K A R A B A K H . I T Osservatorio ARTSAKH Numero 2 FEBBRAIO 2011 L’ultima tentazione di Ilham Sommario: L’ultima tentazione di Ilham 1 Le ragioni del Karabakh 2 Un solo futuro per l’Arsakh 3 Le ali dell’Artsakh 4 L’università dell’Artsakh 5 Scoprire l’Artsakh 6 L’esempio del sud 6 Impariamo a chiamarlo 7 Le ragioni del Karabakh Esce il primo libro in italiano sul Nagorno Karabakh. La sua storia, la sua gente, la sua guerra di liberazione, i suoi diritti. A pag. 2 Morde il freno Aliyev, il padre padrone dell’Azerbaigian. Fosse per lui a quest’ora avrebbe già dichiarato guerra alla repubblica del Nagorno Karabakh. Ma sono troppi i dubbi che l’assillano: il timore di pesanti ripercussioni sul piano diplomatico internazionale, il rischio di un conflitto che come il precedente di venti anni fa potrebbe portare ad una sconfitta sul campo, la paura di un crescente malcontento interno che sull’onda dei primi insuccessi potrebbe rovesciare la dinastia che da decenni governa il paese. Le ricadute economiche, il blocco delle esportazioni petrolifere. Morde il freno l’Azerbaigian anche se i suoi soldati appostati lungo la linea di confine continuano a violare il cessate il fuoco: non una, ma decine, centinaia di volte ogni settimana continuando lo stillicidio di giovani vite armene. Aliyev ringhia ma ha paura. Se non è stato ancora congedato dalla comunità internazionale è per via dei lucrosi affari all’ombra dell’oro nero. Le ripetute minacce, gli spari quotidiani, denotano tuttavia una insicurezza di fondo; la partita in gioco è delicatissima e si basa sul logorio dei nervi. Quello che adesso serve all’Artsakh è non sentirsi solo; sapere di poter contare sull’appoggio morale (ma anche politico, economico, umano) di tutti coloro che non vogliono un’altra guerra, che aspirano ad un mondo migliore dove i guerrafondai di ogni razza siano messi in disparte. È arrivata l’ora di Aliyev? Se PACE non fa rima con “pace” A fine gennaio l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha votato a maggioranza la riesumazione della Sotto Commissione sul Nagorno Karabakh: un organismo consultivo, naufragato anni fa nelle pastoie del dibattito parlamentare internazionale, soppiantato dal lavoro del Gruppo di Minsk dell’OSCE, l’unica entità alla quale il mondo della diplomazia aveva affidato il delicato compito di ricercare una soluzione pacifica al contenzioso. Poiché l’attività di questo Gruppo si è arenata nell’intransigenza dell’Azerbaigian (che continua sedersi al tavolo dei negoziati come se fosse il vincitore di un conflitto dal quale (segue a pag.2) è uscito sconfitto) ecco spuntare dal cappello a cilindro dell’interessato fronte filo azero questa Sotto Commissione il cui varo è stato fortemente criticato non solo dagli armeni ma anche dalla stessa OSCE, giustamente preoccupata che il filo che faticosamente sta cercando di riannodare venisse srotolato da un’altra parte. Non sarà un caso che il presidente della PACE sia un turco, Mevlut Cavusoglu, e che tra i pirncipali sponsor dell’operazione vi siano i più filo azeri tra i deputati dell’Assemblea ai quali più che le questioni di diritto internazionali premono evidentemente gli enormi interessi economici in gioco. Un documento “Costruire un Artsakh libero e democratico” sottoscritto da ventinove deputati appartenenti a dodici differenti paesi rappresenta un bel gesto politico ma sposta di poco la questione. Ne è convinta anche la portavoce della delegazione armena, Naira Zohrabyan, la quale ha duramente attaccato questa iniziativa politica. L’Azerbaigian, spalleggiato dalla Turchia, tenta di sparigliare le carte non riuscendo a risolvere la questione sul tavolo OSCE. È inutile sottolineare come questo tentativo sia destinato al più completo insuccesso stante la preannunciata mancata collaborazione armena (i membri della delegazione hanno già annunciato il boi-cottaggio) ed il mal-contento di Francia, Russia e Stati Uniti. L’intera operazione diplomatica messa in piedi da Ankara e Baku puzza di bruciato. In un primo tempo a capo della Sotto Commissione era stato designato il deputato Mike Hancock ma la sua dichiarata fede pro azera aveva suscitato vivaci proteste che avevano portato ad un cambiamento di rotta. Su proposta di un delegato georgiano era quindi uscito fuori il nome dello spagnolo Jordi Xuclà, neppure presente ai lavori, poi eletto presidente dell’organismo senza nenache avere ascoltato da lui un suo parere sull’iniziativa. Il rischio di questa operazione par-lamentare è che la delicata questione si sposti dal confronto allo scontro, sia solo una piattaforma per stilare punti di principio nazionale da far votare a scatola chiusa: in-somma, un alto muro invece del tentativo di dialogo. L’unica arma rimasta in mano all’Azerbaigian prima di capitolare definitivamente. Le ragioni del Karabakh La storia di una piccola terra, un fazzoletto gettato nel turbolento Caucaso, e di un grande popolo che lotta per il diritto all’autodeterminazione. Intorno alle vicende del Nagorno Karabakh ruotano interessi internazionali e si intrecciano fitte trame diplomatiche che coin-volgono non solo le cancellerie della regione. Il precedente Kosovo e le rotte del petrolio; la disgregazione dell’Unione Sovietica ed antichi odi. La storia di un popolo, ma soprattutto la cronaca di cinque anni di sanguinosa guerra combattuta lontano dalle prime pagine dei giornali. Mentre Armenia ed Azerbaigian cercano a fatica la strada della pace, tra proclami e venti di guerra che fanno temere un improvvisa recrudescenza del conflitto, ecco un agile e scorrevole testo ricco di notizie di cronaca ma anche di informazioni sull’attuale assetto della piccola repubblica cauca-sica. Il primo testo in italiano sull’argomento. FEBBRAIO 2011 Le vicende politiche che hanno determinato il problema karabakho e la cronaca di una guerra senza esclusione di colpi; le trattative verso la pace e soprattutto le “ragioni” del Karabakh. Completa il volume una sezione dedicata all’attuale assetto istituzionale della repubblica, alla sua cultura, economia, vita sociale Un agile manuale per conoscere una terra affascinante e la sua storia. E’ TEMPO CHE ... In un’intervista alla televisione armena il ministro degli esteri armeno Nalbandian ha affermato che è giunto il momento per l’Azerbaigian di rispondere sì o no alle proposte dei mediatori. I sei elementi su cui si basano i negoziati hanno trovato favorevole accoglimento da sponda armena le cui posizioni sono sostanzialmente allineate con quelle della comunità internazionale così come espresse dai vertici de L’Aquila e di Muskoka. L’Azerbaigian, invece, non riesce a dare una risposta positiva alle proposte dei mediatori. “Si, ma”, “sì, però” oppure “sì, ma no”. Ecco perché il negoziato è in posizione di stallo; Baku non sa come rispondere. È tempo che l’ Azerbaigian dica un sì od un no. Pagina 2 UN SOLO FUTURO PER L’ARTSAKH ! Alcune settimane or sono il presidente dell’Armenia in una intervista ebbe testualmente a dichiarare: “Se per un qualche miracolo il Karabakh finisse sotto il controllo dell’Azerbaigian anche solo per un’ora, nessun armeno sarebbe lasciato lì”. Ed ha proseguito affermando: “noi dobbiamo proteggere la nostra popolazione con qualunque mezzo”. Si tratta di un chiaro duplice segnale lanciato all’Azerbiagian: non vi può essere alcuna soluzione se non la piena autodeterminazione dell’Artsakh e l’Armenia non rimarrà a guardare se Baku dovesse forzare la mano militare. Se infatti l’Azerbaigian ha utilizzato i proventi del petrolio in una folle corsa all’armamento, l’Armenia non è stata certo a guardare e, sia pure con un budget infinitamente più ridotto, ha dovuto gioco forza far fronte alle possibili minacce provenienti da oltre confine. Così, è notizia di poche settimane or sono, secondo il giornale “Eurasia daily Monitor” della statunitense Jamestown Fondation (sempre particolarmente attenta alle vicende caucasiche) l’Armenia si sarebbe equipaggiata con batterie di missili terraaria S-300 (foto sotto), efficace strumento di difesa ma anche di offesa, elemento dissuasore per eventuali sogni guerreschi da parte dell’Azerbaigian. Yerevan ha implicitamente confermato tale notizia; in realtà la dotazione missilistica sarebbe già attiva dal 2007 ma si sarebbe ulteriormente rafforzata negli ultimi mesi. Ecco, proprio questa situazione di stallo viene vista dagli analisti politici e militari come la garanzia che l’opzione di guerra sarà l’ultima ad essere presa in considerazione. E ciò fondamentalmente per due ragioni: innanzitutto un conflitto oggi nella regione non avrebbe le caratteristiche di quello di ventanni fa; le milizia sono meglio equipaggiate, gli armamenti non più residuo degli ex arsenali sovietici in pieno smantellamento dell’Urss. In secondo luogo una eventuale guerra non sarebbe limitata al solo territorio karabakho ma inevitabilmente si sposterebbe anche fuori: e più che fra le impervie montagne dell’Armenia è la piana azera del Kura terreno ideale di scontro fra gli eserciti. Il rischio di un coinvolgimento di terzi (Turchia, Iran, Russia?) è talmente forte che sarebbe davvero una follia da parte azera provare a cercare una soluzione militare del problema. FEBBRAIO 2011 Dunque, la strada è una sola: raggiungere un accordo stabile che garantisca in primo luogo la stabilità della regione. La Russia non può permettersi di avere problemi al sud del Caucaso oltre a quelli sul versante settentrionale; gli Stati Uniti non possono abbandonare l’Armenia lasciando mano libera all’Azerbaigian ed alla Turchia: che sono alleati importanti, soprattutto dal punto di vista energetico, ma non così affidabili come si pensava una volta. Al punto che taluni osservatori statunitensi hanno recentemente dichiarato come la presenza di una paese non islamico nella regione sarebbe di vitale importanza a medio termine e dovrebbe essere opportunamente presa in considerazione dalla Casa Bianca. Ora questo stato di cose porta ad un unico risultato: il pieno riconoscimento internazionale dell’Artsakh come repubblica democratica indipendente, legittimamente costituitasi in forza delle leggi vigenti venti anni or sono. Le trattative possono solo riguardare il sistema per cercare di far uscire Aliyev e l’Azerbaigian in maniera presentabile senza che a Baku si debba pensare ad una resa incondizionata. Non vi sono alternative.Qualsiasi diversa soluzione imposta dal gioco delle diplomazie, magari sotto ricatto petrolifero, non avrebbe altra conseguenza che una destabilizzazione totale della regione con immediate ricadute proprio sulle pipe line; che è poi l’ultima cosa con la quale gli operatori di mercato vogliono avere a che fare. A meno che qualcuno non decida di soffiare sul fuoco al solo scopo di alzare il prezzo dell’oro nero sul mercato mondiale: ma questa è davvero un’altra storia. Sarebbe davvero una follia da parte azera provare a cercare una soluzione militare del problema. Pagina 3 LE ALI DELL’ARTSAKH Sono in dirittura di arrivo i lavori del nuovo aeroporto di Stepanakert A giudicare dallo stato di avanzamento dei lavori, manca davvero poco alla riapertura dello scalo aeroportuale di Stepanakert. Già pronta la aerostazione, già installati tutti i sistemi operativi, fervono i lavori per le opere secondarie e l’arredo interno. Poi, finalmente, anche l’Artsakh tornerà ad avere un proprio aeroporto, una finestra sul mondo. Un altro passo di piena indipendenza; non a caso l’Azerbaigian ha immediatamente protestato con le autorità aeree internazionali ritenendo l’apertura dello scalo una violazione della propria sovranità (?) nazionale. Ma a maggio, questa la data probabile di apertura, finalmente l’Artsakh tornerà ad essere collegato in maniera veloce con il resto del mondo: trenta, quaranta minuti al massimo (invece delle cinque sei ore necessarie oggi con l’auto) per raggiungere Yerevan e di lì le destinazioni internazionali collegate alla capitale armena. I voli saranno garantiti da veivoli CRJ 200 (a lato una foto di un aeromobile dell’Armavia) ed assicurati dalla “Artsakh Air” controllata dalla compagnia aerea armena. In effetti all’inizio si supponeva che fosse proprio l’Armavia ad assicurare il collegamento tra Yerevan e Stepanakert ma, essendo il Nagorno Karabakh uno stato indipendente de facto il governo ha autorizzato la costituzione di una compagnia ae rea na zio nale , la “Artsakh Air” appunto che effettuerà il collegamento tra le due capitali. Il CRJ 200 della Bombardier è un aviogetto maneggevole, moderno, con ridotti consumi, un’autonomia di volo di oltre cinque ore ed una capacità di circa cinquanta passeggeri: una dimensione ottimale per quello che sarà comunque un collegamento regionale. Innegabili i benefici, non solo economici, che il Nagorno Karabakh riceverà da questo veloce collegamento con l’Armenia dove ogni hanno sbarcano oltre mezzo milione di turisti Una parte dei quali coglierà spunto da questo passaggio aereo per spingersi a visitare l’Artsakh. Una vera e propria iniezione di fiducia (e capitali) per l’economia della piccola repubblica. Ecco perché le autorità locali spingono il piede sull’acceleratore per completare il terminal (è tutto pronto si aspetta solo che i fornitori consegnino gli ultimi apparecchi: nastri trasportatori, stampanti per le carte di imbarco, carrelli) e per quale motivo Baku sia invece furente per il varo dell’aeroporto. Si tratta di un ulteriore, fondamentale, passo di riconoscimento internazionale che proietta l’Artsakh verso la piena indipendenza anche nel campo dei trasporti. FEBBRAIO 2011 L’ultimo aereo che sorvolò l’Artsakh fu un bombardiere azero con il suo carico di morte in piena guerra di liberazione. Fra poche settimane la piccola repubblica caucasica sarà sorvolata da una altro “Bombardier”, ma dell’aviazione civile con il suo primo carico di passeggeri. L’Artsakh si affranca, anche nel campo dei trasporti: l’apertura dell’aeroporto è stata fortemente voluta dalle autorità del paese. Appena eletto nel 2007, il presidente Sahakyan promise che avrebbe aperto lo scalo aeroportuale chiuso dai tempi del conflitto ed usato solo per qualche volo ufficiale di elicotteri. La promessa è stata mantenuta. È stata creata una società, la “Aeroporto di Stepanakert”, controllata dalla UGA, l’autorità per l’aviazione civile costituita nel 2008 con un voto del parlamento dell’Artsakh. Completati gli ultimi ritocchi alla stazione aeroportuale partiranno i voli. Nessun problema per la sicurezza: quella di navigazione è affidata ad aerei (tre CRJ 200 di produzione canadese) e sistemi di terra di ultima generazione; quella politica alle leggi internazionali: l’Azerbaigian (così come ogni altro paese del mondo) ha sottoscritto un protocollo di non interferenza nei voli al fine di evitare qualunque rischio per la sicurezza dei passeggeri e, pertanto, si asterrà da qualsiasi forma di “dissuasione”. L’aeroporto di Stepanakert si trova ad una decina di chilometri dalla città, verso est, nei pressi del villaggio di Ivanyan (Khojali). È comodamente raggiungibile dalla statale A 317 che in pochi minuti raggiunge il centro della capitale dell’Artsakh. Per la sua ricostruzione (era rimasto gravemente danneggiato dopo la guerra) sono stati necessari circa due milioni e mezzo di euro. Il volo verso Yerevan dovrebbe avere un costo intorno ai cinquanta euro. Pagina 4 L’UNIVERSITA’ DELL’ ARTSAKH L’Università statale dell’Artsakh rappresenta una delle chiavi del sistema educativo della Repubblica e gioca un ruolo importante nello sviluppo dell’educazione e della scienza, nella preparazione di carriere professionali e nella costruzione dello stato. L’istituzione universitaria ha una tradizione quarantennale (nel 2009 è caduto l’anniversario della sua fondazione) rafforzatasi durante e dopo la guerra di liberazione alla quale presero parte circa quattrocento studenti, tre quarti dei quali sacrificò la propria vita per l’indipendenza della Patria. Con la rinascita della nazione anche l’università ha affrontato il nuovo corso con slancio innovatore pur fronteggiando non pochi problemi a cominciare da quelli economici. Ciò nonostante le strutture, seriamente danneggiate dalla guerra, sono state ricostruite ed è continua l’attenzione verso il confort di gestione delle aule, degli spazi comuni e degli alloggi degli studenti: proprio nelle scorse settimane il presidente Sahakian ha avuto un incontro di lavoro mirato proprio a programmare lavori di miglioramento degli alloggi studenteschi. Rimane, in ambito didattico, un certo sbilanciamento a favore delle discipline umanistiche mentre l’aspirazione delle istituzioni sarebbe quella di formare più tecnici Ingegneria, agraria, ad esempio) che possano fornire un più attivo contributo alla crescita dello stato. La istituzione universitaria guarda con attenzione ai collegamenti internazionali che possano garantire uno scambio culturale ed anche un aiuto logistico. Correva l’anno 1992 e l’Artsakh era in piena guerra di liberazione. Le bombe azere cadevano sulle città, la vita era difficile, le case crollavano e la lista dei martiri si allungava. Eppure proprio in quel frangente così difficile, il popolo dell’Artsakh non dimenticò la cultura. Venne ufficialmente fondata l’Università che già esisteva dal 1969 ma che ora, dichiarata l’indipendenza, poteva assurgere a ruolo di istituzione di stato. A tutto si poteva pensare in quei momenti tranne che alla cultura. Eppure quello fu uno dei primi pensieri dei governanti del nuovo stato: un omaggio doveroso ai circa trecento studenti che sacrificarono la propria vita per la libertà della loro terra. La piccola università dell’Artsakh continua a svolgere il proprio compito educativo e formativo: il giornale degli studenti (“Artsakh Hamalsaran”), gli scambi di visite con altre univer-sità (a cominciare da quella di Yerevan) testi-moniano quanto sia impor-tante la sua presenza. Impariamo ad usare le carte geografiche! A sinistra quella dell’Azerbaigian, a destra quella della repubblica del Nagorno Karabakh – Artsakh. FEBBRAIO 2011 Pagina 5 SCOPRIRE L’ARTSAKH I MONTI MRAV I monti Mrav cingono a settentrione l’Artsakh come una regale corona. Lo proteggono dai freddi venti del nord, ammantati di bianco lo avvolgono protettori e custodi dei confini. Il paesaggio del Karabakh ai piedi di questa catena montuosa si fa spettacolare con le vette del Gomshasar (3724) e dell’omonimo Mrav (3343). La catena dei Mrva si salda con quella di Sevan, che corre parallela all’omonimo lago da nord verso sud separando l’Armenia dall’Azerbaigian, e nel suo corso verso est si spegne gradatamente nella regione di Shahumian, verdissima con i suoi fitti boschi, una volta parte integrante del Karabakh dal quale venne sottratta con la vergognosa operazione “Anello” messa in piedi da Gorbachov per pulire quel territorio dagli armeni. La foto è di Bella Shakhnazaryan dal sito Picasaweb INIZIO TUTTO A SUMGAIT (febbraio 1988) Per due giorni da 27 febbraio si scatenò a Sumgait, sobborgo industriale a nord di Baku, una caccia all’armeno che produsse decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di sfollati. Tre giorni impiegò l’esercito per percorrere i trenta chilometro che separano la città dalla capitale. Fu la scintilla di una guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco. EVENTI Presso il centro culturale Maloyan di Roma è partito un ciclo di quattro incontri dedicati alla conoscenza delle problematiche legate al Nagorno Karabakh. Mediante anche supporti audiovisivi vengono affrontati gli aspetti storici e politici che ruotano intorno alla repubblica dell’Artsakh. In occasione dell’incontro del 25 febbraio (dedicato in particolare alle origini ed allo sviluppo del conflitto), in concomitanza con il 23° anniversario dei pogrom anti armeni di Sumgait, è in programma altresì una breve cerimonia commemorativa con una deposizione floreale ai piedi del katchkar della piazza. TUTTI GLI APPUNTAMENTI SULLA PAGINA “EVENTI” DEL SITO WWW.KARABAKH.IT L’esempio del sud Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha espresso la propria soddisfazione per l'esito del referendum del Sud Sudan per l'autodeterminazione. In una nota la Farnesina ha fatto sapere che le "consultazioni si sono svolte in modo pacifico e con un’alta percentuale di affluenza alle urne, a testimonianza sottolinea Frattini - del processo di maturazione democratica del popolo sudanese, cui l’ Italia è particolarmente vicina”. Ora che anche questa nuova entità statale ha scelto la straFEBBRAIO 2011 da dell’indipendenza e dell’autodeterminazione, cosa si potrà dire per il Nagorno Karabakh? Dopo il precedente del Kosovo un altro tassello si aggiunge per il riconoscimento internazionale dell’Artsakh. Perché è fuori di dubbio che quello che va bene per uno stato deve andare bene anche per un altro. La comunità internazionale applaude al referendum che con oltre il 98% dei voti ha decretato il distacco della regione da Karthoum: con la stessa percentuale, nel 1991, gli armeni del Karabakh scelsero democrati- camente di staccarsi dall’Azerbaigian. I governi occidentali si affrettano ora a voler dichiarare il ricono-scimento di Juba (la capitale del nuovo stato); forse anche perché l’80% del greggio estratto nel Sudan proviene proprio da quella regione. Ecco il petrolio muove la diplomazia internazionale in un senso o nell’altro: fa erigere muri a difesa degli interessi di Baku e spiana la strada all’indipendenza di Juba. Scivola l’oro nero, si insinua nelle coscienze di chi, senza vergogna, ne è schiavo. Pagina 6 iniziativa italiana per il Karabakh Sito web “www.karabakh.it” Viene lanciato on line un sito che raccoglie informazioni, cronaca, storia del Karabakh. Con la news letter ed una rassegna stampa dedicate esclusivamente all’Artsakh. Editoria sul Karabakh Il progetto vuole favorire lo sviluppo di editoria sul Nagorno Karabakh. Si comincia da “LE RAGIONI DEL KARABAKH”, primo volume in italiano sulla storia del Karabakh e sulla cronaca della guerra. Con informazioni sulla attuale Repubblica. Materiale multimediale Opuscoli e video sul Karabakh Conferenze ed incontri con il pubblico INIZIATIVE CONVERSAZIONI SUL NA- Impariamo a chiamarlo bene ... GORNO KARABAKH febbraio-aprile Centro culturale Maloyan “OSSERVATORIO ARTSAKH” è un bollettino interno non periodico edito dal sito www.karabakh.it Si scrive Karabakh ma si legge GHARAPAGH (GH iniziale aspirato e arrotato). La lingua armena, di ceppo indoeuropeo, parlata da circa nove milioni di armeni in tutto il mondo, si divide sostanzialmente in due gruppi: l’armeno orientale che è utilizzato nella Repubblica di Armenia (nonché dagli armeni dell’Iran) ed è stato dinamicamente influenzato da fattori esterni (in primis il russo); e l’armeno occidentale, in uso presso gli armeni della Diaspora, linguisticamente più puro e strettamente legato alla lingua che era in uso nel territorio armeno prima del genocidio del 1915. Non mancano poi dialetti locali parlati presso le distinte comunità della Diaspora e spesso contaminati dalla lingua del paese ospitante (in particolare nel Medio Oriente). Nello stesso Artsakh è parlato un dialetto differente da quello della Repubblica Armena. All’origine dell’armeno moderno vi è il “grabar” (“letteratura”), la più antica forma scritta di lingua armena, adoperato a partire dal V secolo dopo la creazione dell’alfabeto da parte del monaco Mesrob Mashtots ed ancora oggi impiegato nella Divina Liturgia. Ecco perché si scrive “Karabakh” ma si legge “Gharapagh”. Per non riceverlo più invia una mail a [email protected] w w w. k a r a b a k h . i t L ’ u n i c o N o t i z i e , s i t o i n i t a l i a n o s u l r a s s e g n a s t a m p a , s t o r i a , Fate conoscere karabakh.it ! K a r a b a k h t u r i s m o