Cottarelli, il trasloco, vuole colpire le lampaCOMMISSARIO alla spending non l’ha neanche inidine negli uffici pubblireview Carlo Cottarelli LaPresse ziato. Il signor spenci, i servizi di pulizia e, i ding review, assistito da soliti, irrinunciabili, oruna decina di collabomai leggendari, immobili statali. Il guaio è che Cottarelli è stre- ratori, sosta al ministero di Pier Carlo mato dai preliminari prolungati. Custo- Padoan, un amico dai rimpianti tempi disce decine di studi, tabelle, analisi. La americani, compagno di scorribande parte teorica è perfetta. La pratica è in- sportive e unico interlocutore sempre dicerta. Renzi lo voleva osservare da vicino, sponibile. Il ministro che rassicurò i cronon ammette ministeri paralleli, figuria- nisti al Festival di Trento: “Dov’è finito moci un super ministro che può rove- Cottarelli? È vivo e vegeto”. Quando a sciare il bilancio pubblico per scovare Cottarelli chiedi di rammentare e citare il quei maledetti (e necessari) 32 miliardi. Il più recente appuntamento o addirittura rimedio renziano fu la convocazione un semplice contatto telefonico con RenCottarelli, come se fosse appunto un zi, di colpo, l’attesa diventa vana. Ora commissario distaccato in un bastione un vuole parlare. E non sarà un discorso tapo’ fuori controllo, presso i locali che s’af- gliato. Domenico Scilipoti vuole un Senato eletto a suffragio universale Ansa Caliendo), ma il numero è mol- to più alto. Dice Minzolini: “Il mio ddl costituzionale su Camera e Senato ha raccolto 37 firme, quella è la base che potrebbe fare sponda con chi è dall’altro lato”. Un totale di 73 senatori, sommando 35 più 38. L’Homo Senatus sul versante berlusconiano include, a leggere le firme sul ddl di Minzolini, Cinzia Bonfrisco, Francesco Giro, Paola Pelino, Alessandra Mussolini, i famigerati Razzi e Scilipoti (sì anche loro, in fondo chi mai potrebbe riportarli in Parlamento?), Riccardo Villari, Francesco Compagna, Pietro Langella (da poco passato con Ncd) e quasi tutto il gruppo degli autonomisti di Gal capeggiato dal socialista Barani e dal cosentiniano D’Anna. Anche Minzolini è convinto che Renzi non riuscirà ad avere i due terzi e a quel punto il referendum sulla riforma, nel 2015, si potrebbe trasformare in un referendum sul premier, peraltro non più in luna di miele con il Paese. Il senatore azzurro, già principe dei retroscenisti politici, ha pure un sospetto: “Il disegno di Renzi è perverso. Dopo la riforma potrebbe mandare a casa questo Senato ed eleggere il nuovo capo dello Stato con la Camera attuale e il Senato a elezione indiretta. I mille giorni che ha annunciato si possono spiegare così”. BOCCADUTRI L’onorevole resta sempre tesoriere partiti della sinistra vanno e vengono. I tesorieri I restano in piedi, portati dal vento e dal fiuto per i cambiamenti. Nel 2008, Sergio Boccadutri, allora tesoriere di Rifondazione comunista, lanciava l’allarme per la mancanza di fondi nelle casse del partito. Il Prc, infatti, non aveva più rappresentanza parlamentare e i soldi erano destinati, come poi è accaduto, a finire. Lui non si perse d’animo e qualche tempo dopo, saltò a pié pari nell’allora scissione vendoliana che formò Sinistra, Ecologia e Libertà. Come se fosse stato iscritto a un albo professionale, Boccadutri divenne sic et simpliciter tesoriere del nuovo partito di cui, nel giugno 2012, vantava “un bilancio virtuoso e trasparente”. Nel febbraio del 2013 ottenne il riconoscimento di questo lavoro sapiente, venendo eletto deputato a soli 37 anni. Qualche giorno fa, l’ennesimo salto: stavolta nel Pd dove “potrà esprimere le sue competenze”, come ha spiegato ai compagni dell’ex partito. Si sa che collaborerà con la tesoreria renziana di Francesco Bonifazi. Chi lo conosce assicura che non porta via un euro ma, certamente, al Pd assicurerà “relazioni e conoscenze con il mondo bancario”. Chi gli vuole male lo accusa di essere un “lobbista”, nel Pd lo hanno accolto a braccia aperte. Nel suo piccolo, comunque, resta un caso di scuola, esempio di come la politica si sia fatta così professione da poter gestire i cambi di casacca come si gestisce un colloquio di lavoro. Senza concorso. 8 EURORISIKO DOMENICA 29 GIUGNO 2014 IItalia mmigrazione, “soddisfatta”, ma l’asilo non c’è QUANDO SI PARLA di immigrazione in Europa, l’Italia è sempre “soddisfatta”, nonostante le sue richieste siano sempre ridimensionate. Matteo Renzi si è detto appunto “soddisfatto” sull’intesa raggiunta al Vertice europeo, sull’immigrazione. “Siamo meno soli. Sono state messe le basi per poter finalmente dare vita a un Frontex plus, allargandone l'operatività, così come sta a cuore a noi e ai francesi, ma con la condivisione di tutti”, ha detto il premier al termine del Summit. L’Italia aveva spinto per inserire nelle conclusioni del vertice un paragrafo sul mutuo LE POLTRONE D’EUROPA COSÌ RENZI E MERKEL SCHIERANO GLI ESERCITI il Fatto Quotidiano riconoscimento del diritto d’asilo. Questo passaggio è saltato all’ultimo, ma Renzi si è detto comunque soddisfatto, esattamente come Letta al Vertice di ottobre, quando si decise di posticipare le decisioni operative su Frontex al Consiglio appena concluso. “Bocciata la modi- fica ai trattati di Dublino, per consentire il trasferimento dei profughi nei Paesi di loro scelta. Arrivano in Italia e non possono uscirne. Renzi non ottiene nulla, ma forse non l’ha nemmeno chiesto”, ha commentato Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Chi comanda nel continente CON LA NOMINA DI JUNCKER COMINCIA LA BATTAGLIA SUL RIGORE E SULLE CASELLE DECISIVE DELL’UNIONE: QUELLE DI POLITICA ECONOMICA. I TEDESCHI SONO I PIÙ ABILI. CAMERON HA GIÀ PERSO di Stefano Feltri C’ inviato a Bruxelles è soltanto una nomina per ora e neanche definitiva, quella di Jean Claude Juncker come presidente della Commissione: tra due settimane dovrà andare davanti al Parlamento europeo per chiedere una prima fiducia, poi ci tornerà una volta composta la squadra dei commissari. Una sola nomina, in questo complesso incastro tra nazioni, famiglie politiche, Paesi rigorosi e Paesi indebitati, ma si possono già vedere i primi vincitori e soprattutto i primi sconfitti. RENZI&LETTA. Matteo Renzi è un vincitore a metà: il premier italiano, forte del 40,8 per cento alle urne, usa il suo peso elettorale per avanzare richieste. Al momento la sua scelta è quella di avere l'Alto rappresentante per la politica estera, considerato in quota socialista (il Pd in Europa è dentro il Partito socialista). Una casella di grande prestigio ma che vale zero in termini di interesse nazionale, il ministro degli Esteri dell'Unione è la persona da insultare quando l'Europa non riesce ad agire nelle crisi internazionali. Ma Renzi usa la casella in chiave politica: è quella più nobile ed è quella a cui ambisce da anni Massimo D'Alema. Renzi la prenota per Federica Mogherini, la fedelissima ministro degli Esteri. E così manda un messaggio interno e a Bruxelles: la vecchia guardia del partito – D'Alema e non solo – deve rassegnarsi all'oblio. E il fronte dei tecnocrati, la filiera europeista che da Giuliano Amato e Mario Monti arrivava fino a Enrico Letta non può più considerare le poltrone europee una spettanza automatica. Renzi in Europa si appoggerà alla Mogherini e a due renziani acquisiti come Gianni Pittella, che guiderà probabilmente il potente gruppo del Pse in Parlamento, e a Roberto Gualtieri che sarà capogruppo nella commissione che segue i dossier economici, due caselle poco appariscenti in Italia, ma che consentono grandi possibilità di azione. Secondo una fonte dell'Europarlamento, Angela Merkel avrebbe chiesto a Renzi se era disponibile a indicare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio euro- peo, in caso di necessità. Il premier avrebbe risposto con un secco no. E comunque ha pubblicamente spiegato che l'Italia non chiede la guida del Consiglio perché c'è già un italiano, Mario Draghi, alla Bce. Letta è fuori, D'Alema anche, Renzi è più forte ma rinuncia a portafogli economici pesanti come Commercio e Mercato interno. ANGELA MERKEL. La cancel- liera tedesca è un portento: è riuscita a ribaltare una situazione difficile in una affermazione di forza. La Merkel era contraria al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè il tentativo dei partiti europei di imporre ai capi di governo il presidente della Commissione abbinan- stigiosa. CAMERON&HOLLANDE. Da- vid Cameron è stato umiliato: il premier inglese ha messo il veto sul nome di Juncker per la Commissione, preoccupato che la sua nomina sia un pericoloso cedimento del Consiglio (cioè dei governi nazionali) a un'idea di Europa più federale e dove è il Parlamento a decidere. Per la prima volta il Consiglio ha votato a maggioranza invece che decidere all'unanimità: 26 con Juncker, due contro. A sostegno di Cameron è rimasto solo il leader reazionario e xenofobo dell'Ungheria, Viktor Orban. Ora Cameron, già umiliato dal successo degli indipendentisti Ukip di Nigel Farage, deve scegliere se incasare l'umiliazione o reagire spingendo Londra fuori dall'Unione col referendum previsto per il 2017. François Hollande è semplicemente non pervenuto: il debolissimo presidente francese cerca disperatamente un posto per l'ex ministro Pierre Moscovici, che ha fatto dimettere promettendogli un posto a Bruxelles, ma per ora non si ha traccia dell'attività diplomatica francese. MATTEO RENZI Forte del suo 40% avanza pretese sulle poltrone. Potrebbe ottenere il ministero degli Esteri Ue. Casella che vale poco in termini di interessi concreti. Solo promesse sulla flessibilità. ANGELA MERKEL Ha già scelto il suo commissario e ora vuole l’Energia e piazzerà un suo uomo a gestire le politiche economiche dell’euro. Ha sconfitto la Gran Bretagna sulla nomina di Juncker. I pretendenti al trono ENRICO LETTA La Merkel avrebbe suggerito il suo nome a Renzi ed era in corsa per una poltrona importante. Ma il premier non vuole resuscitare l’ex rivale e lo condanna all’oblio. MASSIMO D’ALEMA Da anni voleva fare il ministro degli Esteri d’Europa e si era illuso che la poltrona fosse sua. Ma Renzi è troppo forte e non ha bisogno di tenerselo buono. Il parlamento europeo LaPresse do le candidature al voto partitico. Non ha mai amato Jean Cluade Juncker, il candidato del Ppe, e ancor meno Martin Schulz, il suo avversario del Pse, socialista tedesco della Spd. Ma quando David Cameron ha messo il veto sul nome di Juncker, simbolo di un'Europa troppo federale e contraria agli interessi inglesi, la Merkel ha difeso il nome di Juncker, trasformandolo di fatto in un presidente di Commissione su mandato della Germania, ha sbloccato il risiko delle nomine appoggiando la riconferma di Schulz al Parlamento per i prossimi due anni e ha quasi ottenuto in anticipo la conferma di un portafoglio importante per Berlino nella nuova commissione. Il commissario sarà, di nuovo, Günther Oettinger, quasi certamente confermato all'Energia. Anche il prossimo commissario agli Affari economici, il successore di Olli Rehn, deve essere scelto tra i nomi graditi alla Merkel: probabile che sia un altro finlandese, l'ex premier Jirky Katainen, che si è dimesso dal governo con la promessa tedesca di ottenere una poltrona pre- Il rinculo della flessibilità: in autunno si rischia la manovra inviato a Bruxelles a flessibilità sui conti magari arL riverà, ma per ora regna il rigore: mentre il premier Matteo Renzi cele- chiara: il governo italiano non sta facendo la riduzione del debito da 4-5 miliardi nel 2014 promessa e ha deciso di rinviare il pareggio di bilancio dal 2015 al 2016. Bruxelles non chiede nessuna manovra correttiva, per ora. Se però in autunno non si dovessero materializzare i miracolosi impatti delle riforme sulla crescita, allora il governo dovrà intervenire già con la legge di Stabilità per ridurre debito e deficit. brava il presunto successo italiano di aver ottenuto la promessa di qualche margine di manovra in cambio di riforme, il Consiglio europeo approvava le raccomandazioni della Commissione all'Italia rendendole ancora più dure. “Nel 2015 il Consiglio raccomanda all'Italia di garantire le esigenze di ridu- LA SITUAZIONE è questa: secondo zione del debito così da rispettare l'o- Confindustria il Pil nel 2014 salirà dello biettivo di medio termine”, cioè il pa- 0,2 per cento invece che dello 0,8 inreggio di bilancio strutturale (deficit a dicato dal governo. Stando così le cose zero dopo aver tolto dal bisognerebbe intervenire di sicuro, non si calcolo le componenti dovute all'effetto della vede da dove possa DOCCIA FREDDA recessione). E l'Italia dearrivare questo imve “assicurare il progrespulso alla crescita nei Mentre il rottamatore so” verso il pareggio già prossimi due-tre menel 2014. Queste le pesi. Si capisce a questo esultava per vaghe santi indicazioni del dopunto meglio l'esipromesse, Bruxelles cumento rivelato ieri da genza di Renzi di otFederico Fubini su Retenere qualche aperci intimava più rigore sui pubblica. tura dalla CommisNelle sue raccomandasione e da Berlino, il conti. Tradotto: tagli o premier vuole dimozioni, a inizio giugno, la aumento del peso fiscale strare di essere sulla Commissione era stata Il ministro Pier Carlo Padoan LaPresse strada giusta delle riforme ed evitare che in autunno gli venga imposta la manovra per qualche zero virgola mancante: con i nuovi poteri dei regolamenti noti come two pack, la Commissione può anche bocciare la legge di Stabilità se non rispetta i numeri concordati. C'è anche la possibilità che venga aperta una procedura di infrazione per debito eccessivo. E tutto questo Renzi non può permetterselo perchè, in base a come andranno i negoziati col Parlamento sulle riforme, il premier potrebbe voler andare al voto nel 2015 ed è meglio non farlo mentre salgono le tasse o ci sono pesanti tagli di spesa (aggiuntivi a quelli sicuri per garantire gli 80 euro in busta paga anche l'anno prossimo e trovare i 32 miliardi di risparmi previsti dal commissario alla spending review Carlo Cotrarelli). Ste. Fel. PAESE NEL PANTANO il Fatto Quotidiano GIOVANI SENZA LAVORO IL FLOP DEL BONUS PER LE ASSUNZIONI La crisi morde e così si è rivelato un sostanziale flop il bonus per le assunzioni dei giovani tra i 18 e i 29 anni messo in campo l’anno scorso dal governo Letta per creare, tra il 2013 e il 2015, circa 100.000 nuovi posti, con uno stanziamento di 794 milioni. Secondo i dati Inps a fine giugno le domande confermate erano poco più di 22.000. Al 23 giugno, scrive l’Inps, il numero totale delle domande di prenotazione arrivate per l’assunzione di giovani disoccupati erano 28.606, ma tra queste 5.499 sono scadute, mentre quelle confermate sono 22.124. Il beneficio per ogni lavoratore assunto con il bonus è di un terzo della retribuzione lorda fino a un tetto di 650 euro al DOMENICA 29 GIUGNO 2014 9 mese per un massimo di 18 mesi (12 mesi nel caso di trasformazione di un contratto a termine in tempo indeterminato). Quindi se si calcolano circa 8.000 euro in un anno per ogni assunto al momento sono stati spesi meno di 160 milioni di euro. Non basta quindi il taglio totale dei contributi per 18 mesi per convincere le aziende ad aumentare il personale. I pensionati italiani i più tassati della Ue E i negozi chiudono I NOSTRI ANZIANI PAGANO PIÙ IMPOSTE RISPETTO A QUANDO LAVORAVANO. PER OGNI ESERCIZIO CHE NASCE NE MUOIONO DUE di Giulia Merlo JEAN CLAUDE JUNCKER Con le nuove regole è stato nominato quasi senza volerlo. Ora deve costruire una squadra adatta al grande inciucio nel Parlamento europeo. Rischia sempre un nuovo scandalo dal suo passato. DAVID CAMERON La sua battaglia di principio era evitare la nomina di Juncker come prova di forza in Europa. La stampa di casa lo massacra. Ora diventa più concreto il rischio che Londra lasci l’Europa. P ensionati supertassati e negozi che chiudono: questo il quadro a tinte fosche dell’Italia nei primi mesi del 2014, presentato da Confesercenti e Confcommercio. PENSIONI Italia è il paese più longevo d’Europa, ma anche quello che tratta peggio i propri pensionati. Gli anziani, dopo una vita di contributi, pagano proporzionalmente più tasse di quando lavoravano. “Un anziano che riceve un assegno mensile di 1500 euro lordi detrae 72 euro in meno rispetto a quanto fa, invece, un lavoratore dipendente con un reddito dello stesso importo”, ha spiegato il presidente Marco Venturi, durante la festa nazionale della Fipc (Federazione Italiana Pensionati del Commercio). L’anomalia maggiore, però, è che il prelievo fiscale è tanto maggiore quanto più la pensio- FEDERICA MOGHERINI Ha poca esperienza. Teneva i rapporti tra il Pd e i socialisti europei. Ora potrebbe avere la Politica estera dell’Unione in quanto fedelissima di Renzi. Tra i suoi sponsor c’è anche il Quirinale. Il sindacalista JIRKY KATAINEN Si è dimesso da premier della Finlandia perché Berlino gli ha promesso una poltrona. Voleva fare il presidente di Commissione o Consiglio, ora spera di prendere il posto di Olli Rehn. ne è bassa. Le pensioni sotto i 1500 euro, infatti, possono detrarre 131 euro in meno dei lavoratori con lo stesso reddito. Le pensioni, però, non vengono erose solo dalle tasse. Nel 2014 i nonni italiani hanno perso 1419 euro di potere d’acquisto rispetto al 2008. “Sono oltre 118 euro al mese, sottratti a consumi e ai bilanci delle famiglie” ha specificato Venturi, secondo cui è sempre più indispensabile una riforma del sistema fiscale, che estenda anche ai pensionati il bonus fiscale, in modo da ammortizzare, almeno in parte, la perdita su base mensile. EUROPA Opposta la situazione nel resto d’Europa: sulla stessa pensione da 1500 euro, un nonno romano paga il doppio rispetto a un suo “collega” spagnolo, il triplo rispetto a un inglese e cento volte di più rispetto a un tedesco. “Un pensionato italiano paga il circa 4000 euro l’anno di tasse, il 20,7% di quanto riceve dall’Imps - ha spiegato 20,7 % 0, 2% TASSE IMPOSTA IN IN ITALIA GERMANIA Venturi - in Germania quello stesso pensionato invece è tassato allo 0,2, pari a 39 euro annui”. E il discorso non cambia nemmeno quando si considerano pensioni più basse: chi riceve circa 750 euro, -1,5 volte il trattamento minimo - è tassato al 9,17%. La stessa pensione in Germania, Francia e Spagna sarebbe, invece, esentasse. COMMERCIO Nei primi cinque mesi dell’anno, per ogni nuovo negozio aperto due hanno chiuso. I più colpiti sono stati bar e ristoranti, aumentano invece le licenze per il commercio ambulante. Unica per quanto magra consolazione è che il dato - fornito dall’Osservatorio sulla demografia delle imprese della Confcommercio - è comunque migliore rispetto a quello registrato nello stesso periodo nel 2013: 52.716 esercizi chiusi quest’anno, contro i 55.815 dell’anno scorso. Il più colpito è il Meridione, con 17mila imprese in meno. Secondo l’Osservatorio, i dati confermano come non ci siano ancora segnali concreti di una vera ripresa, anche se “le imprese stanno riuscendo a contenere gli effetti della crisi, nonostante una domanda interna stagnante, l’elevata pressione fiscale e i mancati pagamenti dei debiti della p.a.”. Maurizio Landini (Fiom) “Basta spot! Matteo, lascia stare Marchionne” di Salvatore Cannavò e Renzi vuol cambiare verso, lo cambi davS vero, altrimenti non va da nessuna parte. La fase degli spot è finita”. Maurizio Landini, segre- tario Fiom che con il premier ha costituito un rapporto diretto tale da infastidire la segreteria Cgil, invita il presidente del Consiglio a prendere le distanze da Sergio Marchionne con cui domani parteciperà al convegno degli Industriali di Torino alla Maserati di Grugliasco. C’è il rischio che il convegno di domani sia uno spot alla Fiat? La fase degli spot è finita. In Italia la disoccupazione cresce, la maggioranza dei lavoratori Fiat è in cassa integrazione, si continuano a fare accordi separati, come pochi giorni fa a Melfi. Cosa dovrebbe dire il premier? Il governo non può più stare a guardare. Non si può subire un progressivo disimpegno della Fiat o avallare la cancellazione del sindacato dai luoghi di lavoro. È singolare che Marchionne trovi il tempo di volare in Italia per fare fronte a un’ora di sciopero e non trovi mai il tempo per confrontarsi sugli investimenti che servono. Perché Marchionne è volato di corsa da Detroit a Grugliasco? Negli Stati Uniti gli analisti finanziari non sono entusiasti del suo piano e stanno attenti a tutto quello che si muove. Poi, la Fiat si era fatta l'idea che esistessero solo sindacati che firmano gli accordi. La sentenza della Corte costituzionale ha messo in discussione il modello. Non se lo aspettava. In un paese con un’evasione fiscale che non ha eguali e con investimenti in ricerca tra i più bassi d’Europa bisognerebbe parlare d’altro. Voi cosa proponete? Sembra di capire che il credito a Renzi non è esaurito. Credo che ci sia un bilancio da fare. Sono passati quattro anni e c’è tanta cassa integrazione e i salari dei lavoratori Fiat sono più bassi degli altri metalmeccanici. Occorre chiedersi che industria vuole questo paese. Se la Germania è un paese forte è perché ha la più forte industria. Non si tratta di fare credito. Abbiamo giudicato positivamente gli 80 euro e negativamente il decreto lavoro. Renzi dice che vuole cambiare? Bene, lo faccia. Gli esodati, ad esempio, non sono un errore ma il prodotto di un taglio secco del sistema pensionistico. Crede che Renzi abbia da imparare? Vi incontrerete pubblicamente con il premier? Penso proprio di sì. Il governo francese ha imposto alla General Electric di creare mille posti di lavoro. In Italia, alla Ducati Motor, di proprietà della tedesca Audi, discutiamo di maggior utilizzo degli impianti e di riduzione degli orari. Non le sembra che anche Renzi sia stato subordinato alla Fiat? I governi precedenti, da Berlusconi a Monti a Letta, hanno apertamente sostenuto Marchionne. Ora c’è una possibilità di un cambiamento. Eppure il governo parla ancora di articolo 18. Mi sembrano pure sciocchezze. Maurizio Landini LaPresse È ORA DI CAMBIARE Noi non mandiamo email, se il premier vuole discutere venga pure Dalla Germania impari che l’industria è strategica. L’articolo 18? Sento solo sciocchezze Entro il mese di luglio organizzeremo un convegno che metta attorno a un tavolo diversi soggetti per discutere di evasione, legge sugli appalti, corruzione. Verrà anche Renzi? Se c’è una disponibilità abbiamo intenzione di fare un confronto anche con il governo. Noi non mandiamo email. A Renzi, al governo, portiamo i lavoratori in carne e ossa. Cosa pensa delle mosse del governo sull'Ilva? Il problema è avere un profilo industriale, mettere a norma l’azienda, applicare il piano ambientale. Per farlo c’è bisogno di un nuovo assetto proprietario: i Riva devono pagare e andarsene. Ma nella fase transitoria, il governo deve intervenire, tramite la Cassa depositi e prestiti o il Fondo strategico per facilitare una nuova proprietà. Può essere anche ArcelorMittal? Il problema sono i piani industriali. La Fiom è una minoranza in Cgil. Pensa ancora che servano le primarie per eleggere i vertici? La segretaria della Cgil è entrata al congresso con il 98% dei voti, la sua lista al direttivo ha ottenuto l’80%, lei è stata eletta con il 70 e la segreteria di maggioranza, proposta qualche giorno fa, con poco più del 60%. Considero che una democratizzazione e trasparenza della Cgil sia necessaria. Con5,7 milioni di iscritti, 95 persone decidono tutto. È una questione irrisolta. 10 DOMENICA 29 GIUGNO 2014 il Fatto Quotidiano LA TERRA DEI CACHI il Fatto Quotidiano Spositivi barchi, 5 agenti a test Tbc Scontro Sap Viminale È RISCHIO TBC per cinque poliziotti di Catania, impegnati negli sbarchi dei migranti al porto di Catania. Gli agenti sono risultati positivi al test di Mantoux, che serve a verificare la potenzialità di contrarre la tbc. Il tutto dopo la notizia che in uno sbarco di una ventina di giorni fa un migrante risultava affetto dal virus. Il Sap ha accusato il Viminale di aver tenuto tutto nascosto. Il segretario generale del Sap siciliano, Saro Indelicato, denuncia anche la mancanza di adeguati strumenti di profilassi durante gli sbarchi come mascherine, tute e guanti. In serata il Dipartimento della Polizia di Stato ha gettato acqua sul fuoco: "La positività DOMENICA 29 GIUGNO 2014 11 non è indice di contagio o malattia ed è esclusa la possibilità di contagio”. “La posizione del Dipartimento è fuorviante e inconsistente. Infatti il Dipartimento è subito intervenuto con la Questura di Catania predisponendo accertamenti per gli operatori interessati già da lunedì”, questa la dura replica del Sap. S. DOMINGO, L’AMBASCIATA CHIUSA E LO STRANO TRAFFICO DEI VISTI LA SEDE “TAGLIATA” ERA GIÀ COMMISSARIATA DA MESI: DIPLOMATICI MANDATI A CASA E DIPENDENTI LICENZIATI. ORA I DOCUMENTI ITALIANI LI RILASCIA IL CONSOLATO SPAGNOLO di Thomas Mackinson e Alessio Schiesari I n un colmado, il chiosco alimentare tipico in Repubblica Dominicana, si può comprare di tutto: frutta, riso, fagioli e visti di ingresso per l’Italia. Sembra incredibile ma è così: nell’isola caraibica un gruppo di funzionari dell’ambasciata, con la compiacenza dei diplomatici, ha creato un mercato nero capillare, in cui bastava sborsare la cifra giusta per ottenere il documento per l’ingresso in Italia. Al diavolo i requisiti stabiliti dal ministero degli Esteri: assicurazione sanitaria, libretto di risparmio e lettera d’invito, per anni è stato sufficiente pagare (tra i 5 e 7 mila euro a visto) per entrare in area Schengen. Fino a metà 2013, l’ambasciata tricolore è stata un’industria di visti, migliaia dei quali – questa è la convinzione degli ispettori del ministero – commerciati illegalmente. Per capire la portata della truffa, basta guardare i dati sui visti rilasciati: 5272 nel solo 2012. L’ambasciata in Brasile, che conta venti volte gli abitanti della Repubblica Dominicana, ne ha concessi 3078, quella in Messico 1357, quella ar- gentina appena 667. Fino a che il giochino si è interrotto. Il merito, almeno inizialmente, non è delle autorità italiane, ma di quelle spagnole. È stata infatti la polizia di frontiera dell’aeroporto di Madrid ad accorgersi che qualcosa non andava quando ha scovato sedici dominicani che si erano da poco visti negare il pass d’ingresso in Spagna ma, a distanza di pochi giorni, avevano ottenuto quello italiano. Di qui è partita la segnalazione che ha dato il la a una raffica di ispezioni concluse con il commissariamento della rappresentanza: l’ambasciatore Arturo Olivieri è stato richiamato a Roma, un funzionario licenziato, il rilascio dei visti italiani è stato affidato all’ambasciata spagnola e, come spiega il portavoce del ministero, “i rapporti ispettivi sono stati inviati in procura”. SI STIMA che circa 8 mila visti siano stati rilasciati dietro compenso, per una truffa che, secondo fonti interne all’ambasciata, avrebbe fruttato non meno di 30 milioni di euro (il ministero si rifiuta di confermare). Qualcuno, sul posto, si spinge oltre e ipotizza che il “sistema” fosse sfruttato dalla malavita lo- SMENTITE E BUGIE La Farnesina nega il collegamento tra spending review e irregolarità, ma l’ambasciatore caraibico racconta un’altra verità Il sottosegretario Mario Giro Ansa cale che approfittava dei visti facili all’interno dei traffici di stupefacenti e prostitute. Un’ipotesi che non trova conferme, ma che ha preso piede anche per la mancata trasparenza della Farnesina. Basti pensare che l’attuale reggente dell’ambasciata, l’incaricato d’affari Olindo D’Agostino, dalle colonne dei giornali caraibici continua a mandare segnali minacciosi per zittire le voci sul traffico di visti: “Fate nomi e cognomi, altrimenti si rischia la galera”. Parlare con lui è impossibile perché da giorni al telefono dell’ambasciata non risponde nessuno. L’affaire visti si lega con un’altra vicenda, la chiusura di quattro ambasciate (tra cui quella di Santo Domingo) annunciata dal ministro Federica Mogherini il 4 aprile scorso. “Le forbici della spending review arrivano nel cuore della diplomazia italiana”, scriveva l’Ansa. Si è presto scoperto che due di queste, Rejkjavik e Nouakchatt, non erano mai state aperte. La terza, quella di Santo Domingo, era già stata commissariata e resa inoperativa. Ufficialmente la Farnesina nega ogni collegamento tra le chiusure e le ispezioni: “sono due vicende completamente scollegate”, sostiene il sottosegretario con delega all’America Latina, Mario Giro. A contraddire la tesi ufficiale c’è però una lettera inviata dall’ambasciatore dominicano a Roma, Vinicio Tobal, dopo un incontro al ministero con lo stesso Giro: “Ha spiegato (il sottosegretario, ndr) che sono state riscontrate irregolarità nell’ambasciata italiana, per questo il governo ha deciso la sua chiusura, ma il Sicilia, una Regione in analisi L’ARS RISCHIA LA BANCAROTTA, I SUOI DIPENDENTI FANNO LA FILA ALLO SPORTELLO DELLO PSICOLOGO di Gabriele Fazio dipendenti pubblici della Regione Sicilia soffrono lo I stress. Preoccupazioni per la carriera, liti con i colleghi, incomprensioni con i superiori. Ma lo Stato non li ha abbandonati: la Regione ha aperto all’interno dei suoi uffici uno sportello che fornisce supporto psicologico ai suoi lavoratori. Il progetto è partito undici mesi fa, i risultati sono sorprendenti. In meno di un anno, sono addirittura 150 i dipendenti che si sono rivolti allo psicologo Tommaso Gioietta per raccontargli problemi e frustrazione. Non chiamateli statali fannulloni, al massimo “demotivati”. Questo il termine usato PARADOSSI Mentre la giunta Crocetta studia l’ennesima manovra correttiva, tra gli uffici pubblici ce n’è anche uno per i lavoratori stressati dal dottor Gioietta, che spiega: “Il mito dell’impiegato pubblico pigro è da sfatare. La verità sta nel mezzo: ci sono gli scansafatiche, è vero, ma non si può estremizzare. Sono tantissimi i dipendenti che fanno più di quanto dovrebbero e si fanno carico anche del lavoro degli altri”. Per lo psicologo della Regione Sicilia i colloqui sono in media cinque o sei a settimana, della durata di circa un’ora. ALLA SUA PORTA bussano uo- mini e donne in egual misura, senza limiti di esperienza o anzianità: hanno richiesto aiuto tanto i giovani appena assunti quanto alcuni colleghi a un anno dalla pensione, in ansia per l’imminente distacco dal posto di lavoro. All’inizio si pensava che lo psicologo sarebbe stato accolto con diffidenza, al contrario: la risposta è stata entusiasta. Meno convinti, probabilmente, saranno i contribuenti. L’esperimento dello “psicologo dei regionali” avviene nell’ente italiano con il bilancio più disastrato e gli sprechi di denaro pubblico più imbarazzanti. L’ennesimo allarme sulle esangui casse dell’Ars è stato lanciato a inizio giugno dalla Corte dei Conti, secondo cui l’attuale situazione finanziaria è “appena sufficiente a garantire il fabbisogno mensile”. Una situazione, per utilizzare il linguaggio quasi eufemistico dei giudici contabili, che “desta alcune La sede dell’Assemblea regionale siciliana Ansa preoccupazioni”. La giunta Crocetta si è da poco messa al lavoro per la terza manovra economica dall’inizio della legislatura: bisogna trovare subito 360 milioni di euro. Il governatore è nervoso: “La prossima persona che parla di commissariamento della Regione Sicilia – ha detto in conferenza stampa – sarà denunciata per attentato alla Costituzione”. La manovra prevede tagli da 15 milioni di euro sui costi dell’Assemblea regionale e da 22 milioni di euro sulla sanità, giusto per citarne un paio. Lacrime e sangue, dunque, per alleggerire l’eredità di anni di sprechi. Chissà se anche la figura dello psicologo degli impiegati regionali sarà vittima dei tagli. Per adesso il dottor Gioietta si gode la grande partecipazione alla sua iniziativa. Il terapeuta esulta e prova pure a spiegare una ricetta per aumentare la produttività degli statali: “Certi problemi – sostiene – non possono essere risolti dai singoli lavoratori, ma dipendono dal contesto organizzativo. Grazie ai nostri consigli, la vita lavorativa in questi uffici è migliorata”. 5. 272 RILASCI IN UN ANNO provvedimento sarà solo transitorio”. Niente spending review quindi, solo una pausa causata dall’incapacità di sanare una situazione di illegalità. Chi sta provando a bloccare la chiusura dell’ambasciata è l’associazione Casa de Italia, che la scorsa settimana ha comprato mezza pagina su Repubblica per lanciare il suo appello. La chiusura costringerebbe i 30 mila italiani residenti a Santo Domingo a re- Ansa CHI LI HA VISTI? In Brasile, venti volte gli abitanti dell’isola caraibica, ne sono stati concessi solo 3078 carsi a Panama per ottenere un qualsiasi documento (spesa per l’aereo, 800 euro). Non solo: chiudendo la sede il ministero perderebbe la proprietà di quattro proprietà del valore complessivo di 30 milioni di euro. Si tratta di terreni lasciati in eredità all’ambasciata per cui non è possibile cambiare la destinazione d’uso e che, in caso di chiusura, tornerebbero in mano ai precedenti proprietari. L’ORDINE contro De Bortoli per i “pizzini” a Dell’Utri a pagina a pagamento pubblicata dal a L sostegno di Marcello Dell’Utri potrebbe sconfinare nell’apologia di reato. A sostenerlo è il presidente dell’Ordine Corriere della Sera dei giornalisti della Lombardia (e giornalista del quotidiano di via Solferino), Gabriele Dossena, che in una lettera promette provvedimenti disciplinari per il direttore Ferruccio de Bortoli: “È mia intenzione portare l’accaduto al prossimo Consiglio dell’Ordine perché intervenga il consiglio di disciplina. Valuteremo in che misura la libertà di manifestazione del pensiero cada in apologia di reato o modalità imbarazzanti per il prestigio e l’etica del giornale che dirigi”. La pagina incriminata, voluta dalla moglie dell’ex senatore ora in carcere, è stata pubblicata sul giornale di giovedì e conteneva decine di messaggi di affetto per Dell’Utri scritti dagli amici e confezionati in forma di pizzini. Sulla questione era già intervenuta la rappresentanza sindacale del Corriere della Sera, che ha definito “grave” la scelta di “accettare passivamente un’intera pagina pubblicitaria”, senza che peraltro la direzione abbia provato a prendere le distanze. Per il cdr, si tratta di un “imbarazzante precedente. Da oggi ci chiediamo come il Corriere potrà rifiutare analoghe richieste degli amici di altri condannati per mafia”. In settimana probabilmente De Bortoli risponderà al comitato di redazione. 12 Islam e lotta, così risvegliava l’orgoglio razziale Enzo Biagi intervistò Malcolm X in un bar di New York. Nel ’64, il Congresso approvò il Civil Rights Act. Un anno dopo, l’attivista venne ucciso dai suoi sodali di Nation of Islam 49 (continua) Malcolm X: “Senza violenza il nero è schiavo” IL LEADER DELLE LOTTE CONTRO LA SEGREGAZIONE RAZZIALE RACCONTA LA SUA VITA: LA CASA D’INFANZIA BRUCIATA DAL KU KLUX KLAN, L’ASSASSINIO DEL PADRE, LE DROGHE E LA GALERA. POI LA SCOPERTA DEL CORANO E L’INIZIO DI UNA DURA MILITANZA POLITICA NON AVEVA FIDUCIA NEL PACIFISMO: “MARTIN LUTHER KING NON AIUTA LA NOSTRA CAUSA, CI INSEGNA A ESSERE INDIFESI. È UN TOPOLINO SCHIACCIATO DA UN ELEFANTE BIANCO” di Enzo Biagi S ignor Malcolm X qual è il suo primo ricordo di bambino? Guardi, la cosa che ho più viva nella memoria, se ripenso alla mia giovinezza, è quando la nostra casa nel Michigan fu bruciata dal Ku Klux Klan. Avevano i cappucci coi grandi fori davanti agli occhi, mantelli rossi e lunghi fucili. Gridavano. A quel tempo noi vivevamo in un quartiere bianco. Anche allora, come adesso, i bianchi, la società bianca, era contraria a ogni forma di integrazione, e così incendiarono la nostra abitazione e ci costrinsero ad andare via. Questo non accadeva nel profondo Sud, ma nel Michigan, in uno degli Stati più a nord di questa nazione. Non l’ho mai dimenticato. Lei parla con grande proprietà di linguaggio, dove ha studiato? Sono nato a Omaha, nel Nebraska, nel 1925, anche da quelle parti il Ku Klux Klan era molto forte. Diedero a mio padre l’ordine di partire, e così ce ne andammo. Per me fu una grande umiliazione. Pensai che mio padre avrebbe dovuto comportarsi diversamente, reagire, poi negli anni compresi che non avremmo potuto fare nulla e che mio padre volle semplicemente proteggere la nostra famiglia. Ho frequentato solo le prime classi, quello che so l’ho imparato vivendo quotidianamente a contatto con la disperazione del nostro popolo. Da mio padre ho imparato a parlare agli altri, lui era un predicatore battista, lo sapeva fare molto bene. Lei è stato in carcere. Sì, sono stato in carcere perché avevo commesso un crimine, anzi, parecchi crimini: droga, estorsione, rapine e tanti altri. Fui preso e condannato, allora avevo vent’anni, ma è stata la società, la società dei bianchi, la società occidentale, con tutte le oppressioni che esercita sui neri che mi ha mandato dentro; e fa sì che la più alta percentuale di detenuti sia nera, perché noi neri dobbiamo ricorrere al delitto per vivere. Siamo in guerra: il Mississippi è come il Congo, Harlem come il Vietnam. Qualcuno cade. È per questo che è diventato musulmano? Mi sono convertito quando ero in prigione. Sono nato cristiano, poi ho avuto diversi anni di agnosticismo, e dopo essere stato anche ateo capii che la religione dell’Islam è la verità e l’accettai. Allah è giusto, mentre i cristiani sono ipocriti, per questo ho deciso di convertimi alla grandezza dell’Islam. Mio fratello Reginald, mentre ero in carcere, mi chiese di aderire alla National of Islam di Elijah Muhammad, perché la maggior parte degli africani, prima di essere presi e ridotti in schiavitù, erano musulmani. Tutti i neri devono convertirsi all’Islam. Signor Malcolm X, lei crede nell’integrazione? I neri devono, ogni volta che intendono prendere una decisione, rivolgersi ai bianchi per sapere quali sono le cose che possono comprare, dove, e in quale quartiere devono andare a vivere. I neri hanno bisogno di avere un permesso per qualsiasi iniziativa intendono prendere. I musulmani che seguono Elijah Mohamed non credono in nessuna forma di integrazione. messa dai razzisti pensiamo a quanto è stupida a farsi sottomettere senza reagire. La violenza quando è usata per proteggersi, non solo è necessaria, è giustificata. Tutti i neri dovrebbero credere nel diritto di difendersi da chiunque. Se durante una manifestazione un cane, lanciato da un poliziotto, morde un nero, lui dovrebbe avere la possibilità di uccidere il cane. L’animale viene lanciato contro il nero, che non sta facendo altro che esercitare un diritto, il poliziotto che lo ha lanciato dovrebbe pagare per questo atto violento e non giustificato. Lei è per la violenza mentre Martin Luther King è per la pace, per la non violenza come Gandhi. Non siete d’accordo tra di voi e questo vi rende FRATELLI COLTELLI Ucciso dai compagni traditi di Nation of Islam MALCOLM X, il cui vero nome è Malcolm Little, nasce a Omaha, in Nebraska, il 19 maggio 1925. Settimo di 11 figli, impara presto a conoscere il razzismo: la sua famiglia emigra in Michigan per le minacce subite dal Ku Klux Klan. Quando ha soli sei anni, suo padre, un predicatore battista, viene assassinato da estremisti bianchi. A 13 anni perde anche la madre, che viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Lascia la scuola, in cui eccelle, quando un insegnante gli dice che “studiare legge non è un obiettivo realistico per un negro”. A vent’anni finisce in galera. Qui aderisce a Nation of Islam, un’organizzazione musulmana che lotta per i diritti degli afroamericani, di cui diventa presto un leader. In carcere comincia a firmarsi Malcolm X. Quando esce dal carcere si trasferisce a New York, diventa un predicatore e sposa Betty Senders, da cui avrà otto figli. Dopo l’omicidio di Kennedy commenta polemicamente: “La violenza che non ha saputo fermare gli si è ritorta contro”. Nel ’64 lascia Nation of Islam, abbandona le tesi sulla superiorità nera, e fonda il Muslim Mosque Inc. Il 17 febbraio dell’anno successivo scampa a un attentato dinamitardo. Una settimana dopo, tre membri di Nation gli tendono un agguato e lo uccidono. La parola integrazione pronunciata dai bianchi è una menzogna anche quando viene detta da un presidente degli Stati Uniti o da un bianco che è socialmente impegnato. Se la legge o la Corte Suprema o gli altri organismi giuridici facessero sul serio per l’uguaglianza tra bianchi e neri, condannerebbero chi impedisce l’integrazione, e noi neri non dovremmo continuamente manifestare per i nostri diritti. Se la legge nazionale firmata dal presidente Lyndon Johnson fosse reale e non una grande ipocrisia, quando i neri manifestano per l’integrazione non verrebbero arrestati perché, come sta scritto nella legge, sono dalla parte della giustizia, è nel loro diritto. La polizia, invece, dovrebbe arrestare chi discrimina. È stupido da parte dei neri dimostrare per farsi arrestare credendo nella legge. I neri non si devono esporre così ingenuamente al nemico. Noi musulmani siamo contro l’integrazione, crediamo che la separazione sia la sola via percorribile. Quando vediamo la nostra gente brutalizzata e sotto- L’integrazione è una menzogna Non sarà certo grazie a una riforma o alla Corte federale che avremo l’uguaglianza Non abbiamo bisogno di alcuna autorizzazione per poter manifestare più deboli. Caro Biagi, prima o poi arriverà il tempo in cui i neri si sveglieranno e diventeranno indipendenti intellettualmente da pensare solo a se stessi come fanno gli altri esseri umani. Solo allora i neri avranno un pensiero comune. Quel giorno quando uno attaccherà un nero attaccherà tutti i neri. Più i bianchi saranno brutali con i neri, prima arriverà quel giorno. I neri devono fare da sé e per sé, non sarà grazie a una legge o alla Corte Federale se riusciranno a ottenere l’uguaglianza. Gandhi era l’elefante nero che schiaccia il topo bianco, mentre Martin Luther King è un topino bianco sotto le zampe di un elefante bianco. Noi non abbiamo bisogno di avere l’autorizzazione dei bianchi per poter manifestare, come ha fatto lui, per la marcia su Washington, che ha chiesto l’autorizzazione all’Amministrazione. Lei ha accusato Martin Luther King di essere pagato dai bianchi, lo crede veramente? Il reverendo King continua a insegnare ai neri a essere indifesi, questo non aiuta la nostra causa. Non ha timore delle conseguenze che queste sue parole potrebbero portare? Se lei si riferisce alla mia persona, credo di essere già un uomo morto. Io mi batto perché è importante che si capisca la natura del movimento islamico, la sua psicologia, per raggiungere l’obiettivo di portare l’uguaglianza tra neri e bianchi: solo quel giorno riusciremo a essere uniti. Oggi se qualcuno venisse da me a dirmi quello che io vado predicando nelle piazze delle città o in questo momento con lei, senza che io sia a conoscenza della verità e della psicologia che i bianchi usano contro di noi, avrei una reazione violenta, sarei disposto a uccidere. Per questo ci battiamo: per fare capire ai neri quello il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 GIUGNO 2014 13 BLACK POWER Malcolm X visto da Emanuele Fucecchi. A destra, in una fotografia d’epoca. In basso, insieme al fuoriclasse del pugilato Muhammad Alì, un’altra icona storica dell’orgoglio afroamericano LaPresse Il rapporto impossibile tra due eroi afroamericani TRA LUI E IL REVERENDO NON C’ERA STIMA. SI INCONTRARONO SOLTANTO UNA VOLTA: QUANDO LYNDON JOHNSON FIRMÒ LA LEGGE SUI DIRITTI CIVILI di Loris Mazzetti M alcolm X e Martin Luther King furono due grandi leader del popolo nero americano. La loro vita la dedicarono alla lotta contro la segregazione razziale, a favore dei diritti umani, usando metodi completamente diversi. Il primo riteneva che solo l’Islam potesse rendere il nero libero e legittimava l’uso della violenza. Tra i due non ci fu mai accordo, tanto che Malcom X accusò King di essere un servo dei bianchi. La grande rottura tra loro si consumò in occasione della Marcia su Washington per la quale il reverendo protestante chiese l’autorizzazione all’Amministrazione. Malcolm X definì con disprezzo i fratelli che vi parteciparono “di essere bianchi”: “Non trovo nulla di eccitante in una dimostrazione fatta davanti alla statua di un presidente morto da cento anni e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo”. Martin Luther King era per la pace, la non violenza alla Gandhi, questo gli valse nel 1964 il Premio Nobel. King era molto vicino a John Kennedy, mentre Malcolm X, quando il presidente fu assassinato a Dallas, dichiarò: “La violenza che i Kennedy non erano riusciti a fermare gli si era ritorta contro”, aggiungendo che quelle cose non lo avevano rattristato, ma reso felice. La sua stessa organizzazione prese le distanze da quelle parole e gli impedì per novanta giorni di fare comizi. Malcolm X fu ucciso a New York nel 1965 per mano di tre sicari del Nation of Islam, organizzazione di cui era stato portavoce; Martin Luther King nel 1968 a Memphis fu vittima di una cospirazione, ma il colpevole non fu mai trovato. Ambedue avevano 39 anni. Se molto tempo dopo, il 20 gennaio 2009, per la prima volta fu nominato un afroamericano alla presidenza degli Stati Uniti, Barack Obama, il merito è anche loro. L’INTERVISTA di Enzo Biagi che il Fatto Quotidiano pubblica oggi è a Malcolm X. Di lui il grande giornalista scrisse: “Ho conosciuto il nero gonfio di orgoglio che sogna la rivolta. Ci incontrammo a New York, allo Shabazz, sulla 124ª Strada e bevemmo caffè, perché il buon musulmano deve lasciar perdere il whisky, le donne, i dadi e le lotterie; c’era in giro odore di patate fritte, di nafta bruciata e di brillantina. Tutti lo guardavano con rispetto, poi una domenica, il 21 febbraio 1965, mentre stava predicando, venne ucciso, colpito da 16 proiettili, tre dei quali mortali”. Nella storia di Malcolm X c’erano il dolore, il crimine e la prigione: sette anni. La madre era figlia di una nera violentata da un No, non è assolutamente vero. Posso ammettere che in alcune situazioni i neri non hanno la spinta della promozione a raggiungere un grado più alto, la mira dell’andare avanti con la carriera, oppure non hanno la base dell’istruzione che hanno altri operai e quindi rimangono indietro, ma dove godono di uguali possibilità, dove sono ugualmente preparati, dimostrano le stesse capacità e ottengono gli stessi risultati. Anzi è dimostrato che in certe fabbriche, operai specializzati di colore, producono più dei bianchi. che sta realmente accadendo. Lei sostiene addirittura il principio della superiorità dei negri. Maometto ci insegna che l’uomo di colore è l’uomo originale, l’uomo dal quale derivano gli altri uomini. La biologia e la genetica spiegano che la pelle nera, i capelli neri, gli occhi neri, sono dominanti. La pelle bianca e gli occhi azzurri sono riflessivi, cioè passivi. Maometto ci insegna che i neri possono generare i bianchi mentre i genitori bianchi non possono avere una discendenza negra. Se c’è stato un momento nella storia del mondo in cui vi era una sola persona, questa persona doveva essere nera; la prima gente al mondo doveva essere nera e da Ricordo i razzisti che vennero a dar fuoco alle nostre pareti: i cappucci chiari coi grandi fori davanti agli occhi Quando ci cacciarono dal Nebraska fu un’umiliazione Pensai fosse un gesto di debolezza, volevo reagire bianco, ed era finta al manicomio dopo la morte del marito, ucciso per il colore della sua pelle. La trasmissione tv, in due puntate, è stata una delle tante straordinarie inchieste fatte da Enzo Biagi in onda su Rai1, in prima serata, dal titolo: Mississippi, romanzo di un fiume. Una specie di diario di viaggio, come lo definì lo stesso Biagi, in cui il giornalista incontrò uomini, paesaggi e tanti problemi. L’inchiesta con il taglio del documentario classico, che nulla aveva da invidiare a quelli realizzati da grandi registi (le riprese furono realizzate da due storici operatori della Rai: Duilio Chiaradia e Paolo Muti e il suono, regolarmente in presa diretta, da Salvatore Staiano), partiva dall’attualità: il 2 luglio 1964 il presidente Lyndon Johnson aveva firmato la legge sui diritti civili, grazie alla quale ai neri veniva riconosciuta una parità politica che la Costituzione fino ad allora non garantiva. Al momento della firma, accanto al presidente degli Stati Uniti, vi era Martin Luther King. In quel periodo, per la prima e unica volta, Malcolm X e il pastore protestante si incontrarono. Fino a quel momento avevano fatto tutto il possibile per non vedersi, le loro linee erano inconciliabili. King considerò quella firma fondamentale per il futuro dei neri d’America. Malcolm X invece una legge inutile, non per il con- Parlando con lei ho la sensazione che il suo obiettivo sia quello di diventare il capo dei musulmani neri. quei neri vennero tutti gli altri, compresi i bianchi. Noi crediamo in questo. Siccome l’uomo nero è stato il primo sulla terra, Maometto ci insegna che il nero sarà il primo anche alla fine. Nessuna razza è superiore a un’altra. Lei dice dei neri esattamente quello che i bianchi hanno detto dei neri per molte generazioni. I soli bianchi che io conosco sono quelli che ci hanno rapiti e portati in questa terra come schiavi, ci hanno fatto lavorare nei campi come cavalli per quattrocento anni, ci hanno venduti come loro proprietà per trecentocinquanta, e negli ultimi cento si sono comportati da ipocriti, cercando di far pensare al mondo che noi neri siamo stati liberati dalla Guerra di Secessione, mentre invece siamo ancora più schiavi di quello che eravamo sotto il presidente Lincoln e prima della dichiarazione di emancipazione. Alcuni imprenditori sostengono che l’operaio nero rende meno del bianco. No, io non ho alcun desiderio di diventare capo dei musulmani neri. Non ho mai avuto questo desiderio. Il mio obiettivo è vedere gli afroamericani ottenere i diritti umani che gli sono dovuti. L’Islam può aiutarci a raggiungere questo. È la religione migliore per la nostra gente, perché crea unità, dignità e fiducia razziale. Questo è indispensabile per rendere l’essere umano completo. Non c’è nessun bianco per il quale lei prova qualche simpatia? L’esperienza che abbiamo fatto in questa società bianca, non ci permette di camminare per cercare qualche uomo bianco verso il quale dirigere la nostra ammirazione. Non è un problema di individui, è collettivo, è generale. Le buone parole di una o due persone bianche non bastano. Nemmeno il comportamento di una piccola comunità, noi guardiamo a tutta la collettività dei bianchi. Quali sono, in definitiva, gli scopi del suo gruppo? Mio padre è stato ucciso nel 1931, quando avevo sei anni, è stato trovato sotto un tram, ce tenuto, ma perché era convinto che nessun bianco l’avrebbe mai rispettata. L’inchiesta di Biagi partiva dal fatto che allora 20 milioni di cittadini degli Stati Uniti erano divisi dagli altri soltanto dal colore della pelle, ma finalmente potevano avvalersi di una forza legale per far cadere ogni forma di discriminazione. NELLA SECONDA parte del suo viaggio, il giornalista fece discutere della questione dei neri quattro singolari personaggi: il primo era Malcolm X, definito come uno dei capi della setta dei musulmani neri, Roy Wilkins segretario dell’Associazione fondata da King, il campione del mondo dei pesi massimi Floy Patterson e lo scrittore americano più interessante in quel periodo: James Baldwin. Biagi li presentò così al telespettatore: “Ognuno di loro esprime con la massima indipendenza il suo punto di vista. Forse vi colpirà l’acre polemica di Malcolm X con i bianchi, ma lui è un razzista alla rovescia e la sua apparente logica e la sua violenza animano un’appassionante discussione”. Biagi raccontò per quegli anni un’America inconsueta, non quella della grande potenza e della grande prosperità, ma quella dei problemi. Quell’America per la quale si batté Malcolm X, in cui ogni uomo deve essere libero dalla povertà e dall’odio. l’avevano buttato i bianchi, i sostenitori della “supremazia bianca”, perché era troppo impegnato a combattere, parlava troppo chiaramente, era contro i compromessi, esortava i neri ad agire da soli. Io porto dentro di me questo insegnamento. Lo scopo dei musulmani neri è quello di portare libertà, uguaglianza, ai venti milioni di fratelli che vivono in questo paese. Noi pensiamo che Allah, il Dio che ci unisce, ci darà la forza necessaria per vivere, per fare quello che è giusto per noi stessi, senza aspettare che l’uomo bianco d’America ci aiuti. Il suo desiderio quale è? Nulla di diverso da quello dei musulmani neri. Vorrei che la crudeltà dell’uomo verso l’uomo finisse. Per far questo sono disposto a ricorrere a qualsiasi mezzo. L’America è una grande prigione, basta nascere con la pelle scura ed è come stare nel carcere di Sing Sing. Questo non potrà impedirci di morire da uomini. Noi vogliamo libertà e giustizia e siamo disposti a usare ogni mezzo necessario pur di arrivare fino in fondo. I diritti umani sono qualcosa che abbiamo dalla nascita. I diritti umani ci sono dati da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le nazioni della terra riconoscono. Non crediamo che in un paese come gli Stati Uniti d’America, che si definisce guida nel mondo libero, i cittadini neri debbano aspettare i favori di qualche politico o presidente texano disposto a fare concessioni in tema di diritti civili. Perché non crede nelle leggi dello Stato? Al diavolo la politica. Quando parlo ai fratelli neri li esorto a levarsi in piedi e combattere tutte le battaglie necessarie perché, solo così, il bianco imparerà a rispettarci. E se egli non ci permetterà di vivere da uomini, non potrà impedirci di morire da uomini. n 14 ALTRI MONDI DOMENICA 29 GIUGNO 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano IRAQ BATTAGLIA ALLE PORTE DI BAGHDAD Alcuni sobborghi di Baghdad sono stati teatro di scontri con venti militari governativi uccisi dagli islamici. L’esercito ha proseguito l’offensiva per riprendere Tikrit, lungo l’asse che conduce a Mosul ma le truppe dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) si sono spinte sulla capitale. LaPresse REGNO UNITO STAMPA CONTRO CAMERON: “PERDENTE” La stampa britannica ritiene che il premier David Cameron abbia fallito in Europa per non aver evitato l’investitura di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione Ue; aumentano le possibilità, secondo i giornali, di un’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. LaPresse Contrordine Compagni! Il porno non è per tutti MOSCA, SVELATA LA COLLEZIONE DI STAMPE E LIBRI EROTICI NELLA BIBLIOTECA LENIN NASCOSTA IN UNA STANZA CHE ERA APERTA SOLO AI MEMBRI DEL POLITBURO La biblioteca Lenin e l’articolo che ha svelato la collezione erotica LaPresse di Giulia Merlo I n Unione Sovietica il porno si nascondeva in biblioteca. Lontano dagli occhi del popolo, ma a piena disposizione dei capi del partito comunista, molti dei quali erano assidui frequentatori di quell’ala segreta della Biblioteca di Stato di Mosca. Ancora oggi la scandalosa raccolta si trova lì, chiusa a doppia mandata dietro una porticina tra gli scaffali del nono piano della biblioteca Lenin, dove sono archiviate tutte le pubblicazioni marchiate come “ideologicamente dannose”. Migliaia di libri, disegni, fotografie e film connessi in un modo o nell’altro al sesso sono stati conservati qui: una collezione di circa La crisi in Ucraina di Roberta Zunini i scuso per aver riportato M nel mio intervento parlamentare la notizia di fotografie 12mila oggetti provenienti da tutto il mondo, dalle stampe giapponesi del ‘700 agli Harmony americani dell’era nixoniana. La stanza è uno dei tanti segreti che si annidano nel passato dell'austera Russia bolscevica ed anche oggi la sua esistenza non è nota alla maggior parte dei frequentatori della grande biblioteca. “L’abbiamo mantenuta intatta, come cimelio di un’epoca passata”, ha spiegato la bibliotecaria Marina Chestnykh, che si occupa di curare la raccolta erotica. Lei stessa l’ha scoperta solo nel 1990, dieci anni dopo aver iniziato a lavorare alla Biblioteca di Stato. La storia dell’archivio segreto è iniziata nel 1920, quando il museo d’arte di Mosca venne trasformato nella Biblioteca nazionale, intitolata a Lenin. Accanto ai libri della nuova cultura russa, i bolscevichi trasformarono i piani alti in un deposito dove accumulare la stampa clandestina e i libri confiscati alla nobiltà russa dopo la rivoluzione. LA MAGGIOR PARTE del ma- teriale viene, però, dalla collezione privata di Nikolai Skorodumov, il direttore della biblioteca dell’università di Mosca. Dietro l’immagine pubblica del tranquillo funzionario, Skorodumov collezionò per tutta la vita volumi sia russi che stranieri e soprattutto a tema erotico. Come riuscisse ad aggirare la censura sovietica, rimane un mistero. Alcuni dicono importasse i volumi sfruttando la sua posizione all’università e facendoli passare per materiale di interesse scientifico, altre voci raccontano che godesse della protezione del comandante della polizia di Stalin, anche lui cultore di romanzi erotici. Dopo la morte del collezionista, la censura scoprì un tesoro di carta di oltre 40 mila volumi, 7mila dei quali a contenuto erotico. Una raccolta che non poteva certo essere lasciata alla vedova - sostennero le autorità - perchè “tenerli in una casa privata presenta enormi rischi”. E quale posto migliore, se non la stanza all’ultimo piano della biblioteca Lenin. Una stanza che divenne improvvisamente molto visitata dagli alti membri del Politburo. “Erano più interessati alle immagini più che ai libri - ha raccontato la bibliotecaria - ed entravano quando volevano, senza bisogno di permessi”. La particolare raccolta ha continuato ad essere ampliata fino agli anni Ottanta, con il materiale sequestrato alle dogane: libri in inglese ma anche film e cartoline considerate licenziose e dunque poco adatte ai citta- dini russi. “Non venivano raccolti con metodo e non esiste un catalogo - ha spiegato la Chestnykh - prendevano tutto quello che gli sembrava inappropriato e lo portavano qui”. Il risultato è un curioso collage: fotografie dei Beatles, un libro sul Kama Sutra in inglese, un catalogo di dipinti di Picasso e una raccolta di scritti di De Sade. La stanza, oggi come ieri, continua a galleggiare nel limbo della semi-clandestinità. La sovrintendenza della biblioteca di Stato, infatti, è divisa tra chi vorrebbe valorizzare la piccola raccolta e chi invece la considera una spesa inutile. Anche dopo la caduta dell'Urss, il nono piano della Biblioteca Lenin resta un luogo di misteri e sguardi ammiccanti. Marta Grande (M5S) “Ho sbagliato, la foto del soldato era falsa” caso di evitare di portare un esempio falso in aula? Ripeto, me ne scuso, ma avrei potuto citarne altre che che mostrano soldati ucraini insono vere. tenti a maneggiare i resti carboPerché non l'ha fatto? nizzati di una persona uccisa nel Cosa vuole che le dica, resta il Donbass”. Tre giorni dopo il suo fatto che il focus del mio inintervento in aula per illustrare, attraverso l'esempio della crisi M. Grande e la foto del soldato ucraino tratta da una fiction Ansa tervento non era sul Donbass ma sul peso politico italiano a ucraina, la mozione del Movilivello europeo che influenzi le scelte mento 5Stelle “per varie ragioni, come la ne tratte da una fiction? mancanza di una politica italiana basata Questa mia affermazione seguiva un'al- strategiche dell'Unione e parlavo della sulle energie rinnovabili”, l'onorevole tra in cui spiegavo che lo stesso governo necessità di esprimerci concretamente Marta Grande risponde alle accuse che le di Kiev ha fatto sapere di aver creato perché altrimenti subiremmo delle posono state rivolte anche da simpatizzanti campi di filtraggio per la popolazione del litiche che vanno doppiamente contro i Donbass, campi che in realtà sono lager e nostri principi: primo perché non sedel Movimento. quindi ho concluso con l'esempio di que- guiamo le linee europee che ci siamo dati Lei ha affermato pubblicamente che i soltutti insieme e secondo perché, non ste foto. dati ucraini nel Donbass uccidono i civili e A maggior ragione, data la gravità di ciò esprimendoci dobbiamo appunto subire ha portato come esempio alcune foto che le scelte a noi imposte da altri. che aveva appena asserito, non era il girano in rete. Non sapeva che erano sce- Nell'intervento sembra che voi accettiate la realizzazione del gasdotto South Stream, frutto di un accordo tra il gigante russo Gazprom e l'italiana Eni. Un progetto rigettato dagli ambientalisti e voluto strenuamente dall'ex premier Berlusconi e avallato poi dall'ex primo ministro Prodi... Voglio fare chiarezza assoluta su questa questione: noi del Movimento riteniamo che sia il corridoio energetico azero Tap sia il South Stream, che aggira l'Ucraina e termina in Italia, siano due progetti da ostacolare perché conseguenza di una politica obsoleta e dannosa basata sullo sfruttamento del petrolio e del gas, non sulle energie alternative e rinnovabili. Ma è anche vero che, a causa dell'appoggio dato dal governo Renzi a Kiev, se ci saranno ritorsioni da parte della Russia, dopo la firma di ieri dell'accordo tra Ucraina e Unione Europea, queste potrebbero estendersi all'Italia. Lei sostiene che per evitare ritorsioni russe nei nostri confronti, il governo italiano dovrebbe fare ciò che vuole Mosca? Noi non siamo né pro Mosca né pro Ucraina. Facciamo un discorso di strategia energetica. Perché avete sostenuto l'annessione della Crimea da parte di Mosca? Perché fino al 1954 la Crimea è stata russa e al referendum ha vinto il consenso all'annessione. Lo sa che la maggior parte della popolazione della Crimea non ha votato? Chi non ha votato ha sbagliato, bisogna partecipare, noi del Movimento lo diciamo sempre. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI ARGENTINA “DIMISSIONI PER BOUDOU” L’opposizione ha chiesto che il vicepresidente Amado Boudou, accusato in un caso di corruzione, si dimetta o venga sospeso dall’incarico finché la sua situazione non verrà stabilita dalla legge. “Boudou deve fare un passo indietro” ha detto Ernesto Sanz presidente dell’Unione radicale. Ansa USA TROPPI SUICIDI DAL GOLDEN GATE Il Golden Gate Bridge di San Francisco sarà dotato di barriere di sicurezza per impedire i suicidi; costo dell’operazione, 76 milioni di dollari. Oltre 1400 persone si sono uccise, dal 1937 ai giorni nostri, gettandosi dal ponte, con un record di 46 suicidi nel solo 2013. LaPresse DOMENICA 29 GIUGNO 2014 15 Tabloidgate, si stringe la rete attorno allo Squalo LONDRA, LE INTERCETTAZIONI DEL “NEWS”: L’EDITORE MURDOCH ESCE INDENNE DAL PROCESSO COME LA SUA PROTETTA REBEKAH BROOKS. MA NON È FINITA di Carlo Antonio Biscotto L’ ennesimo “processo del secolo”, quello ai responsabili delle intercettazioni organizzate da News of the world, periodico scandalistico dell’impero di Murdoch, ha avuto un risultato a sorpresa: assoluzione per Rebekah Brooks, condanna per il suo complice e presunto amante Andy Coulson, ex spin doctor di Cameron. I due imputati avevano fatto carriera insieme e insieme erano fragorosamente caduti travolti da uno scandalo che anni fa mise a rumore il mondo dell’informazione e della politica. Il tribunale ha separato i loro destini assolvendo la ”rossa di fuoco”e condannando Coulson che ora rischia due anni di prigione. E Murdoch? Se lo chiede perplesso Andreas Whittam Smith sulle pagine dell’Independent, il quotidiano che ha contribuito a fondare e di cui è stato direttore. Infatti il domenicale dello scandalo – costretto a chiudere i battenti nel 2011 – era di proprietà, insieme al Sun e al Times, di News International, il gruppo editoriale che faceva capo a Rupert Murdoch. Secondo la legislazione approvata in Gran Bretagna nel 2000 in materia di intercettazioni telefoniche, il direttore responsabile di un giornale – e Murdoch era il direttore responsabile di News International – risponde penalmente degli illeciti commessi dai suoi dipendenti in caso di “negligenza”. Ed è proprio questa la parola chiave. MURDOCH È STATO negligente nel controllare quello che facevano i suoi giornalisti? Quattro ex dipendenti di Murdoch sono stati condannati per aver illegalmente intercettato conversazioni telefoniche private. Tre si erano dichiarati colpevoli all’inizio del processo: Neville Thurlbeck, ex redattore capo di News of the World, Greg Miskiw e James Weatherup. Alla lista si è aggiunto il direttore del tabloid, Andy Coulson. Rupert Murdoch aveva rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione di News International nel luglio 2012 quando Rebekah Brooks e Andy Coulson erano già stati rinviati a giudizio. Inoltre il 1° maggio 2012 una apposita commissione del ministero della Cultura aveva scritto nella sua relazione che Murdoch “aveva dolosamente lasciato correre i comportamenti illeciti divenuti abituali nelle redazioni dei giornali di sua proprietà” e lo aveva ritenuto “inadatto a gestire un gruppo editoriale internazionale”. Sull’autorevole quotidiano inglese, Whittam Smith sostiene che i comportamenti all’interno di aziende, giornali, organizzazioni e istituzioni, sono sempre ispirati se non addirittura determinati dalla condotta di chi è al vertice e si aspetta che anche al magnate australiano la giustizia presenti il conto. Innegabile il fatto che i tabloid hanno sempre prosperato sul pettegolezzo e sulla violazione della privacy e che le intercettazioni telefoniche e/o ambientali rappresentano semplicemente il metodo più moderno ed efficiente per farsi i fatti degli altri. DA SEMPRE LA STAMPA scandalistica causa problemi, disagi e sofferenze e quasi mai ha potuto addurre a giustificazione del proprio operato il cosiddetto “interesse dell’opinione pubbli- LA LEGGE INGLESE Il direttore risponde degli illeciti dei suoi dipendenti: per questo il magnate potrebbe ritrovarsi sul banco degli imputati ca” a essere informata. Il cahier des doléances è lunghissimo come testimoniato dal rapporto di Lord Leveson. Va dall’attrice Sienna Miller – che, non sapendo di essere intercettata, accusò ingiustamente familiari e amici di fornire notizie alla stampa – all’ex presidente della FIA Max Mosley – finito sulle prime pagine di tutti i giornali per qualche perdonabile vizietto privato – passando per Margaret Watson la quale ha maturato la convinzione che le falsità scritte sull’omicidio della figlia Diane abbiano spinto al suicidio il figlio Alan sconvolto da quello che leggeva sulla sorella. Per non parlare di casi ancor più famosi quali quelli dei coniugi McCann, genitori della piccola Madeleine scomparsa in Portogallo, il rapporto Leveson scrive: “Sono diventati merce per la stampa, persone private di ogni diritto e di cui tutti dovevano sapere tutto”. Se si vuole trovare una giustificazione al compor- R. Murdoch e Rebekah Brooks, accanto Andy Coulson LaPresse tamento dei giornalisti di News of the World, bisogna ricordare che erano sottoposti a enormi pressioni fin dal momento della loro assunzione. In tribunale Don Evans, testimoniando sotto giuramento, ha detto che fin dal primo giorno gli dissero che “qualora non fosse stato capace di trovare una storia da prima pagina avrebbe fatto meglio a buttarsi dalla finestra”. Le intercettazioni illegali erano la regola, non l’eccezione. Per il momento la giuria ha creduto a Rebekah e non a Coulson, ma è possibile che Rupert Murdoch fosse all’oscuro di tutto? RICORRENZE: 1914-2014 di Pierfrancesco Curzi re 10:45 del 28 giugno 1914, SaO rajevo, davanti al Ponte Latino: Gavrilo Princip esplode una serie di colpi contro la vettura con a bordo l'erede dell'Impero Austro-ungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, ferendolo a morte assieme alla moglie Sofia. Ore 10:45 del 28 giugno 2014, stesso luogo: una folla in arrivo da ogni parte del pianeta si ritrova per celebrare uno degli accadimenti cardine del XX secolo. Ci sono militari austriaci, bosgnacchi in abiti tradizionali, sosia dell'arciduca, gruppi di preghiera a favore della pace in terra che si sono dati appuntamento su internet, telecamere e giornalisti da mezzo mondo. Un enorme carrozzone. Il resto del panorama celebrativo è sparso qua e là nella capitale: un concerto nella Biblioteca nazionale inaugurata di fresco dopo il rogo dell'agosto 1992, una mostra fotografica sui fatti di 100 anni fa e, a mezzanotte, un grande concerto di musica e colori sopra il Ponte Latino che unisce le due sponde della Miliacka. Il governo serbo non ha mancato di entrare a gamba tesa. Il presidente Nikolic non si è visto a Sarajevo, ha preferito celebrare il centenario a Banja Luka, ‘capitale’ della Republika Srpska. SARAJEVO ESPLODE di turisti nella sua prima giornata di sole estivo. I tavolini dei bar e dei ristoranti all'aperto straboccano, code ai musei. Da questo punto di osservazione sembra che la vita in Bosnia sia fiorente e i fantasmi di un recente passato ormai sopiti. Una cartolina sfocata. Meno di 100 km a nord, gli abitanti del villaggio di Topcic Polje piangono morti e danni causati dall'alluvione del maggio scorso: “La mia casa è sotto sei metri di fango - racconta Sharif Josipovic mentre scava con la pala, il classico bicchiere d'acqua nel mare ho perso mia moglie quella notte. Ora vivo da mia sorella. Gli aiuti? Non li abbiamo visti qui”. Topcic Polje fa i Dove iniziano le guerre: benvenuti a Sarajevo la città che teme il ritorno delle bombe SIMBOLI Case distrutte dalle recenti inondazioni, il villaggio Olimpico e la collina usata dai cecchini serbi LA FINTA NORMALITÀ La Capitale ha ricordato l’assassinio dell’arciduca Ferdinando accogliendo i turisti, ma la Bosnia è ancora divisa e i serbi celebrano a parte conti con la vera faccia della Bosnia del secolo XXI, scevra da conflitti sanguinosi, immersa tuttavia nelle sabbie immobili di una leadership politica incapace di risolvere vecchie grane. Gli accordi di Dayton, novembre 1995, dovevano dare alla Bosnia una forma amministrativa temporanea. A quasi 20 anni è tutto congelato. Esiste ancora una presidenza a ‘tre teste’, ognuna per rappresentanza etnica: Bakir Izetbegovic (figlio di Aljia che nel 1992 firmò l'indipendenza della Bosnia da cui si scatenò l'inferno) per i bosgnacchi, Nebojsa Radmanovic per i serbi e Zeljko Komsic per i croati. A turno si succedono nella guida del Paese diviso da vecchie ruggini. Un'instabilità che non dovrebbe essere regolata dalle elezioni presidenziali e parlamentari, il 12 ottobre prossimo. LA POLITICA LITIGA su tutto, come allora, ma senza sangue e bombe. Quanto durerà? Il rapporto 2014 di Human Rights Watch parla di rischio costante. Discriminazioni razziali, ri- fugiati, oltre 100 mila sfollati mai tornati nelle loro case. E a fine anno decadrà pure il Tribunale Internazionale per l'ex Yugoslavia (ICTY), con oltre 600 cause pendenti e i due leader serbo-bosniaci, Radovan Karadzic e Ratko Mladic, ancora sotto processo. A Sarajevo ormai la gente ha imparato a convivere col passato però teme che da un momento all'altro tornino a cadere le bombe: “Sarebbe colpa della politica – dice Lejla, 37 anni, laureata in Legge, ferita da un cecchino nel marzo del 1994 – perché la gente vuole dimenticare, vuole vivere in pace. Avevo 17 anni allora, quella sera celebravamo il Bajram (festa musulmana, nda), c'era il cessate il fuoco per l'evento, ma all'improvviso sentii un sibilo e la fitta al petto. Un proiettile si era conficcato a un centimetro dal cuore. Sono stata in coma dieci giorni e tre mesi in ospedale. I serbi? Ci hanno aggrediti, ma l'Europa non ha fatto nulla”. Lejla mostra i punti dove al tempo si trovavano le postazioni serbe sul monte Trebevic. Sui monti delle Olimpiadi oggi restano gli scheletri dei Giochi Olimpici del 1984. La pista di bob e slittino, un serpente di cemento tra gli abeti e l'impianto di salto dal trampolino sul Monte Igman dove il finlandese Matti Nykanen stabilì un record storico. Oggi restano solo le sagome minacciose e il podio delle gare, triste come la triste storia della Bosnia. 16 LA VITA, IL PALCO Nata a Bologna nel 1939, ha recitato per i più importanti registi italiani. Sui suoi anni sul palco sta per uscire il libro “Bravo lo stesso”di Manuel Giliberti. A giorni tornerà sul set per la fiction Rai “Una grande famiglia” L’attrice Piera Degli Esposti Da De Chirico e Pasolini alla R4 di Moro: ma ora con la fiction sono felice di Malcom Pagani e Fabrizio Corallo N elle fotografie di Piera Degli Esposti il fuoco è sempre sullo sfondo. A 75 anni, con rossetto, occhiali e sciarpa, ad andare in primo piano è ancora l’atmosfera: “Ho bisogno di sentirmi accettata, di avere un rifugio, di sapermi compresa”. Accadeva anche ieri, prima che la televisione le offrisse cittadinanza onoraria e la popolarità: “Rifiutata da ragazza e piovuta solo adesso che la vita è al tramonto” le restituisse discesa dopo tanta salita: “In molti mi osteggiavano, in pochi mi capivano”. Dopo aver recitato per i Taviani, Pasolini, Moretti, Ferreri, Bellocchio, Sorrentino e Tornatore: “E aver abbandonato il no a prescindere a cui il timore di sporcarmi o scontentare il mio cenacolo intellettuale mi aveva confinata”, mentre al cinema proiettano un bel documentario sulla sua parabola (Tutte le storie di Piera di Peter Marcias, già presentato al Festival di Torino) Degli Esposti si è felicemente data alla serialità in cui famiglia e amore, fin dal titolo, tracciano i Comandamenti dell’abbraccio generazionale. Un trionfo: “Ed è strano perché non ho figli e non sono mai stata giovanilista. Però la tv mi piace. Mi fa entrare nelle case e mi colloca nel presente. Né avanti. Né indietro. I bambini mi sognano e disegnandomi, mi emozionano. Vorrebbero portarmi in camera, come una bambola”. Quante altre volte si è emozionata? Tutte le volte che sono stata felice o pur avvertendo l’inadeguatezza, ho ricevuto affetto. Per Eduardo De Filippo lei era “il verbo nuovo”. Seppi che sarebbe venuto a vedermi in Molly cara. Ero partita dai teatrini d’avanguardia ro- mani come il Centouno. C’era da avere le vertigini. Sapete cosa dicevamo del Centouno? Che aveva cento posti e un solo bagno. Poi una sera, a Napoli, Eduardo arrivò davvero. Ero rossa e sentivo un gran caldo. Recitai solo per lui. Alla fine venne in camerino con il figlio. “Nun teng interesse perché issa nun m’è parente né song l’impresario suo, ma issa è ‘o verbo nuovo”. Rimasi senza fiato. Con Eduardo, come con De Chirico e Pasolini, sono in debito. Perché? Mi hanno insegnato cose straordinarie che all’epoca non capii. De Chirico assistette alla prima di A dieci minuti da Buffalo di Günter Grass. Interpretavo un marinaio. Visto che come donna non mi prendevano sul serio e che la mia fisicità magra e angolosa turbava i più, feci del mio meglio per essere un maschiaccio. De Chirico mi prese da parte: “Bra- vo, sei stato molto bravo”. “Maestro, ma io sono una femmina” e lui: “Bravo lo stesso”. Con Pasolini come andò? Ero una delle ancelle di Maria Callas in Medea e l’inizio fu arduo: “Mi piace la tua faccia perché non hai un volto d’attrice”. Pensavo: “Già non mi prende nessuno e lui rincara la dose”. Pier Paolo voleva dire che avevo un profilo autentico, ma io mi misi sulla difensiva. Non conoscevo il cinema e non avevo idea che inquadratura, presenza sullo schermo e dettagli prevalessero sui dialoghi. Mi accorsi che molte delle mie battute erano state tagliate e mi immalinconii. Un paio di volte, per la delusione, cedetti il primo piano a qualche comparsa. Dovevo entrare da una porta tenendo in mano delle uova e prima del ciak cedevo il malloppo alla vicina nascondendomi. Un altro regista avrebbe urlato, Pasolini tacque. Poteva esser duro e spietato, ma era soprattutto sensibile, audace e fanciullesco. Per la Callas aveva una vera e propria adorazione. UNA LUNGA CARRIERA CON I TAVIANI, MORETTI, FERRERO, SORRENTINO E TANTI ALTRI, MA SOLTANTO ADESSO LA TELEVISIONE L’HA CONSACRATA AL SUCCESSO “I BAMBINI MI SOGNANO E MI EMOZIONANO ED È STRANO, PER CHI NON HA AVUTO FIGLI” Si è sempre discusso di quella della Callas per lui. femminismo aveva molte diramazioni, le donne marciavano da tutti i lati e Dacia era un capo carismatico. È sempre stata curiosa delle storie e delle persone, mi chiese di raccontarle di mia madre e cominciammo a frequentarci. Mi propose un’estate a Sabaudia, con lei e Moravia. Conversazioni registrate, dormite e bagni. Un periodo bellissimo dopo un paio d’anni atroci. Ero stata operata ai polmoni nel ’77. Un calvario dal quale mi ero ripresa con sommo sforzo. Quando nel ’78 dissi ai medici che sarei andata al Teatro Greco di Siracusa per interpretare Elettra, furono categorici: “Lei l’aereo non lo prende”. Il sentimento era reciproco. Mangiavano insieme e ridevano, una volta che tanto per cambiare avevo sbagliato porta, li vidi anche darsi un bacio. Pasolini aveva amato anche donne come la Mangano, femmine dalla struttura un po’ androgina. Il confine della sua sessualità era più sfumato, più sottile di una definizione obbligata. Comunque per la Callas si sarebbe buttato nel fuoco. Lo fece, anche. Dice davvero? A un tratto, per una spina difettosa, si propagò un po’ di fumo in un casotto costruito sulla spiaggia. Io, la Callas e un paio di ancelle eravamo dentro. Pier Paolo si precipitò prima dei macchinisti con l’estintore. Gridava: “Mariaaa”, “Mariaaa”, noi potevamo anche incenerire, ma la Callas si doveva salvare. Le comparse venivano dalle periferie. Non avevano mai sentito parlare della Callas e non capivano: “Cò sto nasone e cò sti baffi sarà l’amante der produttore”. Poi Novella 2000 rivelò la storia d’amore con Onassis e l’atteggiamento del branco di colpo cambiò. Quando parlava al telefono con lui, le Ancelle ammiccavano: “Ahò, sta a parlà cor greco”. Quando Pasolini morì nel 1975, Medea era già un ricordo. Lo seppi per telefono. Pasolini è stato una provocazione vivente. Mai pago di sapere, di denunciare la verità, di vivere nelle contraddizioni del suo abisso. Il sottoproletariato era l’altra faccia della sua esistenza. E quella faccia, Pier Paolo andava a cercarla in solitudine. Un suo amico, Giuseppe Zigaina, sostenne che la sua morte fosse prevedibile. Io non me la sento. Probabilmente ai tempi seguiva una traccia ed era in contatto con qualcuno che in un mondo metamorfico in cui infiltrati e spie erano all’ordine del giorno, non gli voleva bene. All’Idroscalo, comunque, Pelosi CARMELO BENE BANDIVA LA FELICITÀ DA CONTRATTO Mi chiede di recitare con lui, tento di rifiutare ma poi mi lascio convincere. Mi presento in platea e lui inizia a provocarmi: “Mi sembra di vedere la Degli Esposti, come mai sei qui?”. “Avevamo appuntamento oggi”. “Non sarebbe più semplice dire che volevi venire e sei venuta senza appuntamento? Dai, ormai sei qui, vieni sul palco, forza” Andò lo stesso? non era da solo. Una mia amica pittrice, Pino la Rana, l’aveva avuto come allievo. Non aveva la forza di sollevare un quaderno, non avrebbe mai potuto uccidere Pasolini con le sue mani. Con Giuseppina, la proprietaria del Biondo Tevere, parlai a lungo dell’ultima cena di Pier Paolo. Ricordava tutto. Gli spaghetti, la conversazione, il momento del congedo. Pasolini era felice, aveva molti progetti, non covava pulsioni autodistruttive. A Ostia non inseguiva la fine. La tesi di Dacia Maraini. Con lei scrisse “Storia di Piera”, fortunata biografia di una parabola avventurosa. La conobbi alla Casa della donna, mentre suonava il tamburo in un casino indescrivibile. Il In treno. Comunque. Il 9 maggio 1978, in tarda mattinata, andai a ritirare i biglietti all’Istituto di Dramma antico in Via Caetani. Aristide Busa, il funzionario, era in ritardo. Il portone sbarrato. Non rinunciai. In quei biglietti c’era più di una semplice scrittura teatrale. Ero tornata in salute e mi riprendevo il palco. Ci sarebbero stati i gradini per sedersi, ma con il solito atteggiamento da suora preferii appoggiarmi a una delle auto sulla strada. Una R4 rossa. Rimasi lì per un’ora, poi, stanca, emigrai per un caffè in Piazza del Gesù. Tornai in Via Caetani, ma non c’era nessuno. Mi spostai in una pasticceria poco distante e lì, a mezzogiorno passato, mi arresi. Telefonai a un’amica per chiederle di passarmi a prendere e lei stravolta: “Hai visto? L’hanno trovato”. Ossessionata dall’attesa azzardai: “Aristide Busa?” e lei con voce spaventata: “Aldo Moro”. Alzai la testa e vidi il caos. Poi la confusione diventò isterismo e l’isterismo, delirio. Nel ricordo è tutto nero e migliaia di persone si accalcano su Via delle Botteghe Oscure. Lei sostò a lungo sull’auto che custodiva il corpo senza vita di Aldo Moro. C’era qualche discordanza con gli orari forniti IO E NANNI SIAMO STATI MOLTO AMICI, NON L’HO MAI TROVATO ARIDO Quando lesse “Storia di Piera” mi telefonò urlando: “Ma quanti aborti hai fatto?” e io, tranquilla: “Nanni, mica è un'opera dei fratelli Cervi, non devi leggerla per forza” Siamo stati molto amici e mi amareggio perché qualcuno ha scritto che lo trovavo arido. Non è vero. Aveva grandi slanci. Arrivava sotto casa mia vestito di bianco e se mi vedeva spuntare in lontananza, sventolava gioia il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 GIUGNO 2014 17 I PROTAGONISTI A fianco, Piera Degli Esposti oggi. Qui sotto, una foto sequenza con Robert Mitchum, passione della sua vita. In basso a sinistra, insieme con Dacia Maraini e il regista Marco Ferreri dagli artificieri e si cercavano riscontri su una ragazza dai capelli corti che in Via Caetani, prima che la notizia del ritrovamento fosse di pubblico dominio, aveva chiesto a un poliziotto se nella Renault si trovasse davvero Moro. Decenni dopo mi chiamarono in Questura per fissare il mio ricordo. E la convocazione mi riportò ad allora. Non fu piacevole. Mi inquietò. Ricordare con esattezza, 35 anni dopo, è complicato. Se legittimamente esiti, o sei in malafede, o sei vecchio, o peggio ancora, rincoglionito. Ricordare in sé è violento. Violento fu il suo rapporto con Carmelo Bene. Se non ero contenta, la scrittura non la accettavo. A Massimo Castri che mi domandava la ragione del mio rifiuto l’avevo detto chiaramente: “Quando lavoro con te non sono felice”. Figuriamoci se andavo a lavorare con Carmelo che la felicità la bandiva da contratto. Provò ad aggirarmi con la complicità degli amici comuni e mi invitò in vacanza a Forte dei Marmi. Lei andò? Era fine agosto. Arrivai e lo trovai tinto di biondo in giardino. Doveva fare Amleto e leggeva assorto su una sdraio. Non alzò lo sguardo dal libro. Mi parve un inizio tremendo. Poi le cose migliorarono. Mi divertiva vederlo preparare il barbecue o giocare a ping pong e buffoneggiare sui punti persi. Arrivò il suo compleanno e gli feci grandi auguri: “Il più grande regalo che puoi farmi è accettare di lavorare con me” disse. Poi mandò avanti il suo amministratore e mi fece offrire 28 milioni di lire. Una cifra folle. Ma io ho sempre avuto bisogno d’amore e non di soldi. Così presi tempo, respinsi le blandizie: “Una volta che sarai diretta da me, non potrai farti dirigere da nessun altro” e chiesi di poter tornare a Roma per riflettere. Lui uscì di testa. Una volta a casa, diedi sfogo alla mia vera indole. Quale? Non puoi fingere coraggio se sei pavido. Così pregai Massimo, il mio compagno di allora, di rifiutare al posto mio. Intuivo che Carmelo mi voleva per finirmi. Mi aveva definito “presenza straordinaria”, ma in realtà sottintendeva che l’unica presenza straordinaria dovesse essere la sua. L’avevo capito, mi difesi finché fu possibile e quando arrivò la telefonata di un suo assistente: “Il maestro aspetta una risposta” e io sibilai: “Ma ho già detto di no”, si sentì il ruggito di Carmelo in sottofondo. Un imperativo: “Deve venire a dirmelo di persona, voglio sentire la sua voce”. Andai. E naturalmente persi. Bene aveva una logica ferrea e io mi sciolsi in un istante. Uscii dopo aver accettato il ruolo, definitivamente persuasa: “Non so perché lo dipingano come un mostro, ma Carmelo è diventato dolcissimo”. Era vero? Un abbaglio totale. Era solo l’abbrivio della vendetta. L’appuntamento era a Pavia. Il giorno 6 alle 6. Mi presento puntuale in platea e lui inizia a provocarmi: “Mi sembra di vedere la Degli Esposti, come mai sei qui?”. “Avevamo appuntamento oggi”. “Non sarebbe più semplice dire che volevi venire e sei venuta senza appuntamento? Dai, ormai sei qui, vieni sul palco, forza”. Comincio ad avvertire qualcosa di sinistro e chiedo di parlare con l’impresario. C’è un telefono sul palco. Compongo il numero e illudendomi di essere in errore gli faccio la domanda giusta: “Ma non eravamo d’accordo per oggi alle 6? Carmelo dice di no”. Sento silenzio e poi mentre ascolto la risposta: “Hai perfettamente ragione, come al solito ha cominciato a fare lo stronzo”, mi accorgo che il maestro sogghigna da una quinta. “Perché vuoi parlare con l’impresario, Piera?” “Perché è più cordiale di te”, “Io non sono cordiale, cara?” “Sei tutto tranne che cordiale”. In evidente stato SORRENTINO E LA CATEGORIA DEGLI “INARRIVABILI” È uno straordinario orefice e io sono solo uno dei suoi risultati. Lavora sulle facce, sulla direzione degli attori e porta con sé un mistero complesso. Quasi indecifrabile Sul set de “Il Divo” io e Servillo ci guardavamo trasfigurati: “Siamo davvero entrati nella Democrazia cristiana” di tensione, andiamo a cena. Per due ore dà dell’imbecille a un’amica e poi pretende di provare fino all’alba. Declino. Vado a dormire e alle 9 di mattina, mentre faccio colazione, vedo arrivare il maestro Striano, un galantuomo, con la coda tra le gambe: “Bene dice che lo spettacolo non si fa più”. Non mi fido e chiedo a che ora siano previste le prove. Poi corro a teatro in perfetto orario. Sono una “provarola”, conosco il soggetto e sono certa di trovarlo al suo posto. Marco è una persona corretta. Ho pensato, senza dirglielo, che eravamo entrambi molto legati alla famiglia e che questo avrebbe potuto facilitare l’amicizia. Ma l’impressione è che Bellocchio non sia un uomo facile e che di amici, per sua volontà, non ne abbia molti. È molto chiuso, avaro di sé, legato alle radici. Sembra il figlio di suo figlio. È rimasto ragazzo, come Nanni Moretti, a cui somiglia. Insieme potrebbero giocare persino a pallacanestro in una parrocchia. Così è. Lui ride, fa il pazzo, mi attacca: “Fai troppi ruoli, devo togliertene uno”. Non cado nella trappola fino a quando non esagera: “Purtroppo i microfoni che come sai sono il solo a usare mettono in evidenza una tua difficoltà respiratoria”. La fine è arrivata in quel momento. Picchiare sulla malattia che avevo avuto era di una crudeltà atroce e infantile. Il mio compagno avrebbe voluto regolare i conti sul momento, lo calmai. Dissi solo: “Me ne vado”. E così feci. Carmelo giurava di stimarmi incondizionatamente, ma la storia mi ricordava quella dello scorpione e della tartaruga. Lei deve attraversare il fiume, lui si offre di aiutarla. Mentre guadano, lo scorpione la punge. La tartaruga chiede perché. In quel modo moriranno entrambi. Lui ne è consapevole, ma non può trattenersi: “È la mia natura”. Fin dai tempi in cui suo padre lo chiamava Giovanni e a pranzo gli consigliava come imbrigliarmi: “Dovresti dire alla tua amica che è giovane e quando si è giovani è più saggio ascoltare che parlare”. Quando lesse Storia di Piera mi telefonò urlando: “Ma quanti aborti hai fatto?” e io, tranquilla: “Nanni, mica è un’opera dei fratelli Cervi, non devi leggerla per forza”. Siamo stati molto amici e mi amareggio perché qualcuno ha scritto che lo trovavo arido. Non è vero. Aveva grandi slanci. Arrivava sotto casa mia vestito di bianco e se mi vedeva spuntare in lontananza, sventolava gioia: “Pieraaa, Pieraa”. Su mio fratello Franco, socialista, improvvisava strofe: “Penso male di Bettino/mi dispiace per Franchino”. Così è? Per Paolo Sorrentino lei è nella categoria inarrivabili. È uno straordinario orefice e io sono solo uno dei suoi risultati. Lavora sulle facce, sulla direzione degli attori e porta con sé un mistero complesso. Quasi indecifrabile. Sul set de Il Divo io e Servillo ci guardavamo trasfigurati: “Siamo davvero entrati nella Democrazia cristiana”. Per Bellocchio darle una scena importante equivale a fornirle uno spazio in cui concederle piena libertà. Moretti l’ha conosciuto bene. Craxi non dispiaceva neanche a Dalla. Un fratello. Ci conoscemmo a 7 anni per non perderci più di vista. Lucio mi rendeva felice. Raccontava bugie, era spiritoso, con lui la vita era leggera. Solo Marco Ferreri mi ha fatto sentire così. Dormivo lieta nell’attesa di rivederlo il giorno dopo. L’ho amato molto. Quando chiesi a mia madre se gli avesse fatto una buona impressione, lei rispose: “Sì, quell’uomo è la sua testa”. Era un buono, ma si incazzava. Anche solo per divertimento. Quando rivedevamo i giornalieri e mi mettevo in ultima fila fingeva di indignarsi: “A Piè, te sto a ffà il monumento e tu te distrai?”. E l'altra grande passione della sua vita, Robert Mitchum? Mi sembrava il massimo dell’erotismo, facevo camminare tutti con i piedi stretti come lui e a un certo punto, gli scrissi anche una lettera aperta: “Tutto in te è osceno e speranzoso, un inno all’abbandono. E io che non mi abbandono mai, ti aspetto per vedere se quella meraviglia esiste veramente”. Lina Wertmüller, con cui nessun sogno era impossibile, organizzò per me una cena con lui. “Hai visto cocca dove ti porta l’amica tua?”. Diventai un termosifone, ci sedemmo vicini, lui era un gran civettone molto divertito dal mio presentarmi come l’ultima delle ciabatte. A fine serata ci demmo un bacio. Un bacio vero. Aveva un gusto di caramella. Come il primo bacio della mia vita. Da allora penso che i baci dovrebbero avere soltanto quel sapore. 18 DOMENICA29GIUGNO 2014 I MONDIALI DEL FATTO SPORT.SPETTACOLI.IDEE Brasile a undici metri da un altro “Maracanazo” IL PALO RESPINGE IL QUINTO RIGORE DEL CILE, REGALA I QUARTI DI FINALE ALLA SELEÇÃO EVITANDO UN CLAMOROSO FLOP GRAN PARTITA DEI “ROJOS”, CHE AL 120’ VEDONO INFRANGERSI LA VITTORIA SULLA TRAVERSA COLPITA DA PINILLA N di Roberto Beccantini on è stata una partita, è stato un romanzo. Il Brasile spazza via il fantasma del Maracanazo al culmine di un’ordalia che anche noi neutrali faticheremo a dimenticare. Un fiammeggiante Cile si arrende solo ai rigori: e in che modo, poi. Dopo aver “spaccato” una traversa con Pinilla, riserva del Cagliari, agli sgoccioli dei supplementari, e dopo aver colpito il palo, nell’ultimo penalty, con Jara. Uno a uno, firmato David Luiz e Sanchez, e poi 3-2 dal dischetto. Determinanti le parate di Julio Cesar. Che emozioni, a Belo Horizonte. Il Brasile meno Brasile della storia si è aggrappato agli attributi, più che allo stile e alla tecnica. Possibile che non esista un centravanti meno schiappa di Fred e Jo? Non so se avete presente il Serginho del 1982: siamo lì. Il Cile, più squadra, ha conteso al Brasile ogni zolla e ogni tackle: avrebbe meritato di più, ma il mondo imponeva un vincitore, e i rigori riassumono la voluttà dei carnefici. Parlavano spesso di calcio, i 33 minatori che, intrappolati a settecento metri sotto terra nella miniera di San José, vennero salvati dopo sessantanove giorni di drammatico limbo. È anche per questo che Sanchez & c. hanno dato l’anima. La Fifa, a scanso di equivoci, aveva inviato Webb, il migliore. Subito fuoco alle polveri: Fernandinho placca Aranguiz, Medel stende Neymar. Scolari alterna il 4-2-3-1 d’ordinanza a un 4-4-2 “ambiguo”, con Neymar più vicino a Fred che non a Oscar e Hulk. Sampaoli, lui, sfodera un 3-4-1-2 tradotto ai cento all’ora: nelle intenzioni, almeno. Toccato duro, Neymar esce e rientra. Isla-Mar- COPPA CABANA di Oliviero Beha Neymar, il piccolo Pelé sul bordo dello psicodramma celo e Mena-Dani Alves timbrano le fasce. A metà campo è tutto un ribollir di tibie. Sanchez e Vargas spremono Thiago Silva e David Luiz. I contatti David Luiz-Vargas e Isla-Hulk non commuovono l’arbitro: siamo in area, e per crollare basta un soffio. Se fosse un match di pugilato, parlerei di pesi massimi contro pesi medi. I cileni soffrono il gioco aereo, i calci piazzati; gli avversaUNO A UNO AL 90° ri, il lavoro ai fianchi (quando è rapido). Verdeoro avanti L’equilibrio si spacca al 18’. Angolo di con David Luiz al 18’, Neymar, sponda di pareggio di Sanchez al 32’ Thiago Silva, carambola Jara-David e così fino ai tiri dal Luiz. Come volevasi dimostrare. Al Bradischetto. Julio Cesar, eroe sile non sembra vedella serata, ne para due ro. Fernandinho e Luiz Gustavo chiamano a sé i “punteSOLLIEVO ros” e giocano di rimessa. Se Vidal e Aranguiz Abbracci a Julio perdono palla, sono dolori. Operato di menisco il 7 maggio, lo juventino gira in folle, a caccia di una Cesar, decisivo per la vittoria. In alto, posizione che non sia banalmente decorativa. IL PAREGGIO, al 32’, appartiene a un episodio, non al contesto, visto l’agio con il quale i brasiliani stavano controllando le scaramucce. Hulk perde palla, Vargas imbecca Sanchez, Sanchez fulmina Julio Cesar. Non un difensore che abbia reagito come insegnano a scuola: fermi o distratti, tutti. Neymar è la molla del Brasile. Sfiora il raddoppio di testa, dribbla mezzo Cile. Dani Alves ci prova da lontano, Bravo alza sopra la traversa. Non scherza neppure il Cile, e Aranguiz, armato da Vidal e Sanchez, spreca a ridosso del portiere. In avvio di ripresa, Webb coglie qualcosa di manesco nel gol di Hulk e cala l’asso: rete annullata più ammonizione. Sampaoli richiama Vargas (così così) e, con Gutierrez, aggiunge legna al centrocampo. Scolari replica subito: fuori Fred, fischiato, dentro Jo. Come non detto. La partita è NELLO PSICODRAMMA collettivo finito bene, grazie a un palo, un semplice palo nell’ultimo rigore, spunta il carisma contraddittorio di Neymar Da Silva Santos junior, fuoriclasse paulista di genere Pelé. O di tendenza Pelé, come si dice. Costato al Barcellona 85 milioni di euro, confluenza e pretesto per un investimento pubblicitario da 35 milioni, in questi Mondiali Neymar sta facendo il suo, compreso il rigore perfetto che precedeva il palo del cileno, dopo aver miracolato la sua Seleção per tutto il primo tempo regolamentare. È uno strano 10, classico nelle movenze da metà campo in avanti, un mezzo centravanti che stacca di testa e tira con due piedi, grande fluidità familiare con quella cosa rotonda, una visione di gioco intermittente. Sem- la delusione di Alexis Sanchez Ansa/LaPresse un braccio di ferro che il Cile non rifiuta, anzi. Julio Cesar salva la patria su Aranguiz, al 65’; non è più il Brasile che aveva aggredito la sfida, è un Brasile che rumina calcio, a rimorchio degli eventi. La staffetta Fernandinho-Ramires è ricerca di equilibrio, di ossigeno. Jo sfiora un cross teso di Hulk: era un’occasione. Il Brasile ronza attorno al Cile padrone del ring. Neymar arriva, quando arriva, da molto lontano. Troppo egoista. È il ciclopico Hulk, soprattutto, ad accendere l’arena: che parata, Bravo. Si gioca sui nervi; Pinilla, traliccio fatale, avvicenda un Vidal alla frutta. Il Cile chiude all’attacco. bra esile ma non lo è, sa come restare in piedi e ancor meglio come ammortizzare i colpi, tantissimi, che gli vengono inferti: ha un suo vademecum su come cade. E sa accartocciarsi su se stesso nelle pause, come ha fatto nell’intervallo tra tempi regolamentari e supplementari, quasi fosse un muezzin rivolto verso la propria anima. UN PO’ INDIO e un po’ borghese, quale lo esprime la sua fisionomia tanto diversa nei colori e nelle espressioni facciali da quella di Edson Arantes do Nascimiento, che oggi nelle strade contestano come complice del potere politico ma una volta adoravano come oggi fanno o piacerebbe loro fare con Neymar, è abbastanza atipico nella tipicità brasiliana. Nella flessuosità fisica felina ricorda nei gesti il più celebre Pelé, non Maradona e tanto meno Messi, da lui così diversi nel fusto: due microcaluscenti contro un mediocaulescente, per dirla in botanichese. E a proposito di linguaggi, il linguaggio delle piante non è esattamente quello del solito Sepp Blatter, bu- Sembra stremato, il Brasile, e invece i supplementari sono tutti suoi. Willian al posto di Oscar, un disastro, e Rojas al posto di Medel, un guerriero, accompagnano gli ultimi bagliori. Manca un minuto alla fine, uno solo, quando Pinilla butta giù la traversa. Ho pensato al palo che Rensenbrink colpì agli sgoccioli di Argentina-Olanda, nella finale del 1978, prima che Kempes e Bertoni facessero godere Videla. Rigori, dunque. David Luiz gol; Pinilla parato; Willian fuori; Sanchez parato; Marcelo gol; Aranguiz gol; Hulk parato; Diaz gol; Neymar gol; Jara palo. Brasile ai quarti, Cile a casa. Con tutto il rispetto: gran bastardo, il destino, quando vuole. caniere della Finanza che pur di garantirsi un nuovo mandato dopo aver fatto una carneficina della credibilità della Fifa adesso ricorre al sorriso e all’apertura verso le nuove tecnologie: moviola in campo, sia pure tutta da studiare, per evitare gli errori più grossolani degli “amici” arbitri (segnalo un Webb bravissimo in Brasile-Cile, al di sopra stellare di ogni sospetto pro-brasiliani): probabilmente ci si arriverà, esattamente come è accaduto per le cellule che segnalano se un pallone varca la linea di porta. Certo, se ci si affidasse di più a una sorta di presentabilità di tutto il baraccone, quello sospetto di corruzioni in ogni circostanza fino al colmo del Qatar, forse sarebbe meglio: così ci troviamo di fronte al paradosso che la moviola deve salvare l’etica. Per fortuna c’è ancora qualche Neymar in giro che fa identificare le folle e qualche volta addirittura con ragione. Diventerà Pelé? Per ora è “soltanto” Neymar. Mentre Blatter “purtroppo” è già Blatter da un pezzo. w www.olivierobeha.it il Fatto Quotidiano L’ex ct azzurro DOMENICA 29 GIUGNO 2014 19 Giovanni Trapattoni Noi a casa per colpa dei giovani? Stupidate di Paolo Ziliani nuti, anticipati. Ricordate Edmundo? Ho passato le notti, alla Fiorentina, a parlare con lui, brasiliano, e con gli argentini, Batistuta in testa, perché almeno si accettassero. Quando c’è il talento, che può farti vincere, provarci è d’obbligo. D all’alto dei suoi 75 anni e con la valigia in mano pronto a imbarcarsi per la Costa d’Avorio (farà il ct succedendo a Lamouchi in vista del Mondiale di Russia 2018), Giovanni Tra- Un lavoro che Prandelli non ha fatto? pattoni un lusso se lo concede: dire quello che Mi sembrerebbe strano. Prandelli è un mio pensa senza troppi giri di parole. Forte ragazzo, sa bene il lavoro che facevo nella dell’esperienza accumulata come ct azzurro, e stanze come allenatore. Ma la verità è che oggi non solo, e come allenatore in ogni angolo del tutto è più difficile perché il mondo è cammondo, il Trap riproietta il film del tracollo biato. Buffon dice: quand’ero giovane io, ma italiano al Mundial in Brasile ed emette la sua dimentica che era un’altra epoca. Oggi nesprima sentenza: Balotelli non c’entra. “Dare ad- suno insegna più l’umiltà, e prima di dire che dosso a lui per l’eliminazione è colpa di Balotelli sarebbe non è onesto – spiega – non è onesto dire che è colpa del un giocatore che ti fa perdere mondo. E poi, vogliamo parun Mondiale; come non è a lare di ‘sti cazzo di procuraDOVE STA un’espulsione (alludo a quella tori? Vi sembra che si pondi Marchisio) che ti fa perdere gano il problema di educarli, IL MARCIO una partita. Una partita in 10 la questi ragazzi? Io dico di no. Oggi nessuno insegna puoi pareggiare, a volte perE insomma, vedere oggi un sino vincere. Sapessi quante Messi, campione immenso e più l’umiltà, e prima di volte a me è successo!”. ragazzo d’oro, a me pare un Però De Rossi ha parlato di miracolo. Come lui non ne dare addosso a Balotelli, “figurine” e Buffon, sul Cornasceranno più. riere della Sera ha ribadito che i giovani, prima di vestire l’azzurro, i campi della Serie A li devono arare. vogliamo parlare di ‘sti cavolo di procuratori? Si pongono il problema di educarli, questi ragazzi? Questa è la gelosia del gruppo. Che quando le cose vanno male viene fuori, se tutto va bene resta sotto traccia. Balotelli è un talento difficile da gestire, certamente, ma non è il primo e non sarà l’ultimo. A me capitò Cassano. Prima del Mondiale in Giappone andai a colazione con lui e Totti per essere certo che non ci sarebbero stati problemi, sotto il profilo umano, a livello di gruppo. Perché a volte i problemi vanno preve- PALLE MONDIALI Intanto Renzi chiama Raiola: per piazzare Letta di Paolo Ziliani RENZI ha chiamato Rajola e gli ha offerto la procura di Letta: “È come Balotelli, non lo vuole più nessuno” n RENZI ha chiamato Blatter e gli ha detto che se vuole infila nella riforma anche l’immunità per Suarez n n DOPO aver letto che il Papa sta per “spretare” il nunzio pedofilo Vesolowski, Chiellini ha commentato: “Punizione eccessiva” DISPERATA per la sparizione degli Azzurri, Sky comunica che stasera, invece di Costa Rica-Grecia, verrà trasmesso l’incontro di Beach Soccer “Squadra di Caressa” vs “Squadra di Alciato” n CHIARITO il mistero dei reportage lirici dell’inviato di Sky Marco Nosotti: la notte, per una migliore ossigenazione, dorme in botti di rovere @ZZiliani n Giovanni Trapattoni, 75 anni Ansa Tornando a bomba: Pepito Rossi come alternativa a Balotelli non ci stava proprio? Di esclusioni crudeli so qualcosa anch’io. Credo che Prandelli avrà sofferto come soffrii io nel 2002 quando avevo Baggio che stava guarendo dopo la rottura del crociato. Ma la garanzia, al 100 per 100, non l’avevo. Così proposi a Baggio di venire come 24°, una specie di testimonial azzurro. Rifiutò. Nel 2006, ai Mondiali di Germania, Barzagli era l’ultima ruota del carro dopo Cannavaro, Nesta, Materazzi. Oggi, con 8 anni in più sulle spalle, è il meglio che abbiamo in difesa. Vero. Credo che il nuovo ct, chiunque esso sia, dovrà pensarci. E innovare profondamente. Bisogna cercare. Far crescere. E ricostruire. Buffon però dice: andiamoci piano con i giovani. Buffon è un senatore: ma lo è diventato essendo stato, a sua volta, giovane. Non dimentichiamo che i giovani portano un’energia diversa. Certo, dovrebbero essere spavaldi e avere la testa sulle spalle. Una delle due non basta. Ma attenzione: se hai giovani a modo e non spavaldi, le partite non le vinci. Come la mia Irlanda all’Europeo 2012. Pronti-via, c’è la Croazia, l’arbitro fischia e siamo già sotto. Erano 3 punti che scottavano davvero. C’era bisogno di essere un po’ prepotenti. Chiellini ha detto che Suarez non doveva essere punito in modo così duro per il morso. Lei è d’accordo? Per niente. Suarez ha compiuto, da recidivo, un gesto tremendo per la cui gravità è stato punito. Non tocca a Chiellini giudicare le sanzioni. Non ha titolo per farlo e dovrebbero dirglielo. L’arbitro messicano Rodriguez è stato un Moreno 2? Proprio come il “mio” Moreno, credo fosse prevenuto. Marchisio ha commesso un fallo stupido e plateale, è vero: ma era un fallo da ammonizione. Perché siamo tornati a casa subito? Vale per noi ma anche per colossi come Spagna, Inghilterra, la stessa Russia: perché eravamo spompati. Attenzione signori: qualifi- carsi a un Europeo o a un Mondiale è un conto, ci metti due anni, pianino pianino, ma affrontare la fase che conta con 8 undicesimi, o 15 ventitreesimi della rosa che hanno 70 partite sul gobbone non è semplice. Alla fine corrono più gli africani, i centroamericani. Che forse durante la stagione non si spremono come ci spremiamo noi. Il nuovo ct: Allegri, Guidolin, Mancini o Spalletti? Io dico che l’esperienza internazionale conta. E insomma, anche se Guidolin è un ottimo tecnico, sulla panchina azzurra io vedo o Mancini o Spalletti. Pronto per la Costa d’Avorio? Sì. E ora posso dirlo: mi avrebbero voluto in panca già in Brasile, ma a me non sembrava bello che chi aveva faticato per arrivarci (Lamouchi, ndr) non raccogliesse i frutti del suo lavoro. Così ho spiegato ai dirigenti che non era giusto. Mi hanno ascoltato. Ora sono pronto. L’UOMO IN MENO di Andrea Scanzi Allegri ct? Tanto vale Fassino È DIFFICILE individuare oggi un allenatore in grado di fare peggio di Prandelli in Brasile, però forse la Federazione è riuscita a trovarlo: Allegri. I nomi di questi giorni sono tutti più o meno auspicabili, in particolare Spalletti, Mancini e Guidolin (Cabrini un po’ meno). Uno dei più papabili è però Allegri, e davvero non se ne capisce il motivo, a meno che aver vinto uno scudetto per mancanza di avversari e averne perso un altro da strafavoriti (complice il gol negato a Muntari) siano requisiti sufficienti. Allegri è ricordato dai milanisti, e non solo da loro, per non avere mai dato uno straccio di gioco ai rossoneri e per avere regalato Pirlo alla Juventus. Livornese atipico, 47 anni, da calciatore era assai indisciplinato. Dribblatore in campo e all’altare, scampò al matrimonio un attimo prima di celebrarlo. In panchina pare l’opposto: piangina con arbitri e giornalisti, yesman zelantissimo coi Presidenti perfino sulle pettinature da sfoggiare (“Allegri dovrebbe tagliarsi i capelli”, ordinò Silvio. E Max obbedì) SCRIVEVA ieri Giancarlo Dotto su Dagospia: “Il nome di Allegri è malinconia pura. (...) Ci stiamo consegnando all’uomo che passerà alla storia per aver consegnato Pirlo alla Juventus, con la scusa che era al capolinea. Uno che di carismatico ha solo il volto. Purché non parli e non rida”. Ilare più che altro nel cognome, Allegri ha le sembianze di un Fassino allenatore, che predica un gioco vieppiù elementare: “Passala a Ibrahimovic, che poi ci pensa lui”. Come Pelé in Fuga per la vittoria. Solo che l’Italia non ha Pelé né Ibrahimovic, e consegnare la Nazionale a lui per rilanciarsi sarebbe quasi come regalare il paese ad Alfano per uscire dalla crisi. 20 DOMENICA 29 GIUGNO 2014 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano a cura di Stefano Disegni BIOCRAZIA JULIAN ASSANGE (AUSTRALIA, 1971) di edelman Julian Assange è uno dei fondatori di WikiLeaks. Quello meno riservato. n Assange e il suo gruppo ricevono file dal contenuto esplosivo e li mettono in Rete senza censure. Ma non con il successo di Youporn. n Assange ha rivelato al mondo le atrocità compiute dalle truppe statunitensi e britanniche in Afghanistan. Ora chi lo sente il garante della privacy? n Giorni fa WikiLeaks ha rivelato l'esistenza di un trattato segreto in cui si prospetta un futuro dominato dalla finanza. È del secolo scorso. n Assange si trova nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra da ben due anni. I sudamericani sorseggiano il tè molto lentamente. n Su Assange pende una richiesta di estradizione da parte della Svezia. Devono essere impazienti di dargli il Nobel per la Pace. n Un tribunale di Stoccolma accusa Assange di non aver usato il preservativo durante un rapporto consenziente. Ma allora chieda asilo al Vaticano! n Per impedire la fuga di Assange, gli inglesi spendono sei milioni di sterline all'anno. E poi non hanno i soldi per comprarsi un bidet. n L’ultimo spenga la luce SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano LUIGI GUBITOSI DOMENICA 29 GIUGNO 2014 21 direttore generale della Rai LaPresse TG PAPI SALI E SCENDI Le notti “tragiche” del povero Mazzocchi di Paolo Ojetti a crisi del calcio sta tutta in due L rientri. Quello di Buffon e soci, accolti da un pugno di tifosi silenti e un cartello: vergogna. E quello degli eroi del Messico, quelli della intramontabile Italia-Germania 4 a 3. Ecco, lì c’era una folla incazzatissima perché gli eroi erano stati sepolti in finale dal Brasile di Pelé, 4 a 1 e via andare. La Nazionale era amata e odiata. Lì c’era la sofferenza. Qui, l’indifferenza. Che, a parte l’esercitazione mediatica dei commentatori, generalmente trasformati in incontenibili tifosi e pessimi profeti (basta rileggere e meditare Travaglio di giovedì scorso) era diffusa sin dall’inizio: le odiose mattane di Balotelli lo sfasciasquadre avevano annichilito tutto il resto, soprattutto il calcio vero. Al seguito, è andato alla deriva tutto il circo televisivo, in testa il capo-équipe della spedizione, Marco Mazzocchi. Il giorno fatale, quello contro il CostaRica (con l’Uruguay nessuno avrebbe più puntato un euro sugli azzurri “con due risultati a disposizione”), Mazzocchi rivelava da Recife: “SuperMario Balotelli anche qui è molto ben accolto. È cambiato, ha chiesto la mano della sua Fanny ed è coccolato dal pubblico”. “Nessun problema – incalzava Mazzocchi – e il Costa Rica mi fa pure simpatia, ha una alfabetizzazione del 95 per cento e guarda al futuro con fiducia. Non come noi, che siamo agli antidoti”. Proprio così, antidoti. Ed è chiaro che, almeno per l’alfabetizzazione, il Costa Rica era davvero un bel pezzo avanti. A nessuno, tantomeno a Mazzocchi e ai colleghi televisivi, è venuto il sospetto che i troppi appelli alla “patria” di Prandelli, come i generali alla frutta, nascondessero paure, sfiducia e fosche visioni. A fine partita, di Balotelli, Prandelli e tutta la mediocre compagnia restavano solo hamburger. Gli adulatori di 105 minuti prima, sbranavano gli idoli, come fanno i tifosi da bar. SI PARLA di generale “rifondazio- ne” del sistema calcio. Non accadrà, come sempre. Ma qualche rottamazione televisiva va fatta. Quale affidabilità avranno quei giornalisti ed “esperti” che hanno venduto per finalista una squadra materasso? Quante balle girano attorno al pallone? Bisognerà iniziare dalla Domenica Sportiva della milanista Paola Ferrari, più esperta di tacco 14 che di tacchi smarcanti. Alla sua corte, commentatori esausti, una “moviola” juventina e un solipsista di nome Bacconi. Dovendo ricostruire il calcio italiano da zero, meglio non trascurare niente. Lo esige il canone. La vera riforma della Rai che in Rai non vuole nessuno di Carlo Tecce l tema non è frizzante, premessa che I non ingolosisce il lettore, da censura giornalistica, ma è importante per l’Italia che s’abbandona volentieri a tentazioni private e poi le inganna con i conflitti d’interesse. Il tema è la riforma Rai, cioè la riforma di un servizio pubblico televisivo e radiofonico. Da mesi, politici, funzionari, giornalisti, giocolieri e tavernieri – con estremo rispetto per ciascuna di questi categorie – discettano di riforma: ma la riforma non esiste, e il governo fa trapelare tante indiscrezioni, spesso contraddittorie. LUNEDÌ SCORSO, in via Teulada, studi romani che ospitano Ballarò, s’è tenuta la Leopolda Rai, organizzata dal capo dei dirigenti Rai (Luigi De Siervo) che già ispirava le Leopolde di Matteo Renzi. Il canovaccio para-politico e para-teatrale, applicato ai modelli Rai, ha generato una passerella mista, fra luminari e improvvisati, attori di punta e comparse da retrobottega. I soliloqui, quasi un centinaio, hanno sfiorato il tema riforma. E dunque accolgono l’indirizzo di Palazzo Chigi e il tipico atteggiamento di coloro che parlano di Rai: sfiorare, non entrare nel merito. Appena il governo ha chiesto l’obolo di 150 milioni di euro a viale Mazzini per coprire gli 80 euro in busta paga, in Rai s’è cominciato a esaminare le riforme possibili e, soprattutto, quelle impossibili. Renzi ha girato la pratica al viceministro Antonello Giacomelli, che non difetta certo in preparazione e che, laicamente, vuole rendere più efficiente questo memorabile coacervo di sprechi, spartizione e arretratezza tecnologica. Il traguardo di Renzi è semplice: modulare il canone e poter annunciare di aver abbassato la tassa più odiata dagli italiani; asciugare la burocrazia interna ritoccando la legge Gasparri. Forse vuole anche abolire la commissione parlamentare di Vigilanza, un organo inutile più che dannoso: l’unico ruolo attivo che svolge è quello di nominare già altrettanto inutili consiglieri di amministrazione. Questi ritocchi sostanziali li propone da anni il movimento “La Rai ai cittadini” di Adriano Colafrancesco. Non sempre è necessario coinvolgere dei saggi o creare sovrastrutture per disperdere le responsabilità. Gli ascolti di venerdì SEGRETI E DELITTI Spettatori 2,89 mln Share 16,6% TI STIMO FRATELLO Spettatori 1,87 mln Share 9,17% Torniamo al lunedì di Lepolda. In tanti hanno suggerito di vendere un canale dei tre generalisti; pare che la scelta, per un motivo un po’ arbitrario, cada sempre su Rai2, che è talmente leggera da essere priva di un’etichetta e di un pubblico consolidato come Rai1 e Rai3. CHI RAGIONA sul numero di reti, in tem- pi di spazi illimitati in Internet, di digitale terrestre formato da centinaia di pezzettini e parimenti di satellite, è fermo a un’epoca precendente al testo di Gasparri e dunque a Gasparri stesso. Che sia una televisione pubblica, metà di canone e metà di pubblicità, la Rai deve soddisfare i suoi abbonati con i contenuti che offre e deve maledettamente schierarsi in mezzo al campo. Come fonte di informazione, come snodo per l’approfondimento, come catalizzatore per l'intrattenimento. Plasmato il prodotto, poi decidi in quale vetrina mostrarlo: su Internet, su Rai1, su Rai3 o su Rai5. Estirpata la logica di una concorrenza orizzontale fra i canali (e i direttori e i partiti), la Rai può trasformarsi in una fabbrica editoriale di assoluto livello, in onore (e in rispetto) del denaro che gli italiani versano ogni anno. UNA VOCE PER PADRE PIO Spettatori 3,15 mln Share 16,11% THE JACKAL Spettatori 1,43 mln Share 7,55% 22 SECONDO TEMPO DOMENICA 29 GIUGNO 2014 il Fatto Quotidiano STORIE ITALIANE IL DOPO-JUNKER Piccoli uomini d’Europa contro il resto del mondo di Furio Colombo A llora è Jean Claude Juncker il nuovo presidente della Commissione europea. Gira e rigira, pensa e ripensa, si trova un personaggio di poco sopra il niente di Barroso, niente visione, niente leadership, vuoto dove dovrebbero esserci due idee fondamentali: chi siamo noi, l’Europa. E che rapporto c’è con il resto del mondo, il mondo che si frantuma, si uccide, si aggredisce, con i suoi popoli in fuga. Juncker non ha altro da aggiungere a ciò che Barroso non ha detto e non ha neppure pensato in tutti questi anni: come mai l’Europa? Da dove viene l’Europa? Dove va l’Europa? Con chi e perché? Ricordo spesso, in queste pagine, che solo i Radicali di Pannella, qualunque strada abbiano scelto in qualunque altra cosa, non si sono stancati mai di sventolare il Manifesto di Ventotene, quel documento italiano che ha fatto nascere frontiere aperte invece di trincee, quel sogno di unire risorse e popoli che appare più grande nella ricorrenza del massacro detto “Grande Guerra”. Li abbiamo visti tutti insieme i leader di questa Europa, riuniti intorno alla piccola aiuola che ricorda la carneficina spaventosa nella piccola città belga di Ypres. Ma neppure quella ricorrenza ha prodotto il miracolo di fare cambiare discorso. L’EUROPA È nata da regolamenti, ed è rimasta ai regolamenti. Quando il nuovo Parlamento europeo si aprirà ci saranno, come protagonisti, tante piccole donne e piccoli uomini (non loro, ma i governi che rappresentano) che vedono la vita di ogni essere umano e di ogni popolo solo in numeri e decimali, niente sogni, niente attese, niente speranze, niente ideali. E si troveranno contro, con intento di opposizione, creature ancora più piccole, come in un pauroso viaggio di Gulliver, strani gnomi che, proprio nei giorni della Grande Guerra, vogliono frontiere chiuse, persone escluse, migranti affondati in mare e una meticolosa opera di smagliatura per disfare i legami e riportare a solitudine e isolamento ogni Stato che si era associato per fare quella che continuiamo a chiamare, con infondata speranza, Europa. Peccato che nessun testimone originale del Manifesto di Ventotene (non parliamo di età ma di fede) abbia voluto o potuto candidarsi in queste elezioni. Fra gli uomini-numero del cosiddetto rigore, e i nani delle frontiere chiuse, mancano i testimoni del percorso grandioso da cui l’Europa ha deragliato, e per la quale alcuni grandi esuli e confinati avevano a lungo lavorato e testimoniato. Dunque il Parlamento della nuova Europa, che non ha visioni, non ha ideali, non ha progetti, si divide in buoni e cattivi. I “buoni” sono gli uomini-numero che si uniscono o si di- vidono per uno 0,3 per cento. I “cattivi” vogliono ritornare all’Europa della Grande Guerra, perché possono concepire come solo valore la frontiera, e la vogliono chiusa. Per questa ragione, quando si ferma per decidere chi dovrà essere il ministro degli Esteri (che chiamano, non per errore “alto rappresentante” affinché si senta fin dal nome che è un funzionario e non un politico) i nomi sono subito piccoli, più piccoli e irrilevanti (quelli rimasti in discussione in questo momento) della stessa modesta dimensione del nuovo presidente. L’Italia nomina Mogherini, la gentile persona che nessuno aveva notato come ministro Jean-Claude Juncker Ansa QUI BRUXELLES Si deve decidere chi sarà il ministro degli Esteri, ma i nomi sono subito irrilevanti. Perché irrilevante è la politica estera dell’Unione degli Esteri italiano, e che nessuno noterà come Rappresentante della Politica Estera europea. A ben guardare non c’è sproporzione fra Mogherini e questa Europa. Perché non c’è una politica estera europea. L’Europa vive senza politica e senza idee accanto alla Siria che è un nodo senza sosta e senza uscita di spaventosa violenza. L’Europa è a un passo da Israele e Palestina e non ha mai saputo compiere gesti anche lontanamente simili a quello di Papa Francesco. L’Europa prende atto del rapimento di tre adolescenti israeliani e non ha una parola da dire né un gesto da compiere per quanto sia evidente la gravità e il rischio. L’Europa ha di fronte una Libia spezzata in territori e bande di guerra continua e si comporta come se non fosse acceso fuoco accanto al petrolio. Agli europei sembra bastare la sicurezza di portarsi via la parte necessaria di carburante. SUL MEDITERRANEO l’Italia è allo stesso tempo colpevole e vittima. Colpevole di avere affidato per anni tutta la politica della immigrazione nelle mani di un gruppo barbaro detto la Lega Nord che, con l’odioso e dannoso strumento della legge Bossi-Fini, ha trasformato un problema serio, importante ma affrontabile con civiltà, in una serie di tragedie, naufragi, donne e bambini scomparsi in mare, respingimento di persone in fuga dalle guerre e con inviolabile diritto d’asilo. E adesso che esiste l’operazione “Mare Nostrum” (che avrebbe dovuto esistere fin dall'inizio) l’Europa non intende fare la sua parte, non accoglie, non condivide, non paga. Ma intanto esplodono guerre (almeno otto le più gravi nel mondo) e divampa in Africa la spaventosa febbre emorragica ebola che ormai contagia undici Paesi. Anche ebola è politica estera perché, senza aiuti e intervento scientifico internazionale, quei Paesi non potranno salvarsi ma ne contageranno altri. Intanto la Russia continua a premere con la sua forza contro l’Ucraina con la gentile comprensione italiana. Il Giappone decide che la cosa giusta è lasciare il pacifismo e tornare al riarmo. Ma le finestre d’Europa (niente a che vedere con Ventotene) continuano a restare murate. Dalle sue piccole feritoie l’Europa non vede il mondo e il mondo non vede l'Europa. FATI DI VITA di Silvia Truzzi AL LICEO Telesio di Cosenza succede quanto segue: una ragazza viene bocciata al primo anno e i genitori di lei non la prendono bene (cosa indubbiamente comprensibile). Cosa fanno? Rimproverano la figlia? Non proprio. Si precipitano, in spedizione punitiva, a scuola chiedendo un colloquio con il preside, che però in quel momento è assente. Si presenta allora la vicepreside, Rosanna Gallucci, che prova a spiegare i motivi della decisione. Ma i genitori non sono soddisfatti e la aggrediscono. No, non verbalmente. Il papà, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe fatto da "palo" sulla porta, la mamma (con la proverbiale dolcezza materna) sarebbe passata alle vie di fatto, procurando alla professoressa ferite giudicate guaribili in 25 giorni. L’avrebbe presa per i capelli e buttata a terra, colpita alla testa e allo sterno con calci e pugni. La coppia è stata denunciata per aggressione, lesioni personali e violenza a pubblico ufficiale. Uno dice: poverina questa ragazzina, chissà che imbarazzo. Invece guardate che scrive n La guerra di Angela contro la casa abusiva di Nando dalla Chiesa D io mio, quanti luoghi comuni. La Lombardia non è la Sicilia, non è la Calabria... Magari lo fosse, vien da dire a volte. Come quando scopri che a indagare su alcuni clan al nord sono un maresciallo calabrese o un commissario siciliano che hanno respirato a casa loro l’aria dell’antimafia. O come quando ti imbatti in questa storia che ha per protagonista una pensionata salernitana che da anni battaglia in nome del diritto in un piccolo comune in provincia di Como. E dove a infischiarsene della legge non sono “quelli di giù mandati al confino” ma, con modalità più signorili, disinvolti personaggi locali. Con tanto di incarichi pubblici. DUNQUE riprendiamola dall’inizio questa incredibile storia di una Lombardia dove della legge ci si fa un baffo. Teatro: San Fermo della Battaglia, un nome che ricorda la vittoria dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi contro gli austriaci. Protagonista e vittima: un’insegnante di italiano e storia da tempo in pensione, Angela Compagnone, sposata Malerba. Venuta da Salerno alla fine degli anni sessanta. La tipica professoressa che ha trovato lavoro al nord. E che quand’era in servizio aveva il pallino dell’educazione alla legalità. Piccola e gentile, ma tosta e combattiva. Nonostante la lunga permanenza sul lago di Como, la prof ha conservato un salace accento campano. Che le serve per raccontare di quando un giorno del 2007 si accorse che, di fronte a casa sua, le stavano tirando su un’altra casa. Ci volle poco tempo per capire che le volumetrie violavano le norme fissate dal piano di governo del territorio. E che nessuno accennava a intervenire. C’era un occhio di riguardo del Comune verso quel progetto. La volumetria era stata misurata escludendo dal calcolo sia il piano interrato sia i locali del sottotetto. E per una di quelle combinazioni ricorrenti anche in Lombardia, il geometra era cugino del sindaco, Pier- luigi Mascetti (attuale vicesindaco), il quale a sua volta si è fatto ristrutturare la casa di famiglia dalla ditta costruttrice. “E che dovevo fare, dovevo stare a guardare? – si infervora lei – Ho protestato, ho cercato di sollevare il problema sulla stampa locale, che mi ha dato spazio perché chiunque vedeva che avevo ragione io. Ma l’amministrazione non si è scomposta e ha acconsentito che i lavori andassero avanti. E ora eccola lì, la casa, e davanti ci hanno pure eretto un muro. Doveva essere alto tre metri, è alto sette. La casa, invece, diciassette”. In effetti la vista sulla valle è andata a farsi benedire, il paesaggio è deturpato. Il sindaco e poi vicesindaco Mascetti, un pregiato prodotto del centrodestra in versione sbarazzina, ha messo l’amministra- E VOLUMETRIE Nonostante una sentenza del Consiglio di Stato, un Comune lombardo non solo non interviene, ma fa una sanatoria zione a tutela del manufatto. Anche se, su pressione della vittima, l’ufficio tecnico del comune ha dovuto denunciare alla magistratura la violazione delle norme edilizie. “Non sono una sprovveduta, la nostra famiglia ha uno degli studi di commercialista più avviati di Como, e io ho una passione per la legalità. So quali sono i miei diritti. Ci siamo rivolti al Tar della Lom- bardia. Che nel 2010 ci ha dato ragione. Ha mandato un architetto e lui ha fatto il suo rapporto. Ma nemmeno il Tar è bastato. Allora mi sono rivolta al Consiglio di Stato. Che nel marzo di quest’anno, sette anni dopo, mi ha dato ragione. La casa rossa è abusiva. Per qualche giorno ho pensato di avere vinto. Oltre il Consiglio di Stato non c’è più nulla, è il massimo organo giurisdizionale”. E INVECE? “E invece, sopra il Consiglio di Stato c’è il comune di San Fermo. Ma lo sa che cos’hanno fatto quando si sono trovati davanti alla sentenza? Hanno deciso così: visto che c’è un abuso riconosciuto, noi facciamo una bella sanatoria. Insomma il sindaco ha ‘sanato’ il Consiglio di Stato”. E la ditta interessata, la Mazzucchi costruzioni, gongola, “anche perché lavora per il Comune. Pure il magistrato che doveva decidere sul muro, che aveva rinviato la causa per anni, ha emesso la sua sentenza dopo quella del Consiglio di Stato: non luogo a procedere”. Nessuno la tiene più, la professoressa. La si vede in una foto sorreggere uno striscione con la scritta “La voce della giustizia” (la sua testata d’occasione) e sotto “Casa Rossa abusiva” (titolo). Poi giura: “Pretendo il rispetto della legge. Batterò anche le strade della giustizia penale, a questo punto, e chiederò il commissariamento di un Comune che non riconosce la giustizia dello Stato. Si sono inventati un ricorso di cinquanta pagine alla Cassazione, a carico del cittadino naturalmente, accampando che l’architetto mandato dal Tar era rimasto vittima di un abbaglio dei sensi, testuale. E che aveva trascinato nel suo abbaglio prima il Tar poi il Consiglio di Stato”. “Non riesco a dormire, pensi che credevo nella legge”. Be’, il paese che ama la legalità solidarizzi con questa pensionata campana che in Lombardia difende fino all’ultimo i suoi buoni diritti contro gli abusi di un piccolo potere locale. Ma qualcuno, un prefetto, un procuratore, vorrà intervenire per dare man forte alle leggi della Repubblica? Ci sarà pure un giudice a Berlino. Tra il 6 politico e le mani addosso: dov’è finita la funzione della scuola? su Facebook la fanciulla: “La Gallucci è stata sistemata, ora tocca agli altri”. E ancora: “L’anno prossimo tornerò per darvi fastidio”. IL PRESIDE ha raccontato il percorso scolastico della studentessa: “Si era iscritta a settembre prima al liceo scientifico, poi all’istituto alberghiero e solo a febbraio era arrivata al nostro liceo europeo, che è particolarmente impegnativo. Fin dall’inizio ha mostrato difficoltà, ma l’abbiamo aiutata mettendole un insegnante per aiutarla a prepararsi nelle materie che le risultavano più difficili. Non ha mai mostrato grande voglia di studiare”. Al di là del gesto inqualificabile di mettere le mani addosso a qualcuno, colpisce molto l'incapacità di accettare la responsabilità e le conseguenze dei comportamenti: non studio, mi aspetto di essere promossa. Per questo desta molta perplessità un’altra notizia che arriva dalla Francia, dove è stata annunciata l'abolizione dei brutti voti. “Secondo il ministro dell'Istruzione francese bisogna essere più ‘clementi’ con i ragazzi, incentivarli anziché scon raggiarli”, scrive Anais Ginori su Repubblica. Un sei politico che garantisce la sufficienza a tutti. L’argomento scuola è molto complesso, ma deve per forza esserci una via di mezzo tra il voto politico (che, durante gli anni della contestazione, nell’Università italiana ha fatto danni sufficienti e permanenti) e la selezione darwiniana. Le basi culturali della scuola dell’obbligo non sono un optional, in quadro più generale di “formazione della persona”, sono una condicio sine qua non, rispetto al proseguimento degli studi. La tesi che tanto è piaciuta ai nostri politici (come l’indimenticabile ministro Berlinguer) secondo cui lo studente va trattato come un cliente, come si vede ha prodotto meraviglie. Come ha detto una volta Claudio Magris, intervistato da questo giornale: “Il cliente per definizione ha sempre ragione. Se io vado al ristorante e sui maccheroni al posto del formaggio chiedo lo zucchero, il cameriere me lo porterà. Ma se uno studente mi dice che Dante ha scritto I promessi sposi, mica posso dirgli ‘In genere no, ma per te sì’”. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 GIUGNO 2014 23 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo La presunta onestà di Matteo Renzi Sono rimasta colpita da una frase di Furio Colombo, “Matteo Renzi è onesto”. Sul vocabolario il significato è il seguente: “onesto: chi si attiene a principi di integrità morale, di giustizia”. Renzi ha una condanna per danno erariale in primo grado e il suo governo sta cercando di introdurre una norma per evitargli la sentenza di appello. Ci sarebbero anche i contributi pensionistici “furbi”, nonché la casa fornita a Renzi dall’amico Marco Carrai. Senza contare lo stretto accordo segreto stipulato con un condannato in via definitiva che, grazie a Renzi, sta per assurgere al ruolo di Padre costituente. Spero che la frase di Colombo sia ironica come la shakespeariana “e Bruto è un uomo d’onore”, perché capisco che nell’Italia dei grandi scandali, della corruzione diffusa, dell’insaputismo dilagante e dell’impunità riservata ai potenti (che lo stesso Renzi vuole potenziare) queste “piccolezze” sembrino trascurabili, ma vorrei ricordare che altrove, in quell’Europa alle cui direttive tutti sembrano voler aderire quando fa comodo, ci si dimette per molto meno. Da noi no. E addirittura si passa per essere moralmente integri, giusti e retti. versario della legge maggioritaria Acerbo-Mussolini, che segnò il suicidio della democrazia italiana. La legge elettorale Renzi-Berlusconi-Alfano è peggiore della legge Acerbo-Mussolini. Infatti la legge Acerbo permise l'elezione di Matteotti: col superporcellum di Renzi e compari Matteotti non potrà nemmeno arrivare in Parlamento. La colpa è anche mia: nel febbraio 2013 votando Pd contribuii a dargli il premio di maggioranza alla Camera: però nel programma del Pd non si parlava di premi di maggioranza, ballottaggi, Senato-pagliacciata. A proposito del Senato-pagliacciata di Renzi e compari, formato da mangiatori di nutella (Consiglieri regionali) e da altri politicanti (Sindaci: ringrazio i senatori e gli Il rapimento di giovani come ricatto politico Tre ragazzi israeliani, due di 16 e uno di 19 anni, sono stati rapiti facendo piombare le loro famiglie in un incubo. L’utilizzo dei rapimenti quale arma di ricatto politico è repellente, ancora di più se le vittime sono ragazzi. Se l’umanità non coglie la gravità di quanto accaduto, e questa brutta storia finisce nel dimenticatoio, allora penso che il futuro ci riserverà le stesse sorti delle vittime. La Vostra responsabilità, intesa quale onere e onore di creare una coscienza della collettività, rende doverosa la considerazione. Perché la tortura non è reato CARO COLOMBO, leggo un po’ dappertutto che in Italia non esiste il reato di tortura perché le polizie si oppongono. Cioè Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza si oppongono in tutti i modi. È vero? Nadia LO LEGGO ANCH’IO ogni volta che si torna a discutere del problema (che è grave e urgente) e me lo sentivo dire da colleghi deputati e senatori quando ero in Parlamento. Spiegavano, sussurravano o tuonavano (secondo l'inclinazione politica, ma anche con diverse intonazioni dentro lo stesso partito) che mai e poi mai si sarebbe potuta fare una legge contro la tortura perché le Forze dell'ordine non volevano una simile legge. Non ci credevo allora e non ci credo adesso. Solo i Radicali appoggiavano l’urgenza della legge e il doppio argomento che condivido. Una legge sulla tortura difende i cittadini e difende la polizia. Adesso mi sembra chiaro, addirittura evidente che poche persone nelle varie polizie hanno trovato agganci alla Camera e al Senato, diffondendo la leggenda secondo cui una simile legge avrebbe a) offeso la Polizia, b) favorito il moltiplicarsi di denunce false come espediente di difesa, c) avrebbe limitato la capacità di azioni adeguate ed efficaci degli agenti in casi di grave necessità. Cerco di spiegare perché non può essere vero, e perché è il rifiuto della legge, e non la legge, che offende la Polizia, come se la polizia volesse la libertà di abbandonarsi alla violenza. È un pensiero insultante e la prova è semplice. I casi dolorosi e barbari in cui si può legittimamente parlare di tortura (da Cucchi ad Aldrovandi, da Uva a Magherini) ci sono purtroppo. Ma sono più rari delle prodezze di bravi cittadini che all'improvviso diventano pirati della strada, falciano sulle strisce mamme e bambini, e si al- Francesco Di Giovanni DIRITTO DI REPLICA Caro Direttore, quanto acrimonioso inchiostro in un solo articolo la vignetta Tiziana Gubbiotti Le offese di Berlusconi: oltraggi e rassegnazioni I magistrati finora non hanno ritenuto di segnalare gli oltraggi ricevuti da B. come elementi di reato. Le assuefazioni operano anche in questo senso: non si avverte più il peso delle parole e dei fatti. Decenni di insulti che B. ha lanciato contro i magistrati senza che questi reagissero, hanno creato uno stato di assuefazione rassegnata. È giusto anche questo. Per alcuni è giusto tutto. Giuseppe Alù La legge elettorale dei tre compari Quest'anno è il 90° anni- lontanano senza prestare soccorso e senza autodenunciarsi. Ma quando i casi di maltrattamenti violenti e mortali ci sono, e la storia raggiunge un giudice, la materia (dai maltrattamenti alla morte) rimane difficile da giudicare perché manca la definizione giuridica di quegli atti e lascia tutto in bilico tra voluto, possibile e accidentale. La pragmaticità americana ha trovato una definizione semplice e precisa: maltrattamento insolito e crudele. Chi si oppone? Evidentemente i pochi e i violenti che hanno compiuto o potrebbero compiere simili atti. Chi non ha niente da obiettare alla legge sulla tortura che c'è in ogni Paese civile? Tutti gli altri, i moltissimi che, anche in situazioni difficili e pericolose, non hanno mai violato leggi, dettami e buon senso umanitario in migliaia di interventi, di azioni, di impegni, di contenimento del disordine violento. Sono tanti coloro che non sono mai stati accusati o anche solo indicati dai cittadini come colpevoli di abusi e violenze, e pochi (ma liberi di essere recidivi) coloro che hanno commesso atti che i cittadini non possono dimenticare. Una legge sulla tortura protegge da un lato i cittadini dalle iniziative per cui è prevista una condanna. Ma, dall'altro, protegge i carabinieri e agenti delle diverse polizie che in quella legge trovano definizione e garanzia del loro comportamento e nella condanna di quella legge non incapperanno mai. Infatti anche adesso non si abbandonano e non si sono mai abbandonati al comportamento crudele e incivile. Hanno ragione i Radicali. Per il solo fatto di esistere, quella legge sarà la difesa più forte del prestigio e della reputazione delle polizie democratiche. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] vorrei assicurare Luisella Costamagna che quella perfida espressione – “speriamo non con i soldi” – è la dimostrazione più eclatante di come si possa scrivere senza conoscere né i fatti né le persone. In quanto a Vendola, che dovrebbe andarsene dalla politica e dal partito, mi sento di dirle che da questa politica e da questo partito con cui la giornalista ci raffigura, lui come noi non possiamo di fatto andarcene per il semplice motivo che non ci siamo mai entrati. Siamo invece qui, a tessere il difficile filo di una sinistra che tanti suoi lettori incontrano in giro per il Paese e a cui, sono sicuro, nel confronto delle opinioni come nella critica, guardano con rispetto. Semplice e fondamentale parola che ancora non rientra nel lessico di Luisella Costamagna. On. Francesco Ferrara - Presidenza Nazionale Sel DIRITTO DI REPLICA Gentile direttore, nella "lettera" di Luisella Costamagna, pubblicata venerdì 27 giugno, a pagina 18 del suo giornale, si fa riferimento a Fausto Bertinotti "rimasto fedele a scorta e auto blu". Forse non sarà molto interessante per lei e per i suoi lettori, ma è certamente utile per mettere fine a una inutile falsità, sapere che Fausto Bertinotti, da circa un anno non ha né scorta né auto blu. Possiede, invece, un abbonamento Metrebus-Roma intera rete che gli consente di prendere, tutti i giorni, l'autobus numero 80. Vittorio Mucci - Addetto stampa Fausto Bertinotti altri che si opporranno al Senato-pagliacciata. Forse rimarranno in minoranza, ma forse permetteranno il ricorso al referendum popolare confermativo. Così si vedrà se il popolo approverà il Senato-pagliacciata voluto da un ragazzotto megalomane (Renzi), da un frodatore fiscale (Berlusconi) e da un politicante dallo sguardo non molto vivace (Alfano). Antonio Rossi da parte di Luisella Costamagna nei riguardi di Sinistra Ecologia Libertà. Quanta superficiale analisi, quanti inappellabili giudizi e condanne. E aggiungo, quanta ingenerosita’ politica e persino umana verso le singole persone e una intera comunità che vive con dolore e passione un passaggio politico così duro. Le chiedo come sia possibile ridurre a macchietta una discussione che impegna gruppi dirigenti, militanti, uomini e donne interessati ad una sfida politica che riguarda questa parte della sinistra. Tutti marchiati, da Vendola a Migliore, da Laura Boldrini al Tesoriere di Sel, dal tarlo dell’opportunismo personale. Lei sa bene caro Direttore, a differenza della giornalista, che ci siamo alleati con Bersani sulla base di un programma che se nell’arco di quest’anno poco più fosse stato almeno in parte applicato, alcuni no- il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio di sarebbero stati sciolti e non stringerebbero ora al collo il Paese, come nel caso del decreto sul lavoro e di riforme istituzionali che mirano a mutilare la nostra Costituzione. La nostra coerenza a quel programma e a quel patto con gli elettori è interpretata come colpa nell’essere andati all’opposizione del governo Letta, quando è il Partito Democratico che in quel succedersi degli eventi è andato piuttosto all’op- posizione di sé stesso. L’altra colpa è quella di voler essere forza di governo anche quando si sta nella trincea dell’opposizione. Provengo dal PCI e in queste settimane si sta ricordando, finalmente con la considerazione storica e politica che merita, la figura di Enrico Berlinguer. A Lei non potrà sfuggire che proprio questo è stato il capolavoro di quel partito e di quel segretario. Il Tesoriere se n’è andato, è vero. Ma I NOSTRI ERRORI Nell'articolo dal titolo "Omicidio Yara: peli e capelli di Bossetti sul corpo martoriato" uscito nell'edizione del 28 giugno 2014 a pagina 9, nel sommario il medico legale è stato chiamato Buffi: il cognome è Buzzi, come riportato correttamente nel testo. Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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