ROMA TRE
Università degli studi
Cires
Centro interdipartimentale di ricerca
sull’educazione e la società
Indagine sulle aspettative delle famiglie
immigrate verso il sistema formativo italiano
I sei studi di caso
a cura di
Vittorio Cotesta, Giovanni Di Franco e Claudio Tognonato
Cires – Centro Interdipartimentale di Ricerca
Indice
pag.
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
1.8
1.9
Milano la Casa del Sole
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
4
4
5
14
17
18
31
40
43
44
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
2.9
Torino San Salvario
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
45
45
50
59
64
67
70
74
76
77
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
3.8
3.9
Treviso
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
81
81
83
87
95
97
100
110
112
113
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
Prato
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
114
114
116
128
137
139
149
1.
2.
3.
4.
2
4.7
4.8
4.9
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
159
161
162
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
5.7
5.8
5.9
Roma Esquilino
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
166
166
169
184
187
197
205
222
226
227
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
6.6
6.7
6.8
6.9
Mazara del Vallo
Introduzione
Qualità del contesto
Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Professionalità degli operatori
Qualità delle relazioni
Partecipazione e domande delle famiglie
Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Allegati
228
228
229
247
250
252
256
261
263
264
5.
6.
3
1. Milano la Città del Sole
di Guia Gilardoni1
1.1 Introduzione
Per lo studio di caso relativo a Milano si è scelto di condurre la ricerca presso l’Istituto
Comprensivo Casa del Sole. I motivi di tale scelta sono vari e di diversa natura. Innanzitutto
questa scuola è sita nell’area cittadina, la zona 2, con la percentuale più elevata sia di residenti
stranieri (20,6%) sia di alunni stranieri iscritti alle scuole primarie e secondarie di primo
grado (29,27%; cfr. Comune di Milano, 2009). A fianco di una spiccata densità abitativa,
questa parte di Milano presenta anche un elevato grado di commistione sociale e culturale
rispetto al quale famiglie di classe media e medio-alta vivono vicine a situazioni di povertà
anche estrema. In conseguenza di ciò l’istituto presenta un’utenza caratterizzata da un alto
grado di differenziazione culturale e sociale, con una percentuale di alunni con cittadinanza
non italiana particolarmente elevata. Si segnala che la maggior parte dei questi alunni sono di
seconda e di terza generazione o figli di coppia mista2. In tal senso si tratta di una scuola che
precorre i tempi e che consente di osservare in chiave prospettica quello che potrà accadere
anche altrove nei prossimi anni. In secondo luogo perché, essendo ospitata in alcuni degli
edifici del parco Trotter, questa scuola possiede una struttura architettonica e ambientale che
la rende una realtà scolastica in grado di svolgere un ruolo particolarmente significativo
rispetto ai processi di socializzazione degli alunni e dei loro genitori. Un altro motivo che
rende la Casa del Sole particolarmente degna di interesse è dovuto alla sua iniziale vocazione
di scuola sperimentale, che l’ha portata a sviluppare nel corso degli anni un’ampia
progettualità che oggi copre tutti gli ambiti dell’educazione interculturale. Infine, perché su
questa scuola convergono le attività di numerose associazioni locali impegnate in progetti di
natura educativa e di intrattenimento ludico, nonché le attenzioni delle istituzioni e del privato
sociale che, grazie a finanziamenti aggiuntivi, consentono un notevole ampliamento
dell’offerta formativa.
L’IC Casa del Sole è quindi una scuola particolarmente ben attrezzata nello svolgere la
funzione di agenzia di integrazione nei confronti di un’utenza diversificata dal punto di vista
sociale, delle provenienze geografiche e culturali e anche rispetto al succedersi delle nuove
generazioni immigrate. In tal senso, proprio in quanto scuola di frontiera ma anche di
avanguardia, la si è ritenuta un contesto di osservazione privilegiato per lo studio delle
aspettative che le famiglie immigrate hanno nei confronti del sistema scolastico italiano.
Per l’analisi di contesto ci si è avvalsi dei dati dell’Osservatorio Regionale per
l’integrazione e la multietnicità della Regione Lombardia (Blangiardo, 2009) e di quelli
dell’Ufficio Statistiche municipale (Comune di Milano, 2009), oltre che della letteratura
1
Ricercatrice sociale. Collabora con l’Istituto ISMU di Milano e con l’Università Cattolica di Milano.
Avendo nella maggior parte dei casi un genitore italiano, i figli di coppia mista sono italiani e perciò non sono classificati
sotto la definizione di alunni stranieri. Forse anche per questo motivo costituiscono una categoria raramente considerata che
tuttavia meriterebbe maggiore attenzione.
2
4
recente relativa allo studio della convivenza interetnica nella zona della città in cui è sita la
scuola, area territoriale nella parte nord-est di Milano tra viale Monza e via Padova (Alietti,
Agustoni, 2008; Agustoni, Alietti, 2009). I dati sulla presenza straniera nell’istituto
considerato e in quelli limitrofi sono stati estrapolati dalla banca dati degli alunni con
cittadinanza non italiana della Lombardia Orim (www.ismu.org/orim). Le informazioni in
merito alla qualità delle esperienze didattiche e dell’offerta formativa sono state raccolte a
partire dall’analisi del piano dell’offerta formativa, da quanto pubblicato sul sito della scuola
(www.casadelsole-rinaldi.it) e dalla ricognizione dei progetti attivati, sia attraverso contatti
con i docenti e con il dirigente, sia attraverso la consultazione della banca dati dei progetti di
educazione interculturale Orim (www.ismu.org/orim). Un approfondimento dei più recenti
sviluppi progettuali, è stato possibile attraverso l’analisi dei documenti prodotti per lo
sviluppo e la realizzazione del progetto Colibrì - Interculture3. L’inquadramento dell’insieme
di pratiche interculturali attivate è stato condotto a partire dalla cornice di riferimento che
compare nel documento ministeriale La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (Mpi, 2007). Per l’analisi delle aspettative delle famiglie nei
confronti dell’istruzione e al fine di chiarire come dovrebbe essere riorganizzata la scuola
italiana per rispondere alle esigenze di un’utenza sempre più multietnica, sono state realizzate
sei interviste semi-strutturate somministrate a un campione di genitori stranieri eterogeneo dal
punto di vista delle nazionalità, della frequenza ai diversi ordini di scuola e della durata della
permanenza dei figli in Italia4. L’attivazione di due canali diversi per l’individuazione delle
persone da intervistare, l’insegnante facilitatrice e una mamma italiana del gruppo Parole in
gioco che svolge attività di insegnamento dell’italiano come seconda lingua alle mamme
straniere, hanno consentito nel primo caso di raggiungere genitori con figli neoarrivati, nel
secondo caso, genitori di bambini nati in Italia o giunti nel nostro paese prima della
scolarizzazione. Attraverso una breve intervista a una mamma italiana è stato possibile
raccogliere qualche informazione relativamente al fenomeno della cosiddetta fuga delle
famiglie italiane. I possibili correttivi politici da adottare sono stati rilevati attraverso
un’intervista semi-strutturata al dirigente scolastico. Infine, parte dello studio di caso è stato
realizzato anche attraverso la ricerca etnografica che ha previsto la presenza in loco durante
l’utilizzo del parco, gli incontri presso il Centro Multiculturale e i momenti di svago che
seguono il termine delle lezioni.
1.2 Qualità del contesto
In virtù di un mercato del lavoro altamente produttivo e dinamico, all’interno del panorama
nazionale Milano è stata e continua a essere una meta privilegiata dei flussi migratori. Se un
tempo prevalevano le migrazioni interne, che per altro non hanno smesso di verificarsi,
nell’ultimo ventennio si è avuto, com’è ben noto, un consistente incremento delle migrazioni
internazionali. La forte attrattività del territorio milanese è testimoniata dal fatto che circa un
quarto della popolazione immigrata presente in Italia si trova in Lombardia (Blangiardo,
2009). Secondo le stime dell’Osservatorio per l’integrazione e la multietnicità relative al 1
luglio 2008, gli stranieri presenti a Milano città sono 216mila di cui circa il 17% irregolari.
A fronte di una tale consistenza numerica, gli immigrati che vivono a Milano non sono
concentrati in quartieri particolari, ma risultano abbastanza equamente distribuiti sul territorio.
3
Il progetto Colibrì (aa.ss. 2007/08-2008/09) ha previsto un percorso di progettazione partecipata e di realizzazione del
progetto Colibrì grazie a risorse umane e finanziarie messe a disposizione dalla Fondazione Cariplo nel più ampio progetto
Interculture.
4
Per maggiori informazioni si veda la breve nota biografica relativa ai profili degli intervistati.
5
La città presenta infatti “un certo mix sociale, sia nei quartieri periferici di edilizia pubblica,
con coabitazione fra immigrati e fasce deprivate di popolazione autoctona, sia nei quartieri
semicentrali, dove famiglie benestanti e di classe media (residenti in abitazioni di pregio
architettonico o in aree gentrificate) convivono con sacche di popolazione anziana e con
enclave di gruppi di antica (la comunità cinese) o recente immigrazione” (Mingione, Borlini,
Vitale, 2008, p. 2).
Secondo gli ultimi dati statistici ufficiali, dei 574.133 alunni stranieri presenti nelle scuole
italiane, 137.485 si trovano in Lombardia. Di questi ben più di un terzo (55.757) sono nati in
Italia e 9.487 sono neoarrivati (Mpi, 2008). Tra le province italiane Milano è quella con la
numerosità più elevata (53.398). Si tratta di una popolazione che nel corso dell’ultimo
ventennio ha registrato una crescita rapida, forte e costante, dovuta sia alle politiche di
ricongiungimento adottate nel nostro Paese, sia alla legge sulla cittadinanza fondata sullo ius
sanguinis in base alla quale chi nasce in Italia da genitori con cittadinanza non italiana
acquisisce la cittadinanza non italiana.
16,8%
20,6%
13,1%
13,1%
11,6%
12,0%
13,9%
11,4%
12,5%
Figura. 1.1 - Mappa del Comune di Milano con indicate le 9 zone e le percentuali dei residenti Stranieri, anno
2009. Fonte: Ufficio Statistiche del Comune di Milano.
Secondo i dati dell’Ufficio Statistico del Comune di Milano, nell’a.s. 2008/09 nelle scuole
primarie la media cittadina di alunni con cittadinanza non italiana è del 18,5% – che sale al
20,9% se si considerano le sole scuole statali – e del 17,5% nella secondaria di primo grado,
che anche in questo caso sale al 20,2% considerando le sole scuole statali. Le percentuali di
inserimento più elevate si registrano in zone caratterizzate da fenomeni di criticità sociale,
economica e culturale.
La zona 2, quella in cui è sita la scuola oggetto di indagine di questo studio di caso, è
quella con la maggiore presenza di residenti stranieri (20,6%). Lo scarto piuttosto consistente
che si rileva tra la percentuale di residenti stranieri adulti e quella degli alunni stranieri iscritti
a scuola che si verifica in tutte le zone di decentramento, indica, da un lato, la consistenza
della componente minorile nel contingente straniero e, dall’altro, l’esistenza di un’ampia parte
di popolazione irregolare. Entro tale scenario la distribuzione scolastica degli alunni con
cittadinanza non italiana si presenta capillare e diffusa, ma non equamente ripartita. Secondo i
dati comunali, si può notare che 20 scuole primarie su 142 hanno percentuali di minori
6
stranieri superiori al 40%, con picchi anche del 60% e dell’80%, e 41 si collocano tra il 20% e
il 40%. Nelle scuole secondarie di primo grado 14 scuole su 90 superano il 40% e 35 sono tra
il 20% e il 40%.
26,81%
29,27%
20,11%
17,46%
17,24%
11,35%
26,37%
19,59%
18,44%
Figura 1.2 - Mappa del Comune di Milano con indicate le 9 zone e le percentuali degli alunni stranieri iscritti
nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, a.s. 2008/09. Fonte: Ufficio Statistiche del Comune di
Milano.
N°SCUOLE PER PERCENTUALI ISCRITTI STRANIERI
<5%
>5%
>10%
>15%
>2 0%
>2 5%
>3 0%
>4 0%
> 50%
> 6 0%
> 8 0%
0
5
Scuole primarie
10
15
20
25
30
Scuole secondarie di 1°grado
Figura 1.3 - Percentuali di presenza alunni stranieri nelle scuole primarie e nelle scuole secondarie di primo
grado. Fonte: Ufficio Statistiche del Comune di Milano. Dati relativi all’a.s. 2008/09.
A fronte di questa elevata presenza che, in alcuni casi, si traduce in vere e proprie
situazioni di alta concentrazione, è da segnalare l’asimmetria tra la presenza di alunni stranieri
nelle scuole statali e quella nelle scuole paritarie, come mostra la fig. 1.4.
Nella primaria statale la presenza media di alunni stranieri raggiunge circa il 20% mentre
nelle paritarie è di poco al di sopra del 5%. Il divario aumenta nelle secondarie di primo
grado. Oltre a ciò, è importante porre attenzione al fatto che nelle scuole primarie più del 50%
degli alunni stranieri iscritti nelle scuole primarie è nato a Milano. A questo ultimo dato
7
corrisponde il fatto che la percentuale di neoarrivati è del 7,3% circa nella scuola primaria e
dell’11,6% nella secondaria di primo grado.
ALUNNI ISCRITTI a.s. 2008/2009
rapporto scuola statale/scuole paritarie
25,00
20,00
15,00
10,00
5,00
0,00
Scuole Primarie
Scuole Secondarie 1°
grado
statale
non statale
Figura 1.4 – Percentuali alunni stranieri iscritti nelle scuole statali e paritarie primarie e secondarie di primo
grado nell’a.s. 2008/2009. Fonte: Ufficio Statistiche del Comune di Milano. Dati relativi all’a.s. 2008/09.
Questo dato, di per sé molto significativo, non deve indurre a facili semplificazioni, In
forza dell’esperienza di altri paesi risulta infatti erroneo credere che i figli degli immigrati nati
in Italia non presentino problematiche, in alcuni casi anche a livello linguistico, che li
distinguono dagli italiani. Sebbene infatti sia vero che i neoarrivati o gli alunni comunque
immigrati siano caratterizzati da esigenze specifiche e che necessitino di attenzioni particolari
soprattutto in termini di accoglienza, anche coloro che hanno iniziato il processo di
socializzazione secondaria in Italia, mostrano tratti peculiari degni di attenzione.
% STRANIERI SCUOLE PRIMARIE
100%
80%
60%
immigrati
40%
nati a Milano
20%
0%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Zone del decntramento
Figura 1.5 – Percentuali alunni stranieri iscritti nelle scuole primarie per zone di decentramento suddivisi tra
immigrati e nati a Milano, nell’a.s. 2008/2009. Fonte: Ufficio Statistiche del Comune di Milano. Dati relativi
all’a.s. 2008/09.
L’Istituto comprensivo Casa del Sole, oggetto del presente studio di caso, è una scuola che
ormai da diversi anni ha una presenza piuttosto consistente che durante l’anno scolastico
2008/2009 presenta una percentuale che supera di poco il 50%, la metà circa dei quali nati a
Milano.
8
La particolare zona entro cui è situata la scuola, il triangolo compreso tra piazzale Loreto,
viale Monza e via Padova, costituisce uno dei quartieri semicentrali caratterizzato da un
elevato grado di differenziazione sociale in cui, a fianco di fasce di popolazione di ceto medio
e medio-alto si registra una presenza immigrata consistente e particolarmente visibile
soprattutto in relazione ai molti esercizi commerciali a connotazione etnica.
La letteratura che si è occupata di questa parte della città (Agustoni, Alietti, 2009) afferma
che si tratta di un habitat frammentato dal punto di vista sociale, formatosi a partire
dall’elevata differenziazione sociale che lo caratterizza e dalla compresenza di dinamiche di
segno opposto quali appunto i processi di riqualificazione da un lato e di insediamento
immigrato dall’altro. Si tratta di un ambiente sociale nel quale, a fianco di potenzialità di
coesione sociale e di inclusione, si devono tenere presenti le quotidiane tensioni che si
verificano in un contesto di coabitazione multietnica (Mingione, Borlini, Vitale, 2008, p. 3).
Per dar conto concretamente di questa frammentarietà sociale si riportano le osservazioni
di una tabaccaia della via in merito alle difficoltà di stabilire relazioni durature e significative
sia a causa del grande turnover che caratterizza la popolazione immigrata di questa zona, sia
per le scarse competente linguistiche.
C’è tanto ricambio quindi (le relazioni) non riescono neanche ad attecchire, perché nel momento in cui potrebbe
succedere, e succede – a livello superficiale, succede di avere conoscenze, non dico di amicizia, però una buona
conoscenza con rispetto – cambiano, vanno via. C’è questo riciclo continuo e tu ti senti sempre più sola. Milano
già è la grande città che è sempre stata. Ricordo che questa frase la disse una milanese a me. Un giorno le chiesi:
Miriam perché mi vuoi bene ma fai molto più gruppo con quelli del nord? E lei mi disse: Perché voi meridionali
state qui qualche mese, anche uno o due anni, noi ci affezioniamo e poi ve ne andate. Non aveva mica tutti i torti.
È quello che adesso io sento nei confronti di questi che stanno arrivando ora. (Tabaccaia di via Padova).
L’avvicendarsi continuo di persone che cambiano e la vita in piccole enclave etniche
composte esclusivamente da connazionali per lo più appena giunti in Italia non consentono
nemmeno l’acquisizione delle competenze linguistiche minime per la comunicazione tra le
persone.
Manca anche la comunicazione. Io mi sono dimenticata come si fa una bella discussione, fluente, socievole. Ma
è normale perché se si ritrovano 300 cingalesi parleranno sempre e solo la loro lingua. Vengono fuori quattro
parole messe in croce, giusto per comunicare lo stretto necessario. Io dico ma la lingua italiana dov’è?!? Mi
manca. (Tabaccaia di via Padova).
La frammentarietà sociale si rileva anche da alcuni stralci di intervista, in particolare nelle
parole di una madre rumena. Dalle parole della donna emerge anche la distanza sociale e
culturale che esiste tra luoghi fisicamente molto vicini.
Via Padova e qui (nel parco) sono due mondi diversi. Via Padova e dove abito io, due mondi diversi, uno un
mondo cristiano, uno un mondo musulmano. E sono pochi minuti a piedi. (Mamma rumena di alunno e alunna di
scuola primaria e di studentessa di scuola secondaria di secondo grado).
Il sentimento di timore suscitato dalla presenza straniera, riguarda in particolare la
presenza araba che si configura prevalentemente in termini maschili, come esprime con molta
chiarezza anche la tabaccaia.
L’unico problema è che vedere tutti questi stranieri insieme mette paura. Non perché sono stranieri, ma perché
sono tutti maschi qua in giro. Gli arabi fanno paura. A 4, a 5, in gruppo fanno paura. Poi in fondo magari sono
delle brave persone. Per diminuire le persone qua in giro devono aprire gli appartamenti. Lo schifo è dentro gli
appartamenti. È lì che trovi i clandestini. Prima chiederei ai proprietari, la maggior parte italiani, ma anche tanti
cinesi, anche gli egiziani stanno comprando. (Tabaccaia di via Padova).
In questo contesto frammentato dal punto di vista sociale, le persone più spaventate sono
proprio gli stessi immigrati.
9
A mia figlia (17 anni) non piace passare in via Padova perché ci sono gli arabi. Troppi arabi. Per andare a scuola
allunga e va a un’altra fermata perché i ragazzi arabi guardano, parlano, danno fastidio. Le ragazze sono in due,
mia figlia e l’amica, preferiscono prendere la metropolitana a un’altra fermata e così non passano in via Padova.
(Mamma rumena di alunno e alunna di scuola primaria e di studentessa di scuola secondaria di secondo grado).
La paura può essere suscitata da episodi quotidiani, come ad esempio dall’incontro di
persone ubriache sull’autobus o, ben più grave, da furti subiti nella propria abitazione.
Ero seduta sull’autobus con i miei bambini e sono arrivati un ragazzo e una ragazza rumena e mi hanno detto
alzati! Erano ubriachi, ero molto spaventata, mi sono alzata subito e avevo paura! Ci sono problemi di droga e
alla mia casa hanno rubato tutto. Ero a scuola per il colloquio con gli insegnanti, e quando sono tornata avevano
preso tutte le cose importanti, soldi, oro, telecamera. Tutto e non so come hanno fatto a trovarli perché erano
nascosti. Hanno trovato tutto. Bruttissimo! Poi dormivamo sempre tutti insieme perché vedevo sempre qualcuno
dentro la casa. (Mamma 02, Bangladesh, di alunni di scuola primaria).
Le preoccupazioni maggiori riguardano ovviamente i figli e il contesto in cui essi si
trovano a vivere.
Noi stranieri abbiamo sempre confusione e sempre penso dove vado? Rimanere ancora? I bambini dove
crescono? Droga. Sono sempre preoccupata. Io non lascio mai da soli i miei bambini. Paura venire parco, poi
strada. Prima non era così, ma è cambiato tantissimo. Prima tenevo sempre aperto il balcone, la porta, però
adesso chiudo e non apro mai. Adesso dopo le otto non usciamo mai fuori. Anche quando sento il telegiornale,
questo paese è un first country, dove tutti sono educati, ma adesso molto male anche qui. (Mamma 01,
Bangladesh, di alunno di scuola primaria).
Per quanto riguarda le persone intervistate, paradossalmente, il sentimento di paura appare
più contenuto tra gli italiani. In questo caso infatti non si manifesta un vero e proprio
sentimento di insicurezza. Infatti, malgrado tutto, il contesto sociale viene percepito piuttosto
coeso, e in tal senso si ravvisano garanzie nei confronti dei comportamenti apertamente
devianti.
Il buono è che secondo me, almeno per quanto riguarda la viabilità, la strada è molto più protetta rispetto a strade
meno trafficate, meno frequentate. Perché qui se succede qualcosa ti vedono tutti. Quindi la cronaca intesa
strettamente parlando, i fatti di cronaca ne vedo molto meno qua che non in altre zone, perché è (una zona) molto
urbanizzata, molto popolare e popolana. A ogni angolo trovi qualcuno. Ci sono persone del posto, quindi i fatti li
vai a fare da un’altra parte. La cronaca è che magari litigano tra di loro. Alcuni bevono molto, ad esempio quelli
del Sud America, a volte capita che fanno delle liti fra di loro. Io sento molto di più verso il centro città, qui non
tanto. Non ti sfiorano. E poi non è una zona di passeggio, io non rubo a un poveraccio come me. Siamo sotto gli
occhi di tutti. Se io vengo qua a mezzanotte, trovo i ragazzi della macelleria qua fuori, il cinese di Internet, siamo
su una via molto trafficata anche di notte, sotto questo aspetto non mi dispiace, è vivace. (Tabaccaia della zona).
La vivacità del contesto, seppur abbinata a forme di povertà anche estrema, viene
richiamata anche da una mamma italiana del parco.
La presenza di stranieri è molto visibile e si associa agli stranieri una situazione di miseria molto pesante che in
effetti c’è. In via Padova ci sono stamberghe in cui vivono famiglie indigenti che fanno fatica a tirare fine mese.
È una zona povera, questo è secondo me il motivo scatenante per chi giudica via Padova un postaccio. In realtà è
un posto vivacissimo. Ci sono situazioni anche drammatiche dove si percepisce la miseria. Ovviamente questo
non fa parte della vivacità ma degli aspetti più tristi. (Mamma italiana di alunno di scuola primaria).
Così come accade altrove, anche qui il processo di integrazione prende forma attraverso
un’ampia gamma di modalità che presenta forme ambivalenti che vanno dall’affermarsi di
sentimenti di diffidenza e di sospetto che possono anche tradursi in atteggiamenti e
comportamenti apertamente xenofobi – soprattutto a partire da un sentimento di sospetto e
indifferenza principalmente derivato dall’uso che gli stranieri fanno dello spazio pubblico –
all’attivazione di concrete pratiche di sostegno all’inclusione (Agustoni, Alietti, 2009, p. 33).
10
Il parco non è solo il polmone di verde, è anche uno sfogo molto bello per le mamme, le famiglie e i bambini che
vengono qui. Via Padova è un posto dove le persone vivono, dove le persone si guardano in faccia, dove ci si
pigia sull’autobus, dove le persone stanno in strada, non sono tutti in macchina come in via Lombardia, in Piazza
Piola, in Corso Monforte dove nessuno cammina. (Mamma italiana di alunno di scuola primaria).
La presenza di una certa insofferenza nei confronti di questa presenza si è manifestata
attraverso la costituzione dei comitati di quartiere estemporanei, che compaiono e scompaiono
con obiettivi immediati di difesa del territorio contro qualche cosa. Seppur in forma
minoritaria, esistono d’altro canto anche realtà di segno differente che “svolgono un ruolo
continuativo di promozione del territorio, al punto che la loro mission garantisce loro
un’esistenza che si estende al di là dei singoli problemi della loro mobilitazione”. Questo
secondo tipo di comitati minoritario, è in stretto legame di continuità con le istanze politiche
ereditate dalla vecchia società civile di quartiere (ibidem).
Nella percezione degli abitanti del quartiere la scuola e il parco sono percepiti come luoghi
favorevoli all’integrazione, dando conferma del ruolo della scuola come spazio sociale
privilegiato, che – secondo la ben nota ipotesi di Coleman (2005) – ha la prerogativa di
costruire capitale sociale.
“Nello specifico, l’asilo e la scuola elementare all’interno del parco costituisce una
notevole risorsa del quartiere per l’integrazione attraverso sia le forme di incontro istituzionali
per i genitori, sia incontri di festa, rivolti a bambini e alle famiglie” (Alietti, Agustoni, 2008,
p. 88).
In tal senso l’Istituto Comprensivo considerato in questo studio di caso si configura come
luogo di contatti positivi, come contesto elettivo che fornisce un’occasione concreta per la
realizzazione di percorsi di integrazione e rappresenta una sorta di isola felice tra aree che
presentano differenze sociali molto marcate.
L’osservazione etnografica conferma quanto evidenziato dalla letteratura, cioè che
all’interno di uno spazio urbano nel quale si verificano forti ambivalenze, la scuola nel parco
costituisce un luogo abitato e vissuto con modalità positive che agevolano e facilitano la
condivisione delle esperienze. In altre parole si tratta di uno spazio sociale che favorisce la
relazione trasversalmente rispetto alle differenze culturali, sociali e generazionali.
In virtù della sua particolare struttura architettonica e ambientale, tale realtà educativa si
configura ancora oggi come un polo d’incontro e di riferimento sia per le famiglie sia per le
varie associazioni presenti sul territorio. Emerge inoltre che il parco consente uno scambio
immediato con il territorio in quanto il parco di per sé attrae ed è luogo naturale di
socializzazione (le mamme si fermano lì a far giocare i bambini dopo la scuola), ma produce
anche una certa dispersione fisica (serve la bicicletta per spostarsi da un’aula all’altra).
Martedì 10 marzo 2009, ore 16.15. Il parco si riempie di genitori che vengono a prendere i figli all’uscita da
scuola. Presso l’uscita di via Padova, dove c’è la sede dell’Associazione Amici del parco Trotter viene
organizzato il mercatino del martedì con merenda (pezzi di torta fatti in casa e pane, burro e marmellata a 30
centesimi il pezzo), musica africana, cartelloni per terra con bambini che disegnano, ballano, giocano, si
rincorrono, vanno in bicicletta, lungo il vialetto i genitori si incontrano e parlano, le mamme stanno sulle
panchine a chiacchierare. Regna un’atmosfera di convivialità e rilassatezza che contrasta parecchio con il clima
che si respira al di fuori del parco dove i ritmi sono frenetici e gli spazi per i bambini inesistenti. Alle quattro e
mezzo del pomeriggio in questo angolo di Milano sembra di essere a New York. A quest’ora aumenta anche la
presenza di vecchietti che si danno ritrovo sulle panchine. Anche i giovani adolescenti frequentano lo spazio e si
fermano a chiacchierare. (Dal diario di bordo).
Si tratta quindi di un luogo in grado di produrre preziose micro-trasformazioni (Novack,
2007) e micro-fenomeni di mixofilia (Zucchetti, 2008).
L’Istituto comprensivo Casa del Sole è costituito da una scuola d’infanzia, una primaria e
una secondaria di primo grado, situate all’interno del parco Trotter. Fino all’a.s. 2007/08
11
faceva parte dell’istituto anche il plesso Rinaldi, a ridosso della ferrovia e adiacente al parco,
che ospita una scuola secondaria di primo grado che attualmente fa parte dell’istituto
comprensivo di via Russo.
Recintato da un muro che ricalca il perimetro dell’ex galoppatoio, il parco conserva una
forma ellittica all’interno della quale sono disposti 12 diversi padiglioni (ex scuderie), che
ospitano le aule e consentono un diretto contatto con il parco. Sempre all’interno del parco
sorgono una ex chiesetta, un acquario, una fattoria degli animali (le ultime due strutture sono
attualmente in disuso)5.
Dagli anni ‘20 il Comune acquisì e ristrutturò l’area, trasformando le scuderie in edifici
scolastici e costruendo nuove palazzine. Nacque così la Casa del Sole, una scuola dalle
avanzate teorie pedagogiche per bambini gracili e tubercolotici, con la creazione di
cooperative gestite dai ragazzi stessi (caseificio, allevamento animali, floricoltura, orticoltura,
giornale). Durante gli anni del fascismo la scuola, che accoglieva 1.600 bambini e ne ospitava
160 nel convitto, denominato appunto Casa del Sole, fu il fiore all’occhiello della politica
scolastica del regime. Chiusa nel 1942 a causa della guerra, nel 1944 venne bombardata e
danneggiata.
I padiglioni, usati per scopi didattici e per ospitare la sede della direzione e della segreteria,
richiamano l’aspetto di chalet svizzeri e sono dislocati nelle parti più belle del parco. Sono
distaccati tra loro per permettere agli alunni di giocare e studiare liberamente senza disturbo
reciproco. Ognuno di essi comprende quattro aule unite da un grande corridoio interno che
serve da refettorio e da due verande esterne. Esternamente, tra le due ali del padiglione c’è
una piazzetta.
Tra gli anni ‘50 agli anni ‘60 il Comune di Milano sostenne ampiamente la scuola speciale
che dagli anni ’70 si trasformò in una scuola normale, aperta a tutti i bambini del quartiere.
Attualmente la scuola ospita circa 1.000 bambini, che usano il parco durante le attività
didattiche e nei momenti di ricreazione. In orario extrascolastico i giardini sono aperti al
pubblico che vi accede dai due ingressi di via Giacosa 46 e di via Padova 59.
Il fenomeno migratorio e le politiche di ricongiungimento familiare hanno determinato un
consistente incremento di allievi con cittadinanza non italiana nella struttura scolastica.
L’utenza appare molto eterogenea perché proveniente da contesti socio-culturali fortemente
differenziati. Nel corso degli ultimi cinque anni la percentuale di alunni con cittadinanza non
italiana è passata dal 40,3% nell’a.s. 2005/06 al 50,2% nell’a.s. 2007/08 con un aumento di
quasi 10 punti percentuali. Su un totale di 454 alunni, gli stranieri sono 228 di cui 120 maschi
e 108 femmine. Le nazionalità presenti sono 23 e tra queste, quelle numericamente più
rappresentative sono, in ordine, filippini, cinesi, egiziani, ecuadoriani, peruviani, boliviani,
marocchini, salvadoregni, bangladeshi e brasiliani.
In questa particolare realtà, che, in virtù delle sue caratteristiche ambientali e
architettoniche, a Milano costituisce un caso unico sul quale convergono le attività di un gran
numero di soggetti del privato sociale. Si tratta di cooperative e di associazioni che agiscono
nell’area del disagio minorile (Comin), che promuovono attività di mediazione linguisticoculturale (Progetto Integrazione), impegnate nella realizzazione di supporti psicologici
(Tempo per l’infanzia), Cngei gruppo Scout, la compagni teatrale Ditta Gioco Fiaba,
Emergency, il gruppo sportivo San Gabriele Basket, Legambiente, il gruppo volontario delle
guardie ecologiche, la cooperativa Koiné che promuove attività agricole, il centro islamico di
via Padova e di Sesto San Giovanni.
Tra i molti soggetti che intervengono su questa specifica realtà locale, alcuni si sono fatti
interpreti di iniziative che hanno più strettamente a che fare con la presenza immigrata. Si
5
Il complesso architettonico sito nel parco Trotter (200.000 mq) è sottoposto a vincolo dalla Sovrintendenza dei beni
ambientali e architettonici come esempio di scuola all’aperto più grande d’Europa.
12
tratta in particolare dell’associazione La Città del Sole-Amici del Parco Trotter, una Onlus,
prevalentemente costituita da insegnanti e genitori della scuola, che ha sede in uno spazio del
Parco messo a disposizione dalla scuola.
La sinergia tra questa associazione e la scuola è testimoniata dal fatto che le sue attività
risultano inserite nel Piano dell’Offerta Educativa: corsi di assistenza allo studio e di sostegno
all’apprendimento della lingua italiana rivolti ai bambini della scuola elementare e alle loro
mamme; corsi musicali; laboratori e rassegne teatrali; laboratori ludici e manipolativi per
ragazzi.
All’interno di questa associazione il gruppo Parole in gioco si dedica specificamente
all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua alle mamme straniere, offrendo loro
anche uno spazio di incontro.
Io faccio parte del gruppo Parole in gioco. Facciamo lezione di italiano alle mamme dei bambini del parco
perché abbiamo notato che ci sono molte mamme che vorrebbero, dopo alcuni anni che sono qui, cominciare a
parlare con qualcuno e poi siamo anche diventati un punto di riferimento, ad esempio ci sono mamme che non
sono mamme del parco, che vengono perché così almeno trovano amiche che altrimenti non avrebbero
assolutamente, perché spesso il marito lavora, i figli sono a scuola o sono grandi o addirittura sono in Egitto,
poniamo, e loro stanno qua ma sono senza legami e noi puntiamo molto sull’accoglienza, legami reciproci.
Quest’anno sono 16 mamme di cui 7 del Bangladesh 5 egiziane, c’era una mamma thailandese, una mamma
cinese, filippine. (Mamma italiana di alunno di scuola primaria).
Seppur l’impegno di queste mamme sia ammirevole, anche in considerazione del fatto che
si tratta di puro volontariato, d’altro canto è molto significativo il giudizio, non sempre
positivo, di chi ha seguito questi corsi o di chi ne aveva intenzione, ma ha deciso di non farlo.
Dalle parole di una mamma del Bangladesh anche una certa delusione rispetto alla qualità
effettiva del corso.
Io andavo perché volevo migliorare, volevo parlare. Però loro devono organizzarsi meglio. Quando noi entriamo
parlano e perdono tempo. Devono organizzarsi prima. E poi non tutti insieme allo stesso tavolo, devono
organizzarsi meglio. Io non posso perdere tempo. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Dalle interviste è poi emerso il caso di un’altra mamma, in questo caso egiziana, che, dopo
essersi informata circa la qualità del corso, ha preferito non perdere tempo.
Mia moglie aveva deciso di andare poi all’ultimo momento si è ritirata, si è informata e alla fine ha capito che
vanno lì e non si impara nulla, stanno lì a chiacchierare a gruppetti, dipende dalla nazione, però italiano italiano,
no, secondo me queste cose qua bisogna farle bene o no, è inutile perdere tempo, soldi, anche il tempo per una
mamma è importante, ha due bambine, se viene e parla nella sua lingua originale, allora lasciamo stare. Io la
verità non l’ho vista, personalmente non ho visto nulla. (Padre egiziano).
Un altro elemento che dissuade un’altra mamma dal partecipare riguarda l’incompatibilità
degli orari del corso rispetto a quelli lavorativi.
C’era un progetto (fatto dalla scuola) per imparare la lingua però c’era un orario che non andava bene per me. Se
era un altro orario sì, dopo le cinque di sera, non alle due, un orario in cui non posso. (Mamma rumena).
Sebbene l’associazione sia molto impegnata nel coinvolgimento dei genitori stranieri,
soprattutto delle mamme, è da segnalare che, almeno per il momento, nessun genitore
straniero fa parte del gruppo.
Dall’a.s. 2007/08 l’associazione Fiorella Ghilardotti6 promuove l’assegnazione di cinque
borse di studio biennali da 1.200 euro ciascuna a studenti e studentesse meritevoli che vivono
6
Fiorella Ghilardotti è stata dirigente sindacale, presidente della Regione Lombardia, parlamentare europea e presidente delle
donne del PSE. Ha contribuito a rafforzare le istituzioni locali e a creare forti legami con l’Europa.
13
in condizione di disagio socioeconomico, al fine di consentire e facilitare loro il passaggio
dalla fine della terza media alla scuola superiore, un momento cruciale e particolarmente
difficile del percorso scolastico. Per il primo anno hanno usufruito della borsa tre studentesse
e uno studente figli di immigrati e una studentessa italiana segnalati dai docenti della scuola
Rinaldi. Per il secondo anno, oltre ad elargire denaro, l’associazione prevede anche che i
beneficiari vengano seguiti da un tutor, membro dell’associazione, che monitora l’andamento
del percorso formativo, intervenendo quando necessario e possibile.
Oltre a ciò la scuola beneficia anche del coinvolgimento nel progetto Interculture promosso
dalla Fondazione Cariplo ed è stata di recente coinvolta nel progetto Start – Strutture di
accoglienza in rete per l’integrazione promosso da Comune di Milano e Uffici Scolastici
Regionale e Provinciale in qualità di scuola sede di polo.
1.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Fin dalla sua comparsa, la Casa del Sole si è ispirata ai principi della didattica attiva e
propone una serie di attività finalizzate allo sviluppo delle conoscenze attraverso il fare.
Anche forse in virtù di tale vocazione iniziale, nel corso degli anni e soprattutto con il
configurarsi di un’utenza multietnica, la scuola ha maturato un’ampia e variegata progettualità
interculturale7, ispirata all’accoglienza e all’inclusione, che ha visto l’attivazione di numerose
pratiche anche di natura sperimentale.
La mission dichiarata e non ancora del tutto attuata, è quella di garantire un’accoglienza degna. Il mio obiettivo è
quello di superare l’idea che per accogliere questi bambini la visione per cui si fa intercultura. Perché
prendendoli noi cerchiamo di consentire loro di usufruire della scuola come diritto, affinché percepiscano la
scuola come qualcosa che li accoglie e gli serve. Non è una scelta ideologica, ma una scelta di civiltà.
L’integrazione è creare l’ambiente scuola più adatto in modo che ciascuno vi si ritrovi, con tutte le sue
peculiarità. (Dirigente scolastico).
Un ulteriore elemento richiamato dal dirigente è quello della flessibilità che la scuola deve
essere in grado di interpretare al fine di rispondere con efficacia alle necessità che presentano
il costante persistere dei neoarrivi.
Non è questa la sede per approfondire ogni progetto realizzato. Per dar conto dell’ampiezza
dello spettro progettuale attivato, parte del quale ha già raggiunto una piena messa a sistema
(pratiche di prima accoglienza e di insegnamento dell’italiano come seconda lingua) vengono
brevemente richiamate alcune delle principali attività messe in pratica, soffermandosi in
particolare sulle iniziative che si rivolgono specificatamente alle famiglie straniere.
Prendendo come riferimento il documento ministeriale “La via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” a cura dell’Osservatorio nazionale per
l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale (Mpi, 2007), si nota che
la scuola oggetto di ricerca ha messo in campo sia attività che hanno come destinatari
privilegiati gli alunni stranieri e le loro famiglie, sia interventi che hanno a che fare con la
gestione pedagogica e didattica dei cambiamenti in atto nella scuola a seguito dei flussi
migratori che si rivolgono agli studenti e alle famiglie in generale. Nel primo caso si tratta
delle cosìddette azioni per l’integrazione che consistono nell’insieme delle pratiche di
accoglienza e di inserimento, dell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua, della
valorizzazione del pluri-linguismo, delle relazione con le famiglie straniere e dell’orien7
L’elenco dei progetti considerati è stato messo a punto a partire dalla consultazione della banca dati dei progetti di
educazione interculturale dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità (vedi il sito all’indirizzo:
http://www.ismu.org/ISMU_new/index.php?page=245), dai documenti relativi al progetto Interculture promosso dalla
Fondazione Cariplo e dalle interviste al dirigente scolastico e agli insegnanti.
14
tamento. Nel secondo caso dalle azioni per l’interazione interculturale ossia gli interventi
relativi alle relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico, alle discriminazioni e ai pregiudizi,
alle prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze.
Per meglio rendere conto delle attività interculturali messe in atto dalla scuola percorriamo
ciascuna delle azioni indicate evidenziando brevemente per ognuna qual è il servizio e/o
l’offerta didattica cha la scuola eroga.
Iniziamo con le azioni per l’integrazione. In merito alle pratiche di accoglienza e di
inserimento. Le modalità di rapporto con le famiglie sono consolidate da diversi anni: tutta la
modulistica è stata tradotta nelle principali lingue parlate dai genitori, è attivo uno sportello di
mediazione linguistica che con Interculture è stato potenziato passando da quattro a otto
lingue, sono presenti laboratori linguistici per le mamme tenuti da altre mamme. Da quanto
riportato dal dirigente scolastico, alcune problematiche persistono relativamente ai neoarrivi
in corso d’anno che creano difficoltà agli insegnanti i quali, a volte, manifestano una certa
resistenza.
L’attenzione reale della struttura dal punto di vista dell’accoglienza riguarda i neoarrivati. Arrivano, vengono
testati, vengono accolti, partecipano al laboratorio per 6 o 8 ore la settimana con la facilitatrice. Il resto del
tempo delle 40 ore stanno in classe con gli altri perché la lingua si impara anche in situazione. (Dirigente
scolastico).
Per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua ogni alunno
neoarrivato beneficia di un percorso individualizzato di insegnamento dell’italiano come
seconda lingua condotto dall’insegnante facilitatrice distaccata dall’insegnamento proprio con
questo compito. L’attività di questa insegnante si svolge all’interno di una classe dedicata al
laboratorio, nella quale vi è molto materiale che richiama una chiara valorizzazione del plurilinguismo. Il lavoro della facilitatrice è a tal punto apprezzato dai genitori stranieri che alcuni
chiedono di poter far frequentare il laboratorio anche a bambini nati in Italia.
La Casa del Sole ha attivato anche dei percorsi di valorizzazione del pluri-linguismo, in
particolare per quanto riguarda l’insegnamento della lingua araba ad arabofoni, partecipando
attivamente alla rete Valori. Nei locali della scuola viene poi ospitata una associazione cinese
che attiva corsi di cinese per madre lingua il sabato, insegnando a circa 140 bambini. Secondo
il dirigente sarebbe auspicabile che questi insegnamenti venissero allargati anche agli italiani,
al fine di garantire un vero pluri-linguismo, ma per il momento non vi sono risorse
disponibili.
Per quanto riguarda le relazioni con le famiglie straniere e per l’orientamento una parte
preparatoria viene svolta direttamente dal Comune di Milano che invia una lettera alle
famiglie che hanno frequentato la scuola di infanzia con tutte le informazioni necessarie a
presentare l’iscrizione alla scuola primaria pertinente al bacino di utenza. Ad ogni modo il
dirigente rileva la persistenza di difficoltà oggettive rispetto ai contatti e alle comunicazioni
con le famiglie straniere che riguardano soprattutto orari e lingua.
Per le famiglie straniere c’è oggettivamente una difficoltà dovuta soprattutto agli orari. Molto spesso poi, in
particolare le famiglie arabe, non hanno un livello di conoscenza della lingua italiana che consenta di parlare con
le maestre. Abbiamo ora un progetto che cerca di coinvolgere le famiglie italiane nell’aiutare le famiglie
straniere, per consentire un minino di aiuto. Non per forza in caso di situazioni gravi. Però rimane la difficoltà
della differenza sociale. (Dirigente scolastico).
Passando ora alle azioni per l’interazione interculturale, dagli operatori emerge con
chiarezza come la scuola stia potenziando proprio questo aspetto.
Il nostro discorso adesso è certamente rivolto soprattutto agli italiani: il problema è veramente quello di far
capire agli italiani e alle famiglie italiane che in ambiente di questo tipo è un ambiente ricco, che forma dei
15
ragazzi che hanno delle potenzialità in più, una migliore dinamica relazionale di accettazione dell’altro.
(Insegnante)8.
In merito agli interventi sulle relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico la scuola,
coadiuvata dall’insieme delle associazioni che gravitano attorno al parco, presenta un’ampia
gamma di attività. Rispetto agli interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi non si è
venuti a conoscenza di specifiche attività a riguardo.
Infine, riguardo allo sviluppo delle prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze,
la scuola sembra improntata a un chiaro orientamento interculturale come del resto mostrano
anche le immagini riportate.
Secondo i criteri di qualità e di innovazione impiegati per valutare i progetti di educazione
interculturale elaborati nell’ambito dell’esperienza della Banca dati dei progetti interculturali
dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità della Lombardia (Colombo,
2007), il progetto Interculture-Colibrì ha raggiunto un punteggio che ne attesta il carattere di
eccellenza in termini di qualità e elevata innovatività.
In passato la scuola ha fatto parte della rete La.Te.R.Fi. – Laboratorio Territoriale per la
Ricerca e Formazione degli Insegnanti – che ha visto la Casa del Sole partecipe di un’ampia
rete di istituti scolastici impegnati nella formazione. L’Istituto ha poi fatto parte della rete
cittadina Octopus – per la progettazione in rete dei corsi di alfabetizzazione di italiano come
seconda lingua.
Attualmente la scuola sta partecipando la progetto Interculture finanziato e promosso dalla
Fondazione Cariplo che sta consentendo, oltre al potenziamento e alla sistematizzazione di
quanto finora realizzato, una razionalizzazione concertata dei rapporti con le associazioni e le
richieste che esse fanno alla scuola. Se da un lato il dirigente è sempre stato molto disponibile
nei confronti del territorio, dall’altro questo atteggiamento ha spesso comportato il rischio di
una dispersione delle esperienze e, soprattutto la perdita di controllo rispetto alla ricaduta
didattica delle molte iniziative che si attivano nel parco.
Nel corso degli anni è venuta a determinarsi una situazione per cui i molti soggetti che
gravitano sul parco corrono paralleli a fronte di una sempre maggiore necessità di condivisione delle esperienze. A tale proposito il progetto Interculture costituisce un’opportunità
molto importante ai fini dell’elaborazione di una progettazione partecipata che consenta lo
sviluppo un vero lavoro di rete dentro e fuori la scuola.
Attraverso il progetto biennale Colibrì – Interculture (aa.ss. 2007/08-2008/09) si sta
migliorando la sinergia tra soggetti esterni alla scuola e corpo docente. Attraverso la
costituzione del Centro Multiculturale, si sta passando da una fase di collaborazione a una di
cooperazione formalizzata attraverso un protocollo di intesa e resa concreta attraverso la
progettazione congiunta di un percorso teatrale per i più piccoli.
Per molto tempo le associazioni, anche quelle presenti da anni sul territorio, hanno lavorato un po’ in parallelo, a
volte anche in concorrenza. Questo percorso (il progetto Interculture-Colibrì) ci ha permesso invece di maturare
un altro punto di vista: uno, una conoscenza maggiore reciproca e quindi una capacità di progettare, calibrare, di
assumersi ciascuno delle responsabilità specifiche. Noi associazioni abbiamo accettato ben volentieri la centralità
della scuola come un terreno che ci permettesse di agevolare, anche fra noi, un rapporto di scambio. La scuola è
il centro delle associazioni, è qualcosa di più di quello che c’è stato fino ad adesso: uno spazio che, anche se
offerto dalla scuola, deve diventare uno spazio comune, il simbolo di un’integrazione e non solo uno spazio che,
a ore, Oggi lo utilizzo io, domani tu. (Presidente associazione Fiorella Ghilardotti) 9.
8
Materiale relativo al focus group svoltosi nel mese di gennaio 2009 nell’ambito del progetto Interculture della Fondazione
Cariplo.
9
Materiale relativo al focus group svoltosi nel mese di gennaio 2009 nell’ambito del progetto Interculture della Fondazione
Cariplo.
16
Da quanto finora riportato risulta evidente che la scuola ha sviluppato un’ampia serie di
attività che coprono i vari ambiti dell’educazione interculturale attivando anche una sinergia
con il privato sociale che, proprio nel corso degli ultimi tempi, ha visto un significativo
sviluppo a favore di una sempre maggiore cooperazione e integrazione delle attività svolte.
1.4 Professionalità degli operatori
Dopo aver condotto una ricognizione sul patrimonio progettuale in chiave interculturale,
passiamo ora a considerare il giudizio delle famiglie straniere nei confronti della scuola e dei
suoi operatori. Iniziamo con il riportare i giudizi negativi, per poi passare a quelli positivi.
Io con la mia maestra sono arrabbiatissima perché mi sento presa in giro perché gli insegnanti, non tutti, ma
quelli che ho incontrato nella mia esperienza, con il mio primo bambino, non sono andati bene. Io dico che non
mi hanno aiutato con il mio bambino. L’insegnante dice: Guarda suo figlio è rimasto sempre lo stesso. Io avevo
chiesto cambio classe, ma mi hanno detto che è troppo difficile, se no tutte le mamme cambiano classe. Io però
ho una motivazione necessaria. Se avesse insegnanti diversi forse potrebbe cambiare. (Mamma etiope di alunno
e alunna di scuola primaria).
Si tratta di una mamma etiope il cui figlio presenta particolari difficoltà di apprendimento
che a suo giudizio la scuola non risolve e che, a causa di ciò, ha maturato un rapporto
fortemente conflittuale nei confronti degli insegnanti.
S. va a scuola tutti i giorni, per quattro anni, un po’ ha imparato, ma poco. Il bambino è insicuro, si sente più
piccolo di quello che è, si perde sul gioco, si distrae, e perde quello che dicono in classe. Se però io ho accettato
tutto quello che mi hanno detto loro (gli insegnanti), il mio bambino non si porta dalla prima alla seconda, dalla
seconda alla terza, sempre con il voto di sufficiente. Gli fa comodo a loro avere un terzo insegnante (l’insegnante
di sostegno) in classe che aiuta loro e non il mio bambino. Qui è la presa in giro. Sempre avrà voto sufficiente e
lo portano avanti, anche se lui non è capace. Se ripetesse per me sarebbe necessario, ma non mi ha ascoltato
nessuno. Anche se perde una classe, non succede niente. Loro dicono che lo portano avanti per non farlo sentire
insicuro. (Mamma etiope di alunno e alunna di scuola primaria).
La stessa mamma tuttavia, seppur molto scontenta degli insegnanti del figlio, esprime però
un giudizio decisamente positivo riguardo alle maestre della figlia.
Mi trovo bene con gli insegnanti della mia bimba. Con E. per adesso è tutto a posto. Ha due insegnanti, quello
che vedo su di lei va bene. Lei si sente affezionata agli insegnanti. Si sente a casa sua, si sente sicura con loro.
Da una parte mi sono arrabbiata, dall’altra mi trovo bene. (Mamma etiope di alunno e alunna di scuola primaria).
Anche un’altra mamma del Bangladesh, pur avendo avuto esperienze negative con alcuni
insegnanti, valuta positivamente le abilità professionali di una maestra giovane, che ha saputo
capire il figlio.
C’è una maestra gentile e bravissima. È come fosse una nostra sorella. Ce ne è una, due o tre, è per questo che
siamo ancora in Italia. Come la maestra Elisa, non è adulta, è ancora giovane ma è brava brava. C’era un’altra
maestra che capiva subito il carattere dei bambini, ma non aveva pazienza, invece Elisa, anche se deve ancora
studiare (perché è molto giovane) è più brava. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Come si vedrà meglio più avanti, il problema di questo alunno era primariamente di natura
relazionale e, come spesso accade, si traduceva poi in uno scarso rendimento scolastico e in
un più generale malessere. Secondo il racconto della madre i compagni di classe del figlio lo
insultavano spesso con frasi razziste e le maestre minimizzavano senza comprendere il
disagio che ciò provocava al bambino. La situazione è però repentinamente cambiata con
l’arrivo di un’insegnante che, malgrado la giovane età, ha saputo gestire il gruppo classe in
modo tale da eliminare comportamenti di questo tipo.
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Prima di più, poi quando è arrivata Elisa, è cambiata la maestra, hanno capito, io ho pianto davanti a loro, e
adesso anche l’altra maestra è un po’ cambiata. Lei piace a tutti i bambini, abbiamo parlato, lei è giovane, 25 o
27, lei ha cambiato. Quando è arrivata anche mio figlio si sente bene, anche l’altra maestra è cambiata, ha capito
che questa cosa non va bene. Quando è arrivata Elisa è veramente cambiata la situazione. Lei ha capito S. che
stava male. Anche i compagni sono cambiati, prima erano cattivi, sempre dicono tu sei nero, nero è schifo,
negro, e il mio bambino si sentiva male, diceva le parolacce, adesso no. Mio figlio non parla bene, mamma tu
dici che io devo imparare corsivo, ma la maestra dice che io non scrivo ancora bene maiuscolo e non posso
scrivere corsivo. Però quando arriva Elisa lei glielo ha insegnato e adesso lui, solo in sei mesi, scrive benissimo.
(Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
I genitori stranieri osservano gli insegnanti con molta attenzione e giudicano il loro
operato.
Ogni tanto le maestre chiacchierano e lasciano i bambini, anche per tanto tempo. Noi quando lavoriamo non
facciamo così. Io le vedo quando vado al colloquio. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Altri genitori mettono in luce le grandi difficoltà a cui è costantemente sottoposto il corpo
insegnante in una scuola ad alta concentrazione di alunni stranieri.
Per gli insegnanti è difficile seguire dieci etnie, dieci mamme con diverse culture. Capisco che è difficile. Anche
gli insegnanti sono stressati. C’è il bambino cinese, quello tedesco, quello italiano, quello marocchino. La scuola
italiana – specialmente qui, dove ci sono solo 5 o 6 bambini di origine italiana per classe e tutti gli altri o sono
misti come me o stranieri – è molto stressata. Io capisco che è stressante per loro (per gli insegnanti), però perché
non si discute, perché non si parla? Perché non ci uniamo? Cosa si sbaglia in questa scuola? Perché diventiamo
così? Perché non si discute insieme? Certe persone non sono aiutate. (Mamma etiope di alunno e di alunna di
scuola primaria).
In chiave costruttiva vengono anche delineate alcune soluzioni possibili rispetto alla
situazione di stress delineata, suggerendo in particolare l’inserimento di insegnanti giovani,
che hanno quindi una maggiore energia da spendere con gli alunni e, probabilmente una
formazione professionale più in linea con le esigenze dell’utenza multietnica.
Aumentare sì, anche professionalmente e poi dare insegnanti più giovani, in modo che riescono a controllare i
bambini e insegnano in modo giusto. Non che gli insegnanti vecchi non sanno dare, però ci vogliono anche
insegnanti giovani. Non si può tenere lì a scuola gli insegnanti fino che vanno in pensione. Alcuni sono stanchi,
sono stufi, li vedi che sono proprio spremuti, a livello fisico e anche a livello mentale. Tenerli non è giusto.
Nessuno assume uno di cinquant’anni per fare i mestieri di casa, preferisce uno di trenta o venticinque anni. E
anche con i bambini ci vuole energia, capacità. Ci vogliono tante cose per fare l’insegnante. Ogni bambino è
diverso, non ci si assomiglia tra fratello e sorella, figurati tra dieci etnie, come si fa? (Mamma etiope di alunno e
alunna di scuola primaria).
1.5 Qualità delle relazioni
Per quanto riguarda la percezione che i genitori stranieri intervistati hanno nei confronti
delle relazioni che si instaurano all’interno dello spazio sociale scolastico, iniziamo con il
considerare le relazioni tra scuola e famiglia, passando poi alle relazioni tra i figli e gli
insegnanti, ai rapporti di amicizia che si instaurano tra i compagni di classe e ai contatti tra
genitori.
Rispetto alle relazioni che i genitori stranieri intrattengono con la scuola non sono emersi
problemi particolari per quanto riguarda il momento dell’iscrizione. La decennale esperienza
della scuola oggetto di studio di caso rispetto alle pratiche di prima e di seconda accoglienza,
orientate da una mission scolastica dichiarata nei termini di un’accoglienza degna, mostra
quindi risultati positivi. Questo dato è significativo in quanto dimostra concretamente che, in
virtù dell’esperienza, certe pratiche possono essere sviluppate attraverso procedure che
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consentono un passaggio efficace da una fase emergenziale a una gestione razionale di
neoarrivi anche in corso d’anno. Rispetto alle modalità di comunicazione tra scuola e famiglia
i genitori stranieri apprezzano grandemente l’uso di una modalità semplice ma efficace come
quella della compilazione quotidiana del diario.
Buone le comunicazioni attraverso il diario, che il padre legge quotidianamente. È un metodo abbastanza buono.
(Papà egiziano di alunna scuola materna e alunna scuola primaria).
C’è questo diario dove la scuola comunica tutto. Da noi non c’è. Ti chiamano solo se ci sono problemi. Mi piace
tanto perché posso sapere tutto. (Mamma rumena di alunno e di alunna di scuola primaria e di studentessa di
scuola secondaria superiore).
Tuttavia a fianco di queste annotazione positive, viene richiamata l’esigenza di una
maggior attenzione dei confronti delle condizioni lavorative dei genitori che, soprattutto per
quanto riguarda gli stranieri, sono particolarmente pesanti, rendendo faticoso l’assolvimento
della funzione genitoriale.
La scuola in Italia non considera tutta la fatica dei genitori, trascura i genitori e anche la comunicazione è
trascurata. Quando un genitore vuole aiutare i propri figli gli insegnanti non sono disposti ad aiutare. (Mamma
etiope di alunno e alunna di scuola primaria).
Sempre in tal senso un padre egiziano sottolinea la necessità dell’uso di mediatori
linguistico-culturali che consentirebbero alla moglie che, a differenza sua, non lavora, di avere
un rapporto più agevole con la scuola pur essendo meno capace di esprimersi e di
comprendere la lingua italiana.
Ogni volta devo venire io, devo intervenire io, anche se la bambina sta male chiamano me non
chiamano mia moglie. Chiamano me e io poi devo chiamare lei. Sono sempre stato io a fare il ponte
della comunicazione tra la famiglia e la scuola (i mediatori linguistico culturali) sono pochi, per
esempio se io non parlo l’italiano e ho bisogno di un mediatore culturale adesso non lo trovo perché
sono pochi, hanno orari precisi, perché hanno un giorno o due giorni alla settimana o al mese. Non ci
sono sempre. Sono pochi. Credo che in una scuola multietnica come questa dovrebbero esserci, ma
non li vedo. Le mamme sono qui a scuola più del padre, perché sono loro che accompagnano la
bambina a scuola e intanto il padre lavora. Loro hanno il contatto più del padre, ma trovano fatica per
capire tutto e il padre deve intervenire sempre, perciò se ci sono i mediatori culturali con un posto
fisso. È un punto importante quello del mediatore culturale perché le mamme, che sono quelle che
frequentano la scuola, sono arrivate più tardi dei padri perché il padre per prendere la moglie deve
avere un tot di reddito, una casa. Perciò deve essere integrato prima nella società che parla meglio
l’italiano più che la mamma, e la mamma viene dopo e deve frequentare la scuola, perciò nella
conoscenza dell’italiano sono inferiori ai padri, magari il padre non è disponibile tutti i giorni e se ha
orari (di lavoro) che coincidono con quelli della scuola non può venire mai. Perciò manca sempre quel
comunicato, l’informazione. Mia moglie può capire delle cose banali ma non le cose precise. (Padre
egiziano di alunna di scuola materna e di alunna di scuola primaria).
A volte, poi, la comunicazione risulta difficoltosa a causa di vere e proprie incomprensioni
tra genitori e corpo insegnanti che degenerano in rapporti conflittuali.
Io vorrei sapere giorno per giorno cosa è successo, o una volta alla settimana, però non mi dicono niente, in
quattro anni mi dicono sempre le stesse cose. Non si può così! Non danno rispetto ai nostri figli. Se non c’è
comunicazione non esiste niente. L’ultimo colloquio che ho fatto ero proprio arrabbiatissima, c’era il preside,
insegnanti, e mi dicono sempre le stesse cose e il preside sempre copre. Appena mi vedono mi dicono: Lei cosa
vuole? Lei è troppo stressata! Non c’entra lo stress! Loro (gli insegnanti) non sono psicologi di noi genitori, loro
sono insegnanti di bambini! Loro dicono noi abbiamo 23 bambini, non possiamo insegnare soltanto a S.
All’ultimo momento non volevo più parlare con loro! (L’insegnante) mi ha detto: Tanto il mio stipendio c’è l’ho
lo stesso, insegno da tanti anni, vada dove vuole. Io adesso economicamente non posso spostare mio figlio. Se
avessi la possibilità, ma comunque non si sa mai quello che si trova, però sappiamo quello che abbiamo e non va
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bene. Io persino non parlo con gli insegnanti dei miei bambini. Non voglio neanche vederli e non posso neanche
andare (a scuola). All’ultima seduta mi hanno detto: devi cambiare scuola. Non posso cambiare la classe, ma
devo cambiare scuola. Ma io lavoro qui, ho avuto la possibilità di comperare la casa qui. Gli insegnanti non
aiutano il bambino, dicono: Lei è una mamma così, lei si vuole sfogare, lei vuole parlare, e in questi momenti mi
fanno esplodere di più! Quando si chiede un’informazione è molto difficile averla. Ad esempio, io chiedo alla
maestra Giovanna: Oggi è successo qualcosa? Oh, io oggi non c’ero in quest’ora, c’era l’altra maestra. Allora
chiedo all’altra e lei dice: Io non c’ero. Si mettono d’accordo e non danno nessuna informazione. Veramente in
un certo senso la scuola fa schifo. E io non posso difendermi. Perché quando poi mi danno la disponibilità
chiedo di più e loro mi sentono appiccicata e pensano che mi devono frenare e mi fanno un ostacolo. A me non
sta bene un bambino portarlo per quattro anni con sufficiente, con insegnanti che danno sempre sufficiente, tanto
poi c’è il sostegno, tanto la mamma parla parla, ma poi sta zitta. (Mamma etiope di alunno e di alunna di scuola
primaria).
Dalle parole della donna risulta chiaro che ci si trova di fronte a un caso molto particolare.
Si tratta di una situazione rispetto alla quale la forte animosità della madre sorge dalla
preoccupazione nei confronti del mancato apprendimento da parte del figlio. L’ansia della
madre però, al posto di essere gestita dalla scuola, risulta esasperata dall’atteggiamento di
sufficienza delle insegnanti. Oltre a ciò, da un breve passaggio di intervista la madre
manifesta una sorta di accusa nei confronti delle maestre che tendono forse ad etichettare
alcuni genitori.
Gli insegnanti quando ti trovano un difetto, questo difetto ti distrugge, loro ti attaccano su quello e non ti
mollano! Per me è diventato pesante. (Mamma etiope di alunno e di alunna di scuola primaria).
Del resto non tutti i casi di difficoltà di apprendimento hanno ripercussioni così negative
sulle relazioni tra insegnanti e genitori. È questo il caso di una mamma ecuadoriana che, pur
non essendo stata inizialmente ascoltata dalle maestre, ha saputo muoversi e risolvere in
autonomia la situazione di difficoltà della figlia, individuando da sola, al di fuori del contesto
scolastico, persone che fossero in grado di aiutarla.
Mia figlia ha un problema perché non sta mai attenta. Io la porto dalla psicologa perché il primo anno non ha
imparato nulla. Io continuavo a preoccuparmi. Io questo lo avevo visto fino dalla materna. E continuavo a dire
alle maestre che non impara, che si dimentica di tutto. E loro dicevano No signora, i bambini sono così, ci vuole
tempo. Io dicevo di mandarmi da una psicologa, ma nessuno mi ha dato retta, nessuno. Fino all’anno scorso. Ho
visto che non imparava niente, che si dimenticava di tutto. Non sapeva nulla, non sapeva la lettera A, la B, la C,
non sapeva nulla, i numeri, è stato un disastro l’anno scorso. Io mi mettevo a piangere senza sapere cosa fare.
Tutti i bambini imparavano a leggere, i numeri, invece C. no. Non sapevo cosa fare. Allora sono andata dalla
dottoressa per sapere se mia figlia aveva qualcosa. Le maestre dicevano che i bambini ci mettono più tempo, ma
io volevo essere sicura. Anche perché io e mio figlio abbiamo una piccola dislessia, ma poco. Leggiamo al
contrario. Ho detto magari è questo, ma non mi davano retta. Finalmente sono andata dalla pediatra e mi ha dato
una visita dalla psicologa e da lì sono andata allo Uompia, dove aiutano i bambini a sviluppare l’intelligenza e la
memoria. È lì da più di un anno e ho visto dei miglioramenti. La psicologa parla con le maestre e dicono che ha
fatto dei passi giganteschi, però comunque nella pagella è sufficiente. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola
primaria).
Sebbene la bambina e la donna, malgrado le ripetute richieste, non abbiano ricevuto aiuto
dalla scuola, il giudizio espresso nei confronti delle maestre è positivo.
Aveva anche un po’ paura della maestra. Però la maestra è brava, è severa ma è anche brava. L’avevo detto
anche al preside, quando sono venuta a iscriverla in prima. E lui mi ha detto che avrebbe avvisato le maestre, ma
non è stato così. È per questo che poi io mi sono mossa da sola. Adesso anche le maestre stanno più attente. Si
chiamano con la psicologa. Non pago niente, è tutto gratuito. Andranno avanti ancora, però sta migliorando.
(Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria e di studente universitario).
Le difficoltà espresse dai genitori non si limitano tuttavia ai casi di difficoltà di
apprendimento. Altre volte queste sono attribuite a forme di pregiudizio nei confronti dei
genitori stranieri da parte degli insegnanti.
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Quando loro (i genitori italiani) fanno un piccolo errore è capito, quando noi (genitori stranieri) facciamo un
piccolo errore non è capito, vale per noi e vale per i nostri bambini. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di
scuola primaria).
Ci sono mamme che, malgrado la percezione di un evidente disagio da parte del figlio,
preferiscono non intervenire, in virtù di un particolarmente elevato senso del rispetto nei
confronti dell’istituzione scolastica. Ad ogni modo il minor riserbo dei genitori italiani nei
confronti degli insegnanti pare essere quasi invidiato dai genitori stranieri che, in fondo,
rinunciano ad avere un rapporto più diretto con gli insegnanti in forza di un senso di
insicurezza legato essenzialmente al loro essere stranieri.
Noi non chiediamo mai agli insegnanti, non perché abbiamo paura, ma per rispetto. Non facciamo come i
genitori italiani che chiedono sempre come vanno i loro figli. Loro chiedono di più e hanno un altro rapporto
perché parlano bene, perché hanno bei lavori, perché conoscono la legge, noi no. (Mamma 01 del Bangladesh di
alunno di scuola primaria).
Inoltre, a volte, questo rispetto pare trasformarsi in una sorta di timore rispetto a eventuali
ritorsioni da parte degli insegnanti nei confronti dei figli.
Io non ho detto niente se no poi lo trattano male, pensano male e lo trattano male. All’asilo è andata così. Perché
io non capivo e allora chiedevo. Prima all’asilo io parlavo con le maestre. Scusa perché hai sgridato ieri senza
motivo mio figlio? E mi hanno guardato male. Allora alle elementari io non ho più detto niente. Voglio avere un
buon rapporto con le maestre, anche perché così se succede qualcosa mi avvisano e mi chiamano, altrimenti no.
(Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Se da alcune interviste effettuate rispetto alla percezione che i genitori hanno del rapporto
tra figli e insegnanti, si registra l’assenza di problemi, in altre emerge con forza la presenza di
atteggiamenti connotati da pregiudizio da parte degli insegnanti nei confronti dei figli.
I rapporti tra mia figlia e le maestre vanno abbastanza bene, non ho mai avuto problemi o complain di qualcuno,
A. dice che è tutto a posto, sono bravi, attenti, capiscono la situazione sua che è un po’ incasinata, con la salute, e
capiscono bene che lei è forse inferiore degli altri perché ha cominciato 4/5 anni dopo gli altri. Hanno apprezzato
molto il lavoro che ha fatto lei, l’impegno, l’attenzione, tutto. (Padre egiziano di alunna della scuola di infanzia e
di alunna di scuola primaria).
Se il giudizio del padre egiziano nei confronti delle relazioni tra le sue figli e le insegnanti
è totalmente positivo, diversa è la situazione delle due mamme del Bangladesh che esprimono
un certo risentimento nei confronti delle insegnanti che trattano i loro figli diversamente da
come vengono trattati gli italiani.
All’asilo bene, sì bene. Però noi stranieri abbiamo tanti problemi, un nostro problema (è che gli insegnanti)
vedono anche a scuola la differenza. Tutti non è uguali. Prima forse le maestre devono guardare bene, deve
aiutare di più gli stranieri. Per noi è tutto nuovo e non capiamo. L’Italia è molto diversa dal nostro paese, la casa,
il mangiare, i vestiti. Per i nostri bambini è tutto diverso. (L’insegnante) pensa Perché questi non capiscono?
(Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Secondo la madre le differenze etniche e culturali rivestono un ruolo molto significativo
anche all’interno dello spazio sociale scolastico e vengono fortemente percepite dalle stesse
insegnanti. A tale proposito chiede alle stesse maggiore attenzione per comprendere la
complessa situazione in cui si trovano figli e genitori immigrati. Un’altra donna del
Bangladesh esprime un giudizio piuttosto forte nei confronti delle insegnanti che, a suo
parere, usano atteggiamenti, comportamenti e metri di giudizio diversificati tra alunni italiani
e non.
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Quando i nostri bambini fanno una cosa piccola, diventa una cosa grande, se lo fa un bambino italiano non c’è
problema. (Mamma 02 Bangladesh di al4unni di scuola primaria).
A seguito di problemi legati ai comportamenti razzisti da parte dei compagni di classe,
minimizzati o avallati dal corpo insegnante, i figli a volte chiedono ai genitori di cambiare
scuola, pensando che in un altro ambiente la situazione possa essere migliore.
Tante volte (mio figlio) mi ha detto: Mamma cambio scuola, e io ho detto: S. cambi la scuola ma se poi non ti
trovi bene dove vai? Cambiare la scuola non è una soluzione. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola
primaria).
Tuttavia i genitori, che conoscono meglio dei figli il razzismo, ritengono che il problema
non possa essere aggirato cambiando scuola. Sanno infatti che gli stessi problemi potrebbero
sorgere anche altrove e perciò preferiscono lavorare direttamente sui figli, cercando di fornire
loro gli strumenti per difendersi e fortificarsi.
Quando mio figlio è a casa io gli dico ‘Non c’è problema tu devi diventare bravo, solo questo. Mio figlio è nero,
voi fate così (assumete comportamenti razzisti), non è giusto (piange) perché mio figlio quando arriva a scuola si
sente male. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Un episodio particolarmente grave viene riportato sempre dalla stessa donna che racconta
l’episodio piangendo sebbene il fatto in questione non riguardi direttamente il figlio, ma i
bambini e le maestre di un asilo in cui la donna lavora al servizio mensa.
A scuola veramente ci sono problemi per i bambini stranieri. Anche dove lavoro, all’asilo, io lavoro alla mensa.
Se i bambini stranieri fanno qualcosa di piccolo i maestri gridano molto: Perché tu fai così? Tu fai sempre così!
E sgridano di più. Poi quando vanno in bagno a fare i bisogni e chiamano per essere puliti nessuno va, li lasciano
lì anche venti minuti, mezz’ora e piangono, Claudia vieni! ma nessuno va, e i bambini piangono. Solo due o tre
maestre fanno così, però ci sono. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Queste testimonianze sono molto significative perché consentono di esplorare, seppur in
forma, piuttosto embrionale, realtà poco indagate e difficilmente osservabili. È infatti molto
difficile intercettare forme di razzismo, soprattutto negli ambienti che, come la scuola di
infanzia o primaria, sono ritenuti protetti. Come purtroppo mostrano chiaramente le parole
della donna, è erroneo pensare che i bambini non possano essere vittime di situazioni di
questo tipo e, a parere di chi scrive, questi aspetti andrebbero ulteriormente indagati con studi
e ricerche ad hoc.
Per concludere questo paragrafo relativo alle forme di razzismo e discriminazione che gli
insegnanti manifestano nei confronti dei bambini stranieri, si riporta un episodio che, seppur
non veda coinvolti insegnanti della scuola, è particolarmente significativo perché riguarda un
momento particolare delle attività extrascolastiche promosse dalle associazioni che gravitano
sul parco. Durante uno dei pomeriggi organizzati dall’Associazione Amici del parco Trotter,
per la presentazione di personaggi celebri del mondo del fumetto, raccontati dagli stessi
autori, riportiamo il vissuto di una madre e del figlio.
Il 12 febbraio scorso siamo andati al programma del fumetto, nelle prime file ci sono i bambini, poi i genitori. Ci
sono tanti italiani, loro danno libri mio figlio ha alzato prima mano e hanno dato il fumetto a tutti, ma non a lui.
L’hanno dato prima agli italiani, non l’hanno dato a mio figlio, lui mi ha guardato e io ho detto fa niente, ma lui
ha visto che mi sentivo male e mi ha detto: forse l’hanno dato a lei perché è più piccola di me. Lui capisce tutto,
lui capisce e questo è il mio problema (piange). Mi sono sentita malissimo. Mio figlio è educato, perché non gli
hanno dato il libro? Dopo siamo andati via e non siamo tornati più. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di
scuola primaria).
L’assenza di bambini e genitori stranieri a queste iniziative è stata rilevata anche in sede di
ricerca etnografica. Presenziando a uno di questi appuntamenti, a fronte di un folta
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partecipazione di bambini e mamme italiane, vi è stato modo di notare la totale assenza di
stranieri.
Purtroppo il razzismo è presente anche nelle relazioni tra compagni di classe.
Mio figlio mi ha detto tante cose, io gli dico dai passa. Lui è un po’ nero e i compagni italiani lo vedono sempre
diverso, anche le mamme. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Altri genitori osservano che queste dinamiche sono assenti e che prevalgono invece i
rapporti di scambio e amicizia che vanno al di là delle differenze fenotipiche.
I bambini tra di loro comunicano, giocano insieme, scontro violento non c’è mai stato, passano la giornata
tranquillamente. Adesso c’è il sole, stiamo tutti insieme, chiacchieriamo. Quando è inverno tutti scappa, scappa.
(Mamma etiope, scuola primaria).
Particolarmente interessante è il parere di una mamma che, avendo conosciuto un ambiente
sociale poco accogliente, ritiene che lo stesso possa valere anche per i suoi figli.
Siccome io non ho tanti amici, penso che anche mi figlio non ha tanti amici, (nell’intervallo) mio figlio rimane
da solo, dietro un albero, e mi dice mamma lo sai oggi tanta noia, non ho giocato, bruttissima giornata. (Mamma
02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Una riflessione più articolata rispetto a questo tema viene proposta dal padre egiziano che,
osservando che la figlia gioca prevalentemente con compagne di classe straniere, prova a dare
una motivazione rispetto a quello che vede.
Un’amica preferita? Quello che ho notato è che sono due straniere e quello anche è un punto interrogativo, una
russa e una egiziana. Riesco magari a capire perché. Perché lei è venuta più tardi, loro (gli altri compagni di
classe) si conoscono da due anni prima che lei viene da loro, i gruppetti sono già stati costruiti, la nuova arrivata
è un po’ antipatica, un po’ strana, non parla, perciò ci vuole del tempo perché riesce a conoscere tutti. (Padre
egiziano di alunna di scuola primaria).
L’uomo sottolinea l’esistenza di una tendenza presente all’interno del gruppo classe a
raggrupparsi in base alla provenienza.
Per esempio quando escono a giocare, se c’è un gioco che si fa in due o tre loro scelgono il partner (della stessa
nazionalità), cose che si fanno sempre da piccoli, anche se si è della stessa nazionalità, però tante volte uno si
sente un po’ estraneo non dice è solo perché sono antipatico o simpatico, ma perché sono diverso. Forse non è
vero, però fa star male, ho notato, lei non è così che lo sente o lo capisce, lei non è cosciente, ma io dalle sue
parole capisco, però a dir la verità non è così grave. Le cose non sono così forte o così gravi, i bambini in fondo
sono tutti puri, non sono come noi che abbiamo dei pregiudizi, che abbiamo una cultura che ci fa vedere le cose
in un modo particolare, stanno ancora costruendo la loro opinione. (Padre egiziano di alunna di scuola primaria).
Mettendo poi a confronto la situazione relazionale della figlia più piccola, che frequenta la
scuola di infanzia il padre rileva una maggiore facilità di relazione.
L’altra (figlia) dell’asilo si trova con bambini che trovano fatica a pronunciare le prime parole, non ha problemi,
parla meno di loro l’italiano, non ha un vocabolario come hanno loro, però non ha problemi, è tutto regolare.
(Padre egiziano di alunna di scuola primaria).
Per i bambini che frequentano l’asilo i rapporti sono meno connotati in questo senso. I
rapporti invece si complicano con l’aumentare dell’età. Dal brano di intervista che segue si
evince come le preoccupazioni dei genitori stranieri rispetto al fatto che i loro figli fatichino a
instaurare relazioni con i bambini stranieri viene generalmente sottovalutato dagli insegnanti.
C. non si inserisce con gli italiani, ma più con gli stranieri. È stato fin dalla materna. Le bambine italiane non
volevano parlare con C. E io sempre ho parlato con le maestre. Perché i gruppi degli italiani e i gruppi degli
stranieri? Questo alla materna. E le maestre dicevano No, non è così. Le altre bambine si sono conosciute prima,
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C. è arrivata dopo. Però anche con le altre bambine non era così. Fino adesso non è che si inserisce tanto nel
gruppo degli italiani. Anche perché non ce ne sono tante. Anzi, nessuna. C’è una mista dal Brasile con un
italiano, un’altra bambina mista con albanese. Ma bambine italiane no. All’asilo però c’era la situazione dei
gruppi di italiani e stranieri. E io ne ho sempre parlato. Mi dispiaceva che lei stava sempre sola e triste, anche se
è una bambina molto socievole. Però non la facevano giocare. E le maestre non intervenivano. Non ho parlato
con le mamme perché non mi è venuto in mente. Ho parlato con altre mamme straniere. Dicevamo che perché le
mamme sono così, anche i figli sono così (ride). (Mamma ecuadoriana, scuola primaria).
A parere di chi scrive questa tendenza a minimizzare gli episodi di discriminazione e di
razzismo, fa parte di una propensione molto italiana a rimuovere il razzismo presente nel
Paese. A differenza di altri paesi europei, in Italia il tema del razzismo è per lo più sottaciuto
o comunque molto poco considerato.
Dalle interviste condotte è emerso in maniera trasversale rispetto alle provenienze, il fatto
che i genitori stranieri non gradiscono che i loro figli crescano in un contesto dove prevalgono
grandemente gli stranieri. In generale emerge infatti un giudizio negativo nei confronti della
elevata concentrazione di stranieri.
Sinceramente a me non piace così tanti stranieri. Perché le dico, ad esempio, dal mio paese, viene la gente
peggiore, peggiore, peggiore. Che non sanno vivere e non si integrano alle abitudini italiane. Non hanno, per dire
nella classe di mia figlia non si dicono parolacce, ma in altre classi ho sentito le bambine che dicono parolacce
come se fosse una parola normale. E non mi piace se mia figlia impara così, a me non piace. Nemmeno a me che
sono straniera piace che ci siano tanti bambini stranieri. Non è che gli italiani non dicono parolacce, ne dicono
tante anche loro. Anche io tante volte ho pensato di cambiare perché troppa gente è straniera e non sono gente
educata, non hanno buoni principi, non hanno cose belle da imparare dagli altri. A volte si impara anche dagli
altri bambini. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
A fianco della preoccupazione legata alla scarsa educazione delle persone immigrate, la
stessa mamma ecuadoriana esprime poi le difficoltà che si incontrano quando si prova a
instaurare amicizie con bambini che provengono da culture diverse.
Non si può fare amicizia perché hanno tante culture diverse. Queste dell’Afghanistan, questi indiani. C. ha
un’amica dall’India. Le ho detto C. invita questa bambina. No. Perché la mamma non la lascia andare nelle case
di persone che non sono delle loro amiche. Che amicizia può fare C. con tutti questi bambini stranieri che non
hanno la stessa cultura? Nemmeno a me piace questo. Io non mi sento contenta. (Mamma ecuadoriana di alunna
di scuola primaria).
La diversità culturale non viene tanto attribuita ai bambini, ma ai genitori che, in un certo
senso, le fanno pesare sui figli, condizionando i loro comportamenti sociali. Oltre che tra
stranieri di diversa provenienza culturale, analoghe forme di condizionamento si rilevano
anche tra i genitori italiani che, in alcuni casi, disincentivano i propri figli a intrattenere
rapporti di amicizia con compagni non italiani.
In un altro padiglione, le mamme dicono ai loro bambini di non giocare con i bambini stranieri. (Mamma 02 del
Bangladesh di alunni di scuola primaria).
La mia figlia grande (17 anni) mi dice: Io mi arrabbio quando dicono che sono rumeni, quelli non sono rumeni,
sono Rom! Una cosa è rumeno, un’altra è Rom! Qui se sei rumeno sei Rom, e basta! Ma noi lavoriamo,
paghiamo 800 euro di affitto. Ci sono quelli che non lavorano, che rubano, ma per dieci venti persone, non
possono e adesso, nell’ultimo tempo. (Mamma rumena di studentessa di scuola superiore).
I consigli che i genitori danno ai propri figli per vincere il razzismo che a volte subiscono
sono di diversa natura. Ci sono infatti mamme che preferiscono sdrammatizzare, aspettando
che i figli crescano per spiegare loro la realtà delle cose. Altre invece, pur affrontando il
discorso direttamente, minimizzano il peso di certi insulti e spronano i figli ad andare avanti
senza timore.
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Io gli dico ti devi proteggere con intelligenza, guarda avanti non indietro, studia, questo è importante. Non è
importante chi dice negro, chi dice povero. Noi lavoriamo, non rubiamo, tu non pensare a questa cosa. (Mamma
01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Mio figlio ha avuto problemi nell’amicizia. Perché nel nostro paese, penso in tutta l’America del Sud, siamo
molto legati all’amicizia, facciamo un’amicizia che dura tanto, invece qua, anche perché è stato poco con questi
ragazzi, solo tre anni, non è conserva fino adesso gli amici del liceo artistico, sì, qualcuno, ma non è lo stesso.
Lui ha sofferto tanto, perché là è un altro modo di vivere l’amicizia, di trovarsi, di uscire, invece qua no.
Mantiene contatto con amici là, rimane fino a tardi a parlare al computer con i suoi amici. A lui non piace tanto
l’Italia come vita. Il primo anno è stato in Spagna. Ha fatto quasi un anno di scuola in Spagna. E lì ha avuto cari
amici. Lì è stato perché lavoravo e non potevo portarlo qua. Quando mi sono sistemata è venuto qua ma non gli è
piaciuta la vita che si fa qua in Italia. Preferisce la Spagna che è più simile alla nostra. Vorrebbe andarsene in
Spagna, ma qui ha gli studi, il lavoro, i documenti. Se potesse andrebbe in Spagna, non in Ecuador, ma in
Spagna perché comunque in Europa ha più futuro. (Mamma ecuadoriana di alunna di università).
La scuola non può tanto incidere sulle amicizie. Viene più dalle famiglie, dalla cultura degli italiani, sono più che
non conservano tanto l’amicizia. Magari perché siamo stranieri. Magari per quello. Anche se io non ho avuto il
problema del razzismo. Pochissime volte mi hanno trattato male qui in Italia. Anche mio figlio. Quasi nessuno.
Poche brutte esperienze quelle del razzismo, ma non nell’ambito della scuola, sempre fuori. Nella scuola mio
figlio non ha avuto mai problemi. L’hanno considerato tanto, non ha avuto mai problemi in questo senso. La vita
che noi facciamo qua è molto diversa da quella del nostro paese. Lui si sentiva un po’ solo. Allora io penso che
ci dovrebbero essere più riunioni tra amici, gite, per conservare le amicizie. Non so se è questo del razzismo, mio
figlio dice di no. Non ci hanno trattato mai male, fuori negli uffici sì, a volte, ma nella scuola mio figlio non ha
avuto mai problemi. (Mamma ecuadoriana di studente universitario).
In virtù della particolare conformazione fisica della scuola nel parco si sarebbe potuto
supporre che le relazioni tra genitori fossero connotate da un segno positivo. Da una prima
ricognizione etnografica condotta all’interno del parco negli orari immediatamente successivi
all’uscita da scuola dei bambini, si rileva un’atmosfera particolarmente favorevole allo
scambio relazionale. Tuttavia la situazione che si delinea a seguito delle interviste mostra un
quadro ben più complesso. Al di là del clima festoso che si percepisce a un primo sguardo, le
occasioni di incontro tra genitori risultano limitate. Per alcuni questa scarsità di relazione sono
attribuibili prevalentemente alla mancanza di tempo che caratterizza la vita degli adulti che
vivono e lavorano a Milano.
Sì quando c’è qualche festa la mamma di una compagna di mia figlia ha detto dai un giorno ci incontriamo, però
non c’è stato tempo perché lavoro anche la domenica. Mi chiamano anche la domenica o sabato, ma non lo so
prima. Sì ci incontriamo qualche volta, ma solo per cinque minuti e basta, ciao ciao, non c’è tempo. (Mamma
rumena di alunni di scuola primaria e di studentessa di scuola superiore di secondo grado).
Alcuni genitori si sforzano di instaurare rapporti amichevoli con i genitori dei compagni di
classe dei propri figli in chiave anche strumentale rispetto al benessere di questi.
Sì, abbiamo avuto dei rapporti (con altri genitori). Siamo andati una volta che è stata invitata a un compleanno di
qualche amica, siamo andati, abbiamo comprato il regalo. Lei deve fare la sua vita, la sua vita è fatta a scuola,
perciò anche noi abbiamo capito che lei deve essere inserita, deve aver piacere di stare lì, altrimenti sarà un
disastro, se lei non riesce a fare amicizia o a star bene nel gruppo, a socializzarsi con tutti. (Padre egiziano di
alunna di scuola primaria).
Il processo di integrazione dei figli è anche fonte di preoccupazione per i genitori e viene
preconizzato come un disastro qualora dovesse fallire. Il disastro viene comunque prospettato,
indicando una forte apprensione dei genitori rispetto al futuro inserimento sociale dei figli. A
volte le mamme riescono a stabilire rapporti di amicizia forti. Ma questi casi sono
decisamente minoritari. È questo il caso di una mamma dell’Ecuador che ha sviluppato un bel
rapporto di amicizia con una mamma cinese.
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La migliore amica di mia figlia è una bambina cinese. Sono amiche fin dal nido e anche noi mamme siamo
diventate amiche, è un’amicizia forte. Usciamo anche al sabato, la domenica. Perché noi qui non abbiamo la
famiglia. Invece gli italiani non si può uscire con loro perché hanno la loro famiglia e stanno con loro. Invece
noi, essendo da soli dobbiamo per forza trovare altre persone straniere. Io sono sola, lei è sola e allora ci
troviamo. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
L’eccezionalità di questa situazione viene messa in luce dalla madre ecuadoriana che, in
considerazione della chiusura che generalmente viene attribuita alle comunità cinesi, reputa la
sua amica una cinese molto particolare.
La mia amica cinese io le dico Ma come mai tu sei così aperta? Perché io sono in Italia da più di vent’anni. Sono
italiana. Perché non si unisce alle amiche cinesi. È particolare. Lei viene a casa mia e mangia il mio cibo. Io vado
a casa sua e mangio il suo cibo. È strano. Tutti mi vedono con lei e mi dicono Come mai sei amica di una cinese?
E siamo molto amiche perché tutte le mattine facciamo colazione insieme al bar. (Mamma ecuadoriana di alunna
di scuola primaria).
La stessa donna tuttavia, segnala quanto sia difficile stabilire contatti, anche solo
superficiali, con madri di altre provenienze.
Ma invece con una dall’India o una mamma dall’Egitto, non possiamo, non ci sta. Con loro non è possibile, sono
molto chiuse. Io vedo questa bambina dell’India, che non riesce tanto a scuola, mia figlia me lo dice. Allora dico
a C. portale la tua valigetta con tutte le lettere, così l’aiuti a imparare come hai imparato tu. Le ho detto di
invitarla a casa per insegnarla. Ma non vogliono. Si sentono chiusi. Non vogliono integrarsi. Anche io sono
straniera ma dico perché non vogliono integrarsi? Sono ognuna per conto suo. Non so perché. Anche le filippine.
Tutti sparsi. Della classe di C. conoscono 4 mamme italiane, che anche usciamo a mangiare insieme la sera,
l’altra sera siamo andate a mangiare. Della nostra classe siamo andate in 4. I filippini, mai! Non vengono mai a
nessuna festa. Dall’India, mai. Della classe di C. ho 4 amiche. Sono amiche più delle mamme delle altre classi,
italiane, più che straniere. L’altra sera siamo uscite a mangiare solo mamme, in 12. Bello! Ogni tanto usciamo
così a mangiare. Quasi tutti erano italiane, tranne una del Perù, una della Cina e io. (Mamma ecuadoriana di
alunna scuola primaria).
Altre volte la scelta di limitare i contatti con altre mamme è fatta dalle mamme straniere
che, a seguito di alcune delusioni, preferiscono evitare brutte esperienze e assumere un
atteggiamento più cauto nei confronti di una manifesta disponibilità iniziale che poi rischia di
scemare rapidamente.
Io qui mi sento in casa mia, mi sento italiana. Però soffro ad avere legami perché non sento la sincerità profonda.
Sarà un mio difetto, non so. Per cercare l’amicizia, un legame vero, non c’è tempo. Mi sento messa a parte.
Come faccio a inserirmi in un gruppo? Quando la vita diventa più pesante non riesci ad assomigliare agli altri.
Non c’entra che io sono nera, bianca, gialla. Nella classe di mio figlio ci sono genitori avvocati, commercialisti,
hanno studiato, hanno tempo libero, hanno fatto figli dopo i quarant’anni. Non c’entra il razzismo, però la vita
per noi (stranieri) crea una condizione che devi fare questo e quello. Se avevamo tempo libero, andavamo a bere
un caffé, sì. Ma non si può fare, si corre sempre. Si va a consegnare bambini, come fossero pacchi, poi vai li
riprendi. Non avere tempo di tira fuori dalla società. Anche gli amici che avevi li perdi, perché per qualsiasi cosa
ci vuole tempo. Per esempio io non posso essere sempre elegante. Magari posso essere elegante per un giorno,
ma tutti i giorni non ce la faccio, quindi non riesco a mantenere. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Oltre alla mancanza di tempo, la stessa mamma, evidenzia anche una modalità relazionale
prevalente a Milano, priva di sincerità e di valenza duratura, che la delude profondamente.
Tutti ti sorridono ma non pensare che tutti ti vogliono bene, si dice nel mio paese. Non tutti ti apprezzano. I miei
bambini giocano con tutti, si gioca per bene, andiamo fuori a mangiare, usciamo spesso, nel tempo libero
giriamo. Non mi voglio mischiare. A certi compleanni adesso non ci vado. Magari mando un regalino, ma non ci
vado. Certi genitori proprio li odio, ma i bambini non lo sanno, non si può dire tutto ai bambini. Con certe
mamme non voglio più parlare, sono delusa. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
È proprio a causa di queste modalità relazionali troppo superficiali e quindi giudicate poco
affidabili, che alcuni genitori preferiscono rinunciare in partenza a instaurare rapporti.
26
Anche le mamme, mi hanno chiesto di aiutarmi, nel senso di portare mia figlia a fare i compiti, creare una
amicizia e tutto quanto. Però io ho rifiutato dicendo: non ho tempo di scambiare favori, non ce la faccio. Perché
non posso mandarla un giorno o due giorni e poi dire alla bambina non puoi andare perché non ho tempo.
Meglio cominciare prima una amicizia e dopo scambiare favori. Piuttosto che domani lasciarsi, meglio non
cominciare. Si dicono molte cose: ti aiutiamo, ti facciamo così, ti do una mano. Poi io prendo le persone in
parola. Questo più passa il tempo più mi crea i problemi. Sono molto attenta, certe persone non capiscono chi
sono io. Io dico tutto chiaro e tondo e dopo ci penso, e poi dicono: oh, come sei tu. Ti parlano per capire chi sei,
ma non per aiutarti profondamente, non esiste aiuto. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Meglio quindi difendere i propri figli, evitando loro inutili delusioni. Anche sulla base di
esperienze pregresse, alcuni genitori stranieri non attivano relazioni con altri genitori italiani
che, sulla scia di un entusiasmo iniziale che però non ha radici più profonde, viene giudicato
dai genitori stranieri privo della capacità di tenuta necessaria a garantire un vero aiuto. Se
alcuni genitori attribuiscono la fugacità delle relazioni alla mancanza di tempo, altri invece
sottolineano con forza la presenza di forme di pregiudizio.
Noi qui salutiamo tutti (gli altri genitori) non perché vogliamo essere amici amici, ma solo per rispetto, noi
salutiamo. Qualcuno risponde, qualcuno no, perché? Prima ero sola sola perché ero in un padiglione diverso,
adesso no, adesso siamo sempre noi, del nostro paese. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Quando arrivano gli italiani parlano tra di loro, ma con noi no, non sono tutti così, però dopo il saluto basta.
(Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Tanti genitori non parlano con noi, forse perché non abbiamo soldi Perché non ci parlano? Il colore è un
problema? Forse perché non abbiamo soldi, una bella casa, non so. (Mamma 02 del Bangladesh di alunno di
scuola primaria).
A differenza di quanto espresso rispetto alla situazione vissuta dai figli, che i genitori
dichiarano apertamente connotata da razzismo, per quanto riguarda il rapporto che essi stessi
intrattengono con altri adulti danno un altro tipo di spiegazione attribuendo alle difficoltà
relazionali che incontrano motivazioni più legate al differente status socioeco-nomico che a
questioni di cultura o etnia.
Io sento quando loro parlano da lontano ma non posso intervenire. Una volta ho capito che parlavano del maestro
che non andava bene allora sono intervenuta, ho detto: scusa puoi parlare anche con me, ma sono stata io che ho
forzato. Anche quando devo scegliere la media, come faccio a sapere dove è buono e dove no? Io devo sapere,
voglio parlare. Tante mamme sai cosa fanno? Io le saluto, chiedo qualcosa per i bambini e mi dicono: non
capisco cosa dici e subito fanno muro. Per esempio mio figlio era malato e allora ho chiesto a una mamma che fa
la segretaria qui a scuola, volevo sapere quando davano la pagella e lei mi ha detto Non capisco cosa dici e io
avevo solo detto: scusa quando danno pagella? Mi è venuta l’acqua agli occhi. Dopo ho salutato e proprio
chiuso, basta finito. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Altre cose brutte succedono anche quando facciamo la festa della scuola. Tutte le mamme portano da mangiare,
loro (gli italiani) mangiano, quando noi (stranieri) mangiamo loro ridono, ci scherzano e io mi metto vergogna e
anche se voglio mangiare non mangio perché non so cosa pensano, tutte le mamme parlano, e poi loro portano
tutti nonni, nonna, nonno, zio, zia, tanti, tutti, noi no cosa vuol dire quando mangio io perché ridono che io a casa
non mangio? (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
In questo brano di intervista colpisce la netta contrapposizione tra “noi” e “loro”, che viene
utilizzata e che appare fortemente interiorizzata. Da quanto rilevato rispetto a questo aspetto,
fondamentale per comprendere se e come le relazioni che si instaurano tra adulti italiani e
stranieri a partire dalla condivisione di un medesimo spazio sociale, quello scolastico, abbiano
qualche chance di estendersi anche oltre, si evince che, al di là di rari casi in cui questo
effettivamente avviene, nella maggior parte dei casi prevalgono sentimenti di diffidenza, di
delusione e di rinuncia.
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La cosiddetta fuga delle famiglie italiane è un argomento che non è stato sollevato dai
genitori stranieri nel corso delle interviste. Tuttavia è ormai un fenomeno piuttosto diffuso,
soprattutto nelle scuole che presentano un’elevata presenza di alunni stranieri. Pare infatti che
con l’aumentare dell’ordine di scuola frequentato dai figli, i genitori italiani tendano a
cambiare scuola. Secondo il dirigente scolastico questo atteggiamento che, seppur non molto
diffuso, è presente, dipende dalla preoccupazione che i figli ricevano una formazione meno
adeguata a causa della presenza di alunni stranieri.
Molti genitori, soprattutto alla media, si chiedono: ma con tutta questa presenza straniera, i nostri riescono ad
arrivare in fondo al programma? Con che preparazione andranno fuori? Non è un ragionamento che tende a
escludere, o razzista, è un ragionamento che ha la sua logica. Noi quindi dobbiamo cercare di rispondere
efficacemente a questa domanda. Ma se poi ci fanno i tagli di organico come facciamo a rispondere bene? Non
parlerei di fuga. Diciamo che nel passaggio alla media qualcuno sceglie di andare altrove. Quest’anno sono stati
una quindicina. Qualcuno dice vado alla Quintino di Vona, la scuola considerata in. In passato hanno avuto una
dinamica non incoraggiante e quindi hanno effettivamente molti meno alunni stranieri. Una scuola senza
stranieri attira. (Dirigente scolastico.)
Dello stesso avviso è anche una mamma italiana.
L’impressione che ho avuto è che molte famiglie fossero preoccupate che ai loro figli non venisse offerta una
proposta didattica adeguata a degli standard che poi in realtà nessuno ha mai verificato né qui né altrove, ma che
con la presenza massiccia di stranieri avessero potuto pensare che non fossero soddisfatti e che quindi andando
in una scuola dove la percentuale di stranieri fosse minore i loro figli potessero trovare una preparazione
completa e migliore. (Mamma italiana di alunno di primaria).
Se le preoccupazioni rispetto alla formazione dei figli può essere una motivazione che sta
alla base del cambiamento di scuola nel passaggio dalla primaria alla secondaria di primo
grado, esistono comunque fenomeni di fuga che riguardano anche gli ordini inferiori. In
questo caso le motivazioni sembrerebbero essere di diversa natura.
Una delle tre classi dell’asilo ha avuto un terzo di bambini iscritti da un’altra parte, mentre per esempio nella
classe di mio figlio si sono trasferiti solo due bambini ma per motivi familiari in un’altra zona della città. Sono
state trasferite soprattutto le bambine. Io questa cosa non l’ho capita, ma questa alta percentuale di bambine mi
aveva colpito. Come quasi ci fosse un timore più rivolto alle femmine che, però non so, magari è casuale. Se non
sbaglio erano molto affezionati a una maestra anziana che per motivi personali non c’è più e hanno avuto un
avvicendamento di supplenti non particolarmente bravi, per cui c’è stata una coesione molto forte del gruppo
classe dei bambini, che si è formato da solo, ed è un gruppo che è rimasto molto legato anche dopo bambini che
hanno solidarizzato moltissimo e le bambine che erano dentro il gruppo sono proprio andate via in tante. Non
c’erano conflitti tra i genitori, anzi c’era un bel clima, ma non so molto altro di quella classe. (Mamma italiana di
alunno di primaria).
Purtroppo non si è avuto modo di affrontare l’argomento con altre persone e l’impressione
della mamma italiana non può quindi essere né smentita, né corroborata. Ad ogni modo la
stessa donna riporta come nella classe del figlio, le cose siano andate diversamente.
L’esperienza della classe di mio figlio è opposta, sono rimasti tutti, tranne due che si sono trasferiti in un’altra
zona, sono rimasti tutti, molti sono in classe insieme, moltissimi sono di provenienza straniera ma hanno fatto
tutti la scuola qua. (Mamma italiana di alunno di primaria).
Dalla testimonianza di una mamma dell’Ecuador emerge poi come la notizia che la propria
figlia venga inserita in una classe con molti stranieri possa suscitare forti reazioni emotive
connotate negativamente.
Una volta una mamma di un compagno di C. quando ha iniziato il primo anno della scuola elementare, stavamo
aspettando che classe toccava a ogni bambino della materna per sapere se stavano insieme, perché era già un bel
gruppo. Quando ha saputo che il suo bambino è andato in una classe con solo 5/6 bambini italiani, è scoppiata a
piangere. Era una cara amica italiana. E anche a me è venuto da piangere quando ho visto tutti di altre
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nazionalità, che non riescono fare amicizia. Le ho chiesto cosa stava succedendo e lei mi ha detto: forse a te non
piacerà quello che ti sto dicendo, però è così e mi ha detto che era perché erano troppi stranieri e nessuno valeva
la pena. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
Dalle parole della donna emerge con chiarezza come anche gli stessi genitori stranieri
preferiscano un contesto scolastico in cui la presenza di stranieri non sia troppo elevata.
Anche io sono extracomunitaria, straniera, come vogliono dire, però anche a me non piace tutti questi stranieri.
Cambiare un’altra scuola, ora che si abitua ad altri bambini, qua ormai conosce tutti, è rimasta solo un’idea. Ma
non ho provato a informarmi (sospira). Se io avessi i soldi la metterei in una scuola privata. (Mamma
ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
Del resto la difficoltà di trovare soluzioni adeguate viene riportata dalla donna con molta
lucidità.
È difficile risolvere questo problema. Molto difficile. Cosa si può fare? Non si può fare nulla. Perché ormai
siamo tanti stranieri. Forse (ride) non fare entrare più gente in Italia straniera! Separare i bambini non sono
d’accordo. Non sono d’accordo. Però non mi piace che siano così tanti, tutte le razze. Non per il razzismo, ma
per il fatto delle culture, dell’educazione e dell’aspetto sociale. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola
primaria).
Di contro dalle parole del dirigente, emerge la presenza di genitori italiani che, lungi dal
farsi condizionare negativamente da un’elevata presenza di alunni stranieri, colgono la sfida
di far crescere i propri figli in un contesto multiculturale in chiave positiva.
Alcune famiglie italiane scelgono di restare qui perché sono affezionate al posto. Fanno la scelta di osare questa
scommessa dell’intercultura, la accettano. Molte famiglie italiane sono consapevolmente legate a questa scuola
perché colgono l’aspetto positivo. Il livello sociale delle famiglie italiane è superiore e poi c’è chi ha
sperimentato la validità dell’offerta formativa. (Dirigente scolastico).
La tematica dei rapporti intergenerazionali è stata indicata come oggetto della ricerca in
una fase già piuttosto avanzata del lavoro. In tal senso non è stato possibile raccogliere le
opinioni degli intervistati su questo aspetto. In due interviste però le madri hanno affrontato
questo tema spontaneamente. Nel primo caso si tratta di una mamma africana spostata con un
uomo italiano dal quale ha avuto due figli che, secondo le categorie comunemente impiegate,
vengono definiti figli di coppia mista. Nel secondo caso si tratta di una madre del Bangladesh
i cui due figli sono entrambi nati in Italia, a Milano. Nella famiglia della donna etiope
prevalgono gli usi e i costumi italiani.
I miei figli parlano solo italiano. Perché io qui non ho mai avuto nessuno della mia famiglia. Io poi mi sento
adottata dai miei suoceri. Mi hanno accolto in famiglia subito e per bene, io e mio marito ci siamo spostati, io ho
fatto la maternità in casa loro e il bambino l’hanno cresciuto tutto loro. Lui fin dall’inizio ha parlato italiano e io
ho imparato da lui, perché non sapevo niente di italiano. Parliamo italiano, mangiamo cibo italiano, ogni tanto
mangiamo il mio piatto zighinì, per il resto i miei figli si sentono proprio italiani. (Mamma etiope di alunni di
scuola primaria).
All’interno di un tale contesto familiare prevalentemente orientato alla trasmissione della
cultura italiana, avere una mamma straniera viene percepito dai figli, soprattutto dalla figlia,
come un elemento che crea un certo disagio.
La mia bimba dice: Mamma perché tu non sei bianca? Perché sei diventata nera? Io le dico: No, E., io sono nata
così. No mamma era meglio se eri bianca! Era meglio. Persino non accetta che io sono nera, sente le polemiche
che ci sono. Solo in questi anni ha cominciato a disegnare la mamma con i capelli ricci, la mamma nera. Invece
prima mi disegnava sempre con capelli lunghi biondi, (ride). (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
29
Dalle parole della donna è quindi evidente la non accettazione di una madre diversa ed
emerge il tentativo da parte della figlia di poterla in qualche modo trasformare. A ciò
corrisponde ovviamente un rifiuto della propria identità africana a favore della sola identità
italiana da parte della bambina.
Non ha detto mai: Io sono africana. Non lo dice mai, non lo direbbe neanche morta. Per qualsiasi cosa dice: sì,
mia mamma è africana, mio papà è italiano e io sono italiana. Non dice mai sono a metà. (Mamma etiope di
alunni di scuola primaria).
Sebbene la donna parli di questa situazione con tranquillità, dal confronto che fa con l’altro
figlio è evidente come lei preferisca l’atteggiamento più accondiscendente nei confronti della
sua diversità. La donna parla infatti di un figlio più sensibile che ama l’Africa.
Il bambino è diverso, è più sensibile, dice che ama l’Africa, anche se non c’è mai stato. (Mamma etiope di alunni
di scuola primaria).
Il comportamento della madre a fronte di questa situazione è improntato al rispetto delle
sensazioni dei figli. La donna ha infatti scelto di evitare di forzare la figlia, ritenendo che un
giorno, quando sarà abbastanza grande, comprenderà e accetterà la situazione.
Non so come sarà in futuro. Penso che si arrenderà, capirà. Non posso farle pesare e dire: Io sono nera, tu sei
così. Non mi arrabbio. Non posso, perché poi diventa più difficile. Se lo dico magari divento aggressiva. Ogni
tanto le faccio la battuta: lo sai che sei africana. Ma lo metto in gioco: Eh, tanto io sono africana e per voi non
capisco niente. Tante volte mi chiedono una cosa e io gliela spiego. Loro non mi credono e poi chiedono al papà
che dà conferma. Allora tornano e mi dicono: mamma come hai fatto a saperlo? Anche io ho fatto la scuola, ci
sarà differenza, ma le cose le so anch’io, e così scherziamo. Capirà, ci sono spiegazioni che si imparano con il
tempo, non posso dirle deve essere così, no. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Malgrado la situazione riportata, la madre esprime comunque un giudizio positivo rispetto
a come i suoi figli vivono la presenza della diversità etnica all’interno della famiglia.
(I miei bambini) non sono stressati perché vengono da due diversi paesi, sono liberi, se capiscono che io vengo
da un’altra parte e lo accettano io sono contenta. A volte mi difendono: no mia mamma sa questo e sa quello.
Non lo so a scuola cosa gli dicono o cosa pensano. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Esprime tuttavia il suo desiderio:
Vorrei che i miei figli non sentano la mamma straniera. Loro si sentono italiani, ma vorrei che accettassero che la
loro mamma è straniera. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Per concludere su questo aspetto si riportano le parole di una mamma del Bangladesh che
osserva come l’identità assunta dai figli oscilli tra il sentirsi italiani e il sentirsi bangladeshi al
variare del trattamento che viene loro riservato dal contesto sociale esterno.
Quando i miei figli stanno bene mi dicono sempre mamma il tuo paese è il Bangladesh, il mio paese è l’Italia. Io
sono nato in Italia. Invece quando li trattano male, si buttano giù, il mio piccolino mi dice guarda mamma io
sono nero. Anche se non è vero, mio figlio è indiano. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
In entrambi i casi risulta evidente come i problemi di non accettazione della propria
identità etnica dipendano in maniera significativa da influenze esterne al contesto familiare.
Questo dato porta a riflettere sulla fondamentale importanza del contesto di ricezione rispetto
alle possibili chance di integrazione.
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1.6 Partecipazione e domande delle famiglie
Dalle interviste condotte emerge con chiarezza la grande attenzione che i genitori dedicano
alla vita dei figli anche rispetto alla dimensione scolastica. In generale emerge un giudizio
positivo, anche se, in alcuni casi, non mancano le critiche e i suggerimenti volti a un
miglioramento dell’offerta formativa, in particolare per quanto riguarda gli aspetti linguistici.
L’investimento nei confronti del percorso di istruzione dei figli è decisamente elevato e
parimenti lo sono le aspettative.
Per quanto l’Istituto Comprensivo Casa del Sole sia una scuola molto particolare, che si
ispira a una mission improntata all’accoglienza e al supporto degli apprendimenti dei bambini
stranieri, e dotata di un’offerta formativa in chiave culturale decisamente ampia e strutturata,
la totalità dei genitori intervistati ha scelto di iscrivere i propri figli qui in virtù della vicinanza
con l’abitazione. Inoltre, sebbene la scuola piaccia e si ritenga una fortuna poterla frequentare,
ciò che colpisce più i genitori stranieri è la qualità di vita legata alla presenza del parco.
A dire la verità la vicinanza era il punto principale della scelta, io non ho la macchina, perché per me è un costo
enorme e inutile perché vivo a Milano e lavoro a Milano. Una scuola più lontana è per me un disagio, anche per
la moglie, poi per la nostra fortuna questa scuola qua è la più vicina, c’è il parco, ci sono i giochi, c’è aria, il sole.
È stata veramente una fortuna, ma non per scelta. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di
scuola primaria).
Malgrado la durevole e ampia progettualità messa in atto dalla scuola, i giudizi dei genitori
relativamente ai corsi inerenti a progetti speciali frequentati dai figli non sono sempre positivi.
C’erano dei corsi (di arabo) ma non erano così efficaci, facevano dei corsi la domenica mattina, ma alla fine, non
voglio parlare male di loro, di quelli che fanno i corsi, ma non era organizzato bene, li hanno messi tutti insieme,
quelli che non sanno neanche una parola e quelli che hanno fatto due anni, anzi (a mia figlia) hanno fatto
insegnare agli altri, alla fine ho deciso di non andare, non impara nulla ed è un disturbo per tutti quanti andare la
domenica mattina alle nove, alla fine abbiamo deciso di non far nulla, abbiamo provato. (Padre egiziano di
alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola primaria).
L’importanza di acquisire una buona competenza linguistica nella lingua italiana è
fortemente riconosciuta dalle famiglie, al punto che, come mostra il caso di una famiglia
egiziana, si sceglie di trascorrere l’estate in Italia pur di consentire alle figlie di migliorare il
loro italiano.
Noi abbiamo scelto di stare di più in Italia invece di andare in vacanza in Egitto. Di rimanere qui d’estate in
Italia per migliorare la lingua tutti quanti e abbiamo scelto di frequentare il centro estivo. Però il centro estivo
non è servito a nulla perché hanno giocato e basta. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di
scuola primaria).
Riflettendo sul dibattito politico in atto rispetto all’insegnamento dell’italiano come
seconda lingua, la madre etiope si dice a favore di una fase di separazione iniziale sulla base
delle competenze linguistiche.
Per i bambini che non sanno l’italiano non è come dice la politica, che si concentra su un modo sbagliato. Il
razzismo non c’entra niente. Il bambino piccolo di due o tre anni è impossibile mandarlo in una scuola diversa
dagli altri perché non ha senso, imparano tra di loro, è come se fosse un bambino nato qui. Fino a 5 anni non è
considerato un bambino straniero. Anche se è nato da un’altra parte e non è cittadino. Invece quelli che vanno a
leggere e scrivere, si fa una classe per loro. Non è razzismo. A me non dispiace. Fondamentalmente, come
qualsiasi adulto, non si può tradurre automaticamente, devo frequentare la lingua italiana, faccio un esame e se
ha il diploma, allora si inserisce. I Bambini da 7 anni fino a 17 anni devono avere un’idea chiara della lingua
italiana. Ad esempio l’alfabeto, devono conoscere tutto bene, perché non lo sanno. Parlare l’italiano è facile, ma
scrivere, leggere e dire io so l’italiano perfetto è molto difficile. A metterli subito tutti insieme imparano tutto in
modo sbagliato, perché quello che hanno imparato non ha base. Ci vuole prima chi gli insegna radicalmente,
31
bene, non con l’aiuto dei compagni, non è una questione di razzismo. (Mamma etiope di alunni di scuola
primaria).
Oltre a essere condizione indispensabile per intraprendere un qualunque percorso
formativo, una buona conoscenza dell’italiano è anche il requisito per lo sviluppo delle
relazioni e, più in generale, per il benessere psicofisico del bambino. A tale proposito, dalla
testimonianza di una mamma rumena si riporta il caso di una bambina arrivata a settembre
dalla Romania che per alcuni mesi non ha parlato.
Con la piccola ci sono stati un po’ di problemi perché non parlava più. Lei si vergognava di parlare, però capiva
tutto! Mi diceva guarda che se parlo male i bambini ridono di me, e anche la maestra ha detto ma guarda che
nessuno ride te. Non parlava, non giocava, mamma mia, ci sono stati un po’ di problemi. E piano piano, dopo le
vacanze di Natale ha iniziato a parlare, ma adesso parla e non si ferma! Mi dice la maestra, guarda che adesso la
devo fermare perché parla troppo. (Mamma rumena di alunna di scuola primaria).
Come osserva l’insegnante facilitatrice linguistica, si trattava di una bambina molto
intelligente che, come spesso capita, ha osservato una lunga fase di silenzio iniziale, durante
la quale ha assimilato la lingua e che ora parla meglio di chi invece inizia a parlare prima. I
tempi relativi al processo di apprendimento dell’italiano come seconda lingua, ben conosciuti
dall’insegnante facilitatore, risultano invece piuttosto oscuri agli altri docenti che si mostrano
impazienti nei confronti degli apprendimenti linguistici degli alunni neoarrivati.
Molte volte succede che quando uno tarda a parlare quando parla è molto più corretto rispetto a chi osa prima.
Mi è successo anche l’anno scorso con una bambina arrivata dall’Egitto. Non parlava. Qua (nel laboratorio L2)
parlava a bassa voce per non sentirsi. Le insegnanti mi tampinavano. Non dice una parola. Non parla. Volevano
anche segnalare che era problema. Morale: adesso è cambiata da così a così, non riesco a fermarla e parla anche
molto bene. Molte volte è la nostra ansia “non dice neanche una parola!” Già ti senti colpevolizzata tu e devi
anche spiegare. (Insegnante facilitatrice linguistica).
La stessa ansia viene percepita anche dalla famiglia. La madre rumena lamenta addirittura
un atteggiamento di sospetto da parte degli insegnanti riguardo alla fase di silenzio osservata
dalla figlia.
Mi sentivo anche male perché una maestra mi ha chiesto ma a casa le cose vanno bene? Non so cosa credeva, ma
dai! Non so, a casa era tutto a posto. (Mamma rumena di alunna di scuola primaria).
Rimane da chiarire se questo atteggiamento di sospetto da parte degli insegnanti espresso
anche dalla donna etiope, che viene etichettata come ‘stressata’, è maggiore nei confronti dei
genitori stranieri. Ad ogni modo da queste esperienze si evince la scarsa diffusione di
formazione rispetto ai processi di apprendimento linguistico tra i docenti non facilitatori e, più
in generale, delle tematiche interculturali.
Come spesso segnalato anche altrove, nelle scuole è spesso in atto un meccanismo di
delega delle questioni che riguardano gli alunni stranieri da parte del corpo docente a quegli
insegnanti deputati ad occuparsene, come, ad esempio, gli insegnanti facilitatori o i referenti
per l’intercultura, o a quelli che presentano una certa vocazione a farlo.
Veniamo ora a una testimonianza particolarmente significativa che riguarda le necessità
linguistiche dei bambini nati in Italia, messe in luce dalle parole di una mamma del
Bangladesh che, pur essendo in Italia da più di dieci anni e lavorando in un negozio di
alimentari, parla un italiano ancora molto stentato. La donna racconta che entrambi i suoi
figli, pur essendo nati a Milano, hanno frequentato i laboratori linguistici di alfabetizzazione.
Io l’ho fatto come gioco. Ho mandato i miei figli perché le maestre sono molto brave, loro capivano l’italiano
perché sono nati qui, ma per parlare serve ancora qualche sforzo. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola
primaria).
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Con ogni probabilità è alla scarsa competenza linguistica che va attribuito anche il ritardo
scolastico di entrambi i figli. Il primo infatti ha dieci anni e frequenta la classe quarta della
scuola primaria e il secondo ha otto anni e frequenta la seconda: entrambi sono indietro di un
anno.
Quest’informazione è di notevole importanza perché sfata il luogo comune secondo il
quale i nati in Italia non hanno problemi di tipo linguistico. Ciò è falso soprattutto per i
bambini che crescono in famiglie in cui non si parla italiano, ma si utilizza la lingua del paese
di origine. Si tratta per lo più di cinesi, arabofoni e, come dimostra il caso appena riportato, di
immigrati asiatici che provengono dal Bangladesh. Questo dato richiama la necessità di
fornire un servizio flessibile nei confronti di un fenomeno che non è statico, ma che si evolve
nel corso del tempo. In particolare si ritiene potrebbe essere utile sviluppare un sistema per la
valutazione delle competenze in lingua italiana delle seconde generazioni, nonché potenziare i
corsi di italiano per lo studio.
Rispetto invece all’insegnamento di altre lingue, come ad esempio le lingue di origine,
comunemente definiti insegnamenti di L1, o di altre lingue straniere, i genitori esprimono
richieste e suggerimenti chiari e puntuali. Il padre egiziano, ad esempio, esprime preoccupazione riguardo al passaggio della figlia dalla primaria alla secondaria di primo grado,
proprio in merito agli apprendimenti linguistici. A tale proposito il genitore chiede che le
lingue ufficiali riconosciute dalle Nazioni Unite, in particolare l’arabo, siano inserite nei
programmi curricolari, al pari di altre lingue come francese, tedesco e spagnolo.
Alla (classe) quinta si sceglie un’altra lingua da studiare, il tedesco, il francese, lo spagnolo e vedendo qua, non
c’è la lingua nostra, mi è spiaciuto questo, è anche una lingua scelta dalla nazione unite, perché la nazioni unite
hanno scelto delle lingue che rispettano la popolazione del mondo, perciò l’arabo è una delle lingue ufficiali, non
è che l’italiano non lo è per, ma perché quelli che parlano italiano sono più o meno 60 milioni, ma l’arabo invece
è una delle lingue ufficiali delle nazioni unite, tipo l’inglese, il francese, lo spagnolo, se ricordo bene il russo e
l’arabo e l’arabo in Italia non è riconosciuta come lingua da studiare, e questa anche è una cosa da segnalare.
Preferisco che mantengono solo tre lingue: la lingua madre (arabo), l’italiano e l’inglese la lingua madre perché
non si sa mai, adesso sono qua perché sono minorenni, ma magari in futuro tornano a casa, l’inglese perché è la
lingua internazionale, serve per far carriera, l’italiano perché adesso sono qua e studiano in italiano. Adesso
invece per lei, questo è un problema. Deve scegliere l’anno prossimo o spagnolo o tedesco o francese e questo
mi ha incasinato. Ha l’arabo, più italiano, inglese più tedesco o spagnolo e alla fine non impara nulla. Se invece è
concentrato sulle tre lingue che deve sapere bene, sono queste tre l’italiano, l’inglese e l’arabo. Altrimenti
preferirei potenziare l’inglese, due ore in più sull’inglese. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di
alunna di scuola primaria).
Un’altra mamma esprime il desiderio che la figlia possa imparare il cinese, individuata
come lingua su cui possa essere molto conveniente investire.
C. parla spagnolo. Per me è importantissimo che sappia almeno due lingue. Visto che l’inglese (ride). Io vorrei
che lei sapesse meglio l’inglese e poi anche il cinese. Con il tempo il cinese sarà una lingua sempre più
importante. Sarà molto importante imparare il cinese. Siccome io tengo questa bambina cinese, la porto a casa
mia due volte alla settimana, lei impara spagnolo e C. impara qualche parole in cinese, impara una canzone,
impara a salutare e io mi diverto moltissimo. Dico alla sua mamma, quando C. viene a casa tua devi insegnarle il
cinese (ride)! La sua mamma è una allenatrice di ping pong e quando va, due pomeriggi alla settimana, io tengo
la sua bambina e lei mi paga, piuttosto che pagare un’altra. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
In maniera analoga a quanto rilevato in ambito linguistico, anche per quanto riguarda
l’insegnamento delle religioni la richiesta delle famiglie straniere va nella direzione di una
maggiore possibilità di scelta. Dai suggerimenti dei genitori stranieri si evince la necessità di
emancipazione da un sapere e da un approccio monoculturale, a favore di una prospettiva
multiculturale che non si realizzi solo attraverso pratiche di revisione dei saperi cognitivi, in
gergo “revisione dei curricoli” in chiave interculturale, ma anche attraverso l’inserimento di
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nuovi contenuti all’interno dei programmi, con particolare riferimento alle lingue e alle
religioni.
Se ci sono le lezioni di religione, vedo che ci sono due scelte o frequenti la religione cattolica o nulla. Si poteva
anche far scegliere perché ci sono altre religioni, ci sono i russi con religione cristiana ortodossa, ci sono egiziani
con religione cristiana ma non cattolica. Per me non è fondamentale perché sono abbastanza laico, però bisogna
far scegliere. Lo stesso ragionamento vale per la lingua. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di
alunna di scuola primaria).
La stessa necessità, del resto, era già stata rilevata in un precedente studio del Cnel:
“l’interesse da stimolare a scuola dovrebbe essere focalizzato su tutte le culture, sulla diversità
come risorsa e come accrescimento culturale per bambini che si troveranno domani a essere
parte di una società meticcia” (Cnel, 2004, p. 240).
I genitori intervistati segnalano poi una serie di aspetti che desidererebbero la scuola
italiana potenziasse. I suggerimenti più pressanti riguardano l’insegnamento della lingua
inglese, che in generale viene giudicato scarso e insufficiente, seguiti da perplessità relative ai
metodi didattici impiegati e da richieste di una maggiore attenzione all’area sportiva e a quella
culturale. Infine, si segnala anche il desiderio di una maggiore attenzione alla trasmissione
della cultura italiana e la richiesta che per le agevolazioni finanziarie previste vengano
adottate modalità di erogazione più efficaci.
Iniziamo quindi con il considerare le critiche relative all’insegnamento della lingua inglese.
Una delle due madri del Bangladesh rileva una competenza talmente scarsa che sceglie di
pagare una insegnante privata per far progredire i figli in una materia ritenuta indispensabile.
L’inglese lo sanno pochissimo. Io voglio che studiano inglese. Per l’inglese, servirebbe qualcosa di più. Noi
abbiamo cominciato a pagare una maestra privata che fa il corso di inglese. Pago 30 euro al mese, per 4 volte al
mese. Adesso pronunciano bene, invece a scuola pronunciano malissimo! (Mamma 02 del Bangladesh di alunni
di scuola primaria).
Il desiderio che i figli impari meglio l’inglese non è solo di genitori che provengono da
paesi in cui l’inglese è la lingua ufficiale di derivazione coloniale, ma anche di coloro che
provengono da paesi in cui si parla lo spagnolo.
Che migliorassero l’inglese. C. non sa nulla di inglese. Computer, zero! Queste cose, leggere e scrivere sa
abbastanza. Che gli insegnano di più, magari non più ore, ma più avanzata la classe. Non solo C., anche altre
bambine non sanno nulla. (Mamma ecuadoriana di alunno di scuola primaria).
Un’altra mamma chiede che il figlio sia sollecitato più nei confronti dello studio.
Anche più scienze, più matematica, più compiti per casa, di più. (Mamma Bangladesh 01 di alunni di scuola
primaria).
D’altro canto un maggior numero di commenti va in una direzione diversa, ossia nella
richiesta di maggiore aiuto da parte della scuola per lo svolgimento del lavoro affidato a casa.
Nella classe di mio figlio grande i bambini si trovano insieme a fare i compiti, per aiutarsi, a piccoli gruppi.
Questo va molto bene. Ma con il piccolo no. Le mamme non vogliono che i nostri bambini studiano con i loro
figli. Se sono in tre o quattro si aiutano, ma le mamme non vogliono. Deve essere qualcuno della stessa classe,
con mio figlio grande ho avuto questo, ma mio figlio piccolo no. Lui è sempre triste. Se i nostri bambini non
capiscono i compiti devono poter chiedere alle maestre perché noi non capiamo, non riusciamo ad aiutarli.
Quando gli danno i compiti non capiscono cosa devono fare. Al nostro paese per questo noi paghiamo un
maestro privato. Ma qui per un’ora mi hanno chiesto 20 euro per un’ora e un’ora cosa fai? Hanno bisogno di
tante ore. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
In alcuni casi lo svolgimento dei compiti a casa diventa un vero e proprio problema.
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Quando mandano a casa con i compiti, come è scritto sul diario, noi non capiamo tutte le cose perché le parole
sono diverse. Quando possiamo aiutiamo, ma non sempre sappiamo. Se il bambino dice che qualcosa è faticoso
noi cerchiamo altre mamme per un aiuto, ma loro non vogliono, e allora dobbiamo cercare altre maestre, private
che gli spiegano quello che devono fare, questo è un problema. (Mamma 01 Bangladesh di alunno di scuola
primaria).
Adesso io ho chiesto se c’è qualche aiuto per fare i compiti perché in casa è una cosa terribile. Però anche questo
avevo chiesto. Mi hanno dato il numero di una chiesa e mi hanno detto di chiamare. Però non hanno chiamato
loro spiegando di mia figlia. Mi hanno detto chiama. Ho chiamato, ma non c’è posto. Questo sabato vado, per il
prossimo anno. Sono insegnanti in pensione che si occupano proprio di questo, sono persone che lavorano con i
bambini, all’oratorio. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
(Al centro estivo) secondo me era meglio dedicare qualche ora per i compiti estivi, perché loro hanno i compiti e
la mamma non è così capace come un’altra mamma normale di aiutarli, poi adesso alla classe quarta. Perciò era
meglio se al centro estivo si dedicava un giorno, un paio di ore al giorno a fare questi compiti, e viene a casa
stanca, ha giocato troppo, perciò c’è sempre il ritardo di fare questi compiti. Poi ha avuto problemi di salute, è
andata all’ospedale, abbiamo dovuto correre per fare questi compiti, li ha fatti pochi giorni prima che iniziasse la
scuola. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola primaria).
Ma adesso imparo anch’io, facciamo i compiti insieme (ride), quando chiedono aiuto, li aiuto. (Mamma rumena
di alunni di scuola primaria).
Una mamma di una famiglia mista sottolinea l’importanza del capitale culturale presente
nella famiglia che, in linea generale, va al di là dell’essere italiano straniero, rispetto alle
possibilità di fornire aiuto nello svolgimento dei compiti da svolgere a casa.
Non è essere straniero o essere italiano, in una famiglia se uno ha studiato per lui sarà più facile seguire i figli a
scuola, è più facile per genitori laureati e diplomati, che poi hanno tempo. Mio marito è italiano ma lui non è in
grado di insegnare ai bambini, perché è andato fino alle superiori ma non è abbastanza per insegnare ai figli e poi
fa un lavoro faticoso e quando arriva a casa è stanco. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Oltre a quanto esplicitato finora sono state rilevate anche richieste relativamente alle
maggiori opportunità che la scuola dovrebbe offrire in termini culturali e artistici.
Vorrei che andassero di più ai musei, nelle biblioteche. Mi piacerebbe imparassero di più. È importantissimo!
Vanno forse due volte all’anno ma vorrei che fosse meglio, a vedere le mostre. (Mamma ecuadoriana di alunna
di scuola primaria).
E viene richiesta anche una maggiore attenzione alle attività sportive.
Lo sport qui lo fanno solo in palestra. Fanno diverse attività. Mia figlia fa nuoto. Quest’anno sto cercando anche
che impari la chitarra. Mio figlio suona la chitarra e la batteria, ha un gruppo in cui suona la batteria. Però devo
pagare. Faccio delle fatiche. Vorrei anche danza, perché le piace tanto. Mi dice mamma fammi imparare
latinoamericano. E le piace tanto. Un’altra cosa che mi piacerebbe farle fare è disegno, ma sono tante cose e tutto
bisogna pagare e non ci sto. La scuola potrebbe offrire queste cose. Ci sono tante mamme che non fanno fare
nessuna cosa perché costa. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
Secondo me bisogna dedicare più tempo allo sport a scelta, non la ginnastica, loro hanno la ginnastica tutti
quanti e vanno tutti insieme a fare ginnastica, però se deve fare uno sport particolare deve pagare e poi deve farlo
dopo e questo è un disagio per tutta la famiglia. Avere attività sportive a scelta durante l’orario scolastico e non a
pagamento. 200 euro non sono pochi da pagare per un corso del genere e così mia figlia non fa nessun corso. Fa
quello che fa la scuola di base, perché non ci sono i soldi e non c’è la possibilità di accompagnarla e andare a
prenderla, non possiamo fare altro. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola
primaria).
Dal momento che durante un’intervista è stato affrontato anche un argomento di cui non si
era presunta l’importanza, se ne riporta un lungo brano relativo alla richiesta di una maggiore
attenzione nella trasmissione della cultura italiana.
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(I bambini stranieri) domani saranno il futuro di questa città. Non credo che andranno via, anche se i loro
genitori credono di sì. Se vogliamo una nuova società per domani, magari un giorno i bambini degli stranieri
saranno dei politici. Quelli che sono nati in Italia o vengono a studiare qui si devono sentire italiani. Se domani
diventano qualcuno, potranno avere responsabilità, porteranno le tradizioni italiane. Ma se non hanno cultura,
come si fa? Chi è l’Italia oggi? Nessuno lo sa. Come si fa a vivere senza cultura? Nessuno impara tutto perché
sta in Italia. In Italia si impara dell’Italia. Chi frequenta la scuola si deve sentire italiano. Non c’entra niente se
sono stranieri. Devono sentirsi italiani. Devono sapere le cose dell’Italia. La cultura, le leggi, per capire cosa
vorranno fare domani. Devono essere seguiti bene. Anche il bambino straniero deve imparare la cultura. Devi
dirmi quello che c’è prima di me. I primi responsabili sono gli insegnanti di questi bambini. Ai bambini non si
deve sempre ricordare che sono stranieri. Devono essere accettati in modo giusto, non c’entra niente se sono
italiani o stranieri, devono semplicemente studiare e imparare il costume italiano, imparare in Italia cosa si fa,
non in mia Africa cosa si fa, questa cosa non ha proprio senso! Come si fa a dire ai miei bambini voi siete
etiopici ma andate a scuola in italiano, non è giusto! Loro sono italiani e devono diventare italiani, devono
imparare la lingua, la cultura, l’Italia come è fatta, cosa c’è, cosa non c’è. Cosa vuol dire l’Italia, cosa vuol dire
essere italiano. Una Italia e basta. Non perché ci sono tanti stranieri ci sono tante Italie. No! È un paese, con una
bandiera, è una Italia. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Una critica particolarmente risentita è stata mossa nei confronti del mal funzionamento
delle agevolazioni finanziarie previste.
A scuola tutto o quasi è a pagamento. Io sono uno di quelli con un reddito bassissimo, se io lavoro da solo, mia
moglie non lavora, ho due bambine a carico, il mio stipendio va da 1.200 a 1.500 mensile e pago 33 euro a una e
43 euro l’altra, spese per la mensa. Se devo fare altre cose, non le posso fare. Ci sono poi cose che la regione e il
comune fa, la dote scolastica, ho provato, dicono che c’è un numero verde, ho passato una giornata intera a
chiamare questo numero verde e non risponde mai nessuno, non sono riuscito e quello che ho capito è che ci
danno un po’ di buoni da 10 o 20 euro per comprare materiale, ma nessuno riesce a prendere questi soldi. Se io
ho il diritto di prendere questi soldi, perché non li trasferiscono? Questo è un punto, perché non trasferiscono
questi soldi all’istruzione alle spese per la mensa, alla fine tanto sono soldi, per non fare che devo sapere come,
quando, telefonare, dove devo compilare un modulo, mi mandano il fax, devo portarlo all’agenzia fuori Milano,
e devo un’altra volta a ritirare i buoni, poi hanno una scadenza. È una storia lunghissima e sono soldi persi o non
so. Forse non sono persi, forse sono messi lì e poi forse conviene a qualcuno. Spostare questi soldi e metterli in
una sola cosa, a scuola, o alzare gli indicatori ISE sulla mensa. A lasciarli così nessuno riesce (a prenderli). Io è
due anni che ho provato, prendo il telefono, conosco il numero a memoria, ma non sono mai riuscito a prendere
questi soldi. Magari concentrando tutti i vantaggi della regione e del comune e metterli tutti insieme, magari
invece che pagare 40 euro per la mensa ne pago 30, 10 al mese sono 100 all’anno e magari riesco a pagare un
corso per la bambina, un hobby, uno sport, ma invece manca. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di
alunna di scuola primaria).
Come del resto già rilevato (Cnel, 2004), il giudizio nei confronti del sistema scolastico
italiano, che scaturisce per lo più dal confronto con quello del paese di origine, è in generale
positivo, anche al di là delle provenienze.
Qua c’è di più (ride). C’è questo tempo pieno. Vanno in biblioteca a prendere i libri. Mangiano, c’è anche la
mensa, da noi non c’è. Ci sono insegnanti per l’italiano, per la matematica, invece da noi c’è il maestro unico.
Vanno al teatrino, vanno in gita. (Mamma rumena di alunni di scuola primaria).
Innanzitutto di là (in Egitto) le classi erano più affollate, e quello dava fastidio. Secondo la giornata era mezza
giornata perciò tutta concentrata sugli studi. Questo anche dava un po’ fastidio. Non è piacevole andare a scuola
se devo stare lì tutte queste ore a stare seduti, ascoltare, rispondere. E attività sportiva o artistica pochissima,
poca. Non credo che c’era qualcosa di là che piaceva più che qui. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia
e di alunna di scuola primaria).
Un particolare apprezzamento viene espresso in merito al maggiore controllo che la scuola
italiana esercita anche sui ragazzi più grandi. Riferendosi alla figlia di 17 anni, una madre
rumena afferma:
Io sono contenta perché non può dire io oggi non vado a scuola. Perché se non vai a scuola oggi io ti devo
firmare il libretto. Questa è una cosa buona. Il controllo, mamma mia, neanche pensavo che qui era così. Perché
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da noi se lei non va a scuola non ti chiama nessuno. Ti chiamano quando non va da un mese o da chissà quanto.
(Mamma rumena di studentessa di scuola superiore).
Tuttavia emergono anche alcune critiche, in particolare rispetto alla necessità di un
maggior rigore dal punto di vista didattico. In questo caso il confronto che viene fatto è tra la
scuola pubblica italiana e quella privata nel paese di origine dove i figli vengono seguiti con
maggiore attenzione e dove si studia di più.
Nel nostro paese, a Dacca, si studia bene, la scuola va benissimo, qui si studia poco, forse servono più compiti.
Io vedo mia nipote che è nel nostro paese, la fanno studiare di più, matematica, scienze, inglese. Qui fanno poco,
non lo so perché. Forse perché è una scuola pubblica? Forse questa cosa? Alla scuola privata (studiano) di più?
Nel nostro paese si studia di più. Mio figlio quando va a casa ha solo due o tre moltiplicazioni, qualcosa di
italiano. Troppo poco, qua studia poco. Deve studiare di più, tutti i giorni devono esserci i compiti, non solo
sabato. (Mamma Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Da quello che insegnavano a mio figlio in Ecuador, più o meno è lo stesso. Forse facevano un po’ di più là. Tutti
i giorni danno compiti là. Invece qua solo una volta alla settimana. La vita però è tutta diversa qua, da quella che
si fa là. Tutti i giorni compiti, computer, l’inglese più avanzato. Però là era una scuola privata. Anche le
tabelline, per dirle. Là si studiava poco per volta. Qua tutto insieme e fanno una confusione terribile. Si
dimenticano di tutto. È un problema che sento tra tutte le mamme. Tuo figlio sa la tabellina del 5? Perché mio
figlio si è dimenticato. Anche C. si è dimenticata. Bisognerebbe insegnare con più calma, se non si dimenticano
tutto. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
Contrariamente a quanto forse pregiudizialmente si pensa, ritenendo a priori che i sistemi
istruttivi di altri paesi siano più punitivi o comunque più rigidi di quello italiano in termini di
disciplina, non sono emerse richieste di maggior rigore educativo. Anzi, alcune mamme, in
particolare quelle di origine asiatica, hanno sottolineato che i propri bambini si spaventano e
piangono di fronte a maestre che alzano la voce e gridano anche se non direttamente con loro.
La maestra deve capire che non tutti i bambini sono uguali, deve capire, deve avere pazienza. Se un bambino fa
qualcosa di sbagliato la maestra sgrida tutti e il mio piccolino diventa triste e non vuole più andare a scuola.
Anche la maestra deve capire e non deve gridare a tutti. (Mamma 02 del Bangladesh di alunni di scuola
primaria).
Quando lo sgridano lui si sente malissimo. (Mamma 01 del Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Parimenti si confermano anche le aspettative elevate derivano dal forte investimento
nell’istruzione.
Secondo me (il sistema scolastico italiano) è buono, ci sono delle piccole cose che se si possono risolvere diventa
ottimo. Una cosa importante che manca sono i laboratori: non ho mai sentito mia figlia dire vado in laboratorio.
Laboratori di scienze. Quando io ho frequentato la scuola c’erano dei laboratori di scienze, per vedere le cose
come sono, come si fanno. Computer: mia figlia è molto brava a casa, ma a scuola non c’è il computer, neanche
per una che fa la quinta. Quella dell’asilo gioca su Internet, trova il gioco, apre e gioca da sola su Internet,
immagina la grande quello che fa, fa tutto, tutto, ma a scuola niente computer. Ma non so. Quando si inizia a
scuola a imparare il computer? Loro sono più veloci, più abili di noi, ma se non lo fanno a scuola. I laboratori in
generale sono pochi, non li vedo neanche, i laboratori anche di lingue, perché studiare una lingua in classe,
questo non è una lingua, avere un libro, parlare, scrivere sulla lavagna. Deve essere un laboratorio dove si
ascolta, si ripete, per i laboratori bisogna dare fondi, soldi, qualcosa: computer, sale di Internet. Anche se non
riescono a dare un computer a tutti quanti, almeno una sala come questa dove viene la classe a fare il computer,
poi un’altra ora viene un’altra classe. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola
primaria).
Infine ci sono genitori che lamentano arretratezza nella scuola italiana per quanto riguarda
le strutture e le forniture presenti nelle classi, che, in alcuni casi, risultano al di sotto degli
standard adeguati.
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La prima cosa che non mi è piaciuta sono le aule, le classi. In una scuola materna stavano seduti per terra. Nel
mio paese no! È tutto diverso. Sì, mio figlio stava in una scuola privata, però anche le scuole che non sono
private hanno i loro tavolini, tutto bello. Invece qua stavano per terra, senza nulla. Per me è una cosa, non so, in
Italia? Non mi sembra giusto. Sì, ci sono i caloriferi, però. Alle elementari le cose sono un po’ migliorate. Un po’
meglio. Ma manca ancora tanto. In queste classi dovrebbe esserci più ordine, le sedie più comode. Nella classe di
mia figlia, lei sedeva e tutti i giorni una calza rotta, È possibile? E non la riparano, Non fanno nulla. Le dicevo C.
cambia sedia. No mamma perché anche le altre sono così. Adesso hanno imbiancato l’aula, ma prima era
bruttissima. Per dirle, un’altra cosa. Sono stati più di un mese senza calorifero. Sono stati più di un mese con le
giacche, anche le maestre. Le maestre dicevano di mettere un golf in più ai bambini,. Ho pensato Madonna santa,
dove siamo? Ma è possibile che non riparano subito una cosa così? In un’altra classe sono stati tutto l’anno in
biblioteca perché è crollato il soffitto. (Mamma ecuadoriana di alunna di scuola primaria).
Infine, si segnala l’assenza di controlli sanitari che invece nel paese di origine venivano
fatti regolarmente.
Tanti genitori non hanno il tempo di stare a casa con il bambino e lo mandano a scuola malato. La mia bambina
all’asilo è sempre raffreddata, ha l’influenza tutto il periodo, sempre, siamo rimasti preoccupati, ed è perché
frequenta bambini che vengono mandati a scuola malati, bisogna trovare un sistema, qualcosa. Metti quelli che
sono malati a parte, mischiare tutti insieme tutti rimangono malati e poi portano le malattie a casa e diventa una
catena. Quando eravamo bambini a scuola materna e elementare facevano delle visite i medici, qua non lo vedo.
Una volta c’è stata la visita oculistica, questa sì una volta, ma non in generale, non viene il medico che vede le
mani, la lingua, i capelli, a tutti quanti e poi va in un’altra classe, qui queste visite non le vedo. (Padre egiziano di
alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola primaria).
Contrariamente a quanto forse si potrebbe supporre i genitori stranieri mostrano una
conoscenza puntuale delle proposte ministeriali relative ai cambiamenti che riguardano gli
ordini di scuola che interessano i loro figli. Rispetto alle proposte avanzate dal Ministro
Gelmini, la totalità delle persone intervistate esprime un giudizio contrario rispetto alla
riduzione del tempo di permanenza a scuola dei figli e sul numero dei maestri, mentre
vengono accolte con favore le innovazione tecnologiche relative ai libri di testo scaricabili
online.
Sono d’accordo per i libri che dicono di cinque anni e scaricabili da Internet, questo sì, sono d’accordo se lo
fanno. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola primaria).
Come appena evidenziato, in generale tutti i genitori intervistati si dicono contrari
all’ipotesi della riduzione del tempo pieno.
Non sono d’accordo (con il maestro unico) e sono d’accordo con il tempo pieno. Non vorrei cambiamenti. Io
sono contenta, speriamo che non cambia niente. (Madre rumena di alunni di scuola primaria).
Le motivazioni che riguardano la preferenza per il tempo pieno sono varie. Per alcuni il
tempo pieno è utile a consentire una migliore gestione di classi con molti alunni.
I numeri che adesso aumentano in classe, arriva un nuovo e mettono sempre nella stessa classe, sono classi un
po’ affollate. Non è un fatto molto grave, però se la scuola diventa di mezza giornata con un insegnante solo,
allora non ci siamo. Così meno male, avendo una giornata intera, anche se sono 30 si può trasmettere qualcosa a
questi bambini, però se cambiano e fanno questi numeri ridotti. (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e
di alunna di scuola primaria).
Per altri è fondamentale perché, dal momento che le famiglie immigrate non possono
usufruire dell’aiuto fornito dai nonni, che continuano a vivere nel paese di origine, non
saprebbero come gestire una più prolungata presenza dei figli a casa.
Al nostro paese si fa solo mezza giornata e la scuola va benissimo, però qua non abbiamo i nonni e dove posso
lasciare il bambino? Per me è questo il problema, non ci sono i nonni. Se mio figlio è a casa e io al lavoro io ho
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sempre preoccupazione, per noi è meglio così (il tempo prolungato). Per me il problema è dove lasciarlo.
(Mamma 01 del Bangladesh di alunni di scuola primaria).
Nella maggioranza dei casi entrambi i genitori stranieri lavorano e osservano orari di
lavoro anche più estesi di quelli dei genitori italiani. Dalle parole di una mamma etiope se si
vogliono cambiare i tempi della frequenza scolastica, si dovrebbe cambiare l’intero sistema
socio-lavorativo, consentendo ai genitori una maggiore libertà dal lavoro.
Per Italia il tempo pieno ci vuole. O si cambia tutto, tutto il sistema dei lavoratori, le mamme che lavorano, i
genitori che lavorano tutti e due. Il popolo italiano è abituato che la scuola è un passatempo lungo. Non è la
scuola fino all’una. In Italia la scuola a tempo pieno non deve essere tolta. Non possiamo lavorare metà giornata,
quindi la scuola deve essere a tempo pieno. Gli stranieri per sopravvivere devono lavorare giorno e notte. Per
assomigliare al cittadino italiano non basta lavorare solo di giorno, i bambini costano. Se si cambia tutto il
sistema, poi allora si può cambiare anche la scuola, ma se non si sistemano prima i genitori, non si può cambiare
la scuola!. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
In maniera analoga a quanto rilevato per il tempo pieno, si rilevano forti perplessità anche
per quanto riguarda l’ipotesi del ritorno al maestro unico.
Non sono d’accordo. (ride) Già con due maestre non si impara tanto. Con una sarà ancora peggio, sarà un casino.
Non sono d’accordo. Nel mio paese ci sono maestre di inglese, di computer, di matematica, di religione. E qui in
Italia una maestra sola?!? (Mamma ecuadoriana di alunno di scuola primaria).
La non opportunità di questa scelta viene correlata anche alla sempre maggiore presenza di
alunni stranieri che, come già rilevato, comportano un aumento della fatica del lavoro degli
insegnanti.
Se diventa maestro unico sarà una cosa un po’ assurda. Se fosse una sola lingua sì, ma se ci sono tanti bambini
che a casa parlano altre lingue e l’italiano lo ascoltano solo a scuola e poi a casa parlano un’altra lingua,
mangiano un altro cibo che si chiama in altro modo è stressante per i bambini. E anche per gli insegnanti. Se c’è
un insegnante unico, come fa questo insegnante? Prenderà un righello e baderà alle pecore. Non insegnante
unico, ma insegnanti giovani più preparati per la gioventù di oggi. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
Il forte investimento che le famiglie stranieri mostrano nei confronti dell’istruzione dei
figli è un dato da tempo ben noto e, anche dalle interviste condotte per la realizzazione di
questo studio di caso, il dato emerge con evidenza. Le aspettative nei confronti del futuro dei
figli sono quindi molto elevate, in quanto i genitori si aspettano che i figli possano ottenere
ciò che per loro, nel paese di immigrazione, risulta per il momento inaccessibile.
Noi non sappiamo l’italiano, ma i nostri figli sì, devono andare all’università. (Mamma 01 del Bangladesh di
alunno di scuola primaria).
La più grande finisce il liceo e va all’università. Anche gli altri, mi piacerebbe, comunque il liceo lo devono fare!
(Mamma rumena di studentessa di scuola superiore).
Voglio che le due bambine studiano bene, che sono ben istruite e poi dopo fanno quello che vogliono perché alla
fine non si sa mai, forse scelgono di fare le mamme soltanto perché oggi come oggi se non c’è un lavoro
particolare per fare un guadagno, la moglie rimane (a casa) come fa mia moglie. Devono studiare bene, quello
che vogliono loro, però devono studiare non solo per loro stessi, anche per i loro figli. Devono studiare. Mi
auguro all’università e spero di avere la possibilità. Forse nel mio lavoro non si vede quello che ho studiato, però
io sono soddisfatto. Studiare è una cosa fondamentale non c’è da discutere. Spero che riescano a fare strada, più
studiano meglio è! (Padre egiziano di alunna di scuola di infanzia e di alunna di scuola primaria).
Vorrei che i miei figli studiassero per diventare qualcuno, ma io sogno troppo in alto. Qui però, in base alla mia
esperienza, non si nega nessun diritto. Anche i miei compaesani mi hanno aiutato e tutti gli italiani mi hanno
adottato, mi hanno dato tutto. (Mamma etiope di alunni di scuola primaria).
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Deve studiare. Io voglio che studia, che lavora bene, non deve fare i lavori che fanno suo padre e sua madre,
deve trovare un buon lavoro e deve aiutare nel nostro paese, anche quando sarà grande. (Mamma 01 del
Bangladesh di alunno di scuola primaria).
Un elemento trasversale che i genitori evidenziano con enfasi riguarda il riscatto sociale
che tutti, al di là del paese di provenienza, proiettano sui propri figli sperando per loro un
futuro migliore del proprio presente, soprattutto per quanto riguarda l’ambito lavorativo.
Io non voglio che i nostri figli fanno la nostra vita, non un lavoro come il nostro, non la pulizia, sempre duro e
faticoso, non so dio cosa fa, però non come noi, mai! Deve studiare, capire bene. (Mamma 01 del Bangladesh di
alunno di scuola primaria).
1.7 Conclusioni
Sebbene nel nostro Paese i cambi di governo abbiano spesso come conseguenza
un’alternanza delle politiche e delle leggi che riguardano l’immigrazione e la convivenza
interetnica, per quanto riguarda invece l’ambito dell’istruzione si registra una certa continuità
rispetto ai provvedimenti normativi adottati. A partire infatti dalla circolare ministeriale del
1994, fino alle Linee Guida del 2006 e al documento ‘La via italiana per la scuola
interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri del 2007’, è stata redatta una normativa
che tutela il diritto allo studio di tutti minori presenti sul territorio italiano e che orienta le
scuole a intraprendere tutta una serie di attività ispirate ai principi dell’educazione
interculturale. Le realtà scolastiche in cui tale normativa viene presa come punto di
riferimento concreto dal punto di vista procedurale e didattico costituiscono luoghi di
integrazione. Purtroppo però, come spesso accade, la pratica diverge dalle norme istituite e la
realtà è distante dai principi affermati a livello legislativo. In altre parole, le leggi attualmente
in vigore garantiscono l’accoglienza, l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri, ma
non sempre sono seguite.
Sita all’interno della zona cittadina 2, quella caratterizzata dalla più elevata percentuale di
residenti stranieri, e di un quartiere che presenta un’elevata diversificazione sociale che si
traduce in un habitat frammentato dal punto di vista sociale, nella percezione degli abitanti
della zona, il parco Trotter e l’Istituto Comprensivo Casa del Sole che si trova al suo interno,
appaiono come spazi sociali in cui le occasioni di comunicazione e di incontro tra i bambini e
genitori italiani e stranieri risultano essere maggiori che altrove. La scuola si conferma quindi
luogo fondamentale per il processo di integrazione e per la produzione di capitale sociale,
intendendo con questo termine l’insieme delle risorse relazionali degli alunni e delle loro
famiglie.
Superato da anni un approccio di tipo emergenziale, l’istituto comprensivo Casa del Sole
affronta i problemi legati a un’elevata presenza di alunni con cittadinanza non italiana con
uno spirito razionale orientato alla flessibilità dei servizi nei confronti di un’utenza italiana e
straniera che presenta esigenze mutevoli. Nel primo caso ci si riferisce a genitori che chiedono
la garanzia di standard educativi elevati, nel secondo a chi necessità per i propri figli di una
scuola accogliente. Malgrado il superamento della fase dell’emergenza, rimane comunque la
difficoltà di gestire i costanti neoarrivi in corso d’anno che, in alcuni casi, suscitano resistenze
da parte delle insegnanti. In tal senso la realtà scolastica considerata si configura come una
scuola di frontiera e, al contempo, di avanguardia, che ha come mission dichiarata quella di
essere una scuola che realizza un’accoglienza degna.
La progettualità della scuola risulta particolarmente ampia e articolata, nonché pienamente
rispondente alle indicazioni contenute nel documento ministeriale ‘La via italiana per la
scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri’ (Mpi, 2007). Nell’ultimo biennio,
in particolare, si è compiuta una svolta significativa rispetto al lavoro in rete con le molte
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associazioni presenti sul territorio, passando da un processo di delega della scuola ai soggetti
del privato sociale a uno di partecipazione coordinata, nella quale si verifica una più chiara
assunzione da parte della scuola del proprio ruolo di istituzione e, in particolar modo, l’avvio
di un processo teso a garantire una sempre maggiore integrazione tra offerta formativa interna
ed esterna alla scuola.
Se da un lato la convergenza di risorse verso questa scuola consente la realizzazione di
molte attività e lo sviluppo di una progettualità ampia e sempre più coordinata tra scuola e
soggetti del territorio, dall’altra si rileva che non sempre la ricaduta effettiva di tali risorse e
azioni riesce a essere efficace in maniera capillare. Nella realtà scolastica considerata, si rileva
infatti la presenza di atteggiamenti discriminatori e di comportamenti razzisti che vedono
coinvolti bambini, insegnanti e genitori. Alcuni genitori hanno segnalato atteggiamenti
discriminatori da parte degli insegnanti e, più in generale, si rileva una preoccupante tendenza
del corpo docente a minimizzare comportamenti razzisti da parte di bambini italiani nei
confronti dei compagni di classe stranieri. I genitori intervistati raccontano che i loro figli
subiscono forme di razzismo e di esclusione da parte dei compagni di classe italiani. A tale
proposito risulta senza dubbio necessario potenziare gli interventi sulle discriminazioni e sui
pregiudizi secondo le linee indicate nel documento ministeriale (Mpi, 2007).
Le relazioni tra genitori italiani e stranieri sono decisamente limitate sia a causa della
scarsità di tempo, che deriva dagli impegni lavorativi e dal frenetico ritmo cittadino, sia per
un atteggiamento piuttosto diffuso fra gli italiani di non disponibilità, se non addirittura di
aperto rifiuto. Nei migliori dei casi le relazioni che si instaurano risultano essere di carattere
strumentale da parte dei genitori stranieri, che si sforzano di interagire con altre famiglie
mossi da preoccupazioni relative al benessere relazionale dei figli. Nella rappresentazione dei
genitori stranieri, il genitore italiano, quando disponibile, è mosso prevalentemente da una
curiosità iniziale che fatica a tradursi nella volontà di instaurare una relazione duratura. Oltre
a ciò gli stranieri percepiscono che gli italiani impostano il rapporto in chiave solidaristica,
senza essere realmente disposti a un rapporto paritetico volto ad approfondire la conoscenza
reciproca. Da quanto emerso in sede di intervista a determinare queste dinamiche relazionali,
oltre alle differenze culturali, concorrono anche le differenze di tipo socioeconomico. Casi di
amicizia, anche profonda e duratura sono stati rilevati tra madri straniere di provenienza
culturale diversa, nella fattispecie tra donne sole con figli che trovano in chi vive esperienze
analoghe fonte di comprensione, aiuto e supporto.
Le aspettative delle famiglie straniere nei confronti della scuola sono molto elevate perché
attraverso l’istruzione e l’educazione i genitori sperano che un giorno i propri figli possano
affrancarsi dalla condizione subalterna che oggi caratterizza loro stessi da un punto di vista
lavorativo e sociale. In tal senso sono anche molto esigenti nei confronti della scuola sia per
quanto riguarda i contenuti del programma sia relativamente alle modalità didattiche. In
generale si richiede una maggiore attenzione alla lingua inglese il cui insegnamento viene
giudicato non sufficiente.
Come del resto accade per le famiglie italiane, anche quelle straniere colgono la grande
disparità professionale che si incontra all’interno del mondo scolastico, in particolare le
differenze relative alla professionalità dei docenti. Il grado di soddisfazione espresso dai
genitori stranieri nei confronti della scuola dipende infatti strettamente dalle qualità
professionali degli insegnanti che i loro figli incontrano durante il percorso scolastico. Uno
stesso genitore esprime giudizi radicalmente diversi rispetto alla situazione scolastica di un
figlio o di un altro e i giudizi, negativi o positivi che siano, sono rivolti alle singole persone
piuttosto che al sistema nel suo insieme. Ciò sta a indicare il peso che riveste la
professionalità specifica di ogni singolo insegnante rispetto al benessere degli alunni e quindi
al grado di soddisfazione che esprimono i genitori.
41
In generale i genitori stranieri esprimono la richiesta di un’offerta formativa più in linea
con la pluralità culturale che caratterizza l’utenza. I suggerimenti in proposito riguardano ad
esempio l’inserimento della lingua araba e della lingua cinese come seconda lingua straniera
nella secondaria di primo grado o l’insegnamento di altre religioni a fianco di quella cattolica.
Dal punto di vista organizzativo le famiglie straniere chiedono una maggiore presenza di
mediatori linguistico culturali al fine di consentire una comunicazione più agevole con la
scuola anche ai genitori meno competenti nell’uso della lingua italiana.
Tutti gli intervistati risultano essere ben informati rispetto ai cambiamenti previsti
dall’attuale governo e nella totalità dei casi si dicono contrari sia all’ipotesi del maestro unico,
sia alla riduzione dell’orario scolastico che presso questa scuola è a tempo pieno. Rispetto al
discusso tema delle quote di alunni stranieri per classe, alcuni genitori si dicono favorevoli ad
evitare concentrazioni di alunni stranieri anche attraverso la definizione di un tetto massimo
di alunni stranieri per classe, anche se pochi hanno riflettuto sulle conseguenze effettive di un
tale procedimento. Esprimono molta preoccupazione rispetto all’alta concentrazione di
stranieri che caratterizza il contesto entro cui vivono e crescono i loro figli ed emerge con
chiarezza che preferirebbero un contesto con una maggiore presenza di italiani. Alcuni
genitori stranieri sostengono opinioni che, quando espresse da italiani, vengono tacciate di
razzismo. Questo dato mette in luce la forte strumentalizzazione politica che nel Paese si attua
delle molte questioni che riguardano il fenomeno dell’immigrazione. Vedi il caso delle classi
ponte per l’insegnamento dell’italiano o la distribuzione degli alunni stranieri nelle classi.
Questo è un dato su cui, a parere di chi scrive, è opportuno riflettere.
Anche in questa scuola di Milano si verificano quelle pratiche di schooling, ossia di
selezione mirata del contesto scolastico in cui inserire i propri figli, tipiche dei quartieri
connotati da processi di gentrificazione. Nelle scuole con un’elevata presenza di alunni
stranieri più che la difficoltà di governare il flusso di questi ultimi, che di fatto ormai, pur
rimanendo un elemento stressante per la scuola, è un fenomeno vissuto in chiave routinaria,
ciò che viene sentito come vera emergenza è la gestione del flusso delle famiglie italiane. Il
fenomeno della fuga delle famiglie italiane è principalmente dovuto alla preoccupazione che
una scuola con molti stranieri non garantisca una formazione di qualità e si verifica
soprattutto il passaggio dalla primaria alla secondaria di primo grado.
A Milano nelle scuole primarie gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia
superano quelli immigrati. Questo dato, che costituisce una novità e testimonia la dinamicità
del fenomeno migratorio, porta le scuole alla necessità di un adeguamento costante nei
confronti di un fenomeno che, in virtù della dinamicità che lo caratterizza, si presenta in
perpetua trasformazione. Soprattutto nel caso di alcune nazionalità, come ad esempio quelle
arabe o quelle asiatiche, l’essere nato in Italia non è garanzia di una buona conoscenza della
lingua italiana. Si sta quindi ponendo ora il problema dell’insegnamento dell’italiano ai
bambini di seconda generazione che, durante i primi anni della primaria non possiedono le
competenze linguistiche sufficienti a seguire i programmi.
42
1.8 Riferimenti bibliografici
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immigrati in un quartiere di Milano, FrancoAngeli, Milano.
Alietti A., Agustoni A.,2008, “Tra insicurezza e conflitto: rappresentazioni locali della convivenza interetnica in
un quartiere di Milano” in Mondi Migranti. Rivista di studi e ricerche sulle migrazioni internazionali,
FrancoAngeli, Milano, n. 1, pp. 75-90.
Besozzi E.,2005a, I progetti di educazione interculturale in Lombardia. Dal monitoraggio alle buone pratiche,
Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano.
Besozzi E., 2005b, Varcare la soglia. Spazi, tempi, attori dell’incontro fra culture nella scuola dell’infanzia,
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risultati, Roma, dicembre.
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Cnel, 2004, La famiglia nell’immigrazione: condizioni di vita e cultura a confronto, Roma.
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Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano.
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FrancoAngeli, Milano.
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FrancoAngeli, Milano.
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interculturale, Ottobre 2007, www.pubblica.istruzione.it.
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2006/07, Marzo 2008, www.pubblica.istruzione.it.
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sistema scolastico italiano a.s. 2007/08, Luglio 2008, www.pubblica.istruzione.it.
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Zucchetti E. (a cura di), 2008, Milano 2008. Rapporto sulla città, Ambrosianeum, FrancoAngeli, Milano.
43
1.9 Allegato: Elenco delle persone intervistate
Mamma ecuadoriana di alunna scuola primaria e studente accademia di Brera: laureata in tecnologia chimica,
ha lavorato in banca nel suo paese e qui è impiegata come domestica a ore. Vive sola con il figlio di 24 anni che
studia a Brera e lavora in aeroporto per mantenersi agli studi e con la figlia di 7 anni, nata in Italia. Il marito,
architetto e scultore, vive in Francia dove si è risposato con una donna francese. La donna pensa di ritornare in
Ecuador al termine del ciclo elementare perché in Italia c’è troppa solitudine e non piace la vita che si è costretti
a fare. La figlia presenta problemi di apprendimento ed è seguita da una psicologa.
Papà egiziano di alunna scuola materna e di alunna scuola primaria: laureato in Egitto in economia e
commercio, vive da più di vent’anni in Italia dove si è trasferito subito dopo la laurea. Due anni fa ha acquisito la
cittadinanza italiana. Lavora presso un prestigioso albergo della città dove si occupa dell’assistenza personale a
capi di Stato e vip. È iscritto all’albo professionale degli interpreti. Ha ricongiunto la famiglia 2 anni e mezzo fa.
La moglie ha frequentato due anni di istruzione universitaria, ma non ha mai lavorato né in Egitto, né in Italia.
La figlia più grande ha 11 anni e frequenta la classe quinta della scuola primaria. La più piccola ne ha 4 e
frequenta la scuola di infanzia.
Mamma etiope di alunno e alunna di scuola primaria: sposata con un italiano, lavora presso una casa di cura e in
una piccola cartoleria di proprietà. Diplomata, in Etiopia lavorava come impiegata presso un ufficio dello Stato.
Il marito, anch’esso diplomato, lavora come pasticcere e aiuta in cartoleria. Il figlio, di 9 anni, ha problemi di
apprendimento ed è seguito da un insegnante di sostegno e da una psicologa. La figlia, di 7 anni, non ha
problemi di natura scolastica, ma per il momento fatica ad accettare la sua doppia identità e, soprattutto, il fatto
di avere una mamma straniera.
Mamma rumena di alunno e alunna di scuola primaria e di studentessa scuola superiore: giunti in Italia poco
più di un anno fa, a seguito del fallimento di una ditta di proprietà per il riciclaggio di metalli che avevano in
Romania, nel nostro paese la donna è impiegata come cameriera presso un albergo e il marito, in Italia da 5 anni,
lavora come manutentore. Entrambi sono diplomati. La figlia più grande ha 17 anni e frequenta la classe prima
di una scuola superiore. Il figlio ha 9 anni e frequenta la classe terza della scuola primaria, mentre la figlia più
piccola ha 8 anni e frequenta la seconda. Malgrado i tre figli siano in Italia solo da settembre scorso, in casa
parlano prevalentemente italiano.
Mamma 1 del Bangladesh di alunno di scuola primaria: in possesso di diploma superiore lavora presso la mensa
di un asilo. Il marito, laureato in scienze politiche ed emigrato subito dopo la laurea, ha acquistato la licenza per
una bancarella di fiori presso la stazione di Cadorna (centro città). Il marito è in Italia da 16 anni, la moglie da 8
e il figlio è arrivato all’età di 2 anni. Ora ne ha 10 e frequenta la classe quinta della scuola primaria. In casa
parlano bangladeshi.
Mamma 2 del Bangladesh di due alunni di scuola primaria: in possesso di diploma superiore lavora come
aiutante domestica mentre il marito, laureato in scienze politiche, lavora presso un negozio di alimentari. Moglie
e marito sono in Italia rispettivamente da 12 e 15 anni ed entrambi i figli, uno di 10 anni che frequenta la quarta
classe della scuola primaria e uno di 8 anni che frequenta la seconda, sono nati qui. Pur essendo in Italia da più
di dieci anni la donna parla un italiano piuttosto difficile da comprendere. In casa parlano bangladeshi.
Mamma italiana di alunno di scuola primaria: adottata da una famiglia italiana in tenera età, lavora in una
libreria e prima di avere il figlio come traduttrice dal francese. Il padre, anch’egli italiano, è giornalista. Hanno
un figlio di 8 anni che frequenta la classe terza della scuola primaria. La donna è entusiasta della scuola e
collabora attivamente alle attività promosse dai genitori nel parco, in particolare fa parte del gruppo Parole in
gioco per l’insegnamento dell’italiano alle mamme straniere.
Docente facilitatrice: docente di italiano distaccata per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua agli
alunni stranieri che necessitano di potenziare le competenze linguistiche. Partecipa al gruppo di lavoro del
progetto Colibrì-Interculture.
Dirigente: dirige l’Istituto comprensivo da quattro anni. È una persona carismatica che sa promuovere
l’immagine della scuola e che viene apprezzata dal corpo docente. Promuove il principio dell’accoglienza degna
e di una buona scuola per tutti.
44
2. Torino San Salvario
di Roberta Ricucci10
2.1 Introduzione
La città di Torino, con ritmi e dimensioni diverse, si trova da tempo ad essere punto
d’approdo di flussi migratori e scenario di processi d’inserimento. I principali gruppi
nazionali hanno avviato degli evidenti percorsi di stabilizzazione sul territorio, svolgendo un
importante ruolo nell’economia locale e determinando una connotazione sempre più multiculturale della popolazione e della società in generale.
È di anno in anno più evidente la caratteristica di fenomeno strutturale che ha assunto la
presenza straniera nel capoluogo piemontese, come nel resto della regione e d’Italia. Il
mercato del lavoro, la vita domestica, la strutturazione dei servizi e della scuola,
l’organizzazione degli spazi culturali e religiosi e le richieste di partecipazione politica
rappresentano alcuni degli ambiti della società caratterizzate (e talvolta modificate nella loro
organizzazione) dalle azioni quotidiane di immigrati inseriti nel tessuto economico e sociale
cittadino (Ricucci, 2008).
Sino a qualche anno fa l’inserimento sociale subalterno di una quota rilevante della
popolazione straniera aveva trovato la sua manifestazione più visibile nel fenomeno della
concentrazione: in alcuni settori economici (assistenza domestica ed edilizia), in alcune aree
del territorio (i quartieri di Porta Palazzo e di San Salvario), in alcune scuole e nelle attività
formative meno qualificate; oggi l’inserimento degli immigrati non è più solo questo. In
realtà, da qualche tempo “si sta assistendo ad una differenziazione spontanea nella
collocazione degli stranieri entro il sistema economico e sul territorio; tale fenomeno va però
incentivato e sostenuto, coinvolgendo tutti gli attori del territorio. L’inserimento positivo
degli immigrati nel tessuto urbano non costituisce solo un elemento fondante per
un’integrazione non subalterna, ma è anche condizione essenziale per promuovere una società
coesa e fiduciosa che include le differenze culturali e valorizza le relazioni di solidarietà”
(Torino Internazionale 2006, pp. 139-140).
Tabella 2.1 – Torino: prime cinque nazionalità residenti. Confronto fra 1999 e 2007 (dati al 31.12)
Nazionalità
Romania
Marocco
Perù
Albania
Cina
1999
(v.a.)
2.581
8.439
2.280
1.549
1.729
Percentuale sul
totale di stranieri residenti
8,0
26,0
7,0
4,8
5,3
2007
(v.a.)
41.159
16.416
6.364
5.050
4.305
Percentuale sul
totale di stranieri residenti
39,7
15,8
6,1
4,9
4,1
Fonte: Ufficio Statistica del Comune di Torino.
10
Ricercatrice Istituto FIERI – Forum Italiano ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione, Torino. Assegnista di ricerca
presso l’Università di Torino.
45
Secondo i dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Torino, a fine 2007 vi erano 103.795
residenti non italiani, pari al 11,4% dell’intera popolazione residente. Si tratta di un collettivo
proveniente da oltre 120 paesi, le cui nazionalità maggiori sono quella rumena, marocchina,
peruviana, cinese e albanese.
Confrontando i dati del 2007 con quelli del 1999, si coglie come i diversi ritmi di crescita
delle singole comunità abbiano modificato nel tempo la composizione per gruppi nazionali
degli stranieri.
L’immigrazione dai paesi dell’Europa centro-orientale è oggi la più dinamica, grazie anche
all’ultima procedura di emersione dal lavoro nero (la cosiddetta ‘regolarizzazione Bossi-Fini’)
che ha fatto emergere un’ampia quota di ingressi clandestini che si erano verificati in parallelo
a quelli ufficiali. Così, dal 2002, il consolidamento della comunità rumena ha reso meno
accentuata la caratteristica peculiare del modello migratorio italiano, ossia il pluralismo delle
cittadinanze straniere.
Dal punto di vista della distribuzione territoriale, nel corso degli ultimi anni è stato
osservato, a Torino come in altri contesti urbani, che la popolazione immigrata, allorquando si
stabilizza, tende a lasciare il territorio di primo approdo per spostarsi verso aree territoriale
meno connotate etnicamente, meno stigmatizzanti. Si assiste, infatti, a una “deflagrazione
dell’originaria densità di presenza straniera polarizzata dieci anni fa nel settore più centrale
del tessuto urbano, che tende a dissolversi gradualmente nelle zone centrali per orientarsi in
modo più diffuso soprattutto verso le zone semicentrali delle Circoscrizioni 5 e 6” (Omedè,
2006, p. 37).
Tabella 2.2 - Incidenza dei residenti non italiani per circoscrizione. Confronto 2002 e 2007 (dati al 31.12).
Circoscrizione
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
Percentuale di cittadini
stranieri residenti (2002)
7,0
2,4
4,4
5,0
3,5
5,9
8,9
8,7
4,6
3,2
Percentuale di cittadini
stranieri residenti (2007)
9,7
6,4
9,8
11,9
10,6
15,4
17,6
13,5
10,9
8,1
Fonte: Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, anni vari.
Analizzando la struttura per età emerge una popolazione ancora piuttosto giovane, come
afferma la responsabile dell’ufficio di statistica del Comune di Torino: “si registra infatti una
prevalenza numerica di immigrati a Torino trentenni (30,7% sul totale stranieri nel 2007; +
31,5% nel 2005) ed una sostanziale costanza nella composizione delle altre fasce di età (es.
bambini da 0 a 9 anni; + 13,6% sul totale stranieri nel 2005; + 14,2% nel 2006; + 9,1% di
adolescenti nel 2005; + 9,5% nel 2006; + 5,6% di cinquantenni nel 2005; + 6,2% nel 2006)”
(Rava, 2007, p. 81).
Ai fini della presente ricerca, va evidenziato il significativo peso dei minorenni, dovuto
all’effetto combinato dei ricongiungimenti familiari, delle nascite e dei minori non
accompagnati. La percentuale dei minori con cittadinanza non italiana residenti nel capoluogo
piemontese era, a fine 2007, pari al 21,3%, costituendo il 17,3% dell’intero universo minorile
cittadino.
46
Tabella 2.3 – Minori e giovani di origine straniera nella città di Torino per fasce d’età (dati al 31.12.2007).
Cittadini residenti complessivi
(italiani + stranieri)
38.258
35.190
32.913
34.970
Fascia d’età
0-4
5-9
10-14
15-19
Incidenza percentuale degli
stranieri sul totale dei residenti
22,1
16,9
14,1
14,8
Fonte: Cammarata, 2008, p. 57.
La popolazione minorile di origine straniera è quindi in crescita nel capoluogo piemontese.
L’osservatorio privilegiato per cogliere l’aumento dei minori di origine straniera è quello
della scuola.
Tabella 2.4 – Distribuzione degli allievi stranieri per ordine di scuola nella provincia di Torino. A.s. 2007-2008
Ordine di scuola*
Totale stranieri
Totale allievi
Percentuale allievi stranieri
Infanzia
3.976
46.412
8,56
Primaria
10.870
97.424
11,56
Secondaria di I grado
6.210
57.467
10,80
Secondaria di II grado
6.499
85.919
7,56
Totale
27.555
287.222
9,59
* I dati disponibili non sono consentono di disaggregare per tutti gli ordini di scuola il capoluogo dal resto della provincia
torinese. Fonte: Ufficio Scolastico Regionale, 2008.
I dati relativi alle nascite mostrati nella tabella 2.5 riportano i minori nati a Torino e distinti
per cittadinanza nelle circoscrizioni della città dove il rapporto fra stranieri e italiani è più
alto. Si coglie, ad esempio, come, nell’anno scolastico in corso, nelle prime classi delle scuole
primarie della Circoscrizione 6 (dove si trovano i nati nel 2002) quasi un allievo su tre sia di
origine straniera. A questi bambini di seconda generazione vanno sommati quelli arrivati
dall’estero e i figli di coppia mista italiana-straniera, formalmente italiani, ma non per questo
al riparo da difficoltà di inserimento. Diversa è la situazione della scuola secondaria di primo
grado, dove il peso delle seconde generazioni (cfr. i nati fra il 1997 e il 1995) si riduce,
affiancandosi pero ad un cospicuo numero di arrivi per ricongiungimento in corso d’anno
(Bonino e Cordero, 2008).
Tabella 2.5 - Minori residenti nelle tre circoscrizioni per anno di nascita e per cittadinanza (dati al 30.11.2007)
Circoscrizione 6
Circoscrizione 7
Circoscrizione 8
Italia
Altri paesi
Italia
Altri paesi
Italia
Altri paesi
1995
664
169
485
126
351
54
1996
1997
654
722
152
176
497
466
140
161
379
348
57
59
1998
1999
654
673
211
202
489
500
163
158
390
359
57
70
2000
2001
644
694
237
238
520
510
158
207
394
369
73
84
189
408
92
2002
661
237
518
Fonte: Elaborazioni su dati dell’Anagrafe della Città di Torino.
La scuola torinese presenta dunque da tempo un contesto eterogeneo per provenienza e
lingua, che si è andato strutturando nell’ultimo quinquennio, con un incremento vistoso. Si
tratta di uno scenario in movimento, non certamente stabilizzato sia sotto il profilo quantitativo sia per quanto riguarda le provenienze. Infatti, secondo le previsioni dei movimenti
47
demografici (Ires, 2008), la crescita degli ultimi anni non sembra destinata ad interrompersi a
breve termine; d’altra parte, la “stessa eterogeneità nella composizione della popolazione
straniera e la sua continua variazione da un anno all’altro mostrano un dinamismo destinato a
rendere sempre più diversificato e quindi complesso il quadro di insieme della popolazione
straniera nelle scuole” (Besozzi, 2005, p. 95). Un quadro per la gestione del quale è facile
prevedere maggiore complessità in futuro e che già ora vede coinvolti insieme, a livello
locale, le scuole e il privato sociale, gli enti locali e la Direzione Scolastica Regionale. La
collaborazione inter-istituzionale e quella fra enti pubblici e soggetti del mondo dell’associazionismo e delle organizzazioni sociali rappresenta, infatti, un elemento trasversale ai
diversi ambiti di inserimento sociale, al fine di migliorare l’efficacia degli interventi di
accoglienza e integrazione della popolazione immigrata. Tale collaborazione è un tratto tipico
del contesto torinese: una forte e strutturata presenza delle varie forme del terzo settore, con
l’ente locale (in primis il Comune, ma anche la Provincia e le scuole) che interagisce, sia in
un’ottica di delega sia un’ottica di sussidiarietà (Allasino, 1998).
Un esempio significativo di tale collaborazione viene proprio dall’ambito scolastico, dove
sono numerose le iniziative e gli interventi sviluppati, nella consapevolezza che l’accoglienza,
l’inserimento e la formazione dei più piccoli e dei più giovani non rispondono solo ad un
obbligo posto dal legislatore ma anche alla costruzione del futuro cittadino11. Eppure,
nonostante l’impegno di molti e l’esperienza più che decennale di accoglienza e promozione
dell’inserimento dei cittadini stranieri, il panorama entro cui si muovono studenti, famiglie,
insegnanti, mediatori culturali, operatori dell’associazionismo è complesso e frammentato,
articolato e disomogeneo allo stesso tempo.
L’arrivo, l’inserimento e il percorso di un allievo straniero sembra essere la cartina di
tornasole per svelare difficoltà e disfunzioni di un sistema scolastico che dovrebbe essere
flessibile ed efficace, capace, ad esempio, di aggiornarsi di fronte ai cambiamenti e alle nuove
istanze della società. Ecco allora che il confronto con lo studente che parla un’altra lingua,
arriva in corso d’anno ed ha alle spalle percorsi formativi difficilmente conciliabili con i
curricula italiani coglie le scuole impreparate12.
Anche a Torino, città laboratorio di politiche di accoglienza13, l’inserimento degli allievi
stranieri genera ansie e preoccupazioni14. Eppure, in una situazione caratterizzata da difficoltà
e problematiche (vecchie e nuove), si possono scorgere alcuni tratti che sembrano delineare
un ‘modello torinese’ nell’affrontare il tema dell’aumento dei numeri e della complessa
gestione degli studenti di origine non italiana. Si tratta di un modello caratterizzato da tre
pilastri: impegno, imprenditività, interattività.
In primo luogo l’impegno. Insegnanti che estendono il loro ruolo, diventando di volta in
volta orientatori, accompagnatori sociali, progettisti e sperimentatori. Una parte del corpo
docente ha deciso di rispondere alla sfida posta dai flussi migratori di fine secolo talvolta
recuperando (o ricordando) l’esperienza di lavoro e di vita fatta durante la migrazione interna.
Ciò non riguarda il solo impegno del gruppo di insegnanti pionieri che continua, da ormai
oltre dieci anni, a lavorare per una scuola in comune, per favorire il migliore inserimento
possibile degli allievi stranieri. Accanto a loro si affiancano altre figure che, per motivazione
11
Per un approfondimento su questo tema si vedano: Demartini, Ghioni, Ricucci, 2008; Negri e Scaranari (a cura di), 2008;
Comitato oltre il razzismo, 2006.
12
Per un approfondimento di questa parte, si veda Olivero e Ricucci, 2008.
13
Nel corso degli anni Novanta, Torino si è distinta a livello italiano per la predisposizione di interventi istituzionali a favore
della tutela dei diritti dei minori stranieri, presenti sul territorio in situazione di irregolarità e senza alcuna figura genitoriale
di riferimento. Le prassi elaborate e sperimentate (ad esempio il permesso di soggiorno per minore età rilasciato ai minori
soli) sono state poi recepite dalla normativa nazionale.
14
Si considerino a tal proposito gli articoli relativi alla concentrazione degli allievi stranieri in alcune scuole e alla fuga degli
allievi italiani: M. T. Martinengo, Fuga dalle classi multietniche, La Stampa, 23.01.2007; M. T. Martinengo, Scuola, bufera
sulle classi ponte per immigrati, La Stampa, 16.10.2008.
48
politica o religiosa, per decisione personale o di militanza, hanno deciso di dedicarsi ad
attività di sostegno scolastico ed extrascolastico. Sono i volontari e gli operatori del ricco
tessuto associativo, laico e confessionale, che caratterizza da sempre il capoluogo subalpino.
In secondo luogo, l’imprenditività. Anche nella scuola, come in altri ambiti, a Torino gli
attori in gioco hanno studiato, cercato e ideato iniziative per rispondere alle varie sfide che si
presentavano nell’accogliere e inserire allievi stranieri. Dai laboratori linguistici alla
formazione degli insegnanti, dai corsi di lingua per studiare le singole discipline ai Cd_rom
per l’apprendimento della lingua, dai progetti integrati fra scuola ed extrascuola alle reti fra
scuole per contrastare pericolosi fenomeni di concentrazione. Iniziative che si ritrovano anche
in altri contesti territoriali, ma che spesso sono state sperimentate inizialmente proprio a
Torino, diventando poi prassi trasferite in altre città, come ad esempio il progetto LITOS15.
Alle azioni dei primi anni ‘90, altre ne sono seguite, sapendo intercettare di volta in volta le
priorità di intervento. Così è stato realizzato il progetto Scuola delle mamme, iniziativa che ha
risposto al bisogno di apprendimento della lingua italiana da parte delle madri, altrimenti
escluse dal processo di istruzione formale dei figli. O ancora, sono stati definiti progetti
passerella fra scuole medie e scuole superiori per sostenere i percorsi scolastici degli allievi
stranieri con solo qualche anno di scolarizzazione in Italia.
Si tratta solo di alcuni esempi di iniziative, che tuttavia la mancanza di una politica
organica in materia, e conseguentemente l’assenza di fondi garantiti annualmente per la loro
realizzazione, hanno lasciato al livello di sperimentazione ben riuscite, valutate favorevolmente da operatori e politici, ma non trasformate in prassi consolidate all’interno dei contesti
scolastici. Ciò se da un lato ha favorito la ricerca di soluzioni, cercando in maniera
imprenditoriale di attivare risorse economiche attraverso tutte le possibili fonti di
finanziamento (ad esempio, enti locali, ministeri, Unione Europa, fondazioni bancarie), da un
altro lato ha irrobustito la presenza all’interno delle scuole dei soggetti del privato sociale
(come volontari, animatori, mediatori culturali).
Il rapporto fra ambienti istituzionali e non istituzionali conduce al terzo pilastro del
‘modello Torino’: l’interattività. Se è vero che le scuole faticano a mettersi in rete fra di loro è
altresì vero che sono numerosi gli esempi di collaborazione fra singole scuole e soggetti del
privato sociale. In particolare, l’esperienza di questi anni ha dimostrato che l’agire sui due
fronti (la scuola e il tempo libero) permette di essere più incisivi su entrambi: l’aspetto della
combinazione tra ambienti istituzionali, in particolare la scuola pubblica, con l’informale
come sono i centri aggregativi, i doposcuola, etc., consente di sviluppare strategie positive per
combattere il rischio di esclusione sociale degli alunni stranieri, in maniera più efficace e
duratura.
Si tratta, dunque, di un modello che ha le sue radici nella storia della città, nel suo tessuto
associativo, nel passato di mèta di significativi flussi migratori. È però un modello che oggi
non è scevro da criticità e da difficoltà di consolidamento.
Sul versante delle criticità, innanzitutto, esso deve fare ancora i conti con poche figure,
seppure sensibili e attente, e non con la totalità del corpo docente e di quanti svolgono ruoli
15
Il progetto LITOS (Lingua Torino Stranieri) è sorto come iniziativa pilota per capire/diagnosticare un fenomeno e trarne
modelli di intervento educativo-didattico, organizzativo e formativo per un’adeguata professionalità docente e dirigente. Il
progetto si è sviluppato ed evoluto a partire dal 1990. Tra le sue diverse azioni, ha previsto fra l’altro:
• progetti sperimentali di attività didattiche e di organizzazione scolastica flessibile nelle scuole materne, elementari e
medie della città, con il funzionamento di laboratori linguistici per alunni di lingua madre non italiana e di attività di
educazione interculturale rivolte alla totalità degli alunni;
• produzione di materiali didattici di italiano lingua seconda per allievi di recente arrivo in Italia e per allievi impegnati
nello studio del curricolo nelle diverse discipline;
• predisposizione ed applicazione di strumenti e procedure per la valutazione iniziale e dei progressi degli alunni.
49
educativi: ciò significa che la presenza dei minori e degli adolescenti stranieri fatica ad essere
percepita come strutturale, come parte del contesto e della realtà sociale torinese.
Ma non si tratta solo di una scarsa dotazione di risorse umane preparate per reagire e
rispondere alle sfide che gli ultimi anni vanno disegnando. Vi è anche una scarsità di risorse
finanziarie, che non facilita la predisposizione di azioni sistemiche in grado di garantire un
salto di qualità alle politiche del capoluogo piemontese (e non solo): il tempo delle
sperimentazioni dovrebbe lasciare il passo a quello del consolidamento e della messa a regime
di prassi, metodi e strumenti. Infine, occorre registrare una più ampia difficoltà di fronte ai
rapidi cambiamenti del contesto di riferimento: l’efficacia del modello è indebolita dalla
difficoltà di intervenire su un tema in fieri.
La virtuosa combinazione fra impegno, imprenditività ed interattività, che negli anni
passati ha favorito una copiosa produzione di materiali e di iniziative coerenti con le necessità
del territorio, oggi rischia di non essere più sufficiente di fronte ad un fenomeno strutturale,
che si inserisce in un contesto scolastico attraversato da profonde riforme e cambiamenti
generazionali e al cui interno si fanno strada richieste di separazione fra italiani e stranieri,
istanze di tutela e di garanzia per la qualità dell’insegnamento, messo a rischio dal continuo
arrivo di allievi non italiofoni.
2.2 Qualità del contesto
La ricerca si è focalizzata sul quartiere di San Salvario, facente parte dell’ottava
circoscrizione cittadina. Il quartiere, delimitato dalla principale stazione ferroviaria della città
e dal parco del Valentino, è caratterizzato da templi ed istituzioni socio-culturali di diverse
religioni (valdese, cattolica, ebraica; recentemente quella islamica), da un forte tessuto
associativo e dall’insediamento di immigrati (contadini dei dintorni di Torino nel secolo
scorso, veneti, friulani e meridionali nei decenni passati, stranieri negli ultimi anni).
L’arrivo di cittadini stranieri e il sorgere di attività commerciali, sia connotate etnicamente
(negozi di cosmetici, sartorie, gastronomie) sia inter-etniche, rivolte ad una clientela mista (ad
esempio, negozi di alimentari, di abbigliamento, di servizi telefonici), gli hanno valso
l’attributo di ‘quartiere latino’ (Bocco, 1996).
Tale insediamento non è avvenuto in silenzio e senza clamore: esso è stato attraversato,
soprattutto verso la fine degli anni ‘90, da una mobilitazione dei vecchi residenti – supportata
ed alimentata mediaticamente – che riscopriva un’identità ed un’appartenenza locale
avanzando richieste di tutela e di sicurezza contro “l’arrivo dello straniero e del criminale”16.
Oggi, le proteste di quegli anni hanno lasciato lo spazio ad esperienze di convivenza e di
intercultura, rendendo il quartiere l’area della città per antonomasia dove progetti di coesione
sociale, di convivenza e rigenerazione urbana convivono con sussulti legati al suo essere
divenuta multietnica (Belluati, 2004). La zona è caratterizzata anche da tensioni e ambiti
problematici, di degrado urbano, soprattutto nei pressi della stazione di Porta Nuova, dove
prostituzione e spaccio convivono con situazioni di ordinaria precarietà sociale (Osservatorio
sicurezza, 2008).
La zona di San Salvario è l’area in cui l’incidenza degli stranieri sul totale dei residenti è
più alta sia a causa della prossimità con la stazione (e quindi si connota come luogo di primo
approdo) sia perché area di residenza a causa delle opportunità abitative disponibile sul
mercato immobiliare privato. È anche una zona in cui la componente minorile straniera è
16
“Omertà nella ‘casba’” (La Stampa, 12-5, 1995); “Qui l’immigrato diventa un nemico” (La Repubblica, 17-11-1995);
“Vado via perché non ho più clienti bianchi” (La Stampa, 20-9-1995).
50
particolarmente significativa, esito del combinato effetto del movimento demografico naturale
e di quello migratorio. Inoltre, l’area esercita anche un forte effetto di attrazione, determinato
dalla presenza di molte attività economiche etniche, dall’esistenza di progettualità e di risorse
per l’apprendimento della lingua italiana, l’orientamento ai servizi, la ricerca lavorativa, da un
passaparola positivo fra chi ha già sperimentato reti di sostegno, di orientamento e di
accompagnamento e chi ne ha bisogno.
Centro
Sinagoga e scuola ebraica
Chiesa valdese
Stazione di
Porta Nuova
Oratorio salesiano e
cappellania filippina
Moschea
Chiesa S.S.
Pietro e
Paolo
ASAI
Scuola
dell’infanzia Bay
Moschea
IC MANZONI
Parco del Valentino
IIS Regina Margherita
Figura 2.1 – Cartina toponomastica dell’area di San Salvario (tratta da Bocco, 1996)
L’inserimento scolastico dei minori con cittadinanza non italiana rappresenta da tempo un
tema significativo per San Salvario: infatti, le sue scuole sono da anni al centro delle polemiche
sul rapporto allievi italiani/stranieri e delle iniziative per promuovere – a partire dalla scuola –
attività di educazione interculturale e di promozione della convivenza. Nel tempo si sono
sviluppati numerosi progetti che hanno visto irrobustirsi una sinergia fra l’ambiente
51
istituzionale (la scuola, ma anche i servizi educativi del Comune e i servizi sociali della
circoscrizione) e quello del privato sociale (associazioni, parrocchie, cooperative).
Tabella 2.6 - Incidenza dei residenti non italiani nella circoscrizione 8 di Torino per zona statistica (dati al
30.11.2007).
Incidenza percentuale dei cittadini stranieri
sul totale dei residenti
29,5
20,1
16,7
14,0
11,5
11,3
10,7
10,2
7,6
7,2
7,0
4,3
0
13,5
Zona statistica
San Salvario
Piazza Nizza
Parco della Rimembranza
Corso Dante – Ponte Isabella
Pilonetto
Fioccardo
Santa Margherita
Val Salice
Lavoretto – Val Pattonera
Parco Michelotti – Borgo Po
San Vito
Piazza Crimea
Corso Lepanto, Giardino Colonnetti
Totale Circoscrizione 8
Fonte: elaborazione su dati dell’anagrafe di Torino.
San Salvario
Torino
Iniziano ad inserirsi nelle
scuole i primi allievi stranieri.
Emergere delle “scuole di frontiera”,
avvio di progetti di lingua italiana e
ricorso all’attività di mediazione
culturale.
Gli allievi stranieri sono una realtà
diffusa, in ogni ordine di scuola;
implementazione di attività di
formazione per insegnanti, aumento
delle iniziative per l’insegnamento di
italiano come L2, si disegnano prassi
di accoglienza per alunni e famiglie.
Gli allievi stranieri sono una realtà
consolidata nelle scuole; si registra
una polarizzazione fra scuole
accoglienti vs. scuole respingenti gli
allievi
stranieri;
si
lavora
sull’orientamento in ingresso e verso
le scuole superiori
Anni ‘80
Anni ‘90
Dal 2000 al 2006
Arrivo e insediamento delle prime famiglie
straniere: invisibilità nella scuola.
Tensioni anti-immigrati nell’area,
aumento degli allievi nella scuola
media, corsi di arabo e di cinese come
mediazione per l’apprendimento
dell’italiano.
Implementazione del progetto di vasta area
“Tappeto Volante”, avvio delle discussioni
sull’incidenza degli allievi stranieri, sulle
scuole per stranieri, sulle scuole ghetto:
emerge il tema della “fuga degli italiani”
dalle scuole di quartiere.
L’Istituto Comprensivo del quartiere
comincia a invertire la tendenza: ritornano
le iscrizioni di allievi italiani, si rafforza il
coinvolgimento dei genitori nell’attività di
promozione della scuola come scuola dove
la
convivenza
si
accompagna
all’eccellenza.
Oggi
Figura 2.2 – Evoluzione della presenza degli allievi stranieri. Confronto fra la città di Torino e la zona di San
Salvario.
Fra queste iniziative va ricorda quella del progetto Sul Tappeto Volante. Il progetto,
avviatosi nel 1999, è promosso dal Comune di Torino e dalla Compagnia di San Paolo,
attraverso l’avvio di una rete fra le agenzie e le associazioni del quartiere e il mondo della
scuola, cerca di raggiungere l’obiettivo di far sì che le scuole del quartiere siano “promotrici
52
di un’alta qualità dell’istruzione finalizzata a ricostruire percorsi educativi [..] nel rispetto e
nella valorizzazione delle differenze come dell’identità” (Comune di Torino, 2006, p. 11).
Nel corso di quasi dieci anni di realizzazione, il progetto ha verificato la necessità di un
coinvolgimento fattivo dei genitori, al fine di costruire una convivenza sociale che si
estendesse oltre il tempo della scuola. Genitori sia italiani sia stranieri, i primi per apprendere
le trasformazioni in corso nell’area e imparare a riconoscerle e a decodificarle, i secondi per
acquisire strumenti per interagire con la società d’accoglienza e possano comprenderne le
istituzioni. Il lavoro a favore dell’inserimento scolastico non termina con la campanella di fine
lezione: è un impegno, che deve proseguire anche nel tempo extrascolastico, in sinergia con
tutti gli attori in gioco (la scuola, la famiglia, l’associazionismo, la parrocchia o la comunità).
L’iniziativa può dunque essere considerata come ‘un’iniziativa-sistema’, come ricorda bene
l’ex preside della scuola media della zona, ora inglobata nell’istituto comprensivo.
Qual era l’intenzione? Fare del quartiere un paese. La caratteristica del paese è che tutti conoscono tutti e che in
ogni momento della giornata tu puoi andare in un posto dove ti puoi incontrare con uno che conosci e fare
aggregazione. Adesso non so dire di altre realtà ma solo di questa [associazione Asai, ndr] e devo dire che quando
entro qui molti ragazzi mi salutano, mi salutano amichevolmente. E sanno che più o meno c’è una commistione, io
rappresentavo la scuola: qui i genitori, anche dei ragazzi italiani che venivano alla nostra scuola, avevano da noi la
presentazione di questo modo di porsi e anche queste sinergie che si venivano a creare quando c’erano da risolvere
problemi, c’erano sinergie con competenze istituzionali e sinergie con competenze assistenziali, e quindi potevano
tirar fuori delle risorse che noi non eravamo in grado di esprimere. Questa cosa per lungo tempo ha funzionato,
anche bene. I ragazzi in qualche maniera si sentono a loro agio, la scuola, l’Asai, gli oratori sono dei loro posti.
Come fa l’istituzione pubblica a fare questo? Cosa fa, i gruppi scout, il doposcuola? Gli animatori di strada? Che
cosa fa? La scuola non è in grado di fare questo. È in grado di raccordarsi, di creare delle sinergie ma è un’altra
cosa, anzi tutte le sinergie devono mettere in grado la scuola di fornire la massima istruzione e educazione
possibile. (ex Dirigente scolastico di scuola media).
Il secondo esempio di collaborazione tra ambito scolastico e extra-scolastico è il progetto
Provaci ancora Sam (PAS), che nuovamente s’incentra sulla collaborazione tra scuole, Servizi
Sociali ed Educativi e Associazioni di volontariato. Da diversi anni, il progetto lavora sul
tema del recupero della dispersione e della prevenzione dell’insuccesso scolastico e formativo
dei giovani dai 14 ai 20 anni. Una parte di queste attività coinvolge minori ed adolescenti
stranieri che, a causa del loro ingresso tardivo nel sistema scolastico italiano o delle difficoltà
in alcune materie, sono considerati potenziali soggetti a rischio di marginalità sociale.
Vi sono poi altre iniziative, che consolidano il rapporto fra il pubblico e il privato sociale,
sui temi dello sport, dell’animazione espressiva ed interculturale. Un esempio interessante è il
cosiddetto progetto MUS-E, che attraverso forme artistiche quali il canto, la musica e la danza
si promuove l’integrazione e la conoscenza delle diverse culture in contesti scolastici
caratterizzati da un forte presenza di bambini di origine non italiana.
Va infine ricordata l’articolata e diversificata attività svolta dall’associazione di Animazione Interculturale Asai, presenza storica nell’area di San Salvario. Si tratta di un ente di
volontariato che organizza attività educative nel tempo libero per bambini, adolescenti e
giovani17.
I miei bimbi hanno cominciato anche a frequentare l’Asai, che è un po’ un porto sicuro, perché ci sono questi
animatori che fanno da perno fra la nostra cultura e la loro. Grazie a questa associazione, grazie alla scuola, le
famiglie straniere hanno cambiato il modo di queste famiglie di rapportarsi con noi. Vero è che per costruire un
rapporto dove ci sono delle differenze etniche c’è bisogno di tempo […] l’integrazione è avvenuta con quelle
famiglie che sono qui e che hanno avuto il tempo di creare delle situazioni stabile e pian piano siamo riusciti ad
17
Nel quartiere sono presenti altre realtà che offrono servizi di doposcuola e/o di aggregazione giovanile, ad esempio
l’oratorio salesiano San Luigi o l’associazione Acfil – legata alla comunità filippina, le cui attività si intrecciano in modo più
sporadico con quelle delle scuole della zona.
53
avere dei rapporti con le famiglie, ad entrare nelle loro case. (Madre italiana n. 1 di alunni di scuola elementare e
media).
A questa associazione, tutti i genitori contattati, italiani e stranieri, si sono in qualche modo
rivolti: per attività sportive, per il doposcuola durante la settimana (a livello superiore) o
durante il sabato mattina (per il livello inferiore), ma anche per frequentare corsi di italiano o
per partecipare ad attività ludiche (musica, teatro).
Una delle attività più richieste è sicuramente quella del doposcuola che attiviamo ormai da sei anni all’interno
della rete dei doposcuola in San Salvario. Il doposcuola ASAI, consiste in attività pomeridiane finalizzate al
consolidamento della formazione per la fascia dell’obbligo e delle scuole superiori e viene svolto da più di 60
volontari (operatori, studenti universitari, insegnanti in pensione, tirocinanti, stagisti, etc.), con il
coinvolgimento di circa 150 ragazzi e copre tutto l’arco della settimana. (Educatore doposcuola).
Il lavoro dell’associazione è riconosciuto anche dalle scuole della zona. A livello di Istituto
Comprensivo, dopo anni di collaborazione su vari progetti, si è deciso di arrivare all’elaborazione di una vera e propria convenzione per poter formalizzare il lavoro educativo fra il
tempo scuola e quello extrascuola. A livello di istituto superiore, invece, le iniziative di
doposcuola, dove spesso vi è un rapporto docente-discente di uno a uno, sono apprezzate e
talora suggerite agli stessi allievi, per cui la scuola non può organizzare attività di recupero
aggiuntive, oltre quelle previste per legge. Inoltre, sempre dal punto di vista dei docenti di
scuola superiore, l’Asai rappresenta un’opportunità sul territorio di ampliamento di corsi di
italiano sia durante l’anno scolastico sia durante il periodo estivo, periodo critico sia per chi
arriva sia per chi ha bisogno di un esercizio continuo per non perdere le competenze linguistiche acquisite.
L’Asai che ci dà un sostegno sul doposcuola, c’è tutta una rete, stiamo provando ad avere una forma di
coordinamento fra le attività che si svolgono al mattino e al pomeriggio. È importante, altrimenti il doposcuola è
staccato dall’attività del mattino. La presenza sporadica degli insegnanti al pomeriggio va bene, ma ci deve
essere un discorso di continuo confronto. (Dirigente scolastico di IC).
Penso per esempio ad alcune ragazze che oltre ai corsi che fanno qua di italiano vanno a quelli dell’ASAI, o
perché hanno voglia di sfruttarli entrambi o perché hanno il giorno più comodo. (Referente per gli allievi
stranieri di scuola superiore)
Il quadro delineato presenta anche delle criticità, che nell’area di San Salvario trovano
ampio eco. Innanzitutto la precarietà degli interventi promossi dal privato sociale, poiché
vincolati all’opportunità di finanziamento sistematico da parte degli enti locali e la conseguente difficoltà nel mantenere nel tempo le attività realizzate.
La scuola faceva una volta piscina, pallacanestro, molte cose ma adesso non lo fa più. Mandavano il foglio con
tutte le attività per iscrivere tuo figlio: manderei anche mia figlia, ma adesso la scuola non fa più queste cose.
(Padre egiziano di due figli, alunni rispettivamente di scuola superiore e di IC)
In secondo luogo, l’assenza di sistemi di valutazione e di follow up delle iniziative
realizzate. Si tratta di una carenza che si ritrova nella grande maggioranza delle iniziative del
privato sociale (e del pubblico) e che impedisce spesso di aggiornare e riqualificare gli interventi.
In questo scenario, sono inserite le scuole oggetto della presente ricerca: l’Istituto
Comprensivo A. Manzoni, che comprende la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la
scuola secondaria di I grado, l’Istituto Magistrale Statale Regina Margherita.
54
L’Istituto Comprensivo statale A. Manzoni [di seguito definito come IC, ndr] è nato nel
2000, dalla fusione della scuola Rayneri (scuola elementare) e della scuola media Manzoni
(media inferiore)18. Da sempre tale scuola si trova a gestire una popolazione studentesca
complessa: il quartiere presenta dagli anni Sessanta una mixitè sociale, che affianca alle
famiglie di professionisti quelle operaie immigrate, che trovavano una sistemazione nei pressi
della Stazione principale della città. Con l’avvicendarsi delle migrazione dall’estero, la scuola
è ritornata a doversi occupare dei figli di nuovi movimenti migratori. Negli anni ‘90, ancor
prima dell’istituzione dell’IC, è stata la scuola media a doversi confrontare per prima con gli
allievi con cittadinanza non italiana.
100,0
Valore percentuale
80,0
60,0
Tot. al. Italiani
Tot. al. Stranieri
40,0
20,0
19
94
/9
19 5
95
/9
19 6
96
/9
19 7
97
/9
19 8
98
/9
19 9
99
/0
20 0
00
/0
20 1
01
/0
20 2
02
/0
20 3
03
/0
20 4
04
/0
20 5
05
/0
6
00
6/
07
0,0
Anno scolastico
Figura 2.3 - Allievi iscritti presso l'IC Manzoni - Scuola secondaria di primo grado.
La storia dell’immigrazione è cominciata quando ce ne siamo accorti. È iniziata nel 1994, perché in quella data
ho cominciato a fare delle statistiche di presenza nella scuola. In quell’anno ne avevamo sei, ci sembrava un
grosso problema (6 su circa 300 allievi: ho statistiche relative alle presenze straniere dal 1994 al 2005). Due o tre
anni prima era successo un episodio: era arrivato un polacco ed era il primo non parlante una lingua che non
conoscessimo che si presentava nella scuola. Allora ho detto cerchiamo un’associazione di polacchi a Torino:
allora non si percepiva che il problema fosse più grosso di quello che apparisse. Ho cercato dei polacchi, ma
nessuna organizzazione è stata disponibile ad aiutare altri polacchi ad inserirsi, a veicolare loro un po’ di italiano,
a fare da interfaccia. Tutti quelli che si erano trovati non avevano mai pensato ad attività del genere. All’epoca
c’era a scuola un insegnante di matematica polacco, così abbiamo inserito nella sua classe l’allievo. (ex
Dirigente scolastico di scuola media).
Il procedere del processo di stabilizzazione dell’immigrazione ha significato, da un lato, il
ricongiungimento di bambini in età da scuola elementare e, dall’altro, la nascita sul territorio
italiano di vere e proprie seconde generazioni in senso stretto19. Presenze visibili sia nella
scuola d’infanzia di zona sia in quella elementare, dove però l’aumento del numero di bambini non italiani non ha suscitato polemiche o allarmismi, ma al contrario ha dato vita a
positive esperienze di didattica interculturale e, soprattutto a livello di scuola dell’infanzia20,
18
L’Istituto Comprensivo ha recentemente rivisitato, implementato e aggiornato il sito web: www.icmanzoni.org.
Per la definizione di seconda generazione, vi sono posizioni più restrittive che considerano tale solo i figli degli immigrati
nati nel paesi di immigrazione e posizioni più ampie, che considerano appartenenti alla seconda generazione anche i figli nati
nel paese di origine dei genitori, ma arrivati nel nuovo contesto prima dell’inizio della scuola dell’obbligo (Ambrosini, 2005).
20
A San Salvario è attiva la scuola dell’infanzia comunale Bay.
19
55
di coinvolgimento attivo di genitori italiani e stranieri nella realizzazione di attività ricreative
e di socializzazione.
Nel tempo la situazione si è evoluta non solo nei numeri, ma anche nelle risposte e
nell’organizzazione che la scuola si è data per gestire gli allievi con cittadinanza non italiana.
Da un’iniziale laboratorio di alfabetizzazione gestito da due laureande in arabo e cinese, al
finanziamento di corsi di lingua italiana differenziati per livello sino all’arrivo di personale
docente distaccato appositamente per occuparsi della componente straniera si è arrivati ad
oggi, dove è stata strutturata una prassi di accoglienza (cfr. allegato 1), si sono consolidate
attività di insegnamento della lingua. Non vi sono più le insegnanti distaccate e questo rappresenta, a detta di tutti, insegnanti e dirigenti, una grave perdita, a cui presto si sommeranno gli
effetti della riforma del ministro Gelmini, che ridurrà (sino ad eliminare) le compresenze,
preziose nelle classi caratterizzate da arrivi in corso d’anno. Un distinguo va però fatto fra la
situazione della primaria e quella della media, come ricorda la vice-preside, figura storica
della scuola.
La situazione è abbastanza diversa fra la sezione primaria e media. Noi abbiamo una presenza di stranieri alta,
soprattutto nella primaria. La primissima immigrazione ha avuto un problema rispetto alle famiglie, più difficile
anche perché la scuola non era preparata all’immigrazione, erano marocchine e cinesi, non parlanti. La
situazione si è evoluta con due fenomeni principali: abbiamo etnie diverse, abbiamo avuto gli albanesi, adesso
abbiamo i comunitari, pochi cinesi, abbiamo i sud americani, abbiamo sempre i magrebini, ma non sono più
prevalenti. È quindi cambiata l’utenza. In ogni caso con le famiglie dell'Est Europa i contatti sono più facili,
soprattutto per la lingua. Sono poi cambiate le caratteristiche delle famiglie. Le famiglie hanno un livello di
italiano migliore, con cui ci si comprende. Continuiamo ad avere i mediatori per gli arrivi in corso d’anno, ma è
un fenomeno marginale. La maggior parte degli stranieri hanno una conoscenza dell’italiano, sia i genitori sia i
bambini, che sono nati in Italia. (Vice-preside IC).
La storia dell’IC si è intrecciata, soprattutto dal 2004 al 2008, con il tema delle scuole
ghetto, delle scuole per stranieri: in altre parole, con la fuga degli allievi italiani da una scuola
ad alta concentrazione di altre provenienze.
Tabella 2.7 – Distribuzione degli iscritti nelle scuole primarie della Circoscrizione 8
D'Azeglio
Manzoni IC elem.
Pellico
iscritti 2005/06
586
403
987
% iscritti stranieri
4,95
47,89
14,69
iscritti 2006/07
565
391
980
% iscritti stranieri
4,78
47,83
12,86
iscritti 2007/08
585
380
988
% iscritti stranieri
5,30
48,68
18,72
iscritti 2008/09
562
355
984
% iscritti stranieri
5,50
46,20
18,00
Fonte: elaborazione su dati del Comune di Torino – Servizi Educativi.
Spinelli
Totali
circoscrizione
Totali
città
270
7,41
299
26,76
306
29,08
318
6,30
2.246
17,23
2.235
18,79
2.259
21,69
2.219
17,90
31.161
16,43
31.747
18,00
31.834
20,00
31.749
21,00
Il tema della concentrazione della popolazione straniera si è riverberato nelle aule
scolastiche, assumendo i tratti di un’emergenza territoriale nell’Istituto Comprensivo,
richiamando fantasmi e slogan mediatici propri degli anni ‘90.
Il tema delle opportunità concesse agli allievi stranieri e sottratte a quelli italiani fa
capolino, portando il caso di San Salvario alla ribalta della cronaca cittadina, punta di un
iceberg che si sarebbe negli anni successivi mostrato in tutta la sua grandezza.
Alla vigilia dell’avvio dell’anno scolastico, nell’antica scuola rimessa a nuovo, abitata da personale accogliente,
la preside Marisa Deangelis racconta: «Le prime sono tre e grazie a un gruppo di famiglie italiane “illuminate”,
di solida cultura, che ha scelto di restare. Ma nel quartiere i bambini in età di obbligo sarebbero 158. Avremmo
56
potuto fare sei classi» […] L’approdo degli altri scolari, la Manzoni lo conosce: i genitori devono comunicare la
rinuncia all’iscrizione. «Qualcuno va nelle statali più vicine, ma soprattutto scelgono le paritarie: Scuola Ebraica,
San Giuseppe, le scuole cattoliche della Gran Madre, Buon consiglio, Suore Tedesche. Sanno che siamo arrivati
al 50% e la paura del diverso c’è, c’è il timore di un contesto difficile, di un’istruzione insufficiente.
(Martinengo, La Stampa, 1-9-2007).
Tabella 2.8 - Variazione della presenza di allievi stranieri e italiani nelle scuole secondare di primo grado della
circoscrizione 8
Scuola
Manzoni
Ist. Ciechi
Spinelli
Nievo Matteotti
Totale
A.s.
% stranieri
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2005/06
2006/07
2007/08
48%
46%
48%
54%
12%
9%
4%
6%
3%
10%
8%
8%
10%
11%
11%
11%
16%
16%
16%
Variazione annua Variazione annua Variazione 05/06 Variazione 05/06
stranieri
italiani
- 08/09 stranieri - 08/09 italiani
-13,5
+8,7
+7,2
-6,8
+0,7
-17,4
+0,8
-22,4
-26,7
-54,5
+40,0
+2,7
+7,0
-2,4
-53,3
+7,1
+242,9
-12,5
+0,0
-4,6
+5,8
-2,1
+200,0
-1,3
+16,5
-3,8
+0,0
-0,7
-1,3
+4,6
+12,1
+2,5
+4,1
-1,2
-1,8
+0,8
2008/09
17%
+4,3
+0,5
+7,3
-0,5
Nota: i dati dell’a.s. 2008/09 si riferiscono a dicembre 2008. Fonte: elaborazioni su dati del Comune di Torino.
La stessa polemica ha infatti coinvolto altre zone della città, che se è vero che condividono
con San Salvario lo stesso dilemma apertura/chiusura, sono però caratterizzate da un contesto
socio-economico più deprivato, che esaspera il confronto fra italiani e stranieri.
Sicuramente per anni questa scuola si è stata con una certa fama che si portava dietro. Io posso ringraziare il
comitato genitori di questa scuola che ha lavorato per iniziare a modificare questa immagine, per dire che questa
scuola sicuramente lavora con i ragazzini in difficoltà, però lavora anche per dare possibilità ai ragazzini più
bravi, che hanno delle aspettative, alle loro famiglie e su questa cosa andremo avanti negli anni futuri. (Dirigente
scolastico di IC).
Si registra oggi un’iniziale debole inversione di tendenza: la scuola negli anni scorsi al
centro delle polemiche sull’effetto negativo dettato all’aumento costante degli allievi stranieri
è oggi una scuola promossa dalle famiglie italiane, che ne riconoscono il lavoro, lo sforzo per
rendere l’ambiente educativo ottimale per italiani e stranieri.
In realtà noi siamo partiti l’anno scorso con un gruppo di quattro-cinque genitori per attivarci sul problema del
calo delle iscrizioni dei genitori italiani, proprio dare un supporto per provare a fare una lettera di presentazione
meno squalliduccia di quella che c’era. Il comitato [genitori, ndr] è nato all’inizio di quest’anno scolastico per
questioni inerenti la protesta sulla riforma Gelmini, c’è stata una buona partecipazione nei mesi autunnali.
Quest’anno abbiamo sfruttato il comitato genitori per fare un po’ pubblicità della scuola, e avuto i suoi frutti
perché l’anno prima erano una decina di iscritti, quest’anno siamo cresciuti di una trentina di iscritti. Quest’anno
dalle persone che hanno frequentato le riunioni saliranno gli italiani. Un’altra cosa che è stata positiva dall’anno
scorso a quest’anno sono arrivati nove o dieci insegnanti che hanno chiesto il trasferimento a questa scuola,
57
questo ci ha anche dato un’indicazione che “l’aria era cambiata” si percepisce parecchio, anche quando vai a
prendere i bambini fuori dalla scuola. (Padre italiano di un figlio alla scuola primaria; coordinamento genitori).
Un lavoro sinergico fra la scuola, i genitori e gli operatori del territorio ha favorito il
rilancio dell’immagine di una scuola che si presenta al tempo stesso multiculturale e di
eccellenza. I risultati pare ci siano e si colgono. In diversi modi. Quello più eclatante è il
silenzio dei media, che dall’interesse degli anni scorsi per il quartiere simbolo delle difficoltà
dell’integrazione sono passati all’indifferenza per una situazione che va normalizzandosi.
Quello più significativo è però il dato della ripresa delle iscrizioni alla scuola primaria di
obbligati21 italiani residenti nell’area, ma anche e soprattutto alla scuola secondaria di primo
grado, dove si registrava il calo più significativo.
Nato nel 1933, come Secondo Istituto Magistrale di Torino, oggi l’istituto presenta i
seguenti indirizzi: liceo delle scienze della formazione, liceo delle scienze sociali (ex
magistrale), corso ad indirizzo linguistico e corso ad indirizzo linguistico internazionale22.
Esso è diviso in tre sedi, ma nella sede centrale, situata nell’area di San Salvario, si
concentrano gli allievi con cittadinanza non italiana, distribuiti fra la sezione diurna e quella
serale.
Tabella 2.9 – Distribuzione degli allievi con cittadinanza non italiana presso l’Istituto Regina Margherita
A.s.
N. allievi stranieri
2005/2006
120
2006/2007
137 (115 diurno + 23 serale)
2007/2008
141 (118 diurno + 23 serale)
2008/2008
139 (121 diurno + 18 serale)
Fonte: elaborazione su dati forniti dalla scuola.
Percentuale di allievi stranieri
sul totale della popolazione scolastica
7,8
8,6
8,6
8,5
La presenza di allievi stranieri è significativa, favorita, come ricorda un insegnante, dai
corsi di italiano proposti.
Qui c’è l’ex magistrale, anche se è un corso un po’ troppo difficile per gli studenti stranieri. Abbiamo poi il liceo
linguistico, di cui il corso internazionale rappresenta una variante e dove l’aspetto caratterizzante è dato da un
numero cospicuo di ore di insegnamento di lingua spagnola. In questo corso abbiamo molti allievi di lingua
spagnola. Vi è poi il corso di scienze sociali: è il corso considerato più semplice, più facile, ma spesso i ragazzi
sottovalutano la difficoltà di materie quali filosofia, sociologia. In questo indirizzo vi è un’alta mortalità nel
biennio, da parte di studenti sia stranieri sia italiani. (Referente per gli allievi stranieri di scuola superiore).
È una presenza che è cresciuta significativamente negli anni ‘90, diventando l’emergenza
da risolvere, senza alcuno strumento didattico specifico o particolare risorsa aggiuntiva. Da
allora la scuola si è andata via via attrezzando, senza però arrivare mai alla formalizzazione di
un protocollo di accoglienza per chi arriva dall’estero. Ha messo a punto una prassi, centrata
sulla figura dell’insegnante con funzione strumentale dedicata agli stranieri, che si occupa di
accogliere chi si presenta, di incontrare la famiglia, intervistare il potenziale alunno,
compilare una prima scheda di anamnesi della scolarizzazione pregressa e cercare di comprendere la soluzione di inserimento migliore (cfr. allegato 2). Tale figura è anche il perno del
Progetto ALICE, nato nel 1998/99, che riguarda:
1) l'attivazione di corsi di italiano L2 rivolti all'utenza straniera dei corsi diurni e serali;
21
Il termine indica coloro che hanno compiuto i sei anni di età e che, quindi, devono iniziare ad assolvere l’obbligo
scolastico. Il vincolo dell’iscrizione alla scuola di pertinenza per zona di residenza, la cosiddetta zonizzazione, è stato abolito,
rendendo più facile la scelta delle scuole primarie e secondarie di primo grado.
22
L’IMS Regina Margherita ha un sito web, in cui si possono ricavare informazioni sul Piano dell’Offerta Formativa, sul
progetto per allievi con cittadinanza non italiana e sulle attività della scuola in generale: www.istitutoreginamargherita.it.
58
2) la promozione del contatto tra etnie e culture diverse in un contesto scolastico multietnico
e la gestione di eventuali conflitti (attività di intercultura);
3) partecipazione alla già citata attività comunale integrata di quartiere Tappeto volante.
L’attività di insegnamento della lingua continua ad essere un elemento di attenzione della
scuola, che può beneficiare della collaborazione con il CTP C. I. Giulio, inserito nella stessa
sede e con cui si sono avviate positive sinergie.
Collaboriamo anche con il CPT Giulio, per esempio per i ragazzi che arrivano in corso d’anno dove l’inserimento sarebbe
impossibile cominciamo a dire di frequentare il corso di italiano in attesa di potersi iscrivere. Quello che funziona sono i corsi
di italiano, alfabetizzazione etc. Quello funziona e non è più una grossa problematica. Dove cadiamo è la
valutazione. Il vuoto normativo è sulla valutazione. E poi questo demandare costantemente al docente di italiano,
siamo ancora molto al di qua della buona pratica. Noi, continuo a dire, soffriamo di un vuoto normativo, da una
parte ci permette di gestire certe cose, ma d’altra parte non abbiamo il puntello sulla valutazione. Il punto più
critico è la valutazione. Non c’è un PEI [Piano Educativo Individualizzato, ndr] per gli stranieri. La soluzione
sarebbe facile, un piano temporaneo individualizzato, formalizzato, parlerai dieci parole ma su quelle dieci
parole ti valuto. Che poi di fatto è quello che uno fa, però non tutti lo capiscono, lo vogliono, chi ha buon senso,
spirito di collaborazione eccetera fa una prova individualizzata, ma se non ha voglia non posso obbligarlo in
mancanza di una norma. (Referente per gli allievi stranieri di scuola superiore).
Il tema della valutazione è cruciale, sia all’arrivo dall’estero (come valutare il percorso
scolastico pregresso) sia alla fine del corso annuale. Per la fase di ingresso, vi sono ora
materiali e strumenti messi a disposizione dai vari enti locali e/o da altri enti che sul territorio
nazionali si occupano di tali tematiche (ad esempio il Centro Come di Milano), con cui ci si
può orientare per comprendere programmi, tipologie di scuole e percorsi scolastici pregressi.
Più difficoltosa è la valutazione a fine anno scolastico, su cui il dibattito è acceso fra gli
insegnanti dell’istituto in questione, così come fra quelli di molti istituti superiori della città23.
Gli insegnanti, infatti, sono divisi fra chi sostiene che occorrerebbe valutare i NAI (neoarrivati in Italia) rispetto al raggiungimento di obiettivi specifici e chi, invece, sostiene la
necessità di valutare tutti gli allievi allo stesso modo, indipendentemente dalle condizioni di
partenza.
Per favorire il successo scolastico degli allievi stranieri e offrire loro degli strumenti di
sostegno, è rilevante un’attività di semplificazione dei testi, realizzata nell’ambito di un
progetto in rete con altri istituti secondari di secondo grado, gli istituti professionali Giulio e
Giolitti del capoluogo piemontese. Tale attività, finanziata dalla fondazione bancaria Compagnia di San Paolo, prevede un lavoro di revisione dei materiali didattici volto ad elaborare
testi facilitati nelle varie discipline curriculari.
Lo sviluppo di attività in rete fra più istituti sembra essere l’esito di un percorso che ha
attraversato (e attraversa) le scuole superiori.
2.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
La storia e le offerte formative degli istituti oggetto dell’approfondimento della ricerca si
intrecciano con l’evoluzione cittadina del rapporto fra scuola e immigrazione. Qui, come nelle
altre scuole definibili di frontiera, ossia, a livello inferiore la Croce-Morelli, la Lessona o la
Picchiotti nell’area di Porta Palazzo e, a livello superiore, il Boselli, il Giulio, il Giolitti, si sta
tentando di mettere in piedi delle azioni e/o procedure sistematiche. Ed infatti, dopo un primo
momento di sperimentazione, grazie all’esperienza acquisita e al sostegno degli enti istituzio23
Un caso esemplare è rappresentato dall’IPSCTS C. I. Giulio, che ha deliberato con provvedimento del Consiglio d’Istituto
di sospendere la valutazione per coloro in ingresso successivamente a mese di novembre.
59
nali (Comune, Provincia, Regione), le scuole incontrate hanno cercato di passare progressivamente da interventi per superare la prima emergenza a pratiche per gestire una presenza
stabile e in costante aumento di alunni stranieri.
Questa evoluzione si coglie molto bene nell’esperienza dell’Istituto Comprensivo, meno in
quella della scuola superiore.
Il primissimo approccio è stata la ricerca, con grande affanno, tramite il Comune, le associazioni che lavorano
nella scuole, di persone che parlassero la lingua per entrare in contatto con questi genitori. Poi la comunicazione
passava attraverso i bambini, i mediatori, di arabo e di cinese. A livello di elementari sempre sono stati fatti
lavoro di integrazione con le famiglie, attraverso feste, le nostre feste, ma anche le loro; poi molto si è fatto
attraverso il raccontarsi le storie di provenienza delle famiglie, soprattutto attraverso il cibo. Poi si è sviluppato
un discorso con i genitori, è stata fatta la scuola delle mamme, i contatti con altre associazioni per favorire il
contatto e il coinvolgimento delle famiglie straniere. Alle medie questo lavoro è passato molto attraverso i
mediatori: l’inserimento dei ragazzi, il colloquio con le famiglie. (Insegnante del laboratorio intercultura di IC).
Dalle testimonianze raccolte emerge come la possibilità di accedere a fondi sia istituzionali
sia privati abbia reso possibile strutturare dei progetti per un reale sostegno agli alunni
stranieri. Purtroppo non sempre prassi definibili come buone pratiche si mantengono nel
tempo diventando procedure consolidate.
A quell’epoca [verso la fine anni Novanta, ndr] c’erano tanti fondi e questo ci ha permesso il distacco prima di
due e poi di tre insegnanti a tempo pieno per L2 e attività di intercultura. E così abbiamo messo su un
laboratorio. Avevamo 20 ore di L2 con gli alunni, 2 ore di programmazione tra noi e 2 ore con gli insegnanti di
classe. Avevamo preparato delle prove per stabilire i diversi livelli. Li dividevamo in sei o sette gruppi di diversi
livelli: prima alfabetizzazione e seconda alfabetizzazione (per questi due gruppi c’erano delle ulteriori divisioni
rispetto alle diverse età), lingua per capire e lingua per studiare. I non parlanti facevano 6 ore la settimana in
laboratorio, per l’italiano per capire c’erano 3 ore e per l’italiano per studiare 2 ore a settimana. Avevamo deciso
di lavorare in compresenza. Due per 8/10 alunni. I gruppi erano molto flessibili e ogni tanto inserivamo anche
qualche italiano bravo che faceva da tutor e che raccontava anche in classe cosa si faceva durante il
laboratorio… lo facevamo anche perché così gli stranieri non si sentivano diversi dai compagni, gli unici a
dover fare il laboratorio. Nelle 2 ore di programmazione con gli insegnanti di classe, loro ci dicevano quale
parte del programma avrebbero svolto e durante le ore di laboratorio noi lo facevamo in modo semplificato.
C’era poi un accordo con gli insegnanti di lingua straniera per sospendere la valutazione degli alunni stranieri
nel primo quadrimestre, salvo per quei marocchini alfabetizzati in francese e per chi era alfabetizzato in inglese.
Poi facevamo dei percorsi interculturali nelle classi in collaborazione con l’insegnante, una volta la settimana. E
le colleghe erano contente perché non si sentivano sole nell’affrontare una classe con molti stranieri. Oggi non è
più così: c’è un distacco alla scuola elementare e nulla alla scuola medie. (Insegnante laboratorio intercultura di
IC).
Il laboratorio era gestito da insegnanti che stavano seguendo la formazione LITOS (cfr.
introduzione, ndr) che ha dato loro la possibilità di confrontare la loro esperienza con docenti
universitari, di fare ricerca-azione e di andare all’estero per confrontarsi con altre realtà. La
formazione delle insegnanti del laboratorio e la possibilità di avere il distacco a tempo pieno
spiegano la qualità del lavoro compiuto in quegli anni. Oggi, di quell’esperienza resta solo il
laboratorio alla scuola primaria, a cui si sono affiancati nel tempo incontri interculturali
(attività teatrali con l’Associazione Alma Mater24) e di promozione delle eccellenze (ad
esempio la partecipazione alle Olimpiadi della matematica, la predisposizione di scambi
internazionali).
Nel tempo però le iniziative si sono incrementate e diversificate, come indica la tabella
2.10.
24
Associazione interculturale di donne native e migranti, che, fra le varie attività, promuove spettacoli su temi
dell’intercultura, del confronto con il diverso, delle relazioni fra nativi e migranti. Nell’ambito delle attività con le scuole,
l’associazione costruisce con allievi, insegnanti e genitori spettacoli sui temi elencati.
60
La scuola superiore si presenta invece come un ambito di più recente presenza di studenti
stranieri. Conseguentemente, i singoli istituti si stanno attrezzando proprio in questi anni per
accogliere ragazzi dall’estero e solo da poco i referenti per gli stranieri e le singole dirigenze
stanno ragionando intorno alla possibilità di coordinarsi rispetto a modalità e buone prassi da
applicare.
Tabella 2.10 – Prospetto delle attività attualmente in corso all’interno dell’IC Manzoni per tipologia di
finanziamento
Laboratorio di multimedialità “IMPARARE CON L’INFORMATICA”, gestito da un esperto
esterno, per alunni a rischio di dispersione.
Laboratorio teatrale “RACCONTIAMOCI”, per i genitori e gli insegnanti dell’Istituto.
Laboratorio di psicomotricità “LA FISICITA’ COME SPECCHIO DELL’ANIMA”, rivolto agli
alunni della Scuola dell’Infanzia e Primaria.
Corso di aggiornamento per insegnanti “LA SCUOLA DELL’ACCOGLIENZA”, percorsi
operativi e didattici per il recupero delle quattro abilità linguistiche. Impostazione di casi di
studio reale basati su materiali didattici proposti dall’esperto e sperimentati dai partecipanti al
corso.
Fondi regionali,
Laboratorio di teatro “DAL GESTO ALLA PAROLA”, per gli alunni non italofoni della sezione
per personale
Primaria e per alunni della Secondaria. L’espressione corporea e gestuale come propedeutica alla
esterno alla scuola
comunicazione verbale.
Costituzione di un archivio di materiali interculturali “DOCUMENTIAMO
L’INTERCULTURA”, produzione di materiali interculturali sperimentati nelle classi da parte
delle insegnanti a cui possa attingere tutto il corpo docenti.
Laboratorio di teatro “DAL GESTO ALLA PAROLA”, per gli alunni non italofoni della sezione
Primaria e per alunni della Secondaria. L’espressione corporea e gestuale come propedeutica alla
comunicazione verbale.
Sportello di consulenza psicologica “RI-CONOSCERSI”: per alunni e famiglie di recente
immigrazione.
Laboratorio “UNA LINGUA PER STUDIARE”, per il miglioramento delle competenze
Fondi del
linguistiche degli alunni stranieri.
Ministero
Gruppo di lavoro “ADESSO HO CAPITO”, per l’elaborazione di materiale semplificato da
dell’Istruzione (ex
utilizzare con gli alunni che necessitano di attività di recupero o rinforzo linguistico.
art. 9), per
Costituzione
di un archivio di materiali interculturali “DOCUMENTIAMO
personale interno
L’INTERCULTURA”,
produzione di materiali interculturali sperimentati nelle classi da parte
alla scuola
delle insegnanti a cui possa attingere tutto il corpo docenti.
Fonte: elaborazione su POF e Presentazione dell’IC.
I temi da affrontare rispetto all’inserimento di minori stranieri, procedendo nel percorso
scolastico, aumentano di complessità: lo scoglio della lingua diventa più elevato crescendo la
difficoltà e l’articolazione dei programmi scolastici, aumenta il divario tra i diversi sistemi
scolastici e, come detto, sono ancora poche le politiche di intervento rivolte ai minori stranieri
nella scuola superiore.
Negli anni, l’utenza straniera della scuola si è molto differenziata: sono diminuiti i magrebini, i cinesi e gli
albanesi sono pochissimi, mentre ultimamente i più numerosi sono gli allievi rumeni, moldavi e quanti
provengono dall’America Latina. I rumeni hanno la formazione scolastica più solida, unitamente alla
consapevolezza forte dello studio come elemento che possa favorire la promozione sociale. Sono anche
caratterizzati da un forte senso del dovere, ovviamente non tutti. Gli allievi peruviani hanno numerosi problemi
con l’ortografia: questo elemento viene considerato indicatore del tipo di atteggiamento, di approccio nei
confronti dell’inserimento nel contesto italiano: poco strutturato, per loro non ci sono problemi di inserimento e
anche la competenza linguistica è sufficiente, non costituisce un problema. (Insegnante nel corso di lingua
italiana di scuola superiore).
La popolazione straniera che vi si rivolge è complessa e corposa, sia in termini numerici
(numerosi sono infatti i ricongiungimenti familiari attuati in età adolescenziale) sia in termini
di esigenze. I ragazzi che arrivano dall’estero, infatti, hanno un bagaglio scolastico pregresso
ormai ampio, che richiede strumenti adatti per essere recuperato, integrato ed orientato. Ma al
di là degli strumenti, a livello superiore si lamenta una mancanza di risorse umane più che
61
finanziarie per rispondere all’aumento di bisogni indotti dall’arrivo di allievi stranieri:
dall’orientamento alla lingua per le discipline, dalle pratiche burocratiche legate al permesso
di soggiorno per coloro che diventano maggiorenni a chi è nato qui e rifiuta le sue origine.
Le risorse finanziarie ci sono. Se cerchi ci sono, perché se non è il San Paolo è il Comune, se non è il Comune è
la Circoscrizione. Spesso il problema è la risorsa umana, che vuol dire anche “la possibilità di”. Da noi un semi
esonero, nove ore alla settimana (e non ha un costo mostruoso, è come un vicepreside) potrebbe fare le due ore
per i cinesi, non essere legato al numero. Solo che noi (giustamente) con i finanziamenti esterni dobbiamo pagare
attività aggiuntive. Però ad esempio dei distacchi, alcune ore potrebbero essere destinate al corso di italiano; è
importante che stia in classe, ma quando si fa ad esempio latino, che per lui è inutile. In certi momenti può uscire
e con nove ore tutte le settimane, hai voglia! Del resto ci sono un sacco di attività. Ce n’è ancora di lavoro da
fare. (Referente per gli allievi stranieri di scuola superiore).
Nel contempo, gli allievi si trovano a vivere il difficile passaggio di un cambiamento
traumatico e radicale su tutti i piani di vita (familiare, scolastico, amicale, relazionaleaffettivo). Si tratta di un elemento, che richiederebbe di essere riconosciuto e individuato.
D’altra parte è un bisogno a cui la scuola, per la sua struttura e le sue risorse, non sarebbe ad
oggi in grado di rispondere.
Attualmente le scuole più in difficoltà sono quelle superiori e già abbiamo le prime avvisaglie, sono meno
attrezzate e in cui ci sono più difficoltà rispetto ai contenuti delle materie, più specialistiche rispetto agli altri
ordini. C’è un fiume di ragazzi con grosse risorse e un bagaglio ricco. Emerge un malessere delle persone,
vivono una stigmatizzazione continua, continuano ad essere visti come i rappresentanti di un paese,
dimenticandoci che hanno delle tracce culturali che gli derivano dal fatto di essere vissuti in una regione
piuttosto che in un’altra, o di avere una certa famiglia, una condizione socio-economica, credenze religiose. Non
sono rappresentanti di una cultura, ma sono bambini e ragazzi. Bisogna lavorare sulle diversità individuali, di
ognuno e non su quelle nazionali. Sarebbe interessante capire come vedono il paese in cui vivono, come
vorrebbero costruire la città. Mi pare che la scuola fatichi su questo, perché fatica il corpo insegnante, fatica la
società italiana a trasformarsi e a diventare interculturale. Gli insegnanti, essendo parte della società,
probabilmente come ogni essere umano, faticano a comprendere che il cambiamento non è più un’emergenza e a
vedere l’immigrato in maniera diversa. È necessario lavorare sulla pedagogia creativa, in cui c’è uno sforzo di
lavorare con la classe sulle dinamiche che si innescano al suo interno, sulle difficoltà, sui punti di forza.
(Presidente associazione ASAI).
Su questi aspetti le scuole iniziano ad interrogarsi: infatti si può scorgere una sorta di
evoluzione nella progettualità e delle priorità cui indirizzare sforzi e risorse.
Nel tempo è dunque in qualche modo cambiato l’obiettivo della progettazione: se a livello
di IC le attività legate all’intercultura mantengono un ruolo significativo, a livello superiore
tali attività sembrano venire meno.
Le discussioni sui paesi dell’immigrazione, le attività di incontro con mediatori culturali o
altri cittadini di origine immigrata, così come la fruizione dei laboratori didattici proposti dal
Centro interculturale della città sulla conoscenza dell’Islam, delle minoranze, dei flussi
migratori si sono ridotte. Sicuramente la riduzione delle risorse disponibili hanno condotto
verso una maggiore selezione degli interventi da finanziare, più orientata a mantenere e
garantire attività basilari, come ricorda un insegnante.
Si sono molto ridotte anche le richieste di attività di intercultura fatte da enti esterni e praticamente non abbiamo
mai avuto la richiesta di interventi dal punto di vista disciplinare per discriminazione. Quello che è calato sono
queste attività legate alla riflessione, anche perché i numeri, lo fai all’inizio ormai è abbastanza parte integrante.
Abbiamo aumentato l’accoglienza, i corsi di lingua che garantiamo anche in assenza di fondi, sono proprio
basilari. E poi quest’anno questo progetto. Il problema è la divulgazione di questo materiale. E poi anche lì è una
competenza che devi acquisirti, la tecnica della semplificazione della facilitazione o te la vengono ad insegnare o
non è che si improvvisa. La formazione sarà necessaria sempre più. (Referente per gli allievi stranieri di scuola
superiore).
62
Dai primi anni Novanta
* inserimento
mediatori
Attività svolte culturali,
* corsi di Italiano
L2
Modalità
operative
Coinvolgimento
di insegnanti
disponibili
ad oggi
Differenziazione dei percorsi di
apprendimento della lingua
italiana (prima alfabetizzazione,
consolidamento, lingua per lo
studio delle discipline);
Attività di intercultura
Delega totale a soggetti esterni
(cooperative, associazioni)
* laboratori di lingua italiana e/o
di intercultura;
* laboratori per lo studio delle
materie curriculari;
* attività di peer support
* semplificazione dei testi;
* debole attenzione alle
dinamiche identitaria, attività
teatrali di riflessione e sportelli in
collaborazione con etno-psicologi.
Selezione dei formatori, aumento
del coinvolgimento del corpo
docente: le scuole implementano
la loro capacità di progettazione e
sviluppano accordi di rete/di
collaborazione fra istituti al fine
25
di elaborare prassi comuni .
Figura 2.5 – Evoluzione degli interventi per allievi stranieri nelle scuole a Torino
Un aspetto ancora poco curato è quello del supporto psicologico ad adolescenti che si
ricongiungono. Il ricongiungersi in emigrazione può divenire un’esperienza dirompente per la
stabilità del nucleo famigliare proprio per la discrepanza fra il mondo immaginato e il mondo
trovato, fra il successo descritto (o sperato) di chi è partito e la realtà effettiva in cui ci si
muove. Così il contatto con la nuova realtà dei ricongiunti, già di per sé carica di
problematicità per l’inserimento in un nuovo contesto, rischia di essere complicata da
numerose variabili (Tognetti Bordogna, 2004).
Quando sono arrivata mia madre mi ha iscritto in una scuola, in un liceo scientifico, ma io volevo fare lingue,
perché mi piace. Lei non aveva colpa, perché non conosce bene la lingua e la scuola italiana e si era fatta
consigliare da un’amica. Io per fortuna ho imparato in fretta l’italiano, a scuola c’era un insegnante che mi ha
aiutato tanto e poi frequentavo un corso anche due pomeriggi alla settimana. Dopo sei mesi parlavo bene, anche
se avevo ancora tante difficoltà a scrivere, ma avevo capito come funzionano le cose qui. Ho allora deciso di
cambiare scuola, di andare in un liceo scientifico-linguistico. Mia madre era paurosa, ma ho fatto tutto io, ho
richiesto i documenti, fatto l’iscrizione. Ora vado bene, mi sento anche più sicura di me. Mia mamma è anche
contenta e ora quando c’è qualcosa da fare mi chiama e mi dice di aiutarla, non va più dalle sue amiche: sono
diventata io la sua consigliera. (Studentessa peruviana di scuola superiore, 19 anni).
Alla retrocessione sociale alla quale sono sottoposti i genitori immigrati, solitamente ben
integrati nella società del paese d’origine, si affianca la conoscenza insufficiente della lingua
del paese di accoglienza, che rende più difficile l’integrazione dei genitori per accedere al
lavoro, per essere a proprio agio nel territorio e nel nuovo sistema sociale e per accedere alle
risorse disponibili. Anche, nel caso della relazione con la scuola, ritorna il tema della
competenza linguistica, declinata come abilità necessaria per aiutare i figli nello studio.
25
Si cita ad esempio il protocollo di rete elaborato da diversi istituti secondari di secondo grado e i CTP (Centri Territoriali
per l’Educazione Permanente) per definire percorsi di apprendimento e di rinforzo della lingua italiana integrati non è mai
stato valicato dai dirigenti scolastici.
63
Io sono fortunata perché parlo abbastanza bene, ma non so tanto scrivere e questo mi dispiace perché non posso
aiutare mio figlio nei compiti. Faccio venire una ragazza italiana il sabato pomeriggio, che aiuta mio figlio a fare
i compiti scritti e poi lo mando all’Asai per il doposcuola. (Madre filippina di un alunno alla scuola media)
Qualcuno dice che siamo noi stranieri a peggiorare le cose a scuola, ma io non ci credo tanto. A me sembra che
c’è anche tanta ignoranza, c’è paura di cosa non si conosce. Io sono quasi laureata e voglio che i miei figli
studino perché la scuola è importante, mi spiace non poterli seguire bene, ma se serve gli farò fare delle lezioni,
come si dice, delle ripetizioni. Molti italiani pensano che noi stranieri siamo tutti ignoranti, forse perché non
sappiamo parlare. (Madre marocchina di due figli alla scuola primaria).
La competenza linguistica rimane dunque al centro delle preoccupazioni di docenti e
genitori ad ogni livello scolastico. Ma se nella scuola elementare l’apprendimento della lingua
italiana pare amalgamarsi con le altre discipline di insegnamento, nella scuola media e ancor
più in quella superiore la non conoscenza della lingua diventa un vero e proprio ostacolo
all’inserimento scolastico.
La priorità dell’insegnamento della lingua, pur restando un valido e fondamentale
intervento, porta però spesso a ridurre il tema dell’inserimento ad un problema linguistico,
occultando tutti gli altri aspetti da considerare quali l’integrazione delle conoscenze pregresse
con le nuove materie, l’accompagnamento alla conoscenza del contesto scuola (sia per il
ragazzo che per la famiglia) e rischia di considerare il ragazzo principalmente alla luce della
sua carenza linguistica e molto meno per l’insieme delle risorse di cui è effettivamente
portatore, compreso l’aspetto di bilinguismo che presto lo potrebbe connotare positivamente.
La lingua d’origine, mantenuta e intrecciata, a casa, con quella italiana, non sembra presa
in considerazione dagli insegnanti, sebbene studi sul pluri-linguismo dimostrino i vantaggi del
lavorare sulla lingua d’origine come veicolo per favorire un migliore apprendimento della
lingua seconda (Portes e Schauffler, 1994).
In casa non parliamo l’italiano, solo rumeno. Non riusciamo a parlare l’italiano in casa, anche mio figlio se gli
parlo in italiano risponde in italiano ma in casa in rumeno. Non so se è un problema, io credo che forse ritarda un
po’ il vocabolario di italiano, però qua parla otto ore al giorno italiano, nel parco parla italiano, e c’è anche
un’altra cosa, non so se è buono che dimentichi il rumeno, è una cosa che può essergli di aiuto, anche se del
rumeno la grammatica non la utilizza, fa un mix con l’italiano. (Padre rumeno n. 1 di un alunno di scuola
elementare).
Un tentativo di andare verso la direzione dell’attenzione alle lingue d’origine è dato da un
progetto sperimentato all’IC Manzoni, come in altre scuole torinesi: vi è l’opportunità di
seguire un corso di lingua araba a scuola, con docenti madrelingua.
L’anno scorso era venuta fuori la richiesta da parte del Consolato marocchino di istituire un corso di arabo per
bambini arabi. Non era andato in porto. Quest’anno si sono di nuovo presentati questi due con il loro progetto.
C’erano forti perplessità perché non si voleva dire che prevaleva un’etnia su un’altra. Alla fine è passato, rivolto
pure agli italiani e poi sponsorizzato dal Governo marocchino con insegnanti madrelingua che arrivano dal
Marocco e fanno gli insegnanti, e questo genitore ci ha spiegato che volevano fare questo perché non volevano
mandare i figli alla scuola di arabo legata alla moschea. (Padre italiano di un alunno di scuola elementare).
Si tratta di un’iniziativa che ha raccolto il favore di molte famiglie arabofone, contente di
poter offrire ai figli la possibilità dell’apprendimento della lingua araba, al di fuori del
contesto delle scuole coraniche, in un ambiente laico.
2.4 Professionalità degli operatori
Le interviste a docenti, genitori e diverse figure che intervengono nelle attività delle scuole
(mediatori, educatori, formatori, volontari) sembrano permettere di delineare tre categorie di
operatori. La prima categoria è costituita da un gruppo che si potrebbe indicare come quello
64
dei motivati: sia per l’impegno dedicato sia per il tempo investito nella formazione. Sono
infatti fra coloro che hanno frequentato molti dei corsi offerti dall’Ufficio Scolastico
Regionale sull’insegnamento della lingua italiana come lingua seconda, sulla didattica
interculturale, ma anche sulla legislazione sugli stranieri.
Capita ancora che i genitori vengano da noi per chiederci consigli su come compilare o fare dei documenti, su
cosa succederà ai figli a diciotto anni o negli anni passati molti sono venuti da noi per avere notizie sulla
regolarizzazione. (Insegnante di lettere di scuola superiore).
Fanno parte di questo gruppo anche alcuni degli operatori, che seguono le attività
educative nel tempo libero e che mantengono i contatti con gli insegnanti e con i genitori.
Accanto a questo gruppo, ve n’è un secondo, che cresce lentamente nei numeri e che
potrebbe essere definito dei neofiti: sono coloro che si stanno affacciando al tema, acquisendo
i primi rudimenti della complessa ed articolata materia dell’insegnamento in classi multiculturali. È un processo lento, che richiama l’attenzione ad un tema ricorrente nelle conversazioni con gli insegnanti, soprattutto a livello superiore: la necessaria e improcrastinabile
esigenza di condividere il fardello dell’accoglienza e dell’accompagnamento degli allievi di
origine straniera fra tutto il corpo docente. Questa condivisione sembra ormai una prassi
consolidata a livello di scuola primaria e di secondaria di primo grado, mentre rappresenta
ancora un obiettivo da raggiungere al livello superiore.
Infine, vi è il gruppo di coloro che faticano a comprendere che la popolazione scolastica è
cambiata. Questo gruppo, denominabile degli irriducibili, è quello che preoccupa di più. Per
diversi motivi. Alcuni hanno paura di rimettersi in gioco, di rivedere il loro modo di
insegnare, la loro metodologia. Altri sono rigidi nelle loro posizioni, impermeabili ai cambiamenti e alle trasformazioni in corso nella scuola.
Quando sono arrivata in terza superiore, l’insegnante di lettere mi trattava come una bambina. Alcuni insegnanti
pensano che noi immigrati siamo senza cultura perché abbiamo dovuto lasciare il nostro paese. È vero, all’inizio
non sappiamo la lingua, ma adesso che sono la prima della classe come la mettiamo? Forse gli insegnanti
devono pensare più agli italiani. Quando dico che voglio fare l’università alcuni mi dicono che non servirà a
niente, perché sono straniera. Io mi voglio laureare e poi andare via dall’Italia: qui non c’è posto per noi. Ci
vogliono solo per fare le badanti, ma quel lavoro lo hanno fatto le nostre madri per farci studiare e perché non
c’era altro. Mia madre è laureata in economia e commercio. (Studentessa rumena di scuola superiore, 19 anni).
Sembra, dai racconti degli insegnanti intervistati e dall’amarezza di alcuni genitori, che
nelle scuole (sia quelle dell’indagine sia in altre di cui hanno esperienza gli interlocutori) con
troppa facilità si applichi la semplicistica (e oggi sempre più inadeguata) distinzione fra
italiani (culturalmente preparati) e stranieri (poveri di risorse culturali), distinzione inadeguata
(e talora non fatta sul criterio della cittadinanza) di fronte a differenziazioni definite dalle
condizioni socio-economiche, capitale culturale, distribuzione territoriale.
C’è la professoressa di italiano che fa spesso riferimenti, tipo ho visto un rumeno che faceva così o altro. Anche i
compagni, dicono gli stranieri per fare così è meglio che stiano a casa loro e un po’ mi pesa perché siamo messi
sullo stesso livello. Ogni persona deve essere guardata per come è se stessa non per da dove viene. Poi capisco
che è difficile con tutti questi stranieri, anche se succedesse da me farei difficoltà. (Studentessa rumena di scuola
superiore, 18 anni).
Anch’io penso che sia difficile per loro, con tutte le cose che capitano, immagino che adesso che ci sono gli
stranieri capitano cose molto più sgradevoli che prima. (Studentessa albanese di scuola superiore, 18 anni).
Vi sono ancora insegnanti e scuole per cui lo studente immigrato è sinonimo di allievo
della formazione professionale o dei percorsi di alternanza scuola-lavoro. Una visione che non
rispecchia né i dati delle iscrizioni né quanto rilevato da ricerche locali (Comitato oltre il
65
razzismo, 2006; Fieri, 2008) nazionali (Casacchia et al., 2008) sulle prospettive future degli
studenti di origine straniera presenti nelle scuole italiane.
Si tratta di insegnanti che faticano a cambiare le lenti con cui guardano la scuola e le sue
trasformazioni. E talora questa difficoltà si riverbera sulle famiglie, soprattutto quando queste
sono chiamate a scegliere la scuola dove iscrivere i figli.
È utile considerare la formazione rivolta agli insegnanti, considerandone tipo, qualità e
ricaduta. In passato ci si è concentrati sul tema della scuola multietnica; in una fase successiva
l’attenzione si è spostata verso la formazione per l’insegnamento dell’italiano come lingua
straniera. Questo genere di approccio, sulla base delle opinioni di molti insegnanti (Comitato
oltre il razzismo, 2006), ha mirato un po’ troppo in alto: si è trattato cioè di una formazione
teorica, in cui sono stati richiamati i grandi padri della sociologia dell’educazione e si sono
proposte o ripassate le diverse teorie dell’educazione in diversi contesti multiculturale; spesso
tuttavia è mancata la traduzione in prassi operative di queste teorie.
Abbiamo fatto tanti corsi di formazione, ma siamo sempre gli stessi e spesso i temi che si propongono non ci
aiutano nella gestione quotidiana. Ad esempio, adesso c’è il corso dell’Asgi [associazione studi giuridici
sull’immigrazione, ndr] sulla normativa. Questo è importante. Ho cercato di diffondere la notizia, soprattutto fra
gli altri colleghi: sarebbe utile che tutti sapessero un po’ cosa fare con gli allievi stranieri, anche chi lavora nelle
segreterie. Ma come sempre ci andiamo i soliti. (Insegnante di lettere di scuola superiore).
Nel contesto odierno servono strumenti operativi ed una reale informazione rispetto alle
pratiche già utilizzate con successo altrove. Manca ad esempio un censimento di tutti i
progetti di inserimento scolastico che le scuole hanno intrapreso. Il materiale censito potrebbe
infatti risultare prezioso per tutti gli istituti che si trovano ad affrontare il fenomeno. Vanno
inoltre considerati i vantaggi economici di questo approccio, soprattutto in un contesto di
limitate risorse finanziarie. Si eviterebbe ad esempio di replicare altre iniziative che si sono
dimostrate fallimentari in altri contesti.
I prossimi corsi di formazione per insegnanti sul tema dovrebbero quindi concentrarsi sulla
diffusione e messa in comune delle buone pratiche all’interno del sistema educativo per
supportare le scuole, da un lato, e l’inserimento degli allievi stranieri dall’altro.
Alcune iniziative in tale direzione si registrano nel contesto locale26, mentre più difficile è
implementare la ricaduta di tale formazione e/o condivisione di materiali.
Bisogna che ci formiamo noi insegnanti, è questa la strada. E non soltanto noi vecchi perché almeno in questa
scuola è ciò che accade, non ci sono insegnanti giovani. Non so bene perché, forse perché noi siamo vissute in
un’epoca di grandi cambiamenti post 68, molta vivacità, molti fermenti. Ricordo che noi andavamo in tantissimi
il sabato a discutere di scuola. Io vorrei adesso se fosse chiesta una cosa del genere. Mi sembra che siamo in un
periodo di lassismo, non c’è voglia di cambiare, fare. Quest’anno sono stati fatti moltissimi corsi e le colleghe
giovani hanno disertato tutte e mi spiace molto perché noi di 50 anni siamo un grosso gruppo e presto ce ne
andremo e non vedo nelle colleghe la stessa grinta. (Insegnante di laboratorio di lingua italiana di scuola media).
La formazione dei docenti rappresenta un nodo critico della scuola oggi: non è obbligatoria
né incentivata, rendendo eterogenea la gestione degli allievi stranieri sia all’interno di una
stessa scuola sia fra scuole dello stesso ordine e grado, secondo un’ottica propria dei primi
anni Novanta, quando si era alla ricerca di strumenti e metodologie. Sintomo, forse, di una
mancata consapevolezza che i neo-arrivati, le generazioni 1,5 e le seconde generazioni
continueranno a essere protagonisti della scuola italiana in maniera strutturale, per cui occorre
attrezzarsi in maniera sistematica e non come reazione ad un’emergenza che passerà.
26
Il progetto Good practices in practice, realizzato da Fieri in collaborazione con i Servizi educativi del Comune di Torino
(cfr. www.fieri.it) è un esempio di ricognizione di buone pratiche esperite altrove e di riadattamento e utilizzo nel contesto
torinese.
66
2.5 Qualità delle relazioni
All’interno degli istituti scolastici si intrecciano relazioni fra i diversi protagonisti: allievi,
genitori, insegnanti, operatori. La relazione primaria è quella tra allievi e insegnanti, caratterizzata da alcuni elementi su cui riflettere. Anzitutto gli alunni arrivano con identità,
percorsi di vita, carriere scolastiche, abitudini e tratti derivanti dal processo di socializzazione,
sia esso avvenuto in Italia o nel paese di provenienza. Queste identità si sgretolano o comunque subiscono dei forti attacchi a causa della rigidità del sistema scolastico, disciplinato
da norme e regolamenti, da un suo preciso calendario e così via.
Il sistema scolastico chiede in primo luogo la competenza nella lingua italiana. Si tratta di
un elemento di forte criticità, per il quale sarebbero necessari interventi strutturali.
Dopo anni e anni di lavoro, fra l’altro la situazione è meno drammatica rispetto al passato. Parte dei bambini che
sono in questa scuola, sono nati qua, però poi c’è tutta una struttura organizzativa per chi arriva e non parla
l’italiano. Viene inserito nel laboratorio di intercultura, dove si testa per il livello: nel mentre si valuta la classe
più adatta sia come livello sia come tipologia di classe. L’insegnante di intercultura è distaccata, dedicata al
laboratorio, per la scuola primaria; per la scuola secondaria dobbiamo recuperare le ore delle compresenze ma
dall’anno prossimo sarà più difficile. (Dirigente scolastico di IC).
Gli interventi legati all’apprendimento linguistico sono apprezzati dalle famiglie: un
apprezzamento che non si traduce nella richiesta di classi separate. Su questo sono gli stessi
genitori italiani ad essere i più convinti: l’integrazione linguistica passa per l’interazione
quotidiana nella classe, a cui possono essere affiancati momenti specifici di insegnamento
della lingua italiana. Una presa di posizione che, nella maggior parte delle interviste, è dettata
dall’esperienza: in tutte le classi dei genitori intervistati gli allievi migliori sono di origine
straniera.
Nella classe di mio figlio, in quinta, a settembre è arrivata una bambina cinese. Ora è la prima della classe. Ha
tutti nove e dei dieci. (Mamma italiana n. 1 di alunni di scuola elementare e media).
Il mio migliore allievo, in seconda media, è un ragazzo straniero. I genitori fanno lavori modesti, ma hanno un
grande rispetto per l’istruzione e seguono molto il ragazzo nello studio. (Insegnante di lettere di IC).
Io mia figlia l’ho spinta un po’ a fare un liceo perché ci credo; anche se il futuro non è roseo, però un diploma,
lei avrebbe voluto dopo la terza media fare un professionale, prima diceva di no poi adesso si trova bene, fa la
seconda e ha una media generale di 7,89. E le dico tutti i giorni potresti fare di più; se lei adesso dovesse tornare
in Romania non potrebbe più fare il liceo, non avrebbe le basi. La scuola italiana dovrebbe investire più sullo
studio, sulla preparazione. (Madre rumena n. 2 di alunna di scuola superiore).
Sulla stessa linea sono anche i genitori stranieri, che riconoscono l’importanza del buon
apprendimento della lingua italiana. Ma questo è un compito della scuola, che deve organizzarsi per garantire sia la necessaria integrazione nelle classi normali sia le attività necessarie per raggiungere una buona competenza linguistica. È pur vero che sempre più si tratta di
genitori di studenti, soprattutto nella scuola dell’obbligo, che stanno svolgendo la loro carriera
scolastica interamente in Italia. Interessante è il fatto che questi stessi genitori, fortemente
interessati al successo scolastico dei figli, a casa non parlino in italiano. In alcuni casi non si
tratta di una scelta, ma in altri sì.
Vero, forse il parlare in rumeno a casa ritarda il vocabolario, perché non aiutiamo nostro figlio a imparare nuove
parole, ma per questo ha tutti i giorni otto ore a scuola, dove per forza deve parlare italiano. E io su questo
insisto: ad esempio, quando ho scoperto che era seduto vicino ad un altro bambino rumeno, ho subito chiesto
alla maestra che lo spostasse. Così ora è seduto vicino a una compagna marocchina, devono per forza parlare in
italiano. A casa continua ad imparare il rumeno, così non lo dimentica e magari poi gli serve quando è grande.
(Padre rumeno n. 2 di alunno di scuola primaria).
67
I genitori degli adolescenti che si ricongiungono e che si inseriscono direttamente nella
scuola secondaria di secondo grado sono consapevoli delle difficoltà che questi loro figli incontrano.
Per la mia figlia più grande è stato più difficile, perché è arrivata a sedici anni: non sapeva l’italiano, l’hanno
inserita in seconda e due volte a settimana faceva delle ore di italiano. Però ora è la prima della classe, la
professoressa mi ha detto che è brava, ha nove in italiano. Sono molto orgogliosa di lei. I miei figli più piccoli,
alle medie, non hanno problemi, hanno fatto quasi tutte le scuole qui. Sono considerati come italiani. (Madre
rumena n. 2 di alunna di scuola superiore).
Una relazione certo significativa è poi quella che si instaura tra compagni di classe, allievi
italiani e stranieri, ma anche tra allievi di differente provenienza. Il tempo a scuola è sicuramente condizionato da una convivenza fianco a fianco tra l’allievo italiano e l’allievo
straniero e fra gli stessi allievi stranieri, ma non per questo si può parlare di amicizia, come
ricorda una ragazza rumena.
È difficile. Non dico che c’è razzismo, però la differenza la fanno, quando prendono l’occasione lo dicono.
(Madre rumena n. 4 di alunna di scuola superiore).
Noi in classe siamo 4 rumeni e 6 italiani. Partendo dalla prima c’erano due ragazze rumene che non parlavano
italiano e all’inizio io davo una mano, così abbiamo legato un po’ di più. Ci sono due gruppi separati, non ci
parliamo più di tanto, solo in occasione di verifiche. (Studentessa rumena di scuola superiore, 19 anni).
Questo dato è confermato da una recente ricerca realizzata in diverse scuole secondarie di
secondo grado torinesi, che ha rilevato nelle diverse scuole – ivi compresa quella della
presente indagine – un basso livello di interazione fra compagni di classe, accompagnato
talora da strategie di mimetismo e di assimilazione, che annullano ogni riferimento alla
provenienza e alle origini (Comitato oltre il razzismo, 2008).
Nel momento in cui si aprono i cancelli, questo tipo di relazioni si dimostrano spesso
valide soltanto nell’ambiente scolastico. Quando si vanno ad analizzare le reti amicali degli
alunni di origine straniera si scopre infatti che sono quasi esclusivamente definite sulla base
etnica. Di certo il primo aspetto che va considerato riguarda, anche in questo caso, la lingua:
per i più piccoli è soprattutto la lingua dei genitori, spesso carente, che frena le relazioni
extra-scolastiche; per i più grandi, la scelta autonoma degli adolescenti.
Non si riesce ad avere rapporti con le famiglie, come con gli italiani. Un po’ forse hanno il timore di non essere
all’altezza, perché poi quando inviti i loro figli te li mandano volentieri, ma non si riesce a fare amicizia fra gli
adulti. (Padre italiano n. 1 di alunno di scuola elementare).
Le famiglie straniere sono abbastanza chiuse, secondo me è una forma di difesa. È difficile entrare nel loro
ambiente familiare, è difficile relazionarsi al di là della scuola, perché abbiamo abitudini diverse, orari diversi.
(Mamma italiana n. 1 di alunni di scuola elementare e media).
Sì ci conosciamo, ma ci incontriamo solo a scuola, per via del lavoro non abbiamo mai tempo di incontrarci
fuori. (Madre rumena n. 4 di alunno alle scuole superiori).
Altre relazioni importanti sono quelle tra scuola e famiglia, che nel corso negli anni sono
tuttavia divenute sempre più complesse.
La relazione con la famiglia è uno degli oceani non esplorati e con gli stranieri è il problema dei problemi ed è
uno dei problemi dell’integrazione. Credo che ci sia stato nella scuola italiana un vizio di fondo, la formazione e
il reclutamento degli insegnanti. Alle medie si trovano insegnanti che in realtà hanno studiato per svolgere altre
professioni e che poi si ritrovano ad insegnare. Non che non abbiano i contenuti da trasmettere: non basta avere i
contenuti, manca un terreno comune sul quale confrontarsi, manca a ciascuno la didattica della propria materia,
studiata e riflessa, e manca la conoscenza della psicologia, della pedagogia, della metodologia generica, quella
68
che implementa un linguaggio comune su cui capirsi. Nella scuola italiana si è confuso cambiamento con
miglioramento. (Ex dirigente di scuola media).
Il rapporto fra la scuola e le famiglie straniere assume valenze diverse a seconda della
provenienza considerata.
Per l’etnia cinese sembrerebbe che sono mamme indifferenti, che delegano, invece poi leggendo bene la cosa
sono mamme che hanno grande fiducia nella scuola, che credono in te, ti affidano il figlio e presuppongono che
sia in buone mani. Con le mamme cinesi quindi, filippine, sud est asiatico i rapporti sono sempre stati di fiducia,
non intensi. I rapporti con le mamme del Maghreb, una volta conquistata la fiducia e superato il loro ruolo di
sudditanza (è brutta la parola che uso ma per dire che mi baciavano le mani), poi sono stati rapporti in cui loro
venivano anche a chiedermi informazioni non solo sull’insegnamento del figlio, ma proprio sull’educazione:
cosa devo fare, cosa mi consigli di fare in questo caso. Il rapporto con le mamme dell’Est europeo, soprattutto
Romania, era un rapporto giocato alla pari. Sovente erano persone che facevano le insegnanti nel loro paese
quindi conoscevano molti discorsi didattici e pedagogici e allora era uno scambio di opinioni tra due
professionisti della formazione e anche di estrema curiosità. (Insegnante di laboratorio di lingua di scuola
media).
La comunicazione scuola famiglia è un ambito di attenzione da parte delle scuole e
dell’ente locale, che nel 2006 ha ad esempio, predisposto il Libricino utile, un prontuario
tradotto in arabo, cinese e rumeno delle varie comunicazione che generalmente la scuola invia
alle famiglie (dalla liberatoria per la privacy all’autorizzazione alle uscite, dalla scelta di
avvalersi o meno della religione cattolica alle indicazioni per la dieta scolastica, etc.). A
questa iniziativa, che ha offerto a tutte le scuole secondarie di primo grado una modulistica
comune, si affiancano traduzioni delle presentazioni delle scuole, ma anche incontri organizzati per spiegare il funzionamento e le offerte formative in presenza di mediatori culturali
o, nel caso del livello superiore, di studenti appositamente formati27.
All’inizio chiedevo a delle amiche, avevo paura di non fare le cose giuste. Qui in Italia se sbagli un documento è
poi difficile sistemare le cose. Le maestre sono brave, hanno pazienza, ho anche incontrato un mediatore
culturale, mi ha dato molte informazioni e poi mi ha detto dove andare: non ci sono sempre a scuola, ma se ho
bisogno posso andare all’ASAI. (Madre marocchina di alunni di scuola elementare).
Le scuole fanno ricorso alla figura del mediatore culturale per favorire la comunicazione
con le famiglie straniere, soprattutto nei momenti più significativi dell’anno scolastico: le
iscrizioni e la consegna delle valutazioni sia intermedie sia di fine anno. Non sempre però è
possibile ricorrere ai mediatori, in quanto rappresentano un costo per la scuola ed è arduo
disporre di tanti mediatori quante sono le lingue e le culture che si confrontano all’interno del
contesto scolastico. Per ovviare a questi problemi spesso viene fatto ricorso agli stessi allievi,
o comunque ad altri allievi più maturi che svolgano la funzione di ponte tra insegnante e
famiglie di origine straniera.
Usiamo in alcuni casi i mediatori pagati dal Comune, soprattutto in alcuni momenti dell’anno, come la consegna
delle pagello o i colloqui. Da qualche anno, poi, abbiamo degli allievi che ci aiutano. È per loro anche un segno
di gratificazione, di riconoscimento di capacità che hanno. (Insegnante di laboratorio di intercultura di IC).
Anche se c’è una marea di informazioni, sono solo in italiano. È chiaro che se non abbiamo l’aiuto dei bambini.
Anche per il primo anno la comunicazione attraverso le scuole dell’infanzia è data in lingua italiana. (Dirigente
scolastico di IC).
27
Si citano a tal proposito il progetto dei Peer educators del Cicsene – Pianeta Possibile e un’azione dell’iniziativa della Città
di Torino Se non ora, quando, progetto di servizio civile rivolto a giovani stranieri, che sono stati coinvolti nelle scuole a
sostegno dell’inserimento degli allievi e delle famiglie straniere.
69
Per quanto riguarda l’informazione qua ci vengono a casa tutte le cose per borse di studio, mensa, tutte queste
cose. Io non li capisco. Come formazione faccio l’infermiere professionale, e quindi ho una formazione, e
l’italiano lo parlo. Però tante di quelle cose non le capisco, è talmente complicato. La lingua scritta non la capisci
bene, devi andare a domandare cosa vuol dire. Questo è un punto in cui bisognerebbe migliorare, ma anche gli
italiani non riuscivano a capire cosa voleva dire, quando ho chiesto a genitori italiani di aiutarmi. È uno standard
complicato. (Padre rumeno n. 2 di un figlio di scuola elementare).
Infine, si registra da parte delle scuole uno scarso investimento nella comprensione delle
caratteristiche delle famiglie straniere e del loro processo di inserimento nella società italiana.
Infatti, nella relazione con la famiglia, l’accento è raramente posto sulla comprensione delle
trasformazioni e dei cambiamenti che si innescano all’interno dei nuclei familiari in
emigrazione. “I genitori come i figli sono coinvolti in un processo di cambiamento parallelo e
interrelato di definizione di sé, con tensioni ambivalenti fra il qui e il là, verso il paese
d’origine e quello di residenza” (Balsamo, 2004: p. 40). Con l’inserimento scolastico
l’acquisizione della lingua, la frequenza di ambienti e persone della società di accoglienza, le
distanze fra genitori e figli possono aumentare, definendo situazioni ambigue, sia dal punto di
vista dell’autorità dei primi (talvolta in condizione di debolezza sociale) e dell’autorevolezza
dei secondi (forti delle competenze linguistiche e culturali) sia dal punto di vista delle
richieste ambigue della famiglia, che prevedono al tempo stesso la fedeltà alla comunità
(mantenimento della lingua, adesione incondizionata ai valori e alle sue istanze),
l’inserimento nella società italiana (successo scolastico, buona competenza linguistica,
acquisizione di comportamenti italiani, etc.). Si tratta di aspetti da considerarsi da parte della
scuola, proprio in virtù del suo ruolo educativo nei confronti delle giovani generazioni e per
meglio comprendere il contesto entro cui si muovono gli allievi.
2.6 Partecipazione e domande delle famiglie
Le famiglie straniere rappresentano un universo molto eterogeneo, che si differenzia per
tempo di permanenza in Italia e per provenienza, per cittadinanza (diversi dei genitori
intervistati hanno la cittadinanza italiana), per capitale culturale e competenza linguistica
(nella maggior parte dei casi discreta, anche se continuano ad esserci padri e madri incapaci di
articolare un discorso compiuto in lingua italiana), per percorsi migratori e esperienze di
inserimento. Al di là delle differenze, emergono tuttavia dei tratti comuni nella relazione con
la scuola.
Dal punto di vista delle caratteristiche delle famiglie che intrattengono delle relazioni con
le scuole, “la composizione sociale delle famiglie residenti in San Salvario con ragazzi in età
scolare appare abbastanza corrispondente a quella della popolazione italiana nell’area
metropolitana” (Comune di Torino, 2006: p. 14). È ancora significativa la presenza di nuclei
familiari monoparentali, soprattutto al femminile, a cui si affianca un nocciolo duro di
famiglie complete, ormai da tempo residenti in Italia. Ed è alle famiglie stabilizzate che ci si è
rivolti, lasciando da parte le situazioni più marginali, che continuano ad essere presenti, sia
pure in misura decrescente. Il processo di stabilizzazione proprio dell’immigrazione in Italia e
nel torinese si legge anche dalle relazioni che le famiglie vanno intessendo con le scuole. Da
questo punto di vista emergono similitudini con il comportamento delle famiglie italiane,
anche se permangono delle specificità che derivano dal guardare alla scuola con l’esperienza e
il bagaglio culturale di altri contesti di provenienza.
Le famiglie straniere stanno sviluppando con la scuola italiana un rapporto che oscilla fra
due poi opposti: la totale delega e l’eccessivo coinvolgimento. Da un lato, vi sono famiglie
che per mancanza di strumenti culturali (in primis linguistici) e in secondo luogo di risorse
temporali si affidano completamente alla scuola e agli insegnanti, ridando autorevolezza alla
70
scuola e al ruolo di insegnante. Tale figura torna, in questi casi, ad essere il punto di
riferimento a cui rivolgersi non solo per l’istruzione dei figli, ma anche per l’orientamento nel
contesto cittadino. All’estremo opposto, vi sono le famiglie (soprattutto le madri), che sono
partecipi e coinvolte nell’educazione dei figli, talvolta in maniera eccessiva, secondo taluni
insegnanti: si presentano a scuola prima dell’arrivo dei figli in Italia, cercano i licei, anche
quando questi non sarebbero adeguati alle aspirazioni dei figli e ai curricula pregressi,
insistono per l’inserimento nella classe corrispondente all’età rifiutando qualsiasi altra
soluzione. Fra questi due estremi si collocano i genitori ragionevoli, che riconoscono il valore
dell’istruzione per i figli, ma al tempo stesso sono consapevoli delle difficoltà legate
all’inserimento.
Si tratta di padri e madri, che fra difficoltà di tempo e di lavoro, investono sull’istruzione
dei figli. Tali genitori hanno un tasso di partecipazione agli incontri/ai colloqui con gli
insegnanti simile a quello che si registra per le famiglie italiane: in genere, chi ha buoni
risultati è seguito dai genitori, che sono presenti a scuola; chi ha risultati peggiori, spesso ha
alle spalle famiglie che devono essere richiamate alla partecipazione.
Le famiglie marocchine sono molto diverse fra loro. C’è chi si è aperto, quasi non le riconosci. I loro figli sono
integrati, tutti parlano l’italiano, in fondo vogliono essere italiani perché pensano che così sarà tutto più facile. Io
ogni tanto li incontro per strada e sembrano una famiglia italiana del Sud. Poi ci sono le altre, quelle che stanno
un po’ peggio e dove anche le donne stanno male: parlano poco, passano il tempo fra la casa e l’asilo o la scuola.
Io ogni tanto cerco di avvicinarle davanti alla scuola dove lavoro, ma mi dicono che va tutto bene, che vogliono
imparare la lingua ma non possono, non hanno tempo e non hanno nessuno a chi lasciare i bambini, ma poi viene
fuori che il marito ha paura, e anche loro un po’ hanno paura dell’Italia, hanno paura che i loro figli perdano la
lingua, la cultura, che non siano più come loro. Io cerco di dire loro che un po’ cambieranno, perché sono nati
qui e crescono qua, che non possono restare chiusi in casa e vivere solo quando tornano in Marocco. (Mediatrice
culturale).
Il percorso di stabilizzazione delle famiglie straniere ha dei positivi riverberi sul rapporto
con la scuola. Sono le famiglie inserite, che hanno risolto le problematiche dell’accoglienza,
del lavoro, sapendo costruire percorsi di convivenza e di coesione sociale con l’ambiente
circostante e capaci di riflettere su quanto avviene oggi nella scuola italiana.
Le maestre sono brave e cercano di fare tante cose per tutti i bambini e anche per fare capire loro che sono di
tanti paesi diversi. Nella classe in cui è mia figlia ci sono tanti paesi. Certo è difficile quando i bambini non
parlano l’italiano, ma in prima elementare sono tutti un po’ stranieri e poi tanti figli di rumeni, albanesi,
peruviani, marocchini ormai sono nati qui e sono diversi da chi arriva da fuori. Molti miei amici hanno figli che
parlano quasi solo in italiano. (Madre rumena 1 di una figlia alla scuola primaria).
Per noi filippini la scuola è importante e per lo studio bisogna essere aiutati. La maestra diceva che tutti i
bambini avevano le stesse difficoltà, ma io non mi sentivo tranquilla perché per me lo studio è importante. Alla
Manzoni non lo hanno preparato bene, non ha la scuola di base. Anche parlando con un’amica italiana, anche lei
ha deciso di mandare il figlio in una scuola media diversa, loro hanno scelta una scuola privata. Gran parte della
classe delle elementari non si è iscritta alla scuola media [dell’Istituto Comprensivo, ndr]. Noi ne abbiamo
parlato anche con la rappresentante di classe, che ha preso le parti della maestra, dicendo che è colpa dei bambini
che non studiano se non imparano. Sì, ma se tutta la classe si lamenta. Non voglio parlare male di questa scuola,
perché ci sono altri bambini che vanno bene, però forse bisogna aiutare di più le maestre, dare informazioni su
come insegnare agli stranieri. (Madre filippina di un alunno di scuola media).
All’opposto vi sono invece dei genitori che scelgono come strategia quella della mimesi
(Romania, 2004) e della negazione di qualsiasi riferimento all’esperienza migratoria: in
questo modo pensano che i figli potranno meglio beneficiare delle opportunità della scuola
italiana. Sono soprattutto le famiglie dell’Est Europa che assumono tale atteggiamento.
Soprattutto rumeni, non vogliono andare alla Rayneri. Tra famiglie rumene c’è un gran passa parola. I genitori
rumeni quando giungono ad iscrivere il figlio spesso chiedono anche di un’insegnante precisa, sanno come
insegnano le varie insegnanti. Ma anche i magrebini che escono dall’elementare non vogliono andare alla
71
Manzoni. Preferiscono Matteotti, Istituto Ciechi, Foscolo, anche se più lontani. (Insegnante di laboratorio di
lingua di scuola media).
Cominciano ad essere presenti genitori non italiani (lungo residenti) nei consigli di classe e
di istituto, almeno a livello di IC. Si tratta ancora di un’élite, di genitori, che svolgono
l’attività di mediatrice culturale, sono membri attive dell’associazionismo interculturale della
città, hanno sviluppato una consapevolezza della necessità di essere protagonisti attivi per
promuovere coesione sociale. Si tratta, ad esempio, di genitori che si sono interessati al
dibattito sulle proposte di riforma del Ministro Gelmini, partecipando alle discussioni
organizzate dall’IC, come ricorda il rappresentante del comitato dei genitori dell’IC.
Durante la protesta della Gelmini c’era un buon numero di genitori stranieri, un 30-40%. Erano quelli che hanno
preso la coscienza della qualità della scuola: i genitori stranieri hanno il terrore che la qualità della scuola possa
scendere, perché loro si affidano molto alla scuola, per loro è il mezzo dell’inserimento. (Padre italiano di
allievo alla scuola primaria).
Anche la proposta delle ‘classi ponte’ è stata oggetto di riflessione e di discussione. Il
giudizio negativo su tale proposta è unanime, trovando d’accordo genitori delle diverse
provenienze, italiani compresi, dirigenti e docenti.
Se n’è discusso, per esempio su questo i genitori stranieri erano molto preoccupati. Lì [nelle riunioni del
Comitato genitori, ndr] abbiamo difeso spiegando che non eravamo noi e che ci saremmo opposti in tutti i modi,
ma lì è stato vissuto malissimo. La preside ha preso posizione chiedendo scusa, dicendo “Io non mi riconosco”.
Questo potrà dare dei grossi problemi. Ricostruire la scuola sarà dura, e poi c’è stata una latitanza
nell’opposizione. C’è una buona condivisione fra i docenti e le posizioni della preside. Poi non partecipo ai
collegi docenti, però mi sembra che chi insegna qua, e ce ne sono tanti stabili, ci mette grande passione. (Padre
italiano di allievo di scuola elementare).
Fare le classi solo per i ragazzi stranieri non mi convince, perché uno parla arabo, l’altro rumeno, come si fa?
Vanno inseriti sempre nelle classi però magari non li facciamo fare disegno e quell’ora lì magari facciamo
italiano. (Madre rumena n. 2 di alunna di scuola superiore).
È una separazione tra bambini. Poi quando finiscono si odiano tra di loro, perchè dicono tu hai fatto quella schifo
di scuola. Poi a parte ci sono le lezioni di italiano. Poi tutta la scuola va bene, non so da dove sono uscite queste
voci che dicono che non è una scuola buona. Questo figlio ha fatto tre anni, l’altro uno e mezzo. Io ho visto.
(Padre rumeno n. 1 di un alunno di scuola media).
Elementi rilevati nel corso del presente studio di caso confermano risultati di analoghe
ricerche sulla scuola condotte nel capoluogo piemontese, sottolineando un forte interesse per
la scuola da parte delle famiglie straniere, interesse e soprattutto attese che si trasformano in
pesante zavorra per i figli, che si sentono sotto pressione a fronte di richieste di successo e di
alte aspettative da parte dei genitori (Comitato oltre il razzismo, 2008; De martini, Luciano,
Ricucci, 2009).
È importante per noi imparare la lingua italiana, anche se i nostri genitori non vogliono che dimentichiamo
quella filippina. A volte mi sento come divisa, non so bene cosa fare: i miei genitori vogliono che io studi, che i
miei voti siano buoni e che non da problemi a scuola, ma allo stesso tempo mi dicono che non devo dimenticare
la famiglia e la comunità, che non devo dimenticare le mie origini. Come faccio, per la scuola ci vuole tempo,
devo concentrarmi sulla lingua italiana. Per me sembra di perdere tempo andando alle feste, frequentando le
attività della comunità. Loro non hanno capito che se siamo in Italia ora e dobbiamo essere filippini in un altro
modo, dobbiamo essere filippini a casa e italiani fuori (Studentessa filippina di scuola superiore, 20 anni).
Nel maggiore e più continuativo contatto con la scuola italiana, le famiglie straniere
rappresentano una sorta di cartina di tornasole, facendo emergere lacune e disfunzioni del
sistema educativo. Innanzitutto la complessità burocratica, che rende difficile orientarsi
72
all’ingresso, ma anche durante l’anno scolastico. Così come i problemi di gestione del
personale.
L’anno scorso per esempio mi sono lamentato perché hanno cambiato durante l’anno quattro cinque insegnanti
di matematica, cosa assurda. Il bambino deve avere una continuità nell’insegnamento, nel metodo di lavoro, però
devo dire che comunque le maestre si impegnano con questi bambini. Cambiare maestre, compagni, e poi
cambiare così tante maestre durante l’anno è un problema grande: il fatto di cambiare crea problemi anche se
non dubito delle capacità di ogni maestra, soprattutto per un bambino di otto anni. E non è stato solo la classe del
mio bambino in tutte le classi. Qualcuno ha cambiato il maestro di italiano, si immagini che cosa vuol dire che
cosa è per un bambino straniero cambiare il maestro di italiano. (Padre rumeno n. 2 di alunno di scuola
elementare).
Superato lo scoglio informativo e entrati nella scuola, emergono rilievi sia sul versante
della disciplina sia su quello dei contenuti. La scuola italiana appare poco severa e garantista
dell’ordine e della disciplina, aspetti che si riverberano sulla qualità dell’insegnamento.
Sovente gli insegnanti riconducono questa problematica alla flessibilità e all’attenzione alle
caratteristiche specifiche dei singoli allievi, mentre i genitori stranieri la giudicano come fuori
luogo in una scuola che dovrebbe istruire, fornire competenze e favorire la meritocrazia.
Mia figlia l’ho spinta un po’ a fare un liceo perché ci credo; anche se il futuro non è roseo, però un diploma. Lei
avrebbe voluto dopo la terza media fare un professionale, prima diceva di no poi adesso si trova bene, fa la
seconda e ha una media generale di 7,89. E le dico tutti i giorni potresti fare di più; se lei adesso dovesse tornare
in Romania non potrebbe più fare il liceo, non avrebbe le basi. La scuola italiana dovrebbe investire più sullo
studio, sulla preparazione. (Madre rumena n. 2 di un’alunna di scuola superiore).
Tabella 2.11 – Prospetto riepilogativo delle domande delle famiglie straniere.
Istituto comprensivo
Istituto superiore
Richieste specifiche
Un’organizzazione diversa del carico dello studio:
Servizi di orientamento e di maggiore informazione
il tempo pieno è apprezzato, ma si lamenta il carico
sull’organizzazione della scuola superiore.
eccessivo di compiti nel fine settimana.
Servizio di baysitteraggio per le riunioni a scuola,
Maggiore aiuto nell’espletamento delle pratiche
al fine di facilitare la partecipazione dei genitori
burocratiche (emerge il tema dello statuto giuridico
stranieri, che spesso non hanno una rete parentale
degli allievi al compimento del diciottesimo anno di
cui affidare i figli.
età).
Maggiore chiarezza nella comunicazione scuolaMigliorare la valutazione del curriculum scolastico
famiglie: il linguaggio burocratico delle circolari è
pregresso.
considerato ostico.
Predisporre corsi di lingua italiana durante il
Evitare l’eccessivo turn over del corpo docente e
periodo estivo e rafforzare corsi di italiano specifici
migliorarne le competenze interculturali.
per le singole discipline, organizzati con continuità.
Richieste comuni
Migliorare l’offerta dell’insegnamento e offrire garanzie di qualità dell’istruzione, in modo che sia
competitiva con altri sistemi scolastici.
Rafforzare il rigore e la disciplina.
Lo scenario multiculturale è un dato di fatto per questi genitori, di cui però colgono le
difficoltà all’interno delle classi, puntando anch’essi il dito su una necessaria formazione
degli insegnanti per lavorare in tali condizioni, onde evitare visioni stereotipate dell’allievo
straniero.
In classe ogni tanto qualcuno fa la battuta dicendo che noi siamo trattati meglio perchè siamo stranieri, allora i
professori non ci correggono e non ci valutano come tutti gli altri. Forse questo è vero quando uno è appena
arrivato: io mi ricordo che all’inizio, quando gli altri facevano i temi, io andavo fuori ad imparare l’italiano. Ma
superati i primi mesi, la professoressa mi ha detto che era arrivato il momento di fare i temi e ho cominciato. I
73
primi temi non sono andati bene, ma poi sono migliorato: mi ha aiutato molto mia mamma, mi faceva leggere
due libri alla settimana e mi faceva copiare pagine e pagine. Se non c’era lei ad aiutarmi andavo al corso per
elettricista, come il mio vicino di casa. Voglio fare ingegneria come mio padre, ma non so se lavorerò in Italia,
qui per i rumeni ci sono delle difficoltà, gli italiani pensano che siamo tutti ladri. Io cerco di non parlare in
rumeno quando sono in giro e alle volte chiedo a mia mamma di parlare in inglese. (Studente rumeno di scuola
superiore, 20 anni).
Quanto detto si può riassumere nella tabella 2.11, da cui si evidenziano richieste specifiche
e attinenti ai due ordini di scuola, ma anche elementi trasversali.
2.7 Conclusioni
La stabilizzazione delle famiglie immigrate nel contesto torinese e il conseguente doppio
effetto sia degli arrivi dall’estero per ricongiungimento sia del naturale avanzare nella carriera
scolastica dei figli, ha contribuito a definire classi assai eterogenee dal punto di vista delle
provenienze e dei background scolastici. L’innalzamento dell’obbligo a sedici anni, insieme
all’avanzare delle seconde generazioni, articolerà ancora di più un quadro già complesso.
Le scuole di San Salvario si confrontano con questo panorama in evoluzione, elaborando
progetti ed iniziative che tentano, anno dopo anno, di favorire l’inserimento dei nuovi arrivati
e promuoverne l’integrazione e il successo scolastico e formativo. Dapprima si è trattato di
azioni indirizzate prioritariamente agli allievi stranieri e all’apprendimento linguistico della
lingua italiana, sia come prima alfabetizzazione sia come linguaggi specialistici per lo studio
delle varie discipline. L’attenzione ai bisogni linguistici non ha poi fatto trascurare l’azione
educativa nei confronti degli allievi italiani, a cui sono state indirizzate attività di educazione
interculturale, volte alla comprensione di una realtà locale (e nazionale) in trasformazione dal
punto di vista sociale, ma anche economico, religioso, linguistico. Successivamente si è
allargato lo sguardo alle famiglie di origine straniera, cercando attività che favorissero il loro
coinvolgimento, al fine di definire un patto educativo-formativo su basi comuni fra le due
agenzie di socializzazione. Da questo punto di vista va rilevato che le modalità di
comunicazione e confronto fra la scuola e i genitori degli alunni rappresentano l’ambito di
riflessione prioritario in un’ottica di maggiore partecipazione delle famiglie straniere alla vita
scolastica. Obiettivi da realizzarsi al fine di migliorare il lavoro educativo e formativo della
scuola di fronte ad un’utenza in cambiamento.
L’incontro fra le domande delle famiglie e le offerte delle istituzioni scolastiche richiede
una particolare attenzione a tre elementi, che rappresentano i pilastri su cui definire i nuovi
percorsi di istruzione
1. le caratteristiche socio-demografiche e il background culturale degli allievi,
unitamente alle condizioni e alle problematiche che vivono, ai consumi, agli stili di
vita che si intrecciano nei modi con cui si inseriscono all’interno del contesto in
cui vivono: tale conoscenza va compresa e aggiornata per superare visioni stereotipate e, magari, proprie di fasi dell’immigrazione già superate;
2. il contesto scolastico, valutato sia nelle caratteristiche tecnico-strutturali (ad esempio, aule poco attrezzate, mancanza di docenti di ruolo) sia sul suo ruolo educativo
(metodologie attive e capaci di stimolare una costruttiva dialettica fra docente e
discente). In particolare, risulta importante sviluppare un’attenzione nuova alle
trasformazioni sociali che interessano la popolazione scolastica che diventi, nel
tempo, trasversale alle diverse discipline e non sia affidata, per competenza, agli
insegnanti referenti per l’accoglienza e l’inserimento degli allievi stranieri, ma
coinvolga tutto il corpo docente;
74
3. il territorio di riferimento, in quanto contesto entro cui gli studenti si muovono e
dove partecipano come destinatari e fruitori di iniziative, o nel quale sono attivamente inseriti attraverso il coinvolgimento in associazioni sportive, ricreative,
culturali o religiose.
Si tratta di tre elementi che dal punto di vista delle famiglie incontrate durante lo studio di
caso presentano oggi delle carenze. Innanzitutto sul versante della preparazione degli
insegnanti: ad un giudizio positivo sulla disponibilità e la preparazione di maestre e professori, si affianca una valutazione più tiepida sulle capacità di governare classi composite per
origine e curricula. In secondo luogo, si evidenziano carenze organizzative (eccessivo turn
over degli insegnanti, insufficiente investimento sull’insegnamento della lingua italiana).
Un terzo elemento di riflessione e di preoccupazione riguarda il rischio di scuole poco
qualificanti, timore che accomuna genitori italiani e stranieri. La differenza è però sui motivi
di tale qualificazione. Per i primi è opera dell’abdicazione della scuola alla severità e al
merito; per una parte dei secondi è spesso dovuta all’eccessiva presenza degli stranieri. Per
altri genitori, ancora, si tratta dell’esito delle riforme, che riducono la capacità effettiva della
scuola di operare. In tal senso si registra un timore comune fra tutti i genitori in merito agli
effetti che potrebbero derivare dalle proposte di riforma della scuola oggi in via di definizione.
A questi aspetti si accompagna la richiesta di affidabilità nelle proposte educative, che
siano continuative e ben strutturate. Il ricorso alle opportunità dell’associazionismo è ampio e
comune fra genitori e italiani, ma talora attività di supporto scolastico, sostegno linguistico e
orientamento dovrebbero essere implementate dalla stessa scuola, il cui ventaglio di offerte
formative è forse troppo ampio e poco centrato sulle competenze di base. Alla scuola, in
sintesi, le famiglie, e soprattutto le famiglie straniere, chiedono di recuperare la centralità del
suo ruolo educativo.
75
2.8 Riferimenti bibliografici
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Ambrosini M., 2001, La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Bologna, Il Mulino.
Ambrosini M., 2005, Sociologia dell’immigrazione, Bologna, Il Mulino.
Belluati M., 2004, L’insicurezza dei quartieri. Media, territorio e percezioni d’insicurezza, FrancoAngeli,
Milano.
Besozzi E., (a cura di), 2005, I progetti di educazione interculturale in Lombardia. Dal monitoraggio alle buone
pratiche, Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano.
Bocco A., 1996, Problematiche e opportunità di un “Quartier Latin”, Cicsene, Torino.
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Governo e Città di Torino, Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino, Torino, pp.
331-336
Cammarata M., 2008, Residenti stranieri a Torino nel 2007. Una analisi socio-demografica, in Casacchia, O. et
alii (2008), Studiare insieme, crescere insieme? Un’indagine sulle seconde generazioni in dieci regioni italiane,
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Comitato oltre il razzismo, 2008, Gli adolescenti immigrati tra integrazione, differenziazione, contrapposizione,
Torino.
Comune di Torino, 2006, A scuola a San Salvario, Torino.
Demartini M., Ghioni J., Ricucci R., Sansoè R., 2008 Gli allievi stranieri come banco di prova: il caso di
Torino, in Gobbo F. (a cura di), L'educazione al tempo dell'intercultura, Carocci, Roma, 2008, pp. 129 – 146.
Ires Piemonte, 2008, Scenari per il futuro, Torino.
Molina S., 2007, “I figli degli immigrati in Italia: un futuro in parte già scritto”, intervento tenuto a Torino il 23
novembre 2007 nell’ambito del seminario “Dirigere la scuola in contesti multiculturali”, Torino.
Negri e Scaranari, (a cura di), 2008, I ragazzi musulmani nella scuola statale. Il caso Piemonte, Torino:
L’Harmattan.
Olivero F., Ricucci R., 2008, Generazioni in movimento, EGA, Torino.
Omedè M., 2006, Stranieri a Torino: dati e strumenti per un’analisi dell’andamento evolutivo dell’immigrazione
internazionale nel capoluogo piemontese, Città di Torino.
Prefettura - UTG del Governo e Città di Torino, Osservatorio Interistituzionale sulla Presenza degli Stranieri in
provincia di Torino, anni vari.
Portes A., Schauffler R., 1994, Language and the second generation: Bilingualism yesterday and today, in
“International Migration Review”, vol. 28, n. 4, pp. 640-661.
Rava A., 2007, Dati statistici sull’immigrazione a Torino nel 2006, in Osservatorio Interistituzionale sugli
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Ricucci R., 2008, “I minori in Italia: caratteristiche e dinamiche”, in Caritas/Migrantes, Dossier Statistico
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Tognetti Bordogna, M., 2004, Ricongiungere la famiglia altrove. Strategie, percorsi, modelli e forme dei
ricongiungimenti familiari, FrancoAngeli, Milano.
Torino Internazionale, 2006, Piano strategico della città di Torino, Torino.
76
2.9 Allegato 1: Elenco delle persone intervistate
Dirigente IC Manzoni (entrata in carico settembre 2008).
Vice-preside IC Manzoni (intervistata perché rappresenta la “memoria storica” dell’evoluzione della scuola).
Ex dirigente dell’IC Manzoni.
Insegnanti del laboratorio di intercultura dell’IC.
Insegnante referente per gli stranieri IIS “R. Margherita”.
Insegnante referente per gli stranieri IIS “Giulio” [altro istituto superiore ubicato nell’area di San Salvario].
Intervista Dirigente Servizi Educativi del Comune di Torino – settore integrazione.
Focus group con alcuni operatori, volontari e mediatori culturali presso l’ASAI.
Stralci di conversazioni con studenti delle scuole superiori, raccolte presso l’Asai, durante le attività di
doposcuola e di laboratori ricreativi.
Madre, Italiana, 4 figli (12 e 11 anni presso la sezione media dell’IC; 8 anni presso la sezione primaria; 4 anni
alla scuola materna). Istituto Tecnico Commerciale. Marito, ragioneria.
Madre, Rumena (1), Divorziata, con due figlie nate in Romania, convivente con un uomo marocchino. Scuola
media. Autista, in Romania ha svolto vari lavori: barista, commessa, panetteria. Arrivata cinque anni fa. Lingua
parlata in casa: italiano e rumeno.
Madre, Marocchina. Sposata, con due figli nati in Italia. Due anni del corso di laurea in biologia. Casalinga.
Arrivata con il marito nel 1999. Lingua parlata in casa: arabo e italiano.
Padre, Rumeno (1). Sposato, con moglie e due figli (9 anni, nato in Romania; 5 mesi, nato in Italia). Laurea
breve, Moglie: laurea breve. Infermiere professionale attualmente in maternità. Anche in patria svolgevano la
stessa professione. Lui arrivato nel 2003; moglie e figlio nel 2006. Lingua parlata in casa: rumeno.
Padre, Rumeno (2). Sposato, con due figli: uno alle superiori e uno in terza media, entrambi nati in Romania.
Laurea in meccanica, moglie diplomata come segretaria. Lavora come operaio, la moglie fa la domestica.
Arrivati nel 2003. Lingua parlata in casa: rumeno e italiano.
Padre, Egiziano. Sposato, con tre figli: 15 anni, frequenta un istituto tecnico (prima IC), 11 anni, frequenta la
sezione media dell’IC e 8 anni, frequenta la sezione primaria dell’IC. Scuola media, moglie: scuola elementare.
Cuoco; Moglie: casalinga. Lui arrivato nel ’90; Moglie nel 1992. Lingua parlata in casa: arabo e italiano.
Madre, Somala. Sposata, con un figlio nato in Italia. Ha un negozio di gastronomia. Arrivata in Italia circa
vent’anni fa. Lingua parlata in casa:;somalo e italiano.
Madre, Rumena (2). Vive da sola con i due figli, uno in 3 media e l’altro in 2 superiore. Perito chimico. Lavora
in uno studio dentistico, in patria faceva l’operaia in fabbrica. Arrivata dieci anni fa e i figli l’anno successivo.
Lingua parlata in casa: soprattutto italiano.
Madre, Italiana, ma con figlio adottato ucraino, di colore nero. Sposata, con un figlio adottivo di origine ucraina
e un’adozione a distanza di un altro ragazzo ucraino. Laurea; Marito: laurea. Professionisti.
Madre, Filippina. Sposata con un figlio, nato in Italia. Segretaria amministrativa. Marito: secondo anno
dell’università del commercio. Domestica a ore (in patria: segretaria in un’azienda); Marito: pulizia di impianti
industriali (in patria: operaio in un’industria di sigarette); Arrivata nell’88, il marito nel 1995. Lingua parlata in
casa: tagalog e italiano.
Madre, Rumena (3). Sposata, con due figli: una ragazza di 19 anni e un ragazzo di 15.; Seconda superiore;
marito: seconda superiore. Fa la colf (in patria: casalinga); marito: carpentiere (in patria: operaio). Il marito è
arrivato 9 anni fa, lei 7 e i figli 5 anni fa. Lingua parlata in casa: i genitori parlano in rumeno; i figli .rumeno e
italiano.
77
Madre, Rumena (4). Sposata, con tre figli: uno di 19 anni e due figlie di 22 e 23 anni. Liceo umanistico; Marito:
liceo umanistico. Operaia (in patria: operaia); Marito: operaio (in patria: operaio). I genitori sono in Italia da 10
anni, i figli da 6. Lingua parlata in casa: rumeno e italiano.
Madre, Rumena (5). Sposata con due figli, di 23 e 18 anni, entrambi alla scuola superiore. Terza media e
specializzazione come sarta; Marito: terza media e scuola per carpentiere. Operaia (in patria sarta in un’azienda);
Marito: operaio (in patria carpentiere e muratore). Marito arrivato 10 anni fa, lei 8 anni fa insieme ai figli.
Lingua parlata in casa: rumeno e italiano.
Fonti consultate
Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario: cartine e materiale informativo.
Biblioteca Ires Piemonte.
Consultazione di una tesi di laurea in pedagogia interculturale svolta con osservazione etnografica presso l’IC.
Manzoni (R. Sansoè, Adolescenti figli dell’immigrazione. Un’etnografia degli spazi adibiti alla formazione in
San Salvario, a.a. 2004/2005).
Gruppo di lavoro sul progetto “Tappeto Volante” per la raccolta di materiale e pubblicazioni.
Incontro con testimoni privilegiati della città che si occupano di immigrazione e scuola da vari punti di vista e
con ruoli diversi: Francesco Ciafaloni (ex ricercatore Ires Morosini); Rocco De Paolis (insegnante CTP Parini);
Enrico Allasino (Osservatorio sull’immigrazione in Piemonte).
Incontro di discussione cittadina sulle Classi Ponte, tenutosi presso il Sermig di Torio, il 21 aprile 2009.
Progetto di rete fra scuole secondarie di II grado e CTP.
Raccolta e consultazione di ricerche su “Scuola e immigrazione” a Torino: Comitato “oltre il razzismo”, Fieri,
Città di Torino, Dipartimento di Scienze Sociali, Dipartimento di Scienze dell’educazione (citate in bibliografia).
Rilevazioni annuali della popolazione straniera a Torino.
Servizi Educativi della Città di Torino: acquisizione dati e materiale relativo a progettualità cittadine.
Servizio Statistico della Città di Torino.
Visione di produzioni video dell’Asai, con interviste a cittadini del quartiere.
78
Allegato 2
IC MANZONI
PROTOCOLLO D’ACCOGLIENZA PER ALUNNI STRANIERI
DOMANDA D’ISCRIZIONE
•
•
•
La SEGRETERIA fornisce la modulistica bilingue per l’iscrizione.
Raccoglie i dati sulla precedente scolarizzazione dell’alunno.
Avverte uno degli insegnanti membri della Commissione Accoglienza (di seguito C.A.)e fornisce la
documentazione raccolta.
COLLOQUIO CON i GENITORI DELL’ ALUNNO/A
•
Il giorno in cui i genitori accompagnano il bambino a scuola, un membro delegato della C. A. fissa un
incontro per raccogliere informazioni sull’alunno/a, la famiglia, la storia scolastica, il progetto migratorio
dei genitori.
•
Durante il colloquio, alla presenza di un mediatore culturale, viene illustrato il funzionamento e il
regolamento della scuola, quindi viene compilata la scheda per la rilevazione dei dati iniziali.
APPROFONDIMENTO DELLA CONOSCENZA DELL’ALUNNO/A
•
Prima dell’inserimento in una classe, l’insegnante del laboratorio di italiano L2, o altro membro della
C.A.,somministra all’alunno/a le prove d’ingresso, al fine di rilevare le competenze possedute nelle varie
aree disciplinari.
•
Un membro della C. A. informa il/la coordinatore/trice di classe /interclasse del nuovo inserimento. Se
necessario, si richiede la consulenza di un mediatore culturale.
INSERIMENTO IN CLASSE
•
Il Dirigente Scolastico autorizza l’iscrizione, qualora ve ne sia necessità, ad una classe diversa da quella
successiva, tenendo conto dell’ordinamento degli studi nel Paese di provenienza, delle competenze, dell’età
anagrafica.
•
La C.A. consegna alle insegnanti della classe una cartellina di accoglienza (modulistica bilingue,
vocabolario minimo, lettera di benvenuto, orario di laboratorio, materiale didattico per i primi giorni).
PROGETTAZIONE ATTIVITÀ A FAVORE DEGLI ALUNNI STRANIERI
•
La Commissione Intercultura predispone e coordina le azioni a favore degli alunni stranieri, definendo in
particolare:
-
spazi e tempi di ciascuna azione
•
Dopo un primo periodo di osservazione dell’alunno inserito nel laboratorio di italiano L2, viene stilata
una programmazione individualizzata. Essa corrisponde al livello di competenza in lingua italiana,
secondo il Quadro di Riferimento Europeo ed è redatta dall’insegnante di italiano L2.
elenco degli insegnanti e degli alunni coinvolti
modalità degli interventi
obiettivi specifici di ogni intervento
3
PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI DIDATTICI
VERIFICA
•
Durante l’anno saranno previsti almeno due momenti di incontro tra le insegnanti di classe e di laboratorio,
prima dei colloqui con i genitori. In tale occasione verranno definiti i criteri comuni di valutazione, si
effettueranno una verifica dell’andamento scolastico, l’eventuale revisione del piano di apprendimento
individualizzato e la verifica dei progetti Stranieri e Fasce Deboli.
79
Allegato 3
IMS REGINA MARGHERITA
TORINO
PRASSI PER L’ACCOGLIENZA E L’INSERIMENTO
DEGLI ALLIEVI CON CITTADINANZA NON ITALIANA
ACCOGLIENZA
• Colloquio con il docente referente, esame della documentazione, compilazione di apposite schede.
• Stesura del profilo dello studente e primo bilancio delle competenze disciplinari ricavabili dai documenti
attestanti il curriculum scolastico pregresso.
• Bilancio delle competenze linguistiche (se non neoarrivato) tramite test di livello (tipo CELI o CILS).
• ATTUALMENTE non viene fatto, in modo sistematico, il bilancio delle competenze disciplinari (
progetto per l’a.s. venturo).
INSERIMENTO
•
•
•
•
1. Inserimento all’inizio dell’anno scolastico – entro il mese di dicembre
Colloquio orientativo (con la famiglia ed eventuale mediatore) per stabilire l’indirizzo e la classe di
inserimento.
Consegna delle schede al coordinatore della classe di inserimento.
Individuazione delle strategie da attivare ai fini del recupero.
Inserimento nel corso di Italiano L2.
Nel mese successivo, il Consiglio di classe valuta l’adeguatezza dell’inserimento proposto e, qualora esso non
risulti corretto, contatta il referente che riesamina il caso alla luce dei suggerimenti forniti. Per il monitoraggio e
l’accompagnamento SAREBBE prevista la figura del tutor, individuato possibilmente tra i docenti del consiglio
della classe di inserimento, eventualmente affiancato da un tutor junior scelto o tra i compagni di classe o tra gli
studenti dell’Istituto dello stesso paese d’origine (non sempre avviene).
•
•
•
•
•
2. Inserimento in itinere – dal mese di gennaio
Colloquio orientativo (con la famiglia ed eventuale mediatore) per stabilire l’indirizzo e la classe di
inserimento nell’anno scolastico successivo.
Inserimento nella classe in qualità di uditore28.
Inserimento nel corso di Italiano L2.
Incontri con i docenti delle diverse materie che provvedono a suggerire percorsi individualizzati atti ad
acquisire le conoscenze e competenze irrinunciabili (obiettivi minimi).
Colloquio finale (mese di maggio) con l coordinatore di classe, per valutare il percorso compiuto e la classe
di inserimento per l’a.s. successivo – in genere la stessa già frequentata – o l’opportunità di presentarsi agli
esami di idoneità, qualora l’allievo possa accedere alla classe successiva.
28
La figura dell’uditore è legalizzata grazie a una convenzione stipulata dal nostro istituto con il CTP Giulio, contiguo alla
nostra scuola, per permettere agli studenti stranieri che si presentano dopo il mese di dicembre di partecipare all’attività
scolastica senza essere valutati e rischiare di essere respinti alla fine dell’anno.
80
3. Treviso
di Davide Girardi29
3.1 Introduzione
L’accesso al campo è stato mediato da informazioni di sfondo e, in alcuni casi, da
testimoni privilegiati che già nel 2007 erano stati funzionali allo svolgimento dell’indagine
ONC-CNEL: in particolare, l’Ufficio scolastico provinciale – settore interventi educativi e la
Rete per l’integrazione degli alunni stranieri attiva in provincia di Treviso. In via preventiva,
altresì, sono stati aggiornati i dati di sfondo (acquisiti da fonti secondarie) finalizzando il
percorso al contatto con le famiglie di origine straniera presenti sul territorio (con riferimento
alle scuole considerate) e con i testimoni privilegiati più coinvolti nella relazione con esse
(per la presenza scolastica dei figli): gli insegnanti e i dirigenti scolastici.
Si è ritenuto di contattare preventivamente l’Ufficio scolastico provinciale al fine di
verificare l’articolazione funzionale assunta dai soggetti che, a diverso titolo, si occupano
dell’inserimento degli studenti di origine straniera e del rapporto con le loro famiglie.
L’ufficio medesimo, inoltre, è stato in grado di illustrare il quadro sinottico delle presenze
degli studenti di origine straniera in ogni istituto scolastico, mediante il monitoraggio svolto
tramite il database Aris (a disposizione delle scuole stesse). Intervistando l’insegnante facente
funzione si sono acquisiti i dati aggiornati al 31/12/08 sull’incidenza degli studenti stranieri
nelle scuole di Treviso, incrociandoli con quelli forniti dall’anagrafe comunale sui minori
regolarmente residenti. In particolare, sono state raffrontate le informazioni in possesso del
ricercatore con quelle sull’attuale strutturazione della risposta scolastico-istituzionale alle
famiglie immigrate e agli studenti stranieri, al fine di ipotizzare i nodi della rete da valorizzare
per giungere al contatto con le famiglie. Un percorso snow ball, in altri termini, ha permesso
di individuare i mediatori di accesso al campo che, nella fattispecie, sono stati i referenti di
rete dei singoli istituti scolastici individuati. In merito, è necessaria una precisazione: nella
scelta delle scuole (scuola primaria Primo maggio, scuola secondaria di I grado Coletti e
scuola secondaria di II grado Giorgi) il criterio prettamente quantitativo, che prevedeva
l’individuazione di scuole ad alta presenza di studenti di origine straniera, è stato
contemperato con valutazioni discrezionali svolte dal ricercatore, segnatamente per l’inserimento della secondaria di I grado Coletti. L’incidenza statistica, infatti, avrebbe suggerito la
scuola secondaria di I grado Stefanini che, una volta contattata per il tramite del referente
incaricato, non è tuttavia riuscita a garantire concrete possibilità di contatto con le famiglie. In
sostituzione di essa, è stata individuata la scuola Coletti che, a fronte di un’elevata percentuale
di studenti d’origine straniera, presenta alcune peculiarità che ne fanno scuola di frontiera
caratterizzata da una pluralità di situazioni che (con riferimento alle famiglie di origine
straniera) assumono un rilievo distintivo; situazioni dovute primariamente all’inserimento in
un quartiere definito difficile e, per alcuni versi, marginale e alla ridefinizione di un proprio
29
Ricercatore sociale. Collabora con l’Università di Padova.
81
specifico ruolo rispetto alle scuole del centro città (oltre alla scuola Stefanini, la scuola
secondaria di I grado Serena).
Ai rispettivi referenti di rete, a loro volta in accordo con i dirigenti, sono stati sottoposti gli
obiettivi dell’indagine e i presupposti fondanti la stessa. Chi scrive ha ritenuto opportuno
affidarsi a mediatori istituzionali, pur consapevole delle distorsioni che una simile scelta
avrebbe comportato: prima fra tutti, la possibilità che gli insegnanti, nell’indicazione delle
famiglie da intervistare, optassero per famiglie ritenute a vario titolo affidabili. Ciononostante,
la scelta dei referenti di rete avrebbe comportato vantaggi tangibili e, agli effetti pratici,
considerati premianti rispetto ai pur presenti bias: la possibilità di reperire in tempi brevi dei
genitori di origine straniera disponibili ad essere intervistati e, senza soluzione di continuità,
quella di individuare persone dal capitale socio-culturale e dal progetto migratorio in potenza
differenziati, così da accedere ad uno spettro di fenomeni non univoci. Non da ultimo, poi, il
vantaggio di avere un efficace controllo sulla scelta delle nazionalità dei genitori, possibilmente in linea con la differenziazione delle provenienze caratteristica di ogni istituto tra
quelli individuati. L’alternativa di una triangolazione di informazioni per giungere alle
famiglie, ricavabili dal territorio e da soggetti informali, non avrebbe consentito nei tempi
previsti la rispondenza dei risultati alle due condizioni: l’individuazione di famiglie la cui
scelta fosse frutto di indicazioni concordi tra i diversi soggetti (su tutte, quella di genitori con
figli effettivamente frequentanti le scuole in esame) senza un eccessivo dispendio temporale;
in secondo luogo un controllo, sia pur minimo, sul profilo familiare medesimo, tale da evitare
scelte arbitrarie e non adeguatamente motivate.
Sono state effettuate le seguenti interviste: presso la scuola Primo maggio di Treviso una
signora di provenienza kosovara, un uomo di nazionalità albanese e un altro di nazionalità
statunitense. In seconda battuta, sono stati intervistati anche una signora di provenienza
rumena, una di origine tunisina e un signore italiano. Sono poi stati intervistati il dirigente
scolastico e la referente della Rete per l’integrazione degli alunni stranieri; in totale, sono state
portate a termine 8 interviste.
All’interno della scuola secondaria di I grado Coletti di Treviso, oltre al dirigente, sono
stati intervistati anche due insegnanti che, allo stato, svolgono la funzione strumentale per
l’inserimento degli alunni stranieri. Per quanto concerne le famiglie, sono stati intervistati: un
uomo proveniente dal Bangladesh, un altro di nazionalità cinese, due genitori (marito e
moglie) provenienti dalla Repubblica Dominicana e un uomo di origine albanese. Anche in
questo caso, è stata intervistata una famiglia italiana (marito e moglie). In questo caso, le
interviste portate a termine sono state 8.
Nella scuola secondaria di II grado Giorgi di Treviso, tra gli istituti individuati, è quella in
cui si sono verificate le maggiori difficoltà nel reperimento di soggetti disponibili all’intervista. Il contatto con le famiglie si è rivelato arduo per due ordini di ragioni: per una minore
abitudine della scuola secondaria di II grado ad iniziative sistematiche che riguardino gli
studenti stranieri e le loro famiglie e per una correlata maggiore difficoltà di comuni-cazione
tra la scuola e le famiglie. Sono state intervistate due famiglie di origine straniera (provenienti
dall’Ungheria e dalla Costa D’Avorio), oltre che l’insegnante referente e il dirigente
scolastico. A conclusione delle interviste, è stato effettuato un focus con gli insegnanti
referenti per discutere le risultanze delle interviste ai genitori stranieri.
È necessario segnalare alcuni tratti comuni ai genitori intervistati e, al contrario, alcuni loro
elementi peculiari.
Sono state famiglie che, a fronte di un capitale sociale disponibile diversificato e di
competenze linguistiche altrettanto difformi, possedessero quale caratteristica di base quella
d’aver sviluppato aspettative e capacità di valutazione complessiva degli output scolastici per
poterne apprezzare gli elementi di forza e segnalare, per altro verso, le attese non corrisposte.
82
Nei casi in cui la padronanza linguistica non ha consentito un colloquio lineare, non è stato
fatto uso dei mediatori culturali: per conservare all’intervista il massimo grado di trasparenza
limitando mediazioni aggiuntive tra intervistatore ed intervistato e perché, per esplicita
ammissione degli insegnanti, l’utilizzo dei mediatori avrebbe inciso in misura non irrilevante
sul monte ore disponibile alle scuole, non tale da consentire un uso straordinario degli stessi.
Fatto salvo, poi, il fatto che la durata delle interviste non è mai stata inferiore ai sessanta
minuti, in alcuni casi vicina ai novanta minuti e oltre.
È necessario annotare le motivazioni che hanno condotto ad accettare la proposta fatta
dalla scuola elementare Primo Maggio di intervistare un genitore non rappresentativo in
termini nazionali, d’origine statunitense. È parso utile raffrontare le sue considerazioni, quelle
di un genitore che rispetto agli altri intervistati appariva overskilled e portatore di un superiore
livello di aspettative, con quelle degli altri genitori; nell’ipotesi che con più nitidezza
sarebbero emerse le fratture che contraddistinguono le rappresentazioni della scuola italiana
veicolate dai genitori intervistati. In questo senso, la singolarità dell’intervista al genitore
statunitense ha assunto una funzione di controllo, sia pure non paragonabile a quella svolta
dalle interviste a genitori italiani.
Al termine della fase sul campo, sono state realizzate diciotto interviste e un focus group di
discussione dei risultati con i docenti intervistati. Le interviste presso le scuole sono state
condotte nelle ultime due settimane di marzo e nelle prime due settimane di aprile, con la
collaborazione del dott. Fabio Marzella e della dott.ssa Eleonora Chiaro.
I materiali sulla rete per l’integrazione degli alunni stranieri sono disponibili all’interno del
sito www.retetrevisointegrazionealunnistranieri.it.
3.2 Qualità del contesto
L’indagine che presenteremo nelle prossime pagine costituisce il complemento qualitativo
dell’indagine svolta dal ONC-CNEL nel 2007, basata prevalentemente su fonti secondarie.
Come allora, si è mantenuta la scelta di Treviso quale ambito d’indagine: una scelta che, se da
un lato rimanda alla necessità di approfondire le informazioni raccolte due anni fa, dall’altro
conserva intatta la propria rilevanza. Al pari degli altri cinque ambiti d’indagine, infatti,
Treviso si configura quale terreno elettivo di studio dei fenomeni migratori da differenti
prospettive, anche da quella del sistema scolastico e delle interazioni complesse che ad esso
fanno capo. Non è questa la sede per marcare nuovamente le ragioni, in letteratura vieppiù
esplorate (Ambrosini e Molina, 2005), che sottendono la necessità di un’attenzione alla scuola
come versante privilegiato di analisi dei processi di insediamento degli immigrati sul territorio
e dei loro figli in particolare. Appare nondimeno utile richiamare il filo rosso che ha
informato l’intero percorso della ricerca in esame: lasciare spazio al punto di vista delle
famiglie sul sistema scolastico italiano e sul percorso in esso compiuto dai loro figli. Come
risulterà chiaro più oltre, simile angolo prospettico è stato ricostruito contemperando le
indicazioni raccolte per via diretta dalle famiglie intervistate e tramite un insieme di riflessioni
svolte da alcuni testimoni privilegiati operanti a scuola, utili ad uno sguardo sinottico e
diacronico.
Le retoriche pubbliche che, negli ultimi anni, hanno interessato Treviso con riferimento
alle dinamiche migratorie, di frequente veicolate sul registro del conflitto, non saranno
oggetto di sistematica trattazione: non solo perché ciò esulava dagli obiettivi d’indagine ma,
ancor più, perché si è ritenuto utile declinare il ruolo delle rappresentazioni sociali come un
portato peculiare dei discorsi svolti dalle famiglie e dai testimoni privilegiati intervistati. È
altresì utile, fin d’ora, fornire alcune coordinate di base per avvicinare gli approfondimenti
analitici delle prossime pagine.
83
Tabella 3.1 – Residenti stranieri nel comune di Treviso – prime sette nazionalità (val. %)
Nazionalità
Serbia e Montenegro
Albania
Cinese, Rep. Popolare
Moldova
Romania
Bangladesh
Marocco
%
10,8
8,8
8,6
7,2
6,8
6,5
4,9
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Anagrafe Comunale.
Nel comune di Treviso, le prime tre nazionalità d’origine degli immigrati residenti sono
quelle serba, albanese e cinese. Le prime sette nazionalità rappresentate (vedi tabella 3.1)
cumulano fino al 53,7% di tutti i residenti con cittadinanza non italiana.
Gli ultimi dati anagrafici disponibili (al 31/12/08), riferiscono di un numero di minori
stranieri che, sul totale dei residenti stranieri di Treviso, raggiunge quasi un quarto delle
presenze totali: il 23,7%. A titolo di confronto, la quota dei minori residenti sul totale della
popolazione (non limitandosi, quindi, ai soli residenti stranieri) cumula una percentuale
inferiore di oltre otto punti, pari al 15,7%. Un indizio ulteriore della strutturazione che oramai
hanno assunto, anche a Treviso, i processi di inserimento degli immigrati e dei loro figli.
La disaggregazione per classi d’età, in proposito, fornisce elementi aggiuntivi. I residenti
stranieri nella fascia fino ai due anni raggiungono il 20,4% sul totale della popolazione
straniera minorenne, rispetto al 15,3% dei residenti totali nella stessa fascia d’età sul totale dei
residenti di Treviso (con cittadinanza italiana e non). Nei prossimi anni, tra le nuove leve di
studenti che faranno il loro ingresso nelle aule della scuola italiana vi saranno quindi in
misura crescente figli di immigrati nati in Italia (Istat, 2008) e la scuola dovrà affrontare in
termini altrettanto prospettici un pluralismo culturale che il semplice sguardo ai numeri rende
evidente.
Tabella 3.2 – Minori stranieri residenti e incidenza minori stranieri sul totale minori residenti, per età (val. %)
0-2 anni
3-5 anni
6-10 anni
11-13 anni
14-18 anni
Totale
Minori stranieri residenti
20,4
18,9
24,8
13,5
22,4
100,0
% di minori stranieri sul totale dei minori residenti
23,6
21,6
16,9
14,9
14,7
-
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Anagrafe comunale.
Nella classe d’età fino ai cinque anni, i minori figli di immigrati sono oltre un quinto dei
minori residenti totali (23,6% nella fascia 0-2 anni e 21,6% in quella 3-5 anni). Considerando
le altre classi d’età (dai 6 ai 10 anni; dagli 11 ai 13 e dai 14 ai 18 anni) l’incidenza è inferiore
al 20% ma, ciò nonostante, comunque apprezzabile.
Sul totale della popolazione costituita dai minori stranieri, il 17,3% proviene dall’ex
Jugoslavia, il 12,3% dalla Cina e il 10,5% dall’Albania. Particolare rilevanza, poi, assume il
dato riferito all’incidenza dei minori stranieri per singola nazionalità: si va dal 18,7% di
minori di nazionalità algerina sul totale degli algerini residenti a Treviso fino al 41,1% dei
macedoni, passando per il 38,2% dell’ex Jugoslavia ed il 33,7% della Cina.
Più in generale, per ogni singola nazionalità tra quelle più rappresentate nel comune di
Treviso, la percentuale dei minori sul totale degli immigrati di quella stessa nazionalità si
attesta su percentuali intorno al 30%: ciò significa che, fatta eccezione per il valore più basso
84
(rappresentato dall’Algeria) e per quello più alto (rappresentato dalla Macedonia), mediamente un residente straniero su tre non ha più di 18 anni.
Tabella 3.3 – Minori stranieri residenti per nazionalità (val. %)
Serbia e Montenegro
Cina- Repubblica popolare
Albania
Bangladesh
Marocco
Moldova
Romania
Macedonia
Burkina Faso
Costa D’Avorio
Ghana
Sri Lanka
Senegal
Nigeria
Guinea
Repubblica Dominicana
Algeria
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Anagrafe comunale.
Minori stranieri residenti
17,3
12,3
10,5
8,3
5,7
4,5
4,1
3,4
3,3
2,7
2,7
2,5
1,9
1,8
1,8
1,7
1,4
100,0
Per giungere al focus dell’indagine, è ora opportuno concentrare l’attenzione sui dati
riferiti alla scuola, con particolare riferimento agli istituti individuati per l’indagine medesima: la scuola primaria Primo Maggio, la scuola secondaria di I grado Coletti e l’Istituto
professionale di stato Giorgi.
Secondo i dati di fonte ministeriale (Mpi, 2008), in Veneto gli alunni con cittadinanza non
italiana raggiungevano nell’anno scolastico 2007/2008 il 12,1% nella scuola primaria,
l’11,8% nella secondaria di I grado e il 6,4% nella secondaria di II grado.
Il 43,1% degli alunni con cittadinanza non italiana frequentanti la scuola primaria è nato in
Italia e le stesse percentuali della secondaria di I e di II grado sono significative: il 17% e il
5,8%.
Nel più ampio quadro generale, i dati riferiti a Treviso (a.s. 2008/2009) città denotano uno
scostamento molto ampio. Nel 1° circolo didattico, separando i dati della scuola dell’infanzia
da quelli della scuola primaria, la percentuale di alunni stranieri raggiunge un valore pari al
30,3%. Come si evince osservando la serie storica (vedi tab. 3.4), la percentuale di alunni
stranieri sul totale degli iscritti è andata crescendo in misura costante negli anni; in
particolare, il margine di differenza con il dato regionale si è fatto più rilevante a partire
dall’anno scolastico 2007/2008.
Tabella 3.4 – Studenti stranieri per circolo didattico (sola scuola primaria) – Treviso (val. %)
Circolo didattico 1°
Circolo didattico 2°
Circolo didattico 3°
Circolo didattico 4°
Circolo didattico 5°
A.s. 2005/2006
25,6
10,4
10,5
13,8
15,4
A.s. 2006/2007
28,4
11,2
11,2
8,9
16,5
A.s. 2007/2008
29,4
15,5
14,4
17,1
18,1
A.s. 2008/2009
30,3
15,5
16,4
17,9
19,0
Fonte: Ufficio scolastico provinciale.
Se il primo circolo didattico distingue il proprio profilo da quello degli altri circoli afferenti
a Treviso, degno di nota è (in esso) quello della scuola primaria Primo Maggio. Più avanti,
saranno esplicitati i fattori che hanno reso la Primo Maggio una scuola frequentata da un
85
numero elevato di studenti con cittadinanza non italiana. Per ora, basti dire che pur nel
contesto di elevate percentuali di presenza del primo circolo essa presenta un’incidenza sul
totale degli iscritti ancora maggiore: nell’a.s. 20008/2009 gli alunni stranieri giungono al
44,7% sugli iscritti totali.
Tabella 3.5 - Studenti stranieri scuola primaria Primo Maggio (v.a. e val. %)
Nazionalità
Albania
Kosovo
Bangladesh
Cina
Nigeria
Macedonia
Moldavia
Brasile
Burkina Faso
Costa D'Avorio
Ecuador
Ghana
Guinea
Portogallo
Romania
Senegal
Spagna
Stati Uniti
Tunisia
Totale
Fonte: scuola primaria “Primo Maggio”.
Numero
10
9
5
5
4
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
100
%
18,2
16,4
9,1
9,1
7,3
5,5
5,5
3,6
3,6
3,6
3,6
1,8
1,8
1,8
1,8
1,8
1,8
1,8
1,8
100,0
Rispetto ai 55 alunni con cittadinanza non italiana, dieci provengono dall’Albania, seguiti
dagli studenti provenienti dal Kosovo e da quelli del Bangladesh. Le nazionalità rappresentate
sono diciannove. La tendenza a un costante e progressivo aumento del numero degli studenti
stranieri, registrato per le scuole primarie di Treviso, si ripropone anche per le scuole
secondarie di I grado.
Tabella 3.6 - studenti stranieri scuole secondarie di I grado - Treviso (val. %)
Scuola L. Stefanini
Scuola A. Serena
Scuola Coletti
A.s. 2005/2006
16,4
15,0
12,6
A.s. 2006/2007
16,9
16,3
14,8
A.s. 2007/2008
17,9
15,0
16,8
A.s. 2008/2009
19,8
15,0
18,6
Fonte: Ufficio scolastico provinciale.
Tra quelle di Treviso, la Coletti ha registrato l’incremento di maggiore portata, dal 12,6%
dell’a.s. 2005/2006 al 18,6% dell’anno scolastico in corso. L’incremento della scuola
Stefanini, nel medesimo intervallo, ha oltrepassato di poco i tre punti percentuali, mentre gli
studenti stranieri frequentanti la Serena si sono mantenuti pressoché stabili.
All’interno della Coletti, la nazionalità più rappresentata tra gli studenti con cittadinanza
non italiana è quella albanese (con sedici iscritti), seguita da quelle marocchina e kosovara
(entrambe con dodici iscritti). Significativa è la presenza dei figli di immigrati provenienti
dalla Cina e dal Bangladesh, rispettivamente con undici e nove iscritti. Le nazionalità rappresentate (tra i cento studenti stranieri iscritti) sono quattordici.
Se si sposta il focus verso l’istituto professionale di Stato per l’industria e l’artigianato
Giorgi, l’incidenza degli studenti stranieri (ancora, sul totale degli studenti iscritti) ha
raggiunto il 23,5% nell’anno scolastico in corso; nell’anno scolastico 2005/2006 era pari al
17,3%. Tra le nazionalità presenti, le prime quattro sono quelle albanese, kosovara, moldava e
marocchina.
86
Al fine di completare la rapida cornice quantitativa esposta, appare opportuno inserire
anche alcune osservazioni svolte dagli intervistati rispetto al contesto in cui le scuole oggetto
d’analisi si situano. Riflessioni che confermano quanto la scuola si relazioni in modo
strutturato con i micro-sistemi locali nei quali essa si trova ad operare. Sistemi in cui le
configurazioni strutturali e le rappresentazioni sociali partecipano a pari titolo del mutamento
che investe il sistema medesimo. Il mercato immobiliare, ad esempio, nella stessa città di
Treviso ha contribuito fattivamente al profilo assunto dall’utenza di alcuni istituiti scolastici
come la primaria Primo Maggio e la Coletti.
La Primo Maggio, anche storicamente, è quella che ha avuto per prima la presenza degli alunni stranieri e,
quindi, per prima si è attivata. Ed è dato anche da questo il fatto che sia una scuola, tra virgolette, più attrezzata
di altre, perché fin prima degli anni 2000 (1998-1999) ci sono stati i primi alunni. Il motivo che ha portato ad una
forte polarizzazione, cioè ad un’alta percentuale (di studenti stranieri), è la disponibilità abitativa. È una zona che
ha visto nel tempo la presenza di abitazioni dove era più facile entrare in affitto per queste famiglie, anche per la
presenza di appartamenti non piccolissimi che permettessero ad alcune famiglie di soggiornare in più nuclei. Ed
è la storia che hanno moltissime di queste famiglie. E la spiegazione di alcuni trasferimenti, perché si tratta di
una prima sede che di solito viene lasciata per trasferirsi fuori città. Questo aspetto della polarizzazione è un
aspetto che noi abbiamo segnalato ripetutamente. Noi abbiamo sempre lavorato, però si sa come questo crei una
immagine all’esterno, soprattutto per chi da esterno vive questo aspetto con molta più problematicità di quanto
poi in realtà non sia. Si è creata nel tempo l’immagine di una scuola che accoglie molte diversità e l’immagine
che appare nei giornali è quella della scuola Primo Maggio come la scuola degli stranieri. C’è tutta una fascia, ci
sono proprio alcuni edifici, alcuni immobili, che sono per lo più abitati da immigrati. Io credo che non si
debbano creare a livello territoriale dei nuclei dove ci sono prevalentemente famiglie immigrate e altri dove non
ci sono; perché l’integrazione avvenga non si possono costruire zone che da noi non sono problematiche.
(Insegnante di scuola primaria).
Ci troviamo in un contesto che è molto gettonato dagli extracomunitari, di edilizia abitativa popolare; quartiere
nuovo, nato nel 62 e inurbato forzosamente negli anni 64 a e 65; adesso quella popolazione è anziana e lascia il
territorio perché i figli hanno già fatto casa altrove in quanto non c’era posto nel territorio e le case lasciate libere
sono appetite dagli extracomunitari. Abbiamo un elevato tasso di coabitazione, anche due o tre famiglie insieme.
Qui dal 64 ci hanno messo tutti i baraccati, nel senso che qui nel sessantaquattro ci hanno messo tutti i baraccati
del bombardamento del quarantaquattro. La nomea della Coletti nasce da questa storia. Noi a Treviso viviamo in
una situazione per cui quello che è dentro le mura di Treviso è buono, se qualcosa succede è di quelli di fuori. Il
rifiuto di una responsabilità di un’appartenenza ancora nella città di Treviso è connotato da questo fatto, tutto il
male viene da fuori. Una delle impostazioni che avevo dato a questa scuola è che questa scuola è una scuola di
città e che questi ragazzi sono cittadini di Treviso, non devono andare in città. Questa è la loro città. Tutte le
attività significative, tutte le attività di spessore culturale vengono messe in pubblico in città di Treviso. Perché
questa scuola non è diversa dalle altre. (Dirigente di scuola secondaria di I grado).
3.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Il denominatore comune alle pratiche di risposta delle scuole all’incremento degli alunni
stranieri, prima osservato, risiede in una sorta di empowerment ad opera di alcune
avanguardie di insegnanti; avanguardie che, progressivamente, sono poi riuscite ad aggregare
risorse umane e materiali, ampliando la gamma delle competenze e quindi dell’expertise alla
base delle pratiche medesime.
Devo dire che c’è stata la risposta di tutto il corpo docente che non si è fermato al fatto di avere una presenza
diversa e nuova, ma ha cercato di trovare delle risorse proprio nel corpo docente innanzitutto e questo è stato un
vantaggio, altrimenti rischi di vedere la diversità ma di non capire come devi lavorare. L’altro aspetto che ci ha
sicuramente aiutato, insieme alla formazione, e che la formazione ha dato agli insegnanti, è capire che per
accogliere le famiglie straniere c’è bisogno di mediazione, di una prima fase in cui tu riconosci alla famiglia la
diversità, gli riconosci di essere una risorsa, e gli fai capire come la scuola intende anche avvalersi di queste
risorse. (Insegnante di scuola primaria).
87
La scommessa che la scuola ha dovuto mettere in piedi rispetto a questa presenza degli alunni stranieri è stata
quella di quale risposta dare dal punto di vista dell’istruzione, educazione. Qui il gioco è stato strategico alla
partenza, in quanto abbiamo dovuto subito chiarire a livello di collegio dei docenti che se l’attività di istruzione
cui i docenti sono tenuti viene compensata perché fanno una attività di cattedra, questo da contratto, di diciotto
ore, il collegio docente ha deciso che tutti devono fare diciotto ore perché tutti sono pagati per diciotto ore. Le
cattedre orario più corte hanno determinato un surplus di docenti, di docenza, che è stata ottimizzata utilizzando
però le fasce più deboli della docenza, dicendo: questi non sono più capaci di tenere una classe perché non hanno
più la forza, lo spirito, queste risorse dobbiamo utilizzarle attraverso modalità di docenza più semplificate, ergo
un gruppo di lavoro formato da docenti che per trentatrè ore alla settimana fanno attività di alfabetizzazione.
Complessive, nella scuola perché la scuola è composta di due plessi scolastici, quindi ci sono trentatrè ore in una
sede e trentatrè ore nell’altra sede, di insegnamento. E questa è stata la premessa fondamentale per poter
affrontare il problema dell’alfabetizzazione. 66 ore complessive nella settimana. Dopo il primo momento di
sistematizzazione di questo aspetto siamo andati all’aspetto più concreto, che cosa insegnare. Allora abbiamo
dovuto mettere insieme una serie d’iniziative non allocate su questi docenti ma su altri che avevano competenze
disciplinari approfondite sulla questione dell’analisi dei bisogni e quindi della costruzione di unità didattiche
specifiche, questo gruppo di lavoro ha costituito una serie di test di verifica e di analisi delle competenze, anche
tradotti nelle diverse lingue e ha individuato i tre livelli di intervento, livello zero, livello uno, livello due, in
pratica corrispondente al b1 e b2 del frame work europeo e quindi ha dato come compito ai docenti di frontiera,
quelli che insegnavano, i compiti di lavoro. (Dirigente di scuola secondaria di I grado).
I docenti che fin dall’inizio hanno percepito il mutamento di paradigma che stava
investendo la scuola con l’arrivo degli studenti stranieri si sono occupati di procedere ad
un’istituzionalizzazione progressiva di interventi inizialmente non sistematici. Quella che,
oggi, è la Rete per l’integrazione degli alunni stranieri di Treviso origina come frutto di un
costante processo di elaborazione e riflessione sulle pratiche attuate nei confronti degli
studenti con cittadinanza non italiana. Un feedback che coinvolge, in primis, gli attori
principali delle buone prassi, gli insegnanti. La rete si configura quale insieme di procedure
complesse, codificate, aventi l’obiettivo di strutturare interventi non sporadici e disomogenei,
bensì coordinati e tendenzialmente stabili; in un’ottica inclusiva, nella prospettiva degli
studenti, e diffusiva nella prospettiva degli insegnanti, con ciò intendendo il tentativo di
allargarne i presupposti.
Scorrendo il testo della convenzione di rete, che reca la data del 10/04/2006, si legge: “La
rete ha lo scopo di promuovere e diffondere la cultura dell’integrazione, svolgendo una
funzione di coordinamento, di consulenza e di documentazione. Cura, inoltre, l’elaborazione
di un progetto unitario di accoglienza e supporto agli alunni stranieri e alle loro famiglie, che
prevede il coinvolgimento dei Comuni, degli enti locali, delle associazioni, delle università e
la formazione dei docenti”. La normativa di riferimento, sulla quale si basa l’implementazione
della rete, è il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (regolamento recante norme in materia di
autonomia delle istituzioni scolastiche).
La condivisione di simili obiettivi, potenzialmente propri a tutte le scuole che avevano
attivato dei percorsi per l’inserimento degli studenti stranieri, non ha incontrato eo ipso
l’adesione alla rete di tutti gli istituti scolastici. Questa ha saputo attestare la validità delle
proposte da essa elaborate e nel tempo, per riconoscimento degli istituti scolastici stessi, è
divenuta un punto di riferimento legittimato.
Noi ci siamo agganciati alla rete solo recentemente, anche perché tramite la rete è possibile acquisire
finanziamenti, cosa che prima non era possibile. Noi avevamo trovato da noi le risorse. Nel momento in cui la
rete era interessante per noi, abbiamo aderito però abbiamo continuato i nostri progetti. (Dirigente di scuola
secondaria di I grado).
In proposito, il punto di vista degli insegnanti intervistati è ancor più netto.
Fin da quando abbiamo iniziato abbiamo cercato di condividere il percorso che la rete ci ha proposto.
Appartenendo ad una rete di trentasei scuole abbiamo il vantaggio di poter condividere dei punti di riferimento
chiari, di aver condiviso con altri dei percorsi e anche delle strategie di lavoro. Noi siamo entrati in rete tre anni
88
fa, dal 2005. La rete è molto importante perché ha un protocollo di procedura e ha anche un riconoscimento.
Quando facciamo capire ai colleghi che ci sono delle condivisioni che hanno a monte una letteratura scientifica,
un dibattito e delle sperimentazioni diamo delle indicazioni abbastanza sostanziose. Non stiamo parlando nei
termini di un “ma per piacere fai”, in termini pressappochisti. Cerchiamo di fare divulgazione. In questo senso la
rete dà sicuramente un retroterra. I finanziamenti ci sono, ma è anche vero che quello che si fa è assolutamente
condiviso. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I grado).
Ricostruire esaurientemente la filiera degli interventi previsti dai protocolli di rete, pur non
costituendo obiettivo primario della presente analisi, consentirà il successivo raffronto delle
prassi con la percezione che di queste stesse hanno le famiglie immigrate.
Come si diceva, la pretesa del frame work condiviso dalla rete è quella di incontrare
efficacemente le necessità dello studente straniero ancor prima del suo ingresso in classe. È la
fase, questa, della valutazione preventiva, che si avvale anche di risorse di mediazione
linguistica e culturale.
Di solito, quando arrivano famiglie a chiedere l’iscrizione, l’ufficio chiede già un recapito telefonico perché sia
fissato un appuntamento e in genere io faccio un colloquio con la famiglia e con un mediatore, se possibile, per
capire il percorso del ragazzino e, per quanto possibile, nel limite della privacy, il percorso migratorio della
famiglia, per capire se loro hanno una visione del percorso scolastico futuro del loro figlio in progressione o in
via transitoria, perché questo vuol dire anche investire diversamente e, in questo caso, si cerca anche di far capire
che, anche se fosse in transizione, comunque è un investimento che chiedono a loro figlio e che tengano presente
questo. Poi il colloquio si può soffermare su aspetti diversi. Fatto questo, di solito viene contattata la scuola di
riferimento, si chiamano gli insegnanti e si presenta la situazione dell’alunno, si invitano gli insegnanti a
prendere contatti e accordi al più presto con la famiglia per un incontro con la famiglia e il mediatore.
(Insegnante di scuola primaria).
La raccolta delle informazioni presiede alla modulazione della risposta, e ciò non può che
evidenziare la necessità d’un raccordo strutturale tra operatori anche nei momenti di transito a
un livello formativo superiore, come nel passaggio dalla primaria alla secondaria di I grado.
Io sono presente nei momenti in cui si tratta di passare in rassegna i ragazzi non italiani, in modo che ci sia una
distribuzione il più possibile omogenea e all’interno della classe disomogenea, con dei criteri che abbiamo: che
sono il livello di base, che sono la scolarizzazione, tanti criteri. Vi sono alcuni pilastri che si rifanno alla
normativa, come il rispetto dell’età, per cui ci deve essere al massimo la differenza di un anno. Un altro criterio è
quello di inserire gli alunni in un contesto classe che, per le informazioni che abbiamo desunto, può agevolare il
loro inserimento. Un altro criterio per noi importante è la vicinanza linguistica con gli altri alunni già presenti in
classe. Quindi, se c’è un alunno del Kosovo, verificare se nella medesima classe di età c’è una medesima persona
che ha lo stesso idioma o comunque simile. Noi non ci siamo posti il problema di avere due brasiliani piuttosto
che tre romeni, non l’abbiamo mai avuto come criterio. Noi ci siamo posti il problema di come può avvenire
l’inserimento, tenendo conto anche delle caratteristiche dei docenti di quella classe; ci sono docenti che magari
nel corso del tempo hanno affinato delle abilità con certi alunni o con certe aree di alunni. C’è anche la
possibilità di uno spostamento molto rapido rispetto a quando è avvenuto l’inserimento, perché riteniamo che ci
possa essere anche un periodo di osservazione per vedere che cosa succede. Con due alunni di terza abbiamo
fatto uno spostamento perché abbiamo verificato che c’era una forma di contagio comportamentale non
particolarmente positivo. Non vi è criterio culturale-nazionale che presiede all’inserimento. Un altro criterio è
quello di non appesantire troppo certe situazioni classe, nei casi in cui ci sia una presenza abbastanza folta di
alunni stranieri. Quando arriva l’alunno si organizza il lavoro in modo tale da avere ulteriori riscontri oltre quelli
che ci ha passato la scuola elementare, anche se c’erano già stati dei precedenti incontri con i referenti delle
scuole elementari. (Insegnante di scuola secondaria di I grado).
L’utilizzo dei mediatori culturali, includendo tra loro anche quanti si occupano di
facilitazione linguistica, è centrale. Il loro impiego avviene in termini mirati. Anche per essi,
si è dovuto approntare un percorso di formazione che a Treviso non era patrimonio del
territorio. La loro individuazione e formazione si sono costituite quali declinazioni ulteriori
delle buone prassi attivate dalle scuole.
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Allora, per i mediatori c’è una storia molto particolare, perché Treviso non è una delle province, o meglio, la
realtà di Treviso come distretto, non era una realtà che avesse alle spalle le strutture delle associazioni di
mediatori. Perciò ci si è trovati all’inizio a lavorare con dei mediatori che venivano da Udine. La dirigente ed io
avevamo agganci con un’associazione di Udine che lavorava per la formazione dei mediatori, conoscevamo il
presidente dell’associazione e attraverso di loro abbiamo avuto i mediatori che intervenivano alla scuola Primo
Maggio. Abbiamo preferito optare per una soluzione così complessa perché ci dava garanzia di avere dei
mediatori formati, perché riteniamo che non ci si possa accontentare. Nel 2003/2004 è partito un corso di
formazione a Treviso per mediatori. È stato il Cfp della Coletti che, assieme al nostro contributo (noi
accoglievamo i mediatori a fare tirocinio nelle nostre scuole) e ad altri soggetti, ha contribuito al finanziamento
di questo percorso. (Insegnante di scuola primaria).
L’apporto che il mediatore riesce ad offrire è, a parere degli insegnanti intervistati, non di
rado risolutivo; non solo e non di necessità per le famiglie e gli studenti neo-arrivati.
Quando la lingua esce dal bisogno strumentale bisogna creare delle motivazioni ma non è facile. E il lavoro del
mediatore è molto importante, per entrare nella testa del ragazzo e fare capire ai genitori che possono essere
anche categorici. Per esempio, rispetto al Bangladesh, ci siamo dovuti attivare con il mediatore per fare capire al
figlio e alla famiglia quali erano i passi necessari per sbloccare la situazione. In questo senso la figura del
mediatore è per noi molto importante e il fatto che la rete ci permetta di usare queste figure dandoci un monte ore
è fondamentale per noi. In un caso il mediatore è stato capace di far fare un salto linguistico importante al
ragazzo in base alla sua cultura di provenienza. (Insegnante di scuola secondaria di I grado).
Ancorché la raccolta d’informazioni sullo studente e l’affidamento alla mediazione
linguistica e culturale siano state identificate come aree d’intervento strategico dagli
insegnanti intervistati, non v’è dubbio che altrettanto qualificanti appaiano ai loro occhi i
percorsi di alfabetizzazione progressiva, con laboratori d’italiano come L2, e quelli di
semplificazione dei programmi delle differenti discipline; con un’attenzione peculiare al
momento in cui le necessità dello studente mutano da necessità d’impiego della lingua in
funzione strumentale a quelle di utilizzo della medesima in guisa di mezzo finalizzato alla
compiuta acquisizione delle competenze curriculari. L’approfondimento di questi aspetti
consentirà di far emergere con nettezza anche il profilo della scuola secondaria di II grado,
fino ad ora rimasto sullo sfondo.
L’universo linguistico veicola rappresentazioni simboliche complesse, mondi vitali. Nel
contesto di tali caratteristiche performative, tuttavia, esso conserva primariamente una
funzione comunicativa di codice linguistico condiviso, senza il quale la partecipazione ad un
contesto definito come nuovo dal soggetto che cerca di inserirsi in esso diviene difficile,
quando non impossibile. In proposito, le prime ore di alfabetizzazione previste dalle scuole
fungono da bagno linguistico e possono precedere l’inizio dell’anno scolastico, oltre che
accompagnare l’inserimento in corso d’anno.
Tra gli interventi, sono importanti le emergenze, ovvero gli interventi nei confronti dei bambini che arrivano in
corso d’anno. Come quelli che non parlano la lingua italiana e arrivano direttamente dai loro paesi. Pacchetti di
dieci ore alla volta, dieci, venti, trenta, quello che serve. Un altro versante sono i laboratori linguistici in lingua
due. Se il plesso è a tempo pieno vengono fatti in orario extrascolastico, al sabato alla Primo Maggio. (Dirigente
di circolo).
Gli insegnanti sanno, in particolare alla Primo Maggio e questo anche grazie alla formazione, che un bambino
neo arrivato non può interagire se non a livello corporeo con i compagni. Alcuni bambini hanno tempi molto
lunghi di risposta, per poter anche solo esprimere a livello verbale una sola parola in italiano, qualcuno è più
intraprendente o perché la loro lingua è tipologicamente più vicina all’italiano. (Gli insegnanti) sanno che
bisogna adattare il programma per tutto il tempo necessario e quindi si attivano per diversificare il tipo di attività
da proporre al bambino. C’è poi la possibilità per i ragazzini di partecipare ai laboratori di lingua due, di sabato
c’è il laboratorio di lingua italiana, oggi era l’ultimo intervento. È un laboratorio partito a dicembre. Un altro
laboratorio parte i primi giorni di settembre e per tre settimane consecutive tutti i giorni fa attività di lingua due.
A settembre tutti i giorni perché la scuola i primi 15 giorni è chiusa, i primi 8-10 non ci sono rientri pomeridiani,
essendo una scuola a tempo pieno ci permette tutti i pomeriggi di fare l’intervento. Durante l’anno (invece)
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dobbiamo per forza utilizzare il sabato mattina, il giorno in cui i bambini non sono a scuola. (Insegnante di
scuola primaria).
Il modus operandi della scuola secondaria di I grado, come si osserverà, pone questioni
aperte per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda ma, almeno per la fase di prima
dotazione di competenze linguistiche di base, gli interventi posti in essere non si discostano
significativamente da quelli propri alla scuola primaria. La comunicazione strumentale
rimane, inizialmente, il primo e più importante obiettivo.
La scuola ha messo a disposizione delle risorse di docenti che si occupano di intervenire caso per caso,
situazione per situazione, coordinati da noi, con un monte ore abbastanza preciso. Dipende dai casi, uno può
avere alcuni spezzoni di ore, in alcuni casi abbiamo avuto anche delle cattedre intere anche se sono stati pochi
casi. Magari ci sono degli insegnanti più esperti con il livello zero e a quelli si affidano gli alunni che secondo il
frame work europeo sono quelli cosiddetti principianti. Con questi lavorano nell’aula alfabetizzazione per un tot
di ore settimanali. Nell’orario scolastico del mattino vengono portati fuori dall’aula, lavorano magari insieme ad
altri alunni dello stesso livello, con il docente che lavora in orizzontale con loro e che piano piano li porta
gradualmente all’acquisizione di alcune competenze. L’attenzione è quella di tirare fuori dalla classe non nelle
ore delle educazioni, come educazione fisica, artistica, musica, perché quelle sono discipline che per come sono
strutturate facilitano la socializzazione e l’inserimento. Perché a noi interessa sì l’alfabetizzazione ma ancora di
più che questi alunni stiano bene a scuola, possano integrare il più possibile, possano creare relazioni con i
compagni. Perché questo poi favorisce l’apprendimento. Poi si verifica con la commissione se c’è bisogno di
implementare un monte ore, perché poi lì ci sono anche diversi stili di apprendimento. (Insegnante di scuola
secondaria di I grado).
Come appare chiaro dalle indicazioni degli insegnanti intervistati, gli interventi di
alfabetizzazione presentano alcune peculiarità: l’integrazione con il lavoro in classe, per
quanto possibile e in modo tale da non pregiudicarne le potenzialità socializzanti, e la
flessibilità, così da non irrigidire gli interventi stessi compromettendone l’efficacia.
Nonostante le citazioni in merito ai differenti programmi di alfabetizzazione in italiano
come L2 siano state numerose da parte dei docenti, questi non esauriscono l’offerta pensata
per rispondere alle esigenze d’inserimento dei figli di famiglie immigrate a scuola. La risposta
delle scuole comporta attenzione ad altri due aspetti ritenuti centrali e, insieme, di non sempre
facile attuazione: la personalizzazione dei programmi e i meccanismi di valutazione delle
competenze acquisite.
Prima di lasciare spazio alle parole degli intervistati, è necessario ricordare l’elemento
comune evidenziato da essi in merito alla personalizzazione dei programmi (con peculiare
riferimento agli studenti stranieri): non si tratta di programmi differenziati, ma di programmi
semplificati nelle modalità espositive, tali da consentire l’avanzamento dello studente
conservando al programma didattico tutti i contenuti imprescindibili. Ciò, sulla scorta di una
base normativa certa.
Faccio un esempio. La programmazione personalizzata che è assolutamente decreto ministeriale del 99, e non
stiamo parlando di programmi differenziati come per gli alunni diversamente abili ma di programmi adattati;
adattati vuol dire che sul programma di storia o di geografia si scelgono dei contenuti ritenuti assi portanti del
programma e sul contenuto stesso si attua un programma di semplificazione sintattico in modo che quello che
viene fornito all’alunno non sia un testo espositivo di storia così complesso che fanno fatica gli alunni italiani a
capirlo, ma sia un testo dove il periodare sia non dico paratattico ma quasi, sia semplificato e quindi l’alunno
straniero sia in grado di capire la prima guerra mondiale o il rinascimento con un linguaggio o una sintassi adatta
a essere capita. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I grado).
La rivisitazione dei contenuti al fine di facilitarne l’acquisizione diviene irrinunciabile nel
momento in cui avviene il passaggio dalla necessità strumentale della lingua italiana, per
esigenze comunicative di base, a necessità che possono ricondursi alla considerazione
dell’italiano come lingua delle competenze: una padronanza linguistica che si fa più
complessa per rispondere ai linguaggi disciplinari specifici, per definizione fondati su
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impliciti cui anche lo studente straniero deve giungere per evitare che si verifichi non solo una
sua marginalizzazione nel gruppo classe ma, anche, una sua mancata progressione verso
superiori livelli di competenze. In questo senso, il passaggio all’italiano delle competenze si
rivela tutt’altro che lineare e, più ancora che la prima alfabetizzazione, richiede agli insegnanti
grandi capacità di mediazione e valutazione; oltre che, ancora, una dotazione di competenze
formate e non improvvisate.
Magari uno ha difficoltà più in storia, uno in geografia, l’altro in scienze…c’è bisogno di una personalizzazione.
Oggettivamente in questa fase i ragazzi si fermano. C’è chi si rifiuta e ha una regressione anche di tipo affettivo
rispetto all’Italia, e chi me lo ha fatto fare…alunni che non venivano a scuola alla mattina e non dicevano niente
ai genitori… per avere magari poi una ripresa in terza se seguiti adeguatamente. Bisogna far capire loro che non
si può vivere la lingua solo come un bisogno comunicativo, per cui non hanno bisogno di studiare sul libro di
storia ma magari di chiedere la merenda o di andare in bagno. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I
grado).
La capacità di dotare gli studenti stranieri di competenze paritarie rispetto ai loro compagni
italiani chiama in causa anche quella di saper valutarli. I rapidi accenni in questa sede
troveranno poi un più esaustivo complemento nella sezione dedicata agli orientamenti delle
famiglie intervistate. È fin d’ora utile segnalare come gli stessi insegnanti percepiscano
l’insufficienza dei pur apprezzabili risultati raggiunti fino ad ora. Denotando il rischio che lo
studente figlio di immigrati venga preventivamente valutato come incompetente.
Nel passaggio dalle medie alle superiori sono poche le scuole superiori che mettono in atto delle buone pratiche
di accoglienza ed intervento. Quello che alle scuole medie è sentito ancora come un dovere, il fatto di prendersi
carico di questi alunni e di lavorare perché abbiano un certo successo scolastico lì non è così evidente. L’alunno
è lasciato un po’ a se stesso, pochissimi sono gli insegnanti che accettano di mediare il passaggio, di preparare
una certa documentazione, di semplificare i testi. Per cui il lavoro diventa anche improbo per coloro che si
rendono responsabili di questo cammino alle scuole superiori. Vi sono alcune scuole superiori che effettivamente
hanno messo in atto alcune strategie e portano avanti un certo percorso, poi se parliamo in generale lì c’è lo
scoglio più grosso. (Insegnante di scuola secondaria di I grado).
È difficile che la percezione dell’alunno straniero sia di un alunno bravo, la percezione di noi ma anche sua.
Mentre penso che, visti in situazione, alcuni avrebbero potuto essere visti come dei bravi alunni. Ma non lo
saranno mai qua, nei tempi in cui li vediamo noi. Se hanno fortuna, magari di acquisire magari tramite i percorsi
scolastici o personali la lingua possono divenirlo, ma noi nei tempi in cui li vediamo, non li vediamo mai dei
bravi-bravi alunni. Non ho mai visto uscire dalle medie uno straniero con l’ottimo e nemmeno con il distinto.
Questo parla un po’, dice qualcosa. Io non posso credere che tutti gli alunni che vengono qua a scuola, nel loro
paese non potessero avere delle pagelle molto buone. In genere, io dico che l’alunno straniero oggi ha delle
abilità non prettamente scolastiche, che sono abilità legate alla socialità, che forse possono essere migliori
dell’alunno italiano e ha un’attitudine allo studio, in genere, che magari l’alunno italiano poteva avere venti anni
fa o trenta anni fa. Non parlerei di attitudini scolastiche in senso stretto. Un nocciolo importante è la
valorizzazione delle abilità pregresse dell’alunno. Molto spesso noi partiamo da un dato, pensiamo che l’alunno
che viene qui in Italia sia una tabula rasa. Non ha esperienze pregresse o non ha alcuna abilità che gli può essere
riconosciuta. E questo è assolutamente falso. Magari in Cina l’alunno era eccezionale in matematica o in altri
ambiti, per esempio musicale, e qui non riesce ad emergere in tutta la sua forza questo aspetto. O forse non è
valorizzato perché non trova il canale giusto. In questo senso dico che non so come, ma potrebbe essere messo in
atto qualcosa per tirare fuori anche questo. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I grado).
Le parole degli insegnanti non intendono marcare le sistematiche mancanze degli studenti
stranieri perché, come si vedrà, non sono pochi i casi di studenti con risultanze molto buone e
non di rado superiori a quelle dei compagni di classe con cittadinanza italiana (in particolare
nella primaria e nella secondaria di I grado). Intendono, piuttosto, far emergere come dietro ad
una presunta neutralità della valutazione possa celarsi l’implicita sfiducia nei confronti
dell’alunno straniero, attraverso una non completa acquisizione delle strutture linguistiche
complesse e conseguente marchio d’alunno incompetente. Una tara che rischia di comprometterne il percorso; che, con ogni probabilità, potrebbe darsi come esito meno scontato se
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il lavoro rivolto alla valutazione e alla ri-discussione dei suoi presupposti dati per scontati
fosse più esteso e meno dipendente dalla sola buona volontà individuale. Valutazione, quindi,
come pratica riflessiva e autoriflessiva.
La scuola secondaria di II grado, richiamata dagli intervistati della primaria e della
secondaria di I grado come luogo di manifestazione del disagio maturato negli anni precedenti
da molti studenti stranieri, è rappresentata nell’ambito dell’indagine da un istituto professionale. Per esso, è opportuno approfondire, tramite la viva voce dei docenti che l’hanno ideato,
un intervento denominato Patto formativo che cerca di contemperare la necessità di una
valutazione ponderata degli studenti stranieri con quella di evitare la mancata ammissione agli
anni successivi. Va detto, preventivamente, che la scuola considerata rientra nella Rete per
l’integrazione degli alunni stranieri e, più ancora di quanto avvenga per la primaria e la
secondaria di I grado, l’insieme degli interventi da questa messi in atto è patrimonio raro tra le
secondarie di II grado di Treviso. Interventi che, anche al Giorgi, trovano il proprio
fondamento in quelli di alfabetizzazione già enunciati per la primaria e la secondaria di I
grado. Di seguito si riportano le indicazioni di una docente rispetto al Patto.
Avevamo fatto un’analisi, in fin dei conti, e avevamo visto che le carenze sono imputabili essenzialmente alla
non conoscenza appropriata della lingua italiana per lo studio. Quindi molto spesso gli studenti sono convinti di
avere anche una pur minima autonomia per relazionarsi, però quella non è sicuramente quella competenza
richiesta per lo studio. Allora abbiamo iniziato a vagliare, una volta avuti i dati delle iscrizioni, già nel periodo di
giugno, abbiamo effettuato una comunicazione con le famiglie di questi nuovi studenti informandoli che noi
avremmo iniziato questo percorso alla fine di agosto. Quindi questo inizia proprio con un’indagine, un test per
conoscere le loro caratteristiche e le loro carenze, anche. Essenzialmente era la conoscenza della lingua italiana,
per poter relazionare in maniera adeguata. Seconda [cosa] quella delle conoscenze matematiche, essendo una
scuola tecnica…e se [i ragazzi] provengono da alcune specifiche realtà a volte queste conoscenze matematiche
sono veramente scarse o quasi nulle. Oltre a questo percorso di laboratori, abbiamo anche rivisto la
programmazione all’interno del nostro percorso per agevolare l’inserimento di questi stranieri. Cioè, ci siamo
resi conto che comunque sarebbe stato impossibile, anche a fronte di un loro impegno, pretendere a fine anno
scolastico il raggiungimento di obiettivi pari a quelli degli altri studenti. Quindi, poiché la strutturazione del
percorso professionale è così fatta: c’è un primo diploma che è la qualifica alla fine del terzo anno, poi c’è la
maturità alla fine del quinto, allora noi abbiamo – a livello di collegio docenti, quindi pre-avallato anche dal
consiglio di istituto – deciso che avremmo dato modo a questi studenti di raggiungere non tanto l’obiettivo del
primo anno o del secondo anno pari a quello dei loro compagni, ma ci interessava dar loro la possibilità che, una
volta arrivati alla fine del terzo anno, le loro competenze fossero adeguate a quel titolo di studio. Quindi
ipotizzavamo un percorso triennale e non era tanto fare una verifica selettiva alla fine del primo o secondo anno
ma dire: con voi, se voi ci agevolate, se voi siete rispettosi (qui riferirà il patto formativo fatto con loro e le loro
famiglie), facciamo un percorso con tempi diversi, più lunghi, cercando di concentrarsi sugli elementi fondativi
delle varie discipline. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di II grado).
Il patto formativo mira a contemperare la struttura dei programmi disciplinari e la
semplificazione espositiva richiamata in precedenza. È un tentativo (con criticità non
secondarie che saranno analizzate nell’ambito delle modalità comunicative scuola-famiglia) di
non sovrapporre eventuali lacune parziali di natura linguistica al più ampio bagaglio di
conoscenze di cui lo studente destinatario di simile patto (assieme alla propria famiglia) è
portatore. In altri termini, il fine precipuo è quello di non minare le possibilità di prosecuzione
del percorso secondario (di II grado) ancorandone irriflessivamente la motivazione alla non
perfetta padronanza dell’italiano disciplinare. Permane ancora, altresì, una non sistematica
fluidità con il biennio successivo.
Questo però comporta, ritornando al discorso precedente, altri tipi di difficoltà. Cioè, anche noi, sapendo che c’è
questa necessità di inserimento nel mondo del lavoro, e [che] la prima porta, il primo accesso [al lavoro] è quello
della qualifica - sia i nostri studenti italiani ma in particolar modo anche questi - cerchiamo di agevolarli il più
possibile per far sì che possano conseguire questo primo diploma di qualifica. Quindi, anche con questo
percorso, per quanto possibile semplificato, cerchiamo che raggiungano dei livelli standard simili ai nostri
studenti. In ogni caso si sa che l’esame di qualifica è un esame che viene gestito all’interno dell’istituto con i
propri docenti, che sono poi i docenti delle classi terze. Il problema, appunto, è quello di non far passare il
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messaggio che per alcuni è tutto più semplice, perché il problema, poi, sorge nelle classi quarte e a volte è
proprio un dramma perché non sempre capiscono (ma tutti, anche i nostri studenti) che è finita la prima fase,
quella della qualifica, in cui la scuola ha cercato di agevolare coloro che volevano andare subito nel mondo del
lavoro. Allora io dico loro: adesso siete in quarta, volete raggiungere una maturità che vi può permettere anche
un accesso all’università, si cambia registro. Allora c’è un altro grosso problema per le persone che si sono
applicate poco o che comunque hanno avuto risultati positivi in determinate materie d’indirizzo, sono state
agevolate per il conseguimento di questa qualifica. Arrivati in quarta, molti di questi si trovano in difficoltà
perché il loro studio, o le loro conoscenze dal punto di vista teorico, sono carenti e rende difficoltosa la
comprensione del messaggio che il docente sta dando loro nella spiegazione. Allora, anche qui, si interviene
nuovamente e si dice agli studenti: d’accordo, voi siete in difficoltà, abbiamo due anni prima della verifica finale
della maturità, cerchiamo di lavorare assieme, e noi cerchiamo di agevolarvi, purché sappiate che alla fine la
verifica che dovrete affrontare è una verifica a livello nazionale, è quella per tutti gli istituti, e quindi non vi
possiamo più agevolare. Allora alcuni lo capiscono e quindi si rendono conto che ad un certo momento davvero
devi aprire i libri e studiare, altri sono ancora convinti di poter transitare come gli anni passati. (Insegnante di
lettere di scuola secondaria di II grado).
Un più esteso focus sulla scuola secondaria di II grado sarà svolto per voce delle famiglie
intervistate e, più innanzi, dei docenti stessi. Il Patto formativo testé considerato si qualifica,
esso stesso, come prassi auto implementata e non completamente condivisa. Simile mancata
condivisione sarà di agio all’introduzione della sezione riservata alla professionalità degli
operatori; non prima, tuttavia, di qualche rapido cenno alla possibile apertura dei programmi
scolastici a una prospettiva interculturale.
Senza anticipare le osservazioni delle famiglie, e quelle dei docenti medesimi, sulle
aspettative che le prime nutrono nei confronti di programmi disciplinari meno eurocentrici
ma, anzi, più consapevoli delle implicazioni giocate dal crescente pluralismo culturale della
scuola italiana, va nondimeno ricordato come gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di
I grado abbiano sottolineato la presenza di potenzialità concrete in questo senso. Ancora una
volta, purtroppo, legate alla sola disponibilità individuale e nonostante le indicazioni della
Rete per l’integrazione in tal senso. Sulle cosiddette feste interculturali i pareri degli intervistati non sono concordi.
Rispetto ai progetti interculturali, ci sono programmi di materie come la storia o la geografia che consentono di
fare dei progetti interculturali, il programma di terza si presta veramente moltissimo, dal nord al sud del mondo o
comunque le migrazioni, ce n’è per tutti i gusti. Ognuno di noi cerca di porre delle problematiche interculturali
che sono di classe, non un problema individuale sul Marocco perché sei marocchino o sulla Cina perché sei
cinese, ma parliamo di globalizzazione e vediamo che cosa è accaduto nel mondo e a quel punto si sente
coinvolto il ragazzo del Bangladesh o quello cinese perché c’è un coinvolgimento diretto che appartiene alla
realtà e non a un progetto fittizio che si fa lì in quel momento. Questo è quello che abbastanza trasversalmente
con i colleghi di lettere avviene nello svolgimento delle lezioni. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I
grado).
Se la festa diventa una banda musicale o un gruppo di danzatori tipici africani, che non aiuterebbe. La nostra idea
è quella di creare dei momenti tali per cui gli alunni lavorano insieme alle famiglie e noi lavoriamo con le
famiglie perché possano sentire propria la scuola italiana, con gli alunni e con le famiglie italiane. Non la festa
degli stranieri, dei popoli, di noi italiani che guardiamo gli altri popoli. La festa del quartiere non la volevamo
chiamare festa interculturale ma festa di primavera, festa del quartiere o festa d’estate. (Insegnante di religione di
scuola secondaria di I grado).
La festa interculturale, allora, quale modalità comunicativa, inclusiva, intra-familiare ed
inter-familiare. Non sempre le iniziative in tal senso, così come percepite dagli attori che le
hanno ideate, sono state ritenute positive. Così si esprime un dirigente della secondaria di I
grado.
Abbiamo fatto un’iniziativa per il passato, che era una specie di festa interculturale con i ragazzi provenienti
dalle varie nazioni. Abbiamo volgarmente copiato una proposta che veniva indicata come il luogo per fare un
accesso all’integrazione e altro. È stata un grande insuccesso. Si è connotata più come una forma di
emarginazione, perché erano solo loro che facevano delle cose e nessuno vi partecipava o vi voleva partecipare.
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Quindi abbiamo detto che di queste feste basta, non se ne parla più. La nostra ricerca, invece, è andata un po’
costruendo due storie parallele che nascono da due compagni di classe di seconda media che si raccontano come
vivono a casa, che cosa fanno i loro genitori, che cosa mangiano, che giochi fanno eccetera e ne abbiamo
costruito una storia in cui i due ragazzi si mettono a confronto e abbiamo dedotto che in sostanza le culture
afferenti alla regione del mediterraneo hanno una unica radice comune, che la storia della cultura e della civiltà
greca che si è espansa e che ha popolato tutte le coste di questo mare. Ne è venuto fuori con una
sponsorizzazione da parte del…, cui io appartengo, una cassetta su queste cose qua. Per cui abbiamo detto, alla
fine, il titolo lo abbiamo tirato fuori alla fine: ”Il confine invisibile”, nel senso che non c’è confine per i ragazzi
tra una cultura e un’altra. (Dirigente di scuola secondaria di I grado).
Va detto che momenti di ritrovo definiti interculturali, basati ad esempio sullo scambio di
prodotti nazionali portati dalle famiglie di diversa provenienza, trovano più ampia sintonia
con le necessità socializzanti e relazionali che presenta in particolare la scuola primaria. Fin
dalla secondaria di I grado, come attestano le stesse citazioni, pare sia più lucidamente
avvertita la necessità di rendere l’intervento (che si voglia definire interculturale) meno
immediato, più meditato e legato in modo strutturato ai programmi delle diverse discipline.
Ecco perché, nonostante le perplessità riportate, il momento di festa sarà ripetutamente
segnalato tra le modalità comunicative scuola-famiglia di cui ci occuperemo nelle prossime
pagine.
3.4 Professionalità degli operatori
Fin qui, le annotazioni svolte hanno avuto a riferimento le considerazioni di insegnanti
referenti per gli alunni stranieri e dirigenti che, con i primi, hanno collaborato nell’attuazione
delle risposte elaborate dalla Rete per l’integrazione degli alunni stranieri. Soggetti che, a
diverso titolo e con diverso apporto, presentano altresì un elemento comune: quello di aver
percepito la necessità di spendersi individualmente rispetto ad un fattore di mutamento che sta
investendo, al contrario, un ambito istituzionale reputato strategico: quello della scuola. Ed è
esattamente la discrasia tra il coinvolgimento individuale e le necessità macro a essere stato
indicato come il fattore di maggiore debolezza dei pur utili e imprescindibili interventi ad
oggi concretizzati. Quasi che una dinamica dal basso e auto-propulsa, bottom-up, non sia
ancora in grado di estendere le sistematizzazioni e gli approfondimenti acquisiti oltre i confini
degli insegnanti avanguardie di cui si diceva innanzi. L’allargamento delle proposte a un
maggior numero di docenti appare in atto, non ancora tuttavia in misura tale da apparire come
la traduzione istituzionale di una necessità fatta propria dal sistema scuola nel suo complesso.
Sono ancora le scuole, prese singolarmente o (a livello meso) in rete, ad intervenire più di
quanto faccia la scuola; sono ancora alcuni docenti a mettersi in discussione più di quanto
faccia il corpo docente nel suo complesso. Ciò implica pratiche che, agli occhi di molti
docenti, assumono i contorni di materia facoltativa; con il rischio di un logorio di chi, per
decisione propria, ritiene invece imprescindibile la loro attuazione diffusa. Spesso, è ancora
l’incidenza statistica a determinare se, e in che misura, sia necessario intervenire. Più nel ciclo
secondario che nella scuola primaria.
Ci sono sicuramente dei pregiudizi che ancora esistono, nonostante siano oramai quindici anni da che io avevo
fatto parte di un gruppo di lavoro per la didattica degli alunni stranieri. Ma non mi sembra che quindici anni
abbiano modificato la percezione di alcuni docenti che sono comunque convinti che spetti ai ragazzi l’impegno e
la fatica. Questo è un lavoro per gli insegnanti, e quindi ci sono alcuni insegnanti che di fronte a questo lavoro si
ritirano per le tante ragioni che sappiamo, come il trattamento economico. Io ritengo che vi siano ancora tante
persone che non si interessano in maniera sistematica nonostante le percentuali ci siano. Secondo, c’è un
pregiudizio molto forte che insegnare agli stranieri sia un’attività di serie b, quando esistono dei veri e propri
master sull’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. Si tratta in realtà di attività iperqualificate e questa
percezione non c’è, porgere un contenuto ad uno straniero è qualcosa in più, non in meno. Su questo non so
nemmeno se sono ottimista, la scuola è fatta di persone che credono. Di persone che credono meno e persone che
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stanno dietro ad un cristallo e non si pongono in relazione con i cambiamenti che avvengono dietro, loro sono lì
e chi mi vuole mi prende così. Nella valutazione, poi, ci troviamo di fronte a delle grosse barriere, noi abbiamo
cercato di ovviare in rete con un protocollo sulla valutazione che faccia seguito ad una scelta degli obiettivi e dei
contenuti per ogni disciplina. Il fatto che molte scuole si siano aggregate in rete ha comunque messo in circolo
molte buone prassi, che lentamente qualche modificazione la stanno producendo. Il fatto che ogni anno la rete
sistematicamente offra dei momenti di formazione che sono ancora troppo poco usufruiti da parte degli
insegnanti comunque qualcosa di buono lo ha comunque offerto. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I
grado).
Io ho un desiderio, che questa funzione strumentale ma anche altre, io penso che dovrebbe essere turnata in
maniera sistematica direi, un’esperienza triennale o quadriennale potrebbe essere sufficiente per una persona,
perché bisogna entrare in rete, capire i meccanismi della rete, entrare nei progetti e l’attuazione, verificare,
bisognerebbe che la scuola prendesse in considerazione questo come dato di realtà, per coinvolgere sempre di
più gli insegnanti in questo che è un elemento strutturale e non più transitorio della scuola, come è la presenza
degli stranieri, tutti dovrebbero entrare a fare parte di questo tipo di lavoro, tutti sporcandosi le mani con la realtà
dei fatti. Il cambiamento forse potrebbe avvenire. Insegnanti che ancora non sono coinvolti perché ancora non si
lasciano coinvolgere. Assumere un elemento presente come una problematica da affrontare con le ricchezze e
con i limiti ma assumerla. Per questa funzione strumentale siamo in due perché la mole di lavoro e i tentacoli di
questo tipo di funzione strumentale che vede il territorio, la rete, il lavoro sul campo con i ragazzi, la
commissione, la formazione classi, da sola io non l’avrei mai fatto. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di
I grado).
Nel passaggio dalle medie alle superiori sono poche le scuole superiori che mettono in atto delle buone pratiche
di accoglienza ed intervento. Quello che alle scuole medie è sentito ancora come un dovere, il fatto di prendersi
carico di questi alunni e di lavorare perché abbiano un certo successo scolastico lì non è così evidente. L’alunno
è lasciato un po’ a se stesso, pochissimi sono gli insegnanti che accettano di mediare il passaggio, di preparare
una certa documentazione, di semplificare i testi. Per cui il lavoro diventa anche improbo per coloro che si
rendono responsabili di questo cammino alle scuole superiori. Vi sono alcune scuole superiori che effettivamente
hanno messo in atto alcune strategie e portano avanti un certo percorso, poi se parliamo in generale lì c’è lo
scoglio più grosso. (Insegnante di religione di scuola secondaria di I grado).
Ci possono essere proprio delle categorie, a volte, di docenti più sensibili al problema e altri no. È difficile a
volte far comprendere al docente, molto spesso di materie tecniche, che quel tipo di linguaggio utilizzato quello
studente non è in grado di capirlo, perché non conosce il termine, quindi deve essere semplificato. Non sempre
riusciamo in questo. Penso ci vorrà ancora del tempo, ma non è che ci sia una contestazione del percorso, è stato
approvato a grandissima maggioranza in collegio (avrà votato contrario il 5%). Quindi la maggioranza è stata
sempre favorevole a queste attività d’integrazione, a volte è una forma di negligenza, dovrebbero essere fatte
delle prove differenziate in cui usi un linguaggio semplificato per comprendere se quel ragazzo ha fatto un
determinato percorso. Quindi chiedo al docente un maggior impegno, ma penso che via via riusciremo a
migliorare la situazione. Noi avremmo bisogno, e questo non c’è, di testi semplificati di materie tecniche perché
noi abbiamo cercato di semplificare il testo di idraulica ed era difficile anche per noi capire cosa voleva dire,
pensiamo per uno straniero! Ci mancano testi su materie specifiche, e non tutti gli insegnanti sono disposti a
semplificare loro i testi. Un collega ci ha messo un’estate – gratis – per semplificare un paio di moduli, quindi gli
insegnanti possono dire: perché farlo? Chi mi paga? E hanno anche ragione. Obbligando non si ottiene niente.
Sarebbe più opportuno che chi si è formato possa, come abbiamo fatto noi, fare dei piccoli flash su come
impostare o offrire il fatto di imparare a semplificare un testo con i docenti di materie di indirizzo che ci servono
proprio all’interno dell’istituto. Pagando la gente che si impegna, perché non è un’attività semplice e porta via
tante ore. Il discorso di formare, noi abbiamo fatto questo, abbiamo fatto intervenire dei docenti in questi anni
però poi alla fine poco è rimasto. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di II grado).
I lunghi stralci d’intervista rendono patenti due aspetti: per un verso, le conoscenze
specifiche, tecnico-pedagogiche potremmo dire, si stanno stratificando in misura tale da non
rendere giustificato un sommario appello alla mancanza di conoscenze da parte di chi deve
confrontarsi con classi sempre più plurali; ciò, a detta degli insegnanti stessi. Per altro verso,
fatto salvo il patrimonio di conoscenze acquisite, appare arduo metterlo in circolo e procedere
ad una sua progressiva istituzionalizzazione. La stessa formazione organizzata dalla rete per
l’integrazione degli alunni stranieri, ancor oggi, denota uno scarso appeal. Il sistema sociale
in cui la scuola si trova ad operare produce e riproduce rappresentazioni sociali, che possono
informare le stesse politiche pubbliche, non ancora in grado di investire il fenomeno della
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rilevanza fattuale assunta nei contesti locali e sperimentata da una molteplicità di soggetti. In
tema di aspettative per il futuro, vi sarà modo di tornare sull’argomento.
3.5 Qualità delle relazioni
Tra gli obiettivi sviluppati nel tempo dalla Rete per l’integrazione, quello della comunicazione tra le scuole coinvolte e le famiglie degli studenti iscritti ha assunto un rilievo
distintivo. Si è ritenuto di elaborare delle iniziative condivise, che non assumessero il profilo
di interventi rivolti agli studenti nonostante le famiglie ma, al contrario, fossero destinati a
coinvolgere i loro genitori nella consapevolezza dell’insostituibilità del loro ruolo e del loro
apporto. Nelle parole degli intervistati, la partecipazione delle famiglie definisce il successo
degli interventi di accoglienza nei confronti dei figli. In tal senso, le riunioni informative con i
genitori sono reputate momenti irrinunciabili di circolazione delle conoscenze e di formazione
ai significati della scuola italiana.
Andando anche sul discorso della famiglia, ci è parso corretto che questa accoglienza dovesse essere estesa
anche su questo versante. Quest’anno, iniziandola ancora ad agosto, abbiamo preparato un incontro aperto a tutte
le famiglie dei ragazzi stranieri che iscrivevano i loro figli a questa scuola, con un incontro al quale partecipavano anche i mediatori. Vorremmo che diventasse una prassi normale, per presentare la struttura della
scuola e per dire ai genitori che cosa la scuola può offrire in termini pratici e in termini tecnici e che cosa la
scuola si aspetta in termini di regole. (Insegnante di religione di scuola secondaria di I grado).
Le dinamiche comunicative che s’instaurano tra la scuola e le famiglie implicano, frequentemente, delle asimmetrie informative ed è su queste che le scuole coinvolte dall’indagine
hanno più convintamente lavorato al fine di ridurne la portata e gli effetti distorcenti; con il
fattivo aiuto della mediazione linguistica e culturale. Riprendendo quanto prima anticipato, le
iniziative dei differenti istituiti scolastici sono di certo legate ai diversi impliciti che
differenziano gli stili comunicativi della scuola primaria dalla secondaria di I grado e dalla
secondaria di II grado.
Altra iniziativa importante è quella della settimana dell’intercultura, in cui vengono presentate una serie di
attività e di lavori fatti dai bambini e vengono invitati anche i genitori. (Dirigente di circolo).
Sull’area del coinvolgimento della famiglia si è già innescato qualcosa perché abbiamo visto che l’area del
coinvolgimento della famiglia è fondamentale. L’incontro che abbiamo fatto ad inizio anno va in questa
direzione. L’idea che abbiamo, anche attraverso alcune associazioni esterne di cui siamo a conoscenza è di fare
in modo che le famiglie straniere e quelle italiane possano lavorare per essere più presenti all’interno della
scuola. In questo senso sta anche l’idea di una festa interculturale, che ha come obiettivo quello di fare venire le
famiglie e renderle partecipi e di fare in modo che offrano alla scuola anche qualche contributo culturale.
(Insegnante di religione di scuola secondaria di I grado).
Ci sono delle famiglie che forse non sanno neanche quanto il figlio studia o non studia. Io ho la percezione che
non tutte le famiglie sono consapevoli che il lavoro scolastico ha delle regole e l’andare bene a scuola non è solo
perché il figlio è intelligente o lo è meno o perché succede. A volte il destino te lo crei e ho sempre cercato di
lavorare con la famiglia in questi termini e di far capire che la scuola è importante e che noi ci teniamo ai ragazzi
stranieri. Quando un ragazzo straniero va bene per me è una grande soddisfazione, è molto brutto vedere che un
ragazzo straniero va male. È la cosa più facile, perché deve andare male? Perché è straniero e non conosce la
lingua? Io penso sempre che ognuno di loro ha un’intelligenza che va sfruttata al massimo. Io, personalmente,
sento che le famiglie non sono così consapevoli di questo. Aperta parentesi: anche le famiglie italiane. Io parlo
sempre così perché sono problemi della scuola più che delle famiglie straniere. Però devo dire che con alcune
famiglie straniere abbiamo instaurato degli ottimi rapporti, la strada è questa. Il contatto lo cerchiamo, mandiamo
delle comunicazioni. (Insegnante di lettere di scuola secondaria di I grado).
Sia pure meno sistematicamente di quanto avviene per la primaria e la secondaria di I
grado, anche la scuola secondaria di II grado sta ripensando le strategie comunicative nei
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confronti delle famiglie immigrate. Ciò significa non attribuire a queste ultime, a priori, una
scarsa attenzione nei confronti del percorso scolastico del figlio ma, piuttosto, cercare di
comprendere le motivazioni d’una comunicazione sporadica e, soprattutto, cercarla a propria
volta.
Abbiamo convocato le famiglie all’inizio dell’anno. Sono arrivate di corsa (hanno lavori a turno, orari difficili) e
siamo riusciti con fatica a raccogliere un po’ di genitori, a spiegare loro il percorso. Loro sono stati contenti
anche di questo, perché il genitore di un alunno straniero, chiaramente, almeno nei nostri confronti, si affida un
po’ alla scuola perché appena arrivati in Italia sono un po’ disorientati o anche se ci sono mamme già qui con il
ricongiungimento c’è una forma di affidamento alla scuola, ed è positivo. Mai un genitore che dice: “no, mio
figlio non ha bisogno”, loro sempre incoraggiano i ragazzi a frequentare questi laboratori. Noi nel nostro Patto
abbiamo scritto che almeno due volte l’anno loro dovrebbero venire a parlare con noi referenti degli alunni
stranieri o comunque con il coordinatore di classe, poi questo non sempre avviene. Però, comunque, abbiamo
anche l’intervento telefonico: noi li chiamiamo se non li vediamo, sono molto controllati, tutorati, non solo col
biennio, italiani e non. All’inizio si sono fatti vedere, ecco, non solo col discorso del Patto formativo, ma
vengono anche appena li chiamo con i laboratori. Quindi si presentano, vogliono venire a capire che cosa la
scuola fa, cosa propone, come lavora. Poi, sa, durante l’anno non c’è quest’assiduità. (Insegnante di lettere di
scuola secondaria di II grado).
Prima di procedere oltre, due considerazioni appaiono acquisite: la comunicazione con le
famiglie straniere da parte delle scuole, almeno di quelle coinvolte nella Rete, si rivela sempre
più un obiettivo prioritario. In secondo luogo, pur nella diversità degli interventi posti in atto
(dalla festa alla riunione informativa a inizio anno, dai colloqui strutturati in corso d’anno alla
richiesta di colloqui straordinari in ragione di particolari esigenze del figlio) le scuole spesso
anticipano la famiglia convocandola ogni volta che ciò sia ritenuto necessario. Ciò nonostante, continuano ad esistere deficit comunicativi tra l’istituzione scolastica e i genitori. In
proposito, allora, è utile tentare un confronto tra le indicazioni degli insegnanti e quelle dei
genitori.
Va detto, in via preliminare, che tra i genitori intervistati possono annoverarsi retroterra
socio-economici e culturali molto diversificati. Il capitale sociale disponibile, in altri termini,
trova nelle famiglie che si sono rese disponibili all’indagine declinazioni varie e non sempre
riconducibili a dei frame comuni.
Io sono in Italia non per me, ma per seguire i miei figli. Se non lavoro seguo i miei figli, vado lì e chiedo.
Qualche volta mi danno loro l’appuntamento per fare il colloquio, sennò chiedo prima a mio figlio: perché vedo
le verifiche che ha fatto e poi chiedo il colloquio con le maestre. Io mi trovo bene, perché mi spiegano tutte le
cose. (Madre tunisina di alunno di scuola primaria).
Le mamme non sanno parlare la lingua, e forse hanno un po’ di vergogna. I papà lavorano, non hanno tempo di
venire. Magari si potrebbe portare qualcuno che traduce, perché siamo tanti. Io sono venuta, anche se non ho
capito tutte le cose che hanno detto le maestre. A tutte le riunioni, io sono venuta, anche se non ho capito tutto.
Se portano qui una traduttrice, ad esempio, è più facile per le famiglie venire qui. E poi, i nostri mariti lavorano.
(Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
Io, con poca esperienza, andavo alle riunioni e, con gli occhi aperti e con grande silenzio, ascoltavo come
funziona. (Madre ungherese di studente di scuola secondaria di II grado).
Siamo dentro sempre, ogni tanto veniamo agli incontri, all’opera di teatro che fanno i ragazzi, per la pagella, per
sentire che cosa dicono i professori, che cosa vogliamo dire a noi. (Padre di Santo Domingo di studente di scuola
secondaria di I grado).
Gli insegnanti seguono i bambini, io conosco gli insegnanti di mia figlia e ogni volta che voglio chiedere loro
qualcosa vengo e loro mi ricevono. Non c’è problema. (Padre americano di alunno di scuola primaria).
Io andavo al lavoro alle sei di mattina e tornavo alle sette di sera. E per questo facevo un po’ di fatica quando
c’erano le riunioni. Lo sai, quando sei al lavoro, sei al lavoro! Veniva mia mamma, io quando avevo tempo. Io
venivo a scuola e chiedevo se si trattava di qualcosa d’importante. Le maestre mi dicevano: guarda, abbiamo
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parlato di questo e di questo, ma non è che sono venuta tante volte, a volte veniva mio marito, così, per essere
presente. E se loro non capivano (marito o madre), allora quando avevo tempo venivo a chiedere come e perché.
(Madre moldava di alunno di scuola primaria).
Nonostante differenti traiettorie socio-economiche e culturali delle famiglie intervistate,
emerge un’esplicita volontà di partecipare al percorso scolastico del figlio. A fronte di questa
compartecipazione, tuttavia, si delinea nelle parole di alcuni intervistati la scarsa disponibilità
di una risorsa essenziale per concretizzarla: il tempo. In tal senso, le famiglie intervistate non
sono di necessità rappresentative perché, pur in presenza di risorse scarse, hanno saputo
comunque reperire strategie di gestione extrascolastica tali da consentire uno dei cardini dei
rispettivi progetti migratori (a medio-lungo termine): l’accompagnamento del figlio in un
percorso scolastico che garantisca effettive possibilità di mobilità sociale. Come si osserverà
più oltre, nondimeno, il tema di un più generale, scarso capitale sociale disponibile a molte
famiglie immigrate rimane focale.
Quanto diremo circa la comunicazione tra gli studenti con cittadinanza non italiana e i loro
docenti si lega a doppio filo con quanto già affermato in precedenza: la maturità dei secondi
nell’affrontare il pluralismo in classe rimanda ancora molto di frequente alle competenze
relazionali e alle motivazioni individuali, non essendo ancora propria alla generalità del corpo
docente. Quello che, riflessivamente, avevano riconosciuto i docenti intervistati incontra le
osservazioni dei genitori: pur dichiarandosi complessivamente soddisfatti della situazione
nelle scuole oggetto d’indagine, essi sono in grado di effettuare alcuni raffronti con altri
istituti scolastici e individuare i mutamenti nella relazione docente-discente intervenuti dalla
primaria alla secondaria di II grado. Di seguito si riportano le parole di una madre kosovara
rispetto alla scuola Primo Maggio.
Con gli insegnanti sono stata molto contenta e sono molto contenta anche oggi, perché fanno tanto per i nostri
bambini. (Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
Nel passaggio alla scuola secondaria di I grado e alla secondaria di II grado (frequentate da
altri due figli), tuttavia, non con tutti gli insegnanti fanno difetto le incomprensioni.
Io lo vedo certe volte che hanno portato le verifiche a casa. Hanno corretto le maestre e le hanno dato voto, un
voto, ad esempio. Ad esempio buono. Anche i punti hanno scritto. È venuta a casa, abbiamo preso e abbiamo
corretto a casa insieme, e le ho trovato, forse ha sbagliato, ma mi è successo due o tre volte. Non le ha dato
giusto, il voto giusto. Per terza volta sono andata lì e ho detto alle maestre: non so se tu hai sbagliato, avevi tanto
da correggere, però gli ho detto che questa cosa non mi piace. Io ho corretto con i miei bambini e ho riportato
tutte e tre le verifiche e ho detto: ecco qua, qua e qua. Lei ha detto: scusa ho sbagliato. Ho sbagliato, sono tanti
bambini, ho fatto in fretta. Non è una cosa bella. La prima volta si sbaglia, anche la seconda volta. Ma è successo
tante volte che hanno dato i voti più bassi. Non ho parlato con altri genitori. Io non ho detto agli altri che a me è
successo così e così, non volevo far fare una brutta figura a questa professoressa e per questo sono andata a
parlare direttamente con lei. Ti dico la verità, con i bambini mi sono trovata bene alla scuola (media), con le
professoresse così così. (Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
Il ruolo del docente può consistere anche nello sciogliere dei nodi comunicativi che
vengono a crearsi all’interno del gruppo classe. A ciò fa riferimento l’intervistata quando
parla della secondaria di II grado, un istituto tecnico frequentato dalla più grande delle sue
figlie.
Nella scuola superiore che la più grande frequenta, non vanno più bene con gli altri ragazzi. La mia figlia ha una
sola amica, anche lei è dal nostro paese. Con lei va bene, con gli altri no. Un esempio: adesso hanno una gita. Ieri
mi ha chiesto di firmare una giustificazione per andare a gita. Però mi ha detto che se non va la sua amica, non
va nemmeno lei. E perché non va? Perché gli altri non parlano con loro. Non stanno con loro. E loro due sono le
più brave nella classe. Hanno i voti più alti. I professori mi hanno detto che lei vuole stare sempre e solo con la
sua amica. Io ho detto: voi siete professori, potete non lasciare queste due sole, con i banchi solo queste due. Io
ho detto alla professoressa che può cambiare i banchi e mettere mia figlia ad esempio con un italiano o con un
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altro per avvicinarsi agli altri. Ma loro non vogliono, quando fanno l’assemblea di classe i ragazzi fanno quello
che vogliono. (Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
Una dialettica meno fluida con i docenti e i dirigenti della secondaria di II grado è
confermata da altri due intervistati. Va detto che entrambe le situazioni di seguito riportate
non si riferiscono al Giorgi, ma ad istituti tecnici frequentati da altri loro figli.
A volte rimaneva anche male perché alcuni professori gli dicevano che doveva arrangiarsi e fare come tutti gli
altri. Alcuni (altri) professori vanno piano con lui e gli dicono che va bene. (Madre della Costa D’Avorio di
studente di scuola secondaria di II grado).
Al primo anno vedevo mio figlio sempre più chiuso e sempre più agitato. Allora quando ho scoperto, ho chiesto
un appuntamento e sono andata anche con mio marito e abbiamo parlato con il direttore e, non lo so, ho visto una
cosa, ho sentito una cosa troppo fredda, assolutamente non interessava di cosa parlo, di cosa chiedo, aiuto,
niente. Dopo dieci minuti mi sono alzata e con le poche parole di italiano mi sono alzata e gli ho detto che mi
dispiace che hanno messo al suo posto uno come lui e sono andata via e ho lasciato lì mio marito che è anche
troppo tranquillo. (Madre ungherese di studente di scuola secondaria di II grado).
Le citazioni riportate riferiscono di situazioni di potenziale tensione creatasi tra gli studenti
e i docenti. Non vi sono riferimenti alla scuola primaria perché, a motivo di quella preparazione diffusa dei docenti che costituisce cifra distintiva della scuola Primo Maggio e delle
peculiarità socializzanti proprie allo stesso ciclo primario, nessuno degli intervistati ha
ritenuto di evidenziare situazioni di disagio.
Dalle interviste effettuate, i rapporti tra gli studenti di origine immigrata e i loro compagni
di classe riflettono i differenti contesti all’interno dei quali essi si concretizzano: la scuola
primaria, per quanto si diceva innanzi, presenta maggiori potenzialità socializzanti di quanto
avviene per la scuola secondaria di I grado e la scuola secondaria di II grado. Il passaggio ad
impostazioni relazionali e curriculari meno giocate sull’immediatezza delle relazioni e più
mediate dalle competenze che, progressivamente, devono essere acquisite comporta riscontri
diversificati tra gli intervistati. Poiché le indicazioni dei genitori su eventuali tensioni nel
rapporto tra i loro figli e i compagni di classe si sono concentrate su episodi che chiamano in
causa il ruolo e il supporto che le famiglie riescono a conferire agli studenti, simile tematica
troverà spazio nella prossima sezione, al pari delle riflessioni svolte sul rapporto delle
famiglie immigrate con le famiglie italiane. Entrambe le dimensioni, come vedremo, richiamano il concetto di capitale sociale.
3.6 Partecipazione e domande delle famiglie
La partecipazione delle famiglie all’esperienza scolastica del figlio si fonda su differenti
dimensioni, alcune delle quali sono state già analizzate nel corso delle riflessioni fin qui
svolte. È utile, altresì, provare a circoscrivere delle indicazioni specifiche che le famiglie
stesse hanno manifestato nei confronti del sistema-scuola, sul crinale tra l’ambito prettamente
scolastico ed educativo e quello più ampiamente sociale. Quanto avviene all’interno delle
mura della scuola e quanto invece è proprio alle dinamiche a essa esterne, infatti, compartecipano nel definire i bisogni e le aspettative delle famiglie, così come negli obiettivi della
presente ricerca. In tal senso, l’ampia o ristretta partecipazione delle famiglie definisce anche,
direttamente ed indirettamente, i loro bisogni e le loro aspettative.
Per raggiungere il fine di un’accurata restituzione delle suggestioni fornite dagli intervistati, saranno utilizzati i materiali tratti dalla loro viva voce, per via diretta, e quelli tratti dalle
interviste agli insegnanti e ai dirigenti, che a loro volta hanno saputo ricostruire e integrare la
prospettiva dei genitori. Ci serviremo di parole chiave, quasi fossero delle proxy utili a dare
concretezza alle considerazioni che seguiranno.
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La trasparenza informativa e l’orientamento verso la scuola fanno parte di un medesimo
processo: quello che, sulla scorta d’indicazioni univoche, conduce la famiglia immigrata
all’iscrizione ad un istituto scolastico piuttosto che ad un altro. Nonostante l’apparente
linearità, va detto che per molte delle famiglie intervistate, la grande maggioranza, l’accesso
alla scuola che poi avrebbe frequentato il figlio è stato mediato in prima istanza dalle reti di
relazione informali presenti sul territorio. Se questo, per un verso, appare positivo, perché dà
conto di quei microprocessi spontanei di cui si è parlato in precedenza, per altro verso
testimonia di un raccordo ancora insufficiente tra i riscontri che le famiglie hanno una volta
varcata la soglia della scuola e quelli che queste stesse sono in grado di reperire al fine di
scegliere in quale direzione muoversi e, appunto, a quale scuola iscrivere i loro figli.
All’inizio, ti dico, non sapevo nulla. Sapevo solo il mio lavoro, casa e basta. Non che sapevo qualcosa. Dopo,
dove lavoro, un mio amico, italiano, un uomo che lavorava insieme con me, sempre mi diceva: “Perché non porti
le bambine, perché non porti le bambine?”. Allora le ho portate qua. Prima ho portato la piccola, allora lui è
andato a parlare per prima volta, lui è andato insieme con me però io non sapevo dove andare. Siamo andati al
primo circolo didattico, abbiamo iscritto la bambina, perché ha fatto prima in asilo è andato qua, qua vicino.
Dopo tre mesi ho portato qua anche la grande, e dopo di nuovo con lui. È stato un amico italiano, collega di
lavoro, che mi ha convinto di portare le bambine dalla Moldavia in Italia e mi ha dato una mano. Quando non sai
le cose, dove andare, dove chiedere, quando vai, ad esempio, quando andavo in ufficio di stranieri mi
spiegavano, quando vai in questura, ad esempio, mi dicevano proprio con metà voce e se gli chiedevi ancora una
volta e allora: “Signora hai capito? Sennò vai via”. E all’inizio. Adesso sì parlo un po’ di più bene, ma all’inizio
non che parlava tanto, a volte non capivo neanche bene. E chiedevo ancora una volta e non riuscivo a capire
tutto. (Madre moldava di alunno di scuola primaria).
È stato tutto normalissimo. Mia moglie ha preso i contatti piuttosto. So che abbiamo fatto la domanda e cercato
un piccolo aiuto, a dir la verità, sennò ci toccava andare in un’altra scuola. Siccome noi abitiamo dall’altra parte
della strada ovest, noi dovevamo andare in un’altra scuola. (Padre albanese di alunno di scuola primaria).
I miei vicini italiani e mi hanno aiutato tanto. È stata una signora che abitava vicino a me. (Madre kosovara di
alunno di scuola primaria).
Prima di fare l’iscrizione abbiamo parlato con il preside, abbiamo cercato di sapere qual era la cosa giusta da
fare, avevamo ben presente che la situazione fosse difficile e pensavamo impossibile poter inserire nostro figlio
alle superiori, vuoi per la lingua, vuoi per l’età. Quando abbiamo incontrato il preside ci eravamo informati sulle
scuole serali, ma invece il preside ci ha detto che era possibile inserirlo in prima. Allora ci abbiamo pensato,
abbiamo valutato e deciso di iscriverlo in prima. Per fargli imparare un mestiere. A lui piace e voleva fare
telecomunicazioni e abbiamo scelto quella scuola proprio perché a lui piace. (Madre della Costa D’Avorio di
studente di scuola secondaria di II grado).
Le citazioni degli intervistati, che si rifanno ai percorsi informali spesso intrapresi per
ricostruire il da farsi finalizzato all’iscrizione dei figli a scuola, marcano con chiarezza come,
al pari degli insegnanti intervistati, anche per essi l’iscrizione dei figli sia stata il risultato di
un’autoattivazione; anche su stimolo di connazionali o conoscenti in senso ampio. Simile
autoattivazione, tuttavia, non può darsi per scontata perché, si ricordi, le famiglie intervistate
non costituiscono a rigore un campione rappresentativo e, di conseguenza, quelle reti di cui
esse hanno potuto godere per capitalizzare le informazioni necessarie potrebbero non essere
un retroterra scontato per la generalità delle famiglie. Sia pure indirettamente, con forza si
delinea l’urgenza di un maggiore, sistematico, feedback tra le agenzie che nel territorio si
occupano dell’inserimento delle famiglie immigrate e, contestualmente, di quello dei figli.
Come si è potuto osservare in precedenza, le scuole (quelle indagate, non di necessità tutte)
hanno disegnato molte iniziative per rendersi trasparenti alle famiglie immigrate e facilitare la
comunicazione con queste medesime, nondimeno l’approntamento di efficaci nodi informativi
di accesso all’offerta didattica transita anche per la collaborazione con altri soggetti rilevanti
del territorio.
101
A parere degli insegnanti intervistati, poi, la trasparenza informativa e più ampiamente
comunicativa deve trovare un più maturo compimento nelle scelte che riguardano la scuola
secondaria di II grado. Al termine di percorsi formativi unificati come sono quelli della scuola
primaria e della scuola secondaria di I grado, l’asimmetria informativa di cui molte famiglie
immigrate soffrono diviene ancora più pressante e con effetti potenzialmente determinanti
rispetto all’elaborazione di una scelta consapevole del percorso di studi successivo al ciclo
primario e secondario di I grado. È il tema dell’orientamento, già prefigurato in precedenza.
Non di rado le famiglie intervistate, in particolare quelle con figli che avrebbero terminato di
lì a poco la secondaria di I grado, hanno chiesto all’intervistatore di poter reperire delle
informazioni sulla secondaria di II grado. Solo un aneddoto, certo, confermato tuttavia in
termini molto meno estemporanei dalle indicazioni dei docenti intervistati; che, in merito, si
sono dimostrati auto-riflessivi e consapevoli dei passi ancora da compiere.
Comunque se tu sai che hai un figlio in uscita. Devi essere un punto di approdo di tutte le informazioni rispetto
alle offerte formative. Il problema è che questo è uno degli anelli deboli della catena che funziona limitatamente,
appunto il fatto del passaggio delle informazioni, delle varie offerte dei vari istituti. Sembra abbastanza scontato
e semplice, in realtà, diciamolo, anche il genitore italiano deve andare alla ricerca di qual è l’offerta formativa di
tale scuola superiore, qual è quella adeguata al figlio, non c’è, tanto più per una famiglia straniera. (Insegnante di
scuola primaria).
Questo il problema che hanno le scuole. Sono le scuole medie, la scuola media deve fare attività di orientamento.
I ragazzi della scuola media hanno la possibilità di far capire ai genitori, bisogna dare loro gli strumenti affinché
possano capire. Non ci possono essere né sportelli, né uffici perché sappiamo tutti, e ne abbiamo discusso a
lungo, che l’orientamento è in realtà la scuola che ha il ragazzo che dovrebbe dare in linea di massima un parere
su quali sono i percorsi e quali possibilità hanno. Motivo per il quale abbiamo fatto la ricognizione di quante
scuole medie fanno orientamento, perché è un problema oggettivo. (Insegnante di scuola primaria).
La domanda è: com’è che l’alunno che studia dalle nostre parti non riesce a fare certi percorsi; è un problema di
tempi, che forse va ripensato? È la media che va allungata per quanto riguarda la preparazione, evitando le
bocciature che non portano a nulla È un problema di quantità di anni o di qualità dell’insegnamento? Da qui
nasce dal mio punto di vista la criticità. Perché, noi stiamo parlando di scuole che hanno una storia e un percorso.
Ma questi percorsi quanto efficaci sono? Quanto estesi sono? Io ho l’impressione che l’intervento sulla lingua sia
visto, non dico come un intervento di sostegno, ma molto simile, per cui è un problema di docenti ed è un
problema di un certo tipo di visione, non è un problema di cui tutti sentono di doversi far carico, perché se questo
fosse, e qui nasce il problema importante della preparazione degli insegnanti, di cui dobbiamo farci carico e
bisogna che ce lo diciamo. Se esiste un problema alunni stranieri, perlomeno come quantità che aumenta sempre
più negli ultimi anni, bene, si deve anche porsi il problema di che di insegnamento si deve fare. Cioè voglio dire,
la qualità dell’insegnamento è tale da sopperire al fatto che negli ultimi anni c’è stata questa escalation di numeri
da questo punto di vista? Forse qua bisognerebbe cominciare a pensare a qualcosa di nuovo insomma, anche dal
punto di vista della qualità dell’intervento e quindi anche dell’acquisizione di competenze da parte degli
insegnanti. Noi non possiamo solo dire il ragazzo cinese ha bisogno di tot anni, quello del Bangladesh tot, etc.
però alla fin fine stringi stringi non viene fuori con un certo tipo di preparazione o comunque non interveniamo
su alcune situazioni perché occorre secondo me che ci poniamo questo problema. (Insegnante di religione di
scuola secondaria di I grado).
È vero che i ragazzi stranieri hanno percorsi diversi e tutto quanto. Ma è anche una crudeltà che non possano
scegliere come gli altri per un futuro anche all’università, tutte le facoltà. Io sto parlando dei test di ammissione
all’università. I test di ammissione sono fatti prettamente per i ragazzi italiani. Non si tiene assolutamente conto
e qui bisognerebbe intervenire. Perché il ragazzo straniero che con tutte le difficoltà è arrivato a diplomarsi in
una scuola italiana accede alle stesse condizioni dei ragazzi italiani. Senza tener conto di quelle che sono le
difficoltà che può aver attraversato nel percorso. Allora, test a medicina mi viene in mente. Cosa ne può sapere
un ragazzo straniero di quelli che sono i film del neorealismo italiano, o cose di questo genere. Quindi, anche lì
bisognerebbe intervenire perché è vero il discorso, liceo, però anche se poi gli facciamo fare un discorso liceale
poi la loro scelta è comunque limitata perché poi non sono tutelati neanche da un punto di vista legislativo. Se
non rientrano nella percentuale di ragazzi stranieri sono considerati come tutti gli altri ragazzi italiani. Siccome
molto spesso non sanno anche tutto un retroterra culturale legato a un classico percorso scolastico italiano,
letteratura, storia, per cui certe facoltà rimangono comunque improponibili. (Insegnante di diritto di scuola
secondaria di II grado).
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Accostare le voci delle famiglie a quelle dei docenti, ripercorrendo tramite queste la strada
che conduce dall’accesso alla scuola primaria alla scelta della secondaria di II grado, fino
all’università, non è casuale. Il filo rosso sotteso alle citazioni è costituito dalla necessità di
creare tutte le precondizioni che siano di agio alla consapevolezza delle famiglie immigrate:
esse, si osserverà, ripongono aspettative sostanziali non solo rispetto alla riuscita scolastica
dei figli ma, più estesamente, rispetto ai loro percorsi di mobilità sociale. La trasparenza
informativa, l’orientamento e la preparazione degli insegnanti costituiscono aspetti che
possono rendere le scelte delle famiglie non legate a doppio filo a carenze istituzionali;
carenze che, non raramente, si sommano a traiettorie socio-economiche a corto raggio. È
proprio in questa sede che va approfondito il capitale sociale più volte enunciato. Perché,
parlando dei figli, molte famiglie si sono in realtà riferite a loro stesse e alle relazioni che
riescono ad intrattenere con il contesto circostante e con le altre famiglie, anche quelle
italiane.
Il concetto di capitale sociale poggia su un assunto comune alle diverse interpretazioni che
di esso sono state date: che l’individuo non sia un attore atomizzato, quanto piuttosto un attore
che agisce in una struttura di opportunità relazionali, con altri attori e con il contesto, cui egli
stesso contribuisce e che egli medesimo può variabilmente volgere a proprio vantaggio;
variabilmente perché, appunto, le strutturazioni del capitale sociale sono assai diversificate da
soggetto a soggetto. Un approccio al capitale sociale tarato sull’individuo, in questo caso sulle
famiglie intervistate, non esclude un approccio socio-centrico ma, al contrario, privilegia le
ricadute che dal punto di vista dell’individuo hanno le differenti configurazioni appena citate.
In altri termini, le aspettative che elaborano le famiglie immigrate poggiano sul loro capitale
sociale; le aspettative nei confronti della scuola e dei figli sono, potremmo dire, un esito
compartecipato di orientamenti individuali e declinazioni di quest’ultimo. Per analizzarle,
quindi, è opportuno focalizzare prima il social capital da cui si dipartono. In proposito,
aiutano le dichiarazioni di un genitore italiano coinvolto in attività di rappresentanza
scolastica.
Io (con le famiglie straniere) ho avuto a che fare anche per motivi personali, mi è capitato di dare una mano per
problemi logistici, di dover trasportare la mamma il giorno della festa, la figlia perché la mamma era stata presa
sotto, o di portare a casa l’amica di mio figlio quando pioveva. Mi è capitato di andare a finire anche nelle case
di questi e percepisci l’essere immigrato come certamente un problema quotidiano primo per la stabilità
dell’abitazione, del posto della famiglia, della logistica. Spesso i bambini vengono mandati a scuola da soli
perché magari la mamma nel frattempo deve andare al lavoro…vedo che obiettivamente fanno in questo
momento fatica a star dietro, non seguono magari tanto i ragazzi a scuola, un po’ per cultura un po’ per problemi
contingenti e quotidiani. Magari la mamma è a lavorare, il bambino va, torna da scuola e si deve arrangiare nel
pomeriggio…oppure mezza famiglia nel proprio paese di origine e mezzi qui. C’è questa grossa componente di
precarietà, non nel senso negativo ma nel senso di questa quotidianità di essere qui e riuscire ad essere in piedi,
di riuscire ad andare a scuola, essere seguiti e così via. Parliamo anche della partecipazione alle gite di classe:
quello è un elemento di crescita per i ragazzi, per capire e per studiare, spesso i ragazzini extracomunitari non
partecipano. Lì c’è un fattore economico, anche di piccola quota, dieci o cinque euro, che fanno la differenza
spesso per cui la famiglia non manda il ragazzino e quindi ci si suddivide le quote comunque all’interno della
classe…rimane a casa proprio perché la cosa è legata al fattore economico. Figuriamoci se questo non è un
indice di come ragionano poi sulla vita quotidiana dei ragazzi. Vuol dire libri, vuol dire essere senza, vuol dire
fotocopie, è un casino da questo punto di vista e sono convinto che facciano molta fatica da questo punto di
vista. (Padre italiano di alunno di scuola primaria).
Le indicazioni che giungono da un genitore kosovaro confermano le affermazioni del
genitore testé citato.
Adesso vanno tutti a scuola, non so, sua classe, tre giorni a Milano, o non so dove, a guardare musei. Mi ha
detto: padre, mi dai 200 euro?. Va bene, perché hanno detto 100 euro adesso e dopo 100 euro più tardi. Almeno
andare assieme con amici qua, vedere qualcosa musei. Anche anno scorso siamo andati in fiume, quello di
montagna. Qua in Italia stanno bene, non stanno male. Basta che il problema di soldi, sempre devi pagare roba e
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se arrivano perché moglie non lavora, e io sono da solo. Quello è il problema. Problemi economici, quello ti
dico. Se non hai problemi economici, lui fai tutto quello che vuole, hai capito? E ogni tanto mi prendo se no ho
soldi prendo gli amici perché ormai deve dare “Padre, dammi 50 euro, che devo andare di là”. E io non dico no,
e così, ci sono un po’ di problemi economici. Se tu non hai tanti soldi, prendi busta, affitto, paghi questo, non ti
restano tanti soldi. Se non lascio andare con gli amici, dopo lui, non è bello, hai capito? Lui resta a casa e gli altri
vanno e, anche se non hai tu soldi, devi prenderli, da amici. (Padre kosovaro di studente di scuola secondaria di I
grado).
Due annotazioni appaiono necessarie: non s’intende, con le precedenti citazioni, creare una
specificità delle famiglie immigrate sotto il profilo socio-economico, poiché una loro
marginalità non può darsi per scontata e, non di rado, è propria a molte famiglie italiane. Per
altro verso, tuttavia, le indicazioni delle famiglie e quelle degli insegnanti sono concordi
nell’identificazione di questa marginalità quale elemento rilevante dell’atrofia relazionale che
non raramente vede coinvolti i genitori stranieri. In questo senso, se le relazioni all’interno del
gruppo classe tra studenti italiani e studenti stranieri non sono state definite come relazioni
particolarmente problematiche, se non limitatamente a dei comportamenti che non attengono
a palesi discriminazioni su base nazionale ma a problematiche di primo inserimento, molto
diverso è il quadro che emerge sia con riferimento alle relazioni tra le famiglie immigrate e
famiglie italiane sia, ancor più, al tempo extrascolastico. Si tratta della componente eminentemente relazionale del capitale sociale.
Focalizzando l’obiettivo sulle relazioni tra le famiglie immigrate e quelle italiane, tranne
qualche indicazione contraria si fa riferimento a relazioni prettamente strumentali, legate a
incontri prevalentemente occasionali in corrispondenza degli incontri istituzionali a scuola (ad
esempio, il ricevimento genitori).
Quando siamo a scuola per chiedere un consiglio veloce, ciao ciao, perché tutti hanno fretta, tre quattro genitori
per insegnante alla volta, sempre nel corridoio. (Padre di Santo Domingo di alunno di scuola secondaria di I
grado).
Per la verità non ho nessun rapporto (con i genitori dei compagni di classe di mio figlio), con una perché suo
figlio viene a casa mia, però il mio problema è che non conosco tanti genitori italiani, otto anni qua e non
conosco tanto, c’è mio figlio che ha due amici che vengono ogni tanto a casa o lui va da loro, però le mamme
conosco abbastanza bene, però io non è che ho rapporti con loro, loro lavorano e non hanno tanto tempo. Non è
mai capitato di parlare, forse al telefono per chiedere i compiti per mio figlio. (Madre tunisina di alunno di
scuola primaria).
La paura più grande di come mi guarderanno tutti questi genitori, che ci troviamo alle riunioni, alle feste della
scuola che sono a Natale, la recita, ma, fuori non so se verranno o no, non so il loro atteggiamento nei nostri
confronti. Ho questa paura. Ti dico, vengo a riunione, ma non è che mi metto a parlare con loro perché, sai, mi
sento un po’ più giù di loro. E per questo, dico, è meglio lasciare…porto a scuola, mangiano la torta in classe,
tutto quello ma fuori no. Ma alla fine dell’anno ho fatto gli involtini di riso nelle foglie di cappuccio, le sarmale.
All’inizio mi veniva a ridere e a piangere in quel giorno. E anche un po’ mi ero arrabbiata. Ti venivano: “Cos’è
questo? Cos’è questo?”, e guardavano così dall’alto, allora, ad un certo momento, dico, mi prendo la pentola e
me ne vado! È bastata una signora che voleva vedere cos’è, assaggiare e allora, in un momento, era tutto finito!
All’inizio, ti dico, avevo una, mi sono arrabbiata, mi sentivo distrutta in quel momento. Quando tutti guardavano
così, e mangiavano volentieri la pasta di fagioli come si fa qua, fatta da una signora italiana, dico, come
mangiano volentieri quella pasta di fagioli e non mangiano questi! E dopo hanno mangiato tutto e mi chiedevano
alla fine anche: “Come lo fate?” Come ho fatto a piegare la foglia di cappuccio, e dopo mi fa ridere! (Madre
moldava di alunno di scuola primaria).
È difficile che una scuola possa dire “oggi andiamo tutti a mangiare la pizza”. L’unico modo per riuscire ad
integrare tutti i genitori è creare delle occasioni per farli stare insieme. L’incentivo per farli stare insieme è
andare fuori. (Madre italiana di studente di scuola secondaria di I grado).
Al di fuori delle occasioni d’incontro legate ai figli, non pare ancora essersi stabilita tra le
famiglie italiane e le famiglie immigrate una densità relazionale; quale sia, in ciò, il ruolo di
ciò che per definizione è ineffabile, le retoriche, e quanto incidano al contrario elementi
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strutturali, non può desumersi da uno studio esplorativo come il presente. Risulta nondimeno
evidente che, quando la scuola smetta il proprio ruolo di agente relazionale (come accade, ad
esempio, per la scuola primaria), stentano a decollare processi d’incontro spontaneo,
performativo d’un nuovo capitale sociale che renda protagoniste anche le famiglie immigrate.
Le stesse occasioni d’incontro tra i ragazzi, come già si era accennato in precedenza, nel
passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di I e II grado, palesano una minore
informalità e sistematicità. Il che equivale a dire che, laddove non vi sia un intervento esterno
agito, è difficile che tra i ragazzi di origine immigrata e i ragazzi italiani si creino significativi
momenti di aggregazione. E ciò, ancora una volta, rimanda al capitale sociale della famiglia di
provenienza. La lunga citazione che segue è molto esplicativa degli aspetti appena enucleati.
L’integrazione delle famiglie straniere con le italiane non è facile. Poi dipende anche dalla cultura di
provenienza: ci sono comunità che sono più aperte e altre che tendono a rimanere un po’ più chiuse e non è che
sempre sia facile neanche per gli italiani che vogliono accogliere, ad esempio, a casa loro i bambini come fanno
con tutti gli altri ragazzini. Hanno dovuto, anche su questo, avere un confronto. Devo dire però che l’utenza
italiana che abbiamo è molto disponibile anche a far capire alle famiglie straniere che, se fanno il giro per
raccogliere i ragazzini per portarli alla partita, passano a prendere anche tutti i compagni che magari non sono
necessariamente italiani. Oppure alla festa di compleanno partecipano tutti i ragazzini, non partecipano solo i
bambini italiani perché hanno questa abitudine. Devo dire che ci sono anche ottime famiglie italiane che cercano
di integrare queste famiglie e comunque di dar loro la possibilità, senza nulla togliere alla loro cultura, di avere
delle opportunità da condividere perché abbiamo famiglie che davvero si sono attivate perché, anche perché ci
sono donne che fanno una vita più ritirata, una vita sociale molto limitata e ci sono state donne italiane che hanno
cercato di condividere con queste donne straniere dei percorsi, facendo capire che qui nel rispetto della cultura di
provenienza, il fatto comunque di andare dal medico o di usufruire di alcuni servizi, è opportuno qui. Ecco devo
dire che è stato molto utile anche l’intervento delle famiglie italiane a livello generale. (Insegnante di scuola
primaria).
Un intervento agito, come quello di famiglie italiane proattive, non sempre trova
corrispondenza in ambito extrascolastico.
È difficile che questa logica sia portata all’esterno, perché se ci sono articoli che scrivono che la scuola Primo
Maggio è la scuola degli stranieri vuol dire che questa logica appartiene ancora tanto alla scuola ma ancora poco
è sentita dalla società, o comunque per alcune sfere della società è faticoso capirla. Quello che ci sembra sia
ancora faticoso capire, oltre alla dislocazione delle famiglie straniere che dicevo prima solo in alcune zone, è che
queste famiglie hanno il bisogno che sia loro veicolata un’informazione su quanto offriamo e su quello che
possiamo offrire anche ai loro figli, ad esempio, la scuola. Allora, o sono le famiglie (come capita tra gli italiani)
che si attivano per portare i loro figli ad allenamento, oppure queste famiglie sono in estrema difficoltà. Io ne ho
conosciuti pochi che spontaneamente mi dicono di voler iscrivere il figlio a calcio o ad altre attività. Soprattutto
per motivi economici e poi perché magari in alcune culture questo non è presente. Però, mentre i nostri ragazzini
italiani hanno tutto il pomeriggio impegnato da mille attività, molto spesso questi ragazzini rischiano di trovarsi
da soli il pomeriggio al campetto e di richiudersi nuovamente in gruppo o di soli ragazzini stranieri o della stessa
comunità. In questo c’è ancora molta strada da fare perché sia offerta, soprattutto da parte delle associazioni
sportive, c’è qualcuno che ha questa sensibilità, però è ancora molto lasciato al privato. Qui è bene che la società
si interroghi perché se questi sono i futuri cittadini devono essere integrati anche oltre la scuola. Questo è uno
degli aspetti che per noi è ancora carente. Questo è uno degli elementi deboli e motivo per il quale abbiamo
chiesto un tavolo territoriale, che ci sia possibilità di dare visibilità a tutti i servizi e le opportunità per le famiglie
straniere perché noi operatori (della scuola, dei servizi sociali, educativi, sportivi) possiamo sapere, perché a
volte siamo anche noi a non avere tutte le informazioni disponibili e per mettere in rete tutte le risorse. Proprio
perché sia data a tutti la possibilità di vivere nel sociale. Altrimenti la scuola rischia di essere un luogo
privilegiato. Lo è e per alcuni aspetti deve rimanerlo ma non può essere l’unico luogo. Questo è l’aspetto critico.
È necessario che ci sia una politica più ampia. La scuola da sola non può farcela, manca l’esterno che deve
legare il proprio lavoro al nostro. Parliamo, ad esempio, di ragazzini che sono al campetto, sono prevalentemente
stranieri perché gli altri italiani vanno a nuoto, vanno a calcio, vanno a basket, per cui di legami extrascolastici
poi non è che. Alcune famiglie italiane coinvolgono e ce ne sono di ragazzini stranieri che partecipano, ma non è
molto. (Insegnante di scuola primaria).
Finché sono piccoli è più facile da parte degli adulti ritrovare dei momenti di aggregazione, dopo basta che
vadano alla scuola media e diventa veramente difficile. (Dirigente di circolo).
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Più volte, sia pure in ordine sparso, sono state citate problematiche di genere: non
raramente, infatti, le donne immigrate partecipano poco del contesto in cui sono inserite,
testimoniando notevole povertà relazionale. A parere di alcuni intervistati, per il recupero
d’interventi di genere passa una più estesa partecipazione delle famiglie immigrate.
Considerazione ben rappresentata dalle riflessioni di un dirigente di scuola secondaria di I
grado.
La mediazione che porta poi all’integrazione vera è il recupero della funzione dell’identità e del recupero della
funzione della donna. Dove essa attualmente non c’è, dove è nascosta, è chiusa, è offesa probabilmente. Solo nel
momento in cui queste donne avranno capacità e possibilità di comunicazione cambierà molto la cosa. I padri
lavorano dalla mattina alla sera, le madri non conoscono e quindi c’è l’abbandono totale. Se noi riusciamo a
tirare fuori le donne il punto strategico è quello a mio avviso. Ne ho esperienza perché ogni anno facciamo corsi
di alfabetizzazione per queste donne e, quando alla fine dell’anno gli diamo l’attestato di partecipazione, è uno
spettacolo straordinario. Cinquanta, sessanta, i costumi dei loro popoli, vengono, ti ringraziano. (Dirigente di
scuola secondaria di I grado).
Prima di ridare spazio alla voce dei genitori intervistati, è opportuno proporre un
riferimento ad una tematica che completa le riflessioni svolte attorno al concetto di capitale
sociale; così traducibile: è possibile ritenere che, a Treviso città, si stiano verificando delle
dinamiche tali da poter parlare di scuole degli stranieri? Detto altrimenti: vi sono evidenze che
da parte delle famiglie italiane, in misura variabile, si cerchi di iscrivere i figli a scuole
frequentate da percentuali di alunni stranieri ritenute da esse accettabili?
L’argomento, delicato, è stato sottoposto agli intervistati. Non è questa la sede per approfondirlo esaurientemente ma, ciò nonostante, alcuni riscontri sono stati forniti. Il ruolo delle
retoriche pubbliche sull’immigrazione, in questo senso, pare costituire uno sfondo importante
per interpretare i comportamenti.
Io so che succede, io moralmente come funzionario pubblico non sono in grado di dire no a nessuno. Perché la
scuola è un servizio per tutti. Nelle scuole del centro c’è un certo rifiuto di alcuni alunni e di alcune situazioni.
Gli abitanti italiani attorno alla…non vanno alla…ma vanno a…. Non c’è più lo stradario di competenza,
ognuno può scegliere la scuola che vuole purché garantisca la frequenza e il diritto allo studio. Uno può andare
dove vuole. Il fenomeno dell’immigrazione ha creato questo disagio in questo territorio che a mio avviso è
legato ad una insipienza nell’utilizzo della situazione abitativa, nel senso che si poteva controllare meglio questo
fenomeno di immigrazione massiccia distribuendo o acquisendo case attraverso…mutui, non c’è un nucleo forte
di residenti italiani nella zona. I giovani non ci sono più. La partita è persa. Noi viviamo isolati, cerchiamo i
collegamenti con l’esterno ma il nostro esterno è un esterno che ha difficoltà a capirci perché è diverso. È stato
sempre abbastanza faticoso, gli anni migliori sono gli anni in cui si è iniziato questo lavoro, negli anni settanta.
In cui c’erano queste classi con ragazzi di tutti i tipi. Un bel lavoro di frontiera, ci siamo fatti le ossa. Il
fenomeno della fuga è solo di due anni fa, in seguito a due incidenti amplificati dalla stampa. (Dirigente di
scuola secondaria di I grado).
C’è sempre stato da parte di alcuni, non di tutti, delle preoccupazioni su come procederà il programma. Devo
anche dire che da sempre, sia nei consigli di interclasse sia nelle riunioni di classe, viene sempre chiarito che
ogni ragazzino dovrà avere in base alle proprie possibilità e risorse, perciò se la scuola ritiene di dover anche
differenziare l’intervento, cosa che fa non solo con i ragazzini stranieri ma anche italiani, lo fa rispondendo a
tutti, non dando le stesse risposte ma dando le stesse opportunità. Il problema è solo di assicurare e di mostrare
poi alle famiglie che tu assicuri un percorso per chi può dare 100%, per chi può dare 100 rispetto al suo punto di
partenza e glielo dai rapportato al punto di partenza. Probabilmente poi riscontrano alla scuola media di questi
ragazzini italiani, perché poi la cartina di tornasole diventa quella, che alle medie sapranno tutto quello che deve
sapere, evidentemente ha dato esiti favorevoli e quindi si è rafforzata l’idea che anche in una scuola che accoglie
molti ragazzini stranieri può fornire agli italiani ciò che hanno bisogno. Io credo che nel tempo questa sia stata la
risposta, le rassicurazioni, il fatto di vedere che comunque il programma, perché la domanda è: “Ma il
programma viene modificato?”. Vedere che il programma comunque procede e dà tutte quelle competenze che
devono essere date al ragazzino ha tranquillizzato i genitori. (Insegnante di scuola primaria).
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Certamente, non sono state raccolte (perché non disponibili), delle statistiche che testimonino una vera e propria fuga delle famiglie italiane verso altre scuole rispetto alle scuole di
frontiera coinvolte nell’indagine.
Io ho una realtà un po’ particolare, ho questo fenomeno ma in termini percentuali è un po’ ridotto. Io ho
settecento bambini di scuola elementare, divisi in cinque plessi. Di questi il plesso in cui ho problemi di questo
tipo è quello lì della direzione e lì ho sessantacinque bambini. Negli altri plessi ho il problema del 15/20 per
cento massimo, quindi il problema negli altri plessi non sussiste. Ed è localizzato in questa piccola realtà. Io
dico: datemi un pulmino e questo piccolo gruppo lo distribuisco negli altri plessi. E la cosa viene anche
abbastanza risolta. Un fenomeno che poi si ripete anche alla scuola media. (Dirigente di circolo).
D’altra parte, tuttavia, è fuor di dubbio che la necessità di rassicurare le famiglie italiane
sul fatto che la presenza degli studenti di origine immigrata sia uno stimolo e non un
problema è emersa nei discorsi degli intervistati. Intervistati che, ancora una volta e senza
tornare su quanto già detto in precedenza, hanno evidenziato esattamente le retoriche
pubbliche sull’immigrazione come uno tra i principali muri da abbattere per giungere ad un
lavoro più inclusivo. Il tema sarà ripreso nell’ambito delle aspettative per il futuro espresse
dai genitori.
Una volta chiarito il background di esperienze costitutivo dei soggetti intervistati, è
possibile tracciare in modo meno arbitrario i percorsi immaginati dai genitori per loro stessi e
per i loro figli. Una prima necessità di questi ultimi, contraddistintasi patentemente, è che la
scuola sia per i figli un effettivo agente di mobilità sociale. Non è banale ricordarlo, perché
l’insistenza con la quale simile annotazione è stata evidenziata nelle interviste la pone
certamente in testa a quelle che potremmo definire come aspettative per il futuro.
Da noi la scuola è come la Francia e lì è più facile perché la scuola è uguale. In Francia prendi il diploma e
quando vai a cercare lavoro non importa se sei francese o non francese, invece qua questa cosa deve ancora
arrivare, è difficile l’inserimento. Sia nella scuola e anche nel mondo del lavoro. Se vai in Francia, in tanti posti
vedi di tutti i colori che lavorano, qua è difficile, impossibile, andare in una banca o in un ufficio trovare tutte le
razze qua non ho ancora visto, forse tra 50 anni, speriamo. (Madre della Costa D’Avorio di studente di
secondaria di II grado).
Se loro hanno mollato la scuola là (i figli) e adesso sono qua. Se torniamo là per loro è un grosso problema. Per
noi è meglio pensare a rimanere qua, perché quasi tutto quello che fanno i genitori lo fanno per i figli. Noi
possiamo fare qualcosa qua o là, è indifferente, però loro devono avere un posto preciso. E se poi vogliono
tornare là, possono, però adesso devono continuare finché possono decidere. (Padre di Santo Domingo di alunno
di scuola secondaria di I grado).
Io sono preoccupata, ti dico la verità. Perché se i miei bambini fanno la scuola qua, poi tornare lì. Non abbiamo
tante possibilità perché fanno la scuola qui e non sanno nemmeno comunicare nella lingua. Ti dico la verità, io
sono preoccupata per il futuro dei miei figli. (Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
Sinceramente ho pensato tanto di tornare in Tunisia. Siamo venuti qui per cercare di migliorare, per esempio a
me piacerebbe che mio figlio diventasse un gran medico. Per esempio io dico sempre a mio figlio di non dire
parolacce e lui dice che le dicono gli altri. Ma noi non siamo venuti in Italia per imparare parolacce, ma per
migliorare. (Madre tunisina di alunno di scuola primaria).
Io operaio, mio figlio no operaio. (Padre del Bangladesh di alunno di scuola secondaria di I grado).
Una volta di più, appare dalle parole degli intervistati l’ansia rispetto alle condizioni che la
società italiana saprà garantire per il futuro agli studenti stranieri e alle loro famiglie.
Condizioni non solamente materiali, ma anche simboliche.
Io non ho ancora capito qua come va. Fanno la quinta elementare, dopo vanno nelle medie, poi vanno nelle
superiori, da noi invece c’è dalla prima fino alla otto, come si dice? Otto classi. Prima si facevano dieci, ma
adesso fanno otto. Dopo i tre anni vanno liceo (che fanno undici), dopo vanno ancora due – tre anni a fare le
superiori, come qua si dice. Ma qua, ancora io non ho capito quando si devono scegliere tutte queste. Nella
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superiore mi sembra qua, o nella media? Mi piacerebbe che (le figlie) continuassero a studiare. Però, dopo tutti
questi tempi che, anche da noi, che se i ragazzi studiano, studiano e alla fine, niente lavoro. E tutto tutto si
spende. Anche quello che ha finito la scuola bene, la scuola superiore bene, comunque tutti sono andati via. Non
c’è la prospettiva di lavorare. E neanche non so qua, cosa farà fra un anno, due, tre, che cosa succederà, per
questo non posso dire assolutamente niente. Perché neanche non so se restiamo qua fino a quando le bambine
finiscono la scuola. Non si sa proprio niente, stiamo galleggiando, con un piede qua e un piede là. Per questo
proprio non posso dire niente. Ho portato le bambine, dico, se finiscono qua la scuola già è una, anche se
torniamo indietro a casa e se finiscono qua magari hanno un altro, un altro modo da pensare, ma anche con la
scuola, se ha finito, ad esempio in Italia, in Francia o in Spagna, sono più un altro modo presi da lavoro. Perché
da noi, si sa, quelli che studiano, pagano e studiano, e alla fine non sanno niente. Qua invece, da parte nostra,
nessuno non può pagare qua per avere un documento che ha finito una scuola superiore, ma adesso, ti dico, non
sappiamo niente: che cosa succederà, cosa sarà più avanti, cosa viviamo, lavoriamo e aspettiamo cosa succederà.
Se torniamo indietro torniamo indietro, comunque no, non so proprio. Sì, tutti questi problemi da parte di
stranieri, tutte queste parole, tutto questo che succede con, ad esempio, rumeni moldavi. Sì, sono i paesi dell’est,
però parliamo la stessa lingua. Il fatto che, ad esempio, io sono moldava ma ho anche la cittadinanza rumena.
Anche mio marito va adesso, siccome la fabbrica è stata chiusa, va a cercare lavoro. Quando lo vedono che è
rumeno: “Eh, ma tu sei rumeno!”. E allora cerchiamo di [farci] capire: “No, siamo moldavi, siamo stati con la
Russia”, ma il fatto che abbiamo voluto venire più per non pagare tanti soldi (perché se non hai passaporto
rumeno devi venire con 4000 euro per ogni persona), per il fatto se era la possibilità di fare la cittadinanza
rumena, abbiamo fatto e così, e allora, devi capire, all’inizio, quando facevi vedere che eri doppia cittadinanza, o
moldava o rumena, anche in Questura: “Come mai?”. Allora mi prendevano tutti e due i passaporti e andavano a
controllarli se erano veri o non sono falsi. E per questo, dico, tutti questi, quello che si parla di stranieri, ultimo
momento dei rumeni, già si sta spegnendo, tutto quello che era prima. (Madre moldava di alunno di scuola
primaria).
L’ultima citazione, riportata integralmente, rende una volta di più i timori degli intervistati
sul fatto che le retoriche del conflitto possano seriamente pregiudicare le possibilità di ascesa
sociale dei propri figli. Tra i genitori intervistati, appare acquisita la speranza che, a fronte
delle diverse posizioni di partenza, i ruoli di questi ultimi possano godere di maggiore status
rispetto a quelli svolti dai rispondenti.
Una possibile ascesa sociale per i figli comporta la contestuale richiesta di uno standard
educativo elevato alla scuola italiana. I genitori non sperano in termini generici, investono
personalmente e materialmente rispetto alla riuscita dei figli, testimoniandolo con nettezza.
Io tante volte ho sentito che la scuola italiana non è tanto avvantaggiata in confronto con le altre scuole
dell’Europa. Però posso dire che in confronto con la nostra scuola qua è meglio. Qua c’è più, come dire,
responsabilità, perché coinvolge tutti, genitori, studenti, è più responsabile per tutti perché noi siamo un paese
piccolo, un’economia non tanto forte come questo, un paese industrializzato che ha i soldi. A volte là dovevamo
portare il materiale per la scuola, comunque qua è meglio. (Padre di Santo Domingo di alunno di scuola
secondaria di I grado).
Quando io ero venuto qua, c’era una mediatrice che mi ha detto che qui in Italia le regole sono così. Perché io
capisco, anche da noi ci sono delle regole di scuola. Ma qui sono un po’ più alte. Anche da noi ci sono delle
regole, ma qui sono un poco di più. La verità è che forse da noi si fanno più lingue fin dall’inizio della scuola,
qui no. Da noi si parla subito l’arabo, il francese e l’inglese e quando vanno alle superiori avranno 3-4 lingue. Ed
è questo che manca ai miei figli, mio figlio ha 11 anni e non parla niente, parla solo l’italiano. Non ha l’inglese
come si deve o il francese, solo alla prima media impara il francese, questo io lo vedo come molto male, mah,
non sanno altre lingue, solo italiano e basta, escono fuori e sanno solo italiano. Per me è un grande problema
perché quando torno in Tunisia devi parlare il francese o l’arabo o l’inglese e sono tre lingue che non ha. In
qualsiasi paese che uno va deve parlare l’inglese prima di tutto. Da noi fin dal primo anno c’è l’arabo come
seconda lingua, il francese come lingua base e l’inglese. Così quando avrà 13 anni saprà già tre lingue. Qua fino
alla prima media solo italiano, tanto che il primo anno che siamo tornati giù, il mio figlio mi ha detto: mamma
cosa dice questo? Io gli ho risposto che se non sa la lingua tornano in Italia, non è che uno che non sa e va a
giocare. I figli con me parlano l’arabo, però tra fratelli parlano italiano e con i miei cognati parlano in francese,
almeno quando tornano in Tunisia imparano qualcosa. (Madre tunisina di alunno di scuola primaria).
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L’ultimo genitore citato, la madre tunisina di un bambino iscritto alla scuola primaria, è
stato anche l’unico ad aver avanzato l’ipotesi di programmi meno eurocentrici, proponendo
appunto l’istituzione di corsi di lingua araba.
Magari ci fosse anche l’arabo, se ci fosse lo iscriveremmo subito, comunque io ho scelto la scuola
media…perché fanno il francese, almeno quando torna giù in Tunisia parlano il francese. (Madre tunisina di
alunno di scuola primaria).
Sul fatto che le famiglie intervistate non abbiamo sviluppato delle richieste di secondo
livello, con ciò intendendo programmi interculturali che vadano oltre l’alfabetizzazione in
lingua italiana come L2, si sono interrogati anche i docenti e i dirigenti intervistati. Nonostante l’investimento familiare sopra dipinto, mancherebbe ancora nei genitori l’abitudine a
non accettare l’eventuale insuccesso, mobilitandosi in termini propositivi. Così come, a parere
dei docenti, il retroterra socio-economico comune a molte delle famiglie intervistate non
consente l’elaborazione di aspettative superiori a quelle date da un successo scolastico
ritenuto meta sufficiente.
Per quanto mi riguarda, ho l’impressione che le famiglie non abbiano particolari aspettative rispetto alla scuola.
Le famiglie hanno un minimo di attese dal punto di vista linguistico e si aspettano che abbiano un contesto tale
che garantisce in qualche modo un percorso minimale dal punto di vista scolastico senza tanti scossoni.
Guardandola dal di dentro, in maniera un po’ critica, credo che sia un’impressione certamente positiva perché
comunque la scuola come istituzione si è messa in moto negli ultimi anni, ma che comunque non rispecchi quella
che è la realtà. Questo visto dal di dentro, non corrisponde questa cosa ad un effettivo movimento della classe
insegnanti rispetto a questo problema. Quindi, traducendo dico dal mio punto di vista che rispetto al singolo
ragazzo c’è anche una certa attenzione, ma ancora non siamo riusciti ad incidere su quello che è l’aspetto più
generale del problema alunno straniero. (Insegnante di religione di scuola secondaria di I grado).
Credo che da parte dei genitori l’aspettativa sia quella di dare al figlio certi strumenti, ma manca l’aspettativa più
alta. Questo lo si vede da come poi proseguono poi gli studi, non solo per volontà dei genitori, nel senso che se i
ragazzini hanno un fallimento, generato da una serie di situazioni, non entro nel merito, che sia causa la scuola o
altro, i genitori accettano tutto sommato l’insuccesso e quindi per i genitori il livello di aspettativa è ancora in
una prima fase. Questo direi che è un campanello di allarme, il fatto che i genitori accettino uno stato di cose,
l’altro è che ci sono genitori che sicuramente apprezzano gli sforzi che le scuole stanno facendo ma che sono al
primo livello, come diceva il mio collega, e che tuttavia per i genitori sia già una buona offerta. Credo sia
effettivamente positivo per il loro vissuto questa valutazione (nel campione peraltro limitato e che ha una sua
storia pregressa, e questo ha il suo peso). Dall’altra è che vi sia ancora un primo livello di aspettativa che non
permette ai genitori di dire: “Bene, la scuola accoglie, ci ha dato degli strumenti e offre anche un percorso al mio
figlio, che non è solo la scuola dell’obbligo, magari non solo professionale”. Manca tutta questa cosa e inoltre
manca anche tutta quella parte che noi come scuola non valorizziamo ovvero le loro culture di provenienza, a
parte le culture delle loro lingue di origine. E un genitore che in qualche modo ha davanti il percorso dei propri
figli sa che questo è un aspetto molto rilevante per i propri figli. Sicuramente i genitori hanno un riscontro
positivo per quello che percepiscono, ma sicuramente perché siamo ancora ad un primo livello. (Insegnante di
scuola primaria).
Probabilmente abbiamo dei genitori, un gruppo sicuramente è un gruppo di genitori che culturalmente ha una
scuola secondaria e qualcuno anche un percorso universitario, ma mediamente hanno la scuola dell’obbligo e
quindi i genitori si aspettano forse che i figli abbiano un percorso di scuola secondaria di II grado, che loro nel
loro paese non hanno avuto, che li porti magari a non fare l’autista, a non fare l’edile, magari l’impiegato, ma
non ancora un percorso così a lungo termine quale può essere un percorso universitario. Voglio dire, molti dei
genitori che noi abbiamo non ci hanno mai parlato di un percorso universitario. (Insegnante di lettere di scuola
secondaria di I grado).
Diciamo che per quel che riguarda le prime bisogna distinguere quel che è il retroterra di provenienza, perché
cambia tantissimo e influisce molto anche il grado d’istruzione dei genitori, perché anche questo conta in quello
che diciamo sono le aspettative. Alle superiori, i genitori arrivano con idee non molto chiare su quello che può
essere il futuro dei loro figli, però noi abbiamo per esempio già due ragazzi marocchini che si sono laureati in
ingegneria e quindi le famiglie li hanno sostenuti. E quindi se la famiglia vede che c’è un percorso positivo, da
109
una parte una grossa volontà da parte dei ragazzi, però dall’altra vi sono anche le famiglie che li sostengono.
(Insegnante di diritto di scuola secondaria di II grado).
Prima di procedere alle considerazioni conclusive, è necessario un ultimo accenno al tema,
variamente citato, dell’impiego della gestione del tempo extrascolastico da parte delle famiglie immigrate.
Si è già potuto osservare, infatti, come un’offerta plurale da parte delle scuole, dimensionata su attività di diversa natura, incontri le esigenze dei genitori. I cambiamenti prospettati
in merito al tempo pieno, allora, non sembrano corrispondere alle esigenze degli stessi.
Prima la scuola non aveva il tempo pieno e questo per me era peggio. A mezzogiorno a casa e il pomeriggio a
fare i compiti. A me non piaceva tanto, come invece adesso. Adesso fanno tempo pieno, per i nostri bambini
questa cosa è molto meglio. Anche il fatto che ci sono da tre a quattro maestre per classe. Quando sono venuta io
non c’era questa cosa. (Madre kosovara di alunno di scuola primaria).
3.7 Conclusioni
Nelle pagine precedenti sono stati enucleati i principali risultati emersi dalle interviste
svolte a Treviso. Senza ripetere quanto già argomentato, vale la pena riprendere alcuni
elementi, affinché possano costituire future piste di lavoro e di indagine.
L’offerta formativa rivolta agli studenti di origine immigrata ha raggiunto un’apprezzabile
varietà d’interventi e poggia ora su più consapevoli basi di riflessione e condivisione tra gli
insegnanti. Gli interventi di alfabetizzazione coprono ancora la grande maggioranza dell’offerta complessiva ma, accanto ad essi, si stanno strutturando modalità complesse di comunicazione tra la scuola e la famiglia: la prima appare più capace di non presupporre assiomaticamente la lontananza delle famiglie immigrate, cercando al contrario di comprenderne le
motivazioni e di intervenire a monte per invertire la rotta di una comunicazione con tratti
ancora sporadici e non sempre sistematici. Un difetto di sistematicità altrettanto chiaro,
urgente nella necessità di risposta ad esso, si presenta tuttora nella diffusione degli interventi
approntati dalle scuole per rispondere alla presenza degli alunni di origine immigrata. La Rete
per l’integrazione si è costituita quale riferimento legittimato, ma non si può ancora affermare
che il corpo docente nella sua interezza sia stato investito del cambio di paradigma che per la
scuola rappresenta il crescente numero di alunni con cittadinanza non italiana. Le buone
prassi attivate dal basso, in maniera policentrica e cumulativa, possiedono il vantaggio di
rispondere da vicino ai bisogni emergenti degli studenti d’origine immigrata e delle loro
famiglie; quello che, tuttavia, costituisce un loro indubbio vantaggio, può rivelarsi anche il
loro più manifesto limite qualora esse continuino a peccare di scarsa organicità e permangano
troppo legate a quanti le hanno ideate e attuate per primi.
I genitori intervistati si dicono soddisfatti delle risposte date dalle scuole in cui i loro figli
sono inseriti ma, nonostante ciò, marcano l’eccessiva dipendenza di questi ultimi dalla volontà dei singoli docenti. Ciò, a fronte di una normativa che nel tempo si è stratificata,
aggiornandosi e a fronte di realtà di rete che molto hanno lavorato sulla diffusione dei principi
dell’accoglienza, di un inserimento accorto, meditato e non fondato sulla sola buona volontà.
L’expertise è cresciuta, ma non è ancora capace di incontrare la generalità dei soggetti cui
sarebbe destinata. Non i soli insegnanti referenti per l’intercultura ma, auspicabilmente, tutti
quanti pensano che l’aumento di complessità generato dagli alunni di origine immigrata sia
una sfida cui la scuola tutta non può sottrarsi. Nelle diverse articolazioni funzionali di cui essa
si compone.
Focalizzando le relazioni, appaiono in miglioramento quelle che gli insegnanti, non certamente nella loro totalità, intrattengono con le famiglie straniere. Le stesse modalità di controllo delle tensioni che possono nascere all’interno del gruppo classe, nelle parole dei ge110
nitori intervistati, trovano non raramente una risposta definita soddisfacente. In proposito, non
sono state indicate situazioni di conflitto esplicito anche per le capacità di mediazione che,
almeno nelle scuole oggetto d’indagine, i docenti hanno saputo sostanziare.
L’area rispetto alla quale pare sussistere ancora più ampio margine d’intervento, nondimeno, è quella della relazione tra le famiglie italiane e le famiglie immigrate. I loro contatti
sono ancora legati ad occasioni strumentali (in relazione all’esperienza scolastica dei figli) o
all’iniziativa di famiglie italiane attente a svolgere un ruolo attivo nei confronti delle seconde.
La risposta a questa difficoltà non risiede nella mancanza di interesse alla relazione da parte
dei genitori immigrati, piuttosto in un loro capitale sociale che pare non essersi ancora reso
meno che precario, dipendente da insufficienze strutturali (per esempio, mercato del lavoro) e
simboliche (ruolo delle retoriche). Senza ripetere quanto diffusamente riportato nel testo,
appare arduo pensare che la scuola, sola, possa colmare le lacune di un sistema sociale che,
anche a Treviso, continua a rappresentarsi come emergenziale più che emergente.
Nelle traiettorie consentite dal capitale sociale disponibile trovano spazio le aspettative
specifiche dei genitori intervistati. Su tutte, che la scuola sia per i loro figli un effettivo ed
efficace canale di mobilità sociale; che i loro figli possano contare su risorse di orientamento
capaci di intuirne tutte le potenzialità.
In proposito, quella che emerge dalle interviste non è una generica speranza; è ansia,
urgenza. Cui la scuola sempre più, al pari di quanto accade per gli alunni con cittadinanza
italiana, dovrà rispondere. Per raggiungere il predetto obiettivo, nel contesto di una generale
soddisfazione le famiglie straniere si sono espresse per il mantenimento di un elevato standard
educativo, consapevoli che nelle strettoie di disponibilità familiari non raramente limitate, in
particolare per esse la scuola può svolgere un importante ruolo d’integrazione e ausilio ai loro
figli.
Richieste di interventi di secondo livello, come l’apertura a programmi interculturali, non
sono proprie a molte famiglie intervistate. Non perché non vi sia interesse in tal senso ma, per
esplicita ammissione degli insegnanti intervistati, perché ciò potrà avvenire solo una volta
resosi più solido il capitale sociale delle famiglie di origine straniera.
111
3.8 Riferimenti bibliografici
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Siti consultati:
www.istat.it.; www.istruzioneveneto.it.; www.istruzione.it.
112
3.9 Allegato 1: elenco delle persone intervistate
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Insegnante di lettere, scuola secondaria di II grado (istituto professionale);
Insegnante di diritto, funzione strumentale, scuola secondaria di II grado (istituto professionale);
Dirigente di scuola secondaria di II grado (istituto professionale);
Insegnante di lettere, funzione strumentale, scuola secondaria di I grado;
Insegnante di religione, funzione strumentale, scuola secondaria di I grado;
Dirigente di scuola secondaria di I grado;
Insegnante di scuola primaria, referente della “Rete per l’integrazione degli alunni stranieri”;
Dirigente di circolo, scuola primaria.
Genitori intervistati
1. Padre italiano, ingegnere, con due figli: uno frequentante il secondo anno della scuola primaria, l’altro il
primo anno della scuola secondaria di I grado.
2. Madre tunisina, casalinga, marito connazionale (infermiere), diploma di scuola superiore, con due figli: uno
frequentante il terzo anno della scuola primaria, l’altro il primo anno di scuola secondaria di I grado, in Italia
dal 2000.
3. Madre kosovara, casalinga, marito connazionale (muratore), diploma di scuola superiore, con quattro figli: il
primo frequenta il terzo anno di scuola primaria, il secondo frequenta il primo anno di scuola secondaria di I
grado, la terza figlia frequenta il terzo anno di scuola secondaria di I grado, la quarta il secondo anno di
scuola secondaria di II grado, in Italia dal 2001.
4. Madre ungherese, casalinga, sposata con un italiano, con quattro figli: il terzo ed il quarto frequentano,
rispettivamente, il quinto anno di scuola secondaria di II grado e il terzo anno di scuola primaria; in Italia dal
1999.
5. Madre e padre italiani, casalinga e ferroviere, con due figli: uno frequenta il secondo anno di scuola
secondaria di I grado, l’altro il terzo anno di scuola primaria.
6. Padre proveniente dal Bangladesh, moglie connazionale, operaio, con un figlio iscritto al terzo anno di scuola
secondaria di I grado, in Italia dal 2002.
7. Padre cinese, magazziniere, moglie connazionale (casalinga), licenza elementare, con due figli: il primo
frequenta il quinto anno della scuola primaria, l’altro la scuola dell’infanzia.
8. Padre kosovaro, moglie connazionale (casalinga), tre figli: il primo frequenta il terzo anno della scuola
secondaria di I grado, il secondo il secondo anno della scuola secondaria di I grado e il terzo il secondo anno
della scuola primaria, in Italia dal 2002.
9. Madre e padre di Santo Domingo, entrambi con studi universitari nel paese di origine, padre operaio, moglie
casalinga, con due figli: una ragazza al terzo anno di scuola secondaria di I grado e un ragazzo al secondo
anno di scuola secondaria di II grado (istituto tecnico).
10. Madre proveniente dalla Costa D’Avorio, assistente domiciliare, marito connazionale (operaio), con 5 figli: il
primo frequenta l’ultimo anno della scuola secondaria di II grado (istituto tecnico), il secondo figlio di 18
anni frequenta il primo anno della scuola secondaria di II grado (istituto professionale), il terzo figlio
frequenta il primo anno di scuola secondaria di II grado (istituto tecnico), il quarto frequenta il secondo anno
di secondaria di I grado e il quinto il terzo anno di scuola primaria. In Italia dal 1996.
11. Padre americano, sposato con una connazionale, diploma di scuola superiore per entrambi, con tre figli: un
figlio al terzo anno di scuola secondaria di I grado, una figlia al terzo anno di scuola primaria e una figlia
che frequenta la scuola dell’infanzia, in Italia dal 2004.
12. Madre moldava, impiegata in una cooperativa, sposata con un connazionale (ora disoccupato), scuola
dell’obbligo, con due figlie: una ragazza al quarto anno di scuola primaria, un’altra al terzo anno di scuola
primaria.
13. Padre albanese, con due figli: una bambina che frequenta il terzo anno della scuola primaria, un bambino che
frequenta il primo anno di scuola primaria.
113
4. Prato
di Carlo Colloca30
4.1 Introduzione
Nel corso dell’ultimo decennio l’area pratese è stata interessata da consistenti flussi
migratori di cittadini stranieri tanto che, allo stato attuale, il fenomeno in questione mostra
caratteri strutturali. La presenza straniera è aumentata in maniera pressoché costante a partire
dagli ultimi anni ‘90; in particolare, con riferimento al territorio provinciale, l’incidenza della
componente immigrata sul totale dei residenti è duplicata nel corso degli ultimi 6 anni (dal
6% del 2001 al 12,7% del 2007).
La significatività del fenomeno migratorio nel territorio si riflette sul fenomeno dell’inserimento scolastico dei minori immigrati o dei minori di origine straniera che sono nati in
Italia. In particolare, la presenza di bambini stranieri nelle scuole della provincia risulta più
che proporzionale all’incidenza della presenza immigrata nel territorio; infatti se quest’ultima
si attesta al 12,7% nel 2007, la prima raggiunge un valore pari al 14,5% nell’anno scolastico
2006/2007.
La distribuzione della presenza straniera nel territorio evidenzia una significativa concentrazione nel comune di Prato dove risiede oltre l’80% degli stranieri residenti nella provincia.
Nella città di Prato si intrecciano i flussi dei nuovi arrivati e i percorsi di integrazione di
cittadini stranieri che sono residenti ormai da anni. Sono proprio le scuole del capoluogo
quelle più interessate dalla presenza di alunni stranieri e dall’arrivo di minori immigrati,
spesso ad anno scolastico già iniziato.
In tale contesto assume particolare significatività la relazione che viene ad istaurarsi tra gli
istituti scolastici e le famiglie straniere, che si caratterizzano – anche in base all’appartenenza
nazionale – per un diverso percorso migratorio. Lo strutturarsi di relazioni di scambio tra le
istituzioni scolastiche e le famiglie straniere diviene il presupposto essenziale per la fruizione
dei diritti di cittadinanza da parte dei nuovi cittadini e dei loro figli e mostra significative
implicazioni rispetto alla buona riuscita del percorso formativo del minore straniero. Da parte
delle istituzioni scolastiche si pone la necessità di ripensare il proprio assetto con l’obiettivo
di fornire un’offerta formativa adeguata alla sfida della multietnicità.
Il presente rapporto intende documentare quanto finora emerso dall’attività di indagine
condotta nel territorio pratese, fra il mese di gennaio del 2009 e il mese di aprile del 2009,
soffermandosi sulle dinamiche innescate dalla crescente presenza di alunni stranieri nelle
scuole, con particolare attenzione per ciò che concerne la declinazione dei rapporti
scuole/famiglie straniere. È opportuno precisare che l’indagine ha coinvolto tre scuole,
distinte per livello scolastico. Si tratta, in particolare, della scuola elementare Fabio Filzi,
della secondaria di I grado Ser Lapo Mazzei e della scuola secondaria di II grado Istituto
Professionale Datini.
30
Ricercatore universitario presso l’Università di Catania. Collabora con l’Università di Firenze.
114
Le tre scuole sono state selezionate, oltre che sulla base della significativa presenza di
alunni stranieri, in virtù di una loro distribuzione per appartenenza nazionale evitando quelle
scuole dove talune nazionalità (in particolare quella cinese) potevano essere sovra-rappresentate. Si è preferito procedere nell’indagine facendo riferimento a quelle realtà scolastiche
che, pur registrando una presenza rilevante di alunni cinesi, sembravano riprodurre in maniera
più equilibrata la presenza straniera sul territorio. A tale proposito è necessario precisare che,
per quanto riguarda le famiglie e gli alunni stranieri, nel corso dell’indagine si è ritenuto
opportuno considerare varie nazionalità nell’intento di rappresentare, il più possibile, la
molteplicità di voci presenti nelle scuole pratesi31.
Nello svolgimento della ricerca è sembrato opportuno avvalersi di taluni testimoni privilegiati, vale a dire delle informazioni e delle riflessioni raccolte intervistando i rappresentanti
delle istituzioni locali, del mondo dell’associazionismo e della ricerca, che, a vario titolo, si
confrontano con le dinamiche dei processi migratori e, in particolare, con la problematica del
rapporto fra famiglie straniere e scuola, oltre che delle opinioni del personale scolastico dei tre
istituti oggetto di indagine. Sono stati intervistati, in particolare: l’Assessore all’Istruzione del
Comune di Prato, l’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione del Comune di Prato,
due ricercatori dell’Agenzia di Servizi per le Economie Locali (ASEL)32, un’operatrice del
Servizio Immigrazione del Comune di Prato, una referente della Caritas Diocesana di Prato e
un referente dell’associazione cinese Associna.
Con riferimento al personale scolastico si è ritenuto opportuno intervistare i dirigenti
(presidi) e due docenti di ciascuna scuola. In particolare per quanto riguarda l’Istituto
Professionale Datini sono stati intervistati un docente di Italiano ed una docente di Economia
Aziendale; nelle scuole Ser Lapo Mazzei e Filzi, collocate presso l’Istituto Comprensivo
Marco Polo, sono state intervistate la referente interculturale dell’Istituto Comprensivo, una
insegnante della scuola elementare ed una docente di italiano della scuola media.
L’indagine si è avvalsa, inoltre, dell’osservazione partecipante realizzata in tre classi
dell’Istituto Professionale Datini.
L’obiettivo dell’attività di rilevazione è stato di intervistare almeno due famiglie italiane e
quattro famiglie straniere per ciascuna delle scuole oggetto di indagine. Nell’intento di
contattare le famiglie degli alunni stranieri si è proceduto sia mediante canali formali
(personale scolastico) sia mediante richieste al personale extrascolastico. Quest’ultima
modalità è stata necessaria anche in virtù della difficoltà manifestata, in primis, dai referenti
delle scuole nel riuscire a contattare le famiglie immigrate, segnatamente quelle di nazionalità
cinese. A tale criticità dell’attività di rilevazione si è riusciti ad ovviare per ciò che riguarda la
scuola secondaria di II grado anche grazie alla disponibilità di uno dei docenti. Per quanto
riguarda le scuole di grado inferiore, invece, le interviste sono state realizzate durante le
giornate di ricevimento generale dei docenti. Complessivamente sono state intervistate
ventuno famiglie (quindici immigrate e sei italiane).
Nell’esposizione dei risultati si avrà modo di rilevare che talune tematiche risultano
trasversali rispetto ai capitoli indicati. In particolare ciò è riscontrabile con riferimento al tema
del rapporto tra le famiglie straniere e le istituzioni scolastiche, che costituisce il focus
dell’indagine.
31
In totale sono state realizzate quindici interviste a famiglie straniere originarie dei seguenti Paesi: Albania, Bangladesh,
Brasile, Cina, Pakistan, Perù e Sri Lanka. Per un elenco dettagliato e per informazioni biografiche sulle famiglie intervistate
cfr. Allegato 1.
32
ASEL collabora attivamente con l’Osservatorio Provinciale di Prato alla redazione annuale dei Rapporti sull’Immigrazione nella Provincia e, nell’ambito dell’Osservatorio Scolastico Provinciale, alla redazione dei Rapporti sulla Scuola
pratese.
115
4.2 Qualità del contesto
Nella città di Prato, in base ai dati Istat aggiornati al 31 dicembre 2007 (vedi tab. 4.1), su
una popolazione di 185.603 abitanti gli stranieri sono 23.658 pari al 12,7% sul totale dei
residenti (tale valore è il più alto tra i capoluoghi di provincia della Toscana). Prato, con il
21,2% degli immigrati, è seconda nella regione per numero di stranieri residenti nei
capoluoghi di provincia e con Firenze raccoglie oltre il 20% delle presenze su un totale di
275.149 stranieri in tutta la Toscana.
Tabella 4.1 - Popolazione straniera residente nei dieci capoluoghi di provincia toscani al 31 dicembre 2007
Numero di
stranieri
residenti
% Stranieri residenti sulla
popolazione del singolo
capoluogo
% Stranieri residenti sul
totale dei capoluoghi di
provincia
Firenze
37.634
10,3
33,8
Prato
23.658
12,7
21,2
Arezzo
8.969
9,2
8
Pisa
7.667
8,8
6,9
Livorno
7.116
4,4
6,4
Massa Carrara
6.545
4,8
5,9
Pistoia
6.494
7,3
5,8
Lucca
5.481
6,6
4,9
Grosseto
4.527
5,7
4,1
Siena
3.359
6,2
3
Tot. dei cap. di prov.
111.450
8,3
100
Totale Toscana
275.149
7,5
-
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, cfr. http://demo.istat.it/.
Analizzando la popolazione straniera residente nel comune per classe di età e per genere
(tab. 4.2) si nota come la fascia più rappresentata sia quella tra i 18 e i 40 anni, che supera la
metà del totale (51,4%); seguono i minorenni e gli adulti tra i 41 e i 60 anni, mentre sono
relativamente pochi gli individui sopra i 60 anni.
Tabella 4.2 - Popolazione straniera residente nel comune di Prato per appartenenza di genere e per classe di
età al 31 dicembre 2007
Maschi
Totale
Femmine
N
%
N
%
N
%
0 – 17
3.283
52,4
2.984
47,6
6.267
26,5
18 – 40
41 – 60
6.548
2.500
53,8
52,9
5.622
2.224
46,2
47,1
12.170
4.724
51,4
20
226
45,5
271
54,5
497
2,1
Totale
12.557
53,1
11.101
46,9
23.658
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat/Anagrafe comunale, cfr. http://web.rete.toscana.it/demografia/.
100
> 61
Per la composizione di genere, va evidenziato che a livello regionale si è registrata una
femminilizzazione progressiva dei flussi migratori. Nel 2007, infatti, le donne immigrate in
Toscana hanno rappresentato il 51,1% della popolazione straniera. Prato, però, costituisce
un’eccezione rispetto al contesto regionale; mentre le altre province confermano una
prevalenza della immigrazione femminile con percentuali che variano dal 50,6% di Massa
116
Carrara al 58% di Grosseto e Siena, il dato di Prato si ferma, invece, al 47%. Va, tuttavia,
evidenziato che nel triennio 2006/2009 si registra un incremento della componente femminile
pari al 17,7%. A proposito delle nazionalità se ne contano sul territorio pratese 113; quelle più
presenti sono la cinese, l’albanese, la rumena, la pakistana e la marocchina (tab. 4.3).
Tabella 4.3 - Nazionalità straniere più presenti tra la popolazione residente nel Comune di Prato al 28 febbraio
2009
Maschi
Femmine
Totale
Minorenni
N
%
N
%
N
%
N
%
Cinesi
3.706
36,8
3.290
32,6
3.080
30,6
10.076
40,7
Albanesi
1.807
41,2
1.360
31
1.223
27,8
4.390
17,8
Rumeni
763
33,9
1.100
48,8
389
17,3
2.252
9,1
Pakistani
921
54,6
292
17,3
474
28,1
1.687
6,8
Marocchini
672
46,9
347
24,2
415
28,9
1.434
5,8
Altre nazionalità*
1.500
30,7
2.363
48,3
1.027
21
4.890
19,8
Totale
9.369
37,9
8.752
35,4
6.608
26,7
24.729
100
Fonte: ns. elaborazioni su dati dell’Annuario Statistico del Comune di Prato;
cfr. http://www.comune.prato.it/annuario/news2008/htm/pop.htm.
* Si fa riferimento alle restanti 108 nazionalità presenti a Prato.
Secondo i dati contenuti nell’Annuario statistico del Comune di Prato, la presenza cinese
si mantiene stabile negli ultimi tre anni (nel 2006 si attestava a 10.077 unità); diminuiscono
soprattutto gli uomini (-22%), mentre aumentano i minorenni (+8,6%). Sempre rispetto al
2006 si registra un incremento della presenza albanese (+13%), soprattutto donne (+17,4%) e
minorenni (+13,7%), anche se l’aumento più significativo (+4,5%) è quello della comunità
rumena (in particolare donne) che sale al terzo posto della graduatoria delle nazionalità,
superando i pakistani e i marocchini. I minorenni rumeni sono, invece, al terzo posto per
presenze dopo quelli pakistani e marocchini; questo dato può essere spiegato sia a causa di
una migrazione più recente e quindi di un ritardo di inserimento della famiglia rumena nel
territorio pratese rispetto alle altre nazionalità di più consolidata migrazione, sia a causa di
una diversa strategia migratoria che contraddistingue i flussi provenienti dall’Europa dell’Est.
Questi ultimi, infatti, si caratterizzano per una forte femminilizzazione, mentre i mariti ed i
figli continuano a risiedere nel paese di origine. La migrazione termina, generalmente, con il
ritorno delle donne rumene nel paese di origine, una volta conseguiti gli obiettivi economici
prefissati. La logica risulta rovesciata, invece, nel caso della comunità pakistana, i cui flussi
migratori sottolineano una netta prevalenza degli uomini (54,6%), seguiti dai minorenni
(28,1%) e da una scarsa presenza delle donne (17,3%). Anche i pakistani, come i cinesi, non
incrementano la loro presenza rispetto al 2006 (+1%). La strategia migratoria pakistana,
paragonabile per affinità anche a quella marocchina, prevede l’assunzione di responsabilità da
parte dell’uomo le cui scelte vengono condivise all’interno del biraderi33, un gruppo patri33
Un biraderi è un gruppo di persone, costituito da tutti i discendenti, per linea paterna, di un comune antenato. Ogni
pakistano nasce all’interno di un biraderi, cui apparterrà per tutta la vita. Questa cerchia di persone viene chiamata in causa
in molte situazioni inerenti lo svolgimento della vita dei propri membri, ivi compresa la decisione di emigrare, che quindi
non è quasi mai espressione di una volontà singola o di un nucleo familiare, bensì di una strategia pianificata all’interno della
comunità che considera residuale il ruolo della donna. Ne consegue un forte indebolimento, o più precipuamente,
l’esclusione delle donne da ogni tipo di scelta. In seguito alla migrazione dell’uomo, la donna attende il ricongiungimento
nella società di arrivo, dove ha il compito di ricreare quei legami familiari tipici della comunità denominati lena-dena: un
sistema di scambio di doni e ospitalità attuato soprattutto dalle donne nell’obiettivo di perpetuare i legami sociali. Tuttavia la
mancata emancipazione nel mercato occupazionale impedisce alle donne di integrarsi e di vivere in maniera autonoma
rispetto al marito, la cui intermediazione con la società ospite è fondamentale per il normale svolgimento della vita
quotidiana delle donne pakistane.
117
lineare in cui ogni uomo è inserito fin dalla nascita.
Dunque è generalmente l’uomo che emigra per primo e provvede alla propria famiglia
inviando le rimesse in patria e preparando il ricongiungimento con mogli e figli. Anche la
migrazione marocchina si contraddistingue per una contenuta presenza femminile (24,2%) e
dei minorenni (28,9%) rispetto a quella dagli uomini (46,9%).
Per comprendere meglio come si distribuisce la popolazione immigrata nel contesto
territoriale pratese è opportuno fare riferimento anche alle altre province toscane. Come è
possibile evincere dai dati che seguono (tab. 4.4), in Toscana i cinesi e i pakistani si
concentrano prevalentemente nel comune di Prato, dove rappresentano rispettivamente il 40%
e il 56,3% dell’intera presenza a livello regionale. Sempre a Prato cresce la presenza dei
rumeni ma non in maniera rilevante rispetto alle città di Firenze o Arezzo, mentre più elevate
risultano le percentuali di marocchini e albanesi, seconde soltanto alle percentuali di Firenze. I
dati, inoltre, illustrano la distribuzione che le nazionalità esaminate riportano sul territorio
toscano: i pakistani e i cinesi risiedono nei capoluoghi di provincia, mentre i marocchini, gli
albanesi e i rumeni si collocano soprattutto nei comuni minori (cfr. tab. 4.4), con percentuali
che rispettivamente raggiungono il 70,5%, il 67,7% e il 65,7%.
Tabella 4.4 - Distribuzione delle nazionalità secondo il comune di residenza al 31 dicembre 2007
Albanese
Cinese
N
%
Firenze
4.230
Prato
3.989
Arezzo
Marocchina
Pakistana
N
%
N
%
7,6
3.811
14,8
1.653
7,7
7,2
10.431
40
1.365
6,4
1.027
1,8
237
0,9
377
1,7
Pisa
1.227
2,2
247
0,9
275
Livorno
1.230
2,2
305
1,2
356
Massa Carrara
1.047
1,9
153
0,6
Pistoia
Capoluoghi
N
Rumena
%
N
%
113
3,8
4.789
9,2
1.667
56,3
1.656
3,2
519
17,5
3.229
6,2
1,3
23
0,8
797
1,5
1,7
32
1,1
1.197
2,3
797
3,7
4
0,1
2.152
4,2
3.067
5,5
232
0,9
595
2,8
-
0,0
1.097
2,1
Lucca
870
1,6
56
0,2
526
2,5
9
0,3
1.473
2,8
Grosseto
623
1,1
185
0,7
267
1,2
20
0,8
970
1,9
Siena
660
1,2
70
0,3
94
0,4
1
0,0
396
0,8
Totale
17.970
32,3
15.727
60,9
6.305
29,5
2.388
80,6
17.756
34,3
Comuni provincia*
37.736
67,7
10.091
39,4
15.082
70,5
574
19,4
34.007
65,7
Totale Toscana
55.706
100
25.818
100
21.387
100
2.962
100
51.763
100
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, cfr. http://demo.istat.it/str2007/index.html.
* La modalità raccoglie i dati sulla presenza degli immigrati nei comuni delle dieci province ad esclusione dei capoluoghi.
Come è noto Prato è in grado di attrarre un consistente flusso di lavoratori ed imprenditori
stranieri nel settore tessile, dove trova impiego la quasi totalità dei lavoratori cinesi. Secondo
il Rapporto 2007 sull’immigrazione a cura dell’ASEL «se fino al 2003 la crescita del numero
di imprese attive in provincia era determinata sia dagli autoctoni che dagli stranieri, a partire
dal 2004 è solo l’iniziativa di questi ultimi che consente un perdurante incremento del numero
di imprese attive in provincia. La percentuale di imprese a conduzione straniera è cresciuta
progressivamente fino ad arrivare, nel 2006, a sfiorare il 18% del totale delle imprese attive
(4.985 su 27.791, pari al 17,9%)» (ASEL 2008, p. 47).
Oltre alla già ricordata enclave cinese nel settore tessile, si osservano numerose iniziative
commerciali dei pakistani e dei marocchini negli esercizi di vendita al dettaglio. Rispetto agli
italiani, che nel 2006 fanno registrare saldi negativi, gli stranieri segnano un aumento degli
avviamenti, soprattutto nel commercio all’ingrosso di prodotti tessili e di abbigliamento (ivi,
p. 117).
118
Un altro settore importante per l’inserimento occupazionale straniero è quello delle
costruzioni. Dal 2002 al 2005 l’incidenza delle imprese straniere in questo settore è più che
raddoppiata (dal 7,2% al 15,4%) ad opera soprattutto di cittadini albanesi e, in misura assai
minore, marocchini, rumeni e pakistani. I pakistani sono, invece, i protagonisti di un
inserimento significativo nel settore manifatturiero, dove vengono assunti nella maggioranza
dei casi come lavoratori scarsamente qualificati. I marocchini fanno registrare percentuali
significative, invece, nell’avviamento di attività nell’agricoltura e si inseriscono in maniera
abbastanza uniforme in varie aree occupazionali, come quelle edili e dei servizi alle imprese,
ma anche in questo caso come operai generici o manovali edili (ivi, p. 164).
Per i lavoratori rumeni si nota una prevalenza della presenza femminile che configura
l’inserimento occupazionale di questa comunità, principalmente, nel settore dei servizi alla
persona, mentre la componente maschile risulta impiegata nell’ambito delle costruzioni.
Nell’anno scolastico 2007/08, secondo l’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel sistema
scolastico nazionale sono 574.133 unità e rappresentano il 6,4% del totale degli alunni (tab.
4.5). Gli alunni stranieri mostrano un’incidenza del 6,7% nelle scuole dell’infanzia, del 7,7%
nella scuola primaria, del 7,3% nella scuola secondaria di I grado e, infine, del 4,3% nella
secondaria di II grado. Queste percentuali sono largamente superate dai dati della Toscana
che, con 45.243 alunni stranieri (9,4% della popolazione scolastica regionale), si discosta dal
dato nazionale di un +3% e si posiziona al settimo posto della graduatoria delle regioni
italiane per presenza scolastica straniera.
In Toscana Prato detiene cifre da record, attestandosi al primo posto delle dieci province
con il 15% degli alunni stranieri sul totale regionale, mentre è seconda su scala nazionale,
preceduta soltanto da Mantova (15,3%).
Nella provincia di Prato gli alunni stranieri sono 4.970; la maggior parte si concentra
soprattutto nella scuola primaria (1.934 alunni, vale a dire il 38,9% del totale) e secondaria di
I grado (1.122, pari al 22,6%). Nella scuola dell’infanzia si conteggiano 983 alunni che
rappresentano il 19,8% delle presenze, mentre il restante 18,7%, corrispondente a 931 alunni,
è presente nella scuola secondaria di II grado.
Comparando i dati delle ultime tre annualità scolastiche (tab. 4.6), a far segnare la crescita
percentuale più consistente nel triennio 2005/2008 è la scuola secondaria di II grado, che
passa da 664 a 931 studenti stranieri (vale a dire un incremento del 40,2%). Più contenuto
l’aumento percentuale nella scuola secondaria di I grado (+6%) che fa registrare, invece,
nell’ultimo biennio un saldo negativo, diminuendo di 63 unità gli alunni stranieri.
L’incremento più alto, pari al 22,5%, è riportato dalla scuola primaria (+439 unità, da
1.495 a 1.934 alunni). In totale, nell’anno scolastico 2007/2008, rispetto all’anno scolastico
precedente, l’incidenza straniera fa registrare un +0,5%, con un aumento di 282 alunni iscritti,
da 4.688 a 4970.
Concentrando l’analisi sul Comune di Prato (tab. 4.7), attraverso i dati provenienti
dall’Osservatorio Scolastico Provinciale di Prato (Sambo e Conte 2008), è possibile rilevare
le tendenze dell’ultimo triennio scolastico disponibile (dal 2004 al 2007). Il numero di alunni
stranieri è in costante crescita, in particolar modo nella scuola secondaria di II grado, dove la
percentuale è quasi raddoppiata in tre anni. Tuttavia la presenza più consistente si registra
nelle scuole primarie e secondarie di I grado, in termini assoluti nel primo caso e in termini di
incidenza percentuale nel secondo caso. Questi dati sono in linea con le tendenze nazionali e,
possono considerarsi la conseguenza di una trasformazione dell’immigrazione verso l’Italia
da temporanea a stanziale. Si tratta di un fenomeno relativamente recente cosicché «i figli
degli immigrati sono in media ancora molto giovani e pochi di loro hanno ancora raggiunto
l’età per iscriversi alle superiori» (Mencarini 2008, p. 23).
119
Tabella 4.5 - Anno scolastico 2007-2008. Distribuzione degli alunni stranieri nelle province della Toscana per
scuola di appartenenza
Infanzia
Primarie
Secondarie
I° grado
Totale
Secondarie
II° grado
N
%
N
%
N
%
N
%
Firenze
2.754
10,8
5.112
12,2
3.098
12,9
2.835
7,5
13.799
Arezzo
938
10,8
1.867
13
1.118
12,9
1.260
8,1
5.183
Prato
983
15
1.934
17,5
1.122
17,6
931
10,3
4.970
Pisa
811
7,9
1.683
10
913
9,3
846
5,6
4.253
Siena
681
10,6
1.368
12,7
876
13,5
766
7,5
3.691
Pistoia
671
9,3
1.361
11,1
829
11,6
800
6,7
3.661
Lucca
692
7,1
1.358
8,4
787
8
733
4,7
3.570
Livorno
362
4,7
844
6,4
579
7,2
628
4,6
2.413
Grosseto
341
6,8
750
9
495
9,7
547
5,8
2.133
Massa Carrara
308
6,6
587
7,7
284
6
391
4,4
1.570
8.541
9,3
16.964
11,1
10.101
11,2
9.737
6,6
45.243
111.044
6,7
217.716
7,7
126.396
7,3
118.977
4,3
574.133
Toscana
Italia
Fonte: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Mpi 2008b).
Tabella 4.6 - Anni scolastici 2005-2008. Alunni stranieri nella provincia di Prato per scuole di appartenenza
Scuole
Anno 2005-2006
Anno 2006-2007
Anno 2007-2008
N
%
N
%
N
%
Infanzia
734
11,9
878
13,9
983
15
Primaria
1.495
14,4
1.768
16,2
1.934
17,5
Secondaria I° grado
1.054
16,3
1.185
18,4
1.122
17,6
664
7,8
857
9,8
931
10,3
3.947
12,5
4.688
14,5
4.970
15
Secondaria II° grado
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato per gli anni scolastici 2005/2006 e
2006/2007 (Conte 2007, Sambo e Conte 2008); Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per l’anno
2007/2008 (Mpi 2008b).
Occorre ricordare che, dietro a motivazioni riguardanti il recente consolidamento degli
immigrati nel tessuto sociale italiano, vi sono ragioni più allarmanti che riguardano la
mancata integrazione socio-economica degli stranieri che «induce molti giovani stranieri a
dare priorità all’inserimento lavorativo, piuttosto che alla prosecuzione degli studi oltre
l’obbligo» (Ibidem). I dati sui tassi di scolarità degli alunni stranieri sono esemplificativi di
una crescente attenzione delle famiglie immigrate all’istruzione obbligatoria dei figli che però
non acquista la stessa rilevanza con riferimento all’istruzione superiore. I dati nazionali
confermano, infatti, una tendenza all’abbandono scolastico dopo la scuola dell’obbligo.
Un dato degno di nota emerge dalla comparazione della presenza degli alunni italiani e
stranieri nelle scuole secondarie di I grado; mentre gli stranieri aumentano del 12,7% dal
2005/2006 al 2006/2007 (si passa infatti da 858 a 967); gli alunni italiani registrano un
decremento del 3,2%, passando dalle 4.116 presenze nel 2005/2006 alle 3.983 dell’ultimo
anno scolastico preso in esame. Anche nelle scuole dell’infanzia si evidenziano tendenze
simili, in quanto, mentre gli stranieri aumentano da 586 a 691 (vale a dire +17,9%), gli italiani
fanno segnare un -1,9% in quanto calano da 4.099 a 4.020. In totale, dal 2004, gli alunni
120
italiani nelle scuole sono aumentati dell’1,2% (da 22.447 a 22.724 unità) mentre per gli
stranieri, che sono passati da 2.645 nel 2004/2005 a 3.926 nel 2006/2007, si registra un
incremento del 48,4%.
Tabella 4.7 - Anni scolastici 2004-2007. Popolazione scolastica nel Comune di Prato
Scuole
Anno 2004-2005
Anno 2005-2006
Anno 2006-2007
N*
N Str.
% Str.
N*
N Str.
% Str.
N*
N Str.
% Str.
Infanzia
4.464
468
10,5
4.685
586
12,5
4.711
691
14,7
Primaria
7.661
1.017
13,3
7.966
1.220
15,3
8.417
1.453
17,3
Secondaria I grado
4.924
752
15,3
4.974
858
17,2
4.950
967
19,5
Secondaria II grado
8.043
408
5,1
8.274
626
7,6
8.572
815
9,5
25.092
2.645
10,5
25.899
3.300
12,7
26.650
3.926
14,7
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Maggina 2006, Conte 2007,
Sambo e Conte 2008). * Numero totale di alunni italiani e stranieri.
Può essere interessante notare che nel Comune di Prato si concentra la gran parte degli
alunni stranieri presenti nel territorio provinciale: nell’anno scolastico 2006/2007, su 4.688
alunni presenti a livello provinciale (cfr. tab. 4.6), 3.926 frequentano le scuole del comune
capoluogo, cioè l’83,7%.
A proposito della distribuzione per nazionalità degli studenti stranieri, il quadro che
emerge rispecchia la dimensione della popolazione immigrata nella provincia di Prato, con
una netta prevalenza degli alunni cinesi che, nell’anno scolastico 2006/2007, rappresentano il
42% degli alunni stranieri (nel 2002/03 rappresentavano oltre il 50%); seguono gli albanesi
(24,2%), i marocchini (7,1%), i rumeni (5,4%) ed i pakistani (4,2%). Complessivamente
queste cinque nazionalità rappresentano l’83% dell’intera popolazione scolastica straniera
presente nei diversi ordini di scuola (Sambo e Conte 2008, p. 10). Prato è certamente un
esempio, a livello nazionale, di una specializzazione etnica che coinvolge la comunità cinese,
in seguito ad opportunità lavorative che questa ha saputo identificare e sviluppare sul
territorio. Oltre alle questioni economiche il consolidamento della presenza cinese negli anni
è dovuto alla crescita dell’insediamento comunitario e delle reti etniche che favoriscono
l’inserimento dei nuovi arrivati.
Con riferimento ai dati per nazionalità nel Comune di Prato (tab. 4.8) è confermato il dato
provinciale di un’alta concentrazione degli alunni cinesi (1.733 unità) i quali, su un totale di
3.926 alunni stranieri, rappresentano il 44% della popolazione scolastica straniera. Gli
albanesi presentano percentuali inferiori e, con 858 iscritti, si attestano al 21,8% del totale;
seguono a distanza i marocchini (6,5%), i pakistani (5,8%) e i rumeni (5,1%). I cinesi insieme
agli albanesi raggiungono i due terzi degli alunni iscritti alle scuole e le cinque nazionalità in
questione rappresentano l’82,1% della popolazione scolastica straniera.
I cinesi e i pakistani raggiungono l’incidenza maggiore nella scuola secondaria di II grado,
mentre gli albanesi e i marocchini nelle scuole per l’infanzia. La presenza marocchina si
distingue per una bassa incidenza nella scuola secondaria superiore, facendo supporre una
tendenza all’abbandono scolastico precoce a favore di un inserimento nel mondo del lavoro.
Se si prende in considerazione il dato nazionale, su un totale di oltre 500.000 alunni
stranieri, i cinesi rappresentano soltanto il 4,9% del totale; in vetta alla graduatoria ci sono gli
albanesi (15,6%), i rumeni (13,7%) e i marocchini (13,6%) (Ivi, p. 11). I dati di Prato, dunque,
differiscono da quelli nazionali e evidenziano l’alta concentrazione dei cinesi e degli albanesi
ed un gap per i marocchini ed i rumeni. La divergenza con il dato nazionale si evince anche
da un ulteriore aspetto: mentre le “altre nazionalità” raggiungono, a Prato, il 17,9%, a livello
nazionale si attestano al 52,2% (Ibidem).
121
Tabella 4.8 - Anno scolastico 2006/2007. Alunni stranieri nel comune di Prato per nazionalità
Infanzia
Primaria
Secondaria I
grado
Totale
Secondaria II
grado
N
%
N
%
N
%
N
%
N
%
Cinesi
229
33,1
622
42,8
531
55
351
43,1
1.733
44,1
Albanesi
194
28,1
312
21,5
158
16,3
194
23,8
858
21,8
Marocchini
69
10
102
7
46
4,8
37
4,5
254
6,5
Rumeni
34
4,9
88
6,1
43
4,4
42
5,1
207
5,3
Pakistani
25
3,6
59
4,1
41
4,2
47
5,8
172
4,4
Altre naz.*
140
20,2
270
18,6
148
16,3
144
17,7
702
17,9
Totale
691
100
1.453
100
967
100
815
100
3.926
100
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Conte 2008).
* Si fa riferimento ad 83 nazionalità.
Sempre in riferimento all’anno scolastico 2006/2007, riflettendo sul dato complessivo
degli alunni italiani e stranieri presenti nelle scuole del comune (in totale 26.650), i cinesi
rappresentano il 6,5%, gli albanesi il 3,2%, i marocchini l’1%, i rumeni lo 0,8% e i pakistani
lo 0,6%; infine le altre nazionalità coprono il 2,6% del totale.
Analizzando l’inserimento degli alunni nelle tre scuole oggetto della ricerca (tab. 4.9), è
possibile notare una forte incidenza della presenza straniera che aumenta costantemente negli
anni, il che motiva la scelta dei tre istituti in questione per gli studi di caso. Va precisato,
altresì, che il primato di presenze cinesi ed albanesi ha fatto propendere per queste due
nazionalità sia nell’analisi presso gli istituti scolastici sia nella selezione delle famiglie da
intervistare. La scuola Fabio Filzi (dove nel 2005/2006 è stata istituita una classe di soli
alunni stranieri) è la scuola elementare con l’incidenza di stranieri più alta fra le scuole di
Prato e di tutta la provincia; analogamente la scuola media Ser Lapo Mazzei che registra
l’incidenza maggiore di alunni stranieri tra le scuole dello stesso grado. L’Istituto
Professionale Datini risulta, invece, terzo tra le scuole secondarie di II grado, preceduto dagli
istituti Dagomari e Marconi. Rispetto a queste ultime, il Datini presenta, tuttavia, una
distribuzione più bilanciata delle cinque nazionalità sopra citate, in particolare di alunni cinesi
ed albanesi. Nella Filzi, dall’anno scolastico 2004/2005 al 2006/2007, gli stranieri sono
aumentati del 50% (da 42 a 63 presenze), mentre la loro presenza risulta invariata nella scuola
media, dove, invece, gli italiani diminuiscono di 16 unità (-12,9%). L’incremento più
consistente degli studenti stranieri avviene nella scuola superiore, la Datini, dove si passa
dalle 109 presenze nell’anno scolastico 2004/2005 alle 196 presenze nel 2006/2007 (vale a
dire +79,8%), laddove gli italiani crescono da 1.045 a 1.101 unità (cioè +12,3%).
Tabella 4.9 Anni scolastici 2004-2007. Alunni stranieri nelle scuole Filzi, Mazzei e Datini
Anno 2004-2005
Anno 2005-2006
Totale
Anno 2006-2007
N* N Str. % Str
N* N Str. % Str
N* N Str. % Str
82
42
51,2
83
55
66,3
87
63
72,4
252
160
63,4
Scuola media Mazzei
287
94
32,8
258
90
34,9
244
101
41,4
263
95
36,1
Ist.to profes.le Datini
1.154
109
9,4 1.158
154
13,3 1.297
196
15,1 3.609
459
12,7
Scuola elementare Filzi
N* N Str. % Str
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Maggina 2006, Conte 2007,
Sambo e Conte 2008). * Numero totale di alunni italiani e stranieri.
Un indicatore importante per la scuola secondaria di II grado proviene dalla tipologia di
122
istituto che gli stranieri scelgono. A livello nazionale la percentuale più alta di studenti non
italiani sul totale degli iscritti si registra negli istituti professionali (7,5%), seguiti dagli istituti
tecnici (4,1%) e dai licei (1,7%) (Sambo e Conte 2008). La graduatoria viene confermata
anche dai dati provenienti dal Comune di Prato, anche se con dati nettamente superiori alla
media italiana (tab. 4.10). Nell’anno scolastico 2006/2007 la concentrazione maggiore di
studenti stranieri è negli istituti professionali (16,4%), seguita dagli istituti tecnici (11,6%) e
infine dai licei (5%). Inoltre il numero degli studenti stranieri, dall’anno scolastico 2004/2005
al 2006/2007, in tutte e tre i tipi di istituto è praticamente raddoppiato: in particolare negli
istituti tecnici si registra un aumento di presenze da 154 nell’anno scolastico 2004/2005 a 319
nel 2006/2007 (+107%). Nei licei il numero è aumentato del 97%, passando da 103 a 203
studenti, mentre la presenza straniera negli istituti professionali aumenta da 150 a 293 unità
(+95,3%). La tendenza si inverte se si concentra l’attenzione sui dati degli alunni italiani. Al
contrario degli stranieri, il numero degli studenti italiani negli istituti tecnici diminuisce nel
triennio preso in considerazione (da 2.667 nell’anno scolastico 2004/2005 a 2.421 nel
2006/2007) e fa registrare un -9,2%. L’incremento più consistente, pari a 764 studenti,
avviene invece nei licei (+21,6%), mentre negli istituti professionali, dove si passa da una
presenza di 1.435 studenti italiani nell’anno scolastico 2004/2005 a 1.488 nell’anno scolastico
2006/2007, si registra un +3,6%.
Tabella 4.10 - Anni scolastici 2004-2007. Alunni stranieri nelle scuole secondarie di II grado nel comune di
Prato
Indirizzo
Anno 2004/2005
Anno 2005/2006
Totale
Anno 2006/2007
N
N Str
% Str
N
N Str
% Str
N
N Str % Str
N
N Str
% Str
Istituti professionali
1.585
150
9,5
1.627
226
13,9
1.781
293
16,4
4.993
669
13,4
Istituti tecnici
2.821
154
5,5
2.840
235
8,3
2.740
319
11,6
8.401
708
8,4
Licei
3.637
103
2,8
3.807
165
4,3
4.501
203
5
11.945
471
3,9
Totale
8.043
407
5,1
8.274
626
7,6
9.022
815
9
25.339 1.848
7,3
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Maggina 2006, Conte 2007,
Sambo e Conte 2008).
Considerando le nazionalità (tab. 4.11) emerge che il 50% degli alunni stranieri presenti
nelle tre scuole è cinese; seguono, con un’incidenza nettamente inferiore, gli albanesi
(21,9%), i rumeni (5%), i marocchini (4,7%) e i pakistani (3,6%), mentre le restanti
nazionalità si fermano al 14,7%. Le nazionalità cinese ed albanese, dunque, rappresentano
quasi tre quarti dell’intera popolazione straniera dei tre istituti. Nella scuola elementare la
distribuzione tra le nazionalità è più eterogenea, mentre nella scuola media Mazzei la
percentuale di cinesi e albanesi è nettamente maggioritaria (insieme raggiungono il 78,3%).
Anche nell’Istituto Professionale Datini le comunità cinese e albanese sono le più numerose, mentre raggiunge il 18,4% il peso delle altre nazionalità. Se si tiene conto anche del
numero dei bambini italiani, alla Filzi, su un totale di 87 alunni, 25 sono cinesi (28,7%), 24
sono gli italiani (27,6%) e 17 albanesi (19,5%). Nella scuola media Mazzei, invece, su un
totale di 244 alunni, i cinesi sono 65 (cioè il 26,6% del totale), gli albanesi sono 14 (5,7%),
mentre gli italiani raggiungono 143 presenze e rappresentano il 58,6% del totale. Infine
all’Istituto Datini, su un totale di 1.297 alunni, gli italiani sono nettamente maggioritari e, con
1.101 presenze, costituiscono l’84,9% del totale; seguono i cinesi (90 unità, vale a dire il 6,9%
del totale) e gli albanesi (48 unità, cioè il 3,7%).
Se si approfondisce l’analisi della presenza straniera a livello delle singole classi, i dati
dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato indicano una sostanziale equilibrio tra la
percentuale della classe prima e la classe finale della scuola secondaria di I grado (in prima
123
media la percentuale di alunni stranieri è 18,5% mentre in terza media il 18,8%). La tendenza
cambia nella scuola secondaria di II grado dove, a percentuali ancora abbastanza alte di
presenza straniera nelle classi prime (18,5%) corrisponde un netto calo nelle classi quinte
dove si registra il 2,5% (Sambo e Conte 2008, p. 16).
Tabella 4.11- Anno scolastico 2006/2007. Alunni stranieri nelle scuole Filzi, Mazzei e Datini per nazionalità
Scuola elementare Filzi
Scuola media Mazzei
Totale
Istituto Professionale Datini
N
%
N
%
N
%
N
%
Cinesi
25
39,7
65
64,4
90
45,9
180
50
Albanesi
17
27
14
13,9
48
24,5
79
21,9
Rumeni
7
11,1
4
4
7
3,6
18
5
Marocchini
6
9,5
4
4
7
3,6
17
4,7
Pakistani
3
4,8
2
2
8
4,1
13
3,6
Altre naz.*
5
7,9
12
12
36
18,4
53
14,7
63
100
101
100
196
100
360
100
Totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Conte 2008).
* Si fa riferimento ad 83 nazionalità.
La problematica degli esiti scolastici degli studenti stranieri è un tema complesso ed
articolato che per essere indagato richiede non soltanto un’analisi dei rendimenti, ma anche
una riflessione sul grado di integrazione e sulla qualità del rapporto degli alunni stranieri col
sistema scolastico italiano. La riuscita di un percorso scolastico può dipendere da numerosi
fattori, sia interni (la formazione del corpo docenti, l’ambiente e le relazioni sociali, la qualità
dei programmi) sia esterni alla scuola (il capitale economico e culturale della famiglia, la
tipologia di progetto migratorio legato alla stanzialità definitiva o meno, l’importanza che la
famiglia attribuisce alla formazione dei propri figli).
Oltre al problema della diversità linguistica gli studenti stranieri scontano generalmente un
ritardo rispetto ai coetanei italiani, che spesso è collegato al trasferimento dal paese di origine
a quello di destinazione col conseguente inserimento nella scuola che può avvenire a ciclo di
studi già iniziato. In virtù di questo ritardo si registrano, a fine anno, tassi di bocciature più
elevati e risultati scolastici appena sufficienti. Nel caso in cui l’inserimento dell’alunno
avvenga ad anno scolastico inoltrato, ad esempio, dopo gennaio, spesso si preferisce
attribuirgli una classe inferiore di appartenenza. Inoltre esistono situazioni problematiche
legate alla discontinuità del percorso scolastico degli immigrati dovute sia all’inserimento dei
ragazzi stranieri in classi di età non corrispondenti alla propria, sia alla mobilità della famiglia
all’interno del paese d’arrivo che costringe gli studenti a cambiare istituto, percorso scolastico, frequentazioni ed amicizie.
La non conoscenza della lingua della società di arrivo, in particolare per coloro che non
possiedono nel proprio bagaglio culturale lingue neolatine, è certamente un ostacolo all’apprendimento iniziale. Tuttavia, seguendo le indicazioni provenienti da una ricerca effettuata
nelle scuole della provincia di Teramo sul rendimento scolastico (Vardanega 2003), gli
insegnanti indicano che gli studenti stranieri incontrano maggiori difficoltà in materie quali la
storia, la geografia e, più in generale, le materie umanistiche. In questo caso, più che di ritardo
linguistico, appare più opportuno parlare di difficoltà inerenti la diversità culturale e la
mancata conoscenza dei contesti di inserimento.
Occorre inoltre considerare come l’obiettivo del bi-tri-linguismo sia un elemento importante per la riuscita scolastica del minore: «il bilinguismo non crea confusione e non
ostacola la riuscita scolastica. Anzi, la completa rimozione della propria lingua, con il passaggio al solo italiano in famiglia, risulta avere un effetto penalizzante sui percorsi scolastici
124
dei ragazzi, esattamente come il mantenimento della sola lingua di origine come vettore di
comunicazione familiare» (Giovannini e Queirolo Palmas 2002, pp. 128-129).
Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il divario di
riuscita tra italiani e stranieri aumenta progressivamente nel passaggio dalla scuola primaria a
quella secondaria: nell’anno scolastico 2006/2007 nella scuola primaria gli alunni stranieri
sono stati promossi nel 96,4% dei casi (a confronto con il 99% degli italiani), ma nella scuola
secondaria di I grado le percentuali scendono al 90,5% (contro il 97,3% degli italiani) e al
72% nella scuola secondaria di II grado (contro l’86,4% relativo agli alunni italiani; cfr. Mpi
2008a, pp. 67-68).
I dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato articolano il fenomeno
distinguendo le percentuali di chi ha ottenuto il diploma di scuola media e di scuola superiore
da chi invece non lo ha ottenuto, da chi non è stato ammesso o che si è ritirato o trasferito
(tab. 4.12). Le percentuali più negative per gli stranieri sono riscontrabili nella scuola
secondaria di I grado, dove gli italiani vengono licenziati nel 97,5% dei casi, vale a dire un
20% in più rispetto ai coetanei stranieri. Nella scuola media oggetto dell’indagine (Mazzei) il
27,6% dei ragazzi stranieri non consegue la licenza media, rispetto al 5,2% degli italiani.
Tabella 4.12- Anno scolastico 2006/2007. Risultati scolastici nella scuola Mazzei.
Licenziati
Non licenziati
Non ammessi
Ritirati
Trasferiti
% Ita
% Str
% Ita
% Str
% Ita
% Str
% Ita
% Str
% Ita
% Str
Scuola media
Ser Lapo Mazzei
94,8
72,4
3,4
10,3
0,0
10,3
1,7
0,0
0,0
6,9
Totale secondaria I°
grado
97,4
74
1,2
9,5
0,2
3,6
0,4
5,8
0,7
6,8
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Conte 2008).
Analizzando, invece, il rendimento scolastico degli alunni stranieri presenti nell’Istituto
Professionale Datini e nella provincia di Prato (tab. 4.13), oltre al dato relativo alla
promozione, appare interessante osservare la frequenza dei ritiri e dei trasferimenti che
avvengono in particolare nelle classi prime degli istituti superiori.
Tabella 4.13 - Anno scolastico 2006/2007. Percentuali del rendimento scolastico degli alunni stranieri
nell’Istituto Professionale Datini
Risultati
I
%
Datini
II
%
Totale
%
Datini
III
%
Totale
%
Datini
IV
%
Totale
%
Datini
V
%
Totale
%
Datini
%
Totale
Promossi/qualificati
13,3
15,9
31,4
25,9
82,6
55,1
28,6
27,8
0,0
0,0
Promossi con debito
24,8
19,1
37,1
33,3
0,0
18
42,9
32,9
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
90
91,2
45,1
39,6
22,9
31
13
22,5
14,3
20,3
0,0
2,9
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
10
5,9
12,4
15,7
0,0
4,6
0,0
1,1
0,0
6,3
0,0
0,0
Trasferiti
4,4
9,6
8,6
5,2
4,3
3,4
14,3
12,7
0,0
0,0
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
Diplomati
Non ammessi/non qualificati
Non diplomati
Ritirati
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (Sambo e Conte 2008).
I dati relativi all’anno scolastico 2006/2007 evidenziano che nelle prime classi degli istituti
superiori di II grado soltanto il 35% dei ragazzi stranieri è promosso, poco più di un terzo. La
125
maggioranza viene respinta (39,6%) e quantitativamente numerosi sono i ritirati (15,7%),
mentre il restante 9,6% viene trasferito.
Dunque è ragionevole ipotizzare che il 25,3% degli studenti stranieri (i ritirati o trasferiti)
sia coinvolto, con ogni probabilità, nelle dinamiche della mobilità migratoria della propria
unità familiare o da scelte che impongono un inserimento lavorativo a scapito del percorso di
studi. Una volta superato lo scoglio della prima classe, le percentuali si abbassano
notevolmente nel secondo e terzo anno (rispettivamente 9,8% e 4,5% di ritirati e trasferiti) per
poi risalire al quarto (19%). La percentuale dei non ammessi all’annualità successiva decresce
fino a dimezzarsi nel quarto anno (da 39,6% del primo anno al 20,3%), fino all’abbattimento
del quinto anno (2,9%). Le classi che manifestano maggiori problematiche sono dunque le
prime e le quarte, dove la percentuale dei ritirati e dei trasferiti incide significativamente sul
totale dei promossi.
Per l’Istituto Professionale Datini le prime classi rappresentano quelle più problematiche: il
45,1% degli studenti stranieri, infatti, non viene ammesso all’annualità successiva, mentre i
promossi sono complessivamente il 38%. La situazione migliora nelle classi successive,
soprattutto per il numero dei ritirati che, dal 12,4% del primo anno scolastico, tende a
scomparire negli anni seguenti. Migliorano, inoltre, le percentuali dei promossi (in particolare
dei promossi senza debito), che passano dal 13,3% del primo anno al 28,6% del quarto anno,
mentre gli studenti non ammessi all’annualità successiva diminuiscono dal 45,1% della prima
classe al 14,3% della quarta.
Gli studenti del Datini, infine, presentano dati in linea con il totale provinciale per quel che
riguarda le percentuali dei diplomati (il 90% degli studenti stranieri consegue la maturità
superiore contro il 91,2% del totale provinciale), mentre il restante 10% viene respinto.
Va detto, altresì, che l’intero percorso scolastico di uno studente può essere inficiato nel
rendimento da un inserimento tardivo che può pregiudicarne l’intera annualità e rimanere così
in ritardo nei confronti dei coetanei. Confrontando i dati provenienti dall’Osservatorio
Scolastico della Provincia sulla posizione degli alunni nei confronti del normale ciclo di studi
(tab. 4.14) è possibile osservare come già nella prima classe della scuola primaria il 12,9%
degli alunni stranieri sia in ritardo. Nel prosieguo degli studi il ritardo continua ad aumentare,
ma il divario che si configura tra gli alunni italiani e stranieri desta un certo allarme: in terza
media soltanto il 38,1% degli stranieri risulta in parità, a confronto col 95,1% dei compagni
italiani. In media, nei tre anni di scuola secondaria di I grado (generalmente considerata come
il nodo fondamentale dell’indirizzo futuro degli studenti), più della metà degli alunni stranieri
è in ritardo. In conclusione il Rapporto Provinciale riporta un ulteriore dato preoccupante,
affermando che oltre un quarto dei ragazzi stranieri esce dalla scuola media a 16 o 17 anni,
quando cioè la maggioranza dei coetanei sta per terminare il ciclo della scuola secondaria di II
grado (ASEL 2008, p. 46).
Tabella 4.14 - Anno scolastico 2006/2007. Studenti in ritardo di almeno un anno nella provincia di Prato.
Scuola primaria e secondaria di I grado
Italiani
Stranieri
I prim.*
II prim.
III prim.
IV prim.
V prim.
I sec.**
II sec.
III sec.
1,2
0,6
0,9
1,1
1,3
3,3
3,9
4,9
12,9
12,4
16
20,8
34
46,3
51,7
61,8
Fonte: nostre elaborazioni su dati dell’Osservatorio Scolastico della Provincia di Prato (ASEL 2008).
* Scuola primaria; ** Scuola secondaria di I grado
La composizione delle classi è un fattore che ricopre una notevole importanza nella
strutturazione dell’ambiente, delle relazioni interpersonali degli alunni, ma anche nel campo
della riuscita scolastica. In genere gli insegnanti individuano una soglia di eterogeneità, fissata
nel 25% della presenza straniera in classe, superata la quale la situazione diventa critica.
126
L’investimento che le famiglie immigrate compiono nei confronti dell’educazione
scolastica dei propri figli rappresenta spesso la volontà di riscatto e l’affermazione della
riuscita del percorso migratorio. Un riscatto intergenerazionale rispetto alle condizioni socioeconomiche di partenza dei genitori che le seconde generazioni hanno il compito di portare a
termine. Il successo scolastico «costituisce la migliore chance per portare a compimento la
traiettoria sociale innescata dai propri parenti e per assumere il ruolo adulto che l’ambiente
famigliare ha predisposto per i componenti della cosiddetta seconda generazione» (Colombo
2004, p. 41). Ma come è noto il rendimento scolastico degli studenti stranieri è ostacolato da
numerosi fattori di svantaggio che, insieme alle forti aspettative che il nucleo familiare ha nei
loro confronti, possono determinare forme di frustrazione.
Le ragioni che intendono spiegare il diverso rendimento e il fenomeno della dispersione
scolastica degli stranieri possono essere ricercate in molteplici aspetti. Numerose ricerche
individuano nella posizione socio-economica della famiglia di appartenenza un elemento
fondamentale che si lega alle diversità etniche e di genere prefigurando per gli studenti un
vantaggio/svantaggio strutturale (Fischer, 2003). Il fenomeno può trasformarsi in una vera e
propria segregazione quando le famiglie immigrate si inseriscono in un’area urbana già
segnata da forme di marginalità, le cosiddette enclaves, che formano delle zone-ghetto con
riflessi sulle scuole presenti nel territorio tanto da poter innescare processi di stigmatizzazione
da parte di insegnanti e gruppo dei pari nei confronti degli studenti stranieri. Recenti studi,
pur riconoscendo il legame tra la classe sociale e l’insuccesso scolastico, sottolineano
l’esistenza di ulteriori motivi che si rendono necessari per ottenere una spiegazione più ampia
del fenomeno, partendo dalla constatazione che, a parità di classe sociale, gli alunni immigrati
hanno prestazioni migliori dei coetanei autoctoni, in virtù probabilmente di quella volontà di
riscatto sociale cui si accennava poco sopra (Farley e Alba, 2002). Alcune ricerche assumono
come fattore centrale l’istruzione dei genitori che incide sul percorso scolastico dei figli quale
incentivo al proseguimento degli studi e come fonte di una maggiore integrazione nel sistema
educativo, risultando quindi «il più importante predittore del successo scolastico, non
diversamente da quanto avviene per la popolazione nativa» (Ambrosini e Molina, 2004, p.
35). Nello stesso ambito viene compresa l’importanza della etnicità e dei legami con le
proprie radici, che formerebbe una comunità fondata sulla solidarietà e sul reciproco aiuto in
grado potenzialmente di superare gli svantaggi presenti a livello strutturale ed evitando i
fenomeni di abbandono scolastico: «ambienti sociali ristretti, vigilanti, culturalmente
integrati, favoriscono la conformità ai valori familiari, che a loro volta promuovono l’impegno scolastico e comportamenti virtuosi sotto il profilo dell’accettazione sociale» (Ivi, p.
30). In questo senso, proseguendo con un’analisi di genere, sembrerebbe confermata
l’importanza delle relazioni familiari dal miglior rendimento delle studentesse rispetto ai
maschi, in quanto «la maggiore costrizione entro la tradizione, cui soggiace in molto casi la
migrazione declinata al femminile, sembrerebbe produrre forme di sovra-investimento
materiale e simbolico nel campo educativo» (Queirolo Palmas, 2006, p. 30). Nella stessa
logica si inserisce il più alto tasso di scolarità delle ragazze straniere nella scuola superiore (al
contrario della scuola inferiore dove gli alunni maschi sono più numerosi), indice anch’esso di
un nuovo protagonismo femminile nel campo dell’istruzione, in particolare negli indirizzi
liceali, a confronto di una tendenza da parte dei coetanei maschi a scegliere percorsi di
istruzione professionale, tecnica o di avviamento al lavoro.
Secondo Ambrosini e Molina (2004) tra i fattori strutturali che risulterebbero decisivi per
un corretto percorso formativo dei ragazzi stranieri ci sono: il buon funzionamento del
sistema scolastico, in grado di ricevere e accompagnare l’inserimento degli alunni
appartenenti a culture e lingue diverse e la disponibilità delle istituzioni scolastiche della
società di arrivo di riconoscere i titoli e le esperienze di studio maturate nel paese di origine.
È importante, altresì, indagare i percorsi familiari e individuali dello studente nel suo
127
complesso e soprattutto l’educazione trasmessa a casa, nonché distinguere gli alunni anche in
base all’appartenenza nazionale: emerge, infatti, un differente rendimento scolastico che
sembra premiare gli alunni di origine asiatica rispetto ai coetanei sudamericani. Le variabili
come la diversità linguistica, che certamente hanno un peso importante, non devono essere
considerate come predittive tout court del destino scolastico di un alunno in quanto «scarse
conoscenze linguistiche si registrano non solo tra i ragazzi che hanno conosciuto bocciature e
ripetenze, ma anche tra i regolari, evidenziando che la scarsa competenza linguistica diventa
determinante solo in presenza di un complesso di difficoltà di apprendimento» (Giovannini,
2006, p. 160).
A consolidare le tesi sull’importanza del contesto sociale e delle variabili relative alla
dimensione relazionale dei soggetti stranieri rispetto ai fattori strutturali è la ricerca curata da
Giovannini e Queirolo Palmas nel 2002 dal titolo: Una scuola in comune, che ha analizzato un
campione di 1.000 studenti di terza media residenti in nove città italiane. Il rendimento
scolastico è stato misurato tramite la costruzione di un Indice di Riuscita Scolastica
Complessiva (IRSC) che ha combinato diversi fattori strutturali, relazionali e di atteggiamento
e dove è risultato come prevalente il peso degli ultimi due fattori, dimostrando che «la riuscita
scolastica può essere definita in larga misura dal grado di benessere/disagio (rilevato
analizzando il sistema di relazioni con i compagni e con i docenti), dal grado di
sicurezza/insicurezza (sia nella scelta tra scuola e lavoro, sia nei confronti del futuro
lavorativo) e dalle aspettative alte o basse verso il proprio futuro» (Baldoni e Mencarini,
2008, p. 17). Sempre in questa ricerca si mette in discussione la legittimità della distinzione
basata sull’etnicità come criterio per la spiegazione dei risultati scolastici e si pone in rilievo,
invece, la dimensione relazionale e l’ambiente scolastico.
Il problema delle disuguaglianze che si generano nel percorso formativo tra alunni italiani
e stranieri è dunque analizzabile sotto molteplici aspetti: «da un lato l’agire classico dei
condizionamenti legati alla posizione sociale e al capitale culturale, mitigati da una tendenza
al sovra-investimento simbolico nel riscatto attraverso l’educazione; dall’altro il possibile
trascinamento in campo educativo della costruzione dello straniero in nemico interno che
contraddistingue appunto lo spazio pubblico e mediatico; infine il ruolo del capitale e delle
reti sociali, nel determinare ancora una volta il rendimento differenziale dei titoli educativi,
rivela l’insostenibile leggerezza del merito per i figli dei migranti» (Queirolo Palmas, 2006, p.
66).
Alcune risposte al problema dell’integrazione scolastica vanno nella direzione dall’adozione di percorsi individualizzati di accoglienza, di test per la valutazione delle competenze
linguistiche iniziali, della previsione di classi transitorie che dovrebbero permettere poi un
migliore inserimento dell’alunno straniero. Molto importanti, inoltre, potrebbero risultare i
progetti da dedicare al doposcuola e al recupero in orario extra-curriculare (Colombo, 2004,
pp. 49-50). Sembra irrinunciabile, inoltre, curare la formazione degli insegnanti orientandola
più al pluralismo delle culture e dei saperi. Altrettanto basilare si rivela la promozione in
classe di un clima collaborativo, sia nei rapporti tra i ragazzi che col corpo degli insegnanti,
da realizzare anche mediante l’approvazione di curricula ufficiali meno etnocentrici e che
abbraccino materie ed elementi di conoscenza non esclusivi della cultura autoctona. Infine è
centrale il ruolo delle famiglie che anche la scuola dovrebbe saper coinvolgere più nella vita
degli istituti favorendo, altresì, forme di dialogo fra autoctoni e stranieri.
4.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
La presenza di alunni stranieri nelle scuole pratesi risulta significativa e in crescita. In
particolare, l’incidenza degli alunni stranieri sull’intera popolazione scolastica è più che
128
raddoppiata nel corso degli ultimi otto anni (dal 5% circa dell’anno scolastico 1999/2000 si è
ad un valore pari al 14,5% nell’anno scolastico 2006/2007).
Tradizionalmente la maggiore concentrazione di famiglie straniere si avrebbe nel centro di
Prato, sebbene i testimoni privilegiati intervistati riferiscano di recenti evoluzioni del fenomeno migratorio nel territorio che implicherebbero un crescente interessamento delle aree più
periferiche. Nonostante ciò in continuità con la tradizionale distribuzione delle famiglie
immigrate nel territorio, la maggiore concentrazione di alunni straneri si riscontra nelle scuole
del centro di Prato. È proprio in una di queste scuole che nel corso dell’anno scolastico
2005/2006 la cospicua presenza di alunni stranieri ha comportato il verificarsi del primo caso
di una classe interamente costituita da alunni stranieri.
Nel tentativo di riequilibrare la presenza degli alunni stranieri ed italiani e prevenire, per
quanto possibile, la concentrazione degli alunni stranieri in determinate scuole, il Comune di
Prato è più volte intervenuto a modificare lo stradario34 in base al quale sono assegnati gli
istituti scolastici in relazione alla zona di residenza dell’alunno. Si tratta di interventi che
hanno prodotto risultati modesti. Tuttavia, come testimoniato dall’Assessore all’Istruzione, la
questione della concentrazione di alunni stranieri nelle scuole, ad oggi ancora irrisolta, è
suscettibile di essere affrontata secondo due strategie contrapposte: la prima, esemplificata
dall’Assessore facendo riferimento al provvedimento già adottato dal Comune di Vicenza,
implicherebbe una maggiore chiusura per cui si stabilirebbero delle quote massime di alunni
stranieri presenti nelle classi. La seconda, quella auspicata dall’Assessore, consisterebbe nel
considerare come italiani i bambini stranieri nati in Italia. Infatti, relativamente all’inserimento scolastico, i minori di origine straniera che sono nati in Italia mostrerebbero percorsi
assimilabili a quelli dei bambini italiani. Si tratterebbe di una strategia di maggiore apertura
ma che, come testimonia l’Assessore, dovrebbe fare i conti con le resistenze culturali delle
famiglie autoctone35.
Negli ultimi tre anni abbiamo lavorato sugli stradari spostando, “cucendo” le strade (rispetto alle zone, ndr.) così
da fare in modo che gli stranieri mediamente non superassero il 50% ma ormai siamo arrivati a un bivio, perché
ormai gli aggiustamenti sullo stradario li abbiamo fatti tutti. A livello nazionale è emersa - ed è stata anche sui
giornali - la scelta che ha fatto il Comune di Vicenza di stabilire delle quote dicendo che gli stranieri non
possono superare in nessuna classe, in nessun ordine di scuola il limite del 30%. Per cui quelli che fossero in
eccedenza dovrebbero essere portati in un’altra scuola. Intanto io ho una resistenza di carattere ideologico nel
fare una cosa del genere, mi sembrerebbe di “deportare i bambini”, poi siamo una città molto più grande di
Vicenza, dovremmo organizzare il trasporto pubblico. Ma al di là del fatto morale, il trasportare i bambini,
intanto, scontenterebbe le famiglie e poi creerebbe turbolenza tra i genitori italiani delle scuole dove li potremmo
portare. Questa mi sembra una strada scarsamente percorribile nella nostra realtà. L’altra strada è quella di fare
una battaglia culturale forte, considerando che nelle scuole di pertinenza del Comune noi abbiamo mediamente il
21% di alunni stranieri, su 16.000 ne abbiamo poco di più che 3.000; la metà di questi sono nati in Italia. Noi
dovremmo cominciare a sancire con documenti e anche con la pratica che gli stranieri nati in Italia sono italiani.
Da un punto di vista legislativo in Italia non ci si fa, attraverso una direttiva del Comune si può fare, però
bisogna fare una battaglia culturale perché sia accettato dai cittadini. (Intervista all’Assessore all’Istruzione del
Comune di Prato).
Laddove la consistenza numerica degli alunni stranieri risulta prevalente rispetto a quella
degli alunni italiani, le famiglie di questi ultimi sembrerebbero assumere talvolta atteggiamenti recriminatori nei confronti del sistema scolastico, minacciando in alcuni casi il ritiro del
figlio dalla scuola.
34
Va evidenziato che tale meccanismo non ha carattere vincolante e sussiste unicamente per le scuole dell’obbligo di
pertinenza del Comune, vale a dire la scuola che fa riferimento alla fascia di età compresa tra i 6 ed i 14 anni.
35
Per una riflessione sulle strategie di composizione delle classi nei contesti multietnici e le implicazioni che ne possono
derivare, cfr. Colombo (2004, pp. 47-48).
129
Io ricevo spesso telefonate del tipo: “Sono stato ad iscrivere mio figlio: sono 18 stranieri e solo 7 italiani in una
classe. Io ritiro anche il mio” e poi si rischia di avere classi di solo stranieri che è il contrario dell’integrazione.
(Intervista all’Assessore all’Istruzione del Comune di Prato).
Come testimoniato da vari interlocutori intervistati nella maggior parte dei casi le recriminazioni ad opera dei genitori italiani non sembrerebbero avere conseguenze concrete.
Con riferimento agli interventi posti in essere per agevolare l’inserimento degli alunni
stranieri nel contesto scolastico si rileva che nell’aprile del 2007 il Comune di Prato ha
sottoscritto un Protocollo di intesa per l’accoglienza degli alunni stranieri e per lo sviluppo
interculturale del territorio pratese, insieme ad altri soggetti del territorio quali l’Ufficio
Scolastico Regionale del Ministero della Pubblica Istruzione, la Regione Toscana, l’Ufficio
Scolastico Provinciale, la Provincia di Prato, i Comuni della Provincia di Prato36 e gli istituti
scolastici del territorio pratese37. Va evidenziato che in Italia, a partire dall’ultimo decennio, si
è registrata una progressiva diffusione di strumenti quali i protocolli al fine assicurare, nel
regime di crescente autonomia degli istituti scolastici, una certa omogeneità delle procedure di
accoglienza degli alunni stranieri (Colombo, 2004, p. 49). A tale proposito, come è emerso
nell’intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione, l’autonomia degli istituti e
la creazione di una rete fra questi costituiscono i principi cardine del Protocollo in questione.
(Il Protocollo, ndr) definisce il contesto organizzativo delle autonomie scolastiche che interpretano l’autonomia
nell’unità delle forze. Autonomamente decidono di lavorare in rete per conseguire l’obiettivo dell’accoglienza
con diverse modalità quindi anche conferendo all’alfabetizzazione linguistica, alla facilitazione linguistica, un
tenore appropriato alla difficoltà che ha il ragazzo che poi siederà sui banchi di scuola. (Intervista all’Assessore
alla Multiculturalità e all’Integrazione del Comune di Prato).
Come è stato precisato dall’Assessore all’Istruzione, il Protocollo è nato essenzialmente
per rispondere con un approccio sistemico a due problematiche ricorrenti nell’inserimento
scolastico degli alunni stranieri: la prima riguardava la questione dell’apprendimento della
lingua italiana da parte di alunni stranieri. La necessità di promuovere delle attività volte a
fornire competenze nella lingua italiana si poneva in particolare per gli alunni di origine
cinese. In questo senso sono stati istituiti attraverso il Protocollo dei laboratori per
l’insegnamento della lingua italiana già sperimentati negli anni precedenti.
Alcuni dirigenti scolastici, d’accordo con l’Assessorato e con il Comune hanno cominciato a fare dei laboratori.
L’esperimento più proficuo è stato quello di fare una sorta di screening dei ragazzi che arrivavano, verificare lo
stato delle loro conoscenze, in particolare delle conoscenze della lingua italiana e poi, dopo avergli assegnato la
classe, farli partecipare a dei laboratori cosiddetti full immersion in cui, per due-tre mesi (quello che era
necessario) si cercava di insegnargli le nozioni fondamentali della lingua per poter partecipare alle lezioni. Non
abbiamo mai pensato a fare classi differenziate perché ci muoviamo all’interno dell’articolo V della
Costituzione. Al bambino viene assegnata la classe, poi per alcune ore in alcuni giorni partecipa a dei laboratori
in cui gli viene insegnata la lingua. (Intervista all’Assessore all’Istruzione del Comune di Prato).
La seconda problematica a cui si è cercato di far fronte con la sottoscrizione del Protocollo
riguardava l’inserimento di alunni stranieri che arrivano in Italia ad anno scolastico già
iniziato. Si tratta di un fenomeno che risulta particolarmente marcato nel territorio.
Ogni anno mediamente ne arrivano (di bambini stranieri ad anno scolastico iniziato, ndr) da un minimo di 150 ad
un massimo di 250. Cioè da un minimo di sei classi piene ad un massimo di 10 classi piene; ogni anno è un
plesso nuovo anche da un punto di vista dell’edilizia scolastica. (Intervista all’Assessore all’Istruzione del
Comune di Prato).
36
Si tratta dei Comuni di Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Vaiano e Vernio.
Tra i firmatari del Protocollo risultano tutte le scuole primarie e secondarie statali, oltre che il coordinamento diocesano
delle scuole paritarie con sede a Prato.
37
130
Generalmente la pianificazione dell’organico scolastico si conclude entro il mese di aprile
per quanto riguarda l’anno scolastico successivo, con una determinazione definitiva delle
classi entro il mese di agosto. Pertanto i bambini stranieri che arrivano in Italia dopo tale
periodo possono essere inseriti unicamente nelle classi già esistenti.
Abbiamo cercato una risposta sul come integrare i bambini stranieri che arrivano in corso d’anno. I bambini che
arrivavano dopo la determinazione definitiva dell’organico scolastico, finché c’era posto si inserivano, poi non
sapevamo più dove metterli perché secondo la nostra legislazione non è più possibile costituire classi dopo la
chiusura dell’organico. (Intervista all’Assessore all’Istruzione del Comune di Prato).
L’obiettivo principale del Protocollo è quello di far fronte al problema non secondario dell’arrivo di bambini
stranieri durante il corso dell’anno scolastico. La discussione all’interno delle istituzioni era essenzialmente
legata alla costituzione di una rete, una distribuzione dei pesi dei bambini che arrivano nel corso dell’anno
scolastico e che non conoscono la lingua. Si tratta di un fenomeno che altera il meccanismo routinario di
funzionamento dell’istituzione scolastica, così c’è stato questo tentativo di affrontarlo attraverso il Protocollo.
(Intervista a responsabile ASEL).
Per ovviare alla difficoltà di inserimento dei minori stranieri che giungono ad anno
scolastico iniziato è stata predisposta una rete di raccordo degli istituti scolastici del territorio
in modo che una volta concluse le disponibilità di posti presso un determinato istituto,
mediante una rete di contatti sia possibile reperire un posto disponibile presso un’altra scuola.
Qualora non vi fossero più posti disponibili, attraverso la rete delle scuole è organizzato un
laboratorio linguistico che accompagna il nuovo alunno in vista dell’inserimento all’anno
scolastico successivo.
Questo nuovo sistema di gestione degli arrivi di alunni stranieri durante il corso dell’anno
scolastico ha dato buoni risultati tanto che, in base a quanto riferito dall’Assessore all’Istruzione, nell’anno scolastico 2007/2008 per la prima volta si è riusciti a collocare tutti i nuovi
arrivati.
Secondo il parere dei testimoni intervistati quest’ultimo intervento costituirebbe uno degli
esiti più concreti del Protocollo. Va, infatti evidenziato che attraverso tale strumento erano
previsti anche interventi volti a promuovere un sostegno alla genitorialità. In particolare,
all’articolo 6 del Protocollo si dichiara che «gli enti locali e le Istituzioni scolastiche
definiscono le azioni di accoglienza ed i sistemi per mantenere un rapporto costante con le
famiglie del minore straniero». Tali iniziative sembrano aver dato risultati modesti, questo
aspetto risulta, infatti, documentato nella Relazione di monitoraggio delle attività del
Protocollo – anno 2007/2008 dove si attesta che «durante il monitoraggio sono emerse
chiaramente ed in modo diffuso le difficoltà incontrate nel coinvolgimento dei genitori e di
conseguenza nelle relazioni».
Va tuttavia evidenziato che, mediante la realizzazione del Protocollo, sono stati attivati dal
Comune di Prato dei servizi per agevolare i contatti tra le famiglie straniere e le istituzioni
scolastiche. In particolare, presso l’Ufficio Immigrazione del Comune è presente il servizio
Comunicazione scuola-famiglia che promuove interventi di mediazione linguistica-culturale
presso gli istituti scolastici al fine di favorire le comunicazioni tra la scuola e le famiglie degli
alunni stranieri. Tali interventi prevedono la presenza di mediatori linguistico-culturali
durante i colloqui con i genitori, colloqui specifici con le famiglie per casi a rischio, incontri
con esperti per i casi con problematiche particolari. I mediatori resi disponibili attraverso tale
servizio si occupano anche di fare traduzioni di brevi testi cartacei (moduli, avvisi, etc.).
Attualmente è in corso il secondo anno di svolgimento delle attività previste dal Protocollo,
sebbene tale iniziativa abbia una durata biennale, è stato riferito dall’Assessore all’Istruzione
che si prevede un rinnovo per l’anno scolastico 2009/2010.
In conclusione è opportuno evidenziare che, sebbene il Protocollo rappresenti una buona
pratica posta in essere dai soggetti del territorio, esso non è in grado di intervenire su alcuni
131
nodi critici fondamentali. Riflettendo nella prospettiva di una scuola orientata secondo un
modello interculturale, emerge con forza il tema dell’inadeguatezza dei programmi didattici
che veicolano contenuti incentrati su un orizzonte conoscitivo nazionale. Come risulta
dall’intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione, si pone la questione della
scelta tra un percorso formativo che tenda a riprodurre identità culturali distinte o, viceversa,
una scuola che fornisca elementi conoscitivi che fuoriescano dai confini nell’ottica di una
formazione più adeguata alle dinamiche tipiche della contemporaneità.
Noi siamo alla scuola degli anni Trenta, siamo alla scuola del “fascio”, siamo alla scuola che parla di orizzonti e
confini protezionistico-nazionalistici, anche se a partire dalle materie di studio qualche germoglio si incomincia a
intravedere. Noi ci troviamo in una città che ha oltre il 20% di cittadini migranti, c’è il mondo in questa città e le
materie e gli argomenti di studio sono circoscritti in una realtà provinciale. Si entra nel merito della questione se
è giusto predisporre un percorso formativo che tenda a stabilire un’identità nazionale o magari europea, oppure
se abbiamo bisogno, vista questa situazione che riguarda la contemporaneità che è la migrazione globale, di
“aprire le menti” e inserire nei programmi di studio elementi che in qualche modo fuoriescano da uno schema
che è fortemente localistico. C’è una storia del mondo che noi non conosciamo e che potrebbe essere di sicuro
interesse per aprire orizzonti più appropriati per garantirci la sfida verso la globalizzazione, dall’altro sarebbe un
elemento che a scuola qualifica fortemente il coinvolgimento di una realtà che è quella migratoria. Qui entra in
causa una chiave politica: il mondo si è aperto, i muri sono caduti, l’economia è globalizzata, la finanza è perfino
impercettibile e noi abbiamo elementi di proposta politica che tendono a ritrovare identità fortemente restrittive.
La trovo una contraddizione del nostro tempo. Certo che su questo ci si gioca tutto, ci si gioca il futuro della
nazione. La nostra è ancora la scuola delle identità culturali, io propendo per interpretare la contemporaneità e
credo che i politici lo dovrebbero capire. (Intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione del
Comune di Prato).
La necessità di ripensare i programmi di studio secondo un’ottica interculturale chiama in
causa un aspetto critico fondamentale del processo di implementazione delle politiche per
l’integrazione degli stranieri. Se da un lato si registra un protagonismo degli attori locali
(responsabili politici, associazioni, personale scolastico, etc.) nel predisporre degli interventi
che favoriscano l’inserimento dei cittadini immigrati e dei loro figli nella comunità di
residenza, nel caso specifico nelle scuole del territorio, dall’altro l’intervento del governo
centrale in materia risulta del tutto deficitario. In assenza di provvedimenti-quadro predisposti
dal governo centrale, la capacità di innovazione degli interventi promossi dai governi locali
risulta contenuta e, inoltre, si alimenta una progressiva differenziazione territoriale, peraltro
già marcata nel contesto italiano, in materia di politiche per l’accoglienza e l’integrazione
degli stranieri38. Con specifico riferimento al contesto pratese, sebbene si registri l’iniziativa
di alcuni insegnanti degli istituti nell’adattare i contenuti della didattica al nuovo contesto
scolastico e sociale, lo spontaneismo e la conseguente scarsa strutturazione di tali interventi
costituiscono dei limiti sostanziali nella portata degli stessi. In particolare, fintanto che la
promozione di un percorso formativo interculturalmente orientato risulta subordinata alla
buona volontà dell’insegnante, laddove ciò si verifica, rischia di rimanere una pratica circoscritta soltanto a talune materie di studio. Tali azioni non sarebbero in grado di incidere
sull’orientamento complessivo del percorso formativo promuovendo un modello interculturale (Pocaterra et al., 2009). A tale proposito, dalle interviste ai responsabili politici locali,
emerge la necessità di un intervento da parte della classe politica nazionale al fine di declinare
i percorsi formativi, in primis i contenuti della didattica, secondo un modello propriamente
interculturale.
La realtà delle scuole primarie e secondarie di I grado, pur presentando elementi comuni
relativi al tessuto territoriale, evidenzia delle dinamiche differenti.
38
Tra i contributi che affrontano il tema delle politiche locali per l’integrazione degli stranieri e la differenziazione
territoriale che caratterizza il contesto italiano cfr. Campomori (2005), Caponio (2004, 2006), Caponio e Colombo (2005),
Colloca (2008).
132
La scuola secondaria Ser Lapo Mazzei e la scuola primaria Fabio Filzi, entrambe situate
nel centro storico di Prato, fanno parte dell’Istituto Comprensivo Marco Polo che ingloba
anche la scuola d’infanzia Charitas e la primaria Cesare Guasti.
La Filzi e la Mazzei prevedono un unico complesso architettonico: al piano terra sono
presenti le classi della primaria, mentre al primo piano è presente la scuola secondaria di I
grado.
Alle pareti della scuola primaria sono presenti disegni e foto dei bambini che raffigurano
novelle, eventi culturali e religiosi o festività come il Natale, nelle classi troviamo carte
politiche e il crocifisso appeso sopra la lavagna al centro della stanza; nella scuola media
segnaliamo ancora cartelloni e foto con iniziative di solidarietà e di beneficenza verso
l’Unicef o Amnesty International e porcellane o altri oggetti fabbricati dagli studenti.
La popolazione straniera rappresenta oltre il 60% della popolazione scolastica complessiva
nella scuola Filzi, nella Mazzei il 36% circa. Sono presenti molte etnie: dopo la prevalenza
del gruppo cinese negli anni passati si registra un aumento di studenti provenienti
dall’Albania, dal Bangladesh, dal Marocco, dal Pakistan e dalla Romania.
Il dirigente scolastico e la referente interculturale delle due scuole hanno confermato
l’aumento complessivo degli alunni stranieri e la non corrispondenza di una defezione e fuga
degli alunni italiani.
Le due scuole seguono puntualmente un Protocollo per l’accoglienza degli alunni stranieri
valutato da una commissione formata dai docenti dei vari plessi e testimoniano l’adattamento
del programma scolastico in relazione alla presenza degli alunni stranieri che evidenziano
delle differenziazioni interne relative al percorso migratorio dei bambini (situazione di
bambini nati in Italia, bambini che hanno frequentato alcune classi delle elementari all’estero
e sono poi rientrate in Italia).
La referente interculturale ha evidenziato la prevalenza nelle due scuole di bambini e
ragazzi provenienti da paesi con lingue molto diverse. I progetti di tipo interculturale sono
attivi dalla seconda metà degli anni ‘90, con iniziative di alfabetizzazione e di conoscenza
interculturale (laboratori sulle feste e le tradizioni delle diverse culture presenti). La referente
conferma l’estrema rilevanza del Protocollo d’accoglienza per inserire gli alunni nell’iter
didattico e disincentivare le difficoltà di comprensione e integrazione.
Noi abbiamo un Protocollo d’accoglienza, per cui i ragazzi stranieri incontrano una commissione d’accoglienza
formata da un’insegnante dell’area linguistica, un’insegnante dell’area matematica, il facilitatore linguistico, se
necessario un mediatore culturale e io faccio il coordinamento. Spesso lo sviluppo cognitivo del bambino è
diverso da quello dei coetanei italiani. Sia alle elementari che alle medie spieghiamo al genitore il percorso del
figlio, che per alcune ore frequenterà laboratori particolari. Anche sulla valutazione abbiamo percorsi personali,
ricevono una pagella in cui i voti sono alti perché è alto l’impegno. Abbiamo le programmazioni personalizzate
approvate nel programma di classe. (Intervista alla referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo
– Filzi/Mazzei).
Vista l’alta presenza di alunni stranieri la referente dichiara l’utilizzo di materiale didattico
tradotto e la presenza del mediatore interculturale contattato per comunicare episodi particolarmente critici e delicati alle famiglie degli studenti coinvolti.
In relazione alle misure che possono facilitare le dinamiche di integrazione la preside e la
referente interculturale sottolineano l’esigenza di arricchire l’attività formativa con esperienze
di laboratorio, incentivando le manifestazioni sportive e le attività teatrali.
Significativa la richiesta di un’applicazione formalizzata di un Protocollo di valutazione
che coinvolga anche le scuole superiori di II grado e che permetta la programmazione
dell’integrazione.
L’ultima battaglia che stiamo portando avanti è sul Protocollo di valutazione che è ben interiorizzata nella scuola
primaria e più discussa nella scuola secondaria. Stiamo lavorando per creare un Protocollo di valutazione da
firmare tutti in maniera da rendere chiari i criteri e il percorso in modo che non succeda più che un ragazzo sia
133
bocciato perché gli si era posto un obiettivo irraggiungibile. L’adesione di tutti permetterebbe una valutazione
più efficace e quindi una motivazione degli alunni. E poi valutare un alunno straniero senza protocollo è un’arma
a doppio taglio, perché se lo valuti sulla base degli obiettivi della classe è un’ingiustizia, ma se lo valuti sulla
base della programmazione personalizzata devi essere molto chiaro nei confronti dei ragazzi italiani. La paura
dell’abbassamento del livello della formazione potrebbe essere scongiurata dall’istituzionalizzazione della
differenziazione della didattica. (Intervista alla referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo).
Le insegnanti intervistate nella Filzi e nella Mazzei hanno confermato la presenza di
attività didattiche focalizzate sull’integrazione degli alunni stranieri che costituiscono la
maggioranza degli iscritti. Ai corsi di accoglienza per la prima alfabetizzazione presenti alle
primarie e condotte da una facilitatrice in locali esterni alla scuola si affiancano corsi di
recupero interni rivolti a studenti italiani e stranieri che presentano difficoltà comunicative, a
partire dalle classi seconde.
Oltre all’attività didattiche istituzionali nella scuola elementare sono previste attività
laboratoriali che favoriscono il contatto tra alunni e famiglie e che spesso sono iniziative
sinergiche del plesso scolastico o dell’Istituto comprensivo.
Facciamo un laboratorio teatrale che coinvolge tutte le classi, questo ormai da sette/otto anni e qui c’è questa
integrazione a livello di plesso. Poi facciamo anche delle attività legate all’attivazione motoria. Poi abbiamo fatto
per vari anni un’attività di tutto l’Istituto che era la Festa dei popoli dove c’era il coinvolgimento dei genitori che
spesso portavano dei cibi caratteristici o dei giochi. Però anche lì le famiglie cinesi o non vengono proprio o al
massimo partecipano come spettatori, ma non contribuiscono. (Intervista ad una maestra della scuola primaria
Filzi).
Gli aspetti relativi alla qualità del contesto e dell’offerta formativa sono stati verificati
attraverso la documentazione fotografica delle tre scuole individuate, l’osservazione partecipante e le interviste in profondità ai dirigenti scolastici, ai docenti e ai referenti interculturali.
L’Istituto Datini è un grande complesso articolato in quattro indirizzi: economicoaziendale, turistico, grafico e servizi sociali. Prevede un biennio di orientamento iniziale, un
terzo anno professionalizzante con stage e attività di approfondimento per una qualifica
intermedia e un biennio successivo per il raggiungimento del diploma di Stato.
Il complesso è molto ampio e ben organizzato, anche se, come sottolinea il dirigente
scolastico nell’intervista, il numero degli studenti ha superato il limite di capienza della
struttura.
Diverse le attività laboratoriali e gli stage, prevalentemente per il settore grafico che
secondo il dirigente scolastico è la punta di diamante dell’Istituto.
Gli alunni stranieri si concentrano nell’indirizzo economico-aziendale, la richiesta delle
famiglie straniere al sistema scolastico italiano sembra incentrata all’acquisizione da parte dei
figli di competenze linguistiche e tecniche per poter lavorare nelle attività di famiglia o per
poter inserirsi nel mercato del lavoro tipico di questo tessuto territoriale.
Qualche studente cinese e filippino è presente anche nel settore turistico-alberghiero,
mentre la più bassa presenza di studenti stranieri è nel settore grafico.
L’Istituto è in stile moderno, le pareti esterne sono ricoperte da murales molto fantasiosi
eseguiti dagli studenti dell’indirizzo grafico con il permesso del dirigente scolastico. Le pareti
sono bianche e soltanto nel corridoio all’entrata principale sono presenti quadri che raffigurano la vita di Francesco Datini. Le classi hanno la stessa struttura e in tutte sono stati tolti
riferimenti culturali-religiosi (ad esempio, lo spazio della parete imbiancata sopra le lavagne
indica la precedente presenza dei crocifissi). In quasi tutte le classi è presente un planisfero
(carta politica) appesa alla parete e fogli con iniziative extrascolastiche (corsi di autodifesa e
attività sportive in palestre di zona).
L’I.P. Datini accoglie diverse etnie, in particolar modo: cinese, albanese, algerina,
marocchina, concentrate nelle prime classi dell’indirizzo economico-aziendale.
134
Le interviste al dirigente scolastico e a due docenti dell’indirizzo economico-aziendale
hanno permesso di registrare la qualità del contesto scolastico sotto il profilo didatticoeducativo e formativo-integrativo. Si evidenzia un aumento del numero degli alunni stranieri
a cui non sembra corrispondere una fuga degli alunni italiani; quantomeno tale fenomeno
risulta piuttosto circoscritto.
I progetti per gli alunni stranieri si sviluppano da molti anni e si concentrano sull’insegnamento della lingua italiana come seconda lingua (L2) per gli studenti cinesi che
presentano maggiori difficoltà nel comunicare. L’integrazione è considerata, quindi, a livello
scolastico secondario superiore un problema di alfabetizzazione che deve essere risolto nel
triennio come base per una partecipazione didattica piena negli anni successivi.
Il docente di italiano e storia al biennio conferma la presenza di progetti per alunni
stranieri, presenti sin dalla fine degli anni ‘80, dal primo flusso migratorio cinese, ed
evidenzia le proposte che l’Istituto vorrebbe attuare per procedere ad un coinvolgimento delle
famiglie nella integrazione scolastica dei figli. Ancora una volta il riferimento ai programmi
di integrazione è rivolto quasi esclusivamente agli alunni cinesi.
Sicuramente per gli alunni stranieri ci sono molti progetti che vanno dall’apprendimento della lingua italiana
come L2 che anche attività laboratoriali di integrazione, ad esempio quest’anno stiamo facendo in collaborazione
con un’associazione cinese storica di Prato, che si chiama Associazione degli amici di Buon Chù un laboratorio.
Per quanto riguarda i genitori ci stiamo attivando da quest’anno perché attraverso gli alunni cerchiamo di
incontrare i genitori che ancora non conoscono bene la lingua italiana. Questo si verifica soprattutto per i genitori
degli alunni cinesi che mandano a scuola i figli poi loro non sanno una parola di italiano. (Intervista al docente di
italiano della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
L’Istituto promuove corsi di lingua italiana che avvengono quotidianamente, i ragazzi
cinesi nelle prime due ore di lezione stanno in classe, mentre nelle restanti due ore vengono
trasferiti in una classe-laboratorio dove con altri alunni, sempre connazionali, seguono il corso
di L2 condotto da un facilitatore, assunto come esperto esterno.
L’altra docente intervistata è un’insegnante di economia aziendale nelle classi IV e V
dell’Istituto e si è occupata di progetti specifici inerenti all’insegnamento tecnico della
materia che trasversalmente hanno prodotto risultati di integrazione. Si è occupata personalmente del piano Intesa formativa simulata, uno sportello fiscale simulato condotto
attraverso la collaborazione dell’Agenzia delle entrate di Prato per promuovere la cittadinanza
attiva degli studenti stranieri.
Mi occupo di questo progetto di intesa formativa simulata. Parlando con un’agenzia delle entrate di Prato, con il
direttore, come sempre venne fuori il grosso problema della comunicazione. Lei può fare anche un documento in
italiano il problema è capire: imposta, quietanza sono parole difficili anche per un italiano si immagini per una
persona straniera. Allora noi abbiamo pensato: se si dà la possibilità ai nostri alunni stranieri che sono i cittadini
del futuro di cominciare a capire, di essere intermediari linguistici e culturali sarebbe stato un buon progetto.
Quindi si coinvolse una ragazza cinese, due albanesi, un ragazzo pakistano e una ragazza marocchina o tunisina.
(Intervista alla docente di economia aziendale della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
L’insegnante evidenzia l’estrema difficoltà nel coinvolgere le famiglie straniere all’iniziativa e sottolinea di non aver mai conosciuto i genitori della ragazza cinese che ha
partecipato al progetto. Il dato che emerge con più evidenza è la non partecipazione delle
famiglie nell’attività didattica dei figli, nonostante la scuola applichi delle misure specifiche
in questa direzione. Il riferimento alle iniziative per le famiglie straniere va ad un progetto di
qualche anno fa Tradizioni intorno al piatto dove i ragazzi, con l’aiuto delle famiglie, si sono
dedicati alla gastronomia dei Paesi di origine.
Sono stati fatti progetti sia per gli alunni che per le famiglie straniere. Dunque, il primo, fondamentale per gli
alunni, e ancora mi riferisco ai cinesi, non solo perché sono quelli predominanti come numero, ma anche perché
sono quelli che hanno più questa necessità, è quello di una alfabetizzazione iniziale. Perché capita di avere un
135
certo numero di studenti che non parlano una parola di italiano, quindi per poter procedere a un’integrazione che
abbia un senso la prima cosa ci si deve capire, quindi corso di alfabetizzazione. Questo è quello che facciamo
regolarmente tutti gli anni. Sono stati fatti anche dei progetti con le famiglie proprio per costruire
un’integrazione all’interno della scuola. Per esempio mi viene in mente un progetto che abbiamo fatto qualche
anno fa, il titolo era Tradizioni intorno al piatto, i ragazzi di varie etnie hanno portato le ricette caratteristiche del
loro luogo, è stato cucinato, mangiato insieme, su questo hanno contribuito anche le famiglie. (Intervista al
dirigente scolastico della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Le famiglie vengono coinvolte attraverso colloqui mirati in presenza di un mediatore, ma
esclusivamente in casi di frequenza irregolare degli studenti o di problemi specifici.
In relazione alle iniziative per il coinvolgimento delle famiglie straniere il dirigente
scolastico conferma la presenza di modulistica tradotta, di un facilitatore linguistico al quale
si fa ricorso per contattare le famiglie cinesi che non parlano italiano e per svolgere i corsi di
prima alfabetizzazione, coadiuvato dall’insegnante responsabile dell’integrazione a livello
scolastico (il docente di italiano e storia).
In relazione alla personalizzazione dei processi formativi si registrano interventi soltanto
nel primo anno e in riferimento all’apprendimento della lingua italiana da parte degli studenti
cinesi, mentre negli anni successivi le lezioni seguono il normale iter didattico e gli alunni
stranieri non sembrano evidenziare significative difficoltà, di contro si sottolinea la maturità e
la determinazione degli alunni cinesi che, se decidono di continuare il percorso scolastico,
sono quelli con il miglior rendimento.
Un fatto che si stacca dal normale percorso scolastico sono i corsi di alfabetizzazione per cinesi che vengono
svolti all’interno dell’orario normale delle lezioni perché altrimenti non verrebbero. Le valutazioni sono normali,
valutazioni di un corso di lingua. Chi ha difficoltà linguistiche generalmente ripete un anno per colmare il gap
della lingua. Gli altri che seguono generalmente hanno voti molto alti. Non è eccezionale che il più bravo della
classe sia uno straniero, in particolare nell’economico. C’è una maturazione diversa, c’è una motivazione forte a
loro serve per evolversi, i nostri non l’hanno capito che se continuano così si troveranno ad essere i dipendenti.
(Intervista al dirigente scolastico della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
L’Istituto non si occupa in maniera specifica di attività che favoriscono la socializzazione
interna ed esterna di alunni e famiglie, il dirigente scolastico sottolinea come l’integrazione
passi attraverso il non fare differenze. La priorità rimane la conoscenza della lingua che è il
primo e il solo strumento per permettere, attraverso la distribuzione di parti opportunità, di
distinguere i percorsi individuali in relazione al merito e non alla nazionalità o etnia.
Il docente di italiano e storia viceversa indica l’importanza della presenza di laboratori
interculturali e teatrali, forme di contatto all’interno della scuola tra classi e etnie diverse e di
legami con il territorio pratese attraverso l’attivazione di corsi di lingua e cultura cinese per
formare i docenti alla realtà locale. Sottolinea che il dirigente scolastico si avvale di docenti
disponibili per effettuare attività extra e conferma la sua funzione per l’inserimento e
l’integrazione dei ragazzi stranieri nell’Istituto. Tendenzialmente è nel triennio che l’Istituto
attiva corsi e laboratori integrativi, mentre negli anni successivi, dove si rileva un generale
abbandono degli alunni stranieri che tendono a prendere l’attestato e inserirsi nel mercato del
lavoro, la didattica non prevede iniziative specifiche o discussioni sul problema del confronto
interculturale.
La scuola non attua programmi formativi per affrontare il problema dell’integrazione degli
alunni stranieri, ma quando si presentano difficoltà specifiche interviene con micro-seminari
del corpo docenti per discutere la problematica.
Nell’I.P. Datini si è registrato un lavoro concentrato prevalentemente sulla prima alfabetizzazione per gli studenti cinesi che non conoscono la lingua italiana e non riescono a seguire il
programma didattico. Generalmente gli studenti stranieri ripetono le prime classi per la
necessità di colmare le lacune nella comprensione della lingua.
136
Una volta affrontato questo primo ed essenziale problema, negli anni successivi, qualora
gli studenti stranieri scelgano di proseguire gli studi si rivelano quelli con il migliore
rendimento scolastico. Il dirigente scolastico, infatti, ha permesso di consultare i registri delle
classi IV e V dell’Istituto nell’indirizzo economico-aziendale e si è potuta verificare un’alta
percentuale di studenti stranieri (in particolar modo cinesi, ma anche albanesi e rumeni) con
voti alti in discipline umanistiche e scientifiche e con la più alta votazione in condotta.
Per migliorare l’integrazione scolastica il preside ha sottolineato l’importanza di puntare
sulla lingua per garantire una prima alfabetizzazione e procedere successivamente ad una
seconda alfabetizzazione per i linguaggi specifici delle discipline.
Il docente di italiano e storia, referente dell’Istituto per l’integrazione, marca la necessità di
istituire classi per soli stranieri, laboratori con insegnanti specializzati che vadano ad agire in
maniera continuativa sulla integrazione linguistica. L’insegnante di economia aziendale che
lavora nelle ultime classi dell’Istituto evidenzia l’esigenza di una educazione alla legalità che i
ragazzi non hanno e che può cementare l’unione e il rispetto reciproco ed eliminare i luoghi
comuni sullo straniero ancora radicati negli studenti italiani che riflettono le percezioni e le
dinamiche familiari.
Credo molto nel far conoscere a questi ragazzi la cultura della legalità, perché saranno loro i futuri cittadini, con i
genitori credo di aver perso molte speranze, ma con questi ragazzi io credo che la scuola ha un ruolo
fondamentale, di cercare di fargli capire che quando sei in Italia devi riconoscere determinate regole. Sono
convinta che bisogna operare dalla scuola, non ci sono alternative. (Intervista alla docente di economia aziendale
della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
L’Istituto partecipa al Protocollo di intesa a livello formale, ma di fatto l’alta concentrazione di alunni stranieri all’interno della scuola permette di condurre un lavoro autonomo e
di non avere necessità di una sinergia programmatica con le altre scuole.
Le collaborazioni con altri istituti sono in fase progettuale, i ritardi nel realizzarle sono
dovuti ai problemi di finanziamento. In questa direzione si registra la necessità di una sinergia
programmatica con associazioni di volontariato che forniscano mediatori volontari di
supporto alle istituzioni scolastiche.
4.4 Professionalità degli operatori
La formazione dei docenti delle scuole elementari e medie del territorio pratese, finanziata
a livello comunale e provinciale, è focalizzata all’attuazione di corsi di alfabetizzazione. I
corsi di formazione sono tenuti dall’Università di Venezia e di Siena. Pochi i contatti con le
associazioni, a seguito di una politica di accentramento attuata dal Comune che gestisce
direttamente il personale messo a disposizione per l’integrazione scolastica.
Abbiamo attività di formazione da parte di tutti gli enti che si concentrano sulla didattica della lingua italiana
come lingua seconda. In questo momento abbiamo un’offerta formativa del Ministero, una dell’Università di
Venezia finanziata dal Comune, una dall’Università di Siena finanziata dalla Provincia, abbiamo il progetto sulle
lavagne multimediali; fin troppe iniziative, però in realtà sono tutte concentrate su L2, in realtà la politica di
Prato è concentrata su L2 che è l’emergenza. Sono dieci anni che a Prato si fa al 99% L2. I contatti con
associazioni non sono tantissimi, perché il Comune ha fatto questa politica di accentramento e lavoro in prima
persona, le risorse sono unite nel Protocollo che è stato firmato a livello cittadino e sono coordinate dal Comune
con una gestione diretta del personale. C’è stata una collaborazione con un’associazione cinese locale,
un’associazione di volontariato di ispirazione cristiana che aveva al suo interno dei migranti che ha fatto progetti
di intercultura per i genitori e in questo momento stiamo valutando la proposta di un’associazione cinese che
vorrebbe fare un doposcuola per i ragazzi. (Intervista alla referente interculturale dell’Istituto Comprensivo
Marco Polo).
137
Le insegnanti della primaria e della secondaria di I grado confermano la presenza di corsi
di lingua cinese, facoltativi, organizzati a livello comunale e provinciale e rivolti agli
insegnanti del territorio.
Nell’I.P. Datini è prevista la figura di un’insegnante che ha la funzione di occuparsi dei
rapporti con le famiglie straniere e dei problemi correlati al disagio degli adolescenti italiani e
stranieri, coadiuvato da un facilitatore assunto come esperto esterno.
Anche gli insegnanti di religione seguono un programma aperto alla storia delle religioni
che permetta agli studenti di conoscersi meglio.
Dalle interviste alle famiglie italiane emerge un buon livello di soddisfazione verso la
professionalità degli operatori scolastici e l’organizzazione formativa dell’Istituto Professionale Datini.
Allora gli aspetti positivi sono: gli insegnanti validi, la struttura migliore, l’igiene e l’organizzazione nel
complesso. Molto valido il registro elettronico che mi permette di vedere il ritardo o l’anticipo di mio figlio,
anche se lui parla con me e me lo dice se non vuole andare a scuola, così ho sempre la possibilità di controllare.
Molto buoni gli insegnamenti di lingua. Mentre diciamo negativi, più che negativi da migliorare,
l’organizzazione logistica degli orari di ricevimento dei professori, per esempio stamani c’è sciopero io sono
venuta ma non tutti i professori ci sono e nessuno mi ha avvisata. (Intervista n. 2, famiglia italiana, madre, scuola
secondaria di II grado I.P. Datini).
Viceversa alcune famiglie straniere evidenziano l’incapacità dei docenti nel favorire
l’integrazione.
Mio figlio ha avuto la difficoltà di professori ottusi. È nato qui, è un italiano, solo che è figlio di stranieri. È vero
che in casa parliamo albanese, ma la grammatica che fa è italiana, la sanno meglio di me. I professori non sanno
evidenziare le potenzialità di questi ragazzi. Il problema è legato ad alcune figure di docenti, c’è una chiusura.
(Intervista n. 3, famiglia albanese, madre, scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Si sottolinea parallelamente la mancanza di disciplina che sarebbe poco curata dagli
insegnanti determinando un cattivo rendimento degli alunni e una problematicità legata alla
condotta.
Dalle famiglie straniere emerge una concezione della scuola che dovrebbe formare con
maggiore severità, prestando attenzione alla disciplina degli alunni, diversamente si favorirebbero comportamenti devianti. È il caso dell’Istituto Datini dove alcuni alunni cinesi
solitamente miti sono arrivati a simulare atteggiamenti devianti nel tentativo di farsi accettare
dai compagni italiani.
Un tratto che emerge anche dall’intervista ad una famiglia cinese che registra l’avvenuta
integrazione della figlia nel contesto scolastico, ma anche il rammarico nel vedere come
l’accettazione passi attraverso un’assimilazione negativa quale conseguenza del diffondersi di
comportamenti devianti.
Mia figlia ha rapporti con tutti, cinesi, albanesi, indiani. È contentissima mia figlia della scuola, noi meno,
perché c’è gente che non va bene, tipo gente fuori strada, io voglio vedere mia figlia con le persone per bene.
L’ambiente qui è fatto da tante persone, tanti ragazzi che non sono tanto per bene. (Intervista n. 4, famiglia
cinese, madre, scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
A considerare criticamente la mancanza di disciplina fornita dalla scuola è anche una
famiglia albanese che, sebbene si mostri soddisfatta degli insegnanti e dei compagni, sottolinea come il figlio iscritto all’Istituto Professionale Datini dovrebbe essere sottoposto con
maggiore severità ad un insieme di regole da seguire che potrebbero incidere positivamente
sul rendimento scolastico, al momento piuttosto deludente.
La soddisfazione delle famiglie italiane e straniere per la professionalità degli operatori
scolastici e per l’offerta formativa è evidente nella scuola primaria, dove si registrano
valutazioni positive sui modelli integrativi ed educativi. Si evidenzia la peculiarità della
138
scuola Fabio Filzi nel territorio pratese: è, infatti, sottolineata l’alta presenza di alunni
stranieri, l’ottima accoglienza di nuovi alunni indipendentemente dall’anno di inserimento e
l’interesse mostrato in termini di valorizzazione della diversità, di apprendimento linguistico e
di attività integrative.
La valutazione positiva degli insegnanti è più debole nella scuola secondaria di I grado.
Permane, invece, soddisfazione per il percorso scolastico nella scuola primaria e si evidenziano, altresì, i vantaggi per la socializzazione fra pari laddove permane una continuità nella
composizione delle classi fra scuola elementare e scuola media.
Le famiglie italiane tendono a marcare come la scuola primaria Fabio Filzi in sinergia con
la Cesare Guasti e la scuola secondaria di I grado Ser Lapo Mazzei siano le uniche scuole nel
territorio pratese ad occuparsi realmente e praticamente di integrazione, questo dato è a loro
avviso sintomatico di una mancanza del sistema scolastico del territorio che, invece di
favorire una integrazione equilibrata, concentra gli alunni stranieri in questi istituti rischiando
di creare una loro ghettizzazione.
Sinceramente a Prato una delle scuole migliori a livello di integrazione è questa, il problema è che le altre scuole
non ci mettono volontà, alcune scuole hanno escluso l’ingresso agli stranieri, da quest’anno so che sono state
costrette ad aprire l’ingresso. (Intervista n. 13 famiglia italiana, madre, scuola media Mazzei).
4.5 Qualità delle relazioni
Nell’intento di approfondire l’articolazione delle dinamiche relazionali che soggiacciono al
processo di inserimento scolastico degli alunni stranieri si è ritenuto opportuno confrontare le
riflessioni degli attori extra-scolastici con quelle del personale scolastico. La tematica è stata
pertanto esaminata sia nell’ambito delle interviste ai testimoni privilegiati sia nelle interviste
ai dirigenti scolastici e ai docenti. In particolare, mediante la prospettiva degli intervistati, si è
inteso indagare le seguenti relazioni: famiglie straniere/sistema scolastico; alunni stranieri/alunni italiani; alunni italiani e stranieri/sistema scolastico; famiglie straniere/famiglie italiane.
Le riflessioni dei testimoni privilegiati sul grado di integrazione scolastica delle famiglie
straniere nel contesto territoriale pratese mostrano pareri in parte discordanti.
Secondo alcuni degli intervistati in una prima fase di arrivo degli stranieri sul territorio
pratese si sono evidenziate grosse difficoltà di relazione tra le famiglie straniere e l’istituzione
scolastica. Tuttavia, sembra iniziata una fase 2 in cui le relazioni tenderebbero a normalizzarsi. In particolare con riferimento alle famiglie cinesi, negli ultimi anni si registra un
processo di decentramento territoriale, una fuoriuscita dall’enclave etnica. Si tratta di famiglie
più inserite nel tessuto sociale e nella realtà territoriale di residenza e che mostrano una
relazione più significativa con il mondo scolastico.
Le famiglie cinesi, negli ultimi anni, si sono spostate in altre zone della città (rispetto al centro, ndr) c’è una
fuoriuscita dall’enclave etnica. Per lo più si tratta di famiglie che hanno un diverso approccio con la realtà
territoriale dove vanno ad inserirsi, oltre che con il mondo scolastico. Sicuramente è iniziata una fase 2.
(Intervista rappresentante dell’ASEL).
In linea con tali osservazioni, il tema della passività delle famiglie straniere rispetto
all’istituzione scolastica, spesso denunciata dalle scuole stesse, è letto in relazione sia alle
dinamiche soggettive delle famiglie sia alla capacità delle istituzioni scolastiche di instaurare
un dialogo con le famiglie straniere. A tale proposito la scarsa disponibilità di tempo da parte
delle famiglie impegnate dal lavoro, oltre che i problemi linguistici di comprensione dei
servizi possono tradursi in forme di passività e auto-esclusione. In particolare, la mancanza di
comunicazioni tradotte e la scarsa disponibilità di facilitatori linguistici tenderebbero ad
alimentare una tale dinamica.
139
Altri intervistati, pur riconoscendo la rilevanza delle barriere linguistiche nel determinare
una scarsa partecipazione delle famiglie straniere alla vita scolastica, tendono, invece, a
correlare tale problematica con la diversa importanza attribuita dai genitori stranieri all’iter
formativo intrapreso dal figlio, oltre che all’esistenza di un senso di inadeguatezza dei genitori
stranieri rispetto a quelli italiani.
La domanda del genitore di taluni ceppi etnici si ferma alla soglia dell’accoglienza a scuola e, tutto sommato,
della registrazione del risultato come buono o cattivo. Non c’è la capacità di interpretare in maniera appropriata
l’importanza dello studio e la loro qualificazione a prendere parte come genitori a questo istituto che è la scuola
in modo partecipato. C’è una scarsissima partecipazione dei genitori stranieri alla vita della scuola. Molti lo
interpretano come conseguenza del fatto che hanno da lavorare ma il più delle volte c’è un sentirsi non adeguati
rispetto ai genitori italiani. (Intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione del Comune di Prato).
In particolare, le domande delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico, e
segnatamente quelle della prima generazione di famiglie immigrate, risultano principalmente
orientate a garantire la collocazione del figlio presso l’istituto scolastico. Si tratta di richieste
poco complesse, come evidenzia l’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione, e che
delegano esclusivamente alla capacità di interpretazione e di intervento del personale
scolastico il compito di identificare le eventuali altre difficoltà di inserimento dell’alunno di
origine straniera al fine di garantire un percorso formativo proficuo.
Le domande delle famiglie immigrate di primo livello (di prima generazione, ndr) sono assai poco complesse ma
dentro questa poca complessità si cela, invece, la necessità di un livello interpretativo da parte delle istituzioni
che deve essere formidabile. C’è una fortissima capacità delle autonomie scolastiche di interpretare questa
domanda delle famiglie che spesso non è così traducibile, non è così diretta; quindi l’interpretazione della
domanda delle famiglie è messa in campo da professionisti del settore, i nostri insegnanti, che colgono alcuni
aspetti di difficoltà e in qualche modo li colmano. (Intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione
del Comune di Prato).
Gli intervistati concordano sulla difficoltà di ascrivere modelli etnici di relazione con
l’istituzione scolastica a determinate comunità straniere. Nonostante ciò sono emersi alcuni
orientamenti comportamentali ricorrenti. In particolare, con riferimento alle famiglie cinesi è
stato evidenziato che la scuola è una risorsa importante soprattutto per l’apprendimento delle
competenze linguistiche (il figlio scolarizzato in Italia diviene spesso il mediatore linguistico
dell’intera famiglia).
Le famiglie albanesi sembrano, invece, manifestare un’adesione piuttosto passiva rispetto
all’offerta scolastica, una passività che è stata definita come quasi intenzionale e che sembra
riflettere un profondo rispetto nei confronti dell’istituzione scolastica. Le famiglie albanesi,
per lungo tempo oggetto di strategie di inferiorizzazione, tenderebbero ad attuare una forma di
ipercorrettismo per cui spesso i bambini e le bambine albanesi risultano praticamente inappuntabili, i più educati, rispettosi e che vanno meglio a scuola.
Le famiglie albanesi spesso vengono da una condizione in cui si sono sentite inferiorizzate e spesso c’è
un’adesione molto passiva, ma quasi intenzionale rispetto all’istituzione scolastica. È una passività diversa da
quella dei cinesi, c’è una forma di ipercorrettismo per cui spesso i bambini e le bambine soprattutto sono
praticamente inappuntabili, le più educate, le più rispettose e che vanno meglio a scuola. Sembra quasi che ci sia
desiderio di liberarsi da uno stigma negativo. (Intervista a rappresentante dell’ASEL).
Un tale atteggiamento da parte dei genitori albanesi potrebbe essere correlato al desiderio
di liberare il proprio figlio da uno stigma di cui probabilmente sono stati oggetto.
In linea con le riflessioni che evidenziano differenti modalità di approccio delle famiglie
straniere nei confronti delle istituzioni scolastiche anche l’importanza attribuita all’iter
formativo dalle famiglie immigrate sembrerebbe mostrare una relazione significativa con la
nazionalità di appartenenza. In particolare, l’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione
140
ha evidenziato come le famiglie immigrate provenienti dal continente europeo condividono
una maggiore attenzione verso il percorso formativo del figlio, laddove famiglie straniere
provenienti da altre aree geografiche, in particolare le famiglie di origine cinese tendono,
talvolta, a considerare la scuola come un parcheggio dove far sostare il figlio, disinteressandosi delle attività propriamente formative.
Tutte le famiglie migranti che sono presenti nel nostro territorio si rivolgono ai nostri uffici per determinare la
capacità di ingresso del figlio nelle sedi scolastiche. Questo è l’elemento che più di ogni altro preoccupa i
genitori. Per quanto riguarda i cittadini che provengono dalla Cina Popolare, che sono particolarmente dediti ad
attività di tipo economico, questo elemento che introduce il bambino nell’obbligo formativo spesso è visto come
un qualcosa che attiene, chiamiamolo così, al parcheggio del ragazzo. Particolarmente, per i cinesi non è
importante - o almeno io non lo percepisco come tale - il conseguimento di risultati che riguardano il percorso
formativo quanto la condizione per cui il ragazzo segue dei corsi e in quel lasso di tempo non è alle dirette
responsabilità del nucleo familiare che invece è dedito fortissimamente ad altro tipo di attività. È del tutto
evidente che fra nazionalità di ceppo europeo, si determina una maggiore condivisione dell’importanza dell’iter
formativo. (Intervista all’Assessore alla Multiculturalità e all’Integrazione del Comune di Prato).
Secondo l’Assessore all’Istruzione le differenze culturali manifestandosi anche attraverso
una diversa declinazione del ruolo genitoriale, produrrebbero un diverso atteggiamento da
parte delle famiglie nei confronti del figlio e, conseguentemente, nei confronti dell’istituzione
scolastica chiamata ad occuparsi della sua formazione. In tal senso si registrano orientamenti
profondamente divergenti, se non antitetici, rispetto alle modalità in cui è interpretato il ruolo
genitoriale dalle famiglie italiane rispetto alle famiglie straniere di origine cinese e indiana.
Non c’è dubbio che ci sono delle diversità culturali profonde. Così come noi italiani tendiamo, forse proprio
perché facciamo pochi figli, ad essere iperprotettivi verso i nostri figli, ci sono delle etnie, non solo i cinesi, ma
anche gli indiani, che con i figli hanno un legame meno stretto. Può capitare anche che si scordino di andarli a
prendere a scuola. A volte abbiamo dovuto attivare la polizia municipale perché il personale della scuola doveva
andare via e nessuno era venuto a prendere i bambini piccoli. (Intervista all’Assessore all’Istruzione del Comune
di Prato).
Le relazioni tra alunni italiani e stranieri sembrano complicate anche dalla mancata
partecipazione dei giovani stranieri alla nuova realtà in cui si trovano a vivere nel paese di
arrivo. Nel corso dell’interviste è emerso, infatti, il tema della non volontarietà di
intraprendere il percorso migratorio da parte dei giovani stranieri che tuttavia sono stati
costretti a seguire i loro genitori. Spesso la decisione dei genitori risulta subita e questo
aspetto ha ripercussioni sull’inserimento nella realtà di arrivo.
(I giovani che seguono le loro famiglie nella migrazione, ndr) non si possono considerare degli immigrati perché
sono dei migranti involontari. (Intervista al Referente dell’Associazione Associna).
In particolare si rileva il caso dei giovani di origine cinese arrivati a Prato in età avanzata
(10-13 anni e oltre) che spesso fanno assenze a scuola per recarsi negli Internet point. Tramite
il web essi mantengono i contatti con gli amici che avevano in Cina cosicché alle difficoltà di
inserimento nel contesto di arrivo e alle difficoltà di relazione con i compagni di scuola
italiani sembra accompagnarsi un tentativo di continuare a vivere virtualmente nella società di
origine.
Alcuni osservatori hanno manifestato la preoccupazione per una tensione nei rapporti
interculturali presente a livello territoriale e che si potrebbe riflettere in misura drammatica
nelle relazioni tra pari. In questo caso, con riferimento al contesto scolastico, viene evidenziato il ruolo degli insegnanti che dovrebbero riuscire a cogliere le dinamiche interne alle
classi e capire laddove si stanno formando dei conflitti tra sottogruppi.
La scuola ha una funzione fondamentale come argine rispetto ad una tensione che in prospettiva io vedo crescere
fortemente e che si potrebbe riflettere in misura drammatica nelle relazioni tra pari. I bambini piccoli non hanno
141
schermature, se le hanno è perché sono state inculcate dai genitori, e succede. Lì si ritorna alla capacità degli
insegnanti di cogliere le dinamiche interne alle classi perché l’insegnante dovrebbe essere in grado di capire
laddove si sta formando il gruppetto dei bravi o delle brave e il gruppetto dei reietti o delle reiette. Non sempre
succede perché forse non tutti hanno lo stesso livello sensibilità per cogliere queste dinamiche. (Intervista a
rappresentante dell’ASEL).
Da più parti è stata evidenziata la necessità di considerare adeguatamente le dinamiche tra
ambiente interno ed esterno rispetto alla scuola. In particolare si ritiene che quanto più il
meccanismo tradizionale di regolazione delle relazioni sociali tra italiani e popolazione
straniera non sarà più mediabile attraverso il mercato, come è invece avvenuto fino ad oggi,
tanto più si andrà alimentando un sentimento diffuso di conflittualità. Questo aspetto può
avere ripercussioni sulle relazioni tra pari poiché frequentemente i ragazzi italiani e stranieri
tenderebbero a veicolare gli orientamenti e le predisposizioni che si respirano in casa.
Quello che sentono i ragazzi italiani è quello che respirano a casa ed è spesso un sentimento di conflittualità
verso la popolazione straniera. (Intervista a rappresentante dell’ASEL).
Con specifico riferimento alle modalità di relazione degli alunni stranieri e italiani con la
scuola, gli intervistati denunciano l’esistenza di un disagio scolastico che si concretizza nel
mancato senso dell’autorità, nella scarsa disciplina e nella diffusione di comportamenti
devianti. Un tale fenomeno sembrerebbe interessare trasversalmente alunni italiani e stranieri.
Sebbene la scuola rappresenti un momento importante per la convivenza interetnica, un luogo
di mediazione dei conflitti interculturali, avrebbe perso nettamente la sua forza come agenzia
di socializzazione. Le spinte verso la radicalizzazione delle identità culturali che provengono
dal contesto sociale più ampio ed esterno rispetto alla scuola risultano, a parere degli
intervistati, difficilmente gestibili con il solo intervento dell’istituzione scolastica. Una tale
dinamica risulterebbe particolarmente visibile nelle scuole secondarie superiori.
In merito al rapporto tra famiglie italiane e straniere, le riflessioni degli intervistati
sembrano testimoniare una tendenziale conflittualità. A detta degli osservatori intervistati uno
dei disagi principali evidenziati dalle scuole sarebbe quello della mancanza di competenze
nella lingua italiana da parte di alcuni alunni stranieri. Questo aspetto tende a ripercuotersi sul
rapporto tra famiglie italiane e straniere poiché alcuni genitori degli alunni italiani sono
preoccupati del ritardo che la presenza del ragazzo straniero potrebbe determinare nello
svolgimento dei programmi.
Uno dei problemi principali delle scuole è quello della competenza linguistica dei bambini stranieri che poi
diventa, in maniera distorta, un problema per i genitori dei bambini italiani. C’è una discussione anche un po’
isterica sul ritardo che il bambino straniero determinerebbe nello svolgimento dei programmi. È vero che può
essere un elemento di disallineamento rispetto a una classe già strutturata ma ci sono esperienze di insegnanti che
hanno saputo far fronte in maniera innovativa. (Intervista a rappresentante dell’ASEL).
La preoccupazione dei genitori italiani circa il proficuo svolgimento del programma
didattico è talvolta eccessiva; in alcuni casi si ritiene che possa mascherare orientamenti di
chiusura nei confronti dei cittadini stranieri.
Nel complesso, secondo i testimoni privilegiati intervistati le relazioni tra i genitori
all’interno delle istituzioni scolastiche tendono a riflettere le dinamiche più generali presenti
sul territorio. Al di là del punto di contatto rappresentato dalla presenza dei figli in una stessa
classe, gli orientamenti comportamentali risultano caratterizzati da una variabilità soggettiva
nella disponibilità all’apertura verso la costruzione di relazioni di reciprocità.
Non è la scuola che determina il tipo di orientamenti, credo che abbia poca possibilità di incidere nell’immediato
(in prospettiva la creazione di punti di contatto con famiglie straniere può creare più interazione). È il contesto
sociale più ampio che determina le relazioni tra i genitori. Lì ci trovi di tutto: atteggiamento paternalistico della
142
mamma italiana rispetto a quella straniera o presenza di pregiudizi. La scuola può aumentare le possibilità di
interazione, ma questo non garantisce che si superi il pregiudizio. (Intervista a rappresentante dell’ASEL).
In conclusione è opportuno evidenziare che, con specifico riferimento al contesto sociale
pratese, sono stati riferiti episodi che sembrerebbero testimoniare una tensione crescente nei
confronti della popolazione straniera. Nonostante la presenza straniera sul territorio abbia
acquisito già da tempo caratteri strutturali soltanto negli ultimi anni si registra tale tensione.
Nonostante la consistenza della presenza straniera a Prato non ci sono mai stati episodi di cronaca eclatanti.
Invece ad oggi ci sono tutta una serie di piccole avvisaglie: gli scontri alla fiera tra giovani italiani e cinesi, le
scritte sui muri delle periferie vessatorie rispetto agli stranieri, per arrivare all’episodio su Facebook
dell’iniziativa “via i cinesi da Prato”39. C’è una situazione di tensione che rischia di accrescersi con la crisi che
questa città andrà sempre più affrontando nei prossimi mesi. (Intervista a rappresentante dell’ASEL).
Si tratta di un fenomeno in crescita e che, a detta degli intervistati, meriterebbe
un’adeguata risposta sia da parte delle istituzioni scolastiche che dai soggetti istituzionali del
territorio.
Si registra tendenzialmente una problematicità nel rapporto scuola-famiglia. La scuola non
sembra riuscire a favorire il coinvolgimento delle famiglie nella partecipazione e riflessione
sull’educazione dei propri figli. Le famiglie vengono contattate dai dirigenti scolastici e dai
docenti in casi di assenteismo e di difficoltà relazionali e didattiche dei figli. Tendenzialmente
i genitori stranieri si preoccupano solo quando interpellati dall’istituzione scolastica, conseguentemente ad episodi particolarmente critici.
Le famiglie cinesi non si presentano mai a scuola, salvo rarissimi casi, questo è legato
secondo i docenti e secondo i figli, chiamati a spiegare l’assenza dei genitori, agli impegni
lavorativi e tendenzialmente alla cultura cinese che relega alla scuola il compito di educare e
di prendere provvedimenti e relega ai ragazzi il dovere di autogestirsi in ambito scolastico e di
fornire parallelamente un aiuto alla famiglia, in termini di incarichi domestici e lavorativi.
Questo fenomeno generalmente è meno sviluppato nella scuola elementare dove si registra
un maggiore coinvolgimento delle famiglie. La maestra della primaria Fabio Filzi conferma,
infatti, la buona partecipazione delle famiglie italiane e straniere all’attività didattica dei figli;
nei consigli di classe le madri straniere sono presenti.
Se nell’I.P. Datini non si effettuano programmi specifici di socializzazione per le famiglie,
nelle scuole elementari e medie sono stati effettuati laboratori per coinvolgere i genitori
nell’attività dei figli.
Abbiamo una serie di laboratori o iniziative che delegano ai genitori alcuni pezzetti dell’attività della scuola per
cui abbiamo un comitato di genitori che si occupa dell’organizzazione di certi eventi con la raccolta fondi o di
iniziative di beneficenza e lì può capitare che partecipino dei genitori stranieri. Oppure può capitare che in
occasione di un laboratorio particolare ci sia un’appendice che riguarda i genitori. Anche perché c’è una
polarizzazione, se ci sono famiglie che hanno una condizione socio-economica che le porta ad avere poco tempo
libero abbiamo persone che non possono o non vogliono inserirsi dal punto di vista professionale e quindi in
realtà passano il tempo da sole a casa. Si tratta di casalinghe straniere che partecipano volentieri, spesso sono
mamme pakistane o marocchine. (Intervista alla referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo).
39
L’intervistato si riferisce ad una iniziativa pubblicata sul social network Facebook nella quale si promuove l’idea di
allontanare i cinesi da Prato, poiché accusati di determinare un degrado della città. Si tratta di un “gruppo” al quale tuttavia
ha aderito una minoranza di persone, infatti alla data di consultazione del 28 marzo 2009 si registrano 131 adesioni. Il dato è
preoccupante, ma tutto sommato si tratta di una popolazione contenuta se si considera l’ampiezza del network. Va
evidenziato che sempre su Facebook è stato fondato un altro gruppo dal titolo “Via il razzismo da Prato”, nato come controiniziativa rispetto alla prima. Quest’ultimo gruppo, al 28 maggio 2009, risulta avere un numero nettamente superiore di
adesioni, pari a 1.245.
143
Le famiglie straniere tendono a dare molta fiducia alla scuola, per cui è raro che si verifichi
la messa in discussione dell’istituzione scolastica, un fenomeno invece registrato nelle
famiglie italiane. La delega alla scuola si accompagna spesso ad un’impossibilità di seguire i
figli, sia per difficoltà e tempi di lavoro sia per mancanza di conoscenze linguistiche. In
questa direzione i docenti evidenziano la necessità di una maggiore efficacia del sistema di
mediazione e la presenza di figure strutturalmente partecipi all’interno della scuola per
favorire il dialogo con le famiglie straniere.
La promozione all’interculturalità è, invece, effettuata in classe e vengono coinvolti gli
alunni in discussioni sulla diversità culturale per favorire l’incontro e la conoscenza.
Il rapporto tra famiglie italiane e straniere è considerato dai docenti estremamente raro e
difficile, spesso le relazioni sono rappresentate soltanto da contatti minimi fuori dalla scuola,
all’uscita dei figli, e in particolar modo tra famiglie italiane e cinesi è considerato impossibile;
a detta delle insegnanti delle scuole elementari e medie la causa principale di una tale assenza
di relazione sarebbe da ravvisare nella totale chiusura nei confronti della socializzazione
esterna da parte delle famiglie cinesi. Tuttavia, come precisato da un docente dell’Istituto
Datini, la relazione tra famiglie cinesi ed italiane sembrerebbe ostacolata anche dal sentimento
diffuso di ostilità verso la comunità cinese percepibile a Prato.
È un’utopia che avvenga tra le famiglie italiane e cinesi perché qui a Prato si sente proprio una certa ostilità che
poi viene da una non conoscenza. Perché poi i ragazzi italiani riportano in classe i soliti luoghi comuni, i cinesi
rubano il lavoro, creano un’economia parallela e tutto quello che si sente dire dagli adulti. Mentre per le altre
etnie ci sono anche casi di integrazione, di ragazzi albanesi che hanno legato con i ragazzi italiani perché vanno a
calcio insieme; questo è più probabile che accada. Ma tra famiglia e famiglia credo che sia più improbabile.
(Intervista al docente di italiano della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Nel rapporto tra alunni stranieri e italiani gioca un ruolo fondamentale, non soltanto la
scuola, ma anche il tempo di inserimento. Una differenza fondamentale è tra scuole
elementari e medie, se nelle prime i tempi di integrazione sono veloci e pochi i casi delicati,
nella scuola media, dove gli insegnanti possono seguire meno la formazione degli alunni a cui
è richiesto un certo grado di autonomia, si registra una minore coesione dei gruppi classe.
L’insegnante della primaria conferma la dinamica di accoglienza dei bambini che riflette
tendenzialmente un’ottima apertura da parte dei genitori italiani e stranieri. Nei casi in cui i
genitori, soprattutto marocchini, non si mostrano interessati all’integrazione dei figli, perché
influenzati dalla disponibilità a tornare nel paese d’origine, gli alunni riflettono la situazione
con atteggiamenti di insofferenza, di aggressività o di non riconoscimento delle figure
scolastiche. Generalmente i rapporti tra famiglie italiane e straniere (con eccezione delle
famiglie cinesi che non partecipano) nelle scuole primarie sono buoni e si registra una
frequentazione extrascolastica.
Di solito hanno un buon rapporto. I genitori italiani sono molto aperti ad aiutare e i genitori stranieri portano la
loro cultura accettando, comunque, che i genitori italiani ne hanno un’altra. Gli italiani cercano di accogliere le
mamme straniere, spesso invitano i bambini a casa, si frequentano, negli ultimi cinque sei anni di più, prima
meno. (Intervista ad una maestra della scuola primaria Filzi).
Viceversa già nelle scuole secondarie di I grado, al diffuso assenteismo delle famiglie si
associa una mancata relazionalità fra genitori che non si conoscono e tendono a rimanere
distanti dalle dinamiche scolastiche dei figli.
Le famiglie straniere intervistate confermano la difficoltà relazionale con le altre famiglie e
i problemi di inserimento e di integrazione dei figli.
Mia figlia soffre per l’inserimento, ed è nata in Italia. Ha due compagne e vicine di casa che la escludono, dicono
“noi non chiamiamo lei perché altrimenti non facciamo niente”. Dipende dai genitori, ci vuole l’educazione dei
genitori, non puoi far finta di non vedere. Anche in classe la prendono in giro perché non è italiana. Quello più
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piccolo si è inserito bene, io cerco di fare amicizia con le mamme ma nonostante stia lì e mi interessi e mi faccia
vedere loro tendono a fare gruppo e a chiudere il cerchio. Fanno le feste di compleanno e le maestre impongono
di invitare tutti i bambini e noi ci escludono. Mio figlio è da solo, il suo migliore amico è marocchino, è l’unico
rispettoso. I due italiani che lo invitano lo ricattano, gli dicono “se non mi dai i giochi non sei mio amico” e lui
sta male e mi dice che non li vuole chiamare più. Non è facile, vedi che i tuoi figli stanno male. Lo facevano con
me dicendo: “tu non capisci niente” quando parlavano italiano e io capivo, solo che all’inizio non parlavo, ma
capivo e ora anche con i miei figli che sono nati qui. C’è tanta falsità, tutti parlano bene, dicono che non sono
razzisti, la scuola dice che bisogna integrare ma poi non si fa niente, si creano i gruppi, non si parla delle
diversità, non si coinvolgono i genitori che fanno finta di niente. (Intervista n. 3, famiglia albanese, madre,
scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Sebbene non si registrino episodi eclatanti di razzismo si evidenzia una diffusa ostilità fra i
ragazzi italiani che presentano una condivisione dei pregiudizi razziali appresi in famiglia.
Questo si evidenzia in maniera manifesta verso i compagni cinesi che tradizionalmente si
separano dal resto della classe e si aggregano esclusivamente tra di loro.
I ragazzi pakistani hanno amici italiani, hanno punti di contatto attraverso il calcio, ma i ragazzi cinesi non ho
mai visto un ragazzo cinese amico di un ragazzo italiano, se non per le nuove generazioni, quelle ad esempio che
hanno fatto tutte le scuole elementari in Italia e hanno un italiano perfetto o addirittura quelli che sono nati in
Italia Mi pare che qui a Prato ci sia una maggiore ottusità, nonostante sia un territorio che da anni accoglie molte
etnie però questa presenza di stranieri non è integrata realmente. (Intervista al docente di italiano della scuola
secondaria di II grado I.P. Datini).
Allora se lei parla con i nostri ragazzi pratesi cominciano a dire che i cinesi gli hanno tolto il lavoro, che i cinesi
sono mafiosi, viaggiano con delle macchine di un certo prestigio perché sono mafiosi, e lavorano tutto il giorno e
mangiano i gatti. Non c’è un buon rapporto glielo posso assicurare. Questo è derivato dalle famiglie. A parte che
i cinesi vivono in un loro quartiere, ma in altri quartieri hanno trovato spazio e le case attorno sono svalutate. Se
lei li stuzzica si sente il razzismo, poi non c’è quella cultura dell’accoglienza, sono persone in cassa integrazione
e gli gira l’anima. Bisogna comprendere e cercare di creare un rapporto di collaborazione. Per loro il marocchino
è spacciatore, il cinese lavora tutto il giorno e per gli albanesi non sono ancora riusciti a trovare una metafora.
(Intervista alla docente di economia aziendale della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Per registrare in maniera più specifica le dinamiche relazionali tra alunni italiani e stranieri
sono state condotte osservazioni partecipanti specifiche in alcune classi dell’I.P. Datini.
La metodologia utilizzata ha permesso di constatare talune distanze e problematiche
culturali, distinguendo le caratteristiche del contesto scolastico e di classe, le dinamiche di
gruppo e le traiettorie comunicative. Tendenzialmente si evidenzia una separazione fisica a
cui corrisponde una distinzione culturale e di socializzazione tra alunni cinesi e alunni italiani
o stranieri di altre nazionalità. La distanza non si manifesta attraverso atteggiamenti conflittuali o aggressivi, quanto piuttosto mediante un codice di indifferenza con l’interiorizzazione
degli stereotipi culturali assimilati dalla famiglia d’origine.
Sono gli studenti del biennio e in classi con una maggiore presenza di alunni stranieri a
discutere, durante le lezioni, di differenze culturali, manifestando una integrazione e una
convivenza scolastica assodata, nonostante considerazioni razziste assimilate come dato
oggettivo. Concluso il triennio gli alunni stranieri che proseguono il percorso scolastico si
confermano come i più disciplinati e i più determinati.
Distinguiamo in tal senso l’osservazione condotta durante una lezione di italiano nel
biennio, una lezione di economia aziendale (materia considerata prioritaria in questo
indirizzo) effettuata nella classe IV e l’osservazione durante un Laboratorio di L2 per
verificare le dinamiche relazionali tra studenti cinesi.
L’Osservazione partecipante si è svolta in una prima classe dell’indirizzo economico-aziendale durante la
lezione di italiano che prevedeva un’esercitazione scritta sul tema del bullismo per gli studenti italiani; mentre
“Cosa pensate dei ragazzi italiani?” era la traccia per gli alunni cinesi.
Il contesto di classe
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- Arredamento
La classe, all’ultimo piano dell’edificio, è spoglia, come tendenzialmente tutte le classi dell’Istituto. Non sono
presenti disegni, manifesti, slogan, né altri significativi oggetti. I banchi sono senza ripiani e non si registra una
personalizzazione degli stessi con disegni, scritte o adesivi. Sulla parete sinistra un planisfero, alla destra delle
ampie finestre che danno sul cortile, sulla parete centrale dietro la cattedra una lavagna e un armadietto con i
registri di classe. I crocifissi sono stati tolti da tutte le classi dell’Istituto come si può ricavare da una macchia di
colore presente sulla parete centrale sopra la lavagna conseguente, probabilmente, all’aver imbiancato il punto
dove era rimasto il segno del crocifisso.
- Composizione della classe
La classe si compone di 30 alunni, di cui 22 ripetenti, con età compresa tra i 14 e i 16 anni. Tredici alunni sono
assenti abituali, molti dei quali cinesi Il docente sottolinea che vengono a scuola esclusivamente per imparare la
lingua e saltano le lezioni meno utili, sono più adultizzati e si occupano dei fratelli o spesso lavorano nelle
imprese di famiglia.
Il docente conferma che la percentuale di ripetenti è legata prevalentemente alla presenza di alunni stranieri con
difficoltà linguistiche.
Al momento dell’osservazione in classe cono presenti 17 alunni così distribuiti:
- tre ragazze cinesi sono nella prima fila, di lato alla porta, nella stessa fila ma separati da uno spazio vuoto,
quattro ragazzi cinesi;
- in seconda fila: sulla sinistra a lato della porta un ragazzo albanese, nella stessa fila separati da uno spazio
vuoto una ragazza domenicana, una marocchina e due ragazze italiane;
- in terza e ultima fila sul lato della porta tre ragazzi: un italiano, un rumeno e un pakistano, nella stessa fila ma
separati da uno spazio vuoto due ragazzi italiani.
La disposizione degli alunni è una loro scelta. Si evidenzia marcatamente la distanza degli alunni cinesi dal resto
della classe e internamente l’ulteriore separazione legata alla variabile di genere.
Le quattro ragazze in seconda fila sono amiche e in questo caso la variabile “nazionalità” non gioca alcun ruolo
di distinzione o discriminazione. La compattezza sembra essere legata alla comunanza di genere.
I ragazzi sul lato sinistro in ultima fila assieme al ragazzo albanese che è in un banco da solo davanti a loro, sono
il gruppo più compatto e più problematico in termini disciplinari. Confusionari ed agitati sono i leaders della
classe e sono in buoni rapporti con le ragazze della seconda fila e osservati con rispetto dai due ragazzi italiani
dell’ultima fila.
I due ragazzi italiani nella terza fila sono i più introversi e il docente conferma il loro alto rendimento scolastico.
- Dinamiche di gruppo
I ragazzi cinesi non comunicano con il resto della classe, conoscono soltanto alcuni rudimenti della lingua
italiana. Sono molto timidi e si relazionano sporadicamente tra di loro. Le ragazze della seconda fila sono molto
amiche parlano durante il compito in classe tra di loro, rileggono insieme quello che hanno scritto, hanno un
atteggiamento amichevole con il gruppo della terza fila, vale a dire i ragazzi più indisciplinati collocati alla
sinistra della stanza. In ultima fila i due ragazzi italiani sono concentrati nella scrittura e non partecipano ai
momenti di discussione indotti dal professore, molto schivi e un po’ emarginati perché considerati gli “studiosi”
della classe. Gli altri ragazzi sono molto compatti e bene integrati in un gruppo composito di varie nazionalità
che non registra alcune dinamiche di discriminazione, la comunanza si gioca sull’atteggiamento anti-istituzionale
di blando bullismo. Durante il compito ascoltano tutti musica dall’I-pode, ma sono anche interessati a
comunicare e a rispondere alle considerazioni e ai riferimenti del docente. Sono loro, assieme al gruppo delle
ragazze in seconda fila, a intervenire, fare domande in relazione al tema scelto e si relazionano con il docente in
modo fin troppo confidenziale.
- Dinamiche comunicative
La lezione prevede un tema in classe sulla percezione del bullismo, in particolare si chiede che cosa pensano del
bullismo, se hanno vissuto esperienze di discriminazione o si sono trovati coinvolti anche indirettamente e che
tipo di soluzioni possono essere più adatte a risolvere il fenomeno. Il docente legge ad alta voce il tema e
chiarisce il significato del termine bullismo, dal momento che sebbene gli alunni lo utilizzino in realtà non ne
conoscono realmente il senso .
Per gli alunni cinesi un tema diverso: “Cosa pensate dei ragazzi italiani?”. Il docente giustifica la scelta di questa
differenziazione sottolineando l’esistenza di una problematica presa di distanza degli alunni cinesi dai compagni
italiani o dagli altri coetanei stranieri. Il docente con gli studenti cinesi parla la loro lingua, inserendo, talvolta,
qualche parola italiana, gli altri alunni, in particolar modo il gruppo più “complesso” si lamentano con il docente
del fatto che parli sempre in cinese. Un alunno in particolare si pone in modo fin troppo confidenziale nei
confronti il docente, lo interpella sempre in prima persona, lo prende in giro, ma lo considera anche “uno di
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loro”. È un ragazzo rumeno adottato, con grossi problemi familiari (racconta il docente) che vede nella scuola la
possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro, gestendo l’azienda edile del padre e arrivando a possedere una
quantità di beni materiali che secondo lui potranno renderlo felice.
Durante il compito i ragazzi fanno osservazioni e domande a voce alta, discutono assieme e con il docente, gli
unici a stare in silenzio e a consultare il vocabolario italiano sono gli alunni cinesi. Chiedono cosa vuol dire
bullismo, fanno riferimento ad alcuni fatti di cronaca, vengono alla cattedra per far leggere quello che hanno
scritto, vogliono un parere, sono perplessi sulla parte relativa alle misure risolutive per affrontare il problema. Il
ragazzo italiano dell’ultima fila, unico autoctono in un gruppo di stranieri, mi fa leggere il suo compito dove
scrive che per eliminare il bullismo è necessaria la famiglia, la presenza e l’affetto dei genitori che solitamente
considerano i figli come “schiavi”. Quando gli chiedo il perché della parola “schiavi”, lui risponde indicando gli
alunni cinesi e dicendo “loro devono fare tutto in casa, peggio di noi, non fanno vita”, parla di loro come se non
lo ascoltassero e non capissero quello che dice. In realtà sebbene parlino poco italiano sembrano capire quello
che ha detto e non interessarsene.
Entra un ragazzo albanese di un’altra classe e tutti commentano il fatto che è stato “pestato” in una discoteca da
un gruppo di ragazzi italiani perché albanese. Sembrano normalizzare l’evento e considerarlo una dinamica
naturale.
Interviene una ragazza italiana dicendo “i ragazzi sono razzisti per fare i grossi, non s’hanno nemmeno cosa vuol
dire”, il professore chiede spiegazioni a questa affermazione e un’altra ragazza italiana si inserisce dicendo che,
invece, a volte è normale essere razzisti, anche se non è giusto, perché quasi tutti i rumeni sono aggressivi e
stuprano le ragazze. Si discute sul ruolo della scuola e della famiglia. Nessuno dice niente sulla scuola, che
secondo loro serve soltanto per trovare lavoro, mentre dibattono molto sulla famiglia. Un ragazzo albanese
sostiene che la sua famiglia è troppo rigida e che le troppe regole che gli danno lo portano poi a voler essere
libero almeno a scuola. Interviene una ragazza italiana parlando dell’esperienza di una sua amica marocchina che
non vuole portare il velo e si è ribellata alle imposizioni della famiglia. L’alunna italiana commenta sbalordita il
fatto che in Marocco una ragazza sposata o fidanzata non può lasciare il ragazzo né mettere una minigonna
altrimenti le “tirano le pietre”, ha conosciuto questa realtà dai racconti dell’amica straniera che vuole
modernizzarsi e che considera assurde alcune regole familiari e culturali. Ai commenti del professore sulla
necessità di non giudicare e di capire le diverse culture interviene l’altra ragazza italiana dicendo “una
popolazione che rinchiude la donna non va capita”.
L’ora sta per finire, i ragazzi dell’ultima fila parlano e ridono, il professore li riprende senza successo, il ragazzo
rumeno chiede di uscire e quando il docente risponde: “Certo”, commenta: “Mai una volta che dicesse di no,
eh!”. La classe si mostra libera di comunicare e dialogare con il lessico che vuole, senza alcun timore per la
presenza del docente che è avvertito come comprensivo e non autorevole. La non autorevolezza è percepita come
libertà tanto in termini positivi di creatività e apertura quanto in termini negativi di mancanza di regole che a
volte i ragazzi avvertono come mancanza di riferimenti precisi.
I ragazzi cinesi che non sono mai intervenuti consegnano i compiti, il professore me ne legge uno dove è scritta
soltanto questa frase: “I ragazzi italiani sono cattivi”. Sorride e mi racconta che questa è la percezione diffusa, i
cinesi sono “un mondo separato” e non sono ben visti dagli altri studenti perché non conoscendo la lingua non
possono comunicare e perché sono visti come quelli che gli rubano il lavoro. È diffusa l’idea nelle famiglie
pratesi che i cinesi sottraggano loro lavoro e questa considerazione si riproduce nei figli che quindi non
manifestano alcun desiderio nel relazionarsi con i compagni cinesi.
Nella classe gli altri alunni stranieri sono bene integrati con i compagni italiani, la convivenza scolastica è una
realtà assodata nell’Istituto, ma questo non sembra eliminare considerazioni razziste che sottostanno alla
normalizzazione degli episodi di discriminazione che si presentano negli ambienti extrascolastici. Il professore a
conclusione dell’ora sottolinea come gli alunni più confusionari e problematici sotto il profilo dell’attenzione e
del rendimento scolastico siano in realtà i più creativi se stimolati; se percepiscono che sono ascoltati e non
giudicati manifestano idee brillanti e grandi capacità.
La problematicità delle diverse storie personali che si intrecciano alle diverse culture e alle differenti esperienze
familiari sono, secondo il docente, una risorsa che i ragazzi in realtà percepiscono, ma in modo limitato a causa
dei giudizi negativi interiorizzati in famiglia. Sostiene che l’integrazione deve passare attraverso la scuola e per
gli alunni cinesi attraverso la conoscenza della lingua italiana, poiché anche i pochi tentativi degli altri ragazzi di
comunicare con loro sono scoraggiati dall’impossibilità oggettiva di dialogo.
B) Laboratorio Linguistico L2
L’osservazione partecipante si è svolta durante il Corso di livello avanzato previsto nell’ambito del laboratorio
linguistico per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua (L2). Tale corso ha coinvolto alcuni studenti
delle classi prime dell’Istituto.
Il contesto di classe
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- Arredamento
La lezione si svolge in un’aula apposita, fuori dalla porta un cartello color arancio con scritto “Laboratorio
linguistico italiano L2” ed esposti i diversi orari. All’interno la struttura è quella di una classe con file di banchi
divisi da due pareti di metallo che non permettono agli studenti di vedersi. Sulla parete di fronte alla porta le
finestre che danno sul cortile, di fronte ai banchi una cattedra e sul lato destro, accanto alla porta, una lavagna
bianca. L’aula è spoglia, nessun oggetto rilevante, anche in questo caso compare la “macchia” dove era presente
il crocifisso sulla parete centrale dietro la cattedra.
- Composizione della classe
All’attività laboratoriale partecipano alunni cinesi delle classi prime dell’Istituto. I laboratori si differenziano in
relazione alle classi e si dividono ulteriormente in Corso di base e Corso avanzato.
Ci troviamo in una lezione laboratoriale del corso avanzato per le classi prime, condotta da una facilitatrice e
mediatrice interculturale, una giovane insegnante di 30 anni molto informale.
Gli alunni sono 10 ragazzi cinesi con età compresa tra i 14 e i 16 anni, di cui 4 ragazzi e 6 ragazzi. Le ragazze
nelle ultime file, l’una accanto all’altra (anche se la struttura del Laboratorio non permette loro nessun tipo di
comunicazione) mentre i ragazzi nella prima e seconda fila.
- Dinamiche di gruppo
Gli alunni non parlano tra di loro, non sono distratti e sono molto interessati a imparare lingua. Il Laboratorio è
l’attività in assoluto più seguita, proprio perché, come conferma la mediatrice, è la richiesta fondamentale degli
studenti cinesi ed è la base per una futura integrazione. Nessuna dinamica di differenziazione e di relazione, gli
studenti sembrano atomizzati e sono concentrati nel seguire le richieste della docente. Si osservano solo quando
è richiesto loro di farlo in funzione dell’apprendimento lessicale.
Non sono presenti altre nazionalità poiché non registrano significative difficoltà linguistiche.
- Dinamiche comunicative
La lezione verte sull’apprendimento di parole usuali della lingua italiana parlata, si insegnano prevalentemente i
termini che permettono le prime relazioni, ovvero la descrizione dell’abbigliamento e della fisicità degli alunni.
L’insegnante chiede ad ognuno di loro di descrivere come è vestito uno dei compagni. Per far questo gli alunni
sono costretti a sporgersi dal banco. Conoscono poche parole, nessuna frase è articolata, rispondono per colori e
per tessuti. La mediatrice appunta le parole su una lavagna bianca, e queste sono memorizzate dagli alunni
attraverso l’inserimento delle stesse nella descrizione dei compagni. La docente formula le domande in Italiano
(es.: “Come è vestito questo tuo compagno?”), alcuni alunni comprendono e cercano i termini che conoscono o
chiedono nella lingua d’origine come si traduce una parola dal cinese all’italiano, altri hanno bisogno di una
traduzione più completa dell’insegnante. Questa mi rivela nel corso della lezione che il problema principale è la
non conoscenza dell’italiano che hanno le famiglie degli alunni, questo comporta una difficoltà di apprendimento
e una razionalizzazione della conoscenza in relazione allo scopo di alfabetizzare i genitori ed essere funzionali in
vista delle esigenze lavorative.
C) Classe IV
L’attività di osservazione si è svolta in una classe IV dell’indirizzo economico-aziendale dell’Istituto durante una
lezione di Economia aziendale.
Il contesto di classe
- Arredamento
Collocata al piano terra la classe risulta spoglia, i banchi sono i medesimi in tutto l’Istituto, vale a dire senza
nessun tipo di appoggio ulteriore per i libri se non il piano stesso. La lavagna sempre nella parete centrale dietro
la cattedra al cui lato destro vi è l’armadietto utilizzato dagli insegnanti e dalla parte opposta è appeso il
planisfero (carta politica). Al lato sinistro della lavagna alcuni fogli appesi con vari orari e in particolare un
foglio con una citazione di Aristotele “Ciò che dobbiamo imparare a fare lo impariamo facendo”.
- Composizione della classe
In classe al momento della lezione sono presenti 14 alunni di cui tre di nazionalità straniera: una studentessa
cinese nata in Italia, uno studente filippino ed uno pakistano. Qualche assente, uno studente marocchino e uno
studente albanese si sono ritirati durante l’anno scolastico, due ripetenti italiani e due gli studenti italiani che,
oltre ad andare a scuola, lavorano nelle aziende di famiglia.
I banchi sono così disposti: sulla parete vicina alla porta due file di tre banchi ciascuna, nella prima fila uno
studente filippino, accanto una studentessa cinese e uno studente italiano; nella seconda fila tre studenti italiani,
due ragazze ed un ragazzo. Dal lato opposto, divisa da qualche metro, una seconda fila con due studenti: una
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ragazza italiana e un ragazzo pakistano, altri sei studenti sono invece disposti sul lato delle finestre come a
cerchio e sono tutti italiani, quattro ragazze e due ragazzi.
Gli studenti sembrano un gruppo compatto, non si evidenziano particolari problematiche relazionali e gli alunni
stranieri sembrano ben integrati.
- Dinamiche di gruppo
Gli studenti sono disciplinati e seguono la lezione. La scelta della disposizione nei banchi sembra riflettere i
legami amicali. Il gruppo collocato nella parete opposta all’entrata, davanti alle finestre, è formato da alcune
studentesse italiane preparate che intervengono durante la lezione e rispondono alle domande dell’insegnante e
da due ragazzi che sono considerati i “simpatici” della classe e sono quelli con un più basso rendimento
scolastico (come conferma l’insegnante).
La studentessa cinese e lo studente filippino che intervengono puntualmente sono gli alunni con più alto
rendimento scolastico, mentre lo studente pakistano, schivo e timido, è il compagno di banco di una studentessa
italiana con cui sembra avere un ottimo rapporto (gli atteggiamenti di vicinanza tra i due sembrano suggerire un
legame affettivo/sentimentale).
- Dinamiche comunicative
La lezione di economia aziendale sembra essere considerata particolarmente importante, l’insegnamento tecnico
è, infatti, la finalità prioritaria degli alunni di questo indirizzo. L’insegnante è formale nel porsi e amichevole
soltanto in alcuni momenti, gli alunni stanno composti e in silenzio in conseguenza all’autorevolezza della
docente. Questo insegnamento prevede un laboratorio simulato per acquisire crediti, con successivi stage in vista
degli esami di stato. Uno studente italiano interviene quando la professoressa annuncia gli orari del laboratorio
facoltativo, sostenendo di voler rinunciare a questo per un interesse teatrale come attività parallela alla didattica
scolastica. L’insegnante ribatte dicendo: “nel mondo del lavoro fare Pulcinella non ti servirà a niente”, il
pragmatismo di fondo è condiviso dagli alunni della classe, l’unico elemento di disturbo sembra rappresentato
dallo studente appassionato al teatro e alla scrittura (oltre ad avere un buon rendimento scolastico generale) che
sono materie e interessi svalutati dall’insegnante e dai compagni.
La lezione si svolge normalmente, la docente in piedi si aggira tra i banchi mentre fa leggere a ciascuno degli
alunni un paragrafo del libro con un argomento specifico di economia e interrompe talvolta per valutare la
preparazione degli alunni. A rispondere con più sicurezza una studentessa italiana, la studentessa cinese e lo
studente filippino. Lo studente filippino scherza e commenta i contenuti del libro (l’argomento è il calcolo degli
utili) con una studentessa italiana seduta dietro di lui.
L’insegnante cattura l’attenzione degli alunni sottolineando come le nozioni discusse siano estremamente
necessarie per il lavoro che andranno a svolgere concluso il percorso scolastico.
Non si registrano discriminazioni o difficoltà integrative, gli studenti stranieri hanno un’ottima conoscenza della
lingua italiana e un buon rendimento scolastico. In questo caso il non isolamento della studentessa cinese,
secondo la docente, è dovuto al fatto che è nata in Italia ed ha una famiglia che parla italiano anche a casa.
4.6 Partecipazione e domande delle famiglie
Per valutare la partecipazione delle famiglie all’attività scolastica dei figli si è fatto
riferimento sia ad interviste ai dirigenti scolastici e ai docenti delle scuole selezionate, sia ai
colloqui con genitori italiani e stranieri dei figli iscritti alle tre scuole in questione.
I dati raccolti dalle figure istituzionali hanno evidenziato l’alta presenza degli alunni
stranieri e il loro aumento negli ultimi anni. Nell’I.P. Datini sono presenti alunni cinesi (con la
percentuale maggiore soprattutto nelle classi del biennio), albanesi, rumeni, marocchini,
algerini. Gli stranieri si rivolgono a questo Istituto principalmente per la formazione pratica
che lo contraddistingue. Il dirigente scolastico sottolinea infatti che è il solo Istituto nel
territorio pratese a fornire un inquadramento teorico e pratico per l’inserimento nel contesto
lavorativo ed è l’unico a prevedere la qualifica professionale alla conclusione del terzo anno.
Gli alunni stranieri sembrano concentrarsi su questo primo strumento formativo e non
proseguire gli studi per l’acquisizione del diploma. Questo dato riflette le diverse aspettative
delle famiglie straniere nei confronti dell’istruzione scolastica.
Il preside sottolinea la funzionalità che la scuola riveste per gli alunni stranieri in termini di
mobilitazione cognitiva dei figli, meno per i cinesi.
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(Si frequenta la scuola, ndr) generalmente per trovare un lavoro migliore di quello che fanno i genitori, i non
cinesi veramente vogliono inserirsi nella società italiana a un livello superiore a quello che sono i genitori.
(Intervista al dirigente scolastico della scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Il docente referente per l’integrazione scolastica conferma la finalità della scuola per gli
alunni stranieri in termini di conoscenza della lingua italiana e apprendimento delle nozioni
tecniche fondamentali per l’inserimento nel mondo del lavoro. In particolar modo sono gli
alunni cinesi a vedere nell’istruzione scolastica la base necessaria per la collocazione nel
tessuto socio-economico della provincia pratese e a riflettere la richiesta delle famiglie di un
aiuto e di una continuazione dell’attività economica intrapresa.
Secondo me la famiglia straniera tende più al pratico, vuole che il ragazzo studi non per avere dei grandi
obiettivi, ma per imparare una professione e quindi ottenere anche un diploma, ma che abbia una spendibilità
immediata. È chiaro che con gli italiani gli obiettivi sono altri, si sceglie anche un liceo invece di un
professionale. Mentre nelle diverse etnie i ragazzi cinesi scelgono quasi sempre l’indirizzo economico-aziendale
perché l’obiettivo è quello di imparare a gestire una ditta o addirittura di aprire una ditta, rari sono i casi in cui
vanno all’alberghiero. Mentre nelle altre etnie in qualche modo c’è l’obiettivo di raggiungere il diploma con i
ragazzi cinesi l’obiettivo è imparare la lingua italiana, capire i primi rudimenti, come aprire una ditta, come
gestirsi all’interno del panorama finanziario-economico e poi abbandonano. Non hanno l’idea del pezzo di carta
come noi, per loro conta la competenza. (Intervista al docente di italiano della scuola secondaria di II grado
Datini).
Queste aspettative si riversano nel tipo di coinvolgimento delle famiglie straniere nell’attività didattica dei figli. La scuola ha per le famiglie straniere una funzione pratica di
inserimento nella realtà economica e sociale del territorio, pertanto le famiglie non si
interessano alle problematiche di integrazione scolastica o alle dinamiche specifiche del
contesto scuola.
Dirigente scolastico e insegnanti sottolineano, infatti, come dato preoccupante e quasi
inevitabile la totale assenza delle famiglie straniere nel percorso formativo ed educativo dei
figli, parallela ad una tendenza diffusa della famiglia a delegare al figlio la scelta e la
conduzione del proprio processo di responsabilizzazione e adultizzazione.
Non sono interessati, però devo dire che anche da parte delle famiglie italiane l’interesse è proprio residuale, noi
abbiamo una partecipazione alle elezioni scolastiche che fa paura, la percentuale è a una sola cifra. Ma ci sono
consigli di classe dove l’unico rappresentante si è eletto da solo. Una diffusa non partecipazione all’attività,
questo dipende, io credo, da due cose, un po’ dipende dal tipo di scuola, dove rispetto ad altre tipologie di scuola
le famiglie sono più assenti in generale. Questo è un motivo. Un altro motivo è che generalmente c’è un distacco
da questi organi collegiali che hanno fatto il loro tempo. (Intervista al dirigente scolastico della scuola secondaria
di II grado I.P. Datini).
Gli incontri con le famiglie sono rarissimi, anche quando contattate delegano la responsabilità dell’educazione e della formazione dei figli ai docenti e all’istituzione scolastica in
generale.
Il docente di italiano e storia del biennio evidenzia le differenze di aspettative nei confronti
del sistema scolastico e di coinvolgimento delle famiglie in relazione alle diverse nazionalità.
Se le famiglie cinesi sono totalmente assenti, perché impegnate nell’attività lavorativa e
perché culturalmente abituate a una tipologia di scuola differente e totale che non prevede il
coinvolgimento dei genitori, le famiglie albanesi e pakistane tendenzialmente si interessano di
più ma in ogni caso nessuna famiglia si informa spontaneamente e viene a scuola soltanto se
richiamata dai docenti per episodi critici di bullismo.
Dipende un po’ dalle varie etnie e nazionalità. Abbiamo totale assenza delle famiglie cinesi, pochissime si
interessano al rendimento del figlio, mentre per esempio le famiglie albanesi o pakistane in genere si interessano
di più. Un po’ per cultura anche di questi cinesi che arrivano in Italia che hanno semplicemente lo scopo di fare
soldi, di aprire ditte, forse perché hanno un’estrazione sociale di un certo tipo. Diciamo che in genere i ragazzi di
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nazionalità cinese sono abbastanza indipendenti, quindi se sono determinati ad andare avanti ci riescono
comunque al di là di quello che può essere l’interesse del genitore. Anche perché loro sono abituati in Cina a fare
il loro lavoro, partono la mattina alle sette hanno un’ora in cui stanno da soli a scuola, si autogestiscono e poi
iniziano le lezioni. Tutta la giornata del ragazzo cinese è gestita in maniera autonoma. Addirittura anche
all’interno della Scuola, noi siamo stati in Cina a Giugno abbiamo visitato un Istituto, lì non esistono i custodi i
ragazzi provvedono alla pulizia, si fanno la merenda. Le altre etnie sono forse più simili alle nostre, non c’è tutto
questo inquadramento dei ragazzi. (Intervista al docente di italiano della scuola secondaria di II grado I.P.
Datini).
Questa differenza della popolazione cinese rispetto alle altre nazionalità presenti negli
istituti scolastici si registra anche per le scuole elementari e medie. L’intervista alla referente
interculturale delle due scuole ha evidenziato, infatti, una differenziazione culturale dei cinesi,
abituati a vedere nella scuola un’agenzia educativa in senso ampio che deve formare in
termini di contenuti e di valori. Le famiglie cinesi, pertanto, trovano inadeguata e illegittima
la loro presenza a scuola, il loro interessarsi alla resa scolastica dei figli. È compito della
scuola occuparsene perché è l’unica ad averne la titolarità per farlo. Questo spiega anche la
difficoltà che si sta registrando nel corso della ricerca per rintracciare famiglie cinesi che si
rendano disponibili per le interviste.
In generale il relativo coinvolgimento delle famiglie straniere è dovuto, prevalentemente,
alle difficoltà linguistiche che limitano, dunque, la partecipazione anche a momenti meno
istituzionali e più socializzanti. Si aggiungono, poi, le difficoltà legate agli orari lavorativi.
Questo aspetto linguistico è uguale dappertutto poi entrano in gioco altri tipi di fattori, c’è l’aspetto socioculturale, socio-economico, per cui le famiglie che magari, soprattutto quelle cinesi, hanno condizioni di lavoro
molto difficili, hanno degli orari di lavoro non compatibili con quelli della scuola, hanno un’alta difficoltà a
frequentare. E poi c’è il discorso culturale, sono paesi quelli da cui provengono questi bambini che hanno un
sistema scolastico molto diverso, in cui anche l’impostazione del rapporto scuola-famiglia è molto diversa. La
Cina soprattutto ha un’impostazione ideale, per cui l’insegnante ha un ruolo educativo molto globale, è un
maestro un po’ ottocentesco, è delegata al maestro l’educazione del bambino in senso lato, anche in senso
valoriale, per cui il genitore ha anche l’idea che la partecipazione sua non solo non sia richiesta ma non sia giusta
e non sia legittima. Loro si aspettano dalla scuola inizialmente molto di più di quanto in Italia è prerogativa della
scuola, in termini di cura del bambino e di educazione valoriale, quindi anche di sanzioni disciplinari e questo
rende anche più difficile rendersi conto che noi ci aspettiamo da loro un coinvolgimento maggiore sia in termini
di presenza che in termini educativi. Noi ci aspettiamo una certa coerenza tra casa e scuola dal punto di vista
educativo che per loro non è una questione rilevante proprio perché certe cose sono appannaggio della scuola.
Noi ci aspettiamo che un genitore ci aiuti nel caso che un bambino non rispetti le regole della vita scolastica
mentre invece il genitore cinese dà per scontato che sia una nostra prerogativa intervenire e se noi non siamo in
grado di imporci siamo noi una scuola inadeguata, c’è proprio un discorso culturale diverso. (Intervista alla
referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo – Filzi/Mazzei).
In generale si registra una differenza tra la scuola elementare e la scuola media nella
partecipazione dei genitori.
La partecipazione dei genitori è più forte nella scuola elementare perché la didattica si presta di più, l’ambiente
scuola si presta di più, l’équipe di classe è formata solo da due o tre maestre per cui il rapporto che si crea con i
bambini e con le famiglie è molto più forte e si prolunga per cinque anni. Quell’aspetto comunitario che si crea
nella scuola elementare difficilmente si ricrea nella scuola media dove c’è un continuo avvicendarsi di persone.
(Nella scuola media, ndr) c’è comunque un’équipe di dieci, quindici persone, che col precariato cambia spesso e
poi i ragazzi sono molto più autonomi e gradiscono meno la partecipazione dei genitori. Poi i ragazzi stranieri
sono la parte meno partecipante di tutti. (Intervista alla referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco
Polo – Filzi/Mazzei).
Se nella scuola primaria i genitori stranieri sono presenti e si interessano all’integrazione
dei figli, destinando alla scuola il compito di alfabetizzare e di permettere la socializzazione,
nella scuola secondaria di I grado si registra un progressivo allontanamento dalla partecipazione scolastica delle famiglie dovuto, secondo l’insegnante intervistata, all’assimilazione con
il modello genitoriale italiano.
151
L’insegnante della scuola primaria ha confermato una partecipazione dei genitori alle
attività didattiche dei figli e l’interesse verso una pedagogia interculturale. Registra il diverso
modo di porsi delle famiglie cinesi che non si presentano ai colloqui con gli insegnanti,
mentre evidenzia soprattutto con riferimento alle famiglie rumene e pakistane il riconoscimento che queste esprimono del valore della didattica nel sistema scolastico italiano.
Di solito le famiglie sono molto rispettose nei nostri confronti, qualche mamma, soprattutto le mamme rumene e
pakistane riconoscono quando vedono che i figli imparano l’italiano e a casa traducono i loro libri rimangono
sconvolte e quindi c’è una riconoscenza. (Intervista ad una maestra della scuola primaria Filzi).
Le interviste alle famiglie straniere hanno permesso di confrontare l’opinione istituzionale
sul loro coinvolgimento e la loro considerazione in riferimento alle richieste e alle reali
aspettative nell’istituzione scolastica italiana.
Una signora albanese, madre di un figlio iscritto all’I.P. Datini sottolinea le difficoltà
integrative vissute dagli stranieri ed evidenzia come la scuola superiore sia concentrata
soltanto sulla didattica, ma non prenda in considerazione l’educazione alla differenza e
l’analisi dei pregiudizi che possono formare i ragazzi e migliorare la loro socializzazione.
Parallelamente rileva come le attività integrative dell’Istituto siano rivolte, principalmente,
agli alunni cinesi e concentrati sull’alfabetizzazione. Sebbene gli alunni di origine cinese
rappresentino la maggioranza degli alunni stranieri nell’Istituto, l’offerta formativa, e in
special modo l’insegnamento della lingua italiana, sembrerebbero penalizzare gli alunni di
altre nazionalità poiché calibrati essenzialmente con riferimento ai bambini cinesi.
A livello scolastico dovrebbero essere i professori a coinvolgere i bambini facendogli conoscere le varie culture
e le varie storie, invece sono assenti, non sono coinvolti. Le iniziative scolastiche sono troppo generali, mentre i
corsi in lingua sono solo per i cinesi e questo può creare un po’ di gelosie tra gli altri stranieri. Qui sono
focalizzati sul cinese, mentre occorre un corso di italiano per stranieri. (Intervista n. 3, famiglia albanese, madre,
scuola secondaria di II grado I.P. Datini).
Emerge la richiesta di una scuola che sia funzionale anche alla conoscenza dell’interculturalità e che oltre ai programmi istituzionali prenda in considerazione l’educazione alla
differenza come risorsa.
Diversa la percezione delle famiglie cinesi che generalmente non si preoccupano di dare
giudizi di merito all’istituzione scolastica, ma che quando interpellati sulla funzione della
scuola sottolineano le profonde differenze con il loro sistema scolastico nazionale, più
qualificato in termini di apprendimento linguistico e di disciplina. Una famiglia cinese, ormai
inserita da molti anni nella realtà pratese, sottolinea la maggiore severità della scuola nel
paese di origine che insegna e responsabilizza i ragazzi e non è disorganizzata e incapace
come quella italiana.
Nel mio Paese si studia di più che in Italia, qui si studia meno, da noi si studia l’inglese all’asilo, qui alla terza
elementare. Nel mio Paese ogni tre mesi si fa la verifica, in Italia la scuola è più leggera, è diverso come sistema
scolastico, gli alunni sono abituati male, studiano meno. La scuola deve essere più dura, non dovrebbero venire a
scuola i ragazzi che si comportano male, ma essere mandati fuori. (Intervista n. 4, famiglia cinese, madre, scuola
secondaria di II grado I.P. Datini).
Le famiglie straniere evidenziano tendenzialmente una diffidenza verso le famiglie italiane
il che non incentiva rapporti interculturali anche perché le famiglie autoctone sono percepite
come legate agli stereotipi che rappresentano lo straniero come diverso, ma soprattutto come
ignorante e pericoloso.
Una famiglia albanese rileva come le discriminazioni vissute nel proprio percorso esperenziale continuino a perpetrarsi sulle seconde generazioni e come i figli subiscano l’isolamento
da parte dei loro coetanei. Secondo la famiglia in questione le seconde generazioni vivono un
152
percorso di inserimento sociale molto sofferto, difficile da modificare se la scuola non
interviene promuovendo la conoscenza di culture diverse e lavorando, pertanto, su forme di
socializzazione nella diversità.
Un’altra famiglia albanese sottolinea come problematica esiziale del sistema scolastico
italiano la mancanza di severità e di regole, evidenzia infatti come i docenti tendano ad avere
un rapporto amichevole con gli studenti che, da un lato, incentiva la loro serenità nel contesto
scolastico, dall’altro lato disincentiva il processo di responsabilizzazione degli alunni che
risentono dell’assenza di figure istituzionali rappresentative di quelle regole necessarie per un
processo di adultizzazione e di assimilazione corretta delle norme sociali e morali. La madre
albanese evidenzia come spesso i docenti l’abbiano contattata per discutere insieme le linee
guida per la formazione del figlio, in relazione a ripetuti episodi di bullismo; questo coinvolgimento delle famiglie, se pur considerato necessario, è percepito come una incapacità
degli insegnanti di controllare e di educare correttamente gli studenti. La mancanza di
disciplina di questi non è avvertita come conseguenza dell’educazione familiare e, pertanto,
come problematica diretta della famiglia, quanto connessa alle difficoltà di un’adolescenza
socialmente irrequieta che necessita di un sistema scolastico educativo/punitivo. L’intervistata
sottolinea la differenza tra la figlia femmina che arrivata in Italia a 17 anni si è inserita con
facilità e con ottimi risultati nella scuola italiana, frequentando il liceo scientifico con i voti
più alti della classe e laureandosi con il massimo dei voti alla facoltà di Ingegneria, e il figlio
maschio iscritto all’istituto Datini che, invece, non è interessato allo studio e non vede l’utilità
della didattica. Questa distinzione è dovuta secondo la madre sia alla differenza di genere che
influenza i percorsi di scelta e di impegno, sia al tipo di scuola che in Albania, diversamente
dall’Italia, incentiva la costruzione di regole e di metodo per affrontare responsabilmente lo
studio.
Mia figlia è contenta di essere venuta a fare la scuola qua invece che al suo paese, ha fatto il liceo scientifico, lì
si è trovata molto bene e mi hanno anche chiamato per ringraziarmi di questa figliola. Almeno per mia figlia che
ha volontà di studiare. Invece il figlio è più vivace, della scuola non si lamenta, si trova bene, è contento dei
compagni, però non si impegna, non studia e i professori mi chiamano per raccontarmi cosa combina, ma io ho
educato i miei tre figli nella stessa maniera. Il mio parere è che la scuola dovrebbe essere più severa, bisogna
chiedere di più ai ragazzi, la scuola albanese è più severa. (Intervista n. 5, famiglia albanese, madre, scuola
secondaria di II grado I.P. Datini).
Se le famiglie straniere manifestano opinioni critiche sull’offerta di integrazione promossa
dall’Istituto Professionale Datini, al contrario, presso le famiglie italiane intervistate si
registra una tendenza opposta che si concretizza nell’espressione di un giudizio positivo nei
confronti della scuola in questione. Le famiglie italiane confermano, inoltre, di non avere
rapporti con famiglie straniere. Considerano la scuola attenta alle esigenze integrative e sono
favorevoli alla presenza di alunni stranieri, con la clausola che non siano eccessivamente
concentrati in alcune classi perché altrimenti ne risentirebbe il programma e l’educazione
degli studenti italiani. Rivelano una distanza delle famiglie straniere che tendono a non
partecipare e a non socializzare nei momenti istituzionali di ricevimento o di consigli di classe
e sebbene non siano al corrente di episodi di discriminazione riportati dai figli, confermano
una lontananza degli alunni stranieri nel contesto scolastico, dovuta prevalentemente ad una
difficoltà linguistica. Nella prospettiva delle famiglie italiane intervistate è ravvisabile,
pertanto, la tendenza ad imputare le difficoltà di integrazione incontrate dagli stranieri (alunni
e famiglie) nel contesto scolastico a processi di auto-esclusione che si concretizzano nella
scarsa partecipazione alle attività dell’Istituto.
Le famiglie italiane non evidenziano un’eccessiva preoccupazione per la didattica dovuta
alla presenza di alunni stranieri e questo è dovuto, probabilmente, anche alla volontà di non
essere percepiti come discriminanti. Non a caso facendo osservazione partecipante durante gli
incontri scuola/famiglia si può constatare che i genitori italiani formano dei gruppi e discuto153
no tra di loro sulle difficoltà di sviluppare organicamente il programma e di realizzare una
didattica efficace a causa della presenza degli alunni stranieri che avendo difficoltà di
comprensione rallentano la classe. Una preoccupazione quella dei genitori pratesi confermata
dai docenti.
La situazione si ripete anche scuole primarie e secondarie di I grado anche se, generalmente, i professori non registrano fenomeni di discriminazione evidenti da parte delle
famiglie italiane nei confronti della presenza di studenti stranieri.
Qualche genitore ha portato via i bambini con delle scuse, l’anno scorso in prima ne avevamo otto, ora quattro
italiani sono andati via. Hanno portato come motivazione la lontananza rispetto alla scuola, qualcuno non l’ha
detto apertamente ma ce l’ha fatto capire che la reale motivazione consisteva nella presenza di troppi stranieri e
nell’idea che gli italiani non avessero abbastanza spazio. (Intervista ad una maestra della scuola primaria Filzi).
I genitori italiani si preoccupano soprattutto nelle prime classi per un rallentamento del programma perché ci
sono moltissimi ragazzi stranieri che non parlano italiano. (Intervista al docente di italiano della scuola
secondaria di II grado I.P. Datini).
(Le famiglie italiane, ndr) sono preoccupate per la didattica perché è indubbio che aver molti bambini non
italofoni modifica la didattica, perché il complesso della didattica viene influenzato. Se l’insegnante è
particolarmente valido può essere un arricchimento per la classe ma è una possibilità. Questa è una paura dei
genitori italiani che sono sociologicamente ansiosi, poi ci sono persone che vedono tutte facce colorate e pensano
sia una difficoltà; ci sono state persone che quando sono state esposte le classi hanno visto i cognomi e hanno
deciso di spostare il figlio. Però non sono fenomeni particolarmente significativi, direi che la maggior parte dei
genitori sono collaborativi, non direi che ci sono grandi difficoltà da questo punto di vista. (Interviste alla
referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo – Filzi/Mazzei).
Se le nuove generazioni di genitori stranieri che hanno i figli alle scuole primarie manifestano un maggior interesse e coinvolgimento nell’attività didattica, partecipano attivamente
alle iniziative di relazione con insegnati e famiglie straniere ed italiane, nelle scuole superiori
di I e II grado si registra una distanza delle famiglie dall’istituzione scolastica e una mancata
relazionalità tra famiglie italiane e straniere.
La lontananza socio-culturale e la variabile socio-economica influenzano le dinamiche
relazionali e l’integrazione si manifesta, soltanto, là dove si registra un insediamento delle
famiglie straniere nel territorio pratese già da diversi anni e uno status socio-economico
medio tanto delle famiglie italiane quanto di quelle straniere.
La ridotta partecipazione delle famiglie straniere alla vita scolastica dei figli e il loro scarso
interesse a coltivare un rapporto con i docenti sembrano riconducibili: a) alle difficoltà nella
comunicazione causate dalla scarsa conoscenza della lingua italiana e dalle condizioni di
marginalità sociale che generano un senso di disagio; b) alla disapprovazione del ruolo della
scuola come attore che si limita a formare culturalmente gli alunni, quando dovrebbe fornire
soprattutto gli strumenti necessari per l’inserimento lavorativo; c) alla convinzione, soprattutto fra le famiglie cinesi, che alla scuola spetti una funzione nella formazione che non
può esser condivisa con le famiglie, diversamente queste ultime si arrogherebbero ruoli che
non gli competono. La sensazione che è emersa nel corso della ricerca è che per le famiglie
cinesi una scuola che coinvolge i nuclei familiari è percepita come un’istituzione inadeguata a
svolgere il suo ruolo educativo.
Parallelamente alla valutazione fatta dagli operatori scolastici di progressiva distanza delle
famiglie italiane e straniere dall’istituzione scolastica con la crescita dei figli e la conclusione
della scuola primaria, dalle interviste alle famiglie italiane e straniere è emerso come questo
allontanamento genitoriale sia dovuto anche all’incapacità della scuola di coinvolgere nelle
iniziative didattiche i genitori. La distanza della famiglia dalla scuola sembrerebbe dovuta,
dunque, non soltanto ad un processo di adultizzazione degli alunni/figli, ma anche ad un
servizio scolastico deficitario in termini di regole e di capacità di iniziative a cui le famiglie
154
possano partecipare. In questo senso i genitori intervistati mostrano una generale
soddisfazione verso la scuola primaria con insegnanti attenti all’educazione, all’integrazione e
alla relazionalità. Evidenziano, invece, insoddisfazione verso la scuola secondaria di I e II
grado dove le famiglie sono impossibilitate a collaborare con la scuola sia per i limiti dei
docenti - percepiti come assenti o come incapaci di imporsi con severità e di trasmettere senso
del dovere e disciplina - sia per il sistema didattico in sé, che prevede una pluralità di
insegnanti, una parcellizzazione del tempo di insegnamento e un’eccessiva differenziazione
del percorso educativo.
Nelle interviste alle famiglie di studenti iscritti alla scuola primaria e alla scuola secondaria
di I grado si è cercato, pertanto, di verificare l’eventuale differenziazione di coinvolgimento e
di richieste al sistema scolastico italiano in relazione ad un caleidoscopio di nazionalità.
Le interviste sono state effettuate durante i ricevimenti generali delle due scuole, per
valutare l’effettiva partecipazione e interesse delle famiglie al percorso scolastico dei figli. Si
è registrata una generale assenza delle famiglie cinesi: al ricevimento della scuola Fabio Filzi
la presenza di alcuni genitori cinesi che non conoscevano la lingua italiana non è stata
supportata dalla mediazione linguistica, al ricevimento della scuola Ser Lapo Mazzei, dove
erano presenti una mediatrice cinese ed una pakistana, si è presentata soltanto una madre
cinese, e durante l’intervista abbiamo avuto modo di saper che si trattava del suo primo
colloquio con la scuola. La mancata presenza della famiglia è imputabile secondo la madre in
questione alla difficoltà linguistica e alla non conoscenza della presenza di mediatori culturali
durante i ricevimenti.
Grazie alla presenza dalla mediatrice cinese è stato possibile effettuare l’intervista.
L’intervistata ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’andamento scolastico del figlio,
perché occupata nell’attività lavorativa e perché non coinvolta dalla scuola. Ha evidenziato
come problematica principale la difficoltà linguistica che non permette al figlio iscritto di
integrarsi con gli altri compagni italiani e stranieri, a questo si somma la non conoscenza della
lingua italiana della famiglia che, dunque, non può controllare l’attività didattica e
l’andamento del figlio. L’intervistata ha sottolineato, infatti, di non ricevere alcuna
modulistica tradotta e di non riuscire ad avere un contatto con la scuola. Ha confermato la
necessità di mediatori linguistici per permettere ai genitori stranieri che non parlano italiano
di avere la possibilità di controllare i figli e di capire l’educazione che ricevono dalla scuola.
La problematica integrativa è connessa in questo caso alla temporalità dell’esperienza
migratoria, la famiglia in questione è, infatti, in Italia soltanto da pochi anni e non ha ancora
avuto modo di inserirsi nel tessuto sociale pratese. I docenti tuttavia precisano che l’interesse
e la partecipazione dei genitori cinesi nel contesto scolastico sono rarissimi e che l’intervistata
in questione rappresenta un caso isolato.
Una famiglia originaria del Bangladesh, trasferitasi in Italia da soli due anni, registra la
medesima problematica. È la difficoltà linguistica a determinare un impedimento nel
coinvolgimento della famiglia nel percorso scolastico dei figli e parallelamente a incidere sui
problemi integrativi di questi. Si sottolinea la difficoltà dei tempi di lavoro che non
permettono un’attenzione della famiglia per l’iter scolastico del figlio, a questa considerazione si aggiunge la percezione dell’educazione scolastica come funzionale ad un
avanzamento socio-economico e una considerazione sulla inadeguatezza della didattica nel
preparare ad un inserimento nel mercato del lavoro.
Diversa la valutazione di una famiglia dello Sri Lanka che sottolinea la funzionalità del
sistema scolastico italiano e la professionalità degli insegnanti. La valutazione positiva è
connessa alla temporalità dell’esperienza migratoria ed allo status socio-economico. La
famiglia in questione vive in Italia da diciotto anni, le due figlie sono nate in Italia dove hanno
frequentato la scuola primaria Cesare Guasti. La madre intervistata è infermiera professionale
e si è mostrata molto attenta al rapporto con la scuola e interessata al percorso scolastico delle
155
figlie. Non ha evidenziato problematiche integrative, ha invece sottolineato di essersi avvalsa
dell’insegnamento dei figli e di aver imparato la lingua italiana grazie alla loro educazione
scolastica. Ha sottolineato come l’integrazione sia avvenuta prevalentemente attraverso la
scuola primaria e sia dunque continuata nella secondaria di I grado in relazione all’opportunità delle figlie di avere molti dei precedenti compagni. Considera necessaria e
fondamentale l’istruzione scolastica per raggiungere una buona posizione in ambito lavorativo
e sociale.
La difficoltà/facilità del processo integrativo di alunni italiani e stranieri sembra
connettersi al momento in cui avviene l’inserimento scolastico degli alunni stranieri. Quando
questo è avvenuto nelle scuole primarie, per cui segue in continuità la frequentazione della
scuola secondaria di I grado, non si registrano episodi critici di discriminazione o di difficoltà
di integrazione, quando viceversa l’inserimento degli alunni stranieri avviene direttamente
alla scuola secondaria di I grado, conseguentemente al trasferimento della famiglia nel
territorio pratese si evidenziano episodi di marginalità dovuti alle difficoltà linguistiche delle
famiglie e dei figli che risentono, inoltre, di un deficit di socializzazione con i coetanei.
Questo dato già emerso dalle interviste ai docenti e ai dirigenti scolastici è sottolineato dalle
famiglie italiane intervistate e indirettamente dalle famiglie straniere in relazione alla verifica
del loro percorso migratorio.
I miei figli non hanno riscontrato problematiche con gli alunni stranieri, anche perché questi maestri sono
maestri speciali, hanno coinvolto la classe e l’hanno resa unita, anche il piccino ha una classe multietnica con
cinesi, brasiliani, marocchini e sono tutti integrati anche con i cinesi. Quando eravamo alle elementari le famiglie
erano coinvolte, c’erano più uscite fra di noi, c’erano anche alcuni genitori cinesi che parlavano un po’ italiano,
era molto bello. Alle medie è più difficile integrarli se non iniziano le scuole qui. Alle elementari si facevano
feste e anche i compleanni erano dei modi di integrarli, noi invitavamo tutti. Ora l’ultimo compleanno a cui sono
andata non c’erano stranieri. (Intervista n. 13, famiglia italiana, madre, scuola media Mazzei).
Nella loro classe non ci sono problemi, perché è dalla prima elementare che si sono frequentati, fanno corsi
musicali insieme, si vedono ai compleanni, anche con i bambini cinesi. Sicuramente i problemi di integrazione ci
sono quando i ragazzi stranieri arrivano dopo. Secondo me sta anche al professore, io per esempio alle
elementari ho trovato maestre veramente attente che hanno creato classi omogenee, qui alle medie è diverso
perché sono tanti professori, i bambini crescono, ci sono più problemi e meno attenzione. (Intervista n. 12,
famiglia italiana, madre, scuola media Mazzei).
Quando si è voluto verificare la percezione delle famiglie italiane rispetto alla presenza di
alunni stranieri nelle scuole si è registrata una generale soddisfazione per una integrazione
percepita come risorsa e come necessità sociale. Le famiglie in questione tendono a
sottolineare come ad un’iniziale preoccupazione legata al rallentamento della didattica dovuto
alle difficoltà linguistiche degli alunni stranieri segua un riscontro positivo in relazione
all’ottimo rendimento scolastico degli stessi.
Io all’inizio avevo paura per la grande perché in classe erano prima cinque stranieri su ventiquattro ora sono la
metà e sinceramente avevo paura all’inizio perché non parlavano italiano, però io ti posso dire che ci sono cinesi
molto più bravi degli italiani, i primi della classe sono un cinese e un ragazzo dello Sri Lanka. (Intervista n. 13,
famiglia italiana, madre, scuola media Mazzei).
Non mancano tuttavia considerazioni sulla necessità che i genitori partecipino assieme alla
scuola alla realizzazione effettiva dell’integrazione tra alunni italiani e stranieri, attraverso un
costante dialogo con i figli per evitare forme di conflittualità e di xenofobia - che alcune
famiglie considerano diffuse e connesse ad una tendenza attuale della società italiana. Le
famiglie italiane intervistate si sono mostrate preoccupate del ruolo educativo delle agenzie di
socializzazione e dei mezzi di comunicazione pubblica, televisione in primis, che influenzano
atteggiamenti devianti e moralmente illeciti negli adolescenti. Ad un giudizio positivo sulla
156
scuola in questione si è registrata, dunque, parallelamente una criticità verso la situazione
relazionale e integrativa generale.
Le interviste rivolte ai genitori dei figli iscritti alla scuola primaria Fabio Filzi, pur
confermando alcuni dati emersi, hanno permesso di registrare la peculiarità dell’istituto
scolastico in questione, segnalandolo come paradigma dell’integrazione nel territorio pratese.
Le famiglie hanno dato complessivamente un giudizio molto positivo sul sistema scolastico,
sulla didattica e sulla capacità e attenzione degli insegnanti.
Una famiglia peruviana ed una albanese hanno posto l’attenzione sui docenti, sottolineando
come ad una discriminazione latente fra i bambini, dovuta all’educazione familiare, corrisponda un impegno da parte degli insegnanti nella conoscenza e nella valorizzazione delle
identità come ricchezza e come passaporto per un futuro multietnico. Questa peculiarità della
scuola è stata evidenziata anche dalle famiglie italiane, soddisfatte della presenza di alunni
stranieri e del reciproco scambio culturale che crea nei figli un valore aggiunto. Nessuno degli
intervistati ha registrato episodi critici nel contesto scolastico, le famiglie italiane hanno
sottolineato piccole difficoltà comunicative fra i bambini, legate ai singoli e dunque soggettive e caratteriali, non determinate dall’appartenenza etnica.
Tendenzialmente i genitori intervistati hanno rilevato una soddisfazione dei figli per le
relazioni con i coetanei italiani e interpellati sulle eventuali fragilità del sistema scolastico
italiano, hanno posto l’attenzione sulla necessità di incrementare iniziative di conoscenza
culturale e di contatto che coinvolgano anche le famiglie. A tale proposito ritengono che
sarebbe opportuno predisporre delle attività che, tuttavia, non comportino degli oneri
economici per le famiglie, che potrebbe, infatti, disincentivare la partecipazione di molti
genitori stranieri.
Una madre albanese ha espresso la sua incredulità nei confronti dell’interesse e della cura
delle insegnanti verso gli alunni, ha sottolineato come la figlia sia serena e felice del contesto
scolastico e delle relazioni con i compagni e come abbia appreso facilmente la lingua e i
costumi italiani, mentre i genitori hanno ancora difficoltà linguistico-comunicative.
La facilità dell’integrazione sembra legarsi ancora una volta ai tempi di inserimento della
famiglia nel territorio, i figli dei genitori intervistati sono infatti tendenzialmente nati e
cresciuti in Italia. Lo conferma un padre albanese che sebbene sia soddisfatto per l’integrazione della figlia e per l’ottimo rapporto con gli insegnanti, in relazione soprattutto
all’esperienza avuta con il figlio più grande che frequenta la terza media, sostiene l’esigenza
di una maggiore severità e di regole che possano formare il carattere e possano far fronte ad
un fenomeno dilagante di bullismo e di libertà mal gestita da parte degli adolescenti.
Dall’intervista al padre albanese in questione emerge con forza l’enfasi posta sulla necessità
di una severa disciplina, tanto che l’intervistato arriva a dubitare che possa esserci disciplina
nelle scuole dei paesi democratici.
Quando eravamo noi a scuola si stava tutti zitti, qui vedo che parlano troppo perché c’è più libertà, mancano più
regole, più severità. Non si può migliorare la scuola, in un sistema democratico non si può, la disciplina è una
cosa negativa che però fa bene, da noi se si scopriva un bambino a fumare alle medie succedeva la fine del
mondo, io ho vissuto la dittatura, purtroppo qui siamo in un paese democratico oramai è impossibile cambiare le
scuole. Da noi gli insegnanti danno uno schiaffo quando il ragazzo si comporta male, qui scatta la denuncia, non
si può, questa è una assurdità e non porta a niente, non permette di formare un carattere. (Intervista n. 15,
famiglia albanese, padre, scuola primaria Filzi).
Medesima considerazione sulla differenziazione fra la scuola albanese rigida e formativa
del carattere degli alunni e la scuola italiana, dove la mancanza di regole punitive rischia di
pregiudicare l’educazione e la formazione dei bambini e degli adolescenti, viene fatta da un
altro genitore albanese, padre di due bambini, trasferitosi in Italia da molti anni, integrato nel
tessuto territoriale e con una buona relazionalità con le altre famiglie italiane e straniere.
L’assenza di disciplina - considerata il requisito fondamentale di una buona educazione anche
157
perché capace di innescare un timore, una paura, degli insegnanti - è legata al sistema
democratico italiano che rende le scuole e le famiglie incapaci di applicare dei metodi punitivi
che produrrebbero la crescita e la responsabilizzazione degli alunni e dei figli.
Per la verità, anche vedendo i bambini che studiano in Albania, hanno più responsabilità, un bambino se ha
voglia di imparare, impara. Però qui se ad esempio non hanno voglia, sono poco puniti. Io avevo paura dei
genitori e della scuola, perché così era il sistema, invece qui, lo dice anche mia moglie, mi sembra che i bambini
non hanno paura della scuola. (Intervista n. 16, famiglia albanese, padre, scuola primaria Filzi).
Sono dunque tendenzialmente le famiglie albanesi a registrare una differenziazione in
termini di regole e di disciplina da parte degli insegnanti e della scuola del paese d’origine
valutando, da un lato, la positività del dialogo e della relazionalità tra docenti e alunni,
dall’altro, considerando come deficitaria la mancanza di figure istituzionali severe che siano
un punto di riferimento e che applichino anche criteri punitivi per scongiurare la devianza
adolescenziale propria, a loro dire, della società contemporanea.
Le maggiori problematiche si riscontrano nelle famiglie che si sono trasferite da poco in
Italia. È il caso di una madre peruviana che pur considerando l’avvenuta integrazione della
figlia non manca di sottolineare le difficoltà iniziali di inserimento dovute alla non conoscenza della lingua e ammette la sua diffidenza verso le altre famiglie, giustificata da una
non padronanza dell’italiano e da una paura dovuta agli episodi di violenza appresi dai media
e riscontrati a livello di società locale.
Non abbiamo nessun rapporto con le famiglie, si sta in periferia, si sta a casa, non mi piace tanto l’amicizia,
penso che non so quale sarà il pensiero delle altre persone, possono essere cattive, anche perché sono straniera,
preferisco stare un po’ lontana. (Intervista n. 17, famiglia peruviana, madre, scuola primaria Filzi).
L’intervistata in questione considera la scuola italiana poco attenta nel promuovere
interventi che possano rimuovere alcune discriminazioni: fa l’esempio della mancanza di una
divisa per gli alunni che eviterebbe l’evidenziazione di molte differenze socio-economiche.
Nel mio paese di origine si mette un vestito così almeno nessuno dice “lei si veste meglio”, perché a mia figlia è
successo che dicono “ti metti sempre gli stessi pantaloni” e la prendono in giro perché non ha i soldi per
comprare degli abiti più belli. (Intervista n. 17, famiglia peruviana, madre, scuola primaria Filzi).
A questi aspetti aggiunge la richiesta di un’insegnante che conosca la lingua d’origine dei
bambini stranieri per permettere durante l’anno di inserimento un più facile e non traumatico
apprendimento della nuova lingua. La lingua è il principale strumento per garantire
l’integrazione ed è il principale indicatore di discriminazione, è stata infatti l’iniziale non
conoscenza dell’italiano, conferma la madre intervistata, a determinare alcuni episodi difficili
per la figlia.
Sì, episodi difficili ci sono stati, bambini che gli dicevano “tu non sei mia amica perché sei venuta qua, torna da
dove sei venuta”, io gli ho detto lascia stare tu devi studiare, non fare amicizia. (Intervista n. 17, famiglia
peruviana, madre, scuola primaria Filzi).
Va rilevata, inoltre, la scarsa considerazione attribuita dalla madre peruviana ai processi di
socializzazione della figlia con i compagni, un orientamento che sembra, tuttavia, correlato
con la volontà di tutelare la figlia dagli episodi di discriminazione vissuti. In questo caso la
madre sembra suggerire alla figlia una chiusura nei confronti dei pari come strategia difensiva
rispetto ad eventuali processi di esclusione.
A rimarcare la difficoltà linguistica e la necessità di un supporto formativo ulteriore ad
integrazione dell’orario scolastico è una famiglia pakistana, in Italia da dodici anni, con una
buona integrazione e in relazione con famiglie italiane e straniere. La madre intervistata,
attenta all’educazione scolastica del figlio, affianca ad un giudizio positivo sugli insegnanti
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una valutazione delle carenze della scuola in termini di coinvolgimento dei genitori e di
approfondimento della lingua italiana per gli studenti stranieri.
Molto positivi i giudizi delle famiglie italiane intervistate, entusiaste per una scuola
multiculturale e all’avanguardia nel territorio pratese e toscano in generale, in termini di
confronto interculturale e di possibilità di dare ai bambini una conoscenza linguistica plurale,
base per un futuro anche in termini lavorativi oltre che culturali e sociali.
Io sono così contenta di parlare di questa scuola, per me era molto importante che il mio bambino avesse la
possibilità di conoscere tanti bambini di culture diverse, è proprio una cosa che cerco per la mia famiglia. Io
prima non conoscevo la Filzi , ma dopo mi sono informata e ho deciso di iscriverlo qui. Si sa poco del futuro,
però si sa che è multietnico, questi ragazzi parlano tre lingue, quella d’origine, l’italiano e l’inglese, mio figlio
vive come un limite la conoscenza di sole due lingue. (Intervista n. 19, famiglia italiana, madre, scuola primaria
Filzi).
Io faccio parte del Consiglio di istituto, l’anno scorso ho fatto la rappresentante di classe, faccio parte dello
stesso comitato dei genitori, le famiglie sono coinvolte. Non posso che essere felice delle maestre, da un punto di
vista didattico sono contentissima, sono molto attivi, sfruttano tutti i tempi per integrarli, sono capaci sempre di
accogliere bambini nuovi. (Intervista n. 20, famiglia italiana, madre, scuola primaria Filzi).
A tale riguardo non si può, tuttavia, prescindere dal considerare che le valutazioni
estremamente positive manifestate dalle famiglie italiane risultano discordanti rispetto ad
episodi, come quello del trasferimento degli alunni italiani da scuole in cui l’incidenza di
alunni stranieri risulta molto elevata, che sono stati riferiti dal personale scolastico. In
particolare è possibile che le dichiarazioni delle famiglie italiane intervistate risentano in un
certo qual modo della volontà di fornire un’immagine di cittadini sensibili e aperti alla
multietnicità come risorsa, un atteggiamento che, però, non sempre è accompagnato da
pratiche di azione multiculturale.
Sottolineano la relazionalità con le altre famiglie italiane e straniere, anche se suggeriscono
di migliorare i momenti aggregativi di contatto tra i genitori anche all’interno dell’istituto
scolastico e confermano la minore presenza nei consigli e nelle rappresentanze di classe delle
famiglie straniere per problematiche legate alla lingua, alla comunicazione e ai tempi di
lavoro (questo soprattutto per le famiglie cinesi).
Sono amica delle famiglie, più che fuori ci frequentiamo nelle case, riusciamo spesso a far giocare i bambini
insieme nel parco, bambini di tutti le nazionalità. Secondo me si fa tanto parlare di ricchezza culturale che la
diversità porta, però si fa poco a livello concreto, occorrono opportunità perché i bambini e le famiglie portino i
valori e le culture del paese d’origine, ci vorrebbero più momenti di condivisione per le famiglie. Le faccio un
esempio: c’è un coro che è partito da poco, nessun ha bisogno di spendere i soldi, è un’esperienza buona,
purtroppo non c’è continuità. Io sono rappresentante di classe e ho capito che alcune famiglie non possono
spendere per iniziative che migliorano l’integrazione. Sono problemi che non sono ostacoli, bisogna trovare
modi di partecipazione che non comportino delle spese. La scuola italiana è sempre stata legata ad una società
molto ricca e consumistica, le gite costano, si fanno i regali alle maestre, è un modello consumistico che qui alla
Filzi non esiste, non può funzionare così perché molte famiglie non possono. (Intervista n. 19, madre, famiglia
italiana, scuola primaria Filzi).
L’offerta è la stessa, poi un po’ per lingua un po’ per cultura le famiglie straniere partecipano meno, forse
dipende da una difficoltà oggettiva credo di lingua, di comunicazione, di tempo. Se si entra nello specifico io
penso che qualche momento aggregativo in più potrebbe essere utile, e dare più possibilità di tempi e di spazi di
incontro. (Intervista n. 20, famiglia italiana, madre, scuola primaria Filzi).
4.7 Conclusioni
La valutazione della positività di una scuola attenta alla multiculturalità e la considerazione
di un buon rapporto tra gli alunni e tra le famiglie sono connessi, nel caso specifico delle
159
famiglie italiane intervistate, allo status socio-economico e all’elevato capitale culturale dei
genitori.
Tendenzialmente le interviste alle famiglie straniere hanno permesso di registrare le
richieste avanzate al sistema scolastico italiano e di evidenziare le diversità nazionali e
l’incidenza che queste appartenenze hanno sulle valutazioni e sulle proposte didattiche. I dati
emersi sottolineano come la partecipazione delle famiglie italiane e straniere si contragga
durante il percorso scolastico, si passa da una presenza costante dei genitori nella scuola
primaria, ad un’attenzione quasi esclusiva per gli aspetti disciplinari fino a giungere ad una
diffusa indifferenza. Questo fenomeno sembra legarsi sia al processo di adultizzazione dei
figli a cui soprattutto i genitori stranieri affidano il compito di autogestirsi, sia alle difficoltà
linguistiche per le famiglie straniere immigrate da pochi anni in Italia e alle problematiche
connesse ai tempi di lavoro. Le cause dell’assenteismo delle famiglie nel contesto scolastico
sono diverse in relazione alle diverse appartenenze nazionali. Per le famiglie cinesi la scuola
rappresenta una istituzione con valore educativo e la famiglia non è vista come agenzia di
socializzazione che collabora sinergicamente per l’educazione dei figli, in questo caso la
mancanza del rapporto scuola-famiglia è legata ad una scelta culturale. La scuola ha una
funzione di apprendimento linguistico, base per un inserimento lavorativo.
Le famiglie albanesi intervistate, viceversa, hanno registrato una mancanza di regole nella
scuola italiana, questa assenza di disciplina è avvertita come la principale differenza rispetto
al sistema scolastico albanese e rappresenta per costoro il vero punto debole di una scuola
tendenzialmente attenta alle problematiche integrative.
Le famiglie di altre nazionalità (bengalesi, brasiliane, cingalesi, pakistane e peruviane)
hanno manifestato considerazioni generalmente più positive sul sistema scolastico italiano a
cui associano un ruolo educativo e integrativo, in questo caso la variabile del capitale socioculturale ed i tempi di inserimento nella nuova realtà territoriale hanno giocato un ruolo
rilevante nel processo di integrazione sociale e scolastica delle famiglie e dei figli. Sono
queste famiglie a richiedere una presenza maggiore di iniziative laboratoriali e interculturali
che incentivino il contatto e la conoscenza di culture diverse e che coinvolgano tanto gli
alunni quanto le famiglie.
Le famiglie italiane intervistate hanno registrato generalmente giudizi positivi sulle scuole
e sugli operatori scolastici. Nella scuola primaria i genitori hanno sottolineato una reale
integrazione e hanno posto l’accento sulla ricchezza di un modello interculturale per la
costruzione del quale sono coinvolti in prima persona. Nella scuola secondaria di I e II grado,
invece, parallelamente a considerazioni sul valore dell’integrazione e dell’interculturalità,
sono emerse una mancata relazionalità delle famiglie italiane con le famiglie straniere e una
richiesta di limitare la concentrazione degli alunni stranieri in alcuni istituti e classi per evitare
che possano rallentare il programma scolastico.
Per concludere sembra opportuno riflettere sul fatto che laddove l’incontro tra alunni e
famiglie di origini etnico-culturali diverse si verifichi nelle prime fasi dell’inserimento
scolastico, in particolare nella scuola primaria, si crea un percorso di socializzazione ed una
maggiore disponibilità verso la definizione di rapporti orizzontali nel rispetto delle reciproche
differenze. Al contrario, quando l’inserimento scolastico dell’alunno di origine straniera
avviene in una fase avanzata del percorso formativo, vale a dire nelle scuole secondarie di I e
II grado, maggiore è il rischio che si diffondano pregiudizi e diffidenze, e più in generale,
atteggiamenti discriminatori.
160
4.8 Riferimenti bibliografici
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161
4.9 Allegato 1: elenco delle persone intervistate
Interviste al personale scolastico e alle famiglie
I) Istituto Professionale Datini
Soggetti intervistati:
Dirigente scolastico dell’I.P. Datini (19/02/09, ore 09.00).
Insegnante di Economia aziendale, nelle classi IV e V dell’I.P. Datini (19/02/09, ore 10.30).
Insegnante di Italiano e Storia nel biennio dell’I.P. Datini (20/02/09, ore 08.00).
Famiglia italiana (18/03/09, ore 10.00).
Famiglia italiana (18/03/09, ore 11.00).
Famiglia albanese (18/03/09, ore 12.30).
Famiglia cinese (20/03/09, ore 10.30).
Famiglia albanese (6/04/09, ore 12.00).
Famiglia cinese (09/04/09, ore 15.00).
Calendario delle osservazioni partecipanti
20/02/09:
- dalle ore 9.00 alle ore 10.00 osservazione partecipante nella classe I durante la lezione di italiano.
- dalle ore 10.00 alle ore 10.40 osservazione partecipante nel Laboratorio linguistico per l’apprendimento dell’L2
con la facilitatrice interculturale.
- dalle ore 10.50 alle ore 11.40 osservazione partecipante nella classe IV durante la lezione di Economia
aziendale.
II) Scuola primaria Fabio Filzi e Scuola secondaria di I grado Ser Lapo Mazzei (Istituto Comprensivo Marco
Polo).
Il dirigente scolastico e la referente interculturale sono le medesime nelle due scuole poiché entrambe fanno
parte dell’Istituto Comprensivo Marco Polo.
Soggetti intervistati:
Dirigente scolastico (26/02/09, ore 9.00).
Referente interculturale dell’Istituto Comprensivo Marco Polo (26/02/09, ore 11.00).
Maestra della scuola Filzi (24/03/09, ore 11.00).
Docente di italiano e storia della scuola Mazzei (24/03/09, ore 12.00).
Scuola Ser Lapo Mazzei, ricevimento generale dei genitori 7/04/09 ore 16.00/19.00, intervistate:
Famiglia albanese (n. 1).
Famiglia bengalese (n. 1).
Famiglia brasiliana (n. 1).
Famiglia cinese (n. 1).
Famiglia cingalese (n. 1).
Famiglia italiana (n. 2).
Scuola Fabio Filzi, ricevimento generale dei genitori 22/04/09 ore 16.45/18.45, intervistate:
Famiglia albanese (n. 3).
Famiglia italiana (n. 2).
Famiglia peruviana (n. 1).
Famiglia pakistana (n. 1).
Interviste ai testimoni privilegiati
Assessore Andrea Frattani - Assessorato alla multiculturalità, all’integrazione e alla partecipazione del Comune
di Prato (28/04/09, ore 12,00).
Dott.ssa Eva Szabo – Servizio immigrazione e cittadinanza del Comune di Prato (12/03/09, ore 10.00)
Assessore Giuseppe Gregori - Assessorato Politiche educative, Istruzione pubblica, Sistema informativo, Centri
storici del Comune di Prato (12/03/09, ore 15.00).
162
Dott. Fabio Bracci – ricercatore presso l’Agenzia di Servizi per le Economie Locali – ASEL (13/02/09, ore
10.00).
Dott. Paolo Sambo - ricercatore presso l’Agenzia di Servizi per le Economie Locali – ASEL(13/02/09, ore
11.00).
Junyi Bai – Referente dell’Associazione cinese “Associna” (26/02/09, ore 12.30).
Sandra Gramigni – Responsabile dei Centri di ascolto della Caritas Diocesana di Prato (20/03/09, ore 14.30).
Note biografiche delle famiglie intervistate
Intervista n. 1, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un alunno dell’ I.P. Datini, 45 anni, casalinga, il marito
dirigente, entrambi hanno la licenza media. Oltre al figlio di 16 anni che frequenta l’I.P. Datini hanno una figlia
di 13 anni.
Intervista n. 2, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un alunno dell’ I.P. Datini, 46 anni, infermiera
professionale con diploma di scuola media superiore e corso professionale per infermiera, il marito è dipendente
pubblico ed ha il diploma di scuola media inferiore. Hanno due figli di 15 e di 12 anni.
Intervista n. 3, Famiglia albanese. Intervistata la madre di un alunno dell’ I.P. Datini, educatrice e insegnante di
sostegno, il marito è impiegato. Hanno tre figli: il figlio più grande ha 16 anni e frequenta l’Istituto, la figlia di
11 anni frequenta la scuola media e il figlio più piccolo di 8 anni la scuola elementare.
Intervista n. 4, Famiglia cinese. Intervistata la madre di un’alunna dell’ I.P. Datini; è in Italia da 25 anni e fa la
casalinga, il marito è rappresentante, entrambi hanno il diploma di scuola media superiore. Hanno una figlia di
15 anni che è nata in Italia.
Intervista n. 5, Famiglia albanese. Intervistata la madre di un alunno dell’ I.P. Datini, il marito e il figlio sono in
Italia da 12 anni, la madre, invece, da 8 anni. Fa la badante mentre il marito è meccanico. Hanno tre figli: il più
grande, di 28 anni, lavora, la figlia di 25 anni è laureata in ingegneria, il figlio di 16 è iscritto nella classe I
dell’I.P. Datini.
Intervista n. 6, Famiglia cinese. Intervistata la madre di un alunno dell’ I.P. Datini, in Italia da 10 anni. Insieme
al marito hanno un’attività commerciale. Oltre al figlio iscritto all’istituto, hanno una figlia di 15 anni.
Intervista n. 7, Famiglia cinese. Intervistata la madre di un alunno della scuola media Mazzei, in Italia da pochi
anni. Insieme al marito hanno un’attività commerciale.
Intervista n. 8, Famiglia bengalese. Intervistata la madre di un alunno della scuola media Mazzei, in Italia da 2
anni. La madre ha 36 anni, il marito 38, entrambi non lavorano. Hanno due figli: una figlia di 19 anni che ha
finito le superiori e il figlio di 15 anni che frequenta la scuola media.
Intervista n. 9, Famiglia cingalese. Intervistata la madre di un alunna della scuola media Mazzei, in Italia da 18
anni. La madre è infermiera professionale, mentre il marito lavora come operaio. Hanno due figlie che sono nate
in Italia.
Intervista n. 10, Famiglia albanese. Intervistato il padre di un alunno della scuola media Mazzei, in Italia da 18
anni; è muratore ed ha un diploma del Liceo classico. La madre è parrucchiera e ha il diploma di Liceo artistico.
Hanno due figli: una bambina nata da poco e il figlio iscritto alla scuola media.
Intervista n. 11, Famiglia brasiliana. Intervistato il padre di un’alunna della scuola media Mazzei. È in Italia da 3
anni, lavora come autista, magazziniere e musicista ed è laureato. Da circa un anno è arrivata in Italia anche la
moglie, attualmente disoccupata. Hanno due figlie: una di 14 anni l’altra di 4 anni.
Intervista n. 12, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un alunno della scuola media Mazzei. La madre è
infermiera mentre il padre è disoccupato. Hanno due figli: una figlia di 12 anni e un figlio di 6 anni iscritto alla
scuola primaria Cesare Guasti.
Intervista n. 13, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un alunno della scuola media Mazzei. La madre fa la
magazziniera. Il nucleo familiare è composto da madre, padre e due figli. La figlia più grande ha 16 anni ed è
iscritta all’Ufficio del Turismo, il figlio di 12 anni frequenta la scuola media.
Intervista n. 14, Famiglia albanese. Intervistata la madre di un’alunna della scuola primaria Filzi, in Italia da tre
anni. La madre fa la casalinga, il padre lavora come operaio.
Intervista n. 15, Famiglia albanese. Intervistato il padre di un’alunna della scuola primaria Filzi, in Italia da 13
anni. Il padre è artigiano, la moglie casalinga. Hanno due figli: il figlio di 14 anni frequenta la terza media, la
figlia di 8 anni frequenta la scuola primaria.
Intervista n. 16, Famiglia albanese. Intervistato il padre di un alunno della scuola primaria Filzi, in Italia da 13
anni. Ha due figli: un figlio frequenta la V elementare mentre la figlia frequenta la III media.
Intervista n. 17, Famiglia peruviana. Intervistata la madre di un’alunna della scuola primaria Filzi, in Italia da 7
anni. La madre è cameriera mentre il marito lavora come facchino.
Intervista n. 18, Famiglia pakistana. Intervistata la madre di un alunno della scuola primaria Filzi, in Italia da 12
anni. La madre è attualmente disoccupata.
163
Intervista n. 19, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un alunno della scuola primaria Filzi. La madre è
impiegata, il marito architetto; entrambi hanno una laurea. Hanno due figli: una figlia iscritta alla scuola
d’infanzia Caritas e un figlio iscritto alla primaria.
Intervista n. 20, Famiglia italiana. Intervistata la madre di un’alunna della primaria Filzi. La madre è psicologa, il
marito è agente di commercio ed ha un diploma di scuola superiore. Hanno due figli: una figlia che frequenta la
II alla scuola primaria e un figlio di 5 anni.
Note biografiche dei testimoni privilegiati
Assessore Giuseppe Gregori - Assessorato Politiche educative, Istruzione pubblica, Sistema informativo, Centri
storici del Comune di Prato.
Giuseppe Gregori è nato a Carrara il 16 ottobre 1952. Laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Pisa, dov’è
stato temporaneamente assistente, successivamente si è trasferito a Prato per entrare a lavorare alla Cassa di
Risparmio. Sindacalista, è stato segretario provinciale dei bancari della Cgil (1988), membro della segreteria
della Camera del Lavoro di Prato dal 1990, componente della segreteria della Filtea-Cgil dal 1994, segretario
generale dello stesso sindacato tessili della Cgil di Prato dal 1995 e della Toscana dal 1996, segretario generale
della Camera del Lavoro di Prato dal 2004. Nella Cgil è stato anche direttore, dal 1990 al 1994, di "Azione
sindacale", il giornale della Camera del Lavoro di Prato.
Assessore Andrea Frattani - Assessorato alla multiculturalità, all’integrazione e alla partecipazione del Comune
di Prato.
Andrea Frattani è nato a Macerata il 6 settembre 1963. Amministratore immobiliare dal 1987 attualmente è
segretario provinciale dell’ASPPI, Associazione Sindacale Piccoli Proprietari Immobiliari. Iscritto al Partito
della Rifondazione Comunista nel 1994, viene eletto consigliere della circoscrizione Prato Sud nella legislatura
1995-1999 e, in veste di consigliere, è nominato presidente della commissione Lavori Pubblici. Dal 1997 al 2000
è segretario provinciale del Prc e membro del comitato centrale del partito. Nel 2000 esce dal Prc e nel 2001 si
iscrive al Partito dei Comunisti italiani e diventa membro del comitato politico federale. Nel dicembre 2001 il
congresso provinciale lo elegge segretario del Pdci pratese. Nel 2002 entra nella giunta comunale, dopo la
nomina del Sindaco che gli affida la delega per la Città multietnica e multiculturale, il coordinamento e governo
dei processi di integrazione, il provveditorato e l’economato, la gestione del patrimonio.
Dott.ssa Eva Szabò – Servizio immigrazione e cittadinanza del Comune di Prato.
Eva Szabò è impiegata come operatrice presso il “Servizio immigrazione e cittadinanza” del Comune di Prato.
Nel corso della sua esperienza pluriennale presso tale ufficio, si è occupata di varie tematiche connesse al
fenomeno dell’immigrazione nel contesto pratese. Attualmente è referente del servizio “Comunicazione scuolafamiglie” mediante il quale sono promossi interventi di mediazione linguistico-culturale presso gli istituti
scolastici al fine di agevolare le comunicazioni tra la scuola e le famiglie immigrate.
Dott. Fabio Bracci – ricercatore presso l’Agenzia di Servizi per le Economie Locali – ASEL.
Dott. Paolo Sambo – coordinatore dell’Area Sociale presso l’Agenzia di Servizi per le Economie Locali – ASEL.
Fabio Bracci e Paolo Sambo svolgono attività di ricerca presso l’Agenzia di Servizi per le Economie Locali
(ASEL) e, in particolare, hanno collaborato attivamente alla realizzazione dei Rapporti sull’Immigrazione nella
Provincia e, nell’ambito dell’Osservatorio Scolastico Provinciale, alla redazione dei Rapporti sulla Scuola
pratese.
Sandra Gramigni – Responsabile dei Centri di ascolto per stranieri della Caritas Diocesana di Prato.
Sandra Gramigni è responsabile dei Centri di ascolto per stranieri della Caritas Diocesana di Prato. In
particolare, la Caritas di Prato ha predisposto due sportelli presso i quali possono rivolgersi i cittadini stranieri
che hanno bisogno di assistenza; uno dei due sportelli è rivolto specificamente ai cittadini di origine cinese
mentre l’altro si rivolge al resto delle nazionalità straniere presenti sul territorio. Presso i suddetti sportelli è
attivo un servizio di mediazione linguistico-culturale.
Junyi Bai – Coordinatore dell’Associazione cinese “Associna” per l’area pratese.
Junyi Bai è coordinatore dell’Associazione cinese Associna per l’area pratese. L’associazione è stata fondata nel
2005 grazie all’iniziativa di un gruppo di giovani cinesi di seconda generazione. Le iniziative realizzate
dall’associazione mirano a dare voce alle seconde generazioni italo-cinesi e a promuovere momenti di incontro e
di condivisione nel rispetto delle differenze culturali. Le attività realizzate dai volontari iscritti all’associazione
possono essere consultate al sito web http://www.associna.com/.
Altre fonti di informazione
L’Assessore Gregori ha fornito il recapito telefonico del Prof. Giuseppe Italiano che ha collaborato attivamente
come consulente nella realizzazione del Protocollo di intesa per l’accoglienza degli alunni stranieri e per lo
sviluppo interculturale del territorio pratese. Il Prof. Italiano, contattato telefonicamente in data 16/03/09, ha
164
provveduto ad inviare tramite e-mail la Relazione di monitoraggio delle attività del Protocollo – anno
2007/2008. Entrambi i documenti sono allegati nella Sezione C dell’Appendice.
Sandra Gramigni della Caritas Diocesana di Prato ha fornito il recapito telefonico del referente (Frate Simone)
che si occupa del Centro di ascolto rivolto ai cittadini di nazionalità cinese oltre che di un doposcuola rivolto a
bambini di origine cinese. Anche in vista di una possibile intermediazione con le famiglie cinesi, si è proceduto a
contattare telefonicamente Frate Simone che, tuttavia, ha manifestato la difficoltà, sperimentata in prima
persona, di entrare in contatto con i genitori dei bambini cinesi. Le famiglie cinesi che si rivolgono al Centro di
ascolto lo fanno prevalentemente per richieste di assistenza medica o di sostegno per la presentazione di
documenti legati al permesso di soggiorno e/o al lavoro e la tematica della scuola non viene mai sollevata
durante i colloqui. I bambini cinesi che frequentano il doposcuola non sono accompagnati dai genitori. In ogni
caso si è provveduto ad affiancare Frate Simone durante uno dei pomeriggi in cui è attivo il doposcuola rivolto ai
bambini cinesi (14/04/2009). In tal senso si è potuta verificare l’assenza di famiglie che accompagnano i
bambini.
165
5. Roma Esquilino
di Leonardo Carocci40
5.1 Introduzione
Per lo studio di caso a Roma si è scelto di condurre la ricerca presso l’Istituto Comprensivo
Daniele Manin, situato con diversi plessi all’interno del rione Esquilino; la zona di Roma che
accoglie storicamente la più alta concentrazione di cittadini migranti.
Da tempo l’Esquilino presenta un contesto multiculturale che si è andato strutturando
nell’ultimo decennio con un vistoso incremento anche nel contesto scolastico. In particolare la
scuola Di Donato (facente parte dell’Istituto comprensivo Manin), collocata nel centro del
rione, nell’anno scolastico 2007/2008, nella secondaria di I grado, è stata frequentata nel
60,7% dei casi da alunni stranieri.
Essendo stato uno dei primi contesti multiculturali romani, l’Esquilino ha catalizzato tutto
il conflitto che in questi anni ha caratterizzato il dibattito (sociale, culturale e politico) tra le
differenti visioni dell’integrazione e dell’intercultura, con conseguenti modificazioni e
ripercussioni anche al suo interno.
In tale contesto l’Istituto Manin non è solo uno dei luoghi simbolo del rione, ma proprio
per le sue peculiarità è stato spesso al centro dell’attenzione dei media non solo a livello
romano, ma anche nazionale. Per questi motivi l’esperienza della scuola primaria e secondaria
di I grado dell’Esquilino rappresenta un interessante contesto di osservazione dove è possibile
analizzare sia le modalità sia gli effetti con cui è stato teorizzato e vissuto il primo contatto
con alunni stranieri, con i genitori di questi e le relazioni che si sono attivate nel tempo
strutturando una fitta rete, tra insegnanti, genitori e alunni, di supporto alle nuove esigenze e
ai cambiamenti che dal territorio entravano al suo interno.
La storia degli ultimi dieci anni della Di Donato è infatti in stretta simbiosi con quanto
accaduto nel rione; è il riflesso di pratiche pedagogiche dell’incontro/scontro tra diverse
culture; è l’interpretazione e traduzione nei sistemi comunicativi quotidiani che insegnanti,
genitori e alunni hanno prodotto in questi anni sotto l’impatto, a volte assai violento, di tante
storie, eventi straordinari e a volte anche drammatici, di vissuti impensabili e di racconti assai
significativi che dentro le classi e nei cortili hanno impregnato di senso l’abitare insieme quei
luoghi.
Attualmente, nel I Municipio l’incidenza della popolazione immigrata (su 124.968
residenti totali) raggiunge il 25,2%. Con i suoi 31.457 residenti stranieri, tra i 19 municipi di
Roma, il I Municipio registra la più alta percentuale di residenti stranieri iscritti all’anagrafe.
Nell’anno scolastico 2008/2009 gli alunni stranieri iscritti nelle diverse sedi dell’Istituto
Comprensivo rappresentano complessivamente il 50% degli iscritti totali così distribuiti: su
842 iscritti alla scuola dell’infanzia statale, alla scuola primaria e secondaria di I grado 414
40
Sociologo. È docente di materie psicosociali, giuridiche ed economiche, negli istituti medi superiori della
Provincia di Roma. Membro della cooperativa sociale Parsec.
166
sono stranieri; di questi 167 sono nati in Italia. La maggior parte di questi ultimi sono di
seconda o di terza generazione e, in alcuni casi figli di coppia mista.
L’istituto presenta, quindi, un’alta percentuale di alunni con cittadinanza non italiana. Nel
plesso scelto per lo studio di caso (Di Donato), in particolare nella scuola secondaria di I
grado l’81% degli alunni sono stranieri.
La composizione attuale dell’Istituto, infatti, non rispecchia quella che negli ani ‘80 era la
precedente collocazione della scuola Di Donato, dove già in quegli anni i docenti hanno
iniziato, spesso nella più completa solitudine e con pochi supporti, ad operare in un contesto
multiculturale e in continuo mutamento.
Proprio in virtù di questi precedenti, oggi la Di Donato è in grado di rappresentare, più di
altri, il riflesso di quanto in questi anni diversi attori sono riusciti a sintetizzare in termini
operativi e didattici, lavorando pur sempre all’interno di ordinarie procedure amministrative e
sistemi legislativi che spesso non sono stati in grado di recepire le necessità e i bisogni
derivati dal confronto quotidiano con nuove e diverse identità culturali e sociali.
Inevitabilmente, gli incessanti flussi migratori hanno comportato nuove criticità e nuove
problematiche anche dentro le scuole, a volte conflitti, ma anche occasioni di crescita
culturale e sociale.
Di seguito vedremo come tale periodo sia stato pervaso da tante energie e opportunità,
occasioni di conoscenza reciproca tra mondi a volte assai lontani. Ciò ha permesso, in primis
a diversi operatori scolastici, una ridefinizione degli orizzonti culturali o, quanto meno, di
vivere un percorso che, con tutti i suoi limiti, è passato necessariamente per l’educazione
interculturale.
L’analisi di tale contesto farà emergere sia le criticità sia i punti di forza che la scuola ha
avuto nel costante rapporto con centinaia di famiglie provenienti prevalentemente dalla Cina,
dalle Filippine e dal Bangladesh.
Le riflessioni dei diversi attori coinvolti nello studio forniranno elementi utili per comprendere come in questo confronto quotidiano la scuola, ma anche le istituzioni, gli enti
locali, il volontariato e il terzo settore, si siano rilevate sensibili alle esigenze della nuova
utenza scolastica e come si siano attivate sul percorso dell’alfabetizzazione interculturale.
Tali considerazioni nascono anche dal fatto che attualmente lo specifico plesso scelto per
l’indagine rappresenta all’interno del rione un punto quotidiano di incontro e di scambio tra
tante realtà associative composte da soggetti di diversa nazionalità che si confrontano sul
terreno culturale, sociale, ma anche sportivo e ludico ricreativo, condividendo spazi interni e
cortili con insegnanti, personale non docente, e centinaia di alunni o adolescenti che
frequentano la scuola, anche in orario extrascolastico, spesso anche durante i giorni festivi.
La scuola, infatti, da quasi cinque anni, grazie alla disponibilità e alla collaborazione di un
centinaio di genitori che hanno costituito l’Associazione Genitori Di Donato ospita e
organizza iniziative, dibattiti, corsi di lingua, tornei etc. Tale organizzazione interna, unita
all’ubicazione e alla tipologia della struttura architettonica e ambientale della scuola stessa
rende la Di Donato una realtà scolastica in grado di svolgere un ruolo particolarmente
significativo all’interno del rione, rispetto soprattutto ai processi di socializzazione degli
alunni e dei loro genitori.
La sinergia tra gli organi scolastici e le diverse realtà associative e del volontariato locale
che in orario extrascolastico condividono, gestiscono e curano insieme sia le relazioni sia gli
stessi spazi della scuola, ha sviluppato nel corso degli anni una variegata progettualità, fatta di
iniziative, eventi, convegni, etc., che oggi copre tutti gli ambiti dell’educazione interculturale.
In tal modo su questa scuola convergono attività di numerose associazioni locali impegnate
in progetti di natura educativa e di intrattenimento ludico e le attenzioni delle istituzioni e del
privato sociale che, grazie a risorse aggiuntive, consentono un notevole ampliamento dell’offerta formativa. L’Istituto Comprensivo Manin sembrerebbe, quindi, una scuola partico-
167
larmente ben attrezzata nello svolgere il ruolo di integrazione nei confronti di un’utenza
variegata dal punto di vista della provenienza geografica e culturale e anche rispetto al
succedersi delle nuove generazioni.
Per l’analisi del contesto ci si è avvalsi dei dati del V Rapporto dell’Osservatorio Romano
sulle Migrazioni della Caritas Di Roma, del Dossier Statistico 2008 Immigrazione, Caritas
Migrantes, dell’Ufficio di Statistica del Comune di Roma, e dell’Istat, oltre che della
letteratura relativa all’analisi delle problematiche inerenti la convivenza interetnica, i processi
interculturali, sia in ambito scolastico che territoriale.
I dati relativi alla presenza straniera nella scuola considerata sono stati reperiti dall’Istituto
Comprensivo Daniele Manin. Per l’anno scolastico in corso questi dati sono consultabili sul
sito www.danielemanin.org. Sempre dal medesimo istituto sono state raccolte informazioni in
merito alla qualità delle esperienze didattiche e dell’offerta formativa. Altre informazioni
sono state raccolte a partire dall’analisi di documenti interni o da quanto pubblicato dalla
scuola in questi anni e dalla ricognizione dei progetti attivati al suo interno.
Altre informazioni sono state raccolte, sia attraverso contatti con i docenti e con il dirigente
scolastico, sia attraverso la consultazione della banca dati di diversi progetti di mediazione
interculturale ancora operativi nel rione.
Un approfondimento dei più recenti sviluppi progettuali è stato possibile attraverso
l’analisi dei documenti prodotti per lo sviluppo e la realizzazione del Progetto Mediazione
Sociale – Esquilino; dell’Associazione Genitori Di Donato; del Polo Intermundia I Municipio.
Per la ricostruzione della storia di alcuni eventi particolari o fatti accaduti in questi ultimi
anni è stata effettuata una rassegna stampa. Infine, sono state raccolte foto, video, locandine e
volantini sempre inerenti la scuola e le attività organizzate in questi ultimi anni al suo interno.
L’analisi delle aspettative delle famiglie nei confronti dell’istruzione scolastica è stata
condotta attraverso 17 interviste in profondità condotte su un campione di genitori stranieri
eterogeneo dal punto di vista delle nazionalità (6 cinesi, 4 filippini , 4 bengalesi, 1 somala, 1
iraniana, 1 indiana); della frequenza dei figli ai diversi ordini scolastici; della durata della
permanenza dei figli in Italia; della durata della permanenza delle famiglie in Italia; di alcune
caratteristiche socio culturali e di status sociale.
Prima di individuare e raggiungere i genitori da intervistare, è stata contattata la Dirigente
Scolastica dell’Istituto Comprensivo Daniele Manin per un primo appuntamento finalizzato a
descrivere il disegno della ricerca e gli aspetti metodologici, gli obiettivi e le finalità
progettuali. La stessa dirigente è stata intervistata al termine dell’indagine condotta con le
famiglie straniere. Con la medesima modalità sono state contattate tre insegnati del plesso
scelto per lo studio di caso: una maestra della scuola elementare e due professoresse della
scuola media. Dopo l’intervista realizzata alla maestra della scuola elementare, altre colleghe,
venute a conoscenza delle specifiche domande poste dal ricercatore e del dialogo scaturito da
queste, hanno chiesto di prendere visione della scheda e una volta fotocopiata in otto hanno
voluto compilarla. Si tratta di risposte a volte assai ridotte ma che denotano un forte bisogno
di partecipazione e di confronto su tematiche che con tutta probabilità stanno a cuore di quanti
operano all’interno del plesso della Di Donato. Le risposte compilate in questo modo non
hanno lo stesso peso dell’intervista effettuata direttamente dal ricercatore e sicuramente non
contengono i necessari approfondimenti richiesti dalle modalità adottate nello studio di caso,
tuttavia potranno essere utili per comprendere meglio e supportare le analisi ricavate con le
interviste realizzate con il corpo docente coinvolto.
Il motivo per cui le interviste a insegnanti e dirigente sono state posticipate a quelle delle
famiglie straniere è dipeso dalla scelta di voler confrontare le criticità sollevate dalle famiglie
(anche italiane) con i punti di vista ricavati dalla diretta esperienza degli operatori scolastici.
Riteniamo che tale modalità di dialogo indiretto permetta di analizzare le diverse sfaccettature
delle problematiche che caratterizzano attualmente la dinamica interculturale all’interno della
168
medesima scuola e in particolare le modalità con cui le diverse identità interagiscono nel
medesimo contesto, quindi la capacità con cui si struttura il ruolo della scuola nel determinare
percorsi di cittadinanza.
Per le interviste alle diverse famiglie migranti, prevalentemente individuate in base alla
percentuale della presenza degli alunni stranieri nella scuola, sono stati utilizzati (nei casi in
cui i genitori non riuscivano a comprendere a pieno le domande in italiano) mediatori culturali
cinesi, bengalesi, filippini e indiani.
Al fine di rilevare altri aspetti di rilievo, come specifici studi, e/o progetti operativi e
iniziative sorte in diversi ambiti scolastici sono stati contattati diversi insegnanti e genitori
(italiani e non) aderenti all’Associazione Genitori Di Donato. Anche al Presidente di
quest’ultima e alla Presidente del Consiglio di Istituto sono state sottoposte le medesime
domande volte alle famiglie straniere, essendo in entrambe i casi genitori di alunni che frequentano il plesso in esame.
Infine, sono stati contattati alcuni testimoni privilegiati che da anni operano all’interno dei
vari progetti attivati in collaborazione con la scuola: la mediatrice italiana per la lingua cinese
e l’operatrice dell’ex Polo Intermundia.
Complessivamente lo studio di caso si compone di 23 interviste (più le 8 schede delle
insegnanti della scuola primaria). La maggior parte dei contatti con i genitori sono stati
realizzati, dapprima presso i cortili della scuola durante l’uscita degli alunni. Una volta
accordata la disponibilità e fissata la data dell’interviste, queste sono state effettuate presso i
locali dell’Associazione Genitori e presso gli stessi cortili. Il fatto che a riprendere i propri
figli a scuola fossero prevalentemente le madri, ha determinato che queste fossero più
disponibili al colloquio per le interviste. In alcuni casi a rilasciare l’intervista è stato il padre
da solo, mente in soli due casi entrambi i genitori.
uando possibile, durante le interviste alle famiglie si è cercato di stimolare la narrazione
autobiografica su alcuni specifici ricordi legati non solo al primo impatto con la scuola
italiana, ma anche a quella del paese di origine. In questo modo si è tentato di stimolare
ulteriormente un possibile confronto tra la propria e l’attuale esperienza scolastica dei figli.
Ulteriori confronti e discussioni sono stati svolti con insegnanti, e genitori italiani in
occasioni di alcuni incontri presso la scuola o durante alcune attività che si sono svolte
durante il periodo della ricerca all’interno dell’edificio in orario scolastico ed extrascolastico.
5.2 Qualità del contesto
Secondo l’Osservatorio Romano sulle Migrazioni41, nel gennaio 2008, la popolazione con
cittadinanza straniera residente nel Comune di Roma conta in totale 269.649 unità, con un
aumento rispetto a gennaio dell’anno precedente di 19.009 persone (+7,6%). Tale incremento
è minore rispetto a quello medio registrato nel Paese che è pari al 16,8%.
In dieci anni gli stranieri residenti nella Capitale sono quasi raddoppiati e la loro incidenza
sul totale della popolazione è pari al 9,5%; si tratta di una quota che è aumentata considerevolmente negli ultimi anni (era il 4,8% all’inizio del 1998) e colloca Roma tra i comuni con
la percentuale di immigrati relativamente più alta rispetto al totale della popolazione.
L’incidenza degli stranieri sui residenti a Roma, invece, risulta essere superiore alla media
nazionale, che all'inizio del 2008 in Italia risulta essere pari al 5,8%. Un dato che conferma
41
I dati riportati nel presente paragrafo sono ricavati prevalentemente dalla relazione “I residenti stranieri nel
Comune di Roma”, di Barbara Menghi e Rossana Rosati dell’Ufficio Statistica e Censimento del Comune di
Roma e riportata a pag. 153 sull’Osservatorio Romano sulle Migrazioni V Rapporto sulle Migrazioni. Caritas di
Roma, Edizioni Idos. Roma 2008.
169
ancora una volta la funzione catalizzatrice di Roma rispetto ai movimenti migratori degli
stranieri che arrivano sul territorio italiano. L’83,8% degli stranieri presenti nella Provincia
(in totale 321.8871)42 è residente nella Capitale, tale percentuale è diminuita rispetto al 2007
(era del 90%).
La crescita della popolazione straniera residente a Roma è avvenuta in modo molto rapido:
all’inizio del 1999 essa ammontava a 145.289 persone; dieci anni dopo risulta essere quasi
raddoppiata, con un incremento dell’85,6%. La popolazione straniera tende quindi a divenire
un segmento sempre più significativo di quella complessiva, anche tenendo conto degli effetti
dovuti ai ricongiungimenti familiari e alla formazione di nuove coppie con il conseguente
aumento delle nascite: dagli oltre 2.300 nati stranieri (pari al 9,2% del totale) rilevati nel
2003, si è passati a quasi 3.000 nati (pari al 12,1% del totale) nel 2007. Tra gli stranieri iscritti
in anagrafe, i nati in Italia sono ben 33.434 (il 12,1% del totale dei residenti) e rappresentano
un segmento di popolazione in costante crescita.
Essi sono di seconda generazione in quanto non sono immigrati e la cittadinanza straniera è
dovuta unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri. Secondo le elaborazioni
dell’Ufficio di Statistica del Comune di Roma la principale posta del bilancio demografico
degli stranieri residenti è data dagli immigrati; infatti, sono 22.110 i cittadini stranieri che si
sono iscritti in anagrafe nel corso del 2007 provenendo dall’estero e ad essi si sono aggiunti
2.968 nati da genitori stranieri.
Dall’esame dei dati per cittadinanza al 1 gennaio 2008 risulta che a Roma è presente un
ampio ventaglio di collettività straniere. In rapporto alla popolazione straniera complessivamente residente nella Capitale, i cittadini del continente europeo rappresentano con
113.580 iscritti all’anagrafe, quasi la metà (42,1%) dei residenti. Tra questi la comunità più
numerosa è quella rumena (41.997 pari al 15,6% del totale con un incremento del 31,5%
rispetto al 2007).
Ai fini del presente lavoro è importante rilevare il dato relativo alla presenza di comunità
di origine asiatica particolarmente presenti all’Esquilino e all’interno della scuola presa in
esame: gli stranieri provenienti da questo continente sono 75.782 (28,1%) e, tra questi, i
cittadini filippini, insieme a quelli cinesi e a quelli del Bangladesh, costituiscono quasi i due
terzi della popolazione asiatica residente nella città (il 65,6%). Esaminando le dieci comunità
più numerose al 1 gennaio 2008 rispetto all’anno precedente, risultano in forte crescita i
residenti provenienti dalla Romania, lievemente più modesto l’aumento dei cinesi (5.8%).
Infine per comprendere un altro aspetto non secondario della provenienza geografica dei
residenti stranieri nella Capitale, riportiamo quanto descritto da Barbara Menghi e Rossana
Rosati43: “con riferimento alla definizione che distingue i paesi del mondo in Paesi a Sviluppo
Avanzato (PSA) e Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM), si osserva che quasi l’80%
degli stranieri residenti nella Capitale provengono da aree geografiche depresse, caratterizzate
da insufficienti risorse economiche e da scarse opportunità di lavoro. Negli ultimi cinque anni
gli stranieri residenti sono quasi raddoppiati, soprattutto quelli provenienti dai paesi a forte
pressione migratoria a cui è da attribuire un forte peso della variazione assoluta”.
La presenza straniera a Roma non è omogenea: l’analisi condotta su dati aggregati a livello
comunale rileva infatti andamenti differenziati nelle diverse aree del vasto territorio
comunale. Alcuni Municipi e quartieri si distinguono per un’alta presenza di cittadini
stranieri. La popolazione straniera si distribuisce nelle varie zone di Roma seguendo
probabilmente opportunità abitative e lavorative, nonché la maggiore disponibilità di servizi
offerti dalla città. La ripartizione degli stranieri sul territorio mostra per il 2008 la
42
Istat, Statistiche in breve. La popolazione straniera residente in Italia al 31 ottobre 2008. Roma.
Barbara Menghi e Rossana Rosati, (Ufficio di Statistica e Censimento del Comune di Roma). (2009) I
residenti stranieri nel Comune di Roma. In Osservatorio Romano sulle Migrazioni,V Rapporto Caritas di Roma.
43
170
concentrazione in tre aree, una centrale e le altre due nella periferia della città: si tratta dei
municipi I e XX, luoghi storici dell’insediamento, ai quali si aggiunge l’VIII. Tali municipi,
rispettivamente con 31.457, 21.988 e 21.240 persone non italiane, accolgono oltre un quarto
degli stranieri a Roma (rispettivamente 1’11,7%, 1’8,2% e il 7,9%).
L’elevata presenza di stranieri nel centro storico di Roma è dovuta anche alla presenza di
associazioni di volontariato che permettono a una quota di essi di fissare la residenza presso le
proprie sedi. Mentre, come vedremo più avanti nella tabella 5.2 la residenza presso le
ambasciate dei loro paesi fa sì che la maggior parte degli stranieri provenienti da paesi a
sviluppo avanzato, come per esempio la Francia e gli Stati Uniti, siano soprattutto nel I
Municipio.
Seguendo l’analisi condotta dall’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, si può osservare
che l’incremento del numero degli stranieri sul territorio negli ultimi cinque anni abbia
interessato ogni singolo municipio. La crescita in alcune realtà territoriali ha superato quella
registrata in media nella città nel periodo 2004-2008 (+33,7%); tuttavia, se alcuni municipi
nel 2004 già registravano la presenza di stranieri più elevata, in altri l’insediamento è
avvenuto progressivamente.
La popolazione straniera iscritta all’anagrafe del I Municipio già nel 2004 risultava la più
elevata tra i 19 municipi. Nel 2008 l’incremento che si è avuto nell’arco degli ultimi cinque
anni raggiunge il 38,5%. Nella tabella 5.1 possiamo osservare come negli ultimi cinque anni
sia costantemente cresciuto il numero dei residenti stranieri; confrontando la media cittadina
con quella relativa alla popolazione straniera residente nel I Municipio, è possibile constatare
il peso che la presenza della popolazione straniera ha avuto all’interno di questo contesto
territoriale.
Tabella 5.1 – Popolazione straniera iscritta in anagrafe. Rapporto percentuale di stranieri sul totale della
popolazione del Municipio I. Periodo 2004-2008
Municipio I *
v.a.
%
Roma *
v.a
%
2004
2005
2006
2007
2008
Var. %
2004/2005
22.706
18,6
25.004
25,6
26.342
27,4
28.067
22,9
31.457
25,2
38,5
201.633
7,2
223.879
8,6
235.708
9,1
250.640
8,9
269.649
9,5
33,7
*La percentuale è calcolata sul totale della popolazione.
Fonte: elaborazioni Ufficio di Statistica del Comune di Roma su dati anagrafe. V Rapporto Caritas di Roma.
Analizzando i dati relativi al paese di provenienza della popolazione straniera iscritta
all’anagrafe del I Municipio (vedi tabella 5.2) constatiamo come i bangladesi, i filippini e i
cinesi siano le tre popolazioni che registrano i più alti valori assoluti. Considerando i dati per i
municipi romani è utile notare come i filippini siano presenti in tutti i municipi, preferendo il
XX e il XIX, oltre a quelli del centro storico (II e I). La presenza accentuata di questa
comunità nei quattro municipi è probabilmente legata alla maggiore offerta di lavoro in quelle
zone, che si traduce in collaborazioni domestiche e lavoro di cura alle persone anziane.
I bangladeshi sono raccolti soprattutto nei municipi I, VI e VIII; i cinesi continuano ad
essere concentrati in tre soli municipi (I, VI e VIII) che raccolgono quasi la metà della
presenza totale (48,3%).
Se confrontiamo la graduatoria per singolo paese di cittadinanza che emerge dai dati
relativi al I Municipio con quella comunale, si osserva che al 1 gennaio 2008 i primi 3 paesi
della graduatoria generale risultano la Romania, le Filippine e la Polonia. Queste peraltro
rappresentano circa 1/3 di tutti gli immigrati residenti a Roma. Nel I Municipio, quindi, ad
171
eccezione delle Filippine, i cittadini provenienti dalla Romania e soprattutto dalla Polonia
risultano meno rappresentati.
Tabella 5.2 – Popolazione straniera iscritta in anagrafe al 1 gennaio 2008 per paese di provenienza. Municipio
I e Comune di Roma. Valori assoluti
Cittadinanza
Romania
Filippine
Polonia
Bangladesh
Perù
Cina
Egitto
Ucraina
Sri Lanka
Ecuador
India
Francia
Albania
Spagna
USA
Altro
Totale
Municipio I
1.294
2.216
947
2.234
602
1.524
347
672
412
424
931
1.123
142
866
525
16.538
31.457
Totale Comune di Roma
41.997
30.261
13.448
11.235
11.013
9.655
9.583
7.018
6.688
6.466
5.951
5.638
5.513
5.114
4.957
95.112
269.649
Fonte: Elaborazioni Ufficio di Statistica del Comune di Roma sui dati anagrafe. Caritas di Roma.
Nella tabella 5.3 è possibile osservare come nel I Municipio si registri la più alta
percentuale (68,4%) di celibi e nubili tra tutti i municipi. Al contrario, se consideriamo la
presenza di minori questa risulta essere tra le più basse. Anche a livello comunale la struttura
per stato civile evidenzia che gran parte di cittadini stranieri residenti sono celibi o nubili
(56,4%) e coniugati (39.7%).
La composizione per sesso dei cittadini stranieri residenti mostra nel complesso che le
donne continuano ad essere in maggioranza. Rispetto a 10 anni fa si registra un incremento
della componente femminile, pari al 92% a fronte di una variazione positiva del 78% della
componente maschile. Il processo di femminilizzazione della popolazione straniera è da
imputare principalmente ai flussi per il ricongiungimento familiare degli anni più recenti,
caratterizzati da un consistente ammontare di donne, ma anche dalla domanda sempre più
crescente nell’area romana di profili lavorativi tradizionalmente riservati alle donne, quali ad
esempio l’assistenza agli anziani e il lavoro domestico. Se tutto ciò è valido per quasi tutti i
municipi, lo stesso non può dirsi per il I Municipio, dove la percentuale della componente
femminile risulta la più bassa.
Nella tabella 5.4 sono riportati i dati relativi al I Municipio inerenti le caratteristiche
demografiche della popolazione totale rapportati, sia in numeri assoluti che percentuali, a
quelli dei residenti stranieri. Quindi, una descrizione delle aree continentali di provenienza
della popolazione straniera residente al 31.12.2007. Infine, la suddivisione per zone urbanistiche di cui si compone il I Municipio. Ai fini della ricerca complessiva comunque è
importante sottolineare che dall’esame della struttura per età degli stranieri residenti, emerge
una popolazione piuttosto giovane (con una età media di soli 36,5 anni) se confrontata con la
popolazione residente nel complesso, composta cioè da cittadini italiani e stranieri (42,9
anni).
La distribuzione degli stranieri per classi di età mostra che oltre la metà di essi (55,6%) ha
un’età inferiore a 40 anni. Scendendo sempre più nel dettaglio si può osservare che il 15,2%
degli stranieri è minorenne e il 7,3% ultra sessantaquattrenne, mentre si registra una
significativa percentuale di persone con un’età compresa tra i 20 e i 39 anni e tra i 40 e i 64
172
anni (rispettivamente il 39% e il 37,1%). La maggior parte degli stranieri presenti è quindi in
età lavorativa.
Tabella 5.3 – Comune di Roma. Residenti stranieri per caratteristiche demografiche e Municipio (31.12.207)
Municipio Pop. totale
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
15
16
17
18
19
20
Non loc.
Totale
31.457
15.219
5.091
11.471
10.061
13.223
11.096
21.240
10.024
8.540
11.681
10.899
16.552
12.818
11.760
6.856
15.316
15.596
21.988
8.761
269.649
%
%
%
%
%
stran. su minori femmine coniugati celibi/nubili
pop. totale
25,2
7,0
40,7
28,4
68,4
12,3
10,5
63,8
42,1
52,6
9,4
8,9
59,4
34,6
60,7
5,8
14,8
58,8
41,8
53,3
5,6
16,3
53,0
40,8
54,7
10,6
20,6
48,0
43,1
53,8
9,1
23,4
50,2
41,3
55,6
9,9
22,7
47,8
45,1
52,1
7,9
14,8
59,4
36,7
58,2
4,7
19,2
55,4
44,6
51,1
8,6
14,6
55,4
39,3
56,0
6,4
15,6
56,4
45,7
49,5
7,9
15,4
51,9
46,2
49,4
8,5
20,3
51,8
42,1
54,1
8,3
12,6
58,7
37,1
58,8
9,6
9,7
60,3
35,9
59,2
11,3
13,5
52,8
32,4
64,7
8,6
17,2
58,3
40,9
55,1
415,1
15,8
56,8
42,4
53,9
18,0
14,4
48,4
39,4
56,2
9,5
15,2
53,1
39,7
56,4
Fonte: Caritas/Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Elaborazioni su dati Ufficio di Statistica del Comune di Roma.
A Roma ogni dieci residenti uno è immigrato: un’incidenza quasi doppia rispetto alla
media italiana. Sono presenti cittadini provenienti da tutti i paesi del mondo, con le rispettive
religioni. In questa area, caratterizzata da un difficilissimo problema di alloggi, operano circa
200.000 lavoratori immigrati, quasi 15.000 imprenditori stranieri e tante loro associazioni.
Gli archivi del Ministero della Pubblica Istruzione relativi all’anno scolastico 2007-2008
rilevano nelle scuole della provincia romana 45.879 iscritti44 di cittadinanza non italiana,
bambini e ragazzi giuridicamente stranieri perché nati da genitori stranieri e in base alla legge
vigente in Italia sulla cittadinanza, ma che vivono in Italia frequentandone anche le scuole.
Rispetto al precedente anno scolastico, l’incremento registrato è stato del 15,4%, leggermente
superiore a quello medio rilevato in Italia nello stesso periodo (pari al 14,4%).
Con questi numeri, Roma risulta essere la seconda provincia italiana per numero di
studenti stranieri, subito dopo Milano ma prima di diverse altre province del Nord quali
Torino, Brescia, Treviso, Bergamo o Vicenza.
Infatti, rispetto al totale nazionale degli alunni non italiani, che nello stesso anno scolastico
sono 574.133, la Provincia romana risulta essere un’area particolarmente interessata dal
fenomeno, concentrando ben 1’8% di questi studenti e registrando anche un’incidenza
percentuale sul totale degli iscritti superiore a quella rilevata in media in Italia: gli stranieri
sono il 7,7% degli studenti dell’area romana a fronte del 6,4% a livello nazionale.
44
Ginevra Demaio (2009) Gli studenti di cittadinanza non italiana nel sistema formativo del territorio romano. In
Osservatorio Romano sulle Migrazioni. V Rapporto Caritas di Roma.
173
Tabella 5.4 – Municipio I (Centro Storico, Trastevere, Esquilino, Aventino Testaccio) Popolazione Residente
(31.12.2007)
Dati Demografici
Numero residenti
Incidenza pop. immigrata
Maschi
Femmine
% Donne
% Celibi e Nubili
% Coniugati
% Vedovi
% Divorziati
Numero Minori
% Minori su totale popolazione
Classe 0-4
Classe 5-9
Classe 10-14
Classe 15- 17
Area Continentale
Africa
America
Asia
Europa non UE
Europa UE
Oceania
Non codificati
Totale
Zona urbanistica
1 A Centro Storico
1 B Trastevere
1 C Aventino
1 D Testaccio
1 E Esquilino
1 F XX Settembre
1 G Celio
1 X Zona Archeologica
Non localizzati
Totale
Popolazione Totale
124.968
63.439
61.529
49,2
52,3
37,8
6,2
3,7
14.094
11,3
4.208
3.750
3.838
2.298
Stranieri v.a.
7.346
4.203
9.518
2.395
7.570
110
315
31.457
Stranieri
11.595
6.093
1.598
397
7.647
2.146
732
319
930
31.457
Popolazione Straniera
31457
25,2
18.642
12.815
40,7
68,4
28,4
1,4
1,8
2.204
7,0
750
610
547
297
%
23,4
13,4
30,3
7,6
24,1
0.3
1,0
100,0
Di cui donne
% donne
4.088
35,3
2.082
34,2
779
48,7
255
64,2
3.612
47,2
1.033
48,1
389
53,1
176
55,2
401
43,1
12.815
40,7
Fonte: Caritas/Osservatorio sulle migrazioni. Elaborazioni su dati Ufficio di Statistica del Comune di Roma.
Inoltre, le incidenze percentuali nell’area romana mostrano gli scarti più ampi rispetto ai
valori medi nazionali nelle secondarie di Il grado, dove l’incidenza è del 6%, e in quelle di I
grado dove è del 9% (in entrambi i casi quasi due punti percentuali in più del valore medio).
Del resto, se in Italia a frequentare la secondaria di Il grado è circa il 20% degli studenti
stranieri, nell’area romana questa quota raggiunge il 24%.
La distribuzione tra i gradi scolastici mostra come sia la scuola primaria, con 16.887
iscritti, il grado di istruzione in cui studia la percentuale più alta di alunni non italiani, ma
come si faccia sempre più rappresentativa anche la presenza nelle secondarie di Il grado che,
con 11.157 alunni stranieri, sono ormai diventate il secondo ordine di scuola per numero di
studenti.
Inoltre, la secondaria di Il grado è anche il grado scolastico in cui le studentesse (con il
51,4% sul totale degli stranieri) superano la loro rappresentazione statistica rilevata in media
tanto a Roma quanto su tutto il territorio nazionale.
174
Poco inferiore è il numero di iscritti alle secondarie di I grado (10.250 ragazzi), mentre,
con 7.585 bambini di origine immigrata, risulta decisamente inferiore la presenza nelle scuole
dell’infanzia, che però va ricordato non rientrano tra i cicli della scuola dell'obbligo.
In termini percentuali, la quota più consistente di questa fascia di popolazione studentesca
frequenta la scuola primaria (36,8%), anche in virtù della giovane età della popolazione
immigrata in Italia e, di conseguenza, della sua seconda generazione; quote simili tra di loro si
registrano nelle secondarie di Il (24,3%) e di I grado (22,3%), mentre scende al 16,5% la
quota relativa alle scuole dell’infanzia. La distribuzione, tuttavia, si differenzia, anche in
misura evidente, per alcuni gruppi nazionali, in continuità con le caratteristiche dei
corrispondenti flussi immigratori. Se gli studenti bangladesi e filippini si distinguono per una
concentrazione superiore alla media nella scuola dell’infanzia, dato che lascia intendere si
tratti per la gran parte di bambini nati in Italia e che, per questo, frequentano le nostre scuole
sin dai gradi inferiori, decisamente bassa è la corrispondente quota tra i bambini di
cittadinanza moldava e ucraina, due gruppi nazionali la cui migrazione si caratterizza per un
arrivo più recente, praticato da donne adulte e i cui figli, spesso già adolescenti, o non hanno
ancora raggiunto le madri in Italia o, se lo hanno fatto, hanno un’età per cui si inseriscono nei
gradi superiori del ciclo scolastico. Nelle scuole superiori di I e di Il grado, infatti, la quota
percentuale rilevata in media tra gli alunni non italiani viene superata proprio dagli studenti
moldavi e ucraini, oltre che, nelle secondarie di I grado, da cinesi e albanesi, e in quelle di Il
grado, da peruviani, albanesi e ecuadoriani.
La scuola primaria (ossia la vecchia scuola elementare), a sua volta, vede confermata la
sovrarappresentazione rispetto alla media dei minori di cittadinanza bengalese, ma soprattutto
si caratterizza per una più alta presenza di bambini rumeni e polacchi: i primi sono il segno di
un’immigrazione recente ma già orientata alla stabilità; i secondi di un’immigrazione che
potremmo definire ormai storica, in Italia e ancor più a Roma, e che quindi non può non
riflettersi anche in una seconda generazione giovane che, presumibilmente, continuerà a
crescere nel nostro Paese.
Il Lazio si colloca al quinto posto tra le regioni italiane per numero di alunni stranieri che,
pur essendo di cittadinanza non italiana, sono nati in Italia. Si tratta di 18.246 bambini e
ragazzi su un totale nazionale di 199.120, il 9,2% del numero complessivo rilevato dal
Ministero della Pubblica Istruzione. Nel complesso, nelle scuole romane gli alunni stranieri
hanno per il 35,7% la cittadinanza rumena (16.361), un dato doppio rispetto a quello rilevato
su tutto il territorio nazionale, dove invece gli alunni rumeni, pur essendo al primo posto della
graduatoria, rappresentano il 16% degli stranieri iscritti. È questa una prima particolarità
dell’area romana e della sua immigrazione, da sempre un’area che anticipa e amplifica quelle
che sono le nuove tendenze nei flussi migratori diretti verso l’Italia e che, per questo motivo,
nell’ultimo anno ha visto crescere in misura rilevante l’arrivo e l’insediamento dei cittadini
rumeni, nuovi comunitari dal gennaio del 2007. La seconda particolarità della provincia di
Roma è l’evidenza statistica, subito dopo i rumeni, di alunni originari delle Filippine e della
Polonia che, con rispettivamente 3.162 e 2.259 iscritti a scuola, costituiscono il 6,9% e il
4,9% degli studenti con cittadinanza estera. Si tratta di due gruppi che in Italia sono meno
rappresentativi a vantaggio di albanesi (al secondo posto per numero nelle scuole italiane) e
marocchini (a loro volta solo dodicesimi nel territorio di Roma).
Se si sposta l’attenzione sui singoli gradi scolastici, è possibile distinguere:
• la secondaria di I grado dove gli alunni albanesi sono terzi e incidono per il 5,9% sul
totale degli stranieri (nella media di tutti i gradi scolastici sono il 4,6%) e quelli ucraini
(al sesto posto con una percentuale del 4% rispetto al 2,8% rilevato in media tra tutti i
gradi di scuola);
175
• la secondaria di Il grado vede rappresentati molto al di sopra della media gli studenti
peruviani che si collocano al secondo posto e incidono sul totale degli stranieri per il
7,6%, come anche i moldavi, gli ecuadoriani e gli ucraini, tutti con quote del 4,2%.
Tabella 5.5 – Provincia di Roma. Distribuzione degli alunni non italiani per grado scolastico. Primi 10 Paesi.
(a. s. 2007/2008)
Cittadinanza
Romania
Infanzia Primaria
16,6
Sec. I Grado Sec. II Grado
40,5
22,9
20,1
Totale
100,0
Filippine
20,2
36.8
20,8
22,1 100,0
Polonia
17,5
40,9
19,5
22,1 100,0
Albania
14,8
33,2
24,8
27,2 100,0
Perù
15,3
27,3
17,5
39,9 100,0
Cina
15,8
30,9
30,0
23,3 100,0
Ecuador
15,4
28,8
22,6
33,2 100,0
Moldavia
8,1
28,5
27,3
36,1 100,0
Ucraina
6,8
25,8
31,5
35,9 100,0
Bangladesh
24,1
43,9
16,8
15,2 100,0
Totale
16,5
36,8
22,3
24,3 100,0
Fonte: Caritas/Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Elaborazioni su dati Ufficio Studi e Programmazione
MPI.
Guardando ai comuni di insediamento nel territorio romano, i dati mostrano come dei
45.879 iscritti, 29.558 siano nelle scuole romane e i restanti 16.321 in altri comuni della
provincia. Nel comune di Roma, rispetto alla provincia nel suo insieme, sono molto meno
rappresentati gli alunni albanesi e, al contrario, lo sono molto di più quelli di cittadinanza,
peruviana, bangladese e ucraina; osservando le quote percentuali di ciascun gruppo si nota
come la composizione degli alunni sia molto meno polarizzata sui rumeni (che sono il
26,5%), in particolare per una quota rilevante di filippini (10,4%).
Più in generale, si può dire che da parte degli immigrati europei si è sviluppata una
tendenza a insediarsi in maniera decisamente più diffusa su tutto il territorio provinciale
rispetto ai flussi di africani, americani e asiatici che continuano a concentrarsi prettamente
nella Capitale con percentuali rispettivamente del 72,9%, de1l’80,8% e del 91,7%.
Sembrano anche esserci delle differenze anagrafiche fra i figli degli immigrati che studiano
nei comuni della provincia e quelli iscritti nelle scuole della Capitale: mentre i primi sono
percentualmente più numerosi nelle scuole primarie e nelle secondarie di I grado; i secondi lo
sono in misura più consistente nelle secondarie di Il grado. La Capitale evidentemente
conosce una seconda generazione dell’immigrazione di età decisamente più avanzata. Il
quadro complessivo che emerge rappresenta una scuola sempre più composita e plurale, nelle
cui classi e tra i cui banchi studiano, crescono e si formano bambini e giovani dalle origine
più diverse per cultura, condizione socio-economica e origini nazionali.
Il territorio dell’Esquilino si estende per circa 158 ettari e comprende al suo interno tutta la
Stazione Termini, piazza dei Cinquecento e via Gioberti, zone di confine con il rione Castro
Pretorio; la via Merulana lo separa dal rione Monti e le Mura Aureliane lo dividono poi dai
quartieri di sudest della città. Tuttavia, nell’immaginario collettivo e nelle cronache del
quartiere, Esquilino è di fatto considerata la zona circostante Piazza Vittorio Emanuele II.
Nella nostra ricerca l’area di studio è stata circoscritta considerando l’area della Stazione
Termini come realtà a se stante con specifiche dinamiche che si riflettono sull’Esquilino ma
che presentano specifiche peculiarità. Lo studio del territorio è avvenuto attraverso l’individuazione e la raccolta di dati, pubblicazioni, documenti, foto etc. che sono stati rilevati
durante le diverse fasi di indagine in base al livello di confidenza con il quartiere. Si tratta di
un quartiere che fu dotato, già dai primi del 1900, di molti servizi e strutture; furono costruite
176
piazze, teatri, caserme ed il giardino di Piazza Dante. Inoltre dagli anni trenta si iniziò a
consolidare il mercato di Piazza Vittorio che divenne ben presto il più grande della città.
Dopo la seconda guerra mondiale, con tutte le costruzioni ultimate e con lo sviluppo del
mercato, il quartiere appariva uno dei più significativi della città anche dal punto di vista delle
istituzioni e della cultura. Infine, le attività commerciali, sia al dettaglio che all’ingrosso,
erano particolarmente sviluppate.
Nel 1951 i residenti dell’Esquilino erano circa 62.000 e la più alta concentrazione
demografica appariva attorno a Piazza Vittorio, dal lato di Piazza Dante e nella parte intorno a
Piazza Fanti. Successivamente tutti i rioni del Centro Storico subirono fortissime dinamiche
di espulsione degli abitanti tanto da conservare nel 1991, complessivamente, solo il 33% della
popolazione censita nel 1951 (per l’Esquilino si registra un valore del 40%). La perdita di
popolazione maggiore si è verificata proprio attorno a Piazza Vittorio dove, negli anni a
venire, troverà insediamento l’immigrazione prima italiana ed in seguito straniera.
Tabella 5.6 – Popolazione residente all’Esquilino dal 1951 al 1991 (valori assoluti)
1951
62.184
1961
42.103
1971
33.411
1981
27.619
1991
24.654
Fonte: Istat (dati suddivisione toponomastica).
Tabella 5.7 – Popolazione residente all’Esquilino dal 1998 al 2004 (valori assoluti)
Anni
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Abitanti suddivisione
toponomastica Esquilino
22.790
22.626
22.962
23.110
22.998
22.934
22.854
Esquilino zona
Urbanistica
38.510
38.243
38.608
38.586
38.266
38.017
37.823
Fonte: Ufficio Statistica Comune di Roma.
Secondo l’attuale suddivisione in zone urbanistiche che include anche il rione Monti,
l’Esquilino conta circa 38.000 residenti, ma sono circa 50.000 gli abitanti effettivamente
presenti (censimento generale comune di Roma 2001), inclusi i domiciliati ed i soggiornanti
non registrati; in base alla suddivisione toponomastica (escluso il rione Monti) i residenti sono
invece 22.854.
Oltre ai residenti e a coloro che si recano quotidianamente nel rione per svolgere le proprie
attività lavorative, l’Esquilino accoglie giornalmente un enorme flusso di persone che lo
attraversano. Infatti, è da sempre un quartiere che risente sensibilmente della sua vicinanza
con la Stazione Termini sia dal punto di vista commerciale sia per l’ospitalità alberghiera.
Inoltre, la Stazione Termini presenta criticità specifiche come fenomeni di degrado edilizio,
accattonaggio, presenza di devianza sociale (fra cui, dal dopoguerra in poi, prostituzione,
contrabbando di sigarette ed in seguito quello dello spaccio di droghe), fenomeni però non
molto diversi da quelli che si riscontrano in altri contesti circumferroviari di altre grandi città.
A causa della vicinanza con la Stazione Termini, l’Esquilino è stato per lungo tempo
l’unico triangolo all’interno delle mura Aureliane ove era consentito l’ingresso ai mezzi da
scarico e il commercio all’ingrosso, con conseguenze disastrose sul traffico locale. A partire
dagli anni ‘70, all’interno del rione si riscontra una nuova emorragia di residenti, perdendo
177
circa 15.000 persone; l’indice di vecchiaia della popolazione italiana è in costante aumento
non tanto per un aumento della terza età che resta quasi costante, quanto per la diminuzione
delle fasce giovani della popolazione. In quegli anni, infatti, il trasferimento di componenti
familiari in altri quartieri, fa crescere il modello di nucleo familiare costituito da uno o due
persone, per lo più anziane, lasciando un sensibile vuoto abitativo.
Nel decennio ’81-’91 ci sarà un ulteriore aumento del vuoto abitativo che arriverà alle
1.149 unità. In questi anni, il commercio mantiene, però, una certa vitalità, nonostante la
domanda interna al quartiere sia venuta meno, probabilmente proprio grazie alla dimensione
inter-rionale del mercato, che continua ad essere riconosciuto come snodo fondamentale
dell’acquisto urbano.
Sempre in questi anni il rione viene incluso nelle fermate della nuova linea metropolitana,
che provoca un’ulteriore ridefinizione urbanistica e sociale del quartiere e che si ritrova ad
essere qualcosa a metà tra un quartiere popolare e una zona commerciale. Questa situazione
produce una tensione e una domanda sociale, a cui le istituzioni rispondono con un piano di
recupero di Piazza Vittorio che prevede lo spostamento del mercato e che necessiterà di 23
anni di infinite variazioni, dibattiti e progetti per essere realizzato.
Parallelamente il processo di deterioramento delle infrastrutture e del quadro statico degli
edifici si verificano alcuni crolli vissuti in maniera drammatica dalla popolazione, quale
quello avvenuto in Via Principe Amedeo a metà degli anni ’80. In questo quadro il mercato
immobiliare va incontro ad un’ulteriore sensibile depressione. Il censimento del ’91 riporta
un’importante novità che certifica una tendenza che, nel corso degli anni ’90, finirà per
connaturare la situazione complessiva dell’Esquilino: compaiono per la prima volta 1.558
residenti stranieri, pari al 6,3% della popolazione, una cifra esigua anche se superiore alle
medie cittadine e nazionali del tempo.
Nel quinquennio ’90 - 95, il dato più significativo è che circa la metà dei nuovi ingressi è
formata da tre sole comunità (filippini, cinesi e bengalesi), che si concentrano solo in alcune
zone del quartiere e che, nel caso delle comunità bengalese e cinese, si cimenteranno nella
nascita di fiorenti attività economiche. L’attrattività della zona sarebbe dovuta principalmente
alla sua prossimità con la Stazione Termini, dalla disponibilità di spazi commerciali ed
abitativi, oltre che dalla presenza di una serie di istituzioni facilitatrici (erano già presenti
numerose sedi sindacali e la mensa Caritas di Via Marsala). Inoltre, come si vedrà più avanti,
la presenza del mercato si rivelò fondamentale per l’occupazione dei nuovi esquilini.
Infatti, i primi impieghi di immigrati nel quartiere sono connessi proprio alle attività di
mercato (prima come coadiuvanti, poi come gestori di licenza di vendita, comunque intestate
ad altri, poi come veri e propri intestatari di licenze di commercio) ed hanno inizialmente
riguardato le comunità del subcontinente indiano, e in misura minore, quelle maghrebine e
africane. Alcuni intervistati segnalano il ruolo particolare delle comunità straniere all’interno
del successivo processo di ripopolamento e di riqualificazione del quartiere che con la loro
vitalità hanno favorito il ringiovanimento della popolazione (e un aumento sensibile delle
iscrizioni nelle scuole) e modificato il modo di vivere il rione.
Durante gli anni ‘70 l’Esquilino costituiva per gli immigrati stranieri più una zona di
presenza che di residenza e la presenza più consistente era quella della comunità nordafricana.
Tuttavia la zona è stata subito eletta come luogo di incontro privilegiato dalle diverse
comunità immigrate e tale vitalità si riscontra ancora oggi sia all’interno della piazza che
attorno a diverse attività commerciali ed assistenziali.
Un grande punto di aggregazione durante gli anni ’80 sono state quattro strutture
assistenziali del territorio; due di queste, sono tuttora funzionanti: l’ostello ed il poliambulatorio della Caritas a via Marsala aperti nella seconda metà degli anni ’80 e la mensa a via
delle Sette Sale, nel rione Monti, aperta nel 1984, mentre proprio vicino a piazza Vittorio, a
via Ferruccio, ha operato una mensa gestita dal Circolo di San Pietro e un dormitorio solo
178
maschile gestito dalle suore Missionarie della Carità che si trova in via Rattazzi.
Un’altra struttura di accoglienza per il pernottamento facilmente raggiungibile dall’Esquilino era il dormitorio dell’Esercito della Salvezza a San Lorenzo. L’ultima struttura che ha
cominciato ad operare dal 2000 si trova, fuori dall’Esquilino, in via Sannio ed è un centro
diurno e notturno gestito dalla Casa dei Diritti Sociali che attualmente opera nel territorio. Un
discorso diverso va fatto per la popolazione residente. Dal 1986 cominciò un rapido flusso di
immigrati dall’Asia, in particolare dal Bangladesh, in prevalenza uomini, di religione
musulmana con una scolarità elevata e provenienti sia dalle città che dalle campagne. Questa
popolazione si rese visibile con l’occupazione dell’ex pastificio della Pantanella che, in stato
di abbandono per decenni, nel 1990 venne occupato da migliaia di immigrati. L’occupazione,
supportata da un gruppo di persone che poi fondò la Casa dei Diritti Sociali, era avvenuta a
seguito degli sgomberi effettuati nel centro storico in occasione dei mondiali di calcio.
Nel 1991 la comunità più numerosa nel quartiere era quella del Bangladesh con 1.370
persone, di cui la maggior parte con il permesso di soggiorno. Dalla seconda metà degli anni
’80 l’altro grande gruppo in forte e rapido aumento è stato quello della popolazione cinese.
Politiche restrittive attuate da altri paesi europei avevano, infatti, spostato verso l’Italia una
quota crescente di immigrazione cinese composta inizialmente da immigrati in prevalenza
maschi, dalla scolarità bassa, provenienti dall’altipiano e dalla pianura dello Zhejiang.
Fino al 1987 teoricamente era molto difficile per un cinese intraprendere attività imprenditoriali, poi con la legge n. 109/1987 fu ratificato un accordo bilaterale tra il governo italiano
e quello cinese per la promozione e la reciproca protezione degli investimenti imprenditoriali.
La trasformazione dei percorsi migratori ha invece portato, negli anni ’90, la popolazione
nordafricana ad orientarsi più verso l’Italia del Nord. Nel 1998, secondo il registro anagrafico,
nella zona dell’Esquilino (compreso il rione Monti) erano residenti circa 5.000 immigrati. I
tre gruppi più consistenti erano quelli del Bangladesh, della Cina e delle Filippine con circa
1.500 persone ogni gruppo.
Attualmente la popolazione straniera, secondo l’Ufficio di Statistica del Comune di Roma,
nella zona dell’Esquilino raggiunge il numero di 7.647 di cui il 47,2% donne che rappresentano il 40,7% dell’intera popolazione immigrata residente all’interno del I Municipio
(vedi tab. 5.8).
Tabella 5.8 – Municipio I. Residenti stranieri al 31.12.2007 (valori assoluti e percentuali)
Zona urbanistica
1A Centro Storico
1B Trastevere
1C Aventino
1D Testaccio
1E Esquilino
1F XX Settembre
1G Celio
1X Zona Archeologi
Non localizzati
Totale
Popolazione immigrata
11.595
6.093
1.598
397
7.647
2.146
732
319
930
31.457
di cui donne
4.088
2082
779
255
3.612
1.033
389
176
401
12.815
% donne
35,3
34,2
48,7
64,2
47,2
48,1
53,1
55,2
43,1
40,7
Fonte: Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Caritas di Roma.
Confrontando i dati dell’Ufficio di Statistica del Comune di Roma e dell’Osservatorio
Romano sulle Migrazioni con i dati rilevati dal Progetto Mediazione Sociale che opera nel
rione dal 2005, si può facilmente evidenziare che la popolazione immigrata residente
all’Esquilino sia composta prevalentemente dai tre gruppi più numerosi (Bangladesh,
Filippine e Cina). Il quartiere si divide, infatti, in zone specifiche nelle quali le diverse
comunità hanno cercato di creare un vero e proprio microcosmo all’interno del quale far
fronte alle proprie esigenze particolari ed in cui sviluppare la propria vita e le proprie attività.
179
Possiamo dire che c’è stata da sempre una distinzione tra la parte nord e la parte sud del
quartiere. Nella parte che da su Piazza Esedra, Piazza dei Cinquecento e via Cavour si
trovavano e si trovano più popolazioni provenienti dal Nord Africa e popolazioni dell’America Latina, mentre nella parte immediatamente attorno a Piazza Vittorio popolazioni
provenienti dall’Asia e popolazioni di lingua russa, rumena e slava.
Tali distinzioni hanno fatto sì che si sviluppassero moltissime attività di vendita al
dettaglio ed all’ingrosso di abbigliamento gestite da cinesi, organizzate sotto forma di sas o
srl, già dalla fine degli anni ’90, prevalentemente dislocate attorno a Piazza Vittorio e che
rappresentano anche i maggiori punti di aggregazione per questa comunità. Gli immigrati del
Bangladesh gestiscono prevalentemente negozi di bigiotteria ed oggettistica, negozi di
alimentari, phone center e videoclub prevalentemente collocati lungo via Principe Amedeo,
via Mamiani e via Ricasoli. La comunità si ritrova, infatti, prevalentemente all’interno di
queste zone così come la pakistana, l’indiana e la popolazione dello Sri Lanka.
Riassumendo, l’Esquilino si è mostrato un quartiere altamente attrattivo per la popolazione
immigrata che si è andata ad inserire all’interno di un patrimonio abitativo altamente degradato e svalutato da anni; inoltre, per la popolazione immigrata è stato uno dei primi luoghi
all’interno del quale si sono manifestate le condizioni per trovare opportunità di lavoro e la
possibilità di gestire direttamente un’attività. Negli anni ’80, il mercato di Piazza Vittorio ha
fornito la possibilità di primo contatto e di inserimento nel mondo del lavoro per diversi
immigrati. L’inserimento nel mercato è avvenuto con la sostituzione non concorrenziale degli
italiani che eseguivano i lavori più umili. Vi erano 478 banchi di cui 420 intorno al giardino e
gli altri sotto i portici e sul marciapiede della caserma. L’inserimento degli immigrati è
avvenuto gradualmente e con una precisa geografia: arabi ed africani nelle bancarelle sotto i
portici, e polacchi nel mercato attorno al giardino centrale. In seguito un’alternativa alla
collocazione lavorativa nei segmenti più umili e sottopagati è stata l’avvio di un’attività in
proprio. Infatti, l’aspetto economico più importante del quartiere è proprio la nascita, negli
ultimi dieci anni di un elevato numero di attività commerciali che comprendono il commercio
al minuto, quello all’ingrosso, la ristorazione e altri servizi.
Molte attività commerciali, come ad esempio, l’import-export o lo stoccaggio di merci
sono subentrate all’interno di locali una volta occupati dai grossisti romani ed in seguito
spostatisi in prossimità del Grande Raccordo Anulare per la disponibilità di locali più spaziosi
e soprattutto per la maggiore vicinanza alla rete autostradale. Inoltre, la ristorazione non ha
avuto difficoltà ad inserirsi data la crescente richiesta della popolazione diurna e le esigenze
specifiche degli immigrati che vivevano spesso in alloggi senza possibilità di cucinare e di
incontrarsi. I bassi capitali per avviare le attività di ristorazione volte a favorire la piccola
imprenditoria, di solito basate sulla rete familiare e le agevolazioni che la ristorazione etnica
riceve dall’impatto con il paese ospitante, hanno facilitato l’apertura ed il moltiplicarsi di tali
attività. In breve, in una decina di anni, si è formata un’economia etnica transnazionale e
locale composta dall’insediamento di centinaia di attività.
Il censimento effettuato nell’anno 2000 dalla Polizia Municipale I° Gruppo evidenzia la
presenza di circa 636 esercizi italiani e 319 attività gestite da stranieri. Di queste circa 250 tra
ristoranti, negozi di generi alimentari e soprattutto negozi di abbigliamento all’ingrosso
gestite da cittadini cinesi. Le rilevazioni che sono state effettuate dal Progetto Mediazione
Sociale, dai volontari dell’Arvuc (Associazione Vigili Urbani in Congedo) e dalla Polizia
Municipale I° Gruppo nell’anno 2005/2006 hanno evidenziato la presenza di 682 attività
gestite da italiani, 500 da cinesi, 115 da bengalesi e 124 da altre comunità.
I dati evidenziano immediatamente il decremento delle attività gestite da italiani parallelamente al fiorire delle attività gestite dalla popolazione straniera in via Giolitti, via Carlo
Alberto, via Emanuele Filiberto, Piazza Vittorio, via Conte Verde, via Principe Eugenio, via
Filippo Turati, via Napoleone III, via Ricasoli, via Cairoli, via Lamarmora e via Principe
180
Amedeo. Molti negozi italiani sono stati venduti alle differenti comunità che spesso,
ristrutturandoli, non hanno mantenuto la categoria commerciale preesistente. Soprattutto la
comunità cinese ha rilevato tintorie, negozi di generi alimentari, di abiti per cerimonie,
macellerie sostituendoli prevalentemente con negozi di abbigliamento all’ingrosso ed al
dettaglio.
La popolazione cinese presente proviene quasi totalmente dalla provincia dello Zhejiang,
una zona franca che ha contatto con le economie occidentali e giapponesi. È un’area in cui gli
investitori sono esenti da dazi, da imposte di produzione e di prodotti venduti al di fuori della
Cina. Nello specifico i cinesi dell’Esquilino provengono quasi totalmente dalla città di
Wenzhou in cui sono numerosi i produttori di capi di abbigliamento e capi in pelle. Inoltre, la
loro immigrazione si distingue da quella degli altri gruppi soprattutto perché le attività che
vengono impiantate sul territorio italiano sono in grado di offrire lavoro ai connazionali della
stessa famiglia o provenienti dalle stesse zone di residenza che arrivano gradualmente
sull’onda della catena migratoria. Al contrario, le altre popolazioni si aggregano attorno a
strutture di accoglienza e specifici servizi sociali.
L’incremento del terziario etnico è stato, quindi, uno degli elementi più rilevanti della
presenza straniera, anche se l’apertura di questi nuovi esercizi commerciali e di magazzini
all’ingrosso ha alterato fortemente il tipo di offerta commerciale sino ad essere vissuta dagli
abitanti italiani del quartiere come una vera e propria colonizzazione. Infatti, se da un lato la
diffusa presenza di una serie di attività economiche sviluppate dalle comunità straniere
consente un conferimento di senso nuovo allo spazio urbano, dall’altra, in quanto prevalentemente spostate sul settore tessile, dell’abbigliamento, della merceria, e dell’alimentare
etnico, distorce realmente un’articolazione equilibrata della composizione merceologica
dell’offerta dei servizi commerciali nel rione. La presenza di attività commerciali cinesi ha
prima affiancato la presenza indo-bengalese-pakistana e poi l’ha ampiamente surclassata,
dando a molti l’impressione che l’Esquilino sia divenuto la China Town di Roma.
Infine, sul piano immobiliare, dal 1999 una forte ripresa fu dovuta in gran parte dalla
mobilitazione dei quattro comitati civici del quartiere che portò ad una discussione in
consiglio comunale. Furono accelerate una serie di operazioni di recupero, in parte già
avviate, fra le quali si possono ricordare il restauro delle facciate dei palazzi prospicienti
Piazza Vittorio, un’intensificazione del controllo di Polizia Municipale con relativa estinzione
di parte dell’ambulantato, il restauro dei giardini di Piazza Vittorio e di Piazza Dante, lo
spostamento del mercato nei luoghi dell’ex-demanio militare, la riqualificazione dell’Acquario Romano, il recupero dei luoghi adibiti all’offerta culturale: l’Ambra Jovinelli,
storico teatro della rivista romana, e l’ex cinema Apollo.
L’insieme di queste ristrutturazioni ebbe una ricaduta sul mercato immobiliare che, infatti,
segna un’inversione di tendenza verso l’aumento dei prezzi. Attualmente, all’interno di questo
processo, avviene il trasferimento di alcuni nuclei familiari, di estrazione medio-alta, che
hanno scelto di localizzarsi all’Esquilino per il vantaggio che comportava trovarsi dentro un
centro storico senza doverne sostenere gli elevati costi di altre zone centrali.
In conclusione, si può dire che l’Esquilino sia oggi uno dei quartieri in rapida e costante
trasformazione, in cui convivono realtà e criticità complesse ed articolate, attraversato da
costanti flussi di viaggiatori, caratterizzato dalla presenza di centinaia di pensioni ed alberghi
per l’accoglienza dei turisti. È un quartiere sempre più influenzato dalla presenza dell’Università, che sta attivando, oltre alla facoltà di Orientalistica della Sapienza, altri due poli,
nelle vicinanze di Piazza Dante e nella ex Zecca.
Lo studio del territorio, della sua storia attraverso la bibliografia reperita e anche alcune
interviste effettuate con diverse famiglie o interlocutori del rione ha evidenziato una serie di
luoghi simbolo che caratterizzano ed esplicitano la natura profonda e complessa realtà
dell’Esquilino.
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Questi luoghi sono stati di fondamentale importanza sia per la ricostruzione storica ed
evolutiva del territorio, sia perché molti di questi sono connotati come sede di conflitti
territoriali, come punti di forza o come potenzialità da valorizzare. Di seguito riportiamo
alcune schede che illustrano brevemente alcuni di questi luoghi.
Il Mercato rionale di Esquilino
Il Mercato ha rappresentato tradizionalmente un polo commerciale di grande rilevanza per la città di Roma, a
causa della vicinanza sia alla Stazione Termini, sia al capolinea delle Ferrovie Laziali. Negli anni ’90, si avviò la
trasformazione demografica del rione ed iniziò la presenza di immigrati fra gli operatori del Mercato,
inizialmente in veste di dipendenti. Le testimonianze concordano sul fatto che l’etnicizzazione del Mercato, con
l’accrescersi esponenziale di prodotti provenienti da paesi extraeuropei fu un fattore che salvò il Mercato da una
già avviata decadenza in rapporto con l’aggressività della grande distribuzione. Fu l’etnicizzazione dei prodotti e
dei clienti che favorì quella degli operatori, perché si manifestò l’esigenza di avere personale capace di interagire
con la nuova clientela immigrata e si aprì la strada al protagonismo di tali nuovi soggetti, anche in forma
autonoma. Il secondo grande cambiamento, si ebbe con il trasferimento del Mercato da Piazza Vittorio alle excaserme di Via Principe Amedeo. Il rapporto con i potenziali clienti è completamente cambiato, contribuendo al
mutamento già dovuto alle nuove tendenze di consumo. Mentre il Mercato attirava prima anche persone che vi
transitavano, in particolare in auto, ora il frequentarlo diventa una scelta specifica e quindi più limitata, specie
durante i giorni lavorativi. I clienti sono quasi tutti stranieri e frequentano il Mercato soprattutto il sabato, mentre
solo alcuni acquisti sono realizzati ancora da residenti, in maggioranza di età avanzata, che perpetuano il
rapporto diretto con alcuni venditori. Oggi il mercato attraversa una fase di transizione dalla vecchia
connotazione di mercato rionale a valenza cittadina ad una nuova potenziale vocazione - non ancora ben
percepita dagli operatori commerciali - di mercato multiculturale e internazionale, che potrebbe sfruttare la
particolare posizione, che lo situa tra la Stazione Termini, il teatro Ambra Jovinelli e gli alberghi frequentati per
lo più da turisti provenienti da tutto il mondo.
I giardini Nicola Calipari di Piazza Vittorio Emanuele II
Dopo la recente riqualificazione della piazza, i giardini, oggi intitolati a Nicola Calipari, sono divenuti un
luogo attraversato quotidianamente da centinaia di persone che ne utilizzano in maniera diversa lo spazio. Nelle
prime ore del mattino, fino alle 9.30, si incontrano gruppi di cinesi, ma spesso anche di italiani e di altre
nazionalità, impegnati negli esercizi del Tai Chi Quan, arte marziale e pratica motoria diffusissima in ogni luogo
aperto della Cina e che da un decennio si sta espandendo sensibilmente anche in Italia. Nel corso della giornata, i
giardini sono frequentati da gruppi di anziani italiani, da gruppi di migranti che li usano per riposare (e
consumare bevande e/o pasti) e da madri o baby sitter con bambini molto piccoli che si concentrano soprattutto
nell’area giochi. In diversi momenti della giornata è sempre significativa la presenza di stranieri appartenenti a
diverse nazionalità che utilizzano i giardini come polo di riferimento fisso e significativo sia per i residenti e/o
operanti nelle aree vicine, sia provenienti da altre zone urbane. Non mancano elementi di degrado quali rifiuti
abbandonati, presenza di alcolisti e consumatori abituali di sostanze stupefacenti.
L’area esterna ai giardini di Piazza Vittorio Emanuele II
Piazza Vittorio, intesa come area esterna ai giardini e sotto i portici, è il fulcro centrale del Rione, sia per ciò
che riguarda lo smistamento del flusso di traffico urbano e del trasporto pubblico cittadino via strada, oltre che
quello sotterraneo (stazione della Linea A della Metropolitana di Roma), sia per ciò che concerne la
socializzazione (infantile, familiare, di anziani, di adulti su cui si inserisce poi l’allestimento di rassegne
cinematografiche, eventi, feste di partito, concerti, etc.), sia per lo spazio del portico, su tre lati, ad alta rilevanza
commerciale. Fino a pochi anni fa Piazza Vittorio, anche da questo ultimo punto di vista, rappresentava l’intero
Esquilino. Da quando, però, gli stands del mercato, che tradizionalmente erano allocati sul bordo esterno dei
giardini, sono stati trasferiti negli spazi dell’ex Caserma Sani il flusso di persone, di provenienza extra-rionale,
che si recava al mercato di Piazza Vittorio, è stato dirottato su Via Principe Amedeo.
Facoltà di Studi Orientali e l’Istituto Confucio dell’Università “La Sapienza” di Roma.
L’apertura dell’Università non solo ha avuto un immediato impatto positivo sull’indotto commerciale della
zona, ma ha aperto il quartiere ad ulteriori flussi di persone, studenti e personale della Sapienza modificando
ancora una volta lo stereotipo che vuole l’Esquilino come una realtà solo in preda al degrado. La presenza della
Facoltà di Studi Orientali ha favorito, infatti, lo scambio culturale e la promozione della cultura di comunità
lontane contribuendo ad una migliore conoscenza di queste da parte dei residenti. A questo proposito è di
rilevanza particolare è l’Istituto Confucio, finanziato dal Ministero dell’Istruzione di Pechino ed attualmente
ospitato dalla Facoltà di Studi Orientali. L’Istituto si avvale della collaborazione di docenti madrelingua e
dispone di un laboratorio linguistico e di una collezione di circa 3.000 volumi per la didattica della lingua cinese.
182
Presso il Centro sono attivi corsi di diverso livello (elementare, intermedio, commerciale, turistico) ed è
possibile, per moltissimi giovani, preparare l’esame nazionale di competenza linguistica cinese. Inoltre, l’Istituto
cura una serie di attività culturali volte alla diffusione della lingua e della cultura cinese, compresa
l’organizzazione di soggiorni studio in Cina e l’orientamento presso scuole ed università cinesi.
Piazza Manfredi Fanti
Piazza Fanti costituisce un esempio di lavoro integrato che sta trasformando una porzione di territorio da
luogo del degrado ad elemento mediativo di esigenze diverse. Il 13 novembre 2003 è stata inaugurata la Casa
dell’Architettura, che ha trovato la sua collocazione all’interno dell’ex Acquario Romano di piazza Manfredo
Fanti. L’edificio circolare, situato di fronte all’ala Mazzoniana della Stazione Termini restaurata da Fabrizio
Mendini, si trova al centro della significativa operazione di riqualificazione urbana avvenuta negli ultimi anni nel
Rione. Infatti, la Casa dell’Architettura appartiene al Comune di Roma ed è stata data in concessione ad una
società interamente controllata dall’Ordine degli Architetti. La Casa dell’Architettura, si compone di un giardino
privato dl 2.500 m², di una caffetteria libreria aperta al pubblico, di circa 2000 m² di spazi coperti dove vengono
organizzate attività culturali e mostre. L’ultimo piano è utilizzato per gli uffici dell’Ordine, la splendida sala
centrale per conferenze e convegni, nei sotterranei è aperta una libreria, al piano terra funziona il bar ristorante. Il
primo ed il secondo anello sono utilizzati come spazio espositivo ed il giardino per eventi speciali. Nonostante
l’avvenuta riqualificazione dell’ex acquario romano, Piazza Fanti ed alcune delle vie limitrofe, soprattutto quelle
che si affacciano sulla piazza (via Cattaneo, via Rattazzi, via Turati e via Cialdini), si caratterizzano come i
luoghi dove si riscontano le maggiori criticità del Rione: forte degrado urbano nel perimetro esterno della piazza;
presenza di evidenti segni di consumo di sostanze stupefacenti; cassonetti ingombri usati spesso come orinatoio.
Tali situazioni sono spesso oggetto delle critiche dei cittadini che in più lamentano anche la presenza di senza
fissa dimora e tossicodipendenti che stazionano in gran numero in questa area, soprattutto nella fascia serale. Un
altro tasto dolente viene identificato nella microcriminalità, agita per lo più da nomadi o stranieri, che effettua
scippi a danno di anziani e turisti, nonché rapine ai negozianti. Si lamenta anche la mancanza di esercizi di
vendita di beni primari soprattutto a causa dell’arrivo dei numerosi commercianti cinesi che hanno aperto
esclusivamente negozi di abbigliamento e che sembrano non avere rapporti di vicinato con i pochi italiani
rimasti.
La scuola Di Donato e i suoi cortili
La scuola Di Donato fa parte dell’Istituto Comprensivo Statale Daniele Manin che ha il plesso principale in
via dell’Esquilino 31 (media) ed un altro plesso nella scuola Baccarini di via Sforza 2 (materna, elementare). La
metà degli iscritti sono alunni con genitori che provengono da 45 paesi diversi del mondo. Bambini appartenenti
a culture diverse con genitori che parlano lingue diverse e che portano a scuola usanze e costumi diversi. La
Scuola si distingue per l’accoglienza, i piani formativi e lo spazio dedicato alla partecipazione attiva di genitori,
alunni e docenti su temi specifici di forte valenza educativa che ha avuto anche il riconoscimento di buone
pratiche nell’ambito delle giornate europee dei genitori e della scuola. Inoltre, anche in orario extrascolastico, la
Scuola mantiene la sua funzione di polo aggregativo concedendo i propri spazi ad associazioni e cittadini. Il
rione Esquilino, infatti, presenta una quasi assoluta mancanza di luoghi deputati all’aggregazione informale dei
bambini e dei ragazzi, adolescenti e preadolescenti. Le associazioni sportive che sono nate nel quartiere
denunciano, in questa fascia di età, il maggior tasso di abbandono delle attività sportive e sociali. Le strade sono
giudicate insicure e pericolose, sia perché gli attraversamenti pedonali sono poco e mal segnalati, sia per la gran
mole di traffico che vi si riversa quotidianamente. I giardini pubblici delle principali piazze del quartiere (Piazza
Vittorio, Piazza Dante, Piazza Fanti), se da un lato offrono qualche struttura per il gioco per i più piccoli, sono
sprovviste di luoghi adibibili allo sport di strada, tradizionalmente praticato all’aperto dagli adolescenti e
preadolescenti di qualsiasi altro quartiere della città. La mancanza di luoghi di aggregazione è un problema
storico per il Rione, che spesso in passato è stato tema di mobilitazioni delle associazioni del quartiere. Partendo
da queste considerazioni, nel 2003 un gruppo di genitori della scuola Di Donato, costituitisi in associazione in
collaborazione con l’allora Dirigente Scolastico Bruno Cacco, dà vita al recupero dei sotterranei della scuola, che
in capo a due anni diventano luogo di riunioni, feste, iniziative. I sotterranei della scuola divennero così il punto
di partenza e il luogo di accoglienza del nuovo Polo Intermundia-Municipio I ed il fulcro di attività sportive,
artistiche, teatrali e, come effetto moltiplicatore, dell’apertura al quartiere dei cortili della scuola. Nel 2004,
l’Associazione Genitori della scuola Di Donato, diviene ufficialmente l’ente gestore dei cortili, dei sotterranei e
della palestra in orario extrascolastico. Questi luoghi, sono negli ultimi anni divenuti un vero e proprio luogo per
la socialità del Rione, ospitando nel pomeriggio la socialità spontanea dei familiari e dei parenti degli alunni e le
attività sportive e strutturate a cura dell’Associazione G.S. Aquilone.
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5.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Secondo il documento di presentazione, l’Istituto Comprensivo Daniele Manin ha come
obiettivo e asse portante la formazione dell’uomo e del cittadino. Il livello qualitativo dei
programmi in termini di apprendimento, la prescrittività degli esiti come garanzia di equità
sociale, l’organizzazione didattica come condizione per i primi due, sono i presupposti
fondanti dell’offerta formativa dell’Istituto.
La programmazione dell’Istituto è progettuale e individualizzata. La metodologia interculturale è forte e generalizzata anche nella sperimentazione dei nuovi curriculi; l’Istituto è
proiettato fortemente all’esterno, intendendo per esterno non solo l’ambiente circostante, pur
denso di stimoli, ma anche quello lontano, attraverso una forte spazialità (progetti europei e
internazionali), temporalità (dimensione storica), culturalità (valenza antropologica).
Tutti i vari linguaggi hanno grande valore, per cui si inventano percorsi, si affrontano
progetti e si creano curriculi per tutti e su tutti i livelli. Lo scopo è quello di dare a ciascun
alunno una forte e salda identità di appartenenza attraverso una prospettiva di lifelong
learning che si estrinseca nel 1° Centro Territoriale Permanente, Nelson Mandela, per l’Educazione degli Adulti.
L’Istituto comprensivo Daniele Manin si trova nell’Esquilino, adiacente alla Stazione
Termini. Attualmente l’Esquilino è compreso tra la Basilica di San Giovanni in Laterano,
Santa Maria Maggiore e Porta Maggiore. In questo contesto è inserito l’istituto Daniele
Manin, con sede in via dell’Esquilino 31, succursali in via Bixio 83/85 (scuola Di Donato) ed
in via Sforza 2 (scuola Baccarini). Di seguito riportiamo la composizione e l’utenza
dell’Istituto nell’a.s. 2008/2009.
Sede di via Bixio Di Donato:
• 154 alunni della scuola dell’infanzia statale di cui 78 stranieri, (55 nati in Italia), 32
cinesi, 15 filippini, 10 del Bangladesh, etc. per un totale di 17 diverse nazionalità (6
sezioni a tempo pieno);
• 273 alunni della scuola primaria di cui 145 stranieri(45 nati in Italia): 50 cinesi, 25
filippini, 21 del Bangladesh, 12 rumeni, etc. per un totale di 20 diverse nazionalità (14
classi a tempo pieno);
• 124 alunni di scuola secondaria di I grado, di cui 101 alunni stranieri (21 nati in Italia):
38 cinesi, 14 filippini, 11 del Bangladesh, 5 peruviani, 7 rumeni, etc., per un totale di 19
nazionalità (6 classi).
Sede di via Sforza Baccarini:
• 147 alunni di scuola primaria, di cui 36 stranieri (20 nati in Italia), 8 cinesi,4 eritrei, etc.
di 16 diverse nazioni (9 classi a tempo pieno).
Sede di via dell’Esquilino Daniele Manin:
• 144 alunni di scuola secondaria di I grado, di cui 54 stranieri (nati in Italia 26):15 cinesi,
7 filippini, 4 ucraini, 3 del Bangladesh, 3 della Colombia,3 dell’Equador, ecc. per un
totale di 19 nazionalità (6 classi).
Su un totale di 842 alunni, gli stranieri sono 414; 167 di questi sono nati in Italia.
L’insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri della scuola secondaria di I grado
viene effettuata dai loro insegnanti utilizzando ore di compresenza o a disposizione. A volte la
scuola ricorre ai fondi (in realtà pochi) destinati alle scuole con alto tasso di presenza di
alunni con cittadinanza non italiana, presentando un progetto all’U.S.R.
184
Per la scuola primaria vengono utilizzate sempre le ore di compresenza e una docente delle
attività parascolastiche, che il Comune di Roma ha assegnato all’Istituto. I docenti lavorano
sempre nelle classi di appartenenza degli alunni stranieri.
All’interno dell’Istituto è presente il 1° Centro Territoriale Permanente Nelson Mandela
(questi Centri nascono con l’ordinanza ministeriale 455 del 1996). In realtà l’Istituto è Centro
per l’Educazione degli Adulti già dal 1994-95, anno in cui si è sperimentata una biennalizzazione del modulo dei corsi di 150 ore per lavoratori stranieri: un primo anno dedicato
all’insegnamento della lingua italiana, e un secondo come approfondimento delle tematiche
utili al conseguimento della licenza media. Nell’anno scolastico 1996-97 viene sperimentata
la Filiera, ovvero un coordinamento con gli istituti superiori del Distretto scolastico per
fornire agli studenti la possibilità di approfondimenti differenziati: lettura del giornale, poesia,
alfabetizzazione informatica, conoscenza di monumenti e strade di Roma.
Dal 2000-2001 al 2005-2006 il 1° CTP ha realizzato cinque corsi di licenza media per
ciascuno dei 5 anni scolastici considerati, per un totale di 30 corsi, coinvolgendo circa mille
persone e rilasciando circa 500 titoli di studio. Nell’anno scolastico 20006/07 i corsi di
licenza media sono stati sei , nell’a.s. 2007/08 otto e lo stesso numero nel corrente anno
scolastico. La fascia di età prevalente degli utenti è quella inferiore ai 29 anni, ma è anche
presente una quota seppure esigua di ultra 40enni.
Nello stesso periodo temporale sono stati offerti circa 60 corsi all’anno per l’insegnamento
dell’italiano L2 che hanno coinvolto oltre 8.000 utenti stranieri (per circa due terzi donne e
per un terzo occupato). La fascia d’età prevalente è quella inferiore ai 29 anni, tuttavia anche
per questo tipo di corsi si segnala la presenza di una quota ancora meno marginale di ultra
40enni.
Infine, per i corsi di alfabetizzazione funzionale, quelli più richiesti sono di inglese (in
media 30 all’anno) e di informatica (in media 40 all’anno), gli iscritti sono per la maggior
parte italiani, anche se si registra una forte partecipazione da parte degli stranieri. La fascia di
età più presente è quella degli ultra 40enni e quella inferiore ai 29 anni sia per i soggetti di
nazionalità italiana sia straniera.
Considerando gli iscritti a tutti i tipi di corso del CTP nell’anno 2003-2004 le nazionalità
più rappresentate erano: l’Italia (737), la Cina (259), il Perù (131), la Polonia (117), le
Filippine (94), l’Etiopia (78), l’Ucraina (75), l’Ecuador (70), la Romania (63), il Brasile (61),
il Giappone (53), il Bangladesh (53), e il Marocco(52).
Il CTP Nelson Mandela è un laboratorio interculturale frequentato da tutti i ceti sociali, con
una consistente presenza degli immigrati giunti da poco in Italia e dei figli di immigrati di II e
III generazione. Alla base dello spirito del CTP vi è una didattica che vede nei laboratori lo
strumento principe per operare attivamente in un’ottica naturalmente interculturale. Nel corso
degli anni il Centro ha acquisito un’importanza fondamentale all’interno del territorio
dell’Esquilino e sull'intera città di Roma, diventando un punto di riferimento educativo e
culturale fondamentale sia per i cittadini italiani sia per le persone immigrate. Dal 1997 ad
oggi si è registrata una progressiva crescita degli iscritti ed un continuo arricchimento di corsi
attivati. Nell’a.s. 2007/08 il Centro ha offerto corsi i seguenti corsi: 40 di alfabetizzazione
linguistica (italiano come 2° lingua) a vari livelli per un totale di 2.469 iscritti stranieri (1.048
uomini e 1.421 donne) di 70 nazioni diverse; 8 di licenza media, 260 iscritti, per la maggior
parte stranieri; 59 corsi brevi modulari, 1.918 frequentanti (20 di inglese, 3 di francese, 3 di
spagnolo, 1 di arabo, 19 di informatica, 5 di fotografia e educazione all’immagine, 4 di storia
dell’arte, 3 di educazione espressiva (pittura su vetro e stoffa), 1 di teatro, 1 di orientamento al
lavoro.
Il CTP collabora con le tre Università di Roma per tirocini, tesi di laurea sull’EDA e sulla
mediazione interculturale. Nell’a.s. 2007/ 2008 si è organizzato un corso di specializzazione
all’insegnamento dell'Italiano L2 in collaborazione con l’ITALS dell’Università di Venezia
185
Ca' Foscari. Grazie ad una serie di accordi, l’Istituto è sede di esami per certificati di Patente
Europea del Computer, certificazione per la conoscenza della lingua inglese del Trinity
College, certificazione per la conoscenza della lingua italiana a tutti i livelli CELI (università
per Stranieri di Perugia).
L’Istituto è stato sino al 2008 anche sede del Polo Intermundia del I Municipio, progetto
dell’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Roma, volto a promuovere la conoscenza reciproca delle comunità migranti e italiane, creando un luogo di
scambio e di partecipazione. Lo spazio (nella scuola Di Donato) e il progetto del Polo
Intermundia sono aperti a tutti i cittadini, le scuole e le associazioni del I Municipio.
Per la sua significatività, riportiamo un estratto del documento redatto congiuntamente
dall’Istituto Comprensivo e dall’Associazione Genitori scuola Di Donato successivamente ad
alcune polemiche mediatiche relative all’alto tasso di presenza straniera e alle conseguenti
difficoltà di inserimento e di apprendimento degli alunni che frequentavano nel 2007 la scuola
Di Donato. Il documento nella sua interezza conteneva nella prima pagina una breve
descrizione del contesto territoriale dove era ubicata, quindi la tipologia di utenza distribuita
nei rispettivi plessi di cui è composto e gli obiettivi dell’offerta formativa di allora:
La scelta della scuola per i propri figli nel rione Esquilino è spesso caratterizzata dal groviglio di ansie e
aspettative che vengono alimentate da una forte pressione mediatica sulle scuole «ad alto tasso di presenza
straniera»: i mezzi di informazione amplificano le preoccupazioni concernenti il retto svolgimento dell’attività
didattica in un contesto che si suppone impacciato dalle difficoltà linguistiche degli alunni. Una semplice lettura
precisa dei dati riportati sopra offre un quadro ben diverso. Nel rione Esquilino le ansie sono raddoppiate dalla
presenza di un secondo polo scolastico nel quale la percentuale media della presenza straniera è radicalmente
inferiore rispetto a quella dell’Istituto Manin: circa il 12%. L’esperienza di genitori all’interno dell’Istituto
Manin – vista in particolare dall’angolazione della Scuola Di Donato, che è il plesso dell’Istituto a più alta
concentrazione di presenza straniera – insegna che esistono delle difficoltà oggettive connesse al frequente arrivo
di nuovi alunni stranieri che non conoscono la lingua italiana: accoglienza, inserimento, rapporto con la classe,
rapporto con le famiglie. Tuttavia esistono anche delle straordinarie opportunità. Un progetto intitolato Famiglie
a scuola, sperimentato in una delle classi della Scuola Di Donato e poi allargato a molte altre classi, vincitore di
vari premi, ha mostrato il valore della focalizzazione sul punto comune: la condivisione delle aspettative
sull’educazione dei propri figli, di qualsiasi origine siano. Ci si è convinti che la chiave dell’integrazione
scolastica non è nell’attuazione di pratiche eccezionali, ma nella garanzia di qualità della struttura d’accoglienza:
organico stabile e numericamente adeguato a esigenze ordinarie e straordinarie (tempo pieno, accoglienza,
sostegno, etc.); classi poco numerose, compatibili con una vera relazione personale (18-20 alunni per classe):
équipe psico-pedagogiche e di mediazione linguistica e culturale strutturate in modo continuativo nell’attività
scolastica; singoli progetti didattici dedicati a favorire la formazione del cittadino di domani, qualunque sia la
sua origine. Ossia quelli che dovrebbero essere i caratteri normali del futuro della scuola pubblica. Garantite
queste condizioni in tutte le scuole di un territorio, le ansie calerebbero, e la presenza straniera e italiana si
distribuirebbero naturalmente, con ulteriore vantaggio per i processi di integrazione.
Al termine del documento sopra riportato faceva seguito una breve presentazione della
Associazione Genitori Di Donato che riportiamo di seguito:
Con questa prospettiva di costruire qualità, l’Associazione Genitori Scuola Di Donato opera dal 2003 all’interno
dell’Istituto in accordo e collaborazione con la dirigenza scolastica. In particolare l’Associazione Genitori ha in
gestione gli spazi seminterrati (recuperati dai genitori stessi, quindi ristrutturati dal I Municipio di Roma), i
cortili e la palestra della Scuola. In orario extracurriculare vi vengono svolte attività ed eventi sportivi, culturali e
ludici di vario genere, inoltre sono offerti servizi per grandi e piccini, tra cui un’équipe psico-pedagogica e di
mediazione: gli spazi vedono attualmente una partecipazione quotidiana media di 100-150 persone.
L’Associazione Genitori è inoltre l’ente operativo di gestione del Polo Intermundia diretto dall’Istituto Manin.
L’Associazione è diventata un importante riferimento per la vita del rione Esquilino,
inserita in una rete di rapporti con altre associazioni, progetti, enti che lavorano per la
costruzione di una città a misura di bambino. L’Associazione ha fatto del recupero e della
gestione di spazi pubblici il fondamento della propria attività, in un’ottica di progressiva
186
condivisione con le famiglie, le componenti scolastiche, gli altri enti e associazioni, gli
abitanti del rione, le istituzioni: un modello di buone pratiche, che partendo dalla scuola
intende toccare le corde principali di tutto il rione Esquilino.
Il principio di fondo è che il vero percorso di integrazione culturale – al di là di ogni
retorica – passa attraverso la qualificazione condivisa del territorio, costruita fianco a fianco
dai cittadini che lo abitano, di qualsiasi provenienza essi siano.
5.4 Professionalità degli operatori
Per la maggior parte delle famiglie straniere intervistate, il primo contatto con la scuola
italiana evidenza quanto sia stato complesso. Le maggiori difficoltà si hanno nel comprendere
i meccanismi burocratici inerenti l’iscrizione dei propri figli. Per molte famiglie il motivo
principale delle difficoltà incontrate è stato, ovviamente, la scarsa conoscenza della lingua
italiana. Non secondaria la necessità di ricostruire una nuova mappa cognitiva, di fronte ad un
nuovo ambiente sociale, con cui necessariamente entrare in contatto. Tale difficoltà attraversa
con differenze assai sfumate quasi tutte le famiglie intervistate.
Nelle diverse modalità con cui ogni famiglia ha affrontato il primo rapporto con la scuola,
appare tra le righe, quanto queste abbiano apprezzato il modo con cui sono state accolte dalle
insegnanti, descritte per la gentilezza, per la comprensione e la partecipazione a tale incontro.
È accaduto nel 2007. I docenti erano gentili, ma avendo difficoltà con la lingua italiana non ho capito quello che
dicevano gli insegnanti. Non avevo capito come funzionava la scuola. Piano, piano l’ho capito. (Madre cinese n.
1 di alunni scuola materna).
Il primo contatto l’ho avuto con l’iscrizione alla materna del mio primo figlio. Ho avuto un po’ di difficoltà nel
sistemare tutti i documenti richiesti, poiché erano troppi. (Madre filippina n. 1 di alunni scuola elementare e
secondaria superiore. Analogamente Madre bengalese n. 2 di alunno di scuola elementare, Madre somala n. 1 di
alunno di scuola secondaria superiore, Madre iraniana n. 1 di alunno di scuola media, Famiglia cinese n. 5 di
alunni scuola elementare, Madre bengalese n. 3 di alunno scuola media).
Dalle risposte emerge come spesso è la rete amicale o parentale a fornire le prime
informazioni che permettono di comprendere come affrontare i meccanismi di funzionamento
della scuola al fine di iscrivere i propri figli a scuola.
Fu mia moglie che parlando con amici filippini scoprì che la scuola era questa e per giunta era vicino a casa
nostra. Noi non lo sapevamo. Furono sempre loro ad aiutarci a capire cosa dovevamo fare. (Padre filippino n. 4
di alunni scuola media e secondaria superiore).
Il primo contatto con la scuola non è solo fonte di ansia o di preoccupazione e dai ricordi
riaffiorano anche sentimenti ed emozioni di gioia e contentezza nell’accompagnare i propri
figli al primo giorno di scuola.
Nel 1997 quando il mio primo figlio è andato alla scuola materna. Ho dei bei ricordi. Quando mio figlio tornava
dalla scuola cantava diverse canzoni italiane. (Madre filippina n. 3 di alunni scuola elementare e secondaria
superiore. Dello stesso tenore le risposte di Padre filippino n. 4 di alunni di scuola media e secondaria superiore,
Padre indiano n. 1 di alunno di scuola elementare).
Attraverso le descrizioni del primo rapporto con la scuola emerge anche come buona parte
delle famiglie intervistate sia entrata per la prima volta in contatto con la scuola alla fine degli
anni ‘90, quando la presenza di studenti stranieri era inferiore a quella attuale. A tal proposito
assai significative sono le informazioni, fornite dai genitori italiani, dalle insegnati e dalla
dirigente scolastica; utili per una ricostruzione della storia recente della scuola che permette di
delineare alcuni dei passaggi più significativi in grado di identificare non tanto quando o
187
quanto, ma soprattutto come l’ingresso degli alunni non italiani abbia determinato cambiamenti interni al contesto scolastico in esame. A volte anche in relazione a quanto accade nel
territorio stesso dove questo è ubicato. Tale ricostruzione confrontata con le informazioni
fornite dalle famiglie straniere permette inoltre di sondare che tipo di distanza o vicinanza vi
sia tra le diverse conoscenze e interpretazioni sulla scuola o del rapporto scuola famiglia.
La scuola materna ed elementare Di Donato sino al 2001 è stata una succursale del circolo
didattico Bonghi situata nei dintorni del rione Esquilino e solo in quell’anno è stata accorpata
all’Istituto Comprensivo Daniele Manin. La presenza degli alunni stranieri al termine degli
anni ’70 era inesistente. Si iniziò ad osservare nella prima metà degli anni ’90 con le prime
iscrizioni di bambini cinesi e somali. Solo alla fine degli anni ‘90 si registrano le prime
iscrizioni dei bambini bengalesi. La presenza di cittadini di diversa nazionalità si iniziava ad
avvertire anche nel contesto territoriale e soprattutto all’interno del contesto commerciale del
rione. In sostanza la scuola e il territorio risentono entrambi dei diversi flussi e delle modalità
migratorie che investono in quegli anni la città di Roma. Il calo demografico e lo spostamento
delle famiglie italiane in altri quartieri nel frattempo aveva contribuito alla diminuzione delle
sezioni della scuola dell’infanzia (da 10 nel 1978 a 3 nel 1994). Tale ingresso si riflette negli
anni successivi anche nella scuola media, dove nel 2000 arrivano a frequentarla alunni che
avevano passato solo qualche anno alla scuola elementare. L’attuale dirigente scolastica
prende servizio nel 2004, quindi quando questo processo di incontro tra diverse lingue e
culture è iniziato lentamente da circa dieci anni, connotandolo come uno dei primi istituti
romani che si è occupato di educazione interculturale.
Sono da 9 anni nel Consiglio di Istituto e da 3 ne sono la Presidente. La prima volta che ho avuto contatto con la
Di Donato (Via Bixio) è stato nel 1998. Allora l’Istituto comprendeva la scuola elementare e la scuola
dell’infanzia ed era la succursale della Bonghi (situata ai margini del rione Esquilino, al di là di via Merulana).
Attualmente dal 2000 è un Istituto Comprensivo. È stato così che la Di Donato venne accorpata al SMS D.
Manin che si può dire che a Roma è stato il primo Istituto che si è occupato di educazione interculturale. La
prima volta che ho avuto il contatto con questa scuola, per la precisione, è stato nel 1998, quando ho iscritto il
mio primo figlio alla materna. C’erano le carenze classiche da succursale. Ma c’erano pochi contatti con la sede
centrale e anche difficoltà nell’approvvigionare il materiale didattico. In quegli anni c’erano già alcuni bambini
stranieri. Prima c’erano 2, 3 classi e solo alcuni bambini stranieri. Prima la percentuale era capovolta rispetto ad
adesso: 1/3 stranieri e 2/3 italiani. (Madre italiana n. 1 di alunni scuola elementare e media).
Il primo contatto con questa scuola l’ho avuto nel 1978/79 come insegnante supplente. All’epoca ero una
ragazzetta appena uscita dalle Magistrali. Ricordo i primi anni nel 78/79 qui la scuola era Circolo Didattico e
c’erano 10 sezioni di Scuola dell’Infanzia e nessun bambino immigrato. Quando sono ritornata nel 94/95, le
classi di Scuola dell’Infanzia si erano ridotte a tre e cominciavano ad iscriversi bambini stranieri, pochi rispetto
ad oggi. La nazionalità più rappresentata anche allora era la cinese. C’erano bambini cinesi figli di operai e
qualche bambino somalo figlio di profughi che erano in Italia di passaggio diretti verso gli Stati Uniti. I bambini
bengalesi ad esempio non ce n’erano, perché nel rione Esquilino vivevano spesso cittadini maschi del
Bangladesh che avevano lasciato la propria famiglia nel paese di origine. In quegli anni cominciarono i primi
ricongiungimenti familiari e verso la fine degli anni Novanta cominciarono ad arrivare i primi bambini bengalesi
nelle scuole del Rione. In realtà le sezioni della scuola dell’infanzia diminuirono un po’ per il calo demografico
di quegli anni e un po’ perché le giovani coppie con bimbi piccoli facevano fatica a vivere all’Esquilino. I prezzi
degli affitti e delle vendite delle case erano proibitive e moti decisero di spostarsi ai Castelli o in zone periferiche
della città. La prima impressione di questa scuola – nel 78/79 – fu di rigidità assoluta: era una scuola pulita e
ordinata, e questo era un bene, con un controllo forte da parte del dirigente didattico, uomo d’ordine e di
disciplina. Sotto l’aspetto organizzativo era tutto perfetto e molto facilitato. Ma era completamente inesistente lo
spazio per l’innovazione, la creatività e la progettualità condivisa. Per questo ebbi un po’ di problemi. (Maestra
n. 1 di scuola elementare).
Abbiamo un’esperienza comune avendo iniziato a lavorare in questa scuola nello stesso anno. Prima non
avevamo fatto un’esperienza come questa in una scuola multietnica. La mia esperienza inizia qui a via Bixio nel
1999. È stata un’esperienza positiva. Rispetto ad altre classi, qui a via Bixio, si creano delle relazioni, tra ragazzi
e tra questi e insegnanti estremamente positive. Gli alunni fanno esperienze positive. Relazioni tra ragazzi che
coadiuvano non poco l’inserimento. Si crea un clima di fratellanza tra di loro. Per gli alunni la scuola diviene un
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punto di riferimento, di incontro. Si affezionano alla scuola a tal punto che anche dopo, usciti dalle medie, fanno
spesso riferimento a questa scuola. Questa è una scuola che possiamo dire si è specializzata nell’intercultura.
(Professoressa n. 2 di scuola media).
È stata una mia scelta nel 2004, il Preside precedente si trasferiva in un altro Istituto. Avevamo lavorato insieme
e quando venni a sapere di questo trasferimento feci domanda poiché mi piaceva questo tipo di Istituto. Prima
non avevo avuto un’esperienza professionale così intensa con un istituto dove c’era questa variegata tipologia di
utenza. Il primo impatto? Mi sembrava una scuola poco organizzata. In questi 5 anni è un po’ migliorata in
funzione soprattutto dell’utenza. I docenti per quanto riguarda la didattica sono bravissimi. Hanno imparato da
soli a stare in questo contesto anche a fare da mediatori. Problemi li ho trovati nella segreteria ma in questi anni
abbiamo migliorato molto l’accoglienza soprattutto nei confronti delle famiglie migranti. La segreteria ha visto
un grande ricambio. (Dirigente Scolastica Istituto Comprensivo).
Una volta che i propri figli sono stati inseriti nel gruppo classe le preoccupazioni dei
genitori stranieri sembrano diminuire. Infatti, questi non mostrano molte perplessità sul fatto
che la scuola in questa fase non abbia adottato alcuna misura in grado di valutare le competenze linguistiche o le conoscenze precedentemente acquisite dai nuovi alunni. La maggior
parte delle famiglie sembra invece aver vissuto questa fase con molta naturalezza e normalità.
Ciò sembra dipendere da due fattori tra essi interrelati. Da una parte, la giovanissima età in
cui le famiglie iscrivono i propri figli (due o tre anni), dall’altra la nascita di questi che nella
maggior parte dei casi è avvenuta in Italia. Pur permanendo i problemi con la lingua italiana
con conseguente difficoltà di comprensione delle pratiche burocratiche, queste, comunque,
accedono al circuito scolastico a volte già presso la scuola dell’infanzia, molto spesso alla
materna e negli anni successivi con l’iscrizione del secondogenito o del terzogenito,
raggiungono una maggiore familiarità con il contesto scolastico.
Entrambi i miei figli non hanno dato l’esame di lingua italiana. Il grande cominciava la prima elementare, il
piccolo la scuola dell’infanzia. (Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare. Anche Madre
cinese n. 1 di alunni di scuola materna, Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare, Padre filippino n. 4 di
alunni di scuola media e secondaria superiore).
All’età di cinque anni, alla materna. No nessun test. Ci hanno aiutato molto anche perché io ero appena arrivata.
Le persone che ho incontrato erano buone, soprattutto due maestre che poi mi hanno aiutato molto e hanno
permesso a mio figlio di entrare subito a scuola, mentre io ho svolto le operazioni di iscrizione su consiglio di
mio marito. (Madre iraniana n. 1 di alunno di scuola media).
All’età di tre anni, alla materna. Ho trovato una scuola accogliente. Il primo contatto è stato bello, poiché
l’ambiente e soprattutto le insegnanti erano molto partecipi e comprensive con noi mamme. Infatti nell’ultimo
anno di materna e alle elementari mio figlio ha potuto avere il sostegno di alcune ore, avendo delle difficoltà
attentive e di iperattività. (Madre somala n. 1 di alunno scuola secondaria superiore).
Se osserviamo la medesima fase dal punto di vista delle due famiglie italiane e delle
insegnanti intervistate possiamo constatare come queste abbiano vissuto (anche se in anni
differenti) l’ingresso o la presenza degli alunni stranieri. Al contrario di quanto spesso appare
negli articoli dei giornali o in generale nei mass media che, quando scrivono della scuola
multiculturale dell’Esquilino accentuano solo gli aspetti negativi della presenza di studenti
stranieri, colpisce la modalità con cui i due genitori (e con loro, come vedremo di seguito,
tanti altri) si sono resi disponibili al dialogo e all’accoglienza, sia delle famiglie straniere, che
soprattutto di tutti gli alunni. In particolare la madre italiana (da 9 anni Presidente del
Consiglio di Istituto) sottolinea come sia stato centrale lo specifico contesto della materna nel
favorire la reciproca conoscenza. È la modalità di accoglienza quotidiana della materna, dove
ogni genitore accompagna i propri figli in classe, a permettere occasioni di continui incontri
da cui nascono anche amicizie tra genitori di diversa nazionalità. È in questa interazione
quotidiana in cui diversi genitori vengono a conoscenza delle diverse necessità e problematiche che le famiglie straniere si trovano ad affrontare.
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Seguendo le narrazioni delle famiglie e intrecciando queste anche con quanto dichiarato
dalle insegnati, il racconto sulla modalità con cui la scuola affronta le prime esperienze
didattiche con la multi etnicità è assai emblematico per comprendere come alle ordinarie
difficoltà di una qualunque scuola, si siano aggiunte, spesso in assenza di chiare indicazioni
ministeriali, altre problematiche e disfunzioni. È in questo contesto che nascono i primi
approcci sperimentali, a volte da singoli insegnanti, a volte in collaborazione con le famiglie o
su stimolo della stessa dirigenza scolastica, avviati dalla scuola per superare diversi ostacoli di
crescente complessità, di fronte dall’ingresso di alunni di diversa nazionalità. Non sono
mancate resistenze da parte del corpo docente, e in questi casi gli alunni stranieri venivano
accolti nelle classi dove le insegnanti erano più disponibili anche ad una progettualità
didattica più attinente alla nuova utenza. Nacquero così esperienze di lavoro attivo e di
cooperazione tra insegnanti, alunni e genitori, ed esperienze didattiche più creative e
coinvolgenti, attraverso un lavoro a classi aperte e una maggiore condivisione dei progetti
avviati. Il riflesso di questo lavoro si riverberò anche sull’aumento delle iscrizioni alla
materna che da tre sezioni passò a sei.
Nel frattempo, sino al 2001 alle elementari venivano inseriti anche ragazzi stranieri di 13,
14 anni, creando problemi soprattutto al loro inserimento, oltre che al resto della classe.
Nacquero così le prime lamentele delle famiglie e la scuola rivide i criteri di inserimento.
Anche per la scuola elementare a livello ministeriale non c’erano direttive precise e lineeguida. In sostanza l’accoglienza degli alunni stranieri era nelle mani delle insegnanti ed
affidata, dunque, alla loro disponibilità o buona volontà. Attualmente il criterio di inserimento
in una determinata classe è l’età anagrafica dell’alunno, ma non sempre il criterio è rispettato
e in determinate situazioni non è sempre applicabile.
Nel 94/95 quando si iscrivevano bambini migranti, alcune colleghe storcevano il naso, cercavano di evitare che
venissero iscritti nelle loro sezioni. C’era scarsa attenzione alla progettualità didattica e ai contenuti. Il gioco –
che nella scuola dell’infanzia è un’attività didattica a tutti gli effetti – era improvvisato. I bambini, dunque,
venivano accolti nelle sezioni dove le insegnanti si rendevano disponibili. Io cominciai a lavorare seguendo una
progettualità precisa e i primi tempi mi sentivo un po’ sola. L’esporre solo anche un cartellone creava problemi:
si rovinano i muri, si sporca la scuola, si crea confusione (questi erano gli appunti che mi venivano rivolti). Ma
io ci credevo nel mio lavoro e ho cercato con fermezza di non adeguarmi, ho continuato a proporre metodi di
lavoro attivi e di cooperazione sia fra insegnanti sia con i genitori degli alunni. Nel 1997 arrivò la maestra Lucia
e da allora la mia vita a scuola cambiò: non ero più sola. Cominciammo a lavorare a classi aperte e a condividere
progetti. Lentamente anche le colleghe più rigide cominciarono ad accettare e condividere esperienze didattiche
creative e coinvolgenti. È stato un cambiamento radicale: la Scuola dava un’immagine di sé bella, attiva,
creativa. I genitori della zona cominciarono a iscrivere i bambini alla Di Donato: da tre sezioni si passò a quattro
e poi a cinque fino ad arrivare addirittura a sei sezioni di Scuola dell’Infanzia. Nel 2001 la scuola fu accorpata
all’Istituto Comprensivo “Manin” e con il recupero degli scantinati da parte dell’Associazione Genitori diventò
anche Polo Intermundia. Questo ha dato uno slancio nuovo. Dal 1994 al 2001 alle elementari venivano, a volte,
inseriti anche ragazzi migranti di 13/14 anni e questo creava non pochi problemi a loro principalmente ma anche
al resto della classe che era formato da bambini a volte molto più piccoli. Le famiglie italiane si lamentavano e
anche le insegnanti si rendevano conto che il sistema di inserimento non era corretto. Il Preside di allora cercò di
rivedere i criteri di accoglienza ed inserimento. A livello ministeriale non c’erano direttive precise e linee-guida.
L’accoglienza era nelle mani delle insegnanti ed affidata, dunque, alla loro disponibilità e buona volontà o meno.
Attualmente il criterio di inserimento in una determinata classe è l’età anagrafica dell’alunno, ma non sempre il
criterio è rispettato e in determinate situazioni non è applicabile. Esempio: i bambini rumeni iniziano la scuola
primaria a 7 anni e seguendo questo criterio quest’anno è stata inserita nella mia classe una bambina che, sì,
aveva 8 anni ma in Romania aveva frequentato solo la prima classe. Risultato: è stata ritirata l’iscrizione.
(Maestra n. 1 di scuola elementare).
Proprio nel periodo in cui la scuola Di Donato viene accorpata all’Istituto Comprensivo
Daniele Manin vengono avviate in forma sperimentale un numero crescente di azioni di
sostegno alle famiglie e nei confronti degli alunni, in cui aumenta il numero dei bambini
stranieri. Nel 2003, presso le elementari, per effetto dei ricongiungimenti familiari, arriva un
folto gruppo di bambini dal Bangladesh che si va ad aggiungere ai bambini cinesi filippini e
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dell’est Europa. Alle elementari, però, cambia il rapporto tra i genitori poiché questo, a
differenza della materna, non era più mediato dalla possibilità di incontrarsi in classe.
L’incontro quotidiano tra i genitori avviene solo davanti ai cancelli. È da questa semplice
considerazione che diversi genitori italiani costituitosi in comitato genitori e gli insegnanti
iniziano a valutare la necessità di reperire una stanza per gli incontri tra le famiglie, trovando
la disponibilità da parte del nuovo dirigente scolastico nel concederne una all’interno della
stessa scuola elementare. È sempre il dirigente scolastico che inviata il comitato a costituirsi
in associazione, al fine di essere riconosciuti formalmente dalle stesse istituzioni, avere un
diverso ruolo e un maggior peso nelle richieste. Da qui nacque una mobilitazione finalizzata
anche a coinvolgere i genitori stranieri, obiettivo che si rivelò complesso vista la scarsa
presenza di mediatori nel rione. Di grande ausilio nel coinvolgimento dei genitori furono due
attività ideate e gestite in seguito dall’Associazione Genitori: la ludoteca e il doposcuola. Per i
locali vennero identificati alcuni spazi nei seminterrati della scuola, quindi recuperati
dall’abbandono decennale e dal degrado. Tutti i lavori di ristrutturazione furono a carico degli
stessi genitori che ripulirono e sistemarono i locali anche con l’ausilio di diversi genitori
stranieri.
Si raggiunsero così due obiettivi: far giocare insieme i bambini in orario extrascolastico e
creare un punto di incontro per i genitori, da utilizzare anche per i compleanni di tutti gli
alunni, visti i pochi spazi sociali a disposizione nel rione. Negli spazi ristrutturati vengono
avviati corsi di lingua italiana per i genitori stranieri che con il tempo consentono di generare
una reciproca conoscenza e forti relazioni tra genitori di diverse nazionalità. Sempre in questa
sede nel 2003 fu istituito su Progetto Comunale il Polo Intermundia del I Municipio.
Emblematica fu la scelta metodologica dell’allora dirigente scolastico, come riportato di
seguito dalla madre italiana.
Successivamente lo stesso spazio nel 2003 è divenuta la prima sede del Polo Intermundia. La scuola scelse che
fosse l’Associazione Genitori a gestirlo, poiché pensò che era giusto che la gestione fosse di chi era dentro le
relazioni. In questo modo il Preside sancì di fatto che l’integrazione si basasse e passasse attraverso le relazioni:
relazioni come base primaria dell’integrazione. (Madre italiana di alunni scuola elementare e media).
Seguendo sempre il racconto di questa madre italiana notiamo che nel 2001 nella scuola
elementare aumentano i bambini stranieri, così come quelli nati in Italia, ma anche bambini
che si iscrivono durante l’anno o che durante lo stesso tornano nel paese di origine oppure si
trasferiscono in quartieri più periferici della città di Roma; tra questi alcuni che si erano
trovati particolarmente bene nel contesto scolastico, affrontano ogni giorno viaggi in treno pur
di continuare a frequentare la Di Donato. Per far fronte ai problemi relativi a queste modalità
di fruizione e frequentazione della scuola nell’anno scolastico 2003/2004 alcune insegnanti
delle elementari promuovono un progetto denominato Famiglie a scuola allargato anche ad
altre colleghe e finalizzato a favorire lo scambio e la socializzazione tra i genitori delle
diverse nazionalità di provenienza.
Il genitore di ogni nazionalità era invitato a raccontare fiabe o a preparare la merenda, a portare un gioco, in
sintesi ognuno portava ciò che sapeva o voleva fare con gli alunni. Questo approccio ha favorito una forte
socializzazione tra tanti genitori che prima presso la ludoteca si sono accordati poi da soli sono entrati in classe
in orario scolastico. L’esperienza di insegnare anche loro ai compagni di classe del proprio figlio li faceva sentire
importanti e in parte perdere quella percezione negativa che in molti avevano di se. (Madre italiana n. 1 di alunni
scuola elementare e media).
Il costante ingresso di nuovi alunni di diversa nazionalità, a volte durante il corso dell’anno
scolastico, provoca continui cambiamenti dell’utenza della scuola. Tale andamento trova
riflesso sul comportamento di molte famiglie italiane al momento del passaggio dalle
elementari alle medie. È in questa prima metà degli anni 2000 che si assiste alla cosiddetta
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fuga degli studenti italiani dalle medie di via Bixio alla centrale, o altrove. Ciò avviene
prevalentemente nell’anno scolastico 2004/2005 e determina il forte aumento degli studenti
stranieri alle medie capovolgendone la proporzione rispetto alle elementari (1/3 di italiani
rispetto a 2/3 di alunni stranieri), ma anche la necessità di un incremento della presenza di
mediatori culturali. In questo contesto le insegnanti delle medie non hanno dubbi: si vive
nell’emergenza. Cercando e sperimentando nuove modalità di accoglienza, strumenti di
valutazione delle conoscenze e veri e propri strumenti didattici per insegnare in contesti
interculturali, creati direttamente dagli insegnanti. In sintesi un problema viene trasformato in
risorsa, in questo caso in risorsa didattica. Le insegnanti sottolineano quanto durante questo
nuovo percorso professionale è stato necessario apprendere dall’esperienza quotidiana e
modificare di conseguenza i precedenti approcci e strumenti. La risposta in termini
metodologici per insegnare in tali contesti si basa sul forte coinvolgimento sia proprio che
degli studenti, sul rafforzamento del gruppo classe che funge come ausilio nei confronti dei
nuovi ingressi e si basa prevalentemente sul potenziamento delle relazioni interne alla classe e
tra gli stessi docenti.
Qui possiamo dire che siamo sempre di fronte all’emergenza, poiché l’entrata è continua. Qui parti con una
classe di tot elementi che con il tempo cresce. A dicembre a marzo etc. Dopo le iscrizioni, dopo la composizione
delle classi sottoponiamo agli alunni (nel tempo anche ai nuovi ingressi) una scheda sulle conoscenze; facciamo
delle prove sul grado di conoscenza delle materie. Schede di conoscenza, attraverso prove per evidenziare cosa
hanno fatto in precedenza. Quando abbiamo iniziato non c’erano testi pubblicati da case editrici, ossia libri
specifici per insegnare in contesti interculturali. Noi abbiamo realizzato un libro elaborato partendo dalle
esigenze degli alunni. Un testo ancora utile. Sia le schede di ingresso, che il testo sono stati realizzati da noi
insegnanti. C’è stato un apprendimento da parte nostra attraverso l’esperienza… La didattica classica qui non si
adatta alle esigenze dei singoli ragazzi. Quando facciamo il tempo prolungato noi oltre a svolgere la didattica
cerchiamo di fare cose coinvolgenti. Primo obiettivo è l’integrazione, la costruzione del gruppo classe che
funziona a livello relazionale. (Professoressa n. 2 di scuola media).
La dirigente scolastica che ha preso servizio presso l’Istituto Comprensivo nel 2004,
consapevole delle problematiche e delle difficoltà che hanno dovuto affrontare prima di tutto
gli alunni, quindi i docenti e le famiglie, con il Consiglio d’Istituto ha rivisto i criteri della
formazione delle classi basati prevalentemente sulla eterogeneità di provenienza degli alunni,
sulla continuità didattica e il rinforzo della conoscenza della lingua italiana. L’inserimento
avviene con i corsi di lingua per cominciare un dialogo. Poi con il tempo si studia la lingua
per studiare, più specifica, con interventi diversi e più mirati.
Per l’inserimento degli alunni sono stati rivisti i criteri della formazione delle classi. Con il Consiglio di Istituto è
stato deciso di divedere tra loro gli alunni delle diverse nazionalità, ossia non formare classi con una prevalenza
di una nazionalità o l’altra, ma tanti maschi e tante femmine delle diverse comunità. Nelle medie prima avevamo
circa il 54% di stranieri, quest’anno il 49%. È stato realizzato un grande lavoro con il territorio con i genitori
italiani che in questo ultimo anno stanno tornando anche alle medie. Se stessimo in Francia avremmo percentuali
diverse: coloro che nascono li sono considerati francesi e non stranieri. L’inserimento avviene con i corsi di
lingua per cominciare un dialogo. Poi con il tempo si studia la lingua per studiare, più specifica, con interventi
diversi e più mirati. Poi, come dicevo prima, con la suddivisione delle diverse nazionalità (compresi gli italiani,
ovviamente). Poi facciamo anche attenzione al discorso della continuità. Se gli alunni vengono dalla scuola
dell’infanzia, ascoltiamo la Commissione Continuità, per conoscere e capire a fondo se ci sono incompatibilità o
meno tra i bambini. Oppure valutiamo la presenza di bambini diversamente abili. Ascoltiamo molto anche le
esigenze delle famiglie: per esempio in una classe della media i genitori della classe hanno chiesto di tenere
insieme due bambini diversamente abili. Per i bambini stranieri, per esempio, non facciamo test di ingresso. Per
formare le classi utilizziamo gli elementi che ci danno i docenti delle classi di uscita. Sono i docenti delle classi
di ingresso che poi valutano di nuovo la conoscenza della lingua. Alle elementari abbiamo una risorsa: un
insegnate comunale ad esaurimento che è addetta ad attività parascolastiche. Ha 22 ore per lavorare
appositamente con i bambini stranieri in ingresso. Organizza gruppi di lavoro per alcune ore la settimana, segue
specifici programmi con le rispettive classi in base ai livelli che cambiano e organizza anche gruppi di
potenziamento della conoscenza della lingua. (Dirigente Scolastica Istituto Comprensivo).
192
Analizzando a fondo il rapporto delle famiglie straniere con la scuola, in particolar modo
di quanto questo fosse stato facilitato dalla presenza o meno di materiale tradotto o anche da
mediatori culturali, nelle descrizioni dei genitori emerge di nuovo la discontinuità con cui la
scuola ha gestito la comunicazione, quando negli ultimi anni la presenza dei mediatori abbia
fornito un valido supporto nell’agevolare la comunicazione tra famiglie e insegnanti. La
domanda sulla presenza o meno di mediatori ha inoltre fatto riemerge in tutta la sua portata le
difficoltà delle famiglie straniere, già riscontrate nella fase di iscrizione dei figli e, quindi, nel
primo impatto con l’istituzione scolastica italiana. Se in questo ultimo caso le criticità erano
concentrate nella comprensione dell’iter burocratico da seguire, in questa circostanza,
soprattutto la richiesta della figura del mediatore, sembra rimarcare la necessità di diminuire
la distanza che le famiglie sentono esistere tra loro e gli insegnanti. Una distanza che sembra
privarli della possibilità di coadiuvare e di collaborare con gli insegnati nel lavoro di
formazione e crescita culturale dei propri figli.
Le famiglie che hanno avuto modo di usufruire del mediatore sottolineano l’esperienza
positiva e i benefici che hanno avuto nel rapporto con la scuola. In particolar modo sono le
famiglie cinesi a ribadire l’importanza e la necessità di usufruire di un mediatore culturale che
permetta loro di conoscere a fondo il reale apprendimento dei figli e contribuire a loro volta
ad un potenziamento di questo. Forse, in questo caso, potremmo anche parlare di distanza
pedagogica.
Da parte della scuola non ho mai ricevuto materiali tradotti in cinese. Adesso riesco a capire i comunicati e gli
avvisi etc. ma all’inizio ho avuto tantissime difficoltà di comunicazione. Penso che la scuola debba rafforzare i
servizi di questo genere in modo tale che tutti i genitori possano conoscere la reale situazione dei propri figli.
Solo due anni fa e per la prima volta ho avuto modo di usufruire della figura del mediatore culturale. È un
servizio molto utile poiché con loro sono aiutata nella comunicazione con gli insegnanti. (Madre cinese n. 1 di
alunni di scuola materna. Analogamente Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
La necessità di una maggiore facilitazione nel rapporto comunicativo con la scuola vale per
tutte le famiglie intervistate. Queste in assenza di mediatori o di materiali tradotti sottolineano
non solo le difficoltà incontrate, ma anche i modi con cui hanno cercato di superarle
attraverso l’individuazione di specifiche figure di cui si sono avvalsi per far fronte a tale
carenza. Spesso sono amici, mariti, a volte i figli più grandi che vengono investiti del ruolo di
mediatori. Dalle interviste sembrerebbe che le famiglie filippine abbiano potuto usufruire
almeno della presenza di materiale tradotto. Lo stesso non si può dire per le famiglie
bengalesi che lamentano la mancanza, sia di materiali tradotti, che di mediatori.
Direi in generale di sì (più dalla presenza di mediatori, che di materiale tradotto, che ancora scarseggia). In ogni
caso la presenza di mediatori è ancora insufficiente. La loro presenza dovrebbe essere il più possibile continua,
strutturata nel corpo scolastico, ed invece è ancora troppo dipendente da iniziative esterne,come quella promossa
dall’Associazione Genitori in collaborazione con il Progetto Mediazione Sociale. (Padre italiano n. 2 di alunni
scuola elementare).
Sul medesimo tema le insegnanti, la mediatrice culturale per la lingua cinese e le famiglie
italiane ripercorrono la recente storia delle difficoltà incontrate ma soprattutto le modalità con
cui negli anni la scuola Di Donato si è attrezzata per far fronte ad una emergenza,
coinvolgendo anche i genitori, i mediatori esterni e organizzando corsi di formazione per
docenti, contribuendo negli anni anche a delineare la figura professionale dello stesso
mediatore, prima linguistico, poi linguistico culturale. Presso la scuola media le insegnanti
iniziano a coinvolgere anche gli stessi alunni che hanno una maggiore padronanza della
lingua italiana: questi vengono invitati a collaborare con le insegnanti nella fase di prima
accoglienza. In fieri, potremmo dire, nasce la figura del peer mediator.
193
Sicuramente sì. Ma un tempo non c’erano i mediatori. Io, per esempio, facevo tradurre il materiale che serviva
per le varie comunicazioni a qualche genitore. Già dal 1999 a livello ministeriale si capì l’importanza di avere
una figura professionale dedicata: nacque la figura del mediatore linguistico ai quali gli Istituti scolastici
potevano fare riferimento. Dal 2001 con la collaborazione del Cies, con Irene, del Forum Caritas, e poi dal 2005
con il Progetto Mediazione Sociale si è cominciato a lavorare in maniera sempre più sistematica alle traduzioni
del materiale scolastico per facilitarne la comprensione per tutte le famiglie straniere. Il dibattito intorno
all’ingresso di alunni migranti in quegli anni si fece più acceso e il Preside cominciò ad organizzare corsi di
formazione per i docenti rivolti alla conoscenza delle culture d’origine dei nostri alunni. La qualifica di
mediatore linguistico si arricchì: nacque il mediatore linguistico-culturale. Il lungimirante preside di allora fu
chiamato all’Università di Roma Tre per organizzare corsi di formazione per mediatori linguistico-culturali.
(Maestra n. 1 di scuola elementare).
Ci sono stati mediatori esterni. Li abbiamo utilizzati soprattutto nella consegna delle schede, durante i colloqui
con i professori. Ma anche nella gita scolastica, quando per esempio in questa occasione le ragazze mussulmane
ci hanno comunicato che avevano problemi a convincere i propri genitori a mandarle alla gita. In questo caso le
alunne hanno richiesto un mediatore. Abbiamo utilizzato sia i mediatori esterni che gli stessi alunni/e, che in
diversi casi traducono al genitore che non parla italiano. Abbiamo utilizzato anche gli stessi alunni. A livello
didattico abbiamo cercato di privilegiare questo aspetto mettendo vicino ai nuovi arrivati o a coloro che avevano
difficoltà coloro che parlavano italiano. In questo modo abbiamo creato dei tutor all’interno della scuola. Quindi
abbiamo fatto mediazione attraverso gli stessi ragazzi. (Professoressa n. 1 di scuola media).
Anche se è solo dalla fine degli anni ‘90 che a livello ministeriale si capì l’importanza della
figura del mediatore, questa competenza non sembra mai entrare ufficialmente tra i ruoli
riconosciuti come centrali in un contesto di educazione interculturale. L’Istituto in esame ne è
una dimostrazione. In questo contesto la scuola cerca di svolgere comunque il suo ruolo
cercando soprattutto la collaborazione di tutti coloro che sono in grado di offrire un contributo
nella traduzione di materiale e appoggiandosi a strutture, ad associazioni o progetti al fine di
usufruire di mediatori culturali esterni. Molti dei tentativi e dei processi avviati per colmare le
carenze di tali figure professionali sono attivati dagli stessi insegnanti che negli anni
identificano nelle metodologie di coinvolgimento dei genitori e degli stessi alunni un vero e
proprio approccio integrato nella gestione di un’emergenza, pur di adempiere al loro dovere di
insegnanti. Alla Di Donato, trovano inoltre la disponibilità dell’Associazione Genitori ad
identificare e sostenere economicamente una mediatrice (italiana) di lingua cinese che da
quattro anni svolge la sua attività di sostegno agli insegnanti e agli alunni cinesi, così come
alle loro famiglie.
Come sottolinea la dirigente scolastica, l’Istituto in questo contesto si è avvalso di risorse
sia interne sia esterne, di contributi del Comune di Roma, di mediatori volontari, ma anche
degli stessi alunni e di risorse che arrivano dal territorio.
Qualcosa è stato facilitato da opuscoli come quello realizzato dal CIDI (Comune di Roma) che ha realizzato una
guida multilingue per i genitori. Poi molte circolari sono state tradotte dai mediatori culturali, in alcuni casi
anche da mediatori volontari. Molto spesso sono gli stessi alunni che fanno i mediatori con altri compagni di
classe o dell’istituto o anche con i genitori di questi. C’è una grande collaborazione da parte di tutti. Possiamo
dire che i ragazzi sono diventati dei veri e propri peer mediator. In sostanza utilizziamo il buon senso, ossia
utilizziamo tutte le risorse che ci offre il territorio (progetti, associazioni che mettono a disposizione mediatori
sociali e culturali, genitori, etc.), ma anche gli stessi alunni e i docenti che per esempio conoscono bene l’inglese;
un modo per veicolare informazioni verso tutte le famiglie che conoscono questa lingua. In sintesi adoperiamo
risorse sia interne che esterne. Anche questo penso sia il compito del dirigente. (Dirigente Scolastica Istituto
Comprensivo).
Le difficoltà riscontrate dalla presenza o meno del materiale tradotto o del mediatore non
porta, comunque, la maggior parte della famiglie ad un giudizio negativo sulla comunicazione
attuata dalla scuola nei loro confronti.
Io ho una buona comunicazione con la scuola. Sono sempre andata agli incontri con le insegnanti. È un momento
importante ed è pure l’occasione per capire l’andamento dei progressi che fa il proprio figlio in merito allo
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studio. Per il momento, sia io, che mio figlio siamo soddisfatti per l’attuale situazione. I docenti si assumono
molta responsabilità e mio figlio studia bene. (Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare. Dello stesso
tono le risposte della madre filippina n. 2 di alunni di scuola materna, madre somala n. 1 di alunno scuola
secondaria superiore).
Alcune famiglie, anche se non totalmente, danno un giudizio negativo sulla comunicazione
che la scuola instaura nei loro confronti. In alcuni casi viene si ribadita la necessità di un
miglioramento della dimensione comunicativa, ma anche la consapevolezza delle proprie
difficoltà o delle proprie responsabilità in tale ambito. In generale si registra di nuovo una
richiesta di aumento della qualità della comunicazione finalizzata a garantire una maggiore
efficacia nell’educazione dei propri figli; nell’accompagnarli e seguirli quotidianamente di
fronte ai problemi che devono affrontare, e quindi, anche ai fini di una maggiore integrazione,
in modo particolare nel contesto scolastico. Tale integrazione, come aggiungono alcune
famiglie, potrebbe passare anche attraverso una reciproca conoscenza e una maggiore
comprensione riguardo i modelli educativi presenti nei diversi paesi di provenienza.
Non sono tanto soddisfatto della comunicazione, perché con i problemi che abbiamo con la lingua non sappiamo
come risolvere i problemi che si presentano davanti a nostro figlio. (Madre bengalese n. 1 di alunno scuola
elementare. Analogamente Madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna, Famiglia cinese n. 5 di alunni scuola
elementare).
Sono abbastanza soddisfatta. La scuola italiana e quella cinese avendo culture diverse hanno anche modalità
diverse con cui approcciare l’educazione. Per esempio i genitori cinesi chiedono ai propri figli di scrivere in
maniera perfetta. Per i docenti italiani invece è importante che gli alunni terminino i compiti. Io credo che ogni
modalità ha i propri vantaggi e svantaggi, quindi capendoci reciprocamente e rafforzando la comunicazione tra le
due culture i bambini possono ricevere un’educazione completa e perfetta. (Famiglia cinese n. 4 di alunni di
scuola materna, elementare e media).
Di particolare interesse è la descrizione che fa la madre italiana rispetto ad un’antica
modalità con cui la scuola, spesso in maniera unidirezionale, comunica con le famiglie,
utilizzando come strumento il diario degli alunni. Nel caso di alunni non italiani questa
modalità si basa sulla capacità di questi non solo di saper tradurre i vari comunicati, ma
soprattutto il senso e l’importanza di questi. Per questo motivo non dovrebbe trovare
obiezione la richiesta che, almeno per determinate comunicazioni o in caso di avvisi
importanti, questi vengano tradotti in lingua madre, come peraltro già avviene alla materna e
alle elementari.
Sulla modalità unidirezionale della comunicazione scuola famiglia si sofferma anche la
maestra delle elementari che evidenzia, inoltre, come la comunicazione cambi in relazione
alle maggiori opportunità di contatto quotidiano che le insegnanti hanno con i genitori alla
materna, e in misura minore alle elementari, dove ci si limita a comunicare solo sull’andamento scolastico. In tale contesto la mediazione culturale non sembra sufficientemente
efficace a colmare il divario comunicativo con le famiglie straniere.
Rispetto al rapporto con le famiglie, nella scuola dell’infanzia il rapporto è facilitato dal fatto che i genitori sono
partecipi dell’accoglienza e dell’inserimento dei loro figli, quindi rimangono in classe per qualche giorno
insieme ai figli. Questo rapporto scuola-famiglia, invece, è più carente alle elementari. Oggi il rapporto scuolafamiglia nella scuola primaria spesso è legato alle comunicazioni sull’andamento scolastico dei bambini. Nel
caso di bambini stranieri è mediato dalle figure dei mediatori culturali ma – tranne qualche caso particolare –
rimane un rapporto tra una scuola che comunica e poco viceversa. (Maestra n. 1 di scuola elementare).
Nella scuola media le insegnanti invece valutano migliorata la comunicazione con le
famiglie in questi ultimi anni. In particolare quella con i genitori cinesi.
La comunicazione con le famiglie è buona. C’è stata una trasformazione in questi ultimi anni. Attualmente la
comunicazione è più agevole, e più facile comunicare con le famiglie. Anche con le famiglie cinesi. Questi in
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particolare sono cambiati tantissimo. La comunità cinese si è trasformata in questi ultimi anni. Prima erano
inaccessibili, non partecipavano alle iniziative. Adesso c’è un cambio di generazione, poi molti alunni sono nati
qui. C’è una nuova tipologia di alunni e anche di genitori. Prima molti alunni sembravano autistici. Dopo due
anni stavano sempre li, sembravano imbalsamati. Oggi comunicano di più, sono più socievoli, estroversi, meno
diffidenti, più aperti. C’è servito del tempo, anche loro sono cresciuti culturalmente, hanno compreso come
funziona la scuola. Sono anche meno numerosi rispetto alle altre nazionalità. Prima, all’inizio, per esempio su 25
alunni di una classe, dai 10 ai 15 alunni erano cinesi. Ora non più: ci sono anche tanti filippini, del bangladesh,
indiani, slavi, rumeni. (Professoressa n. 1 di scuola media).
Il cambiamento in positivo della comunicazione con le famiglie cinesi da parte della scuola
è confermato anche dalla dirigente scolastica; mentre quella con le famiglie italiane sembra
diminuire. La costruzione di un sito da cui è possibile scaricare le schede di iscrizione, in
futuro tradotte in tutte le lingue degli alunni, così come la traduzione delle comunicazioni
ufficiali, sono gli elementi centrali su cui poggia la comunicazione ufficiale della segreteria
della scuola.
Abbastanza. Abbiamo anche il sito, anche se ancora non abbiamo tradotto tutte le schede nelle diverse lingue
prevalenti dei nostri alunni. Sempre attraverso il sito è possibile scaricare le schede di iscrizione. Poi la segreteria
che in generale è sempre disponibile nel periodo delle iscrizioni è sempre aperta. Le comunicazioni ufficiali le
facciamo tradurre dai mediatori. All’inizio le incomprensioni più grandi le abbiamo avute con le famiglie cinesi.
Non potevamo fare tornare a casa da soli gli alunni dell’elementare. Questo aspetto è stato assai complicato da
fare capire alle famiglie. Nel tempo però hanno capito le nostre regole. Le famiglie cinesi, come tutte le altre,
sono assai rispettosi, ci tengono moltissimo alla scuola. C’è sempre stata una grande collaborazione da parte
loro. Un po’ meno da parte delle famiglie italiane. Ascoltano sempre quello che dice l’insegnante. Hanno un
profondo rispetto dell’istituzione scolastica. Come era da noi una volta. Stanno molto a sentire, anche se non
hanno molto tempo, poiché tengono moltissimo all’educazione dei figli. (Dirigente Scolastica Istituto
Comprensivo).
Sempre riguardo la comunicazione, invece, il presidente dell’Associazione Genitori,
sottolinea che in generale la comunicazione è comunque troppo relegata al piano burocratico,
col risultato che – in un contesto di presenza migrante – diventa ancora meno produttiva. Il
bambino finisce per vivere due vite separate, una a scuola e una a casa. Come genitore e come
rappresentante dell’associazione ribadisce l’importanza di progetti come Famiglie a Scuola il
cui risultato fu la creazione di un tessuto di conoscenza e scambio tra scuola e famiglie molto
superiore alla media. La validità del progetto, peraltro, fu riconosciuta con vari premi
istituzionali. In questo contesto l’Associazione Genitori contribuisce a fornire un piano
relazione diverso sul quale appoggiare momenti di incontro tra scuola e famiglia, anche se è
un piano non ancora condiviso strutturalmente da docenti e famiglie. Di estremo interesse è
l’approccio metodologico e gli assunti di base dell’essere genitori oggi alla Di Donato.
Inoltre riguarda più aspetti di cornice, rispetto a quelli strettamente pertinenti l’andamento scolastico del
bambino, il suo inserimento, etc. Del resto l’idea dell’Associazione è nata proprio da un istinto connesso a questa
esigenza di tessuto: il desiderio (e l’opportunità, offerta dalla lungimiranza del preside nel 2001/02) di fare
qualcosa con e per i nostri figli nel loro luogo per eccellenza, la scuola, quasi percependo che il processo
educativo dei nostri figli è un processo educativo per noi stessi genitori. Ho sempre sentito che questo era un
valore in sé, indipendentemente dalla peculiare composizione di questa scuola, ed è un fatto che all’inizio a
lavorare per il Comitato (2002, Associazione dal 2003) eravamo solo famiglie italiane. Ci è voluto un po’ di
tempo perché il tessuto si allargasse, ma noi non ci siamo mai posti il problema. Credo che la nostra forza sia
stata quella di non porsi mai domande in termini etnici, neanche in senso retoricamente progressista. Volevamo
condividere un progetto di genitorialità e cittadinanza con chiunque ne avesse voglia – insegnanti o genitori – per
il semplice fatto di essere coinvolti nella scuola o nel territorio, senza nessun rilievo alla propria origine. Per
citare ancora il progetto Famiglie a Scuola una delle sue grandi qualità è stata quella di non chiedere alle
famiglie di fare qualcosa che rappresentasse in qualche modo la cultura del proprio paese. Credo che per chi ha
abbracciato un progetto migratorio sia faticoso, forse a tratti anche irritante, essere spesso invitato a fare da
ambasciatore della terra che si è lasciata. Molto meglio l’opportunità di essere ambasciatore di se stessi, al limite
della propria famiglia – che è una cellula sociale davvero identitaria – scegliendo liberamente di offrire i tratti in
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cui ci si riconosce di più. È su questa base che deve fondarsi l’incontro tra scuola e famiglia, e tra genitori e
genitori. (Padre italiano n. 2 di alunni di scuola elementare).
5.5 Qualità delle relazioni
Le relazioni e i rapporti con gli insegnanti si costruiscono nel tempo, attraverso contatti,
incontri, scambi di opinioni a volte conflitti, ma soprattutto attraverso la condivisione di
esperienze comuni. La maggior parte delle famiglie straniere che portano i propri figli alla
scuola Di Donato hanno pochi dubbi sul tipo di relazione che in questo contesto usufruiscono
con le insegnanti: c’è collaborazione, ascolto reciproco, confidenza, riconoscimento del
lavoro che svolgono, disponibilità reciproca anche a relazioni umane che vanno oltre l’orario
prettamente scolastico.
Ho avuto un rapporto continuo con gli insegnanti. Ottimi, a volte anche eccezionali. Rapporti con singole
persone con cui ho costruito veri rapporti umani. Oggi i rapporti sono buoni. Adesso mio figlio frequenta
l’Istituto Galileo Galilei, situato qui accanto alla Di Donato. (Madre somala, n. 1 di alunno scuola secondaria
superiore. Dello steso tono le risposte di Madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e secondaria
superiore, Madre filippina n. 2 di alunni scuola materna, Padre filippino n. 4 di alunni di scuola media e
secondaria superiore, Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare, Famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola
materna, elementare e media).
Tra gli intervistati c’è anche chi ha rapporti più formali con gli insegnanti. Le poche
relazioni che intercorrono sono comunque sempre descritte come positive.
Abbiamo un rapporto normale, i maestri sono tutti buoni ma non ci conosciamo bene. I maestri dicono che
piacciono i genitori cinesi di adesso, perché facendo paragoni con quelli precedenti, quelli attuali danno più
importanza allo studio dei propri figli e collaborano bene con i maestri di scuola. (Famiglia cinese n. 5 di alunni
di scuola elementare. Anche Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare).
Nelle relazioni con gli insegnanti non mancano esperienze negative o alcune incomprensioni che comunque hanno lasciano il segno, come nel caso della madre iraniana.
I rapporti con gli insegnanti non sono stati tutti uguali… anche a via Bixio nel primo anno delle elementari ho
incontrato problemi con un’insegnante con cui mi sono trovata male, anzi malissimo. Per noi iraniani la scuola è
molto importante e diamo una particolare importanza al primo anno delle elementari dove cerchiamo di far
raggiungere ai nostri figli il massimo dei voti. Io aiutavo mio figlio tutti i giorni e spesso chiedevo all’insegnante
come andasse a scuola. Lei rispondeva sempre che andava bene. Ma alla consegna della scheda risultò che aveva
ottenuto tutti voti sufficienti. Mi arrabbiai molto. Mi deluse molto il suo comportamento. In generale comunque,
a differenza di questi due casi (l’altro nella scuola ai Parioli), ho avuto sempre un buon rapporto con gli
insegnanti di mio figlio (Madre iraniana, n. 1 di alunno di scuola media).
Anche per le famiglie italiane il rapporto con il corpo docente è positivo anche se, da una
parte, la Presidente del Consiglio di Istituto lamenta il fatto che le famiglie a volte vengono
vissute come una controparte, mentre il Presidente dell’Associazione Genitori, dall’altra,
sottolinea quanto purtroppo nella nostra società il ruolo degli insegnanti sia poco riconosciuto
e apprezzato e come la continua rotazione di questi nella scuola pubblica non garantisca, da
una parte la continuità del processo educativo, né tanto meno la costruzione di una relazione
significativa con le famiglie. Questo aspetto è considerato centrale poiché la condivisione del
progetto della scuola passa attraverso l’idea che essa sia considerata anche un luogo di
incontro sociale. Dello stesso parere è la mediatrice italiana di lingua cinese la quale ritiene
buone le relazioni con le insegnanti ma sottolinea anche che queste dipendono da quanto ci si
conosce, dalle relazioni costruite, dalle occasioni di lavorare insieme che ci sono state.
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Nella classe di mio figlio, il patrimonio della bellissima esperienza del primo anno si è pian piano disperso con la
continua rotazione di figure differenti, indipendentemente dal fatto che fossero all’altezza della situazione o
meno. Come presidente dell’Associazione Genitori ho sempre cercato di costruire al contempo una rete di
relazioni che – al di là dell’unità-classe – possa mettere in comunicazione insegnanti e genitori: se la temperatura
umana di contorno si riscalda, tutto diventa più facile e costruttivo. Il sogno sarebbe di avere un’Associazione
Genitori-Insegnati che, ognuno con il suo ruolo, condividono il progetto della scuola come luogo di incontro
sociale e non solo come luogo di educazione dei bambini. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
Al fine di comprendere la qualità delle relazioni all’interno della scuola abbiamo rivolto
una domanda alle maestre della scuola elementare sulla loro percezione delle relazioni tra il
corpo docente: le risposte sono unanimi e nella maggior parte dei casi sottolineano la presenza
di buone relazioni, collaborative, ma anche di complicità e simpatia.
Anche per le professoresse della media le relazioni tra le colleghe sono buone e questo ha
permesso negli anni di creare all’interno del plesso un gruppo affiatato che lavora bene
insieme. Il continuo confronto che si è strutturato nel fare insieme ha permesso la sedimentazione di un metodo condiviso nel fare scuola in un contesto multiculturale come la Di
Donato, basato su una continua e rinnovata progettualità, in grado di favorire anche
l’integrazione dei nuovi colleghi. Anche la dirigente scolastica sembra aver molto chiaro il
clima di collaborazione che si è instaurato tra le insegnanti. Questo è uno dei motivi, secondo
lei, per cui in molte hanno scelto di lavorare in questo istituto.
Analizzando invece le relazioni tra i genitori di diversa nazionalità possiamo constatare
come tra le famiglie intervistate il rapporto (in particolare tra i genitori dei compagni di classe
dei figli) rispecchi in parte le modalità già emerse con le quali queste si rapportano alla
scuola. C’è, infatti, chi sostiene che è troppo impegnato con il lavoro per avere relazioni con
gli altri genitori, chi ha rapporti solo all’interno della propria comunità e, in un solo caso, chi
non ne ha affatto.
Così, così. Non abbiamo rapporti stretti. Per motivi di lavoro non riesco a partecipare alle attività organizzate
insieme agli altri genitori o direttamente da loro. Quindi non ho un rapporto stretto con loro. Per il momento non
ho molto tempo da dedicare a questa attività. (Madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna).
Abbiamo un ottimo rapporto con altri genitori cinesi, perché tra di loro una buona parte lavora in zona, per cui ci
conosciamo molto bene. Ma con i genitori italiani e i genitori di altre nazionalità non abbiamo tanti rapporti.
Dopo aver preso i figli torniamo a lavorare subito, quindi non abbiamo tanto tempo di rimanere a parlare con
loro, anche per il problema della poca conoscenza della lingua italiana. (Famiglia cinese n. 5 di alunni di scuola
elementare).
Altre famiglie dichiarano di avere rapporti normali, di routine, ma pur sempre buoni. Una
buona parte delle famiglie descrive l’insieme delle relazioni che la frequentazione di questa
scuola ha permesso di intessere, anche con altre famiglie di diversa nazionalità. Dalle risposte
emerge anche come nella costruzione di queste relazioni sia stato determinante il ruolo
dell’Associazione Genitori scuola Di Donato, o le diverse attività che questa ha progettato o
sostenuto. La relazione tra i genitori non si esaurisce nell’ambito scolastico ma si consolida
anche con reciproci inviti presso le proprie abitazioni. A volte diviene vera e propria amicizia
e come sottolineato dalla madre iraniana questo è un esempio concreto e stimolo per i propri
figli.
Nella elementare ai Parioli i genitori dei compagni di classe erano gentili, ma mai come questi che ci sono alla
Bixio. Li ti facevano sentire inferiore, qui no poiché siamo tutti allo stesso livello. Anche quando noi non
riconosciamo il nostro valore, loro lo riconoscono. I rapporti con il tempo sono diventati molto stretti e molti dei
genitori sono diventati miei amici e tutto è iniziato qui a scuola. Quando i bambini vedono che i genitori fanno
amicizia tra loro, anche tra i compagni di classe i bambini stringono maggiore amicizia. Ho amicizia con genitori
filippini, italiani, somali, del Bangladesh. Qui con tutti, non fa differenza. Ai Parioli invece eravamo un piccolo
gruppo di mamme di figli di immigrati (rumena, serbo-croata) a cui a volte al mattino si aggregavano anche
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mamme italiane per prendere insieme una caffé al bar. Noi tre ci vedevamo anche nel pomeriggio. (Madre
iraniana n. 1 di alunno di scuola media).
Anche le famiglie italiane nel descrivere le diverse relazioni instaurate con famiglie di
diversa nazionalità sottolineano le modalità o le occasioni in cui tali relazioni sono nate e
sono state rinforzate. La ricerca di elementi comuni, in primis la dimensione della genitorialità, poi anche un corso di italiano, sembrano essere stati il collante necessario per costruire
una relazione duratura, in grado di superare anche le mura e il tempo della scuola per
esprimersi in altri contesti.
Buoni: poco con i genitori cinesi. Con alcuni di loro alle elementari si organizzavano cose insieme, partecipavano, poi alle medie però ci siamo persi. Molte relazioni le ho con le famiglie filippine, poi con il gruppo
delle mamme arabe alle quali ho insegnato nel corso di italiano, e anche con le famiglie bengalesi ma queste non
sono sempre i genitori dei compagni di classe dei miei figli. (Madre italiana n. 1 di alunni scuola elementare e
media).
L’esperienza più volte citata della prima classe di mio figlio maggiore ha lasciato una notevole eredità di
relazioni, anche se poi alcuni bambini sono partiti, insieme alle loro famiglie, e altri ne sono arrivati.
Quell’esperienza ci ha insegnato a focalizzare l’attenzione sugli elementi comuni (principalmente la dimensione
della genitorialità, il progetto educativo dei nostri figli), piuttosto che sulle eventuali differenze (di nazionalità,
religione, estrazione sociale, etc.). Oggi che i nostri figli stanno finendo la quinta, siamo ancora tutti in buoni
rapporti, che in molti casi proseguono al di fuori della scuola. Risulta chiaro che la scuola, gli insegnanti hanno
una fondamentale responsabilità nel determinare la coesione di un gruppo di genitori. (Padre italiano n. 2 di
alunni scuola elementare).
Il ruolo della scuola e principalmente delle insegnanti è di fondamentale importanza se si
intende favorire una reciproca conoscenza tra i genitori di diversa nazionalità e costruire,
quindi, sviluppare un clima di dialogo e di ascolto reciproco tra le tante realtà culturali che
attualmente vivono insieme in diversi contesti scolastici. La maestra della Di Donato è
consapevole di tutto ciò e della funzione mediativa che gli insegnanti possono rivestire nei
confronti dei genitori italiani preoccupati che la presenza di alunni stranieri possa rallentare la
didattica, invece di considerare tale condizione come una risorsa. Nel rapporto disteso che ha
con i genitori stranieri invece la maestra nota, rispetto al passato, una maggiore disponibilità e
fiducia nei confronti degli insegnanti e in generale della scuola. Anche tutte le altre maestre
delle elementari descrivono assai positivamente il rapporto con i genitori degli alunni. Su
questo aspetto convergono anche le professore delle medie che descrivono positivamente il
senso di rispetto che soprattutto i genitori del subcontinente indiano hanno nei confronti delle
insegnanti. La buona relazione con i genitori stranieri è confermata anche dalla Dirigente
Scolastica che nel descrivere l’attuale condizione riporta, tra l’orgoglio e la contentezza, come
una di loro fa parte del Consiglio d’Istituto.
Anche con i genitori cerco di mediare specie con i genitori italiani che hanno paura che la presenza di bambini
stranieri in classe possa rallentare la didattica. In fondo molti lo sanno che questa presenza è un valore aggiunto
che non toglie nulla semmai aggiunge appunto, ma non per tutti è così. C’è da dire, poi, che la mia classe è il
risultato dell’unione di due classi, una delle quali si è aggiunta quest’anno. Quindi i genitori mi stanno
conoscendo quest’anno. Con i genitori stranieri c’è un rapporto molto più disteso: loro si affidano molto, hanno
un atteggiamento fiducioso e positivo nei confronti della scuola e dell’insegnante. (Insegnante n. 1 di scuola
elementare).
Favoloso. Buono. Fossero tutti così. È positivo. C’è rispetto della figura dell’insegnante soprattutto tra i genitori
del sub continente indiano (Bangladesh, Filippine, India) che per esempio hanno un forte senso di devozione nei
confronti della figura dell’insegnante. Questi genitori vedono la scuola come una grande opportunità per i propri
figli. Danno molta importanza allo studio e il rispetto dell’insegnate è fondamentale per il raggiungimento di
questo obiettivo. I genitori cinesi vengono meno. Quando vengono però i rapporti sono buoni. Sono rispettosi.
Questo dipende dal fatto che lavorano molto e per questo li vediamo di meno. Ma sono sempre attenti.
(Professoressa n. 1 di scuola media).
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Il rapporto con i genitori è positivo con i classici problemi di tutte le scuole. Anzi lo devo dire “Li devo
ringraziare”. Attualmente un genitore straniero fa parte del Consiglio di Istituto. (Dirigente scolastica Istituto
Comprensivo).
È un quadro tutto sommato positivo quello che emerge dalle famiglie straniere quando
sono invitate a descrivere i rapporti dei propri figli con gli insegnanti, anche se non mancano
relazioni conflittuali o problematiche. Le famiglie bengalesi sembrano le più soddisfatte di
questa relazione, così come le famiglie filippine. Complessivamente sono molte le famiglie
che giudicano tali relazioni molto soddisfacenti e/o buone.
Ha un ottimo rapporto con le insegnanti. Mio figlio è trattato bene. Non ci sono stati problemi. (Madre cinese n.
1 di alunni di scuola materna. Dello stesso tenore le valutazioni di Madre cinese n. 2 di alunno di scuola
elementare, Madre bengalese n. 3 di alunno di scuola media, Padre filippino n. 4 di alunni scuola media e
secondaria superiore).
Rapporti problematici si registrano solo con qualche specifico insegnante o in alcuni casi
quando sono collegati a tratti della personalità del proprio figlio. In generale, anche quando
vengono evidenziate difficoltà nella relazione con gli insegnati il giudizio complessivo che le
famiglie danno delle relazioni che i propri figli instaurano in classe è abbastanza positivo. In
questo contesto è tra le famiglie cinesi che emerge una maggiore sottolineatura delle problematiche connesse alla differenza culturale e ancora una volta è la difficoltà nell’apprendimento della lingua italiana, anche da parte dei propri figli, ad impedire il superamento degli
ostacoli o delle incomprensioni che si generano nella relazione.
I miei figli hanno un buon rapporto con i docenti della scuola. Il più grande è timido, non parla molto neanche a
casa, quindi è privo di comunicazione con i docenti e non aveva buoni risultati a scuola. Invece il secondo e il
terzo sono più aperti. Piacciono ai docenti. Per il motivo della differenza culturale anche se i miei figli hanno un
buon rapporto con i docenti, non è che con questi hanno rapporti stretti. (Famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola
materna, elementare e media).
I genitori italiani e con loro il corpo docente definiscono buoni se non ottimi i rapporti
degli alunni con gli insegnanti. Questi sono basati sul rispetto e sull’ascolto ma soprattutto
sulla consapevolezza che in contesti multiculturali la variabile fondamentale su cui contare è
il tempo; il dare tempo di cui hanno bisogno agli alunni nel conoscere e comprendere, dare
loro la sicurezza che per loro c’è un punto di riferimento stabile che li ascolta e li aspetta. In
questo contesto, come sottolinea il genitore italiano, la continuità è l’altra variabile
fondamentale affinché il percorso di apprendimento (per gli alunni stranieri soprattutto quello
linguistico) possa maturarsi.
I miei figli si sono legati agli insegnanti che hanno saputo offrire un’idea di sicurezza e di continuità. Ma hanno
dovuto affrontare anche molti traumi dovuti ai continui spostamenti, cambi di ruolo, etc. Credo che questo sia
uno dei problemi maggiori della scuola pubblica italiana, il prevalere dei meccanismi burocratici sull’esigenza di
continuità. In un contesto come l’Esquilino ciò risulta ancora più dannoso, perché i bambini di origine straniera,
magari con un percorso di apprendimento linguistico ancora a metà, hanno ancora più bisogno di punti di
riferimento emotivi all’interno della scuola. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
Rapporti alunni-insegnanti sono assolutamente gioiosi. I miei si stanno liberando piano piano delle
sovrastrutture. Sanno di essere ascoltati, sanno che io mi fermo, do loro tutto il tempo di cui hanno bisogno, li
aspetto e mi soffermo sulle cose più volte se è necessario. (Maestra n. 1 di scuola elementare).
Il punto di vista delle maggior parte delle famiglie straniere sul rapporto tra i propri figli e i
compagni di classe è tendenzialmente molto buono. Sono in tante ad evidenziare quanto sia
importante che la relazione instaurata in classe dai propri figli vada oltre la ristretta cerchia di
amici della medesima nazionalità e che questi sappiano confrontarsi e convivere con chi
200
proviene da differenti culture. Sono contenti che i propri figli si incontrino per giocare o stare
insieme anche fuori scuola: in sostanza che tra i bambini nasca un’amicizia.
Molto buoni anche perché i bambini sono piccoli, quindi grandi problemi non ce ne sono. Non so quando
diventeranno più grandi se ci saranno problemi. Penso comunque che tutto andrà bene. (Madre cinese n. 1 di
alunni di scuola materna).
Hanno un ottimo rapporto con i compagni e ognuno ha degli amici stretti in classe. Tra gli amici ci sono italiani
e di altre nazionalità. Anche noi siamo contenti che hanno amici di varie nazionalità, a parte che possono parlare
la lingua italiana, hanno anche contatti con altre culture. Gli fa bene, li, accresce mentalmente. (Famiglia cinese
n. 5 di alunni di scuola elementare. Valutazioni simili sono espresse da Madre bengalese n. 3 di alunno di scuola
media, Madre filippina n. 3 di alunni di scuola elementare e secondaria superiore, Madre filippina n. 1 di alunni
di scuola elementare e secondaria superiore, Madre somala, n. 1 di alunno di scuola secondaria superiore).
Sono prevalentemente le famiglie cinesi che evidenziano alcune criticità nelle relazioni dei
propri figli con alcuni compagni o in generale con il gruppo classe. Sono pochi i casi invece
in cui emergono relazioni strutturate solo all’interno della propria comunità di appartenenza,
dipesi prevalentemente dalla poca disponibilità di tempo dei genitori. Quest’ultimi comunque
auspicano per i propri figli relazioni più aperte alle altre nazionalità.
La maggior parte dei compagni di classe hanno un buon rapporto con mio figlio. Ma con certi ragazzi mio figlio
fa tanta difficoltà a stare insieme. (Padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e media).
Mio figlio ha un buon rapporto con i compagni. Ogni tanto si litigano tra di loro ma sono litigi tra bambini. Non
sono un problema serio. Mio figlio quando esce dalla scuola torna sempre a casa soprattutto perché io non ho
tempo, altrimenti lo porterei anche a casa di qualche compagno di classe. Ma quando ci sono le feste siamo
sempre insieme e partecipiamo insieme alle attività. (Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Il più grande ha un rapporto così e così. A lui non piace parlare e non ha tanti amici a scuola e neanche nella vita.
Il secondo e il terzo sono più disponibili e hanno più facilità ad avere amicizia con i compagni. (Famiglia cinese
n. 4 di alunni di scuola materna, elementare e media).
Hanno un buon rapporto con tutti soprattutto con i ragazzi cinesi. Penso che debbano stare di più con i ragazzi
italiani. Così si migliora la loro lingua italiana. (Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare).
Ha sempre avuto buoni rapporti con i suoi compagni di classe, sia italiani che di altre nazionalità. Con le
femmine ha pochi rapporti tranne con una figlia di una mia cara amica. Anche in classe preferisce avere come
compagno di classe un maschio piuttosto che una femmina. Così come ai compleanni vorrebbe invitare solo i
compagni. Poi però quando le compagne lo invitano lui ci va. Io gli dico che nella vita non ci si deve arrendere
mai. Alla fine ha capito. (Madre iraniana n. 1 di alunno di scuola media).
Anche per le famiglie italiane e per il corpo docente le relazioni tra gli alunni di diversa
nazionalità sono positive e presentano i classici problemi che si strutturano di solito a
quell’età tra i ragazzi/e. Le maestre delle elementari concordano sul fatto che attualmente la
maggior parte degli alunni all’interno della scuola vivono una buona relazione, dipesa anche
dalla continua ricerca didattica di sempre nuove strategie volte all’inserimento e all’integrazione, basata sulla cooperazione. Le professoresse della scuola media sostengono che gli
alunni hanno appreso una buona capacità di assorbire l’impatto delle differenze, mettendo a
disposizione dei nuovi arrivati tutta la loro competenza e comprensione, maturata nelle
difficoltà provate di persona nell’affrontare anch’essi ambienti sconosciuti. Assai significativa
ci sembra la descrizione che un genitore italiano fa della scuola Di Donato, in grado,
nonostante le sue difficoltà, di generare straordinarie esperienze di convivenza che a volte per
gli stessi alunni diventano complesse a livello psicologico, quando sopraggiungono, ai nuovi
arrivi, anche inevitabili separazioni affettive dipese dai diversi progetti migratori delle
famiglie straniere. In generale, comunque, è con una semplice e usuale espressione che viene
definita da molti la convivenza e il grado di integrazione che gli alunni di diversa nazionalità
201
vivono all’interno della scuola Di Donato: compagni di classe. Così si definiscono gli alunni
tra loro e così vengono definiti da genitori e docenti.
Hanno entrambi ottimi rapporti con i loro compagni. La forza della scuola Di Donato, con tutti i problemi già
accennati, è proprio nell’offrire ai ragazzi una straordinaria esperienza di convivenza in un’età in cui tutto questo
può diventare modello e patrimonio per la vita. Grazie al lavoro dell’Associazione Genitori, che gestisce gli
spazi della scuola in orario extra-scolastico, i ragazzi hanno la possibilità di stare insieme anche fuori dalla
classe, superando le eventuali difficoltà connesse alle dinamiche dell’invito a casa, che non sono sempre
automatiche, specialmente in contesto di migrazione. Una questione però la vorrei sollevare. Spesso si parla
della necessità di fornire supporto alla classe per i nuovi arrivi; è naturalmente fondamentale, perché ci possono
essere vari aspetti che richiedono cure particolari: linguistiche, emotivo-relazionali, etc. Tuttavia non si pensa
mai al supporto di cui la classe avrebbe bisogno al momento delle partenze. In questo particolare contesto che
caratterizza in qualche modo la Di Donato, ho visto molti bambini arrivare, legarsi ai miei figli e agli altri
ragazzi della classe, diventare una tessera di quel mosaico sempre in equilibrio precario che è una classe, e poi
sparire, al mutare del progetto migratorio familiare. Questo sarà un problema per loro, che affronteranno nella
loro nuova destinazione, ma è anche un problema per quelli che restano. (Padre Italiano n. 2 di alunni scuola
elementare).
Ho dovuto ricucire rapporti competitivi che erano molto frequenti tra i bambini della classe che ho assorbito
Condividevano molto poco, primeggiavano l’uno sull’altro, colpevolizzavano l’altro. Adesso cooperano molto,
sono attenti, si preoccupano dei compagni. Io sto lavorando molto con i gruppi di studio: abituo i bambini a
studiare insieme in piccoli gruppi e questo contesto gruppale crea dinamiche nuove e belle di attenzione e cura
per l’altro. (Maestra n. 1 di scuola elementare).
Come tutti i ragazzini. Una volta vanno d’accordo una volta litigano. Normali. Non abbiamo avuto casi eclatanti.
Anzi quello che ho notato è che quando arriva qualche ragazzo con grandi difficoltà, per esempio da una casa
famiglia, gli alunni riescono a superare le difficoltà, poiché hanno strutturato una buona capacità di assorbire
l’impatto delle differenze. Su questo ambito hanno sviluppato una competenza molta alta. Un senso di
comprensione che è straordinario. Forse perché anche loro all’inizio hanno avuto difficoltà e quindi si rendono
conto di cosa significa arrivare in un ambiente sconosciuto. Anni fa abbiamo avuto in classe un ragazzo
marocchino che non era mai stato a scuola e fu trovato sulla strada dalla polizia. In quel caso anche le ragazze
mussulmane furono di una straordinaria tolleranza di fronte ad un ragazzo veramente difficile. (Professoressa n.
2 di scuola media).
Problemi non ce ne sono. Gli altri bambini sono compagni di classe. Non dicono che sono stranieri, ma
compagni di classe. C’è un’altra percezione del vivere insieme. I bambini non hanno le sovrastrutture degli
adulti, dei genitori. Vivono in maniera positiva la scuola, almeno sino alla terza media. (Dirigente Scolastica).
In genere buoni, all’arrivo può dipendere dal carattere e dal vissuto del bambino, se sa la lingua… ma poi
comunque si diventa compagni di classe e spesso ci si prende cura l’uno dell’altro in un’atmosfera di solidarietà
e vicinanza che supera qualsiasi altro aggettivo. (Mediatrice Italiana di lingua cinese).
Per comprendere meglio il punto di vista delle famiglie straniere sul rapporto con la scuola
pubblica italiana ed in particolare alcuni aspetti relativi ad eventuali difficoltà nello studio a
casa, si è cercato di indagare chi in questo ambito prestasse il proprio aiuto nello svolgimento
dei compiti. Delle famiglie intervistate solo tre hanno dichiarato di avere difficoltà nell’aiutare
e seguire i propri figli a casa. Nelle risposte si fa chiaro riferimento alla necessità e
all’importanza di usufruire di un servizio di doposcuola, di cui comunque almeno una
famiglia sembra aver già usufruito.
Non c’è nessuno che lo aiuti. Spero che la scuola offra un servizio anche di questo genere. (Padre cinese n. 3 di
alunni di scuola elementare e media, famiglia cinese n. 4 di alunni scuola materna, elementare e media, madre
bengalese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Adesso non hanno quasi niente compiti a casa, comunque saremo noi ad aiutarli. Ho sentito dire che a scuola c’e
il doposcuola che aiuta i bambini a fare i compiti, è pure una buona idea. (Madre cinese n. 6 di alunni scuola
materna ed elementare).
202
Il più delle volte l’aiuto nello svolgimento dei compiti a casa viene dato dalle stesse
famiglie. Questo compito viene spesso svolto dai padri, a volte dai fratelli o sorelle più grandi.
Non manca l’aiuto di amici italiani o di un supporto di un’insegnante di sostegno, dove
richiesto.
Sì ha qualcuno che lo aiuta. Suo fratello maggiore che fa il 1° liceo scientifico al G. Galilei. (Madre filippina n. 1
di alunni di scuola elementare e secondaria superiore. Risposte simili da padre indiano n. 1 di alunno di scuola
elementare, famiglia cinese n. 5 di alunni di scuola elementare).
Alle elementari l’ho aiutato sempre io. In italiano ha problemi anche perché avevo e ho problemi anche io.
Andavo sempre a chiedere alle insegnanti se secondo loro capiva le lezioni e come andava a scuola. Molto siamo
stati aiutati da altri genitori italiani che si mettevano li ad aiutarlo insieme ai propri figli. Alle medie quando ha
avuto problemi ci hanno aiutato di nuovo amici italiani, questa volta su sua richiesta (matematica) perché si è
ricordato che da questo aiuto ha avuto giovamento. (Madre iraniana n. 1 di alunno scuola media).
Riceve aiuto da me sino alle medie. Dal 2008 ha un operatore domiciliare di una cooperativa per 4 ore
settimanali offerto dal Comune. (Madre somala n. 1 di alunno di scuola secondaria superiore).
Spesso l’aiuto dei genitori nel seguire lo svolgimento dei compiti a casa dei propri figli si
scontra con il poco tempo a disposizione e con il fatto che questo ruolo a volte diventa
gravoso e assai impegnativo. I genitori sembrano comunque molto presenti e a volte si
alternano in questo loro impegno.
Sì lo aiuto io. Delle volte se non capisco l’argomento consulto un dizionario. (Madre filippina n. 3 di alunni di
scuola elementare e secondaria superiore. Analogamente padre filippino n. 4 di alunni di scuola media e secondaria superiore, madre bengalese n. 3 di alunno di scuola media, madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Il genitore italiano e Presidente dell’Associazione Genitori Scuola Di Donato a tale
proposito sostiene che il problema dell’impegno lavorativo è trasversale a tutte le famiglie,
straniere e italiane, ed è proprio per questo che l’associazione ha attivato un servizio di
doposcuola, purtroppo non sufficiente a coprire tutte le necessità. Alle elementari, come
sostiene un’insegnante del plesso, quelli meno seguiti sono proprio gli alunni italiani.
L’aspetto importante è che gli alunni non abbiano paura di sbagliare e che su questi errori
deve basarsi la spiegazione in cui non si deve mai dare nulla per scontato, soprattutto in un
contesto multiculturale e multilinguistico. Alle medie da parte degli alunni si registra una
maggiore autonomia, mentre in generale, come sostiene la dirigente scolastica, i genitori una
volta avvisati su eventuali difficoltà scolastiche dei figli intervengono immediatamente.
L’Associazione ha attivato un servizio di doposcuola gratuito, che copre alcune delle esigenze che via, via si
sono presentate, ma con un numero limitato di alunni. Ci sarebbe ancora molto da fare sotto questo particolare
aspetto. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
I bambini non sono molto seguiti nei compiti, specie quelli italiani. Quindi spesso i bambini fanno i compiti da
soli e spesso sbagliano. Ma io lavoro molto a partire dall’errore. E dall’errore che parte la spiegazione. E così i
bambini non hanno paura di sbagliare: i miei si sentono tranquilli di dire che non hanno capito e sono tranquilli
anche di dire che la maestra non ha spiegato bene. (Maestra n. 1 di scuola elementare).
Dipende da vari fattori, lavoro, tempo, lingua, competenze, se necessario cercano anche aiuto privato e
comunque la scuola, in orario extra scolastico, grazie all’associazione genitori offre sostegno linguistico, per i
compiti e per il gioco. (Mediatrice italiana di lingua cinese, dello stesso parere professoressa n. 2 di scuola
secondaria e dirigente scolastica).
Nel tentativo di indagare ancora più a fondo le eventuali problematiche scolastiche degli
alunni di nazionalità non italiana si è cercato di comprendere, nell’eventualità fossero stati
presenti, quali sono considerati per le famiglie straniere dei veri e propri incidenti di percorso
203
scolastico. Sotto questo aspetto le famiglie intervistate non menzionano particolari situazioni
di grave disagio, sia di tipo cognitivo, che relazionale.
Non si sono verificati problemi o incidenti di questo genere. I ragazzi cinesi sono riservati, quindi, non fanno
quasi mai le cose che superano i limiti a scuola. (Padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e media, anche
madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Tale situazione sembra confermarsi anche nei casi in cui alcuni genitori riportano fatti o
classici conflitti accaduti tra i compagni di classe ma, soprattutto difficoltà di inserimento nel
gruppo classe, il più delle volte legato al problema della scarsa conoscenza della lingua. Da
quasi tutte le risposte emerge che in generale i casi di difficoltà cognitiva o relazionale
vengono comunque gestiti e presi in carico dalla scuola, molto spesso da insegnanti di buona
volontà e da genitori e operatori esterni che si mettono a disposizione della scuola per
superare insieme le varie problematiche che man mano si generano.
Quasi no, perché i miei figli sono tranquilli. Il più grande quando faceva la scuola materna una volta ha dato un
cazzotto ad un altro bambino. Quando ho chiesto all’insegnante questa mi ha detto che sicuramente non è stata
colpa sua ma a provocarlo è stato l’altro bambino. Lui non ha mai avuto problemi con i compagni. Il più grande
non studia bene, non riesce a esprimersi bene. La seconda e il terzo studiano bene. Una volta la seconda ha
scritto un tema di sei pagine da sola e l’insegnante non credeva che l’avesse fatto da sola. Comunque ha preso
otto e mezzo. (Famiglia cinese n. 4 di alunni scuola materna, elementare e media).
Quasi mai. Anni fa c’era per il problema della lingua italiana, non riuscivano a seguire lo studio, ma pian piano
hanno fatto progressi e i maestri dicono che sono migliorati molto. Il mio secondo figlio ha avuto difficoltà
quando stava alla scuola materna e la prima e seconda elementare, non riusciva a integrarsi, adesso sta alla terza
elementare, la situazione è migliorata molto, riesce a rispondere alle domande e affrontare i compiti
normalmente. (Famiglia cinese n. 5 di alunni di scuola elementare).
No, relazionali no. Anche cognitivi no. Ad eccezione con una professoressa del figlio che ora frequenta le medie:
non capisce bene quando parla; mio figlio dice che non spiega bene la sua materia. (Padre filippino n. 4 di alunni
scuola media e secondaria superiore).
A tale proposito sono assai significative le considerazioni del genitore italiano e delle
insegnanti delle elementari che pongono l’accento prevalentemente sui problemi relazionali:
questi sono dipesi prevalentemente dalla scarsa conoscenza della lingua e riguardano
soprattutto i neo arrivati che hanno bisogno di una adeguata rete di accoglienza e di
protezione, come anche dell’aiuto del gruppo classe che insieme all’insegnante sia in grado di
coinvolgere gli stessi alunni a prendersi cura del nuovo compagno di classe appena arrivato.
Di fronte a tale dimensione le insegnanti delle medie sostengono che le il corpo docente e le
classi si trovano spesso ad applicare la massima flessibilità e continui aggiustamenti di fronte
ai nuovi arrivati. Per far questo è necessario che la stessa classe abbia acquisito una propria
capacità e una propria competenza di adattamento.
Non per i miei figli. Ho vissuto esperienze di compagni dei miei figli, appartenenti alla categoria dei cosiddetti
neoarrivati, che hanno avuto problemi di inserimento e grandi difficoltà relazionali sia con i maestri che con i
compagni, a causa della mancanza di una rete di accoglienza e protezione adeguata. La buona volontà di alcune
figure è stata in grado di aiutarli a superare mesi molto difficili, ma è chiaro che situazioni così delicate non
possono essere delegate agli sforzi sovrumani di un maestro o una maestra che deve pensare anche a molte altre
cose per l’intera classe. Il supporto deve essere strutturato. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
Incidenti di tipo relazionale riguardano l’atteggiamento a volte troppo protettivo che si ha nei confronti dei
bambini stranieri che all’inizio hanno bisogno di più attenzioni da parte di noi maestre. Questo, a volte, provoca
gelosie negli altri bambini. Allora bisogna saper spiegare bene a tutti i bambini che l’attenzione maggiore rivolta
in un periodo ad un bambino ha un senso, un significato, un valore e non vuol dire che la maestra abbandona tutti
gli altri. Coinvolgere il gruppo classe a prendersi cura del bambino appena arrivato può aiutare. (Maestra n. 1 di
scuola elementare. Di analogo parere professoressa n. 1 di scuola media e dirigente scolastica).
204
5.6 Partecipazione e domande delle famiglie
Sul tema della partecipazione si è cercato di far luce sulle valutazioni e, in particolare, sulle
modalità con le quali le famiglie straniere partecipino alle attività proposte dalla scuola o a
quelle proposte da associazioni o progetti (a volte in collegamento con la scuola stessa). In
questo secondo caso si è inteso evidenziare in che modo le famiglie percepiscono le attività
proposte ai loro figli in orario extrascolastico e durante il loro tempo libero.
La relazione scuola-famiglia non passa solo attraverso il materiale tradotto o la presenza di
un mediatore, ma anche attraverso la partecipazione delle famiglie e degli alunni alle iniziative promosse dalla scuola stessa.
Le famiglie cinesi e quelle filippine sembrano dare molta importanza ai momenti di
condivisione e partecipazione alle diverse attività promosse dalle singole insegnanti o dalla
scuola. Queste vengono lette anche come ulteriori opportunità per dialogare con gli insegnanti
sull’andamento scolastico dei propri figli. In diversi casi, però, sottolineano che la loro
disponibilità alla partecipazione viene ridotta da impegni lavorativi. La partecipazione delle
famiglie cinesi, inoltre, sembra diminuire con il crescere dell’età dei figli; questi, comunque
vengono invitati e sostenuti dai genitori a prendervi parte.
Le occasioni di incontro sono diverse e, oltre alle tipiche festività italiane, i compleanni
sembrano un valido momento di incontro per tutti. Come attività extrascolastiche (danza,
basket, calcetto etc.) seguite dai figli e realizzate all’interno degli spazi dell’istituto, alcune
famiglie menzionano quelle promosse dal Polo Intermundia e dall’Associazione Genitori Di
Donato.
Sì. Vado spesso agli incontri, e alle feste organizzate dalla scuola poiché tengo molto a capire la situazione
dell’educazione di mio figlio e ritengo che sia importante partecipare a tali incontri insieme ai ragazzi. (Madre
cinese n. 1 di alunni di scuola materna).
Partecipo sempre agli incontri tra genitori e insegnanti. Poi ci sono le feste di Natale etc. Il motivo principale è
che anche mio figlio vi prende parte, quindi, ci vado spesso. Ho sentito che l’Associazione Genitori Di Donato
ha organizzato diversi incontri e feste ma essendo troppo impegnata con il lavoro non ci sono quasi mai andata.
Sono dell’idea che è un bene che mio figlio partecipi a tutte le feste di compleanno dei compagni e a quelle
organizzate dalla scuola. (Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare. Anche Famiglia cinese n. 4 di alunni
di scuola materna, elementare e media, Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare).
Sì, a progetti sportivi (basket) e alle attività del Polo Intermundia, nel 2001 anche a quello del calcetto. Ho
partecipato a quasi tutti i compleanni dei compagni di classe dei miei figli, alle attività di danza, organizzate
presso la ludoteca da parte dell’Associazione Genitori. Da 7 anni collaboro anche alle attività di basket che si
tengono nella palestra e nei cortili della scuola. (Padre filippino n. 4 di alunni di scuola media e secondaria
superiore. Dello stesso tenore le dichiarazioni di madre filippina n. 3 di alunni di scuola elementare e secondaria
superiore).
Le famiglie bengalesi sono quelle che presentano le maggiori difficoltà nel partecipare alle
diverse attività proposte per mancanza di tempo.
Per la madre italiana, presidente del Consiglio d’Istituto è attraverso una migliore
comunicazione tra scuola e famiglie che si favorisce la partecipazione di queste. A tale
proposito il rappresentante dell’Associazione Genitori ritiene che uno dei compiti principali
degli insegnanti sia quello di lanciare richiami di ogni tipo per chiamare i genitori a scuola.
Bisognerebbe spingere di più per coinvolgere i genitori, questo non è un problema della scuola ma in generale,
così come ai consigli di classe o alle stesse elezioni dei consigli. In molti casi la presenza dei genitori è ridotta,
sia da parte dei genitori italiani che non. La partecipazione è ridotta. Si è fatto molto per cercare di coinvolgere i
genitori ma spesso questo accade soprattutto in casi di emergenza. (Madre italiana n. 1 di alunni scuola
elementare e media. Analogamente padre italiano n. 2 di alunni di scuola elementare).
205
Assai significativo è il percorso della madre iraniana che dentro l’esperienza di partecipazione volontaria ad un progetto promosso dalla scuola scopre la passione e l’interesse
per la mediazione culturale, trovando in seguito l’occasione per svolgerla come vera e propria
attività lavorativa.
Alla Di Donato invece già dopo un anno (alla prima elementare) fui subito coinvolta a partecipare al progetto del
Polo Intermundia come volontaria: si andava nelle classi a raccontare una favola del proprio paese. Li ho
conosciuto altre mamme con cui da allora ho stretto una grande amicizia. Da quella esperienza è nata in me la
passione per fare la mediatrice culturale che svolgo tuttora. (Madre iraniana n. 1 di alunno scuola media).
Il ventaglio delle offerte che provengono dalla scuola o dalle associazioni della Di Donato
è assai vasto e tra le tante merita di essere menzionata la proposta del Comune di Roma
(Assessorato alle Politiche Scolastiche) che dal 2003 al 2008 permise di istituire presso la
scuola la sede del Polo Intermundia I Municipio, ossia un centro di educazione interculturale
dove:
Si potevano organizzare tutte le attività che in esso confluivano su richiesta o proposta di diverse associazioni:
incontri sulla migrazione italiana, festa della comunità del Burundi, incontri di calcio, etc. Punto di riferimento
dove ognuno poteva chiedere di organizzare qualcosa all’interno di questo spazio. (Madre italiana n. 1 di alunni
scuola elementare e media).
La descrizione di alcune delle attività gestite del Polo Intermundia permettono di
ricostruire alcune delle difficoltà che l’Associazione Genitori ha avuto nel coinvolgimento
attivo dei genitori cinesi, ma allo stesso modo anche di comprendere quanto in questi anni sia
cambiato l’atteggiamento delle comunità, grazie soprattutto alla partecipazione delle seconde
generazioni.
Il collegamento con i genitori cinesi è stato il più difficile. Il contatto maggiore siamo riusciti ad averlo
attraverso la disponibilità all’utilizzo dei seminterrati tre anni fa. L’ingresso della prima scuola di cinese, Scuola
di Lingua e Cultura Cinese Zhong Hua ha permesso una reciproca conoscenza e anche di collaborare a iniziative
sia all’interno della scuola, ma anche fuori, alla festa di Intermundia. Contatto forte con un gruppo. Ora le scuole
sono due poiché è arrivata qui anche quella che prima era alla scuola Baccarini. Il problema di base delle
famiglie cinesi è che la maggior parte di loro non abitano nel rione, poi lavorano molto e gli orari di lavoro non
permettono di partecipare. Alcune mamme sono venute ai corsi di italiano ma probabilmente un po’ per impegni
di lavoro, poi per il ritmo di apprendimento della lingua italiana che per i cinesi è diverso: forse avevano bisogno
di un altro tipo di impostazione del corso. Precedentemente, prima della nascita dell’Associazione Genitori, delle
associazioni sportive che ci sono ora, dopo il torneo di calcetto, nel primo progetto della scuola Il Mondo in
Cortile nel 2001/2002 c’è stata la danza organizzata dall’Associazione Donne Cinesi d’Oltremare. Il contatto
c’era e c’è sempre stata la disponibilità, sempre su chiamata. Noi stiamo organizzando questo, potreste fare
qualcosa? La risposta è sempre sì. Mentre a coinvolgerli nelle iniziative interne, organizzative, nella segreteria a
fare insieme qualcosa è stato difficile. Loro vengono sempre. Ma non è facile riuscire a coinvolgerli in attività di
segreteria, a fare cose insieme (ore di volontariato). Ora c’è Jan un ragazzo che ha organizzato una squadra
cinese di basket di ragazzi, adolescenti. La squadra è nata proprio per non farli stare senza fare niente. Ora è
accolta dal Associazione Sportiva GS Aquilone. E attraverso loro si sono iscritti e possono partecipare al
campionato. Senza la G.S. non sarebbe stato facile iscriversi avrebbero avuto molte difficoltà non conoscendo a
fondo questo ambito. Sempre Jan in questo periodo sta organizzando un laboratorio di danza, di Hip Pop,
insieme ad una delle tante associazioni che gestiscono le attività in piazza, appunto, nel Progetto Tutti in Piazza.
Si vedono le trasformazioni frutto della seconda generazioni dei migranti. Lo stesso hanno fatto alcuni ragazzi
filippini che stanno utilizzando gli spazi della scuola per organizzare uno spettacolo di danza per raccogliere
fondi per un centro di disabili nelle Filippine. La prima generazione della comunità cinese partecipa su chiamata;
non si riesce a farli partecipare diversamente. Per loro la cosa importante è andare a scuola e poi avere la scuola
cinese. È difficile pensare alla scuola come luogo di incontro come la nostra. Non lo è quasi mai. Questa scuola è
molto particolare: a Roma è difficile trovare scuole aperte, con tante attività, sino a oltre le ore 20. Genitori che
si incontrano, che organizzano attività. È difficile pensare ad organizzare, piuttosto che usufruire di qualcosa.
Non credo che si possa parlare di modello, se non di un modello relativo. C’è un’aspettativa da parte dei genitori
di avere una sorta di servizio, non di farlo, di organizzarlo. Siamo abituati ad usufruire di qualcosa, piuttosto che
organizzarla. Per tutti, italiani e stranieri, ci sono problemi di orario di lavoro e poco tempo a disposizione. È
chiaro che alla fine non è facile. (Madre italiana n. 1 di alunni scuola elementare e media).
206
La Di Donato si configura come un contesto assai ricco di sperimentazioni e di proposte
progettuali integrate in cui, da una parte, l’associazionismo, operando dentro o spesso in
raccordo con la scuola stessa, è in grado di fornire una propria capacità di riflessione su
quanto riesce a mettere in campo in un contesto multiculturale, peraltro supportando ogni
azione attraverso un preciso approccio metodologico basato sul coinvolgimento e la
partecipazione attiva dei genitori (ma anche degli alunni e degli insegnanti); dall’altra, la
scuola stessa è in grado di trasformare gran parte delle attività didattiche in un approccio
pedagogico che basa le sue riflessioni sulla convinzione delle necessità di attivare insieme gli
alunni una maggiore comunicazione interna ed esterna, al fine potenziare nel complessivo
contesto scolastico la reciproca conoscenza, il rafforzamento della coesione interna al gruppo
classe, il senso di appartenenza alla scuola e al territorio. Ogni proposta progettuale sembra
tendere verso un unico assunto di base: l’integrazione passa attraverso le relazioni e
soprattutto attraverso l’azione, il fare insieme.
Abbiamo attivato tanti progetti. Abbiamo lavorato molto sull’aspetto progettuale e sul linguaggio non verbale,
sul potenziare l’espressività sotto diversi punti di vista e attraverso l’espressione artistica, la drammatizzazione e
l’esperienza diretta. Facciamo tante uscite per fargli conoscere la città, tante cose. Noi creiamo progetti anche in
rapporto agli insegnanti. Insieme ad altri insegnanti abbiamo creato una redazione multietnica (progetto
biennale) attraverso le classi aperte abbiamo utilizzato il laboratorio di informatica; era anche una esercitazione
di scrittura. I ragazzi curavano anche l’impostazione grafica del giornale. Poi ci sono stati progetti sul riciclo e la
manipolazione. Lo scorso anno abbiamo avviato un lavoro di riqualificazione e riprogettazione estetica del
portico della scuola e recupero di vecchie carte geografiche trovate nei seminterrati della scuola. Le abbiamo
recuperate e restaurate. È un discorso simbolico sull’incontro tra mondi diversi. E questo aumenta anche il senso
di appartenenza alla scuola stessa. Abbiamo fatto anche un’esperienza di scrittura collettiva per un musical con il
prof. Monticelli. L’integrazione passa attraverso l’azione. Un’intera classe ha rielaborato insieme un testo
musicale che poi è stato rappresentato dagli alunni. I ragazzi hanno lavorato insieme nella realizzazione dei
costumi, degli allestimenti. Abbiamo verificato e sperimentato che questo è un buon modo per integrare. Questa
passa attraverso l’azione, il fare insieme. Serve a loro per amalgamarsi, per diventare gruppo classe. Soprattutto
all’inizio, quando si formano le classi. (Professoressa n. 2 di scuola media).
Quest’anno la mia classe insieme ad altre sta partecipando a due progetti interculturali: “Dai, raccontamene
un’altra” – un progetto sui racconti, le storie, le fiabe e “I segni dell’arte nel tempo e nello spazio”. Prevedono
ambedue l’intervento di genitori, mediatori, esperti. (Insegnante n. 1 di scuola elementare).
L’istituto sembra avere molta consapevolezza del proprio ruolo all’interno di un contesto
territoriale in continuo mutamento dove è fondamentale attivare processi partecipativi,
considerando sempre le difficoltà di comprensione interculturale in cui si trova ad operare. La
dirigente scolastica nel descrivere le progettualità avviate dall’istituto pone al centro
dell’offerta formativa lo sviluppo della competenza comunicativa degli alunni, sia attraverso
il potenziamento della conoscenza della lingua italiana, sia attraverso tutti gli strumenti o
mezzi con cui questa può essere accresciuta (musica, sport, laboratori espressivi, etc.) e
divenire fonte di relazione sociale. Nel contesto in cui si trova ad operare la dirigente
riconosce la fondamentale importanza che ha avuto in esso la partecipazione e il
coinvolgimento dei genitori, in particolar modo dell’Associazione Genitori. È infatti, anche
grazie alla loro presenza e alle loro attività che la scuola sta tornando ad essere frequentata da
un numero maggiore di alunni italiani. Le famiglie di ogni nazionalità piano, piano stanno
capendo che in questo istituto la proposta formativa si basa anche sulle relazioni, sullo
sviluppo di competenze relazionali e che queste da iniziale problema si stanno trasformando
in una risorsa: un proposta pedagogica da valorizzare poiché permetterà in un prossimo futuro
di competere con le necessità professionali di un mondo globalizzato in cui l’accoglienza
reciproca e la relazione sociale divengono ogni giorno la base per costruire processi di nuovi
apprendimenti e sfide sia socio-culturali che economiche.
207
Sono tanti. Il progetto del Ministero della Pubblica Istruzione, ma anche dell’Ufficio Scolastico Regionale Lazio,
dedicato ai cittadini non italiani rivolto alle scuole a rischio e a scuole con alto tasso di alunni stranieri come la
nostra. Noi partecipiamo con nostre proposte progettuali rivolte al personale che poi partecipa al progetto
ottenendo ore in più per corsi di italiano L2 ovviamente rivolto agli alunni che presentano maggiori difficoltà
nell’apprendimento. Poi abbiamo il Progetto Musica, del Ministero dell’Istruzione, che ha finanziato un corso
che ha permesso di costituire il Coro Polifonico Multietnico tenuto dal Prof. Monticelli che insegnava da noi e
che tre anni fa iniziò con un piccolo coro formato dagli alunni delle sue classi. Poi ha anche inserito lezioni di
strumenti musicali, oltre che di canto, ed ora è nata l’Orchestra. Poi ci sono i progetti sportivi come “Tutte le
lingue dello sport”. Verranno attivati anche corsi di nuoto che si fa da soli ma permette a tutti di praticarlo con
poche spese. Verranno coinvolte la quarta e la quinta elementare, così come la terza media. Poi ci sono attività
dedicate al basket con associazioni sportive che coadiuvano tali attività. La scuola, come dicevo prima, prende
tutte le risorse presenti nel Rione e oltre. Come proposta del Comune abbiamo ospitato anche un importante
progetto dell’Assessorato alle Politiche Educative: il Polo Intermundia. Attraverso questo progetto sono state
realizzate diverse attività istituzionali extrascolastiche che si sono riversate con diversi effetti positivi dentro la
stessa scuola. Ora abbiamo il Progetto “Fratelli d’Italia”, il Progetto Aquilone per l’accoglienza alle iscrizioni.
Facciamo tutto ciò che è possibile fare per gli alunni. Il mondo è bello perché è vario. Con le insegnanti e con
tutti coloro che vogliono collaborare il nostro intento è quello di trasformare tutto quello che ci circonda in
qualcosa di utile per gli alunni siano essi italiani che stranieri, affinché possano crescere insieme. Piccoli episodi
di incomprensione del linguaggio o del modo di esprimersi possono accadere, così come scherzi non compresi
come tali. Ma questo accade ovunque ci siano giovani che convivono nello stesso spazio, compresa la scuola. La
collaborazione dei genitori in questi anni e in particolare il lavoro svolto dall’Associazione Genitori è secondo il
mio parere assai positivo. Se in questi anni assistiamo ad un ritorno delle famiglie italiane lo dobbiamo anche a
loro che hanno creduto alla scuola e a tutto quello che hanno attivato o supportato in questi anni dentro di essa. A
noi risulta che sono molti gli alunni che una volta arrivati alle superiori non hanno problemi a superare le
difficoltà che ognuno prova nel cambio di istituto. Dire questo e affermare che alcuni vanno benissimo a scuola
può sembrare assurdo poiché questa affermazione sa di voce nel deserto. Siamo in pochi e, quindi, non escono
quasi mai notizie positive. Anzi. Qualche anno fa la percentuale di alunni stranieri era maggiore. Per noi l’utenza
è tutta uguale: bambini che hanno tutti il diritto allo studio sino ai 16 anni, siano essi italiani che stranieri.
Facciamo il nostro dovere qualunque sia il territorio. Poi non abbiamo obbligo di prendere solo i residenti, ma
tutti coloro che lo chiedono, senza indagare. Non credo siano le scuole che rifiutano gli alunni stranieri. Spesso
accade pure che siano gli stessi genitori stranieri che non iscrivono i propri figli in alcune scuole dove, per
diverse ragioni non si sentono accolti come auspicherebbero. A differenza di quanto si pensi, sono molto attenti e
comunicano tra loro scegliendo le scuole dove altri si sono trovati bene. I genitori italiani che portano i propri
figli qui sanno come è fatto l’intero istituto e ne prendono le parti positive: sanno che i propri figli cresceranno
nel mondo. Non è sempre facile ma si sceglie e questo aiuta a capire come stare insieme agli altri. Poi diviene
naturale stare insieme nella diversità che vuol dire comunicare. Noi eseguiamo un monitoraggio continuo,
mediamo, cerchiamo di capire, facciamo tutto ciò che fanno tutte le altre scuole. Le diversità peraltro sono
ovunque. (Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo).
Tra i genitori stranieri vi sono livelli e forme diverse di partecipazione alla vita della
scuola: si va dai genitori piuttosto informati ma soprattutto presenti e attivi all’interno di essa,
ad altri che utilizzano le diverse occasioni che questa offre per mantenere o rafforzare il
rapporto con gli insegnanti, fino alle signore bengalesi, che per il poco tempo a disposizione
dichiarano di non poter partecipare. Quest’ultime, come abbiamo già visto, probabilmente
hanno maggiori difficoltà con la lingua italiana e di conseguenza sembrano incontrare più
problemi degli altri nel contatto con la scuola.
Analizzando la percezione degli intervistati nei confronti della comunicazione adottata
dalla scuola, constatiamo che diversi genitori affermano di usufruire, sia delle riunioni con gli
insegnanti, sia di altre occasioni che la scuola offre loro, come concreti tentativi di
avvicinamento allo spazio scolastico. Tuttavia rimane ancora complesso riuscire a
comprendere il livello di conoscenza che molte famiglie hanno della realtà scolastica italiana.
Spesso desumere da brevi e poco approfondite risposte alle domande poste rende difficile
qualificare, soprattutto per le famiglie filippine e bengalesi, quanta distanza ancora intercorra
tra queste e le plurime dinamiche comunicative, anche simboliche, che la scuola e gli
insegnanti mettono in atto nel quotidiano rapporto con una utenza così variegata e in continuo
mutamento. A tale proposito è importante interrogarsi sulle modalità della partecipazione dei
genitori al mondo della scuola. Chiedersi, per esempio, quanto i genitori stranieri che vanno ai
208
colloqui con gli insegnanti o partecipano alle varie attività offerte dalla scuola, o degli eventi
creati da altri soggetti: sono parte attiva del processo, oppure semplici testimoni e recettori
passivi del dialogo instaurato attraverso tutte queste forme.
Probabilmente a questo punto è lecito domandarsi se le famiglie si limitano ad ascoltare le
conclusioni degli insegnanti, e durante gli incontri, quando hanno avuto accanto qualcuno che
nella propria lingua riesca a spiegare loro, con parole semplici e comprensibili, ciò che
dovrebbero conoscere della scuola, o meglio ancora cosa vorrebbero conoscere e capire
meglio.
Sulla base di queste considerazioni, è evidente quanto sia importante il tema della qualità
della comunicazione e della relazione insegnanti-genitori e quanto questo processo sia reso
più complesso dalla variabile interculturale e dalla tipologia delle relazioni che la scuola
riesce o meno ad intessere con le famiglie straniere.
Non sono ancora molte le famiglie intervistate che hanno affermato di essere state
informate sulla scuola attraverso materiale esplicativo scritto nella propria lingua o in una
lingua diversa dall’italiano, né al momento dell’iscrizione né al momento dell’inserimento dei
figli. Anche al momento dell’orientamento verso la scuola secondaria di II grado le
informazioni sono state scarse. Dall’analisi sin qui condotta emerge un dato che colpisce e
che dovrebbe far riflettere: la frequente richiesta da parte dei genitori stranieri di un maggiore
coinvolgimento da parte della scuola nei loro confronti. Le esperienze di partecipazione e
coinvolgimento diretto emerse dal vissuto di alcuni genitori stranieri della Di Donato, a tale
proposito ci sembrano assai significative e indicano la disponibilità di questi ad usufruire di
nuove opportunità e di possibili percorsi di integrazione che dovranno essere analizzati più
approfonditamente nelle forme e nei contenuti.
Questo perché la comunicazione con la scuola e i genitori ha messo in evidenza che
l’interesse di questi non sempre sembra sufficiente, da solo, per trasformarsi in concrete
forme di partecipazione, mentre emerge da più parti la necessità di una ulteriore forma di
approccio anche all’accompagnamento o alla facilitazione nel contatto tra mondi attualmente
ancora troppo distanti. Per questo motivo nell’affrontare la complessità dei diversi aspetti
relativi all’interazione della scuola con le famiglie straniere, abbiamo ritenuto fosse
sufficiente ascoltare, anche se approfonditamente, più punti di vista. In questa maniera, ancora
una volta avremmo confermato il divario e lo spazio invisibile che c’è tra la difficoltà di
tradurre a pieno un sentire e un vissuto e chi dall’altra parte reputa di essere in grado o nel
diritto di interpretarlo partendo soltanto dal suo personale punto di vista.
Attraverso l’indagine si è cercato, con l’ausilio dei mediatori culturali (di lingua madre e
debitamente formati), di attivare il più possibile un ascolto attivo che permettesse
all’intervistato di mettersi a suo agio, senza forzarne le risposte e recependo le difficoltà nel
darle come bisogno di un’ulteriore necessità di tempo per la riflessione. Per diventare
competente e non semplicemente adattarsi alle domande poste, infatti, c’è necessità di
interrogarsi a fondo e di tempo per comprendersi. Poi serve il tempo per trovare le parole più
consone per esprimersi.
È solo a questo punto che può essere attivato un dialogo e i diversi punti di vista entrare in
relazione. Attraverso questa rimessa in comunicazione è possibile diminuire la distanza
pedagogica ancora esistente nonostante gli sforzi di tante famiglie e le diverse figure che per
ruoli e funzioni, nonché per esperienze particolarmente significative, contribuiscono ogni
giorno a mantenere aperto un dialogo, seppur complesso. È necessaria la collaborazione di
diversi soggetti: insegnanti, genitori, istituzioni, associazioni, esperti di intercultura affinché il
percorso intrapreso negli anni si consolidi in ulteriori processi comunicativi ancora più
efficaci e produttivi sotto l’aspetto culturale, sociale e prima di tutto relazionale.
Una buona parte delle famigli interviste dà un giudizio positivo della scuola italiana, in
particolare del plesso della Di Donato. L’esperienza maturata rende positivo proprio l’ele-
209
mento che la fa conoscere all’esterno come problematica: la presenza di molti alunni
provenienti da famiglie di diverse nazionalità. È la sua multietnicità che viene ribadita da
molti come elemento positivo. Le risposte inoltre evidenziano quanto e come nel passaparola
quotidiano tra le famiglie straniere questa scuola venga considerata sicura e controllata. In
sostanza ci si fida di essa e di chi vi opera.
Secondo me è buona poiché è una scuola molto internazionale. Mi piace tanto che i miei figli imparino un’altra
cultura ed è bello conoscere altri bambini con nazionalità diverse perché secondo me, dovunque capiti, sai come
stare con la gente. (Madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e secondaria superiore. Dello stesso
tenore le risposte di Madre filippina n. 2 di alunni di scuola materna, Padre filippino n. 4 di alunni di scuola
media e secondaria superiore, Madre bengalese n. 1 di alunno di scuola elementare, Padre indiano n. 1 di alunno
di scuola elementare).
La scuola d’infanzia è buona. Della scuola in generale ho una idea positiva. Il suo aspetto migliore è dato
soprattutto dal coinvolgimento dei singoli insegnanti e nell’insieme ne esce una buona scuola. (Madre somala n.
1 di alunno di scuola secondaria superiore).
Questa scuola mi piace molto, la amo. È la mia vita. I genitori che sono diventati miei amici. Siamo sempre
insieme anche con i nostri figli. Abbiamo fatto un percorso insieme, siamo cresciuti insieme a tutti loro con tutte
le difficoltà. Per noi questa scuola è stata molto importante nella nostra vita. Senza questa scuola e questa
esperienza chi sa cosa ci sarebbe successo?. (Madre iraniana n. 1 di alunno scuola media).
La scuola è buona, personalmente mi piace molto lo stile di questa scuola, i bambini di tutte le nazionalità
giocano insieme, si hanno contatti tra tutte le culture diverse. Questo aiuta molto la loro crescita. E la dirigenza
ha messo a disposizione tanti strumenti per aiutare l’integrazione dei bambini stranieri per esempio: doposcuola,
psicologo e la mediazione culturale, aiutano molto ai bambini stranieri che si trovano in varie difficoltà. La
mensa è migliore, ottima la situazione igienica e il personale si occupa molto del cibo che prendono i bambini
ogni giorno, per cui sono molto tranquillo. (Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare).
Le valutazioni della scuola evocano in diverse famiglie anche un confronto con la scuola
della propria nazione. Alcune, tra cui le famiglie cinesi, mettono in evidenza le diversità ma
anche le carenze della scuola: degli impianti, delle attrezzature, dell’organizzazione e della
disciplina. Dal punto di vista didattico viene criticato in particolar modo la qualità dell’insegnamento della lingua inglese: questo viene giudicato negativo da famiglie di diversa
nazionalità. Inoltre per alcune famiglie nella scuola italiana si studia poco.
In generale va bene, ma la gestione è normale, non c’è di che, non è organizzata benissimo. In Cina la scuola è
gestita in maniera molto organizzata e severa. Qui in Italia le scuole non hanno un’alta produttività. (Madre
cinese n. 1 di alunni di scuola materna. Anche madre bengalese n. 3 di alunno di scuola media e famiglia cinese
n. 4 di alunni di scuola materna, elementare e media).
In generale è buona, i docenti sono bravi. Ma credo che siano troppo vecchi gli impianti e le attrezzature che
usano. C’è un problema: la qualità dell’insegnante di inglese non è affatto buona. Parla un inglese italianizzato.
Penso che la modalità di insegnamento e dell’educazione italiana ha molti vantaggi. È un po’ diverso da quello
cinese. Quella cinese è troppo tradizionale, è pesante. Ma si studia molto. Quella italiana è leggera e punta molto
sulle capacità di riflettere e fare da se. (Madre cinese n. 2 di alunno scuola elementare).
Mio figlio grande segue una scuola privata, il piccolo segue una pubblica. Secondo me la scuola pubblica è
inferiore della privata sulla parte amministrativa e didattica. Ma la scuola pubblica ha il vantaggio che è gratuita.
Nelle scuole pubbliche ci sono tanti insegnanti bravi, ma c’è anche una parte che non ha tanta qualità
nell’educazione. (Padre cinese n. 3 di alunni scuola elementare e media).
I miei figli hanno seguito la stessa scuola, sono buoni i docenti e la scuola. Con i docenti del più grande abbiamo
avuto problemi nella comunicazione, forse perché non avevamo l’esperienza, forse per pregiudizio che avevano
nei confronti degli stranieri. Ma ho un buon rapporto con i docenti del secondo e del terzo figlio. Ci conosciamo
bene. Penso che la scuola italiana ha una maniera educativa troppo sciolta e c’è troppa libertà. I compiti sono
pochissimi. Certo ogni modalità educativa ha i propri vantaggi ma noi vogliamo che i nostri figli studino molto
210
di più. (Famiglia cinese n. 4 di alunni scuola materna, elementare e media. Analoghe considerazioni da parte di
madre filippina n. 3 di alunni di scuola elementare e superiore).
Come sistema scolastico c’e una bella differenza tra l’Italia e la Cina. In Cina si studia molta scienza e cultura, il
contenuto dello studio è ampio. In Italia invece di dare l’importanza proprio sullo studio si da più importanza alla
capacità di fare da se e a quella creativa. Il sistema italiano ha il proprio vantaggio, ma se si studiasse di più
sarebbe proprio ideale, sia per adesso che per il futuro. (Madre cinese n. 6 di alunni scuola materna ed
elementare).
Un giudizio positivo sulla scuola viene dato anche dalle famiglie italiane che comunque
ritengono vada migliorata sotto l’aspetto strutturale e nell’organico; questo sarà completo solo
se sarà in grado di comprendere in maniera più stabile i mediatori, ma anche figure professionali in grado di dare continuità e stabilità ad attività di supporto culturale, ludico ricreativo
e aggregativo. Le insegnanti delle elementari esprimono giudizi positivi riguardo la gestione e
il funzionamento, ma soprattutto la sua capacità e la disponibilità all’accoglienza e la
specifica apertura che la scuola ha maturato in ambito interculturale dove è stato possibile
strutturare una competenza interna in grado di migliorare la capacità di apprendimento,
soprattutto dei bambini stranieri. Questo aspetto, peraltro è confermato anche dalla stessa
dirigente scolastica. Non mancano insegnanti che a tale proposito chiedono maggiori momenti
di analisi e corsi di formazione che permettano una riflessione su quanto realizzato e
soprattutto su quanto ancora c’è da fare e da apprendere.
Scuola molto ricca emotivamente e affettivamente che avrebbe bisogno di più supporti culturali, di migliorie
strutturali e di organico (più insegnanti). Ha bisogno di strutture psico-pedagogiche, sportello e mediatori
istituzionalizzati. Non si può sempre cercare fondi e progetti per trovare mediatori, la loro presenza nella scuola
come questa dovrebbe diventare automatica. (Madre italiana n. 1 di alunni scuola elementare e media,
analogamente maestra di scuola elementare n. 9).
Penso sia una scuola che offre delle grandi opportunità di esperienza e crescita, per via della sua radicata
tradizione di scuola di quartiere, del suo attuale peculiare contesto, dello spazio inusuale e coraggioso offerto
dall’istituzione all’Associazione Genitori, ma che tuttavia regge tutti i suoi pregi su equilibri troppo precari,
legati a qualità e iniziative individuali – che per fortuna non mancano, ma un domani potrebbero mancare – e
non ad una pianificazione strutturale. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare. Dello stesso parere
maestra n. 1 di scuola elementare, dirigente scolastica e mediatrice culturale di lingua cinese).
La Di Donato è una scuola in cammino, una scuola che cerca di fare del proprio meglio con poche risorse sia
strutturali che finanziarie per il carico di lavoro che comunque sostiene. Io sono convinta che in questi anni
siamo cambiati tutti in positivo e quindi siamo sulla strada giusta. Come insegnanti abbiamo pochi momenti di
analisi e sintesi, di riflessione sul fatto e sul da fare, pochi corsi di formazione laboratoriali. (Maestra n. 1 di
scuola elementare).
Secondo le famiglie straniere i cambiamenti che la scuola dovrebbe attuare riguardano
prevalentemente:
1. la qualità dei docenti e della didattica;
2. il servizio di doposcuola;
3. gli impianti, la gestione, nonché la pulizia della stessa scuola.
Secondo alcune famiglie straniere, il miglioramento della qualità dei docenti passa anche
attraverso un miglioramento della comunicazione con le famiglie, una maggiore serietà e
severità nelle promozioni, un maggiore impegno dei docenti nel dare i compiti a casa e una
maggiore attenzione nel seguire gli alunni che presentano difficoltà nell’apprendimento.
Per altri, invece, la scuola dovrebbe attuare una maggiore attenzione ai processi di
apprendimento della lingua italiana degli alunni stranieri. Anche per questo tra le proposte di
cambiamento sostengono la necessità di migliorare e ampliare il servizio di doposcuola dove
poter usufruire anche di mediatori sociali e linguistici.
211
Le preoccupazioni maggiori di altre famiglie, invece, sono concentrate sulle vecchie
strutture della scuola che secondo queste andrebbero riqualificate e messe in sicurezza. Altri
ancora sottolineano la necessità di intensificare la pulizia delle classi o dell’Istituto nel suo
complesso.
La scuola deve essere seria. Si dovrebbero concentrare di più con i bambini che non riescono a seguire le lezioni
o che hanno un problema in qualche materia. Non devono promuovere così. (Madre filippina n. 3 di alunni
scuola elementare e secondaria superiore).
Non tutti i docenti hanno la qualità necessaria. Qualità nel senso della competenza didattica. Spero che tutti i
docenti possano aver una migliore qualità didattica. (Madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna. Dello stesso
parere madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
A dire la verità, non conosco molto bene l’amministrazione della scuola, quindi non so dare suggerimenti.
Secondo me ci deve essere una regola maggiore rispetto l’assenza anche dei docenti. Tempo fa un docente di
mio figlio più grande ha fatto tante assenze e in classe faceva vedere gli alunni solo il film. Per me questo è un
gesto di mancanza di responsabilità. (Famiglia cinese n. 4 di alunni scuola materna, elementare e media).
Spero che la gestione possa migliorare. Vedo che non hanno compiti da fare a casa, se a scuola si studia poco e a
casa non si fa niente, che cosa si studia. Se economicamente sono capaci di rinnovare gli impianti va bene
altrimenti non è che cambia tanto. (Famiglia cinese n. 5 di alunni di scuola elementare).
Secondo me l’organizzazione sullo studio va migliorata. Sebbene che i miei figli sono ancora piccoli e non
devono studiare molto, ma un po’ di scienza di base va aggiunta tipo matematica e l’inglese che favoriranno il
loro futuro. (Madre cinese n. 6 di alunni scuola materna ed elementare).
Negli anni passati ho notato una non buona pianificazione: insegnanti che non c’entravano nulla con la materia
che andavano ad insegnare; poca attenzione nella distribuzione delle classi soprattutto nuove. Di conseguenza
poco equilibrio e classi alcune precarie ed abbandonate a sé e altre per una serie di sole buone coincidenze
avevano insegnanti preparati e con buon lavoro d’équipe. Anche se personalmente non abbiamo riscontrato
grandi problemi nell’inserimento di mio figlio ho osservato che non vi era attenzione mirata e programmata per
gli alunni diversamente abili. Noi abbiamo trovato persone speciali. Negli anni la cosa è migliorata, ma spesso i
genitori si trovavano soli o non informati bene. (Madre somala n. 1 di alunno scuola secondaria superiore).
Rinforzare gli aiuti nei confronti dei bambini immigrati e la comunicazione con i genitori stranieri. I bambini
escono troppo presto dalla scuola, e non studiano a casa, spero che la scuola rinforzi anche le attività del dopo
scuola in modo tale che possano studiare di più. (Padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e media).
In generale credo che servirebbe una maggiore comunicazione da parte della scuola fornendo ove occorre
personale informato e pronto e per gli stranieri, attraverso la traduzione in lingua delle diverse leggi, regole
interne, dei diritti e dei doveri. A volte ci sono parole difficili, c’è troppo burocratese anche nelle iscrizioni, nelle
tasse dovute o dei moduli da riempire. A tal proposito suggerirei l’inserimento nella scuola di mediatori culturali
e linguistici per aumentare la comunicazione tra scuola e famiglie migranti per renderli in questo modo partecipi
alle opportunità proposte dalla scuola. Creerei più spazi di incontro, organizzerei in modo migliore le attività
sportive gratis e con trainer. Aumenterei gli spazi ludico culturali, organizzerei spettacoli adatti realizzati anche
dagli stessi alunni. Il tutto pensato prevalentemente per agevolare ancora di più l’incontro tra i ragazzi. Questo a
mio avviso determina un positivo sviluppo dell’intera società poiché è dalle scuole che si riscontra spesso la
disponibilità ad incontrarsi, conoscersi, migliorarsi e crescere insieme nel migliore dei modi. (Madre somala n. 2
di alunno scuola secondaria superiore. Analogamente madre iraniana n. 1 di alunno di scuola media).
Tra i cambiamenti proposti assai significative ci sembrano le idee dalla madre italiana la
quale dopo quasi dieci anni di conoscenza diretta della scuola, prima come genitore, poi anche
come rappresentante dei genitori nel Consiglio di Istituto, propone:
Chiarezza nelle informazioni. Migliore marketing verso l’esterno per far capire quanto è ricca e quanto
importante e quanto funzioni contro le paure di chi non frequenta la scuola: paure di immagine. Proverei a creare
gruppi di lavoro composti da docenti e genitori anche per creare progetti e partecipare a bandi e iniziative. Creare
migliorie e sinergie tra le diverse scuole che compongono l’Istituto Comprensivo: tra il CTP, la scuola media, la
scuola media per gli adulti, scuola elementare, la sede della scuola De Santis. Nell’Istituto c’è la scuola per adulti
212
di cui, secondo me molti genitori neanche sanno cosa offre: corsi di arabo, spagnolo, inglese, informatica,
fotografia ecc. (Madre italiana n. 1, di alunni elementare e media).
Tra i cambiamenti che il gruppo delle insegnanti delle elementari propongono per rendere
migliore la scuola emerge la cura degli spazi per le esigenze dei bambini che frequentano la
scuola dell’infanzia, e in generale un migliore mantenimento delle strutture, che anche
secondo le insegnanti delle medie andrebbero più curate e mantenute. Assai significative sono
anche le proposte di cambiamento che fa la maestra delle elementari:
Ci sarebbe tanto da migliorare. La prima cosa che cambierei sono le Commissioni, Ce ne sono troppe – mi
sembra siano 9 – e c’è spreco di energie. Ne sarebbero sufficienti, per me quattro: POF (Piano Offerta
Formativa), Continuità, Accoglienza, Formazione perché in queste quattro confluirebbero benissimo le altre
(Intercultura, L2, Progetti Europei, Tecnologie, Orientamento). Ancor oggi non c’è un protocollo di accoglienza
condiviso, per cui rafforzerei l’attenzione per la fase di accoglienza dei bimbi. Un’altra cosa che mi piacerebbe
fosse diversa è l’atteggiamento di alcune insegnanti nei confronti dell’apprendimento. Per alcune il programma
da finire diventa una condanna. Per me alla base dell’apprendimento ci deve essere la motivazione e
l’esperienza. Se il bambino fa esperienza di sè insieme agli altri ed ha voglia di condividere e di scoprire insieme
agli altri apprende. L’apprendimento arriva con i tempi tranquilli. I bambini apprendono così a dare tempo al
compagno che sta imparando e che ha bisogno dei suoi tempi. Per un’insegnante è importante e necessario non
avere fretta. Per questo credo che sia importante porre maggiore attenzione sulla Formazione. Rispetto
all’italiano L2 penso che debba essere un laboratorio esperienziale. Bisogna rendere dinamica la lingua italiana e
il suo insegnamento attraverso laboratori di teatro, un giornale fatto dai bambini, giochi di gruppo. Debbono
essere laboratori nei quali i bambini siano costretti ad interagire e ad utilizzare la lingua in modo dinamico.
(Maestra n. 1 di scuola elementare).
Per buona parte delle famiglie straniere ciò di cui ci sarebbe più bisogno per migliorare la
scuola sono un maggior numero di spazi in grado di contenere ulteriori attività da offrire agli
alunni, come anche lo studio di materie artistiche e linguistiche. Il miglioramento della
didattica e una migliore qualità degli insegnanti sembra passare attraverso l’istituzione di un
aumento dell’offerta formativa in alcuni casi anche per garantire una maggiore permanenza
dei figli presso l’istituto mentre i genitori lavorano. Tra le cose che mancano attualmente
presso la scuola Di Donato, un’altra buona parte delle famiglie straniere pone in evidenza la
carenza dei mediatori culturali e la necessità di un aumento delle ore destinate
all’apprendimento della lingua inglese.
Gli insegnanti capaci di insegnare. La scuola deve essere sempre controllata. Controlli. (Madre filippina n. 3 di
alunni scuola elementare e secondaria superiore).
Gli studenti studiano seguendo l’educazione dei maestri, quindi, se la qualità dei maestri è buona alla scuola non
mancherà niente. (Madre cinese n. 6 di alunni scuola materna ed elementare).
Tanti genitori cinesi dicono che il contenuto didattico è poco e la velocità è lenta. Non si studia tanto a scuola
materna, a scuola elementare ci sono pochi compiti. Però questa è la maniera italiana e io non la voglio
giudicare. (Madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna).
Consiglio anche di stabilire più materie artistiche e linguistiche, così i ragazzi studiano di più, per esempio:
danza, sport, lingua etc. d’altronde i genitori che lavorano, possono venire più tardi a prendere i propri bambini.
(Madre cinese n. 2 di alunno scuola elementare).
Nelle scuole medie inferiori non offrono il pranzo. Dalle 7, 30 di mattina mio figlio va a scuola fino alle 14,10 di
pomeriggio. Questo tempo è troppo lungo. Se si offrisse una merendina abbondante sarebbe l’ideale. All’inizio
del contatto, i docenti e i funzionari della scuola sono gentili, ma i bidelli e portieri sono freddi, certo non è un
problema, sarebbe anche ideale che tutti si comportassero in una maniera gentile. (Famiglia cinese n. 4 di alunni
scuola materna, elementare e media).
Ci sono poche ore di lezione di inglese. Ecco aumenterei le ore di inglese. (Madre filippina n. 1 di alunni scuola
elementare e secondaria superiore).
213
Nella maggior parte delle scuole pubbliche non ci sono mediatori culturali, la loro presenza favorisce molto la
comunicazione tra genitori e docenti. (Madre cinese n. 2 di alunno scuola elementare. Anche madre bengalese n.
1 di alunno di scuola elementare, madre bengalese n. 3 di alunno scuola media, madre iraniana n. 1 di alunno di
scuola media).
Mancano gli spazi di incontro, la comunicazione tra le famiglie dei migranti e quelle italiane, occasione di
aggregazione positiva, etc. Questo però sta avvenendo in parte nel nostro Rione, l’Esquilino. (Madre somala n. 2
di alunno scuola secondaria superiore. Dello stesso parere padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e
media, madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
I genitori italiani considerano carente la collaborazione tra docenti e genitori che andrebbe
coadiuvata anche con la creazione di un sito e di una specifica bacheca interna alla scuola
dedicata a questo fine. Ritengono inoltre necessaria la formalizzazione di una prassi
consolidata e condivisa riguardo i nuovi arrivati e l’accoglienza. Significativa è la descrizione
del genitore italiano delle attuali carenze della scuola che, con le dovute differenze e
specificità, sembra sintetizzare nella sua risposta una serie di richieste provenienti sia dai
genitori stranieri, che dagli stessi insegnanti. Complessivamente quest’ultimi, lamentano la
carenza di laboratori e di spazi adatti per svolgere attività creative e musicali. Per altri, ciò di
cui c’è maggior bisogno è una diversa e maggiore consapevolezza sulla necessità di adottare
per il futuro una maggiore condivisione sul percorso interculturale da intraprendere. C’è
anche chi ritiene fondamentale che gli edifici stessi subiscano una completa ristrutturazione,
che la scuola si munisca di un maggior numero di strumenti tecnologici ma, soprattutto di
figure professionali stabili con competenze mediative e psicopedagogiche.
Un organico docente completo e stabile, capace di garantire, oltre alla copertura delle classi, anche le situazioni
di sostegno e di insegnamento di italiano L2 senza i continui salti mortali. Una équipe psico-pedagogica e di
mediazione linguistica e culturale che sia strutturata nella scuola, e non lasciata all’iniziativa della rete di
associazioni che ci sono oggi, ma non si può essere certi siano presenti ed egualmente attive anche domani.
Questo favorirebbe anche la comunicazione tra le varie componenti del mondo scolastico, principalmente
bambini, insegnanti e genitori. Una sistematica cura e manutenzione di tutti gli aspetti dell’edificio da parte delle
strutture preposte. Queste sono piuttosto lasciate in carico all’Associazione Genitori, che ha preso l’abitudine di
gestirle volontariamente. (Padre Italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
La continuità e la garanzia dei servizi di sostegno e di mediazione, dovuti al traballante sistema del reperimento
fondi, che se fossero garantiti, tutte le figure presenti a scuola sarebbero più serene. (Mediatrice italiana di lingua
cinese).
Ciò che alcune delle famiglie straniere intervistate trovano di positivo nella scuola italiana
è il fatto che questa sia gratuita, buona parte invece sottolinea l’impegno che i docenti
pongono nel proprio lavoro. Sono pochi coloro che nella ricerca di elementi positivi tentano
anche un paragone con le scuole del proprio paese di provenienza e chi invece mette in
evidenza alcuni servizi (mediazione, ludoteca, attività sportive, etc.) di cui ha potuto usufruire
ottenendo benefici per i propri figli. Altre famiglie inoltre come aspetto positivo della scuola
mettono in evidenza lo scambio culturale che avviene dentro la Di Donato, vista la
eterogeneità di provenienza dei suoi alunni. Assai significative infine sono le affermazioni di
diverse famiglie che sottolineano i legami di fiducia che hanno costruito nella scuola con
genitori e insegnanti: il senso di appartenenza alla scuola è dato dalla sua capacità di
accoglienza e di convivenza. Il rispetto reciproco è l’elemento centrale di un senso di
familiarità che alcuni vivono all’interno dei rapporti e delle relazioni sociali instaurate nella
scuola.
Non ho nessun commento, ma le scuole pubbliche sono gratis e questa è una cosa ottima. (Madre cinese n. 1 di
alunni di scuola materna. Anche Madre bengalese n. 3 di alunno scuola media).
214
Trovo positivo l’insegnamento che le maestre danno ai nostri figli. (Madre bengalese n. 1 di alunno di scuola
elementare. Anche madre bengalese n. 2 di alunno scuola elementare, padre indiano n. 1 di alunno di scuola
elementare, madre cinese n. 2 di alunno scuola elementare, famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola materna,
elementare e media, madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare, madre filippina n. 2 di alunni
di scuola materna e madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e secondaria superiore).
Le scuole italiane puntano molto sulla formazione morale e sociale, e anche sulla capacità di riflessione e fare da
sé che hanno un profondo senso per la loro futura vita. Le scuole cinesi invece lasciano sempre tantissimi
compiti e i bambini non hanno tempo per divertirsi, è un po’ più pesante. (Padre cinese n. 3 di alunni scuola
elementare e media).
Per esempio: il lavoro della mediazione culturale è molto positivo. Il mio secondo figlio non parlava a scuola,
ma a casa sì, dopo gli intervenuti dei mediatori si è sciolta molto; è stata assistita in madre lingua, questa è una
cosa fondamentale. E poi a scuola c’è il servizio della psicologa che sente i problemi degli alunni, anche questo
aiuta molto. Siamo stati accompagnati anche dallo psicologo esperto, esterno, per capire i suoi problemi. Pure la
ludoteca è buona: si gioca là, c’è qualcuno che gioca insieme con i bambini, e i problemi di mia figlia sono stati
risolti in ludoteca. I mediatori la portavano in ludoteca due volte a settimana e man mano si sciolgono e parlano e
giocano con altri bambini. Ci sono tanti servizi che i genitori stranieri non conoscono. Penso che la scuola debba
fare dei materiali in varie lingue così capiranno tutti. (Famiglia cinese n. 5 di alunni scuola elementare).
Lo scambio culturale che si verifica dentro questa scuola. Questo è un grande aspetto che la rende assai positiva.
(Madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e secondaria superiore. Analogamente madre bengalese n. 4
di alunno di scuola elementare).
Questa scuola mi piace molto. Noi genitori siamo tranquilli anche perché è vicinissimo a casa nostra. Siamo
abituati a questa scuola. La troviamo familiare. È il posto di Roma dove sono cresciuti i nostri figli. Dove le
persone sono buone. (Padre filippina n. 4 di alunni scuola media e secondaria superiore).
Le iniziative che permettono l’incontro tra insegnanti, genitori e alunni. E l’Esquilino in questo contesto può
addirittura essere un esempio e sono fortunata a vivere in questo quartiere, soprattutto se lo confronto con altre
zone di Roma. Qui si è sviluppata molto la convivenza. Noi migranti non siamo respinti, non siamo considerati
né inferiori né superiori. Siamo alla pari, qui c’è un rispetto reciproco, un’opportunità per tutti. All’Esquilino e
nella scuola vedo aspetti sociali cordiali, gioviali. (Madre somala n. 2 di alunno scuola secondaria superiore).
Giudico positiva questa scuola, ossia il suo aspetto multiculturale. Spesso mi meraviglio a pensare come faccia a
reggere avendo al suo interno tutte queste persone differenti. È già difficile quando ci sono solo italiani. In
questa scuola ci sono tante persone diverse ma che vanno d’accordo. Più che accordo forse sarebbe meglio
parlare di rispetto, di rispetto di quello che è l’altro, di quello che è anche se differente. Siamo tutti liberi di
pensare. Questa scuola per me è come una famiglia. Qui trovo molte delle cose positive che mi piacciono nelle
persone. Per qualunque cosa mi rivolgo agli altri genitori, agli amici. Dai banali problemi a quelli più
psicologici, so che qui mi posso rivolgere a loro senza problemi. Qui trovo una mano grande che mi accoglie. Ci
sono persone che ti aiutano per qualsiasi difficoltà: supporto psicologico e materiale.(Madre iraniana n. 1 di
alunno scuola media).
Anche per le famiglie italiane intervistate e per il corpo docente la capacità di apertura e di
accoglienza, nonché il clima di convivenza che si respira dentro la scuola è un tratto distintivo
e positivo della Di Donato. Il gruppo delle maestre sostiene che gli aspetti positivi della
scuola derivano dal grado di partecipazione attiva che gli insegnanti i genitori e gli alunni
mettono in campo quotidianamente; ciò aumenta la capacità di inserimento e di integrazione
degli alunni stranieri e anche la capacità di apprendimento nel contesto multiculturale dove
operano. Le insegnanti della scuola media osservano che nel tempo proprio tale approccio e il
metodo didattico adottato nella scuola ha dato i suoi frutti anche nelle superiori, peraltro
prima poco attrezzate ad accogliere studenti di nazionalità non italiana. Sono state rinforzate
le capacità di reggere l’impatto con le superiori anche attraverso un miglior orientamento
degli alunni delle medie.
La compresenza nello stesso edificio di: un asilo nido, una scuola materna statale e una comunale, una scuola
elementare, una scuola media, un CTP, un istituto per disabili De Santis: ne risulta un modello anche
215
architettonico e funzionale di convivenza. Uno zoccolo duro del corpo docente di grande esperienza e voglia di
fare. Classi nel complesso non troppo numerose. La tradizione di apertura che caratterizza da sempre questa
scuola, accettando rischi e fatiche. (Padre Italiano n. 2 di studente di scuola elementare).
Oggi possiamo dire che la scuola ha anticipato di molti anni quello che accadrà in Italia tra qualche anno.
Quando abbiamo cominciato nelle altre scuole non c’erano stranieri. Con l’esperienza abbiamo notato che molti
ragazzi avevano problemi alle superiori, quindi abbiamo deciso di rafforzare i ragazzi nell’impatto con le scuole
superiori. All’inizio la maggior parte delle scuole superiori non erano attrezzate all’accoglienza degli studenti
stranieri. Molti di loro si trovavano da soli in una classe di soli italiani. Questi non venivano supportati e
avevano un impatto traumatico. Quindi, abbiamo lavorato molto sull’orientamento. Ora le cose stanno
cambiando e i ragazzi si stanno rafforzando molto rispetto all’impatto esterno. L’anno scorso abbiamo lavorato
molto sull’orientamento, ossia su una scelta ponderata della scuola, in base alle attitudini, alle difficoltà di
partenza. I ragazzi poi sono andati a vedere insieme le scuole. In piccoli gruppi e questo ha aiutato molto. In
diversi casi di questi piccoli gruppi (3 o 4 persone) sono andati poi nelle stessa scuola. Come se si fossero
formate delle piccole famiglie che poi si spostano in altri luoghi. Tutto ciò sembra abbia funzionato. Si sono
aiutati a vicenda. Questa scuola possiamo dire è una piccola famiglia, c’è senso di fratellanza. (Professoressa n. 2
di scuola media).
Lo scambio tra culture diverse. La crescita di tutti. Anche i docenti imparano dagli stessi bambini verificando dal
vivo che alcune cose non le conoscevano. Positivi. (Dirigente scolastica. Dello stesso parere anche madre
italiana n. 1 di alunno delle elementari e mediatrice culturale di lingua cinese).
Tra le famiglie straniere vi è una forte consapevolezza delle difficoltà che molti degli
alunni non italiani vivono nel passaggio dalle medie alle superiori. Probabilmente questo è il
motivo per cui si dichiarano contrari a quasi tutti i cambiamenti proposti dal Ministero della
Pubblica Istruzione ad eccezione di quello riguardante l’orientamento. La proposta del
maestro unico preoccupa non poco le famiglie straniere, poiché nella riduzione dell’organico
non vedono solo una diminuzione dell’offerta formativa ma anche della capacità di controllo
da parte dei docenti, quindi, della sicurezza dei propri figli. Tale proposta peraltro preoccupa
soprattutto le famiglie particolarmente impegnate con il lavoro poiché in essa probabilmente
vedono anche una diminuzione dell’orario scolastico. Anche l’equa distribuzione nelle classi
degli studenti stranieri risulta una proposta non gradita alla maggioranza delle famiglie poiché
vi intravedono forme di esclusione e di discriminazione: è ritenuta poco consona dal punto di
vista didattico, e soprattutto dal punto di vista dell’integrazione.
Le riforme sono belle, ma certe rovinano pure. Per esempio il maestro unico chiede agli studenti di stare meno a
scuola. È una cattiva cosa. Come so io, i maestri italiani non hanno un ufficio stabile per stare e questo non
favorisce la gestione degli studenti. Equa distribuzione nelle classi non favorisce gli studenti stranieri che
parlano male la lingua e si sentiranno di essere esclusi dalla scuola. Non favorisce affatto lo studio e
l’integrazione degli studenti immigrati. Orientamento alle superiori è una riforma ideale, aiuta i genitori stranieri
a capire meglio le superiori e favorisce tutti a fare una giusta scelta, veloce e precisa. (Madre cinese n. 1 di
alunni di scuola materna).
In genere quando ci sono le riforme è una buona cosa, ma se le riforme favoriscono lo studio degli studenti
sarebbe più ideale. Il maestro unico non favorisce lo studio degli studenti e il tempo sarà ancora di meno per
rimanere a scuola e ovviamente si studia ancora di meno. Per le famiglie che lavorano tutti e due i genitori, il
fatto che i figli possano rimanere a scuola fino alle 18, è una buona cosa. Equa distribuzione degli stranieri nelle
classi: se si dividono le classi secondo il livello di italiano va bene, ma se secondo la nazionalità è una cattiva
cosa, non favorisce lo studio di tutti. Invece orientamento alle superiori è una buona cosa, gli studenti saranno
più sicuri di quello che scelgono. (Madre cinese n. 2 di alunno scuola elementare).
Maestro unico: pochi maestri influenzano la qualità scolastica ed educativa. Equa distribuzione: degli stranieri
nelle classi è discriminazione, è un sintomo che si troverebbe in un paese democratico, è la retrocessione della
società umana. Orientamento alle superiori: è una cosa buona che favorisce lo sviluppo e il futuro degli studenti.
(Padre cinese n. 3 di alunni scuola elementare e media. Dello stesso tono le risposte di famiglia cinese n. 4 di
alunni scuola materna, elementare e media, famiglia cinese n. 5 di alunni scuola elementare, madre cinese n. 6 di
alunni scuola materna ed elementare, madre filippina n. 2 di alunni scuola materna, madre somala n. 2 di alunno
scuola secondaria superiore, madre iraniana n. 1 di alunno scuola media).
216
Particolarmente interessanti sono alcune differenti modalità con cui le famiglie straniere
hanno risposto alla domanda sui cambiamenti proposti dal Ministero della Pubblica
Istruzione: le famiglie filippine sono quelle più disposte ad accettare i cambiamenti, salvo il
fatto che gli insegnanti o il maestro unico abbia la capacità di insegnare. Mentre a questa
domanda non risponde la maggioranza delle famiglie bengalesi.
Proviamo a vedere (Madre filippina n. 1 di alunno delle scuola elementari).
L’importante è che gli insegnanti sappiano insegnare. (Madre filippina n. 3 di alunni scuola elementare e
secondaria superiore).
Ho visto e ho sentito che le maestre e gli insegnanti sono contrari all’idea del maestro unico ma non so
precisamente per quale motivo. Non ho cercato molto di capire. Per me è importante che le maestre o i professori
insegnino bene. Magari il Governo vuole risparmiare. Da noi, nelle Filippine, siamo abituati al maestro unico.
Non mi sono mai preoccupato di questo. Tutto dipende dalle insegnanti e dagli studenti. (Padre filippina n. 4 di
alunni scuola media e secondaria superiore).
Per le famiglie Italiane la preoccupazione maggiore deriva soprattutto dalla proposta
sull’equa distribuzione nelle classi degli studenti stranieri dal momento che, come sostiene la
genitrice italiana, questa non tiene conto della distribuzione della popolazione presente nei
territori e in particolar modo del fatto che molti studenti stranieri in realtà, come alla Di
Donato sono nati in Italia. Inoltre, se le scuole fossero più curate e mantenute anche i genitori
italiani non si allontanerebbero da quelle pubbliche che si trovano nel Rione. Dello stesso
avviso, ossia di aumentare piuttosto che diminuire gli investimenti per la scuola, è l’altro
genitore italiano il quale ribadisce la necessità di attivare processi che favoriscano una
migliore integrazione, piuttosto che imporre norme che potrebbero diventare inefficaci
quando non si da la possibilità a tutte le scuole di strumenti e personale adatti all’accoglienza
di alunni stranieri.
Li considero un impoverimento per la scuola in generale, elementi destrutturanti per un buon inserimento degli
alunni stranieri e infine penso che in particolar modo l’equa distribuzione nelle classi degli stranieri come è stato
presentato è solamente un affermazione demagogica che non tiene conto della distribuzione della popolazione
sul territorio; del fatto che molti stranieri per passaporto sono nati e cresciuti in Italia; che se le scuole avessero
strumenti, attrezzature e fossero belle gli italiani non andrebbero in scuole lontane solo per non stare con gli
stranieri. (Madre italiana, n. 1 di alunni scuola elementare e media).
Il tempo pieno è un elemento ormai irrinunciabile del sistema scolastico e sociale. È chiaro che esso può essere
garantito solo da almeno una coppia di maestri, che devono poter lavorare anche parzialmente in compresenza.
L’idea dei moduli è riduttiva della funzione scolastica, che deve essere principalmente relazionale. Credo però
che il sistema dei due maestri debba avere la garanzia di una continuità del riferimento di almeno uno dei due,
garanzia che finora è stata spesso disattesa. Una riforma dovrebbe andare in questo senso. Il fatto che ci sia un
problema finanziario di fondo non è sufficiente a giustificare una politica di tagli: la scuola non è come una
vacanza, che si calibra sulla quantità di soldi che si hanno. La scuola è il cuore della società. È uno dei luoghi
dove bisogna investire di più, se necessario togliendo da altre parti. Quanto alla distribuzione degli stranieri, è
chiaro che l’ideale è che non si creino le cosiddette ‘scuole-ghetto’, magari a poche centinaia di metri da scuole
che praticano una politica di percentuali più o meno artificiosamente ‘calmierate’. Tuttavia il processo di
distribuzione deve essere favorito, non imposto. Come? Per esempio fornendo tutte le scuole degli strumenti
adatti ad accogliere gli alunni stranieri (équipe, aggiornamenti, materiali interculturali, etc.), indipendentemente
dalle loro percentuali: ciò aiuterà le scuole già ‘aperte’, convincendo gli italiani che il sistema scolastico
funziona comunque, e toglierà pretesti e paure alle scuole più ‘chiuse’, che potranno progressivamente farsi
nuovi punti di riferimento per una popolazione variegata. (Padre italiano n. 2 di alunni scuola elementare).
Per il gruppo delle maestre delle elementari tali proposte sono descritte con aggettivi come
‘povere’, ‘allucinanti’, ‘pessime’, ‘non consone alle necessità della scuola’ ‘negativi poiché
sono stati presi provvedimenti seguendo solo una logica economica’. In sintesi per costoro i
217
cambiamenti proposti dal Ministero invece di migliorare rischiano di creare seri disagi
all’interno delle scuole; si tratta di riduzione del personale e non di un aumento della loro
efficienza ed efficacia. Della medesima opinione sono le professoresse della scuola media che
definiscono i cambiamenti ‘antistorici’. La dirigente scolastica condivide le preoccupazioni
del corpo docente sopra riportate.
Da verificare, non sappiamo ancora cosa dobbiamo fare a settembre. Certo l’idea di mettere cinque alunni
stranieri per ogni classe non funziona. Non si capisce come si rapporteranno ad una scuola come la nostra.
Antistorico. Un taglio di ore soprattutto per questa scuola non può che essere deleterio. Servirebbero più ore
soprattutto per i progetti. C’è un approccio troppo teorico alla realtà. Chi si occupa di scuola invece dovrebbe
aver voglia di andare a vedere come funziona realmente la scuola, vedere una esperienza sul campo.
(Professoressa n. 2 di scuola media).
Come ho già accennato per il prossimo anno non ci sono problemi poiché avremo il tempo pieno per tutte le
classi delle elementari. Per la secondaria, invece, siamo più preoccupati per la tenuta del corpo docenti
(soprattutto di lettere). Per la sostituzione di un docente che si assenta devo attendere 15 giorni e trovare
sostituzioni interne e in questo modo diminuiscono le ore che posso destinare al corso di lingua L2. Bacini di
utenza? Solo quelli che vi abitano o lavorano? (Dirigente scolastica).
Spero che si riuscirà a non doverli applicare, almeno non troppo, non tutti… utilizzando tutta l’autonomia
possibile e tutte le risorse da inventarsi (almeno in questo noi italiani siamo bravi, se non ci facciamo
scoraggiare) e poi anche aspettare che passi ‘a nuttata’ (Mediatrice italiana di lingua cinese).
Analizzando le aspettative delle famiglie intervistate rispetto alla scuola italiana emergono
differenti modalità con cui queste prospettano il futuro percorso scolastico dei propri figli. Le
famiglie cinesi dalla scuola si aspettano che i propri figli ricevano un’educazione sana e
completa (con più ore di studio per le materie linguistiche e scientifiche) affinché possano
diventare delle “persone giuste”. Le famiglie filippine che acquisiscano una capacità
professionale in grado di permettere loro di trovare un “buon lavoro”. Per le famiglie
bengalesi che acquisiscano una “buona educazione”, quindi possano svolgere un buon lavoro
e diventare delle “brave persone”. Alcune famiglie di diversa nazionalità comunque auspicano
che i propri figli ricevano una “educazione completa”, non solo relativa alle conoscenze ma
anche alle competenze e alle capacità relazionali.
Spero che mio figlio possa studiare più lingue e scienze e la sua personalità possa crescere in maniera sana.
(Madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna. Anche madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare, padre
cinese n. 3 di alunni scuola elementare e media).
I figli possono imparare di più le scienze di ogni genere. Per il figlio più grande spero che riesca ad imparare a
comunicare di più con gli altri e riesca ad integrarsi nella società in cui vive. Credo che abbia paura di
comunicare e socializzare, non ha tanti amici, sta sempre coi fratelli. (Famiglia cinese n. 4 di alunni scuola
materna, elementare e media).
Spero che i miei figli imparino le scienze e come essere una persona giusta. Ma non so per quale motivo il figlio
più grande è ancora come un bambino. Speriamo che maturi il più presto possibile. Se vuole, può continuare lo
studio se no, non lo costringiamo, basta che sappia l’italiano e l’inglese. (Famiglia cinese n. 5 di alunni scuola
elementare).
Mi aspetto che mio figlio in futuro trovi un buon lavoro così non farà il lavoro che ora faccio io. (Madre filippina
n. 3 di alunni scuola elementare e secondaria superiore).
Per mio figlio spero possa che possa ricevere una buona educazione e anche un buon lavoro. (Madre bengalese
n. 1 di alunno di scuola elementare. Dello stesso parere madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e
secondaria superiore, padre filippino n. 4 di alunni di scuola media e secondaria superiore).
Una buona educazione e un buon lavoro. La cosa importante è che i miei figli diventino brave persone. (Madre
bengalese n. 2 di alunno scuola elementare).
218
Mi aspetto un’ottima trasmissione didattica. Mi aspetto che la scuola insegni bene a mio figlio un
comportamento consono anche come persona. Sotto l’aspetto didattico che ottenga una buona conoscenza
linguistica, scientifica a livello europeo. Che mio figlio abbia la capacità di rispettare la diversità e sia
consapevole della sua provenienza: dignità e rispetto verso se stessi e gli altri. Poi ovviamente va educato anche
in famiglia. (Madre somala n. 2 di alunno scuola secondaria superiore).
Quando ero in Iran per mio figlio mi aspettavo che acquisisse studi e una grande conoscenza sociale. Volevo che
lui venisse sempre dalla società ma che da questa fosse accettato a sua volta. Un riconoscimento a questo livello.
Poco importa cosa farà. Anche il lavoro è importante. Ma se uno ha successo e non è accettato dalla società è
tutto inutile. Nella vita non sono importanti solo il lavoro e i soldi. Sono importanti le relazioni sociali, è
importante che diventi una persona matura che capisce, che può analizzare le cose da solo, che non si fa
influenzare dagli altri. In sintesi una persona accogliente e accolta. (Madre iraniana n. 1 di alunno scuola media).
Anche per le famiglie italiane l’aspetto relazionale è di fondamentale importanza e la
scuola come sottolinea un genitore italiano (nonché Presidente dell’Associazione Genitori
Scuola Di Donato), dovrebbe e può offrire a tutti la capacità di sviluppare una vita relazionale
articolata e completa. Il gruppo delle insegnanti delle elementari si aspettano per gli alunni
che la scuola permetta loro di completare il percorso formativo. Per raggiungere tale obiettivo
sostengono che servono maggiori investimenti per il personale, strumenti e materiali. Quindi,
maggiore attenzione ai bisogni degli alunni in una scuola pubblica che sia di qualità e di
servizio, basata su criteri di uguaglianza nelle prestazioni.
Quello che ho imparato a sperare oggi è diverso da quello che speravo per loro un tempo. All’inizio mi sono
sempre domandato dove potevo trovare la scuola migliore, i maestri migliori: vedevo il loro percorso in maniera
molto individuale. Col tempo, e grazie all’esperienza alla Di Donato, sia con le classi dei miei figli che con
l’Associazione, ho capito che la cosa più importante che la scuola può offrire è la capacità di sviluppare una vita
relazionale articolata e completa. (Padre italiano n. 1 di alunni di scuola elementare).
Quasi tutte le famiglie straniere vedono il futuro percorso scolastico dei propri figli con
fiducia e in generale sono presenti e pronti ad impegnarsi per una loro migliore formazione
qualora, secondo il loro punto di vista, la scuola non risultasse sufficiente a far raggiungere i
risultati auspicati. In generale ritengono che la maggior parte dei propri figli siano abbastanza
inseriti nel contesto scolastico dove dimostrano piacere nello studio; questo aspetto fa ben
sperare sul loro futuro, sia scolastico, sia professionale. Anche le insegnanti, così come la
dirigente scolastica e la mediatrice italiana di lingua cinese confermano quanto sostenuto dalle
famiglie intervistate. Dopo anni di difficoltà, peraltro, ora si registrano diversi progressi e
successi scolastici.
Ai miei figli chiederò di aver più disciplina a scuola e gli insegnerò le cose che a scuola non si studiano in modo
tale che possa aver una base stabile e trovarsi un buon lavoro e una vita migliore. (Madre cinese n. 1 di alunni di
scuola materna).
Penso che tutto andrà avanti normalmente. Le scuole italiane non danno tante informazioni agli allievi cioè come
l’ampiezza, alcune materie non si studiano tanto, e noi genitori dobbiamo dare di più a loro. Penso che il
contenuto delle scuole italiane sia poco, sebbene la maniera educativa è avanzata, ma vanno pensati anche i
risultati dello studio.(Madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Ho una buona prospettiva per il percorso scolastico futuro dei miei figli, ho fiducia nelle scuole italiane e credo
che i miei figli avranno una vita scolastica più organizzata che favorisca molto di più la loro crescita. Un sana
crescita. (Padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e media. Esprimono un’analoga fiducia nel futuro
famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola materna, elementare e media, famiglia cinese n. 5 di alunni di scuola
elementare, madre cinese n. 6, di alunni di scuola materna ed elementare, madre filippina n. 1 di alunni di scuola
elementare e secondaria superiore, madre filippina n. 2 di alunni di scuola materna, Madre filippina n. 3 di alunni
di scuola elementare e secondaria superiore, mediatrice italiana di lingua cinese).
219
Non ho né certezze, ne timori. Vorrei che terminasse gli studi nel migliore dei modi. Vorrei trovare una scuola
che lo accolga in tutti i sensi, che lo valorizzi insegnandogli, oltre alle materie, a crescere insieme agli altri e con
armonia. (Madre somala n. 2 di alunno di scuola secondaria superiore).
Sono dell’idea che la scuola italiana non sia sufficiente per i ragazzi di oggi poiché non va avanti nel tempo, ma
utilizza ancora programmi che andavano bene ai nonni. La tecnologia sta andando avanti ma la scuola sotto
questo aspetto è ferma. Manca un aggiornamento sulle nuove tecnologie. I ragazzi devono studiare cose concrete
con strumenti che servono ora per affrontare i problemi. (Madre iraniana n. 1 di alunno di scuola media).
I miei figli continueranno il percorso alla Di Donato anche alle medie. Mi piacerebbe che ci fosse questa
continuità per tanti bambini della nostra scuola: un passaggio che purtroppo non è ancora stabile, per gli scarsi
legami che ci sono tra i due livelli di scuola, che pure convivono addirittura nello stesso corridoio. (Padre
Italiano n. 2 di alunni di scuola elementare).
Per quanto attiene la scelta dell’indirizzo alle superiori alcune famiglie sostengono che
questa dipenderà molto dai propri figli, mentre la maggior parte sostiene che sceglieranno
l’indirizzo scientifico tecnologico o informatico. Sono poche invece le famiglie che non
hanno un idea precisa sul tipo di scelta che prenderanno i propri figli al termine della scuola
secondaria inferiore.
Deve decidere lui stesso, penso che sceglierà le materie letterarie. (Madre cinese n. 2 di alunno scuola di
elementare).
Dipende dalla loro volontà e noi daremo il nostro consiglio. Loro non devono per forza fare commercio come
noi, se sceglieranno di buttarsi in altri settori basta che loro siano interessati. Fare il commerciante non è l’unica
soluzione. (Madre cinese n. 6 di alunni di scuola materna ed elementare).
Il più grande sceglierà il Liceo tecnologico. Si penso che questo istituto potrà essere adatto per lui. Ma a patto
che riesca finire la scuola media. (Famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola materna, elementare e media).
Prenderà lo scientifico. (Madre filippina n. 1 di alunni di scuola elementare e secondaria superiore. Anche madre
bengalese n. 1 di alunno di scuola elementare, madre bengalese n. 4 di alunno di scuola elementare, madre
iraniana n. 1 di alunno di scuola media, madre cinese n. 1 di alunni di scuola materna e madre filippina n. 3 di
alunni di scuola elementare e secondaria superiore).
Dipende da lui. Credo che sceglierà informatica. (Madre bengalese n. 3 di alunno di scuola media).
Ragioneria, economia. (Madre bengalese n. 2 di alunno di scuola elementare).
Sta frequentando il primo superiore al liceo tecnologico da quest’anno scolastico. (Madre somala n. 2 di alunno
di scuola secondaria superiore).
Mio figlio più grande studia economia in una scuola privata, perché è più organizzata. Le mie due figlie stanno
ancora alle elementari, quindi, vediamo che cosa sceglieranno. Io preferisco che studino la lingua. (Famiglia
cinese n. 5 di alunni di scuola elementare).
Ora il più piccolo frequenta la 3 media e a giugno compie 14 anni. Non abbiamo ancora deciso. Lui, per ora mi
ha detto che vuole andare alle superiori insieme ad un suo amico. Per noi, se possibile, è meglio una scuola che
stia vicino casa. (Padre filippina n. 4 di alunni di scuola media e secondaria superiore).
Per le famiglie italiane intervistate – che ricordiamo sono figure assai rappresentative per
ruolo e funzioni sia dentro gli organi scolastici, sia nel mondo dell’associazionismo locale
particolarmente attivo dentro la scuola stessa – il passaggio alle superiori degli attuali studenti
della scuola Di Donato non appare ancora come una questione particolarmente affrontata,
probabilmente per il fatto che quasi tutte le loro energie sono concentrate nell’attivazione di
tutti quei processi e percorsi di sostegno e reciproca conoscenza tra alunni, genitori e
insegnanti, attraverso le diverse attività, di cui alcune elencate in precedenza.
220
Anche il gruppo delle maestre delle elementari, viste le poche risposte alla domanda posta,
non sembra abbiano un quadro chiaro della scelta di indirizzo che gli alunni hanno effettuato
in questi anni: per alcune sceglieranno il liceo scientifico, per altre gli istituti professionali;
molto dipenderà dalle loro inclinazioni ma molto dipenderà anche dalle famiglie.
Le professoresse della scuola media per la loro esperienza e quindi per la maggiore
vicinanza alle scelte sin qui condotte dagli alunni della terza media sostengono che le
preferenze degli alunni sono state sinora indirizzate verso gli istituti tecnici e professionali,
mentre i giovani cinesi preferiscono il liceo scientifico. In genere la scelta della scuola
dipende anche dalla vicinanza al Rione e se la scuola ha adottato misure di accoglienza per
studenti non italiani, come corsi di potenziamento dell’italiano.
Credo che faranno un liceo, ma è ancora presto, e bisognerà sentire le loro preferenze .A volte mi chiedo quale
sarà il percorso di molti dei compagni dei miei figli, ma confesso di non avere elementi a riguardo. (Padre
italiano n. 2 di alunni di scuola elementare).
Mi auguro che trovino sempre ambienti favorevoli all’apprendimento, spero che cerchino di sviluppare al
massimo le loro capacità, che seguano i loro sogni. Molti di loro probabilmente frequenteranno istituti
professionali: la loro scelta sarà sicuramente condizionata dalle esigenze familiari. (Insegnante n. 1 di scuola
elementare).
Istituto tecnico e professionale. Gli alunni cinesi preferiscono il liceo scientifico e soprattutto l’indirizzo
informatico. C’è anche chi sceglie il classico e l’ex ragioneria, il liceo psicopedagogico. Di solito rimangono nei
dintorni del Rione o dentro questo, nelle scuole che in questi anni si sono adattate alle istanze multietniche. Non
conoscono l’agrario o l’alberghiero. Fuori alcuni degli alunni hanno avuto esperienze drammatiche. (Professoressa n. 1 di scuola media).
Molti alunni scelgono di andare alle superiori. (Dirigente scolastico).
Dipende da quando tempo studiano con l’italiano. Conosco diversi che stanno andando al liceo scientifico o a
buoni professionali, e spesso sono bravi, abituati a fare sforzi. (Mediatrice italiana di lingua cinese).
Anche riguardo l’eventuale percorso scolastico dopo la scuola dell’obbligo le famiglie
intervistate sembrano non aver dubbi sul fatto che i propri figli proseguiranno gli studi,
concedendo a questo obiettivo ogni loro sostegno.
Sicuramente. Spero che riesca prendere il diploma più alto possibile. (Madre cinese n. 1 di alunni di scuola
materna. Anche madre cinese n. 2 di alunno di scuola elementare, padre cinese n. 3 di alunni di scuola
elementare e media, famiglia cinese n. 4 di alunni di scuola materna, elementare e media, famiglia cinese n. 5 di
alunni di scuola elementare, madre filippina n. 2 di alunni di scuola materna, madre filippina n. 3 di alunni di
scuola elementare e secondaria superiore, madre bengalese n. 1 di alunno di scuola elementare, madre bengalese
n. 3 di alunno scuola media).
Non ne abbiamo ancora parlato. A me farebbe piacere che andassero all’università ma questo dipenderà solo se
hanno voglia di studiare, dipende anche dai buoni voti che prenderanno. (Padre filippino n. 4 di alunni di scuola
media e secondaria superiore).
Entrambi andranno a scuola sino a quando sarà possibile. Magari proseguiranno anche gli studi in India dove
potranno dedicarsi alla lingua inglese che è molto importante per una futuro lavoro. (Padre indiano n. 1 di alunno
di scuola media).
Per il corpo docente la maggior parte degli alunni non italiani continueranno il percorso
scolastico anche dopo la scuola dell’obbligo. Qualche insegnante come la maestra della
scuola elementare azzarda anche delle previsioni. Assai significativa a tale proposito è
l’esperienza maturata dalle docenti delle medie che negli anni passati hanno visto un
allontanamento anche dei giovani studenti cinesi, quindi, un loro ritorno. La riflessione
interna che è scaturita dall’analisi sulle difficoltà incontrate dagli alunni in altri contesti
221
scolastici, ma anche sui casi di dispersione alle superiori ha determinato la nascita di una
guida, un orientamento e una nuova modalità di approcciare il passaggio alle superiori, visto
l’impatto a volte traumatico che le prime generazioni hanno vissuto nel passaggio.
Quindi abbiamo cercato di capire perché per correggere il tiro. Di orientarli meglio. Certe volte anche
spaventarli, per fargli capire che non è una passeggiata (Dirigente scolastica).
La dirigente sottolinea come nel tempo si sia modificata la partecipazione e l’attenzione
alla vita scolastica da parte delle famiglie cinesi. Attualmente la comunicazione con queste
famiglie è migliorata, mentre è più complessa con quelle provenienti dalle Filippine e dal
Bangladesh.
Io lavoro perché loro lo facciano, che sentano primario il bisogno di conoscere, che gli sia lasciata la possibilità
di farlo. Credo che ognuno di loro debba avere la possibilità di frequentare la scuola fino a 18 anni e magari
l’università. Realisticamente credo che allo stato attuale delle cose il 90% dei miei alunni proseguirà gli studi
anche dopo la scuola dell’obbligo. (Insegnante n. 1 di scuola elementare).
In questa scuola, possiamo dire, c’è una dimensione terapeutica. Noi abbiamo avuto alunni che usciti dalla nostre
elementari sono poi andati in altre scuole, anche private (soprattutto alunni cinesi). Molti di loro hanno sofferto
discriminazioni e sono tornati qui, hanno recuperato, si sono rafforzati per andare alle superiori. Ci sono stati
parecchi casi, la maggior parte di quelli che sono andati in altre scuole (alle medie), sono tornati qui da noi.
Quelli che lasciano durante l’anno è perché tornano al loro paese di origine. Alle medie questo accade. Alcuni se
ne vanno per sei mesi e poi tornano. Vanno via a ottobre e tornano a febbraio. C’è una guida, un orientamento e
una modalità di approcciare il passaggio alle superiori. Abbiamo fatto un’esperienza sul campo. Anche
osservando i casi di dispersione scolastica. All’inizio ci sono stati diversi casi. Le prime generazioni abbiamo
visto che nel passaggio alle superiori hanno avuto un impatto traumatico. Quindi abbiamo cercato di capire
perché per correggere il tiro. Di orientarli meglio. Certe volte anche spaventarli, per fargli capire che non è una
passeggiata. (Professoressa n. 2 di scuola media).
Sì proseguiranno gli studi. Per le famiglie cinesi poi è una vera e propria ossessione. È cambiato molto il loro
atteggiamento. Sono più presenti all’interno dell’istituto. A differenza di qualche anno fa quando era difficile
comunicare con le famiglie cinesi, ora sono le famiglie bengalesi e filippine che sono rimaste più indietro. Mi
domando spesso cosa possiamo fare di più? (Dirigente scolastica).
5.7 Conclusioni
I flussi migratori sempre più intensi, le condizioni in cui versa l’ambiente, le nuove
tecnologie e molti altri fattori stanno abbattendo le consuete categorie di tempo e spazio.
Cambiano l’assetto della comunità mondiale, la sua distribuzione logistica sul pianeta, così
come le dinamiche interne che caratterizzano la vita e la cultura delle varie comunità.
Tale trasformazione appare come un processo inarrestabile; ne consegue perciò la necessità
di una nuova consapevolezza, individuale e collettiva, che richiede evoluzioni e la dotazione
di nuovi strumenti conoscitivi, data la complessità delle problematiche in atto di natura
antropologica, psico-sociologica, ma anche economica e politica.
Grazie ad una serie di trasformazioni favorite dalla globalizzazione, anche l’esperienza
della migrazione e dell’esilio è in parte profondamente mutata. Per questo è necessario che
mutino anche i paradigmi attraverso cui si analizzano i movimenti di popolazione odierni.
Come ha sottolineato l’antropologo Ulf Hannerz (1996, 100): “sono finiti i tempi in cui la
migrazione implicava l’attenuazione e perfino la perdita di legami con il paese di origine.
Oggi si osserva una certa negoziazione di significati, valori e forme simboliche che coinvolge
le culture di origine e quelle del nuovo paese, così come la stessa intensa esperienza di
discontinuità e rottura”.
222
Di recente letteratura ha cominciato a fare luce sulla natura transnazionale delle migrazioni
contemporanee45. Il tansnazionalismo è qui inteso come fenomeno che dà vita a una nuova
popolazione di migranti le cui caratteristiche sono riassumibili come la possibilità di avere
identità multiple grazie alle nuove tecnologie d’informazione e di trasporto, la globalizzazione
dei legami e delle reti di parentela, la straordinaria crescita delle rimesse, e, in ultimo, la
disintegrazione delle frontiere tra società di origine e società di arrivo. I migranti sono oggi in
grado di creare campi sociali transnazionali connettendo paese o contesto di origine con paese
o contesto di approdo e creando legami che si estendono su più contesti culturali, geografici,
territoriali.
La dimensione descritta mette in evidenza uno degli attuali paradossi riguardanti il
fenomeno migratorio: questo non appare, nel nostro paese, quasi mai come un risorsa o come
un ambito di straordinaria potenzialità di cambiamento, ma spesso viene descritto dai mass
media o dalla stessa politica esasperandone le degenerazioni, o solo attraverso le macro
problematiche ad esso connesso. Seguendo tali rappresentazioni mediatiche si corre il rischio
di assumere i linguaggi che delimitano e circoscrivono una visone parziale dell’immigrazione;
questi in breve tempo divengono temi centrali in dibattiti, seminari o convegni.
A volte in tale rischio incorre la stessa ricerca, quando partendo da punti di vista omogenei
e statici sulla realtà migratoria, individua concetti, strumenti e metodologie d’osservazione in
grado di apportare assai poco alla comprensione dell’oggetto di indagine. In sostanza non pare
tramontato il rischio che un certo gusto per i luoghi comuni e gli stereotipi celi dietro formule
consumate le complessità che attraversano la ricerca e il lavoro sociale.
Al contrario, il fenomeno migratorio mostra elementi di costante mutabilità poiché le
variabili che intervengono in esso presentano un’ampia gamma di discontinuità, caratterizzata
dalla crescita anagrafica di un numero elevato di soggetti diversi tra loro all’interno di
notevoli spostamenti geografici, con inevitabili cambiamenti nelle mappe cognitive e culturali
di questi e la necessaria ricollocazione in nuovi contesti sociali e culturali. Questi processi
attraversano le nostre città con la presenza dei migranti che portano con sé nuovi modi di
essere, differenti concezioni del mondo, storie, lingue e culture diverse.
A tale proposito l’antropologo francese Roger Bastide (1998) ha messo in evidenza che
l’emigrazione – immigrazione è spesso un fenomeno di riadattamento e di equilibrio, che i
processi di acculturazione e di interculturazione, cioè il contatto e l’impatto con la società di
arrivo e la volontà di continuare a trasmettere elementi della propria identità originaria,
entrano spesso in conflitto. Tutto ciò non avviene in modo indolore, perché vengono messe in
discussione sia l’identità della società italiana sia quella dei migranti.
C’è da dire che “questo processo di riadattamento e quindi di ridefinizione di sé in un
contesto nuovo avviene in una situazione che spesso è di inferiorità sociale, di disuguaglianza,
e che talvolta è anche contrassegnata da vere e proprie ingiustizie. È un processo complesso
che, tuttavia, deve fare i conti con la reale situazione di sofferenza soggettiva e sociale che
vive il migrante. Forse non si considera abbastanza il fatto che l’esperienza migratoria
rappresenta comunque una sofferenza (prima di tutto quella di lasciare i propri affetti) che si
amplifica con lo choc culturale e sociale che si genera nel momento dell’arrivo” (Goussot
2008, p. 64).
In tali circostanze, quindi, ci troviamo di fronte non solo ad un classico percorso
migratorio, ma anche ad un processo che potremmo definire di vero e proprio viaggio
pedagogico che il migrante svolge partendo con quanto ha appreso nel suo paese, spesso
rielaborando questa conoscenza nell’attraversamento di altri, infine giungendo con tale
bagaglio nel nuovo paese di accoglienza.
45
Si veda, ad esempio, Ruba Salih, in Animazione sociale n. 10, 2007.
223
In questa circostanza, e soprattutto nel nostro caso, se l’oggetto specifico dell’indagine è
“le domande delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico italiano” ci
troviamo di fronte ad una molteplicità di eventi e di storie in cui diverse dimensioni e
fenomeni si incontrano e si intrecciano tra loro, modificandosi di nuovo a loro volta. In tale
contesto l’analisi deve necessariamente attrezzarsi di nuovi strumenti concettuali in grado di
leggere i diversi bagagli culturali di provenienza dei migranti, eventualmente quelli che questi
perdono durante il percorso, o quelli che acquisiscono all’arrivo e durante l’eventuale
permanenza in terra straniera.
In quest’ambito anche il ricercatore, nella necessità-desiderio di capire fenomeni complessi
dovrà necessariamente non solo entrare nel contesto ma soprattutto assumere la veste di
viaggiatore straniero, poiché per orientarsi in questo viaggio avrà bisogno di utilizzare una
quantità di dati, sia qualitativi che quantitativi, provenienti da fonti molteplici.
Il ricercatore diviene così un viaggiatore straniero in casa propria quando si trova dinanzi
alla necessità di doversi confrontare con un fenomeno contemporaneo nel suo contesto reale,
quando i confini tra fenomeno e contesto non sono chiaramente evidenti, ma soprattutto
quando il focus dell’indagine è caratterizzato dalla necessità di comprendere alcuni aspetti e
dimensioni legati al percorso di apprendimento che le famiglie straniere, e soprattutto i loro
figli stanno realizzando non solo negli istituti scolastici italiani ma probabilmente anche nei
contesti territoriali dove questi sono ubicati o in quelli dove risiedono o lavorano le stesse
famiglie.
I processi di acculturazione, i contatti tra culture, non avvengono solo nel contesto scolastico ma anche nei territori e quasi mai su un terreno neutrale ed effettivamente paritario. La
relazione nello spazio sociale non è neutrale, ma fortemente condizionata dallo sguardo della
maggioranza che domina, sguardo che viene interiorizzato dal dominato, o dalla minoranza,
nel nostro caso dal migrante. Anche il territorio, dunque, può essere considerato un sistema
formativo, in grado di influire sulle capacità e possibilità dei soggetti di apprendere ed
orientarsi nelle scelte quotidiane.
Al fine di migliorare le prestazioni alcune delle famiglie cinesi sostengono che andrebbe
migliorata l’organizzazione e la gestione amministrativa della scuola. Altre ancora che
andrebbe potenziato lo studio sia a scuola che a casa. La qualità dei docenti, per alcune delle
famiglie intervistate passa anche attraverso una maggiore disciplina e rigidità con gli alunni.
In diversi chiedono che la scuola ottenga maggiori finanziamenti.
Le famiglie bengalesi e filippine, invece ritengono che per migliorare la scuola italiana è
necessario che si insegni bene le lingue, in particolare l’inglese. La cosa importante è che
l’insegnante sia preparato e di qualità.
È importante notare come siano in pochi coloro che ritengono che l’aumento degli spazi
possa migliorare le prestazioni della scuola, o chi sostiene la necessità di investimenti
tecnologici e di mediatori culturali e linguistici.
Creare al suo interno maggiori spazi extrascolastici per permettere ai ragazzi una maggiore conoscenza reciproca. Aumentare gli spazi di socialità. Investirei in innovazione tecnologica, soprattutto in computer. Ma non li
lascerei soli davanti al computer, poiché le nuove tecnologie possono avere risvolti drammatici. La mediazione
culturale e linguistica può aiutare molto sia gli insegnanti che gli studenti, poiché aumenta gli scambi e permette
di conoscersi meglio e capire meglio anche le lezioni. Mi piacerebbe che altri ritrovassero nella scuola
collaboratori, mediatori aperti e chi arriva possa dopo possa essere aiutato ad approcciare la scuola in maniera
giusta: molti hanno dentro questa capacità ma non la sanno adoperar. La convivenza tra figli di migranti e italiani
sta cambiando, si sta evolvendo in forme più armoniche, almeno per quanto vedo oggi, spero che cose non
vengano ostacolate con leggi i cui sviluppi non sono stati studiati a fondo. (Madre somala n. 2 di alunno di
scuola secondaria superiore).
Più finanziamenti dal governo in modo tale che gli studenti e i docenti abbiano più risorse da usufruire. La nuova
legge del Maestro Unico dell’anno scorso fa diventare ancora di meno il tempo di studio, non favorisce affatto lo
studio degli studenti. Danneggeranno il futuro di questa generazione. Il modo di studiare di adesso deciderà il
224
loro futuro, quindi gli studenti non possono studiare ancora di meno, non si può proprio. (Madre cinese n. 2 di
alunno di scuola elementare. Anche madre bengalese n. 3 di alunno di scuola media).
Non ho tanti suggerimenti da dare, ma le scuole italiane possono prendere i punti buoni dalle scuole cinesi e le
scuole private italiane, per esempio: amministrazione più severa, essere molto organizzata nella formazione
scolastica nei confronti di allievi di tutte le nazionalità. (Padre cinese n. 3 di alunni di scuola elementare e
media).
Più compiti a casa, più cose nelle lezioni, più rigidi nei confronti degli studenti. (Famiglia cinese n. 5 di alunni di
scuola elementare).
La scuola italiana potrebbe migliorare molto se intensificasse lo studio della lingua inglese. Questa va insegnata
molto bene. (Madre filippina n. 1 di alunno di scuola media. Anche Madre bengalese n. 1 di alunno di scuola
elementare, Madre bengalese n. 2 di alunno scuola elementare).
Le istituzioni dovrebbero scegliere docenti che hanno maggiori capacità nell’insegnamento. Formarli meglio,
soprattutto quelli che insegnano inglese. (Padre filippina n. 4 di alunni di scuola media e secondaria superiore).
Di mettere gli insegnanti buoni ad insegnare. Di aggiungere attività per i bambini. (Madre filippina n. 3 di alunni
di scuola elementare e secondaria superiore).
Al fine di migliorare le prestazioni della scuola, le maestre delle elementari sostengono che
bisognerebbe incentivare la motivazione del personale docente sia economicamente sia con
corsi di formazione, seguire il curriculo di un alunno per migliorarne il profitto e la
formazione, non per la selezione. Infine c’è chi sostiene la necessità di inserire all’interno
della scuola un équipe psicopedagogica.
Meno individualismo, più senso di appartenenza, più capacità di cooperare, più coscienza di appartenere ad una
realtà ricca di vantaggi culturali. Giornate della scuola aperte all’esterno con mostre, feste, open day per
permettere alle famiglie di conoscere i percorsi e le modalità di intervento. (Insegnante n. 1 di scuola
elementare).
Più personale soprattutto per la secondaria viste le prossime prospettive date dai tagli. Aumenterei la segreteria,
più del 30% di alunni. E 1/2 docenti in più. Poi mediatori culturali e linguistici per avere un aiuto strutturale.
(Dirigente Scolastica).
Prendere atto che i genitori non hanno tre mesi di ferie l’anno e che spesso non sono in grado di occuparsi dei
figli durante le vacanze, servono servizi adeguati alla realtà, che sia la scuola o la società a gestirli, certo la
scuola ha già le strutture (aiuterebbe anche le giovani coppie). (Mediatrice Italiana di lingua cinese).
225
5.8 Riferimenti bibliografici
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226
5.9 Allegato 1: elenco delle persone intervistate
Il nucleo centrale della ricerca è costituito da 17 famiglie straniere che abitano o lavorano nel o nei dintorni del
Rione Esquilino, appartenenti ai diversi gruppi etnici, di cui alcuni significativamente presenti nella scuola e nel
territorio (Cina, Filippine, Bangladesh), altri in forma decisamente minore (India, Somalia, Iran).
A queste diciassette famiglie, abbiamo affiancato, sottoponendo le medesime domande, anche due famiglie
italiane particolarmente significative per ruoli e presenza all’interno del plesso, su cui abbiamo focalizzato
l’attenzione. La madre di due bambini italiani, infatti, ricopre il ruolo di Presidente del Consiglio di Istituto,
mentre il padre di due bambini italiani è presidente dell’Associazione Genitori Di Donato e da quasi cinque anni
in maniera volontaria si impegna e partecipa alle diverse attività scolastiche, insieme a un centinaio di genitori
sia italiani che stranieri.
Con le due interviste a genitori italiani si è cercato di offrire una descrizione più completa della attuale situazione
dell’istituto e attraverso la loro esperienza - sia di genitori, che a diverso modo di rappresentanti di questi - di
ricostruire parte della storia recente dello specifico plesso, come delle modalità con cui molte delle famiglie
italiane in esso presenti hanno inteso rispondere e contribuire alle problematiche connesse all’incontro dei loro
figli con un crescente numero di alunni stranieri e delle loro famiglie.
La maggior parte delle famiglie straniere intervistate sono giunte in Italia, quasi venti anni fa, ossia alla fine
degli anni ‘80, altre alla fine degli anni ‘90. Nella stragrande maggioranza dei casi sono i mariti ad arrivare
qualche anno prima delle mogli; questo accade soprattutto per le famiglie filippine e del bangladesh, mentre le
sei famiglie cinesi generalmente sono giunte in Italia insieme, circa 15/20 anni fa e di queste solo due avevano
un figlio prima di migrare, peraltro ricongiunto alla famiglia solo dopo qualche anno, un’altra famiglia dopo
essere giunti in Italia decidono di far nascere il proprio figlio in patria e solo dopo qualche anno lo portarono in
Italia. Due famiglie bengalesi su quattro avevano almeno un figlio prima di arrivare in Italia, così come la
famiglia iraniana. La maggior parte dei figli delle famiglie intervistate è nata, quindi, in Italia.
Le famiglie contattate presentano un diverso grado di scolarizzazione (ottenuta nel Paese di origine), mentre per
quanto riguarda le attività lavorative svolgono prevalentemente i tipici lavori che caratterizzano in questo ambito
le singole comunità, sia all’Esquilino, che nel territorio romano o nazionale. La totalità dei padri cinesi delle
famiglie intervistate, infatti, svolge attività commerciali nel Rione; molto spesso entrambe i genitori conducono
lo stesso lavoro. Questo dato va necessariamente confrontato con la massiccia presenza di negozi cinesi
dell’Esquilino che solo nel Rione raggiunge le 460 unità. In soli due casi le madri cinesi svolgono, da una parte
la funzione di direttrice di un giornale cinese, nell’altro di preside di una scuola di lingua e cultura cinese.
Entrambe i genitori delle famiglie filippine intervistate invece svolge attività di domestici presso abitazioni di
italiani, in un caso di autista. I padri bengalesi svolgono attività commerciali in due casi, mentre gli altri di
cuoco. Le madri bengalesi sono tutte e quattro casalinghe. Nella famiglia indiana il padre è commerciante,
mentre la madre gestisce una agenzia di viaggi. Il padre del ragazzo somalo è un avvocato italiano, mentre la
madre svolge l’attività di mediatrice. La famiglia iraniana è invece composta da un padre che svolge l’attività di
portiere, mentre la madre di ristoratrice in proprio e negli anni precedenti di mediatrice culturale.
Il livello di istruzione della quasi totalità delle famiglie interviste è medio alto: la maggior parte è diplomata o
laureata. Sono pochi coloro che hanno un titolo di studio medio o basso (una famiglia cinese le medie, e la
famiglia indiana che ha studiato sino all’età di 10 anni).
Esistono quindi tra le famiglie straniere intervistate, differenze socio-economiche e culturali a volte assai
significative che vanno al di la delle appartenenze etniche. In questa esperienza abbiamo incontrato genitori di
cultura medio alta e che nel paese di origine svolgevano attività lavorative qualificate (professore universitario,
funzionario amministrativo di azienda statale, impiegata di banca, infermiera, musicista) che si trovano a
svolgere in Italia a volte lavori più umili (commerciante, portiere, cuoco, domestico etc.) e spesso puntano sui
propri figli per riscattarsi.
Alcune persone provenienti da zone rurali del loro paese hanno dovuto vivere duplici sradicamenti, dalla
campagna alla città e dal proprio paese a quello della migrazione, sottoponendosi a rapidi e profondi
cambiamenti e a grossi sforzi di adattamento che probabilmente possono essere anche causa di un indebolimento
delle capacità di essere guida dei propri figli.
Alcune famiglie impiegano tutte le loro energie per lavorare e risparmiare in modo da aiutare i familiari rimasti
in patria, anche con la speranza di tornare al paese appena possibile, e vedono il futuro dei figli in funzione di
questo ritorno.
227
6. Mazara del Vallo
di Loredana Tallarita46
6.1 Introduzione
Lo studio di caso a Mazara del Vallo è stato condotto presso tre istituti scolastici che si
caratterizzano per una cospicua presenza di alunni stranieri: la scuola materna ed elementare
Aiello, l’Istituto Comprensivo Paolo Borsellino e l’Ipsam, istituto professionale per le attività
del mare. Le prime due sono collocate nell’area cittadina nel quartiere di Santa Caterina, nel
centro storico adiacente alla Casbah, la terza in periferia, nel quartiere denominato Mazara 2.
Dagli anni ’90 queste scuole hanno sviluppato programmi e progetti di intercultura per
affrontare in maniera adeguata la problematica della diversità culturale e comportamentale
degli allievi di origine straniera, rispetto agli alunni autoctoni pure presenti in modo rilevante.
A fianco di una spiccata densità abitativa, questa parte di Mazara del Vallo si presenta con un
basso grado di commistione sociale e culturale; è una parte della città abitata soltanto da
famiglie di stranieri la cui nazionalità risulta essere prevalentemente quella tunisina, ad essa
negli ultimi anni si aggiunge una piccolissima percentuale di slavi.
Occorre sottolineare che i tre istituti si presentano con una elevata percentuale di alunni di
origine tunisina nati a Mazara. Nella maggior parte dei casi, quindi, si tratta di alunni di
seconda o di terza generazione.
Pertanto le scuole selezionate costituiscono delle realtà scolastiche in grado di svolgere un
ruolo significativo rispetto ai processi di socializzazione degli alunni e dei loro genitori.
Un altro motivo che rende gli istituti individuati particolarmente degni di interesse è
dovuto alla loro iniziale vocazione sperimentale che ha indotto tali scuole a sviluppare nel
corso degli anni un’ampia progettualità che, tuttavia, per alcuni motivi, risulta non continuativa e talvolta frammentata, ma che ha tentato in questi anni di coprire tutti gli ambiti
dell’educazione interculturale.
Infine, nelle tre scuole risultano attive alcune associazioni locali esterne impegnate in
progetti di natura educativa e di intrattenimento ludico. Si tratta di associazioni di volontariato
che assistono gli alunni stranieri che hanno difficoltà con la lingua italiana nello studio.
Dopo circa venti anni di confronto con alunni di origine straniera, le scuole di Mazara oggi
risultano abbastanza preparate nello svolgere la loro funzione educativa e di integrazione nei
confronti di un’utenza che si presenta compatta dal punto di vista dell’origine geografica e
culturale. Proprio in quanto scuola in una realtà di frontiera, ma anche laboratorio di
intercultura, la si è ritenuta un contesto privilegiato di osservazione e di analisi per lo studio di
quelle che sono le reali aspettative che le famiglie di stranieri che vivono in questa città hanno
manifestato nei confronti del sistema scolastico italiano, da loro vissuto come istituzione
educativa, ma anche come imprescindibile punto di riferimento per qualsivoglia necessità di
tipo socio-relazionale con il contesto di accoglienza.
46
Assegnista di ricerca presso l’Università di Palermo.
228
Durante lo svolgimento della ricerca, oltre ai colloqui realizzati con tredici famiglie di
stranieri residenti da molti anni a Mazara del Vallo (sette tunisine, tre slave, una kosovara,
due serbe), i cui figli frequentano i tre istituti scolastici scelti, sono state anche intervistate una
famiglia mista (lui tunisino e lei mazarese) e due famiglie di Mazara del Vallo.
È stato opportuno avvalersi di alcuni testimoni privilegiati rappresentanti delle istituzioni
locali (del mondo scuola, dell’associazionismo e del volontariato e politico) presenti sul territorio.
Al fine di confrontare le dinamiche caratterizzanti il fenomeno migratorio esistente a
Mazara con il tema relativo al rapporto fra le famiglie straniere e l’istituzione scolastica, sono
stati intervistati: il preside della scuola materna ed elementare Aiello; il preside dell’istituto
comprensivo Paolo Borsellino; l’esperto del modello migratorio e di insediamento degli
stranieri a Mazara del Vallo prof. Antonino Cusumano docente universitario che si occupa del
fenomeno migratorio e dell’insediamento degli stranieri a Mazara dagli anni ‘70; il
provveditore agli studi di Trapani; il vice preside dell’Istituto comprensivo Paolo Borsellino;
le prof.sse Giacalone e Marrone dell’Istituto comprensivo Paolo Borsellino; la dipendente del
Cnr di Mazara del Vallo; l’insegnante presso il circolo didattico Aiello; Il vice preside e una
insegnante dell’Istituto Ipsam; la specialista in lingua araba (esperta dei 4 dialetti regionali) e
giornalista di una emittente televisiva privata; suor Vera e suor Elvira, responsabili
dell’associazione di volontariato (doposcuola per alunni stranieri); il Parroco di Mazara del
Vallo; l’insegnante di Lingua Araba come L2 Karim Mohamed Hanniaci che collabora con fli
istituti Aiello Borsellino e di recente con il Liceo Classico di Mazara del Vallo (sposato con
una mazarese; famiglia mista con figli che frequentano le scuole di Mazara).
6.2 Qualità del contesto
È da circa 40 anni che i tunisini sono presenti nella città di Mazara del Vallo. Più
esattamente, è dal 1968 che si registrano le prime presenze di tunisini in questa città.
Inizialmente questo fenomeno ha assunto una forma di insediamento di tipo mobile,
connotandosi come una presenza non stabile, caratterizzata dal fenomeno del pendolarismo,
che ha origine nei rapporti che si sono instaurati nel canale di Sicilia tra le due sponde del
Mediterraneo.
Agli inizi degli anni ‘70 i tunisini a Mazara erano poche centinaia. Sbarcavano e
arrivavano nell’isola da turisti e cominciavano a lavorare in nero, soprattutto nei settori della
pesca e dell’agricoltura. Il loro numero cresce puntualmente durante la stagione della vendemmia e della raccolta delle olive. Scaduto il visto questi cosiddetti turisti, non facevano più
ritorno al paese di origine e spesso scomparivano tra i meandri dell’economia sommersa nelle
ombre di quella Medina che accoglieva i loro poveri e precari alloggi.
A Mazara gli immigrati si sono insediati nei quartieri più antichi, quelli che un tempo
furono abitati dai loro antenati berberi. Gli immigrati riprendono il possesso di quei quartieri a
loro già in qualche modo familiari che un tempo furono parte della cosiddetta Casbah di
Mazara del Vallo.
Tuttora gli stessi cittadini di Mazara indicano con questo nome, quello spazio, abitato dagli
immigrati. La stessa topografia del quartiere è rimasta intatta dal tempo degli arabi: lo stesso
intreccio di viuzze tortuose, gli stessi passaggi a volta, i medesimi vicoli ciechi, strettissimi e
contorti. Gli immigrati si spostano attraverso il groviglio di quelle case e sotto gli archi degli
oscuri cortili, con una sorta di familiarità e di sicurezza, di chi è già abituato a quella
geometria di mura e di ombre, di chi ritrova proprio tra queste viuzze la propria dimensione
abitativa.
229
Nella semiotica dei processi di integrazione dei migranti, la liminarità e la separatezza dei
loro insediamenti rappresentano precisi e inequivocabili segni dei livelli di stratificazione
sociale ed economica in cui la città organizza e articola la secolare opposizione dialettica tra
egemonia e subalternità. Quell’intenso pendolarismo che avveniva tra le due sponde del
Mediterraneo sin dalla seconda metà dell’Ottocento, che poteva far assimilare questo
movimento di uomini tra nazioni confinanti alla categoria delle migrazioni di frontiera,
destinate ad un’esperienza provvisoria, con tempi e scopi ben prestabiliti, in realtà conteneva
già in sé delle ragioni non transitorie e non accidentali, anticipando dunque quanto si stava
modificando nelle dinamiche del mercato del lavoro internazionale e quanto sarebbe accaduto
di lì a qualche anno nella formazione dei massicci flussi di spostamenti provenienti dal Sud
del mondo.
La genesi di questo fenomeno tuttavia può farsi risalire alla dimensione locale nei rapporti
storici che da sempre sono esistiti tra le due rive del canale, tra la Sicilia e la Tunisia.
Indirettamente, però, si riconnette alla dimensione globale dei processi migratori, aprendo la
strada a quel drammatico movimento di fuga e disperazione che dagli anni ‘90 ad oggi ha
rovesciato sul Mediterraneo interi popoli di diversi continenti. Ripercorrendo le vicende
dell’immigrazione tunisina a Mazara non si può non collegarle alla prolungata e consistente
permanenza dei siciliani in Tunisia. Questo dato storico conferisce certamente all’arrivo dei
lavoratori magrebini in Sicilia una precisa connotazione di una ciclica riap-propriazione di
luoghi e di spazi a loro in qualche modo familiari.
Una delle peculiarità di questo movimento migratorio di questa presenza tunisina a Mazara del Vallo è
l’omogeneità del luogo di provenienza. Gli immigrati dicono non è che abitano a Mazara del Vallo ma a Mahdia
del Vallo contaminando insieme il qui e l’altrove. (Prof. Cusumano).
Questa prima forma migratoria caratterizzata dal pendolarismo era sostanzialmente di tipo
maschile. Erano i maschi tunisini, che nel canale di Sicilia facevano avanti e indietro, per
motivi di lavoro, venivano a lavorare in Sicilia, si imbracavano per pochi mesi racimolavano
un po’ di soldi e poi tornavano nella loro terra. Si trattava dunque di una forma migratoria che
nasce con precise caratteristiche e che inizialmente assume la configurazione di un fenomeno
solo temporaneo e non definitivo.
Questa immigrazioni ha aspetti e caratteri peculiari, ha caratteristiche e anomalie, perché ha caratteri
pionieristici. Si colloca in una fase precedente più precoce del moto che ha investito poi tutta l’Italia e nella sua
genesi non ha a che fare con quelli che si definiscono oggi i fenomeni della globalizzazione. Questo fenomeno si
spiega all’interno della storia del Mediterraneo e del fenomeno del movimento demografico e del pendolarismo,
che hanno sempre interessato queste due sponde del Mediterraneo. Questo fenomeno quindi potrebbe essere
assimilato ad un processo di rifrazione della presenza dei siciliani in Tunisia. Un pendolarismo che inizia per
motivi di lavoro e di relazioni sul canale; la migrazione è un paradigma del canale di Sicilia questa popolazione è
intrappolata dentro questo canale che produce scambi, vincola, contaminazioni, scontri e confronti. È dentro
questo universo che va collocata la genesi di questo fenomeno. C’è la prossimità geografica ma c’è anche e
soprattutto la ragione storica. Io cominciai questo lavoro nel 1970 e feci una tesi di laurea su questo argomento i
tunisini erano poche decine e venivano in realtà dietro il passaparola, dietro relazioni amicali che si erano
concretizzati in terra di Tunisia, siciliani, mazaresi, trapanesi che avevano avuto relazioni ed esperienze di lavoro
li. (Prof. Cusumano).
Col passar del tempo questa prima forma migratoria abbandona le sue peculiarità e il suo
carattere pionieristico e assume nuovi tratti: tra i quali quello della stanzialità. L’elemento
determinante è l’arrivo in Sicilia delle donne tunisine. L’arrivo delle mogli interrompe la
solitudine e l’emarginazione.
Con la presenza delle donne tunisine, nella città di Mazara, si forma una piccolissima
comunità, dai confini ben delimitati e circoscritti. Si tratta di una comunità che parla l’italiano
molto male utilizzando quasi esclusivamente l’arabo. I maschi tunisini sono assorbiti com-
230
pletamente dal lavoro nel settore marinaro, e sono assenti e lontani dalle proprie famiglie;
mentre le donne tunisine si occupano della casa e della cura e dell’istruzione dei figli.
Da allora ad oggi il fenomeno dei ricongiungimenti ha moltiplicato il numero delle donne,
ha accentuato la visibilità degli stranieri e ha contribuito a dare una certa stabilità agli equilibri dei flussi. Inevitabilmente, Mazara ha conosciuto un’evidente e graduale mutazione
demografica, registrando in pochi anni una crescita esponenziale di bambini tunisini, tanto da
detenere in questo dato un vero e proprio primato, essendo il numero dei giovanissimi pari ad
un terzo dell’intera comunità immigrata: più di mille su un totale di tremila.
La particolarità del modello migratorio di Mazara è rappresentata dalla stanzialità della
famiglia tunisina e da un tipo di pendolarismo stagionale che, contrariamente a quanto
accadeva in precedenza, coinvolge adesso tutta la famiglia, che nei periodi di non lavoro o per
motivi di rinnovo del visto, fa ritorno in Tunisia. Proprio a causa di questa permanenza
stagionale, più o meno stabile di alcune famiglie tunisine in Sicilia, che il governo tunisino
decide di aprire una scuola tunisina a Mazara del Vallo per i propri connazionali che vivono
li.
Inizialmente, molti bambini tunisini venivano iscritti alla scuola tunisina. Questa scelta
implica la grande volontà di mantenere forte la propria identità culturale e le proprie radici e,
soprattutto, l’intenzione di non volersi mescolare con la popolazione autoc-tona. Far
frequentare ai propri figli una scuola tunisina, in cui la lingua italiana non è insegnata, è
sinonimo di chiusura e di non integrazione.
La scuola tunisina è stata istituita nel 1981, per iniziativa del governo nord-africano,
risponde ad una politica culturale che tende a tenere separata la comunità immigrata da quella
locale, attraverso un rigido apparato pedagogico di socializzazione dei sentimenti nazionali, di
amore per quella patria che i bambini imparano attraverso le carte geografiche, la bandiera, i
discorsi e le immagini del presidente del governo tunisino. Questa scuola etnica per tanti anni
ha resistito alle richieste e alle nuove esigenze dei tunisini insediati a Mazara e solo di recente
ha introdotto nei programmi didattici l’insegnamento di qualche ora di lingua italiana.
Con il passar del tempo le donne tunisine si rendono conto dell’importanza dell’apprendere
l’italiano e alcune di loro cominciano a mandare i propri figli nelle scuole italiane. Questa
inversione di tendenza indica quello che si va progressivamente ma lentamente e confusamente modificando nei rapporti di forza non solo tra la comunità immigrata e quella locale
ma anche e soprattutto all’interno della stessa comunità tunisina, tra quanti (istituzioni e
gruppi) perseguono l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio culturale della tradizione araba
assumendo più o meno rigide posizioni di autosufficienza e di chiusura rispetto alla città di
adozione e quanti invece, singoli, famiglie, giovani, donne, tentano o vivono esperienze
inclusive di contatto e di apertura al nuovo e al diverso, in coerenza ad un progetto migratorio
che non è più di breve durata né a termine.
La scelta delle famiglie tunisine di mandare i propri figli nella scuola italiana rappresenta
un’ulteriore forma di diversificazione del modello migratorio conosciuto, si nascondono
dietro questa necessità elementi intenzionali di integrazione con la società autoctona.
Ancora oggi la scuola tunisina risulta frequentata da parecchi ragazzi tunisini (o meglio
mazaresi, perché sono nati qua, ma sono figli di tunisini, che sin dalle elementari decidono di
iscriverli li). Purtroppo questi ragazzi arrivano alle scuole medie, con gravi lacune e difficoltà
nell’apprendimento (dovute alla non conoscenza dell’italiano) che li porta, poi di frequente,
all’abbandono scolastico.
Altro indicatore importante è il ruolo della donna tunisina che risulta differente rispetto a
quello ricoperto in passato. La donna tunisina ha acquisito nel tempo un ruolo che comporta
crescenti responsabilità che prima erano prettamente maschili. Anche se non parla l’italiano (o
lo parla poco e non lo scrive) non conosce bene neppure l’arabo (se non in forma orale, e
dialettale) cerca in qualche modo di interagire con la comunità di accoglienza, per le più
231
normali circostanze: fare la spesa, iscrivere i bambini a scuola etc. Mentre la donna araba pur
restando chiusa all’interno dei valori della propria identità, si mette in gioco ed impara le cose
fondamentali della società autoctona insieme alla lingua; il marito segue un suo percorso di
vita diverso a quello del resto della famiglia e quando ritorna ha più difficoltà di adattamento.
Di stranieri integrati socialmente e occupazionalmente c’è ne sono pochi di un livello culturale superiore.
Essendo occupati in gran parte con la pesca sono tutti con queste caratteristiche, ci sono quelli che lavorano nei
cantieri navali, nelle cave, in agricoltura. Qualche donna lavora fanno le badanti. Questo distrugge un altro
stereotipo della donna araba che la donna che ha cura di altre donne e altri uomini in famiglie diverse
trasgredisce quel tabù che noi abbiamo in mente della donna musulmana. Poi c’è un altro fatto importante che di
recente sta crescendo il fenomeno di una auto-imprenditorialità femminile, c’è un piccolo ristorante, negozi di
artigianato, bancarelle ai mercatini. Segni contraddittori per esempio li c’è lo scarso numero di gente che chiede
e ottiene la cittadinanza e un elevato numero di pensionati che vive e continua a vivere qua. Considerano l’altra
sponda vicina ma lontana (caratteristica della pendolarità, il vaio e vegnu) cresce il numero degli iscritti al
sindacato ed invece è ancora molto basso il numero di coloro che seguono corsi di formazione professionale
nell’ambito del loro lavoro. L’anomalia è data dalla conflittualità tra la durata della presenza degli immigrati qua
infatti (migrazione risale al 1968) le donne sono arrivate qua negli anni ‘80, le famiglie si sono costituite alla fine
degli anni ‘80, era inizialmente un fenomeno prettamente maschile e caratterizzata dal pendolarismo, poi la
presenza della donna (è stata fondamentale) qua ha creato quell’immagine più rassicurante della comunità ed ha
favorito un radicamento ed una stabilizzazione. (Prof. Cusumano).
La donna tunisina è dunque il pilastro fondamentale della famiglia è quella che si occupa
della cura della casa e dei figli e che cerca di capire come funzionano le cose nella città che li
accoglie (posta, banca, medico) le cose più semplici ma fondamentali.
C’è lo stereotipo relativo alla donna araba che è completamente smantellato e smentito, che la donna araba è
chiusa, nel suo velo, che è chiusa non è vero. La donna araba qua in Sicilia, a Mazara, cioè la donna tunisina ha
lo strumento del grimaldello per entrare dentro la società, per penetrare negli uffici, avere accesso agli sportelli,
avere confidenza con le banche, entrare a scuola e seguire il percorso dei figli, un sistema di attenzioni e di
funzioni che fino ad allora erano state delle funzioni prevalentemente maschili e invece qui le assume la donna
araba. (Prof. Cusumano).
Mahdia del Vallo per i tunisini rappresenta il luogo di lavoro, la terra dei sacrifici e quando
tornano in Tunisia vivono e spendono ciò che hanno guadagnato, ostentando un modello di
ricchezza che invece è ricavato con tante difficoltà. In Tunisia si divertono fanno le feste tornano in estate per trascorrere le vacanze e a due passi c’è la terra del lavoro. Vivono a Mazara
ma quando c’è una festa da celebrare come ad esempio, la Pasqua, oppure un matrimonio,
tornano volentieri per un breve periodo nella loro terra amata. Ma i giovani della nuova
generazione, quelli nati qui in Sicilia, preferiscono rimanere, non vogliono tornare a vivere
nel paese dei loro genitori, se tornano lo fanno solo per brevi periodi. Loro si definiscono
tunisini di Mazara.
Sono tunisini di Mazara e non tunisini di Tunisi o di Mahdia, come statuto hanno però non è che soffrono di
stare in bilico tra due modelli di riferimento o tra due identità, in realtà loro riescono a sdoppiare questa identità
nel senso di viverla in maniera serena e di comportarsi e di risolvere le loro condotte in funzione della relazione
dei contesti. E questa diversificazione che li porta a dire di essere tunisini in alcuni momenti e di essere italiani in
altri. Qual è il rischio? Il rischio è la “doppia assenza”, possono essere estranei qui e estranei lì. Loro non vivono
la Tunisia in alternativa alla Sicilia ma la vivano in alternanza, nel senso che la Tunisia è per i giovanissimi (per
quelli nati qua e questa è un’altra peculiarità di questa migrazione la percentuale molto alta di minori stranieri,
loro dicono in sostanza che la Tunisia è il luogo dove vanno a villeggiare in estate). La ragazze tentano di
adeguarsi più fortemente al modello culturale italiano, perché soffrono ancora di più lo scarto tra il desiderio e le
costrizioni familiari e quindi le ragazze che vorrebbero essere con le gonne corte e il rossetto sulle labbra
pensano al loro marito come un tunisino dai capelli biondi e gli occhi celesti. Questo c’è nel loro immaginario. Io
considero questa ambivalenza una delle carte più positive del processo di integrazione, le ragazze tunisine, con il
velo islamico, truccate, jeans e scarpe da tennis e il lettore mp3 alle orecchie. (Prof. Cusumano).
232
L’Islam mazarese si configura con dei tratti abbastanza pacati e privati. I tunisini che lo
praticano lo vivono ed interpretano senza ostentarlo (forse anche per motivi di integrazione
con la società autoctona, come infatti emerge da alcuni colloqui in profondità realizzati con
famiglie tunisine). Lo vivono con sobrietà e pudore. La loro chiesa infatti (istituita nel 1995)
non può essere definita una moschea. Si tratta di un locale angusto, un vecchio magazzino
dimesso e riadattato, frequentato da pochi tunisini. Se è vero che il mare trattiene i pescatori
per lunghi periodi ed impedisce loro una partecipazione alla pratica religiosa pubblica, è
anche vero che l’esercizio religioso (in emigrazione) appare un fatto prevalentemente privato
e che l’ambiente e la condotta dei migranti offre un’immagine piuttosto laicizzata. Gli appartenenti alla comunità si definiscono tunisini ancor prima che musulmani. La loro chiesa (la
moschea) che si trova nel centro della Casbah è riconoscibile perché all’esterno si può vedere
un disegno stilizzato e piuttosto semplice di una moschea sul muro.
I segni evidenti di una inclusione spaziale nel centro storico della città, sono senza dubbio
progrediti e sembrano svilupparsi nel tempo. Dentro un perimetro abbastanza ridotto si è
formata una mappa di riferimenti di luoghi e persone, si è ricostituita una vita di strada e di
vicinato, si va ricomponendo attorno ai percorsi degli immigrati un tessuto smagliato di vicoli
abbandonati. Si sono aperti locali in cui si beve il tè e si fuma il narghilé sono sorte delle
macellerie che vendono la carne secondo le tecniche di macellazione halal, si sono moltiplicati i punti di import-export di telefonia internazionale e di sportelli finanziari e di recente
sono sorti anche vari negozietti, che evidenziano la capacità imprenditoriale femminile. Si
tratta di punti vendita di detersivi, articoli per la casa, profumi e spezie. Il modello di
insediamento dei tunisini nella città di Mazara assume aspetti sempre più diversi e talvolta
contrastanti; nuovi tratti che lo rendono unico e lo differenziano radicalmente dal modello di
insediamento finora conosciuto.
Le differenze tra oggi e ieri: allora mentre in passato, la comunità tunisina, aveva una sua più compatta identità,
e una sua riconoscibilità nella sua struttura interna, per cui c’è un reticolo sociale orizzontale, che comunicava
solidarietà interna e rendeva visibile anche nella sua chiusura la comunità in quanto tale invece, oggi, per
pragmatismo individuale l’uscita dal centro storico si accompagna alla disgregazione di quel senso di comunità,
su cui si esercitava un controllo di reticolo anche verticale. Perché su questa presenza si è sempre praticata
un’attività di controllo da parte del governo tunisino sulla comunità immigrata qua. E si esercita anche oggi una
sorta di controllo, anche se oggi questa è più indebolita. Oggi la cosa è un po’ cambiata. Quella comunità di cui
parlavo - che aveva una sua riconoscibilità nei suoi tratti interni e nei suoi confini territoriali all’interno di quella
che si chiama Casbah - è adesso una comunità che non ha mai assunto i caratteri di una minoranza (con quello
che significa oggi minoranza) cioè rivendicazione, diritti, precisa leadership, rappresentativa; questa comunità
ora è tanto più debole da questo punto di vista. La debolezza della struttura minoritaria, cioè della funzione
rappresentativa della comunità è proprio la forza di questo fenomeno; attraverso le vie di uscita di questi giovani,
insomma, sta crescendo una generazione di giovani tunisini che non si sentono uguali ai coetanei italiani ma non
si riconoscono più nella loro identità. Oggi il fenomeno migratorio è caratterizzato dal fatto che il flusso si è
stabilizzato. Il tasso di natalità è elevato e questa città cresce demograficamente (lo si vede dai dati, si evince che
il tasso di natalità tra gli immigrati è alto) proprio grazie al contributo dei tunisini. Loro più che tunisini si
definiscono mazaresi e vedono in questa città non il modello ideale ma un luogo in cui hanno imparato a non la
lingua italiana perché loro sono padroni di due mezze lingue e non lo scrivono ne l’uno ne l’altro, non scrivono
in arabo e né in italiano, hanno perduto la capacità di scrivere l’arabo e non hanno acquisito la capacità di
scrivere in italiano. Perché i percorsi scolastici risultano dunque molto frammentati. (Prof. Cusumano).
Le difficoltà linguistiche che da sempre accompagnano la presenza dei tunisini a Mazara,
rappresentano un altro indicatore importante di non integrazione con la comunità di
accoglienza. Chi paga le conseguenze oggi sono le nuove generazioni, quelli nati a Mazara,
che frequentano la scuola tunisina e che parlano l’arabo in famiglia e solo oralmente
l’italiano. Hanno tante difficoltà nell’apprendimento perché arrivano alle scuole medie con
gravi carenze, e difficilmente riescono a seguire e ad imparare. Questi ragazzi cercano in tutti
i modi di adeguarsi al modello culturale occidentale predominante, restando chiusi in una
sfera in cui i due modelli culturali si incontrano e si scontrano. Quel che è certo è che le
233
giovani generazioni vogliono restare a Mazara e non tornare nel paese d’origine dei genitori.
Il modello di insediamento degli immigrati stranieri a Mazara è bordeline, si tratta di un
segmento di popolazione che è svantaggiato in partenza, per cui la domanda delle famiglie di
stranieri alla scuola (l’unica agenzia di socializzazione per loro accessibile) è molto elevata, e
spesso mancano i tempi ed i modi per mettere in pratica una integrazione sistematica.
La scuola italiana deve tuttavia fare i conti con la presenza della scuola tunisina, tuttora
frequentata da molti giovani mazaresi-tunisini. Nonostante da circa 15 anni tutte le scuole di
Mazara (quelle che hanno una presenza di alunni stranieri) si siano attivate e messo in pratica
programmi di educazione interculturale, di insegnamento dell’italiano agli alunni stranieri
come L2, di corsi di arabo come L2, e di corsi di lingua rivolti alle famiglie (con progetti
finanziati ad hoc), il divario da colmare è davvero enorme.
Mazara del Vallo è dunque una terra di frontiera, ha una radice storica e culturale improntata al confronto continuo con il mondo arabo, la sua economia è basata prevalentemente
sulla pesca (vanta di fatti un’imponente numero di pescherecci i cui equipaggi spesso sono
composti da mazaresi e tunisini). La colonizzazione urbana dei tunisini è avvenuta quasi
senza traumi per la città di accoglienza visto che il processo di insediamento è avvenuto
sostanzialmente nelle zone più antiche del centro storico (l’antica Casbah) lasciate libere
dall’urbanizzazione della città e dagli effetti dei terremoti.
Le scuole, insieme alle politiche scolastiche e a quelle sociali locali, si sono dovute
confrontare con molte difficoltà provenienti dall’insediamento della comunità tunisina ma
anche di recente con l’arrivo di altre presenza di stranieri (slavi, rom, cinesi).
Sono stati sperimentati e realizzati con successo alcuni progetti (Progetto Crescere nella
diversità, progetto Prisma, Nodi a mano, che hanno coinvolto varie scuole) tesi al mantenimento delle tradizioni e della cultura araba con il finanziamento di corsi di italiano come L2
sia per gli alunni sia per i loro genitori insieme ai corsi di lingua araba come L2 che
coinvolgono più classi dei vari istituti.
Nonostante in alcune scuole vi sia una presenza significativa di studenti stranieri, tuttora
non si dispone di un mediatore culturale che faciliti l’ingresso degli alunni stranieri e funzioni
da interfaccia con le loro famiglie.
Dal punto di vista politico, è stata assicurata la presenza in Consiglio Comunale con la
nomina di un loro rappresentante (Mohamed Zitoun). In molte delle famiglie tunisine di oggi i
figli sono nati a Mazara, parlano italiano, non conoscono la terra dei loro padri, appartengono
culturalmente a un’identità sociale che però non li riconosce totalmente né come italiani, né
come magrebini. Per decenni, la convivenza con la comunità tunisina non ha retto né
sull’integrazione né sull’assimilazione ma sulla “razionalità economica”.
Due fatti nuovi però intervengono a modificare questo assetto: l’apertura dell’Unione
Europea ai paesi dell’Est che ha portato anche a Mazara nuovi visi, nuovi stranieri mai visti
prima, nuove culture, e nuove povertà: gli spazi urbani degradati sono stati occupati da
kosovari, rom e rumeni. Questi ultimi, a differenza della comunità tunisina, non hanno un
lavoro e vivono talvolta al limite della legalità. Faticano ad averlo perché quello solitamente
destinato agli immigrati è svolto dai tunisini. I loro figli tuttavia frequentano le scuole di
Mazara. La loro capacità di seguire il percorso scolastico dei figli è davvero molto ridotta, e
non esclusivamente per problemi di lingua, ma soprattutto perché vivono la scuola come un
ente assistenziale.
I nuovi immigrati non sono sempre necessari da un punto di vista economico, anzi possono
aumentare la preoccupazione di un equilibrio socio-economico che vacilla sotto il peso
dell’attuale crisi. Questi newcomers sono fortemente discriminati dagli autoctoni e da una
parte rilevante degli stessi tunisini, avviati all’emulazione dello stile di vita italiano. Gli slavi
hanno occupato a Mazara la parte più bassa della stratificazione sociale, elevando i tunisini al
rango immediatamente superiore: i tunisini non sono più gli ultimi. Sono stati sostituiti e ne
234
sono contenti. Adesso quelli stigmatizzati come sporchi, che non si lavano, che vanno a
rubare sono i Rom (afferma un tunisino di prima generazione). A seguito della crisi molti
autoctoni in difficoltà economica rivendicano quei lavori che per decenni sono stati svolti dai
tunisini. Lavori faticosi, umili e mal pagati ma oggi preziosi. Cresce la percezione del diritto
degli italiani di avere un lavoro prima degli stranieri, accomunati in maniera indifferenziata
proprio in quanto immigrati. Non conta più ciò che è stato in passato nel momento in cui
crolla la colonna che ha retto la convivenza, cioè la “razionalità economica”.
Gli atteggiamenti più diffusi da parte degli autoctoni, sono sempre più improntati
all’indifferenza e allo strenuo mantenimento della distanza sociale con gli stranieri. Lo si vede
ad esempio dal fatto che è raro che un alunno mazarese vada a studiare il pomeriggio da uno
studente tunisino o di altra nazionalità, e viceversa. Gli studenti tunisini e gli altri stranieri
solitamente vengono seguiti da associazioni di volontariato per lo studio pomeridiano e in rari
casi da corsi di recupero scolastico attivati all’interno della scuola stessa al di fuori delle ore
curriculari.
Perché c’è questa vulgata che Mazara è laboratorio di multietnicità e di integrazione pacifica perché in realtà non
c’è conflittualità e c’è una convivenza sufficientemente pacifica perché non c’è integrazione. Oggi non possiamo
parlare di integrazione vera e propria: vite parallele e separate. Io ho scritto che questi immigrati sono:
socialmente invisibili, politicamente ininfluenti, culturalmente molto ingombranti e economicamente molto
convenienti; questo in grande sintesi è una formula che valeva quaranta anni fa e vale ancora oggi per molti
aspetti. Ci sono segni contraddittori per esempio, cresce il numero dei tunisini negli elenchi telefonici ma ci sono
ancora oggi pochi matrimoni misti se tu consideri che sono 40 anni che sono qua. Questo dipende dal fatto che
mancano i luoghi di scambio e di interazione, mancano gli spazi di interazione in cui può esserci una
comunicazione. Intanto lo spazio fisico, la città avverte nella Casbah ancora per quanto sia non più pienamente
abitata da immigrati tunisini e gli stessi immigrati tendono ad uscirne, ma percepiscono questo quartiere come
alterità come uno spazio altro, nessuna ragazza mazarese si avventura ad attraversare quelle strade che
appartengono a quel quartiere. (Prof. Cusumano).
La segregazione morbida, talvolta, praticata dagli autoctoni verso i tunisini, si sta lentamente modificando, e sta assumendo una forma malcelata di comportamenti che vanno
dall’indifferenza ad atteggiamenti di ostilità motivati dalla sensazione di opportunismo degli
ospiti verso il territorio che li accoglie (“gli stranieri non contribuiscono al bene comune,
prendono i soldi destinati ai nostri bisognosi”, affermano due autoctoni pensionati) che
costituiscono leit motiv della percezione degli stranieri, di tutti gli stranieri presenti sul
territorio mazarese. La comunità italiana e quella musulmana, sebbene convivano nello stesso
territorio spesso non ne condividono l’appartenenza, ed è in questo senso di appartenenza che
dovrebbe a mio avviso costituire una premessa per una futura progettualità collettiva e
condivisa, presupposto imprescindibile per una concreta ed efficace integrazione. Oggi è più
semplice parlare di convivenza pacifica tra due modelli culturali e tra differenti popolazioni
più che di Mazara come esempio di integrazione. Queste popolazioni di stranieri sono ormai
stabili in questo territorio e pongono tutta una serie di tematiche, che mettono in crisi il
funzionamento delle istituzioni, delle scuole e i programmi che le istituzioni locali stanno
cercando di elaborare per affrontare al meglio la convivenza tra due comunità e due modelli
culturali differenti.
In tutta la provincia di Trapani, Mazara del Vallo si presenta con la maggiore concentrazion6e di alunni stranieri nelle scuole cittadine.
Si tratta di scuole che da più di quindici anni si sono dovute confrontare con un tipo di
utenza di origine straniera, e con le necessità e i bisogni degli alunni di origine straniera. Le
scuole con la più elevata presenza di alunni stranieri hanno attivato dei progetti e delle attività
finalizzati ad un equo e miglior inserimento degli alunni stranieri.
Le tabelle da 6.1 a 6.10 presentano per anno scolastico i dati aggregati di presenza,
frequenza, e livello scolastico degli allievi stranieri nelle varie scuole di Mazara.
235
Tabella 6.1 – Numero di alunni tunisini residenti che hanno frequentato la scuola tunisina a Mazara del Vallo
Anno
Maschi
Femmine
Scolastico
1996-1997
65
37
1997-1998
62
53
1998-1999
52
49
1999-2000
73
63
2000-2001
71
54
2001-2002
59
67
2002-2003
58
58
2003-2004
60
52
2004-2005
46
47
Fonte. Dati provenienti dalla scuola tunisina.
Totale
102
115
101
136
125
126
116
112
93
I dati sono stati forniti dalle scuole di Mazara del Vallo. È possibile notare l’aumento degli
studenti stranieri e anche la continuazione degli studi alle scuole secondarie di II grado anche
per le ragazze tunisine, che solitamente terminavano il percorso scolastico o alle elementari o
alle secondarie di I grado. Nella cultura araba la donna tunisina va in sposa giovanissima.
Come si evince dalla lettura della tabella 6.1, confrontando i dati del 1996 con quelli del
2005 si nota chiaramente come fino al 2004 c’è stata una crescita dell’utenza straniera nella
scelta della scuola tunisina, per diminuire nel 2005. La scuola risulta frequentata più dai
maschi che dalle femmine tuttavia è ancora oggi scelta da molte famiglie di tunisini per
l’istruzione dei loro figli.
Tabella 6.2 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 1996/1997
Tipo di scuola
Tunisini
Slavi
Scuola Materna
15
10
Scuola Elementare
13
23
Scuola Media
9
4
Totale
37
37
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Altre Nazionalità
0
0
0
0
Tabella 6.3 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 1997/1998
Tipo di scuola
Tunisini
Slavi
Scuola Materna
15
6
Scuola Elementare
31
22
Scuola Media
13
4
Totale
59
32
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Altre Nazionalità
0
0
0
0
Tabella 6.4 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 1998/1999
Tipo di scuola
Tunisini
Slavi
Scuola Materna
23
2
Scuola Elementare
17
22
Scuola Media
13
2
Totale
53
26
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
236
Altre Nazionalità
0
0
0
0
Tabella 6.5 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 1999/2000
Tipo di scuola
Tunisini
Slavi
Scuola Materna
24
2
Scuola Elementare
12
24
Scuola Media
13
6
Totale
49
32
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Altre Nazionalità
0
0
0
0
Tabella 6.6 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 2000/2001
Tipo di scuola
Tunisini
Slavi
Scuola Materna
24
2
Scuola Elementare
12
24
Scuola Media
13
6
Totale
49
32
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Altre Nazionalità
0
0
0
0
Tabella 6.7 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 2002/2003
Tipo di scuola
Scuola Materna
Scuola Elementare
Scuola Media
Scuola superiore
Totale
Tunisini
maschi
Tunisini
Femmine
Slavi
maschi
41
63
93
17
214
41
37
76
16
170
2
6
1
0
9
Slavi
Femmi
ne
2
5
2
0
9
Altre naz.
maschi
Altre naz.
femmine
Tot.
maschi
Tot.
femmine
0
1
0
0
1
0
0
0
0
0
43
70
94
17
224
43
42
78
16
179
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Tabella 6.8 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 2003/2004
Tipo di scuola
Scuola Materna
Scuola Elementare
Scuola Media
Scuola superiore
Totale
Tunisini
maschi
39
78
124
31
272
Tunisini
femmine
42
51
93
32
218
Slavi
maschi
2
6
4
0
12
Slavi
femmine
2
5
8
0
15
Altre naz.
maschi
0
2
0
1
3
Altre naz.
femmine
1
2
1
0
4
Tot.
maschi
41
86
128
32
287
Tot.
femmine
45
58
102
32
237
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Tabella 6.9 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 2004/2005
Tipo di scuola
Scuola Materna
Scuola Elementare
Scuola Media
Scuola superiore
Totale
Tunisini
Maschi
61
74
110
57
302
Tunisini
femmine
33
49
104
47
233
Slavi
maschi
1
9
3
0
13
Slavi
femmine
2
6
4
0
12
Altre naz.
maschi
1
3
5
1
10
Altre naz.
Femmine
3
4
1
1
9
Tot.
maschi
63
86
118
58
325
Tot.
femmine
38
59
109
48
254
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Nella scuola Aiello vengono attivati dei corsi per l’insegnamento dell’italiano come L2 e
dei corsi di arabo come L2 per gli alunni stranieri.
Oggi c’è un progetto sperimentale che purtroppo non è attribuito a tutte le classi per mancanza di risorse
finanziarie, con l’aggiunta di ore opzionali, la lingua araba sia i bambini italiani sia bambini tunisini insieme alla
237
la lingua inglese infatti sono tre ore di lingua araba. Tra le famiglie e la scuola talvolta si genera rapporto
difficile da realizzare perché ci vorrebbe una maggiora attenzione degli enti locali per avere questo tipo di
raccordo è vero che c’è da qualche mese la Consulta degli immigrati è un organo voluto dall’ente locale per
discutere le problematiche degli immigrati ed io in questo contesto partecipo come esponente diciamo della
scuola. I progetti iniziano circa dal 1998 con delle azioni interculturali e poi sono state meglio formalizzate dal
2000 in poi. Ci sono alcuni alunni di origine tunisina che si avvalgono pure dell’insegnamento della religione
cattolica anche se musulmani. Si tratta di attività di consolidamento o di recupero, attività di lingua italiana come
L2. Qua c’è la classe parallela è quindi il gruppo funziona anche come intergruppo non c’è problema quando
invece non è parallela allora si crea una struttura di organigramma di orario ad hoc con delle ore che
un’insegnante dedica a questo piccolo gruppo di bimbi. I gruppi sono misti poi noi abbiamo una percentuale per
classe non altissima cioè il numero massimo è di un terzo rispetto all’insieme della classe ha ventiquattro alunni
non arriviamo ad 8 in quella classe ma ne abbiamo anche 25, 26. (Dirigente scolastico scuola Aiello).
Tabella 6.10 – Inserimento nel tessuto scolastico degli alunni extracomunitari nel comune di Mazara del Vallo
Anno Scolastico 2005/2006
Tipo di scuola
Scuola Materna
Scuola Elementare
Scuola Media
Scuola superiore
Totale
Tunisini
Maschi
19
95
97
78
329
Tunisini
femmine
36
50
106
62
254
Slavi
maschi
3
8
5
0
16
Slavi
femmine
2
6
1
0
9
Altre naz.
maschi
3
7
3
0
13
Altre naz.
femmine
4
8
5
0
17
Tot.
maschi
65
110
105
78
358
Tot.
femmine
42
64
112
62
280
Fonte. Dati provenienti dalle segreterie delle scuole di Mazara.
Si tratta di corsi di formazione esterni all’attività didattica del curricolo che vengono
finanziati appositamente, e che di recente hanno avuto un andamento piuttosto saltuario.
Questi corsi che non coinvolgono tutte le classi della scuola, anche se i bambini stranieri (così
come previsto dalla normativa scolastica) vengono distribuiti in maniera eterogenea in tutte le
classi. Oggi ci sono circa 8/10 bambini stranieri per classe. Sono bambini nati a Mazara ma in
prevalenza di origine tunisina insieme ad una piccola percentuale di presenza di marocchini e
di slavi. Questi corsi di lingua (L2) sono estesi anche agli alunni italiani.
Si tratta di una scuola che proprio perché localizzata nel centro storico cittadino si è trovata sin da subito ad
affrontare le problematiche derivanti dalla composizione di una popolazione scolastica mista, con una
significativa presenza di bambini italiani, figli di immigrati stranieri. Si compone di una scuola elementare e
materna, in cui si è registrata negli ultimi 10 anni un’elevata presenza di extracomunitari. Sono per lo più
bambini nati a Mazara del Vallo, quindi, di fatto di nazionalità italiana ma figli di genitori stranieri. È una scuola
elementare e materna. Ci sono anche dei casi di alunni che iniziano (ma sono davvero pochi) che si iscrivano alla
prima elementare, poi magari qualcuno non si presenta perché c’è la scuola Tunisina La lingua italiana li non
viene insegnata. Questa scuola è frequentata da parecchi bambini che la scelgono perché i genitori pensano di
ritornare o nel loro paese di origine o quanto meno far tornare i figli. La certificazione rilasciata da una scuola
italiana per loro non sarebbe equiparata al conseguimento dei titoli di studio che vengono rilasciati in Tunisia.
(Dirigente scolastico scuola Aiello).
La scuola materna ed elementare Aiello ha messo in pratica diversi progetti di intercultura
e di insegnamento di lingua italiana come L2 (per gli alunni stranieri e per i genitori di questi
con grosse difficoltà linguistiche). Tra i progetti più interessanti si ricorda: il progetto
Crescere nella Diversità (a.s. 2005/2006) i cui obiettivi trasversali erano quelli di indurre i
bambini stranieri a raccontare e socializzare la loro storia con i bambini mazaresi della stessa
classe. In classe si ricavavano dei momenti in cui si scambiavano informazioni sul paese
d’origine, sulla storia e cultura del paese di provenienza attraverso il racconto delle feste
oppure il disegno. I bambini stranieri erano stimolati dall’insegnante a collocare le proprie
tradizioni nello spazio e nel tempo attraverso il racconto di fatti ed esperienze vissute.
All’interno dello stesso progetto (di durata annuale) venivano attivati alcuni laboratori: il
più importante era quello di Lingua Italiana come L2.
238
In questa scuola (come anche nelle altre scuole che risultano presenti nel territorio di
Mazara) non esiste la figura del mediatore culturale. Dunque la scuola si avvale, per le
proprie necessità (comunicare con le famiglie che non parlano l’italiano e comunicare con gli
alunni stranieri che hanno difficoltà con la lingua italiana durante il normale svolgimento
dell’itinerario scolastico del curriculo) dell’insegnante di arabo che svolge, a titolo gratuito, il
ruolo e la funzione di mediatore culturale. La presenza ed il supporto dell’insegnate di arabo
è tuttavia di carattere eccezionale.
La prevalenza di nazionalità di questi bambini è quella magrebina. Il contatto con una cultura e una lingua
diversa dalla loro non è sempre facile. Il frequentare la scuola, sin dalla materna è fondamentale poiché già ci si
ritrova con una acquisizione della lingua italiana orale e scritta abbastanza corretta; per cui poi l’inserimento
nella scuola primaria diventa più facile. Si tratta di bambini che in famiglia parlano l’arabo e poi un italiano non
corretto, e che indipendentemente dalle origini, danno luogo talvolta a situazioni di conflittualità. Si tratta di
conflittualità propria dell’essere bambino e che non ha origine nell’appartenenza etnica. I rapporti con gli
insegnanti sono di buona norma, tranne qualche caso di incompatibilità così come succede nel caso dei bambini
italiani. Qualche caso limite è dovuto a situazioni problematiche più forti, che attengono alla composizione
familiare o a problemi proprio che la famiglia si porta con se. Non c’è l’educatore, né il mediatore culturale.
(Dirigente scolastico scuola Aiello).
L’istituto Aiello pratica il tempo pieno sia per la scuola materna sia per quella elementare.
Gli alunni interrompono l’attività scolastica e si recano alla mensa per il pranzo. Certamente
questo momento, insieme a quello della ricreazione, è un momento importante di dialogo tra
bambini di origine straniera e bambini autoctoni, di scambio e di confronto tra modelli culturali diversi, oltre che di socializzazione. Si rispettano le tendenze alimentari dei bambini musulmani.
C’è una mensa della scuola materna, e del cibo preparato appositamente per i musulmani che rifiutano la carne di
maiale. La mensa è esterna ed è fornita dal Comune dietro il pagamento di una quota dei genitori. Le figure che
affiancano l’azione dei docenti della scuola e delle famiglie con dei progetti particolari e specifici sono uno
psicologo, che fa formazione ai docenti e alle famiglie, però indistintamente sia che sono di origine straniera che
siano italiani. Dipende dal caso particolare che va trattato c’è questa figura di appoggio ormai da qualche anno a
progetto e proprio formazione in se per se al quale partecipano sia i docenti che le famiglie. È da circa quindici
anni che si mettono in piedi progetti per l’intercultura che negli ultimi anni hanno dato qualche risultato.
Nell’anno scolastico 2005/2006 è stato realizzato un progetto intitolato l’Integrazione Scolastica finalizzato a
interventi di integrazione linguistica e culturale degli alunni stranieri frequentanti l’istituto ed i genitori avevano
la possibilità di avvalersi della facoltà di iscrivere i propri figli ai corsi di lingua araba organizzati dalla scuola.
Dunque garantire un’effettiva integrazione degli alunni extra-comunitari; il diritto allo studio; la formazione
della persona; il miglioramento dell’offerta formativa; lo sviluppo (emotivo, affettivo, relazionale) degli alunni
promuovendo la comunicazione e l’interazione tra gli individui appartenenti a culture diverse; l’idea di
intercultura che nasce dalla diversità; garantire lo studio della lingua e della cultura italiana e della lingua e della
cultura araba; strutturare le condizione di base per la prosecuzione degli studi in Italia o in Tunisia o in qualsiasi
altro luogo; rilasciare un titolo valido o certificazione che sia equiparato anche in Tunisia. (Dirigente scolastico
scuola Aiello).
L’Istituto ogni anno organizza i momenti di accoglienza dei genitori degli alunni inscritti e
degli alunni stessi, ed effettua periodicamente (all’inizio, in itinere e alla fine dell’anno) delle
valutazioni sia delle attività formative promosse nell’arco dell’anno sia dei monitoraggi sui
momenti di accoglienza per valutarne le modalità messe in pratica.
La scuola Aiello è collocata nel quartiere più antico della città, quello di Santa Caterina, a
pochi passi dalla Casbah, il perimetro all’interno del quale vivono tuttora la maggior parte
degli stranieri di Mazara. Il quartiere presenta un sistema di stratificazione sociale piuttosto
bipolare: l’anello periferico del centro storico risulta abitato da Mazaresi della mediaborghesia, e dalle classi più benestanti; la parte centrale (la Casbah) risulta abitata da stranieri
in prevalenza di origine tunisina. La scuola è un luogo di incontro e di interazione non sol-
239
tanto tra due differenti modelli culturali ma anche tra famiglie e tra i bambini italiani, di
mazara, e bambini di origine tunisina.
La scuola rappresenta l’unico spazio in cui i bambini di Mazara e i bambini stranieri si
incontrano e si confrontano. Fuori dall’ambito scolastico aumenta la distanza sociale tra le
famiglie e i bambini autoctoni e le famiglie e i bambini stranieri. L’esistenza di questa
distanza sociale, nonostante lo spazio territoriale che divide i tunisini dai mazaresi sia
abbastanza ristretto, dipende dalla distanza e dalla non integrazione tra le due comunità.
Nonostante i corposi finanziamenti verso questa scuola che hanno permesso anche la
realizzazione di molte attività progettuali che si sono reiterati nel corso di diversi anni, tutte
queste azioni sono risultate non pienamente efficaci né soddisfacenti. Quello che è venuto a
mancare è la continuità di questi progetti negli anni, ma soprattutto il coinvolgimento di più
classi all’interno della scuola (ogni progetto coinvolgeva due classi al massimo in orizzontale
es. due prime o due seconde). Si tratta di progetti che hanno una durata troppo breve per
raggiungere pienamente gli obiettivi. Il problema più difficile da affrontare sono le lacune che
questi bambini presentano sin dall’inizio del percorso scolastico nella lingua italiana, di
conseguenza l’apprendimento di tutte le altre materie previste dal curricolo diventa più
difficile ed in alcuni casi impossibile.
In tutte le scuole manca il mediatore culturale. Questa figura certamente sarebbe utilissima
in una realtà come Mazara del Vallo. In tutta la provincia di Trapani la situazione risulta
essere ancora un po’ a macchia di leopardo. Il mediatore culturale non è attualmente un ruolo
istituzionalizzato, come invece è l’insegnante di sostegno, non è previsto in pianta organica e
a Mazara lo si coinvolge nel sistema scolastico con i progetti, con l’aiuto economico degli enti
locali attraverso dei finanziamenti ad hoc per l’utilizzo nelle scuole di questa figura
professionale indispensabile in una realtà come Mazara del Vallo.
Nella realtà scolastica considerata, si rilevano atteggiamenti di diffidenza tra i genitori
italiani e i genitori stranieri e di non collaborazione se non strettamente prevista dai momenti
di accoglienza strutturati dalla scuola: riunioni con i genitori e gli insegnanti e i consigli di
interclasse. Non c’è comunicazione o reciprocità al di fuori dall’ambito scolastico tra famiglie
straniere e famiglie mazaresi. C’è una pacifica convivenza. I rapporti tra gli insegnanti e i
genitori stranieri sono generalmente di buona norma tranne che in qualche caso eccezionale
che tuttavia può anche verificarsi con i genitori italiani. Non capita mai che i bambini
mazaresi vanno a fare i compiti a casa dei bambini tunisini o viceversa.
Non ci sono casi di fuga di famiglie italiane per la presenza di bambini stranieri. L’Istituto,
vista la centralità dell’ubicazione viene comunque scelto dalle famiglie mazaresi senza troppe
difficoltà.
Gli alunni tunisini frequentano regolarmente le lezioni previste dal calendario scolastico,
non ci sono casi evidenti di abbandono scolastico, qualche caso di allontanamento dalla
scuola per motivi familiari (ritorno in Tunisia per qualche mese) che tuttavia viene comunicato dalle famiglie all’istituzione scolastica che rilascia una autorizzazione.
Per volontà della preside nell’Istituto Aiello non è stato possibile effettuare un’osservazione partecipante in aula. Tutti i dati raccolti, relativi alla tipologia e qualità dell’offerta
formativa; alla progettazione del curricolo; alla progettazione e svolgimento dei progetti extra
curriculari sono stati ricavati attraverso due colloqui in profondità con la preside dell’istituto
e con un’insegnante.
La scuola attualmente non è dotata di un sito web, dal quale sia possibile ricavare, come è
stato fatto per le altre due scuole scelte, delle informazioni sulla popolazione scolastica (i cui
relativi dati sono stati acquisiti mediante l’ufficio scolastico provinciale di Trapani) né
reperire il POF (piano offerta formativa) né i vari progetti di educazione linguistica e di
intercultura messi in pratica nei vari anni scolastici.
240
L’istituto Paolo Borsellino è anch’esso situato nel cuore del centro storico cittadino,
adiacente alla scuola Aiello e vicino al quartiere della Casbah. Si tratta di un istituto
comprensivo che, per l’elevata presenza di alunni stranieri, è stato qualificato come un istituto
a rischio. Esso comprende: la scuola dell’infanzia; la scuola primaria; e una scuola secondaria
di I grado. La popolazione scolastica è composta da un’elevata presenza di alunni di origine
straniera rispetto alla popolazione scolastica autoctona.
La presenza di alunni di origine straniera è andata aumentando in maniera significativa di
anno in anno diminuendo nell’anno scolastico 2007/2008 e 2008/2009 (vedi tabella 6.11).
Tabella 6.11 – Presenza di alunni stranieri I.C. “P. Borsellino” anni scolastici 1999/2008
Anno scolastico
N. alunni stranieri
1999-2000
31
2001-2002
64
2002-2003
93
2003-2004
119
2004-2005
128
2005-2006
115
2006-2007
123
2007-2008
109
2008-2009
105
Fonte: I.C. “P. Borsellino”.
La situazione della struttura delle classi per l’anno scolastico 2008/2009 è la seguente: la
scuola dell’infanzia accoglie 4 sezioni della scuola materna statale (1 a tempo ridotto e 3 a
tempo normale), per un totale di 104 alunni di cui 3 (africani). La scuola primaria accoglie 12
classi per un totale di 252 alunni di cui 13 (africani). La scuola secondaria di I grado invece è
costituita da 16 classi per un totale di 309 alunni di cui 88 (81 africani, 5 slavi, 2 asiatici). Il
numero complessivo degli alunni che frequentano l’Istituto è di 638 di cui 104 sono stranieri
(16,3%). L’Istituto accoglie un’utenza molto eterogenea che proviene dal centro storico e da
altre zone della città. La popolazione scolastica del centro storico è caratterizzata sia da
autoctoni che da alunni di origine nord-africana e di vari gruppi composti da varie etnie slave.
Nell’Istituto operano 5 assistenti amministrativi e 14 collaboratori scolastici. Il personale
docente è composto da: 11 insegnanti di cui 2 di sostegno per la scuola dell’infanzia; 24
insegnanti e 3 di sostegno per la scuola primaria; 53 professori e 7 di sostegno per la scuola
secondaria di I grado.
Le classi vengono costituite seguendo alcuni criteri: formazione dei gruppi di alunni
seguendo le fasce d’età; in base alla situazione socio-ambientale di provenienza; equo numero
di alunni per classe; distribuzione equa degli stranieri in tutte le classi previa verifica della
conoscenza della lingua italiana e delle abilità di base.
Eventuali disagi derivanti dal contrasto culturale ... noi avvertiamo disagio da parte di questi ragazzi es. in classe
i ragazzi stanno insieme litigano è normale ma quando suona l’intervallo li si vede che vanno a cercare il
tunisino che è nell’altra classe fanno gruppo tra di loro li accomunano bisogni il disagio che vivono certo si
relazionano con gli italiani però se devo fare un’osservazione devo dire che ancora si cercano tra di loro. Li
accomunano i bisogni i disagi che vivono. Emergono note di conflitto che si affrontano a livello laboratoriale.
Noi abbiamo molti laboratori in questa scuola ad esempio nell’ora del laboratorio del giornalino. Loro dicono
non c’è problema ma c’è anche questa chiusura da parte loro della loro cultura loro sono più chiusi di noi non si
aprono facilmente hanno questa difficoltà che deriva dalla loro cultura specialmente con le donne. Ci sono altri
ragazzi che sono più aperti che cominciano ad inserirsi. Però ancora c’è una forma di pacifica convivenza non di
integrazione. (Vicepreside scuola Borsellino).
241
Tabella 6.12 – Presenza di alunni con cittadinanza non italiana nelle scuola di Mazara. Anno scolastico 20082009
Numero
Circoli didattici
351
Scuole medie
81
I comprensivi
581
Istituti di II grado
336
Fonte: Ufficio Scolastico Prov. di Trapani.
Dalla tabella 6.12 è visibile la distribuzione la presenza di alunni stranieri che hanno la
cittadinanza italiana nelle scuole della città di Mazara. La maggiore frequenza scolastica di
stranieri con cittadinanza italiana risulta quella degli Istituti comprensivi ed una minore
presenza sia alle elementari sia alle superiori.
Nello spazio territoriale dell’istituto, proprio per la sua centralità di ubicazione, nel cuore
della città, si trovano i servizi indispensabili per la città: ufficio postale; centri polivalenti di
cultura; museo; pinacoteca; biblioteca; centri di volontariato; associazioni; banche etc. Questo
è uno dei motivi per cui questo istituto viene ancora oggi scelto da molte famiglie mazaresi,
che vivono nell’anello periferico, che circonda la Casbah. Nonostante sia una scuola a rischio
l’istituto Borsellino risulta frequentato da molti alunni italiani. Sono presenti nel territorio
adiacente all’istituto il liceo classico, il liceo scientifico e gli istituti professionali: Ipsia,
Ipsam, Itc, Itis, Istituto regionale d’arte e alcune scuole private.
L’istituto Borsellino accoglie per la scuola media alunni che provengono dalla scuola
tunisina e che intendono proseguire il percorso formativo delle medie. I bambini che la
frequentano e che poi arrivano alle medie o alle superiori hanno più difficoltà dei bambini di
origine straniera, che iniziano il normale percorso scolastico nella scuola italiana sin dalla
scuola dell’infanzia. Le difficoltà sono sia nella lingua orale, che nella scrittura, questo deficit
li porta a non riuscire a seguire il resto del percorso scolastico progettato dalla scuola (o a
seguirlo con parecchie difficoltà nell’apprendimento) e soprattutto a non raggiungere gli
obiettivi di apprendimento prefissati dalla scuola.
La difficoltà linguistica è alla base, perché anche se hanno fatto la scuola elementare italiana e anche se sono nati
qua però vivono in un contesto di cultura, prettamente arabo; a casa con i genitori e tra di loro parlano arabo,
quindi, l’acquisizione della lingua italiana, per loro diventa un problema serio, perché una cosa è parlare e farsi
capire, una cosa è rapportarsi quindi con lo studio, con la lingua, scrivere. L’italiano poi è una lingua abbastanza
complessa per cui incontrano delle difficoltà proprio nella scrittura. Poi sono ragazzi che hanno un certo
svantaggio, è una cosa che si avverte e anche se con il passar degli anni … perché loro sono immersi in un
contesto in due culture che si incontrano e si scontrano e loro sono in mezzo e non sono né da un lato né
dall’altro e per loro è molto difficile ….Hanno difficoltà nello studio anche perché a casa non sono seguiti. Gli
mancano quei supporti che … secondo me la situazione però va migliorando io ho due ragazzi che sono studiosi
… il problema è un altro che oltre le difficoltà che incontrano per la lingua c’è da dire che tra un ragazzino
straniero ed un altro c’è differenza di intelligenza c’è quello più sveglio che apprende subito e c’è quello più
lento … è più lento nell’apprendere … ha delle difficoltà che messe insieme al problema culturale e di lingua
allora … quindi il ragazzino che ha una bella potenzialità e in più ha voglia allora riesce meglio. (Vicepreside
scuola Borsellino).
I problemi che hanno i ragazzi stranieri nella scuola frequentata sono sostanzialmente
riconducibili a difficoltà di tipo linguistico (di comprensione e di scrittura): questi ragazzi
anche se hanno seguito un percorso formativo nelle scuola italiana sin dalla prima infanzia,
non sono, tuttavia, riusciti ad apprendere quelle competenze necessarie della lingua italiana
che gli consentirebbero quella velocità nell’apprendimento le altre discipline di insegnamento.
A casa parlano generalmente l’arabo, con i compagni di scuola parlano in dialetto siciliano.
Pertanto il loro italiano risulta abbastanza instabile e non adeguato per il raggiungimento con
242
profitto anche delle altre discipline scolastiche. Scrivono male, parlano un po’ meglio ma
sempre e spesso con espressioni di dialetto.
L’istituto Borsellino ha sviluppato negli ultimi dieci anni una serie di attività di laboratorio,
attraverso la diversificazione delle normali attività didattiche e mediante i laboratori e con
corsi di lingua italiana come L2 (sia per gli alunni che per i genitori). I laboratori attualmente
attivi sono: Alla scoperta della mia città; Giochi di ieri e di oggi; Pittura e lavoro su vetro;
Avviamento ai giochi sportivi; Conversazione in Inglese; Decorazione della ceramica.
I suddetti laboratori coinvolgono indistintamente tutti gli studenti (italiani e stranieri) e
certamente rappresentano delle occasioni di scambio interculturale e di integrazione. I progetti
Por che sono stati realizzati, talvolta insieme agli allievi e ai genitori, sono: Insieme si può;
Nodi a Mano.
Il progetto di intercultura Nodi a Mano si è realizzato nell’anno scolastico 2007/2008 con
la Misura 3.08 del POR (Istruzione Permanente) e cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo,
aveva lo scopo di promuovere le pari opportunità. Nel progetto sono state coinvolte 20 donne
di origine straniera (tunisine) ma anche italiane. Il progetto che prevede un corso di intreccio
presso il laboratorio Amal (cooperativa presente nel territorio) si rivolge alle donne immigrate
e alle donne svantaggiate residenti nella città per la promozione delle pari opportunità. Con
questo progetto sono stati realizzati dei bellissimi tappeti da un gruppo di donne extracomunitarie insieme ad alcune donne mazaresi.
Sempre presso lo stesso Istituto è stato approvato in rete con l’Istituto Tecnico Commerciale Ferraris il Progetto POR Misura 6.06 azione E (attività volte a favorire il successo
formativo degli alunni in situazione di handicap) cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo, dal
titolo: Insieme si può. Il progetto prevede un corso di formazione rivolto ai docenti, uno
rivolto alle mamme delle due scuole della rete e un laboratorio di murales. Per entrambi i
progetti diverse sono le figure professionali coinvolte. L’istituto Borsellino mostra con
orgoglio: nelle sue stanze, aule, corridoi e palestra gli esiti di questo progetto: i murales che vi
sono raffigurati sono di carattere tematico: sulla legalità, sul dialogo tra persone appartenenti
a universi culturali diversi etc.
In questo istituto molto è stato fatto attraverso i laboratori, che costituiscono un’ottima
occasione di dialogo e di opportunità di crescita reciproca sia per gli alunni stranieri sia per gli
alunni autoctoni. Si promuovono idee e principi di dialogo interculturale e di reciprocità. Si
sono registrate in occasione delle varie attività di laboratorio delle relazioni di aiuto reciproco
e di collaborazione. In tutte le attività previste, tuttavia, il tempo scuola sembra essere l’unico
momento di contatto e di relazione tra stranieri e autoctoni poiché al di fuori della scuola gli
alunni stranieri e gli alunni autoctoni non trovano delle occasioni di frequenza neppure
durante il tempo libero dopo la scuola.
L’istituto tecnico professionale per l’industria e attività del mare (Ipsam) si trova lontano
dal centro storico cittadino, nella zona che è stata denominata Mazara 2. Si tratta di una zona
periferica che oggi è per la maggior parte abitata da persone che appartengono a un livello
socio-culturale medio-basso e di recente rappresenta la zona di espansione del centro storico.
L’Istituto è caratterizzato da un biennio di base e da un triennio che consente di conseguire una qualifica di operatore del mare. Dal punto di vista degli sbocchi professionali, il
titolo rilasciato, con la nuova normativa, non è ritenuto idoneo. Per lavorare nell’ambito del
mare è necessario un livello di studio più elevato. Il conseguimento di questo titolo
professionale rende possibile l’impiego e il lavoro nell’ambito dell’attività del mare o della
trasformazione dei prodotti che provengono dal mare ma non consente di raggiungere alti
livelli.
Questa scuola viene raggiunta con molte difficoltà dagli alunni stranieri che vivono nel
centro storico poiché si trova a vari chilometri di distanza ed in aperta campagna e non è
servita da servizi di trasporto per gli studenti. Nonostante queste difficoltà è una scuola scelta
243
e frequentata anche da stranieri che provengono dal centro, storico oltre che da quelli che
vivono nel quartiere di Mazara 2. L’Istituto coinvolge anche un cospicuo numero di studenti
mazaresi e presenta una discreta presenza di alunni stranieri (85).
La scelta di proseguire negli studi non è una scelta facile per le famiglie straniere ma
l’obiettivo è quello di far conseguire un titolo di studio che consenta poi una specializzazione
per trovare concretamente un lavoro. I ragazzi stranieri che frequentano questo istituto hanno i
padri che lavorano nel settore della pesca a Mazara. L’idea, tuttavia, è quella di avere una
specializzazione per lavorare nello stesso settore con una qualifica che potrebbe elevarli dal
livello di lavoro svolto dal padre.
Molti si iscrivono perché già sono all’inizio privi di interesse perché mi dicono, in maniera informale, che sono
qua con il permesso di soggiorno e dunque sono già in partenza disinteressati … invece altri frequentano,
vengono volentieri, in pochi raggiungono risultati anche brillanti. (Vice preside Ipsam).
Anche in questo Istituto le maggiori difficoltà incontrate dagli studenti stranieri derivano
dalla scarsa capacità linguistica acquisita negli anni precedenti, che rappresenta un ostacolo
nel proseguimento lineare delle attività didattiche.
Nella nostra scuole anche i nostri ragazzi siciliani che a casa parlano in siciliano e poi si confrontano a scuola
con una lingua straniera che è l’italiano. Molto spesso le difficoltà tra i ragazzi siciliani e gli stranieri hanno delle
difficoltà simili ... perché hanno un’altra abitudine a parlare a casa o con i loro amici non la lingua italiana ma il
siciliano. Questo è un problema comune sia agli alunni stranieri che quelli italiani. È chiaro che determinate
sfumature della lingua italiana che sono anche a volte complesse a volte per gli stessi italiani ... li per esempio
quando si cominciamo con la letteratura italiana hanno qualche difficoltà sul piano linguistico. Non tutti perché
poi dipende molto se le famiglie sono padre e madre tunisine, perché ci sono le anche le famiglie miste … e li
dove c’è un genitore italiano o soprattutto la madre di solito hanno una capacità linguistica molto sviluppata …
poi c’è chi frequenta la scuola tunisina hanno più problemi … Da un lato non vogliono perdere la loro identità
linguistica e culturale per questo frequentano la scuola tunisina poi questa scuola è gestita dal consolato della
Tunisia e noi non possiamo fare nulla. Il problema della scuola tunisina è un problema. (Vice preside Ipsam).
La scuola tenta attraverso un’attività progettuale di supportare queste carenze linguistiche
degli studenti di origine straniera organizzando vari corsi di Lingua come L2 talvolta destinati anche ai genitori di questi ragazzi.
I corsi di lingua vengono organizzati ogni anno. I ragazzi hanno la possibilità di colmare le lacune linguistiche
che provengono da un retroterra culturale in cui si sono formati … mi riferisco alle famiglie ... in cui i valori e le
tradizioni sono molto forti ... parlano in arabo e i ragazzi che frequentano la scuola tunisina arrivano alle medie e
ancor peggio alle superiori con deficit linguistici significativi. (Ins. Istituto Ipsam).
All’interno della scuola c’è anche un Centro di educazione permanente che organizza corsi
di lingua destinati agli studenti della scuola e agli adulti (negli orari pomeridiani ed extracurriculari); il range d’età a cui sono destinati oscilla dai 16 ai 64 anni.
Il problema è paradossalmente questa scuola araba .. la presenza di questa scuola araba perché … non dando …
anche se io condivido la voglia di mantenere la tradizione … ma questo fa si che i ragazzi che arrivano nella
scuola media abbiano degli handicap ... e hanno problemi di lingua di modo di vivere non imparano la corretta
lingua italiana … ma dipende anche dal contesto in cui vivono molti infatti sanno parlare solo il dialetto siciliano
… la situazione è variegata. (Vicepreside Ipsam).
In questa scuola sono rari i casi di abbandono scolastico; la maggior parte degli alunni di
origine straniera riesce a conseguire il diploma. Per loro è importante finire la scuola perché
con il diploma possono accedere più facilmente al mondo del lavoro. La scelta ricade sugli
istituti professionali e non solo all’Ipsam ma molti scelgono di andare fuori Mazara, a
Castelvetrano, per frequentare l’Istituto alberghiero.
244
La scelta da parte dei genitori stranieri degli istituti professionali per i loro figli è legata
alla possibilità concreta di trovare lavoro. Sono rarissimi i casi di scelta di un liceo, un
esempio è rappresentato dal consigliere aggiunto Mohamed Zitoun che ha conseguito la
laurea. La giornalista di Tele 8, Agari Imen, tunisina di origine ha sposato un mazarese ma lei
si è laureata in Tunisia dove per molti anni ha insegnato materie umanistiche presso
l’Università di Tunisi. Ha frequentato numerosi corsi di italiano finché ha deciso di trasferirsi
in Italia, dove lavora come giornalista a Tele 8 e insegna anche privatamente l’arabo.
Sì, l’Italia è un paese che mi ha sempre incuriosita. Infatti per questo quando vivevo in Tunisia durante
l’università ... studiavo l’italiano ... per alcuni anni dopo la laurea ho lavorato come insegnante all’università ...
insegnavo materie umanistiche ... e poi mi sono trasferita a Mazara e ho sposato un mazarese … abbiamo un
bambino piccolo ... ma a Mazara del Vallo è difficile lavorare anche per una preparata come me … lavoro a Tele
8 come giornalista ma non in maniera stabile ... poi faccio corsi di arabo. (Tunisina sposata con un mazarese e
giornalista di tele 8).
A Mazara del Vallo, in base ai dati Istat aggiornati al 1 gennaio 2008, è presente una
popolazione di 51.436 abitanti residenti (vedi tab. 6.13). Mazara del Vallo si configura come
la città con la percentuale più elevata di stranieri tra tutti i comuni della provincia siciliana. Le
tabelle di seguito riportate mostrano sia la percentuale di presenza di stranieri nel territorio
mazarese, sia l’origine etnica delle popolazioni di stranieri che popolano il territorio, sia gli
incroci dei matrimoni tra stranieri e tra stranieri e italiani.
Tabella 6.13 – Popolazione di Mazara del Vallo. Anni 2001-2007
Anno
Residenti
Variazione % su anno precedente
2001
50.423
-2002
50.674
0,5%
2003
51.164
1,0%
2004
51.424
0,5%
2005
51.425
0,0%
2006
51.369
-0,1%
2007
51.436
1%
Fonte. Ufficio anagrafe di Mazara del Vallo.
Se confrontiamo i dati (2001-2007), si nota chiaramente che la popolazione residente a
Mazara del Vallo è cresciuta in maniera significativa nel volgere di soli 6 anni.
La tabella 6.14 mostra l’andamento delle nascite di bambini stranieri nella città dal 1990 al
2007. Dal 1990 al 1993 c’è stata una fase evolutiva di crescita delle nascite di bambini
stranieri. Dal 1993 in poi questo andamento di crescita si è andato riducendo fino al 2007.
L’aumento demografico ha assunto un’evoluzione abbastanza altalenante (crescita e
decrescita) per arrivare ad un calo nel 2007 con la nascita di soli 37 bambini stranieri (24
maschi e 13 femmine) rispetto al 1993 in cui si sono registrate 78 nascite di bambini stranieri
a Mazara (43 femmine e 35 maschi).
Le associazioni che risultano presenti nella città di Mazara del Vallo, la cui funzione è
quella di essere di supporto anche agli istituti scolastici, sono per la maggior parte
associazioni Onlus e di volontariato. Suor Vera si occupa, insieme ai volontari della
parrocchia della cattedrale di Mazara, di aiutare quelle famiglie di stranieri che hanno
difficoltà nei tradizionali percorsi di integrazione; in collaborazione con la Caritas aiuta nei
compiti tutti quei ragazzini stranieri (di elementare e medie) che hanno difficoltà a causa della
lingua nello svolgimento dei normali percorsi di studio.
Una delle tante attività messe in pratica dalla Caritas di Mazara del Vallo è proprio quella
di progettare dei corsi di assistenza allo studio per quei bambini o ragazzi di origine straniera
che frequentano sia la scuola elementare Aiello dell’istituto comprensivo P. Borsellino e che
(durante le ore pomeridiane) necessitano di un supporto per lo svolgimento dei compiti.
245
Tabella 6.14 – Nascite di figli fra la popolazione straniera di Mazara del Vallo. Anni 1990-2007
Anno
Maschi
Femmine
Totale
1990
33
32
65
1991
36
31
67
1992
43
26
69
1993
43
35
78
1994
24
38
62
1995
33
25
58
1996
27
23
50
1997
22
22
44
1998
21
26
47
1999
22
19
41
2000
19
24
43
2001
27
23
50
2002
25
22
47
2003
15
19
34
2004
21
17
38
2005
14
18
32
2006
19
22
31
2007
24
13
37
Fonte: Ufficio Anagrafe di Mazara del Vallo.
Si tratta di famiglie non proprio agiate e certamente poco integrate nel tessuto sociale
mazarese. Ma la città di Mazara del Vallo si presenta come lo scenario in cui la comunità di
stranieri risulta essere caratterizzata da una bassa stratificazione sociale.
Il supporto fornito dalle associazioni di volontariato del territorio mazarese non è tuttavia
adeguato ad affrontare le problematiche e le necessità richieste dai ragazzi e dalle loro
famiglie; le associazioni fanno quello che possono ma non sono specializzate ad affrontare i
problemi di integrazione o di sostegno allo studio, o l’insegnamento della lingua italiana.
I genitori tunisini non possono seguire e aiutare i figli nel percorso scolastico o a fare i compiti italiani perché
intanto i loro figli parlano italiano meglio di loro; spesso si affidano alle associazioni di volontariato ma non è
neppure questa la soluzione; la soluzione dicevo è a monte perché se lo studente ha la possibilità di seguire corsi
seri e continui sin dall’inizio di italiano allora probabilmente non avrà bisogno di cercare un volontario che lo
aiuti poi non in modo perfettamente pedagogico etc. gli fanno fare i compiti così. (Karim Mohamed Dannaci,
famiglia mista ed esperto di lingua araba).
Anche suor Elvira, in un’altra zona della città un po’ più decentrata e periferica, segue e
assiste quei bambini e ragazzi stranieri che hanno difficoltà di apprendimento nelle loro
attività di studio scolastico. Ma il problema è sempre lo stesso: questi bambini avendo sin da
piccoli ricevuto l’impronta culturale del paese di origine dei genitori insieme a quello del
paese che li accoglie, vivono dei contrasti sia di natura culturale e valoriale sia linguistica, e
non sempre vengono superati a scuola o con il supporto delle associazioni o dei corsi che
vengono erogati dalle scuole anche per le famiglie di questi bambini nell’arco dell’Anno
scolastico.
Non dico che l’integrazione scolastica dipende solo dalla capacità di lingua ma dico che dipende soprattutto da
quello, dicevo è la prima priorità è questa attenzione, che deve accompagnare lo studente sin dall’inizio al
momento dall’iscrizione; proprio prima dell’inizio delle lezioni ed invece le scuole non avendo risorse umane da
dedicare (perché tutti gli insegnanti hanno le proprie classi) fanno un progetto e aspettano il finanziamento, poi
se il progetto viene finanziato, quindi al condizionale, poi si organizza un corso e allora la scuola dice abbiamo
finanziato un corso per quindici alunni o per venti alunni che va da Marzo a Maggio e non è questo un modo per
risolvere il problema. (Karim Mohamed Dannaci, famiglia mista ed esperto di lingua araba).
246
Intanto le associazioni di volontariato che collaborano con la Caritas non sempre sono
preparate ad affrontare tutte le necessità ed i bisogni espresse da questi ragazzi e dalle loro
famiglie. La loro attività di supporto alle scuole che mettono in pratica nelle ore del
pomeriggio è una sorta assistenzialismo inefficace e non professionale, poiché questi
interventi sono svolti non da insegnanti o pedagogisti o mediatori culturali, con risultati poco
incisivi per il raggiungimento degli obiettivi linguistici e di apprendimento in generale.
In alcune scuole sono presenti delle associazioni che si occupano di intercultura e di
educazione permanente. Nello specifico su tre degli istituti scolastici scelti due di essi
(Borsellino e Ipsam) hanno sviluppato degli uffici la cui sede è interna agli istituti di
associazioni che si occupano di erogare supporto ed assistenza alle normali attività didattiche
e curriculari, e che in generale affrontano la problematica della presenza degli stranieri a
Mazara attivando corsi di lingua per gli studenti e per gli alunni; corsi di orientamento al
lavoro per le donne tunisine; corsi di alfabetizzazione; corsi di informatica etc.
L’Istituto Borsellino ha creato all’interno dell’Istituto una Commissione di intercultura
(composta sia da insegnanti esperti, sia da professionisti del settore dell’intercultura) con una
funzione strumentale di verifica e di supporto alle normali attività laboratoriali e progettuali
messe in pratica a scuola sia di supporto alle stesse famiglie degli alunni stranieri che
frequentano l’Istituto.
All’interno dell’Istituto professionale Ipsam è stato installato un Centro di Educazione
Permanente con l’obiettivo di promuovere dei corsi di intercultura e di lingua destinati alle
famiglie degli alunni.
La Caritas è un’associazione molto presente e diffusa capillarmente nel territorio mazarese
cittadino e della provincia si occupa sia di assistenza agli immigrati più poveri e senza lavoro,
ma anche di progettazione di attività di formazione per le famiglie di stranieri che sono
scarsamente integrate nel tessuto sociale e professionale della città. Si tratta di corsi di
formazione rivolti anche alle donne straniere di orientamento al lavoro e finalizzati al
raggiungimento sia delle competenze linguistiche che di tipo occupazionale; corsi e assistenza
allo studio per quei ragazzi in difficoltà a causa della lingua.
6.3 Qualità delle esperienze e delle offerte formative
Il problema cruciale delle scuole di Mazara del Vallo riguarda l’eterogeneità dell’utenza di
alunni stranieri che cresce di anno in anno. Una delle modalità con le quali le scuole
affrontano la tematica derivante da un’utenza straniera è la progettazione di un’offerta
formativa e di un sistema di accoglienza che sia adeguato alla tipologia di utenza scolastica e
soprattutto alle necessità che una tale presenza pone alla scuola. La mission delle scuole è
dunque quella di promuovere dei percorsi di intercultura che generino integrazione.
Il cambiamento nella composizione e nelle caratteristiche della popolazione studentesca è
portatore di aspettative e di orientamenti diversificati verso l’istruzione. Le scuole di Mazara
del Vallo da circa venti anni si sono dovute confrontare con l’emergere di una utenza
scolastica sempre più variegata e più bisognosa di attenzioni (non solo dal punto di vista
linguistico, ma anche culturale e valoriale e di abitudini alimentari). Esse hanno sviluppato
un’attività riflessiva su tematiche relative all’intercultura e ad osservazioni che certamente
coinvolgeranno sempre di più anche altre agenzie educative.
Essendo delle scuole innestate in un contesto sociale caratterizzato da un’elevata presenza
di questa comunità di stranieri hanno dovuto attivare nuove forme di accoglienza e nuovi
percorsi di formazione e di intercultura per una adeguata socializzazione degli alunni di
origine straniera e dei loro genitori e questo è uno degli obiettivi prioritari.
247
I tre istituti individuati risultano dunque degni di particolare interesse per la loro iniziale
vocazione di scuole sperimentali nelle tematiche dell’intercultura (risalgono a primi anni ‘90 i
primi progetti di intercultura destinati agli alunni stranieri), che hanno indotto a sviluppare,
nel corso degli anni, un’ampia progettualità linguistica, interculturale, che tuttavia per alcuni
motivi risulta ancora oggi frammentata e non continuativa ma che ha tentato di coprire tutti
gli ambiti dell’educazione interculturale.
Infine, in queste tre scuole risultano erogate alcune particolari attività da associazioni locali
esterne (il cui ruolo è quello di supportare l’attività didattica) impegnate in progetti di natura
educativa e di intrattenimento ludico. Si tratta di associazioni di volontariato che collaborano
con la Caritas e assistono gli alunni stranieri che hanno difficoltà con la lingua italiana nel
percorso di studio.
Dopo circa venti anni di esperienza e di contatto con la comunità di stranieri residenti nella
città, la scuola di Mazara oggi è certamente più preparata nello svolgere la funzione educativa
e di integrazione nei confronti di un’utenza che si presenta compatta dal punto di vista
dell’origine geografica e culturale, ma che di recente si sta trasformando a seguito dell’arrivo
di nuovi stranieri: slavi e cinesi.
In tal senso, proprio in quanto si tratta di scuole che si trovano in una realtà di frontiera,
marginale e periferica, che può anche essere intesa quale contenitore-laboratorio di
intercultura, si configurano certamente come dei contesti privilegiati di osservazione e di
analisi per l’integrazione degli stranieri nel paese di accoglienza.
La scuola, con la sua funzione di socializzazione, deve essere in grado di comprendere ed
interpretare le reali aspettative delle famiglie di stranieri che vivono in questa città. Il sistema
scolastico è spesso vissuto come istituzione educativa, ma anche come imprescindibile punto
di riferimento per qualsivoglia necessità di tipo socio-relazionale con il contesto di accoglienza.
Le tre scuole di Mazara del Vallo si sono adeguate alle richieste e alle necessità di questi
nuovi utenti, sviluppando attività di laboratorio interculturale, corsi di formazione e di
potenziamento della lingua italiana, destinati sia agli alunni stranieri che presentano gravi
deficit di tipo linguistico ma anche alle loro famiglie. I corsi per le famiglie di stranieri sono
corsi di orientamento al lavoro; corsi di lingua italiana e di informatica. Questi corsi sono
destinati soprattutto alle donne che rappresentano nella percezione dei tunisini l’asse portante
della famiglia e costituiscono una presenza continua e talvolta per noi eccessiva nella vita
scolastica e quotidiana dei loro figli.
La scuola Aiello ha affiancato all’attività didattica quotidiana degli insegnanti, i contenuti
dei corsi di formazione specifici su base interculturale, sia rivolti agli insegnanti sia a quegli
allievi che hanno delle difficoltà di comprensione verso i contenuti dei programmi di
insegnamento dovuta a una non buona comprensione della lingua italiana.
I programmi didattici prevedono l’educazione permanente ed interculturale; l’insegnamento della lingua italiana come L2, l’insegnamento della lingua araba come L2; in rare
occasioni sono stati previsti dei corsi a progetto di educazione alimentare (questo tipo di
insegnamento può rientrare anche all’interno del curriculo come l’educazione interculturale).
La comunità tunisina, essendo di religione musulmana, si attiene rigorosamente alla cura
del cibo; in questo senso l’educazione alimentare può essere considerata una disciplina che
ricopre un ruolo importante all’interno della variegata offerta didattica sensibile ai temi della
interculturalità.
L’attivazione di percorsi didattici individualizzati su base interculturale che mirano ad un
raccordo per un insegnamento unitario tra le diverse discipline prevedono insegnamenti come
l’educazione alimentare e attività di laboratori che rappresentano occasioni di scambio e
dialogo tra alunni stranieri ed autoctoni.
248
I contenuti dei laboratori sono di natura informatica, linguistica, insegnamento di tecniche
di lavorazione artigianale della ceramica, della filatura della lana per realizzare tappeti etc.
La scuola materna ed elementare Aiello non ha il tempo pieno pur tuttavia ha una mensa
all’interno che prevede la diversificazione del cibo per i musulmani. La mensa è esterna, e
viene finanziata e organizzata dal Comune di Mazara dietro il pagamento di una quota dei
genitori dei bambini che frequentano la scuola. Bambini di Mazara e bambini di origine
straniera condividono il momento del pranzo.
Nella scuola Aiello le figure che affiancano, soltanto quando c’è una reale necessità,
l’azione dei docenti a scuola sono uno psicologo, che fa formazione ai docenti e alle famiglie,
indistintamente sia che siano di origine straniera o italiana. Lo psicologo non è una figura
stabile inserita nell’organico della scuola ma lavora a progetto. Questa figura di appoggio
viene utilizzata anche per risolvere eventuali problema-tiche derivanti dal conflitto tra diversi
sistemi culturali.
Lo psicologo oltre al suo ruolo di supporto durante lo svolgimento dell’attività didattica
quotidiana si occupa talvolta di comunicare con quelle famiglie di stranieri che non
comprendono bene l’italiano e che hanno la necessità di capire meglio come gestire l’aspetto
educativo dei figli, rispetto alla frequenza nella scuola e ai comportamenti da attivare in
presenza di problemi comportamentali da parte del figlio.
Nella scuola Aiello, così come in tutte le altre scuole di Mazara, non è prevista in organico
la figura del mediatore culturale. Per ciò che riguarda quest’ultimo aspetto le scuole
usufruiscono di mediatori culturali temporaneamente nell’arco dell’anno, pagati a progetto e
qualche volta attraverso il volontariato.
Nessuna scuola ha il mediatore dall’inizio dell’anno alla fine, il mediatore può esserci se c’è un finanziamento
legato a quei tre mesi allora l’obiettivo fondamentale si perde perché l’obiettivo diventa il finanziamento e
l’importante che burocraticamente venga fatta quella attività altrimenti il finanziamento si perde. Questo è un
problema a monte: ci sono tanti soldi che partono a livello nazionale e regionale e che finiscono nelle scuole ma
che non corrispondono a quel bisogno di cui parlavo prima quella priorità culturale dell’apprendimento
dell’italiano dall’inizio scolastico alla fine. (Karim Mohamed Dannaci, famiglia mista ed esperto di lingua
araba).
Sempre per la mancanza di risorse finanziarie, nella scuola Aiello i progetti relativi
all’insegnamento della lingua araba come L2 non coinvolgono tutte le classi dell’istituto, il
che fa si che non tutti gli allievi, sia gli alunni italiani sia i bambini di origine straniera,
possano studiare all’interno del curricolo, con una aggiunta di ore opzionali, anche la lingua
araba, insieme alla la lingua inglese. A partire da un percorso che inizia chiaramente da una
prima classe oggi si è arrivati alla quarta, ma c’è da dire che questo progetto a causa della
mancanza di fondi è fermo da due anni e non è mai arrivato alla quinta classe.
Sono stati fatti alcuni progetti, il più interessanti progetto è stato quello portato avanti dal 1 circolo di Mazara
che mediante un finanziamento ministeriale prevedeva l’insegnamento della lingua araba sia ai bambini italiani
che ai bambini stranieri. Vi era la domanda da parte della popolazione araba di non perdere il contatto con le
proprie radici culturali, si è provveduto anche all’insegnamento della lingua araba, oltre al rinforzo delle
competenze di base della lingua italiana. È un progetto che ha avuto un certo successo, però non è più stato più
finanziato da qualche anno; è stato finanziato per parecchi anni ma adesso non c’è più. Adesso c’è un progetto in
atto che si chiama Prisma però è un progetto di contenuto diverso perchè perché coinvolge gli insegnanti,
coinvolge quattro scuole elementare, è un progetto diverso, questo è un progetto valido però sul piano
dell’efficacia quello forse era più incisivo. (Provveditore agli Studi di Trapani).
La scuola Aiello prevede la fornitura di materiale didattico per gli alunni frequentanti (per
le discipline pratiche e i laboratori). Si tratta di una scuola all’avanguardia dotata di un’aula
multimediale, di una palestra, di un parco giochi, di una biblioteca, di luoghi in cui è possibile
svolgere le attività laboratoriali e sperimentali.
249
6.4 Professionalità degli operatori
Le attività didattiche e di formazione, insieme a quelle progettuali dei docenti che lavorano
nelle scuole elementari, e superiori del territorio mazarese, sono state fino ad oggi finanziate
sia dagli enti locali e dalla comunità europea sia dalle risorse delle stesse scuole. A livello
comunale e provinciale le risorse sono state destinate agli istituti scolastici del centro storico
cittadino caratterizzati da una maggiore presenza di alunni di origine straniera, soprattutto, per
ciò che riguarda i corsi di alfabetizzazione linguistica.
Si aggiungono ad essi dei corsi di formazione ed educazione linguistica ed interculturale
per adulti, finanziati dall’Unione europea: corsi lingua italiana come L2, per le donne e corsi
di educazione permanente sempre tenuti all’interno delle scuole e organizzati anche dal
Centro territoriale di educazione permanente con il supporto e la gestione di esperti in questo
tipo di formazione.
I docenti vengono formati anche per lo sviluppo delle attività di laboratorio che vengono
successivamente messe in pratica nelle scuole del territorio mazarese.
Però noi abbiamo cercato in tutti questi anni di affiancare agli insegnanti attraverso corsi di formazione specifici
e parecchi su base interculturale, altri sull’educazione interculturale; sulla lingua italiana come L2
(sull’insegnamento della lingua italiana come L2) cioè come seconda lingua per loro. No educazione alimentare
questo rientra all’interno del curricolo come quella interculturale perché non è una disciplina assestante ma è una
forma di pensiero e quindi un attivazione di percorsi didattici su base interculturale che cercano di avere un
raccordo in un’ottica unitaria di insegnamento tra le diverse discipline (praticamente è una scelta poi dei
contenuti e delle metodologie applicate su base interculturale). Le posso dire ecco le stavo dicendo le figure che
affiancano l’azione dei docenti della scuola e delle famiglie con dei progetti particolari e specifici sono uno
psicologo, che fa formazione ai docenti e alle famiglie, però indistintamente sia che sono di origine straniera che
siano italiani. Dipende dal caso particolare che va trattato, in una determinata maniera quindi c’è questa figura
di appoggio ormai da qualche anno a progetto e proprio formazione in se per se al quale partecipano sia i docenti
che le famiglie. Si tratta di una formazione in se per se che si basa sulla relazione eh sulla relazione
sull’approccio alla comunicazione perché parlando le famiglie una lingua diversa dall’italiano quindi la necessità
di capire meglio come gestire l’aspetto educativo dei figli rispetto alla frequenza nella scuola e ai comportamenti
da attivare quando ci sono delle problematiche comportamentali da parte del figlio. Siamo noi che cerchiamo di
attivare e però loro accolgono volentieri le nostre sollecitazioni perché capiscono che l’obiettivo è quello di
migliorare le situazione del proprio figlio. (Preside scuola Aiello).
È pur vero che nonostante i finanziamenti che convergono verso le scuole del territorio
mazarese e l’impegno delle istituzioni per la progettazione, la gestione e l’organizzazione di
corsi di formazione specifici per i professionisti del mondo scuola e quelli di intercultura per
gli stranieri, tutto ciò non sembra essere sufficiente a risolvere i problemi con cui Mazara si
confronta ogni giorno: ad esempio la mancanza della figura del mediatore culturale nelle
scuole.
Le scuole così da sole non possono fare niente ci vorrebbe un investimento massiccio di risorse, in mediatore
culturali, in figure di supporto all’insegnamento le scuole vedono restringersi le loro risorse, ovviamente ora
sono enti autonomi … possono interessare gli enti locali attrarre finanziamenti, attrarre privati … questo è ovvio,
loro lo possono fare se c’è un comune e una provincia sensibile possono avere finanziati dei progetti … non
dimentichiamo che gli enti locali hanno delle situazione finanziarie non semplici quindi non è che facile attrarre
risorse finanziarie verso la scuola consistenti è chiaro che una scuola dinamica può fare tante cose. Però se
vogliamo affrontare il problema in maniera sistemica e sistematica è chiaro che la scuola singola per quanto
volenterosa può fare fino ad un certo punto. (Provveditore agli Studi di Trapani).
Le scuole non avendo risorse umane da dedicare (perché tutti gli insegnanti hanno le proprie classi) fanno un
progetto e aspettano il finanziamento, poi se il progetto viene finanziato, quindi al condizionale, poi si organizza
un corso e allora la scuola dice abbiamo finanziato un corso per quindici alunni o per venti alunni che va da
marzo a maggio e non è questo un modo per risolvere il problema. Ci sono dei bandi che permettono di chiedere
finanziamenti per questo: riguardano l’insegnamento della lingua italiana anche per i genitori di questi bambini
ma sono progetti sporadici e che la strutturazione di queste attività così frammentate non serve a nulla. Quello
250
che succede a livello nazionali e che ci sono tanti finanziamenti per progetti infatti le scuole con l’autonomia le
scuole si sono trasformate in enti di formazione e ci sono tanti soldi che vanno sprecati perchè le scuole a volte
non sanno a che cosa servono e l’importante e che entrano soldi alla scuola. Nessuna scuola ha il mediatore
dall’inizio dell’anno alla fine, il mediatore può esserci se c’è un finanziamento legato a quei tre mesi allora
l’obiettivo fondamentale si perde perché l’obiettivo diventa il finanziamento e l’importante che burocraticamente
venga fatta quella attività altrimenti il finanziamento si perde. Questo è un problema a monte: ci sono tanti soldi
che partono a livello nazionale e regionale e che finiscono nelle scuole ma che non corrispondono a quel bisogno
di cui parlavo prima quella priorità culturale dell’apprendimento dell’italiano dall’inizio scolastico alla fine.
(Karim Mohamed Dannaci, famiglia mista ed esperto di lingua araba).
La centralità della formazione nella società contemporanea e le esigenze di promuovere dei
percorsi formativi continui e sempre più diversificati e adeguati alle richieste del contesto
sociale, oggi risultano indirizzati verso l’integrazione degli individui nel sistema sociale,
verso l’inserimento occupazionale, e devono essere funzionali alla necessità di corrispondere
alle aspettative che gli individui stessi e le loro famiglie (autoctone o straniere) pongono.
La formazione erogata e progettata dalle varie agenzie educative (tra le quali la più
importante è la scuola) è oggi uno strumento importante che consente agli individui di
costruire una propria identità sociale, oltre che personale e professionale, mediante i saperi
che veicola e le conoscenze che è in grado di promuovere, deve, dunque, essere adeguata
soprattutto nei riguardi dei nuovi orientamenti e tendenze della società.
In qualsiasi società si è sempre discusso intorno al problema della centralità del sistema
educativo-formativo nella vita degli individui, come strumento imprescindibile per il
raggiungimento di obiettivi di integrazione e di successo professionale. L’importanza del
sistema scolastico-educativo risiede dunque nella sua capacità di saper promuovere la
mobilità sociale, di promuovere l’integrazione, e di rappresentare nuove occasioni per le
giovani generazioni di apprendere norme, valori, culture, atteggiamenti, comportamenti e
saperi, e, soprattutto, di essere un qualificato strumento di integrazione sociale.
La scuola, già a partire dalla seconda metà degli anni ‘60, ha portato anche ad una messa in
discussione del cosiddetto modello formativo scuola-centrico e, contemporaneamente, della
sua perfetta fungibilità rispetto alla società di riferimento. La scuola ha perso col passar del
tempo la sua funzione monopolistica della conservazione del sapere e ha mantenuto con molta
fatica un potere certificatorio, che è stato messo in crisi dalla quantità e qualità del suo output.
Da quanto detto ha origine il cosiddetto policentrismo formativo, che riporta in luce
l’esistenza di una pluralità di agenzie e di occasioni formative e, dunque, di molti spazi
educativi, che siano in grado di soddisfare le necessità di una società sempre più multiculturale, per cui si afferma che l’educazione non si può circoscrivere in uno solo o anche in più
spazi, poiché ogni spazio sociale possiede una propria valenza educativa.
Facendo riferimento alle teorie di Althusser, di Bourdieu e Passeron, la prospettiva con cui
si considera l’educazione e il sistema formativo di una qualsiasi società è in termini di
riproduzione sociale e culturale; secondo queste teorie la scuola, insieme alle altre agenzie
culturali ed educative, concorre a ricostruire permanentemente le condizioni di sopravvivenza
dell’ordine sociale (Benadusi, 1984).
Nella società contemporanea la dimensione dell’interdipendenza tra sistema educativo e
sistema sociale, e della multidimensionalità, sono forse le più adeguate a spiegare i complessi
rapporti che intercorrono tra i processi formativi e le strutture sociali in cui questi si
realizzano.
La centralità della scuola e la funzione del sistema educativo risiede dunque nella sua
capacità di saper produrre, organizzare, conservare, rielaborare e comunicare saperi e
conoscenze e di generare una produzione culturale sempre più diversificata, e una specifica
cultura scolastica, che sia rispondente alle esigenze della società contemporanea. La scuola
fino ad oggi ha occupato un posto importante nella vita sociale perché ha saputo proporre un
251
progetto culturale basato sui bisogni delle società che sono certamente in espansione e in forte
sviluppo.
Come principale agenzia educativo/formativa la scuola di oggi deve essere un luogo
privilegiato dell’insegnamento della lingua in cui vengono legittimati e controllati i codici
linguistici e dove si sviluppano le competenze linguistiche. Essa ha il ruolo essenziale di
riproduzione culturale e in quello dello scambio delle informazioni. Ma deve essere anche
preparata ad affrontare le richieste linguistiche poste dalla costituzione di una società sempre
più multiculturale.
Le esperienze e le riflessioni degli ultimi anni sul modo più idoneo ed efficace per
organizzare i processi educativi e la formazione (al fine di soddisfare le nuove domande e le
necessità di una società sempre più complessa) hanno messo in evidenza l’efficacia dei
progetti tesi a migliorare le capacità di decisione e di azione delle singole agenzie di
formazione. L’argomento principale a sostegno di questo orientamento è di natura empirica e
a prima vista sembra difficilmente contestabile.
L’importanza dell’insegnamento linguistico infine rappresenta uno degli aspetti più
centrali di qualsiasi programma di studio. La lingua è stata sempre oggetto di controllo sociale
e politico. Lo Stato non ha mai rinunciato a integrare la popolazione che vive sul suo territorio
in un’unica comunità linguistica, elaborando e legittimando la lingua ufficiale.
La scuola e la formazione continua sono strumenti fondamentali che servono per modellare
la cultura e la lingua dei popoli. Strumenti che fondono più dimensioni culturali e valoriali,
oltre che linguistiche ancor di più in un territorio multi-etnico come quello di Mazara del
Vallo.
6.5 Qualità delle relazioni
Il rapporto scuola-famiglia a Mazara del Vallo è abbastanza complesso e talvolta difficile
da realizzare in maniera soddisfacente per quelle che sono le aspettative della scuola. Ci sono
anche dei problemi di incomprensione linguistica con alcune delle famiglie degli allievi
stranieri che vengono superati grazie all’intermediazione dell’insegnante esperto o (facilitatore). Il rapporto scuola famiglia risulta talvolta complicato anche per quanto riguarda le
famiglie degli alunni italiani.
Nei riguardi delle famiglie straniere l’ostacolo forse più difficile da superare è quello
linguistico, perché quello culturale e di mentalità sembra non rappresentare un vero e proprio
problema. La scuola per le famiglie è un grande punto di riferimento e dunque le famiglie
ripongono in essa una grande fiducia e spesso il loro atteggiamento è di ascolto e di apertura.
I genitori stranieri sono abbastanza presenti nel percorso scolastico dei figli. Io non ho mai avuto problemi a
scuola, anzi, ho avuto due alunni, e quest’anno ho avuto una bellissima esperienza con questi ragazzini. Certo gli
stranieri non vanno a studiare a casa dei loro compagni italiani ma a scuola sono integrati. Ma sono stati accettati
benissimo all’interno della scuola sono integrati. A scuola si cercano tra di loro, si aiutano. I genitori sono
presenti e seguono e accettano i nostri consigli in ma in maniera molto umile. Seguono tutti i nostri consigli e noi
siamo il loro punto di riferimento e per tutto quello che devono fare e accettano i nostri consigli e un punto di
riferimento per le attività pomeridiane che offriamo: corsi di pallavolo, corsi di danza, di informatica e di
ceramica. I ragazzi stranieri e italiani mangiano insieme. Non abbiamo una mensa. Alcuni vanno a mangiare a
casa ma poi ritornano volentieri. (Ins. n. 1 Borsellino).
La scuola è chiaramente uno dei punti di riferimento fondamentali p
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I sei studi di caso (volume II) - Ufficio Programmi Europei per la