GLI ITALIANI NON CREDONO AI TERREMOTI Eventi dell’Emilia e prevenzione sismica A differenza di altri popoli al mondo affetti dallo stesso problema, gli italiani non credono ai terremoti. E non sono soltanto i cittadini a non crederci ma anche il nostro legislatore. Se credessimo ai terremoti non avremmo, ad esempio, inventato le zone “a bassa sismicità”. Non pensiamo solo all’Emilia, pensiamo ai territori a sud tra le province di Enna e Caltanissetta classificati tali, quasi che il triangolo ideale che unisce Messina, la Val di Noto e la valle del Belice avesse proprio al centro un’area miracolosamente esente da eventi simici. Semplificando, si tratta di zone in cui il legislatore ha stabilito che le aspettative di sisma sono statisticamente basse e per le quali dunque le norme antisismiche possono essere meno severe e cogenti anche per le nuove costruzioni. Questo mentre dall’Emilia in questi giorni monta la polemica sul mancato adeguamento degli edifici esistenti! Pur tuttavia attualmente la normativa di settore è abbastanza aggiornata sotto l’aspetto tecnico e per una volta non siamo costretti ad inseguire. Le nuove Norme tecniche sulle costruzioni, approntate nel 2008 e diventate obbligatorie solo nel giugno 2009 dopo il terremoto dell’Aquila, definiscono compiutamente le modalità di intervento anche sugli edifici esistenti e ne individuano un duplice livello di sicurezza: il miglioramento e l’adeguamento. Il primo livello riguarda gli interventi utili soltanto a diminuirne il rischio sismico; mentre il secondo livello, l’adeguamento, permette di raggiungere lo stesso grado di sicurezza previsto per le nuove costruzioni. Tali interventi non sono però obbligatori. Per essere più precisi, l’Ordinanza del Presidente del Consiglio emanata nel 2003 dopo i tragici eventi di San Giuliano di Puglia, obbliga alla verifica i cosiddetti edifici strategici (caserme, municipi, prefetture, ospedali, etc.), le infrastrutture fondamentali per la protezione civile (autostrade, aeroporti, centrali, etc.) e gli edifici “che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso”, sostanzialmente le scuole e altri edifici simili. Si è fatto dunque qualcosa almeno sugli edifici pubblici negli ultimi dieci anni? Diremmo poco. La Protezione Civile Regionale, e parliamo della Sicilia ovviamente, ha stanziato dei fondi per valutare i rischi su tali edifici. A quanto ci risulta le somme impegnate (si trattava di circa ventimila euro ad edificio) hanno permesso ad oggi di valutare i rischi solo di una minima parte del patrimonio edilizio pubblico; siamo lungi cioè dall’aver completato anche solo le scuole. E dire che l’Ordinanza prevedeva un tempo massimo di cinque anni per le verifiche! Non solo, ma sono pochi i casi in cui si è poi effettivamente operato per mettere in sicurezza gli edifici che ne avevano necessità. Questo lo stato dell’arte. Cosa si può fare adesso? È evidente che il problema della carenza di fondi è fondamentale e difficilmente ovviabile. Si tratta allora di ottimizzare le risorse disponibili, senza affidarsi ad una sommaria programmazione, che il più delle volte risponde a criteri dettati dalla forza politica dei territori più che dalle effettive priorità. Fra le risorse disponibili è evidente che devono essere ricomprese le risorse umane, le idee e le professionalità esistenti sul territorio, che sono le uniche di cui la nostra terra fortunatamente ha abbondanza. Come Consulta degli Ingegneri siciliani, ad esempio abbiamo più volte sollecitato, anche attraverso un apposito disegno di legge in tal senso, l’introduzione del cosiddetto “libretto casa”, un documento che possa fare chiarezza sulla storia, sull’effettivo livello costruttivo e sullo stato conservativo delle nostre case e degli edifici pubblici in genere. Sarebbe un elemento importante per valutarne il passato e il presente: la conoscenza è il primo passo per la prevenzione. Proprio in questi giorni abbiamo riproposto alla Protezione Civile la nostra disponibilità ad operare con il principio della sussidiarietà. I nostri iscritti sono disponibili non solo ad intervenire, come hanno sempre fatto, “ex post”, per il controllo dei danni “dopo” gli eventi calamitosi, ma a programmare un vero proprio sistema preventivo di presidio del territorio. In maniera assolutamente volontaria e gratuita gli ingegneri siciliani, attraverso i propri Ordini provinciali, sono disponibili a concordare con la P.C. e le Prefetture un sistema di verifiche a tappeto delle strutture strategiche ed un monitoraggio costante delle porzioni di territorio più soggette al rischio idrogeologico. Solo controllando in maniera puntuale e costante si possono individuare per tempo le emergenze e le priorità. La sicurezza fa parte del nostro patrimonio culturale, dell’alto ruolo sociale della categoria e siamo convinti che non possa essere dispensata a campione e sulla base delle disponibilità economiche. Siamo in attesa ormai da tempo di dare il nostro contributo e di darlo “a costo zero”, solo che ce ne venga data la possibilità. Giuseppe Maria Margiotta QdS_15/06/2012