I contratti di Swap
Diritto dei Mercati Finanziari mod. 2
Prof. Giuseppe Giulio Luciani
Anno accademico 2010/2011
materiale didattico integrativo ad uso degli studenti
I. Contratti finanziari derivati: considerazioni introduttive
intorno ad un fenomeno socio-economico globale.
“Mala tempora currunt”, viene spontaneo commentare, se il ministro
dell‟economia italiano ha individuato nella finanza derivata la causa “degenerativa” di
modelli di comportamento economici fino a poco tempo prima portati ad esempio di
sviluppo, progresso e libertà ed ha ritenuto l‟azzardo “matematizzato” dei derivati il
presupposto “patologico” che ha creato e sta creando effetti progressivi di crisi1.
Se l‟art. 41 co. 2 della legge finanziaria 2002 (l. n. 448/01) prescriveva agli enti
pubblici territoriali che fossero intenzionati ad emettere titoli obbligazionari o a
contrarre mutui col rimborso del capitale in una unica soluzione, l‟obbligo di concludere
preventivamente un contratto di swap per l‟ammortamento del debito, quasi ad
individuarlo come quello strumento “etico” idoneo ad impedire il “moral hazard” di
lasciare a futuri debitori l‟adempimento di un obbligo, di contro il d.l. 112 dell‟agosto
2008, vista la mole dei debiti a cui le regioni, le province autonome e tutti gli enti locali si
erano involontariamente esposti, ne ha vietato la stipula “fino a nuovo ordine”, quasi si
trattasse di instrumenta sceleris più che di “strumenti finanziari”.
Il segno dei tempi, per i pessimisti. L‟età di Gog e Magog per i fatalisti. La fine di
un‟era, per alcuni economisti. Quel che è certo, invece, è che il mondo “globalizzato” si
è imbattuto nella crisi di un “genere” di finanza e nel giudizio negativo “senza riserve”
di una opinione pubblica che sul banco degli imputati inchioda proprio “quei
meccanismi che avrebbero dovuto avere una funzione positiva, di riduzione progressiva,
di ammortamento del rischio”, di cui “più o meno tutti avrebbero beneficiato”, e che
ora, invece, sono trattati alla stregua dei virus responsabili delle infezioni apocalittiche dei
romanzi di Richard Matheson e Robin Cook.
Un fenomeno globale quello dei derivati che coinvolge frotte di enti pubblici
come il Comune di Milano che recrimina un danno che ammonta intorno ai 100 milioni
di euro2, quello di Roma, tra i 7 e i 9 milioni3 e di innumerevoli piccoli, spesso
piccolissimi, comuni della placida provincia italiana come Baschi, in Umbria (che conta
2.649 abitanti ed un debito di circa 250.000 euro4). Ne si può dire che questi siano stati
1
Così si è espresso Giulio Tremonti, in una intervista rilasciata a “ItalianiEuropa” rivista diretta da M.
D‟Alema e G. Amato e riportata dal Corriere della Sera, 12 febbraio 2009, a proposito di derivati e
dell‟attuale crisi economica: “Esiste un‟ampia «letteratura» secondo cui questi meccanismi avrebbero
dovuto avere una funzione positiva, di riduzione progressiva, di ammortamento del rischio. Più o
meno tutti avrebbero così beneficiato della distribuzione del rischio operata via prodotti derivati,
persino i contadini indiani. Insomma, secondo questa letteratura, i derivati avrebbero costituito una
nuova e positiva scoperta sociale. Come se la grande scoperta sociale dell‟Ottocento, l‟imposta
progressiva, fosse seguita da una nuova scoperta pure socialmente positiva: la finanza derivativa.
Questo ha fatto degenerare i modelli di comportamento. C‟è un antico detto, secondo cui i banchieri ti
prestano il denaro come l'ombrello. Ma te lo prestano quando c‟è il bel tempo e te lo ritirano quando
invece viene la pioggia. Qui è avvenuto l‟opposto: più debito e ancora più debito. È così che si è
diffusa l‟arte di vivere indebitati, grazie al buon cuore delle banche, e nella progressione di un
paradigma che, basato sull‟azzardo matematizzato dei derivati, ha creato e sta creando effetti
progressivi di crisi. Seconda patologia (per le altre si rinvia all‟articolo)”.
2
Fonte: Repubblica del 27 giugno 2008.
3
Fonte. Corriere della sera del 21 maggio 2008.
4
Fonte Report: trasmissione televisiva dell‟8 aprile 2008 reperibile in:
www.report.rai.it/RE_elenco/0,11515,2008-puntata,00.html
2
gli unici a rimanere imbrigliati nelle fitte trame dei più recenti strumenti della “finanza
creativa”, perché questa è anche la storia di tutti quegli imprenditori, esasperati ed
incapaci di far fronte ad esborsi di cui mai hanno compreso l‟esatta ragione, che a suon
di citazioni milionarie si sono risolti a far valere i propri diritti nei confronti di quegli
istituti di credito che glieli hanno maliziosamente propinati. E‟ il caso di Divania, tra le
principali imprese produttrici di divani in Italia, che prima del 2003 fatturava circa 65
milioni di euro, costretta a chiudere e a licenziare i 430 dipendenti che impiegava, per un
danno stimato in 276 milioni di euro5.
Insomma, una pandemia economica mondiale, veicolata da contratti propinati da
istituti di credito. Un malcostume rilevato dalla Consob che il 1° agosto 2007 ha
sanzionato con 511 mila euro i vertici di Unicredit Banca d'Impresa (UBI) per carenze
procedurali evidenziate nella produzione e distribuzione dei contratti derivati,
soprattutto con riferimento alla scelta e al pricing delle operazioni, alla selezione della
clientela potenziale, e alla vigilanza sull'attività del personale6. Un‟altra condanna della
Consob è dell‟8 ottobre 2008 ed ha intimato i vertici aziendali di Banca Italease al
pagamento di complessivi 2,12 milioni di euro7. Anche i Tribunali, invertendo una
tendenza che destava preoccupazione, hanno cominciato a punire le condotte di quegli
istituti di credito, responsabili di condotte contrarie all‟etica del mercato prima che al
diritto8.
Tuttavia, come diceva Oscar Wilde, la verità raramente è pura e comunque mai
semplice e perciò non sarebbe corretto caricare sic et simpliciter questi prodotti finanziari di
responsabilità che di per sé non hanno. Infatti l‟uso che se n‟è fatto è stato spesso
improprio e deplorevole, ed in effetti è stato questo ad essere puntualmente condannato.
D‟altro lato, se è pur vero che i contratti derivati consistono spesso in meccanismi
pluricomplicati, di cui se ne è denunciata la pericolosità, e riservati alla comprensione di
pochi specialisti del settore, deve pur darsi atto che vi sono circostanze in cui operazioni
di questo tipo si rendono necessarie per le aziende e ne garantiscono la sopravvivenza.
Si pensi all‟ipostesi, neanche così insolita, di un‟impresa italiana che esporti all‟estero,
magari negli U.S.A., ricevendo per questo pagamenti in dollari ed ai benefici che un Ircs
(Interest rate currency swap) può procurare sul rischio di cambio sfavorevole. C‟è un
esempio di scuola proprio in materia di swap che li paragona all‟insulina: “somministrata
ad un diabetico” si dice, “lo salva”. “Somministrata invece ad una persona sana lo
uccide”. Nonostante la crudezza, la considerazione è esatta e ne chiarisce la funzione
terapeutica (o per lo meno quella funzione virtuosa per cui querti contratti dovrebbero
essere utilmente stipulati dagli enti pubblici e dai privati), ma renderebbe opportuno,
allora, imporre il giuramento di Ippocrate a tutti quegli operatori che quotidianamente li
maneggiano senza preoccuparsi troppo delle reali esigenze degli ignari destinatari.
Quale che sia il giudizio in merito a questi prodotti, certo è che il mercato gli ha
promossi, registrando fino ad oggi sensibili e costanti regimi di crescita, tant‟è che
secondo le rilevazioni della Banca dei Regolamenti Internazionali relative ai Paesi del
G10, il valore nozionale delle consistenze dei derivati Otc (over the counter – cioè negoziati
fuori mercato) è complessivamente aumentato del 39%, passando da 386.196 miliardi di
dollari Usa a fine 2006 a 538.110 miliardi di dollari a dicembre 2007. In particolare gli
strumenti finanziari derivati su tassi di interesse continuano ad avere il peso maggiore
5
Fonte: L‟Espresso dell‟ 8 febbraio 2008.
Cfr. delibera Consob, n. 16070 del 1° agosto 2007.
7
Cfr. delibera Consob n. 16651 dell‟8 ottobre 2008.
8
V. ad esempio Trib. di Novara, 9 gennaio 2007, Trib. di Brindisi del 10 luglio 2007, Trib. Verona, 1
aprile 2008 e Trib. Vicenza, 29 gennaio 2009.
6
3
sulle consistenze complessive (73%); seguono i derivati Otc su tassi di cambio (10%).
Un aumento del 14% del valore nozionale, che è passato da oltre 70.443 miliardi di
dollari nel dicembre 2006 a 81.000 miliardi di dollari circa a fine 2007, è stato invece
registrato per i derivati negoziati in borsa.
Percentuali di crescita, queste, osservate anche nel mercato nostrano. Sulla base
dell‟indagine semestrale effettuata dalla Banca d‟Italia relativa all‟operatività dei principali
gruppi bancari italiani su strumenti derivati, nell‟ultimo semestre del 2007 il valore
nozionale dei derivati Otc è passato da 6.200 a 9.600 miliardi di dollari (+54%). In
particolare, il valore nozionale dei derivati su tassi di cambio si è quasi triplicato nel
corso del 2007 (da 388 a 1.164 miliardi di dollari), mentre gli strumenti finanziari su tassi
di interesse continuano a mantenere un peso preponderante sul valore nozionale
complessivo (l‟85% - i derivati su azioni e merci, infatti rappresentano una componente
residuale). Per quanto riguarda, invece, gli strumenti finanziari derivati cosiddetti exchange
traded, negoziati sul Mercato Italiano dei Derivati (Idem) gestito da Borsa Italiana Spa e
che hanno come sottostante esclusivamente indici azionari o azioni, nel 2007 il valore
nozionale dei contratti aperti (calcolato come media giornaliera) è cresciuto del 30%,
passando da 33 a 43 miliardi di euro circa9.
Se si trattasse, quindi, di strumenti finanziari solo dannosi o pericolosi, questi
trend di crescita sarebbero ingiustificati e dovrebbero attribuirsi alle imposture di abili
venditori o alle brame di speculatori senza scrupoli, capaci di accaparrarsi profitti
elevatissimi con miseri investimenti di denaro, ma non si renderebbe giustizia ad un
fenomeno complesso e ad un mercato che piuttosto ha premiato prodotti che
diversamente ne sarebbero stati categoricamente espunti.
II. Inquadramento dei contratti derivati. Cenni storici. Il
significato di derivazione. Alcune riflessioni critiche.
I contratti finanziari derivati, per quanto profondamente diversificati tra loro per
struttura e funzione, sono tutti usualmente ricondotti (o riconducibili) a tre diverse
categorie: quella dei contratti a termine (future o forward), quella dei contratti d‟opzione e
quella dei contratti di swap10.
I primi (i contratti a termine) consistono in accordi, dove ad una data prefissata
(maturity date) un contraente si impegna alla consegna di un determinato “sottostante”
(vale a dire di una “attività” finanziaria come azioni, obbligazioni, valute, altri derivati
ecc. oppure merci come petrolio, oro, grano ecc.) mentre l‟altro si obbliga a
9
Tutti i dati utilizzati sono stati ricavati dalla “Relazione per l‟anno 2007” eseguita il 31 marzo 2008
dal presidente della Consob Cardia e pubblicata nel sito www.consob.it.
10
Proprio l‟art. 1 co. 2 del TUF distingue i derivati in contratti di opzione, in contratti finanziari a
termine standardizzati future, in contratti a termine forward, in contratti di swap ed in tutte quelle
fattispecie contrattuali che a queste possano o potranno ragionevolmente ricondursi.
4
corrisponderne il prezzo pattuito. Tra i contratti a termine i forward si caratterizzano per
essere stipulati fuori mercato (vale a dire fuori da quei mercati soggetti a requisiti di
accesso e funzionamento e che garantiscono maggiori tutele per gli investitori)11, mentre
i future si distinguono per essere standardizzati e conclusi su mercati regolamentati. Le
opzioni, invece, consistono in contratti con cui una parte attribuisce all‟altra il diritto, ma
non l‟obbligo, di comperare (in gergo call) o vendere (put) un determinato sottostante, ad
un prezzo prefissato (o strike price) entro una certa scadenza (c.d. opzione americana) o al
raggiungimento della stessa (c.d. opzione europea). In ultimo, per contratti di swap ci si
riferisce genericamente a quegli accordi stipulati fuori mercato, con cui due parti
eseguono tra loro, a date certe, flussi di pagamenti (ad esempio tassi o valute)
determinati in base a parametri diversi12.
Nonostante una semplificazione per “gruppi” sia sempre possibile, deve darsi
atto che i derivati danno vita a figure contrattuali piuttosto “frastagliate”, di cui è
pressoché impossibile effettuarne un censimento, visto il numero varianti esistenti e che
si tratta spesso di prodotti elaborati di continuo, da operatori finanziari appartenenti a
realtà economiche diverse, il più delle volte anche geograficamente distanti, ma che si
diffondono velocemente nel mercato globalizzato, perché esportati o replicati
repentinamente, di modo che un modello di Irs utilizzato per proteggere tutelare un cars
rental di Denver che ha preso a prestito una somma di denaro da variazioni inaspettate dei
tassi, può trovarsi applicato ad un produttore di insaccati della “bassa” parmense o ad
un caseificio del murgiano. Si potrebbe definirli anche come prodotti di consumo di
nuova (se non di futura) generazione, spesso progettati per bisogni non ancora giunti a
coscienza degli ignari fruitori13, ma in realtà di origine “ancestrale” se gli “archetipi14”
possono farsi risalire alle fiere medioevali in Francia ed Inghilterra. In Olanda invece,
sembrerebbero del XVII secolo i primi scambi a termine di partite di pesce.
Più recenti, ma comunque già di memoria storica per l‟accelerazione cui
assistiamo dei tempi, le origini dei contratti di swap. Infatti solo al termine del 1970, per
l‟esigenza legittima di tutela di interessi economici, l‟ingegneria anglosassone, sempre
attentissima interprete di queste istanze, si volse allo studio di sistemi di scambio
alternativi di valori economici. A causa infatti dell‟imposizione da parte del governo del
11
Più in particolare per mercato regolamentato si intende quel mercato che sia iscritto in un apposito
elenco redatto dallo Stato membro d‟origine (ossia lo Stato dove ha sede statutaria l'organismo che
assicura le negoziazioni o, in mancanza, in cui è situata la sua amministrazione centrale), che funzioni
regolarmente, che si attenga a regole di accesso e funzionamento, elaborate o approvate dalle autorità
competenti, definiscono le condizioni di funzionamento del mercato, le condizioni di accesso al
mercato, nonché rispetti specifici obblighi di' dichiarazione e di trasparenza prescritti in applicazione
(cfr. art. 1 punto n. 13 direttiva 22/93).
12
Occorre fin da ora precisare che sia per i contratti a termine, che per le opzioni e per gli swap il
rapporto può essere regolato alla scadenza (o durante la vita del contratto) con il pagamento del solo
differenziale, ossia da quella somma risultante dalla compensazione di pagamenti di segno opposto,
quindi senza corresponsione reciproca tra le parti di somme in denaro.
13
Il Pantaleoni, richiamato dal Cantarelli, definisce il bisogno come “quel desiderio di disporre di un
mezzo reputato atto a far cessare una sensazione dolorosa o a prevenirla, o a conservare una
sensazione piacevole o a provocarla”. Quindi, secondo l‟autore, “ciò che qualifica un bisogno
economico è la conoscenza di un mezzo ritenuto atto ad appagare quella determinata esigenza”. Cfr.
D. CANTARELLI, Lezioni di economia politica, Padova, 1996, p. 99 ss. Se ne ricava quindi che prima
del bisogno viene il mezzo atto a soddisfarlo, come a dire che senza il mezzo non ci sarebbe neanche
il bisogno Questo occorre precisarlo proprio in relazione ai derivati che spesso sono stati utilizzati,
nella logica della grande distribuzione bancaria, come prodotti diretti a rimediare a bisogni spesso
neppure percepiti né dal mercato né dagli operatori.
14
Così, E. GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p. 24
5
Regno Unito di premi per l‟acquisto di valute estere finalizzate ad operazioni di
investimento o prestito in paesi esteri, le banche strutturarono uno stratagemma di facile
realizzazione: il parallel loan. In pratica, se una banca inglese intendeva prestare denaro ad
una sua sussidiaria U.S.A., stipulava un mutuo ad un tasso concordato con una
sussidiaria locale di un istituto inglese. In corrispondenza la banca americana, collegata a
quella che aveva ricevuto il prestito, restituiva ad un certo tasso la stessa somma alla
sussidiaria della banca inglese in territorio americano. In queste operazioni simmetriche,
seppure non organizzate in un unico regolamento contrattuale, è rinvenuta l‟origine dei
contratti di swap, per quanto in realtà, solo nei primi anni „80 Banca Mondiale, che aveva
diffuso proprie obbligazioni tra investitori americani, ma che non desiderava pagare gli
elevati interessi del dollaro, si accordava con IBM, che invece aveva emesso obbligazioni
in franchi svizzeri e marchi, per effettuare scambi reciproci di denaro equivalenti ai
rispettivi costi del debito, e davano così origine a quello che a buon grado può essere
considerato il primo degli accordi di questo genere15.
La dottrina, per un uso invalso nella prassi dei mercati, ha riunificato queste tre
tipologie contrattuali (contratti a termine, opzioni e swap) sotto il concetto di
“derivazione”, in quanto “il valore di ciascuno di questi contratti si realizza con
riferimento al valore di un‟attività finanziaria sottostante, ovvero al valore di un
parametro di riferimento (indice di borsa, tasso di interesse, cambio)”16.
E‟ stato rilevato, tuttavia, che questa impostazione sia riduttiva, perché l‟idea di
“derivazione” è diretta ad “evidenziare l‟aspetto economico della valorizzazione”, ed
“inidonea ad esprimere il complesso meccanismo giuridico in cui si svolgono questi
contratti”17. E‟ agevole obiettare, però, che le definizioni omnicomprensive, di
fattispecie contrattuali profondamente distinte, sono comunque destinate a tralasciare
alcune peculiarità (anche rilevanti) del “tipo”, senza perciò meritare un giudizio di
biasimo. Quel che rileva ed a cui bisogna prima di tutto riferirsi è il senso individuato dal
legislatore e l‟utilizzo che questo intende fare del concetto. Del resto deve ammettersi
che non è dalla definizione di derivato che ci si aspetta una particolare dovizia giuridica,
in quanto è chiaro che questo ha per funzione principale quella di rappresentare quel
minimo denominatore comune in grado di estendere (confortevolmente) determinate
discipline e cautele a soggetti che si trovano ad intrattenere rapporti giuridici che hanno
ad oggetto questi strumenti (si pensi, ad esempio, alla disciplina dei servizi di
investimento ed agli obblighi informativi che gravano sugli intermediari che
“negoziano” derivati con i clienti).
Così anche quell‟assunto secondo il quale “la categoria dei derivati comprende
tutti quei contratti atipici, di natura finanziaria consistenti nella negoziazione a termine
di una entità economica e nella relativa valorizzazione autonoma del differenziale
emergente dal raffronto fra il prezzo dell‟entità al momento della stipulazione e il suo
valore alla cadenza pattuita per l‟esecuzione18”, presta il fianco ad alcune critiche. Infatti
pur tralasciando ogni considerazione in ordine alla atipicità di questi contratti, perché in
realtà, questi vengono comunque “nominati” dal legislatore, che si preoccupa anche di
15
Una descrizione più puntuale si trova in: F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari,
Milano, 2007, p. 34.
16
Così F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit., p. 2. Una definizione conforme si ricava anche in G.
FERRARINI, I derivati finanziari tra vendita a termine e contratto differenziale, in I derivati finanziari,
a cura di F. RIOLO, Milano 1993, secondo il quale i derivati sono contratti il cui valore deriva dal
prezzo di una attività finanziaria sottostante, ovvero dal valore di un parametro finanziario di
riferimento.
17
Cfr. E. GIRINO, op. cit, p. 6
18
Ancora E. GIRINO, op. cit., p. 5
6
regolarne alcuni aspetti, e che esistono modelli dell‟ABI o dell‟ISDA e circolari della
Banca d‟Italia (che ha un potere di tipizzazione delle operazioni finanziarie ex art. 117
d.lgs n. 385/93 - TUB19) e della Consob, senza considerare che il derivato d‟opzione ben
può essere ricondotto al contratti di opzione previsti nel codice civile, deve rilevarsi, in
primo luogo, che non si tratta propriamente di contratti che “negoziano a termine una
entità economica”, in quanto il regolamento contrattuale può avere ad oggetto
semplicemente prestazioni che si vanno a quantificare in base a variabili economiche
(non quindi propriamente entità economiche negoziate) e la cui entità è suscettibile di
definizione solo alla scadenza fissata nel contratto20. Per altro verso i contratti derivati
non sono necessariamente regolati con la corresponsione del solo differenziale, perché
anzi nulla esclude che le parti possano pattuire l‟esecuzione integrale di entrambe le
prestazioni. L‟opinione contraria, peraltro non conforme alla realtà dei fatti, non
consentendo la sussunzione di questi contratti tra i derivati, né di conseguenza tra gli
strumenti finanziari, potrebbe condurre, per assurdo, al risultato di sottrarre
dall‟applicazione della disciplina disposta a tutela degli investitori tutti quegli accordi che
prevedono per ciascuna delle parti un adempimento, senza una specifica pattuizione di
compensazione.
Si è infine obiettato, per escludere in radice il concetto di “derivazione”, che
questi contratti non “derivano”, ma “insistono” su “elementi di altri schemi negoziali,
quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa”21, quasi che lo “stare
sopra” (in-sistere), possa produrre implicazioni giuridiche diverse rispetto al “de-rivare”,
che piuttosto sottintende una relazione (orizzontale) di provenienza di un valore da un
altro. Non si riesce, però, a ricavare una sostanza pratica da questa distinzione, anche a
voler erroneamente sostenere che le prestazioni previste in questi contratti non si
richiamano a variabili estrinseche, ma intrinseche (perché queste sarebbero acquisite nel
regolamento pattuito dalle parti), quando invece è intuitivo che la variazione di un indice
o il verificarsi di un evento rimangono fatti che non possono essere imprigionati nel
contenuto del contratto, se non con semplici rinvii e che la mutevolezza è in natura rerum
oeconomicarum. Certo è, piuttosto, che in ogni caso non si tratta di contratti che insistono
su “negozi”, né su “elementi di schemi negoziali” (v. nota 21), perché è nei manuali la
nozione di negozio giuridico come “manifestazione di volontà diretta a costituire,
regolare o estinguere rapporti giuridici22”.
C‟è da dire, invece, che proprio nel concetto di “derivazione” questi contratti
trovano la loro caratteristica comune, in quanto è pur sempre vero che il valore di
almeno una delle prestazioni dedotte nel contratto (o il risultato differenziale) viene
calcolato in relazione a variabili individuate dalle parti, ma appunto estranee al
regolamento pattuito. Così accade per i contratti a termine, perché se il prezzo di
consegna è fissato nel contratto, il valore della prestazione corrispettiva del venditore
19
G. GITTI, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in L’autonomia privata e
le autorità indipendenti: la metamorfosi del contratto, a cura dello stesso autore, Bologna, 2006, p. 97
ss.
20
In pratica le parti “negoziano” i parametri su cui calcolare queste “entità”.
21
Passim E. GIRINO, op. cit., p. 6 riferisce anche che in una circolare della Banca d‟Italia del 29 marzo
1988 n. 4, aggiornata al 1994 n. 112 art. 3, i derivati sono definiti come “contratti che insistono su
elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di
borsa”, ma è chiaro che oltre alla scelta lessicale operata col termine “insistono”, perchè invece si
tratta di contratti che piuttosto si “riferiscono” a “parametri”, perplessità sorgono anche per la scelta
(erronea) di considerare tassi, indici, valute come elementi di schemi negoziali.
22
In questi termini ad esempio, P. ZATTI E V. COLUSSI, Lineamenti di Diritto privato, Padova, 1993, p.
115.
7
(cioè di colui che alla scadenza si obbliga a consegnare il “sottostante” stabilito)
dipenderà dal valore assunto delle “attività” finanziarie (azioni, obbligazioni, valute,
indici, ecc. o merci) cui si riferisce l‟oggetto dello scambio. Lo stesso accade per i
contratti di opzione, con la differenza che qui il venditore (opzione put) o il compratore
(opzione call) si riserva il diritto di vendere o acquistare ad un prezzo prefissato, un
“sottostante” di valore incerto sino alla scadenza. Anche nei contratti di swap l‟entità dei
reciproci pagamenti è determinata dall‟andamento delle variabili su cui sono tarate le
prestazioni.
III. I contratti derivati tra gli strumenti finanziari. Peculiarità
degli swap.
L‟art.1 co. 2 del d.lgs n. 58/98 (c.d. Testo Unico Finanziario - TUF), così come
risulta dalla riforma portata dal d.lgs. 164/07, recettivo delle direttive europee Mifid I e
II (la dir. n. 39/04 e la successiva dir. attuativa n. 73/06), distingue quattro diverse
categorie di strumenti: quella dei valori mobiliari, quella degli strumenti del mercato
monetario, le quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio (c.d.
OICR) e la gamma, piuttosto vasta ed articolata, dei contratti derivati23.
23
Cfr. art. 1 co. 2 d.lgs 98/58 (TUF) rubricato “strumenti finanziari” in forza del quale per “strumenti
finanziari” si intendono: a) valori mobiliari; b) strumenti del mercato monetario; c) quote di un
organismo di investimento collettivo del risparmio; d) contratti di opzione, contratti finanziari a
termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti
derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati,
indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o
attraverso il pagamento di differenziali in contanti; e) contratti di opzione, contratti finanziari a
termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti
derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in
contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale
facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto; f)
contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), "swap" e altri contratti
derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che
sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione; g)
contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, contratti a termine
(“forward”) e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento puo' avvenire attraverso la
consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f) che non hanno scopi
commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se
sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a
8
Il concetto di strumento finanziario, di cui il legislatore non fornisce alcuna
definizione, si specifica, quindi, attraverso un‟elencazione di entità eterogenee,
accomunate esclusivamente dall‟intenzione di regolare e sanzionare omogeneamente
“attività” rilevanti del mercato finanziario (prestazione di servizi di investimento, offerte
pubbliche di scambio, vendita ed acquisto, pratiche abusive), La dottrina preferisce
distinguere gli “strumenti finanziari” in “strumenti finanziari diversi dai derivati” e
“strumenti finanziari derivati”, individuando così due ambiti giuridici diversi, secondo
un tracciato già battuto nella storia normativa dei mercati finanziari. Del resto se gli
“strumenti finanziari diversi dai derivati” consistono in valori mobiliari (cioè azioni,
obbligazioni, titoli e certificati in genere, purché normalmente negoziati sui mercati
finanziari24), in strumenti del mercato monetario (vale a dire tutti quegli strumenti
normalmente negoziati nel mercato monetario, quali, ad esempio, i buoni del Tesoro, i
certificati di deposito e le carte commerciali25) o in quote di OICR (quote di fondi o
azioni di SICAV), un primo elemento caratterizzante questi strumenti è da rinvenirsi
proprio nel fatto che questi sono rappresentati, anzi consistono, in titoli (o certificati)
seppure “dematerializzati” e comunque non in contratti (o non immediatamente in
contratti)26. Inoltre si tratta di strumenti “negoziabili” sul mercato e destinati per loro
natura ad una circolazione “semplificata”, ed anzi il requisito della “negoziabilità”
regolari richiami di margini; h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito; i) contratti
finanziari differenziali; j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”),
“swap”, contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche,
tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui
regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a
discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o
ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a
beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le
caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un
mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti
attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini.
24
Cfr, art 1-bis d.gls. n. 58/98 Tuf: per "valori mobiliari" si intendono categorie di valori che possono
essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio: a) le azioni di società e altri titoli
equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e certificati di deposito azionario; b)
obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli; c) qualsiasi
altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati
alle precedenti lettere; d) qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato
con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a
rendimenti, a merci, a indici o a misure.
25
Cfr, art 1-ter d.gls. n. 58/98 Tuf ai sensi del quale per "strumenti del mercato monetario" si
intendono categorie di strumenti normalmente negoziati nel mercato monetario, quali, ad esempio, i
buoni del Tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali.
26
Si tratterebbe, in pratica, di strumenti finanziari prima rappresentati da documenti ed ora
definitivamente dematerializzati, secondo quanto disposto dal d.lgs n. 231/1998, che prevede un
obbligo specifico che investe tutti gli strumenti negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati
regolamentati e i titoli di stato. In particolare l‟art. 28 del dlgs. cit vieta di rappresentare in forma
cartolare gli strumenti finanziari dematerializzati, di modo che, da un lato, “per gli strumenti
dematerializzati non è più possibile incorporare i diritti relativi agli strumenti in questione in un
documento cartolare, secondo gli effetti propri della disciplina ei titoli di credito, ponendosi tale
impossibilità già in fase di emissione dei titoli”, dall‟altro, “i documenti cartacei rappresentativi degli
strumenti finanziari interessati dal provvedimento di dematerializzazione sono stati materialmente
annullati, ed hanno perso ogni funzione”. Sul punto v. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato
mobiliare, Torino, 2008, p. 288 ss.; v. anche B. LIBONATI, Titoli di credito e strumenti finanziari,
Milano, 1999, p. 121 ss.; M. BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 61 ss.
9
costituisce quel presupposto indispensabile, senza il quale non potrebbero essere
qualificati come strumenti finanziari27.
Invece gli “strumenti finanziari derivati” sono contratti (un discorso a sé
riguarda i warrant spesso compresi erroneamente tra i contratti derivati), per cui il
legislatore non ha fissato requisiti di “negoziabilita”28, perché non realizzano la loro
funzione primaria nella circolazione, quand‟anche siano quotati (come i future e le
opzioni), e possano circolare secondo la regole dell‟Idem (Italian derivatives market).
Per altro verso se è vero che i derivati non trovano alcuna corrispondenza con le
quote di OICR, né con gli strumenti del mercato monetario, né tanto meno possono
essere confusi con titoli e certificati di alcun genere, è altrettanto vero che il legislatore
solo a partire dal d.lgs n. 415/96 (c.d. decreto Eurosim) ha escluso questi contratti dal
novero dei valori mobiliari29. Infatti la precedente l. n. 1/91 (c.d. legge SIM), prisca
27
Infatti si legge alla lett. a) dell‟art. 1 bis TUF che le azioni e gli altri strumenti devono essere
negoziabili sul mercato dei capitali. Negoziabili, egualmente, devono essere le obbligazioni, i titoli di
Stato e gli altri titoli di debito [lett. b)]. Lo stesso [titoli normalmente negoziati – lett. d)] deve dirsi
per gli strumenti del mercato monetario. Per quanto riguarda invece le quote di organismi di
investimento collettivo, seppure la negoziabilità non sia espressamente richiamata, deve darsi per
sottointesa. La negoziabilità delle quote di fondi comuni rappresenta per così dire a monte, un dato
distintivo della disciplina ad essi applicabile, che viene giustamente dato per presupposto, o per
implicito solo distinguendo per i valori mobiliari la possibilità, intesa come “idoneità astratta”, ad
essere negoziati sul mercato dei capitali, e per gli strumenti del mercato monetario la normalità di tale
peculiarità: in questi termini F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2008, p.
82 e 83. Tuttavia quest‟impostazione, per quanto riguarda, per lo meno, le quote di fondi deve
ritenersi imprescindibile solo sulla considerazione che il legislatore ha inteso individuare categorie di
strumenti finanziari per semplificare, in particolare, l‟applicazione della disciplina inerente la
prestazione di servizi di investimento e preservare nel modo più vasto e pregnante la tutela degli
investitori e del mercato. Il che non si verificherebbe se si richiedesse alle quote di fondi un‟effettiva
negoziabilità, piuttosto che una potenziale.
28
“negoziabilità” in questo caso assume il significato non di semplice “contrattazione” o
“propensione” alla contrattazione, ma piuttosto di possibilità di “circolazione” di uno strumento tra
più soggetti.
29
Cfr. art. 1 del medesimo d.lgs n. 415/96 (decreto Eurosim), ai sensi del quale “per strumenti
finanziari si intendono: a) azioni e altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul
mercato dei capitali; b) obbligazioni, titoli di Stato e altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei
capitali; c) quote di organismi di investimento collettivo; d) titoli normalmente negoziati sul mercato
monetario; e) qualsiasi altro titolo normalmente negoziato, che permetta di acquisire gli strumenti
indicati nelle precedenti lettere, e i relativi indici; f) contratti futures su strumenti finanziari, su tassi di
interesse, su valute, su merci, e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il
pagamento di differenziali in contanti; g) contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di
interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione
avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; h) contratti a termine collegati a strumenti
finanziari, a tassi d'interesse, a valute, a merci, e ai relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga
attraverso il pagamento di differenziali in contanti; i) contratti di opzione per acquistare o vendere gli
strumenti indicati nelle precedenti lettere e i relativi indici, nonché contratti di opzione su valute, su
tassi d'interesse, su merci, e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il
pagamento di differenziali in contanti; j) combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti
lettere”. Invece i mezzi di pagamento, precisa il co.2 del medesimo articolo, non sono considerati
strumenti finanziari. In pratica l‟art. 1 del d.lgs n. 415/96 cit. recupera quanto disposto dall‟allegato 1
della direttiva 93/22 (ISD), con la differenza che il legislatore comunitario individua “le azioni ed altri
valori assimilabili ad azioni, le obbligazioni ed altri titoli di credito negoziabili sul mercato dei
capitali, nonché qualsiasi altro valore normalmente negoziato che permetta di acquisire valori
mobiliari mediante sottoscrizione o scambio o che comporti un pagamento in contanti”, come valori
mobiliari, mentre quello nazionale ha preferito espungere il concetto di valori mobiliari dalla
definizione del testo unico semplicemente perché si trattava di un concetto compromesso e suscettibile
di incomprensioni.
10
disciplina dei rapporti di intermediazione finanziaria, comprendeva i derivati proprio tra
i valori mobiliari, ampliandone di conseguenza la nozione30. Allo stesso modo deve
rilevarsi che le istruzioni di vigilanza della Banca d‟Italia, che intendevano per valori
mobiliari “gli strumenti di raccolta dei fondi, negoziati o negoziabili in un mercato,
destinati ad una pluralità di investitori”, tra questi parimenti vi includevano “i prodotti
derivati”31.
Si generava quindi una promiscuità mal tollerata dalla dottrina e ritenuta foriera
di inutili fraintendimenti, principalmente sulla considerazione che già il concetto di
valori mobiliari era stato mutuato dal diritto francese, che abbinava, secondo
un‟impostazione dualistica, i valeur mobilière (in pratica i titoli di massa) agli effet de commerce
(i titoli di credito) ed a questa occorreva dunque riferirsi per qualsivoglia ricostruzione
ermeneutica32. Tralasciando ogni considerazione in merito alla ricezione tecnica
dell‟istituto nel nostro ordinamento, che non conosceva, per la sua diversa connotazione
“monistica”, una simile ripartizione (che perciò era ritenuta di senso economico più che
giuridico), si deve qui rimarcare che seguendo questa linea anche la legge bancaria del
1936 all‟art. 2 stabiliva che alla Banca d‟Italia dovesse essere richiesta necessariamente
“l‟autorizzazione per ogni emissione di azioni, obbligazioni, di buoni di cassa e di valori
mobiliari da parte di enti creditizi”, assimilandone così i concetti, ed il co. 1 dell‟art. 45
della stessa legge prevedeva che “le banche per partecipare al collocamento di valori
mobiliari non emessi dallo Stato, né da questo garantiti, dovessero essere autorizzate
dalla Banca d‟Italia”. In entrambi i casi l‟idea di emissione e la serialità delle operazioni
che presuppone un collocamento non facevano (e non fanno) sorgere alcun dubbio sul
fatto che l‟oggetto delle norme fossero proprio quei valori dalla “documentalità”
necessaria33. Allo stesso modo l‟art. 18 della l. n. 216/74 poneva obblighi informativi a
carico di coloro che “intendessero procedere all‟acquisto o alla vendita, mediante offerta
al pubblico di valori mobiliari” ed il successivo art. 18 bis, introdotto dall‟art. 18 della l.
77/83, estendeva la disciplina della sollecitazione all‟investimento anche all‟offerta di
“ogni documento o certificato idoneo a conferire diritti di acquisto di valori mobiliari”
come “diritti in società, associazioni, imprese o enti di qualsiasi tipo, ivi compresi i fondi
di investimento, o rappresentativi di un credito o di un interesse ecc.34” Confermava
30
Infatti l‟art. 1 della legge n.1/91 (legge SIM), posteriore rispetto al legge bancaria ed alla legge del
„74 relativa alla sollecitazione all‟investimento, ma precedente, e quindi non estranea al corpo
normativo da cui è promanato il TUB, aveva proposto una nozione più ampia di valore mobiliare,
spingendola fino ad abbracciare i contratti c.d. derivati. Cfr. art. 1 co. 2 L. n. 1/91: “Ai fini della
presente legge i contratti a termine su strumenti finanziari collegati a valori mobiliari, tassi di interessi
e valute, ivi compresi quelli aventi ad oggetto indici su tali valori mobiliari, tassi di interesse e valute,
sono considerati valori mobiliari”.
31
V. circolare della Banca d‟Italia in G.U., S.G. n. 9 del 12 gennaio 1996.
32
Cfr. E. GABRIELLI, R. LENER: Valori mobiliari e strumenti finanziari, in I contratti del Mercato
finanziario, a cura degli stessi autori, Torino, 2004. in particolare B. LIBONATI, Titoli di credito e
strumenti finanziari, Milano, 1999, p. 110 ss.; M. BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 49
ss.
33
L‟espressione è di E. GABRIELLI, R. LENER: Mercati, strumenti finanziari e contratti d’investimento,
in I contratti del Mercato finanziario, a cura degli stessi autori, Torino, 2004, p. 21.
34
In particolare l‟art. 18 bis estendeva la disciplina della sollecitazione all‟investimento anche ad
“ogni documento o certificato che direttamente o indirettamente rappresentasse diritti in società,
associazioni, imprese o enti di qualsiasi tipo, ivi compresi i fondi di investimento italiani od esteri;
ogni documento o certificato che direttamente o indirettamente rappresentasse diritti in società,
associazioni, imprese o enti di qualsiasi tipo, ivi compresi i fondi di investimento italiani o esteri; ogni
documento o certificato rappresentativo di un credito o di un interesse negoziabile e non; ogni
documento o certificato rappresentativo di diritti relativi a diritti materiali o proprietà immobiliari,
11
questa impostazione l‟art. 129 del d.lgs. 385/93 (c.d. Testo Unico Bancario - TUB), che
intervenendo sulla disciplina relativa alla emissione di valori mobiliari, ne preservava una
nozione fortemente legata ai titoli di massa35.
Se ne ricava, in sostanza, che il legislatore in origine aveva adottato una nozione
ristretta di valore mobiliare, conforme alle esigenze che nascevano dalla necessità di
regolare l‟emissione e l‟offerta al pubblico di titoli. Tuttavia con il passare del tempo, per
l‟evoluzione dei prodotti e dei mercati, decideva di estenderne il concetto ai contratti
derivati.
Operazione opinabile questa, ed infatti assoggettata a critiche, ma di certo anche
la sistemazione “asettica” dei contratti derivati nella cerchia degli strumenti finanziari
merita alcune riflessioni. In primo luogo, infatti, ci si deve intendere sul significato di
strumento finanziario, mai imbrigliato dal legislatore in una definizione, perché se lo
strumento è un mezzo per ottenere un certo risultato (forse anche un “bene” inteso
come l‟oggetto di un rapporto giuridico36), il concetto di “finanziarietà” è mutevole e
presenta argini imperfetti. Secondo un‟opinione, infatti, “finanziari” possono essere
denominati quegli strumenti che procurino un finanziamento al soggetto, compresi i
contratti di finanziamento tout court, tra cui perfino la locazione e la vendita37. Anche i
contratti di conto corrente e quelli di deposito bancario, per il meccanismo dell‟interesse
ricavato dalla somma di denaro affidata alla banca, sarebbero da collocarsi tra questi
contratti38. Secondo un‟altra impostazione, concorde alla precedente nei presupposti ma
non negli esiti, se i contratti di conto corrente e deposito non possono essere inclusi,
proprio per mancanza di “finanziarietà” (perché non trasferiscono credito), viceversa
sarebbero inquadrabili nella fattispecie, oltre alle prestazioni offerte dalle società di
intermediazione mobiliare, anche i contratti di factoring e leasing (per quanto, pur
intuitivamente, è chiaro che non si tratta di prodotti rinvenibili in un portafoglio
nonché ogni documento o certificato idoneo a conferire diritti di acquisto di uno dei valori mobiliai
sopra indicati”.
35
Cfr. art. 129 d.lgs 385/93: “Emissione di valori mobiliari. 1. Le emissioni di valori mobiliari e le
offerte in Italia di valori mobiliari esteri devono essere comunicate alla Banca d'Italia, a cura degli
interessati, ove di ammontare eccedente il limite da questa fissato. Tale limite deve essere comunque
superiore a dieci miliardi di lire. 2. All'obbligo di comunicazione sono del pari assoggettate le
operazioni che, deliberate o da effettuarsi in più riprese, superino complessivamente il predetto limite
nell'arco di dodici mesi. 3. La comunicazione indica le quantità e le caratteristiche dei valori mobiliari
nonchè le modalità e i tempi di svolgimento dell'operazione. Entro quindici giorni dal ricevimento
della comunicazione la Banca d'Italia può chiedere informazioni integrative. 4. omissis. 5. Le
disposizioni di cui al presente articolo non si applicano: a) ai titoli di Stato o garantiti dallo Stato; b) ai
titoli azionari; c) all'emissione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare nazionali; d) alla
commercializzazione in Italia di quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari
situati in altri paesi della Comunità europea e conformi alle disposizioni comunitarie; e) ai titoli
emessi in forza di autorizzazione del Ministro del tesoro a norma del regio decreto-legge 15 marzo
1927, n. 436, convertito dalla legge 19 febbraio 1928, n. 510. 6. omissis.
36
Cfr. P. PERLINGIERI e P. FEMIA, in P.PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 74 e
75.
37
In questo senso A. DI MAIO, Contratti bancari e finanziari, p. 239. Al riguardo occorre precisare
che l‟autore con l‟espressione “finanziari” si riferisce in particolare ai contratti relativi a servizi
finanziari. Qui tuttavia si è ritenuto di utilizzare il concetto di finanziarietà utilizzata in quella sede per
la sostanziale corrispondenza con quello di finanziarietà insito nel concetto di “contratto finanziario”.
Non sarebbero contratti finanziari i contratti di deposito di valori o di custodia in cassetta di sicurezza,
perché non assolverebbero a funzioni di tipo finanziario, ma piuttosto consisterebbero in attività
connesse. Così G. LENER, I contratti del mercato finanziario, a cura di E. GABRIELLI E R. LENER, p.
127.
38
Ancora A. DI MAJO, op. ult. loc. cit., p. 239.
12
finanziario), perché in fondo, si è sostenuto, che questi eseguirebbero comunque un
finanziamento, seppure in via indiretta39. In questa prospettiva l‟idea di “finanziarietà” si
realizzerebbe nel trasferimento (prestito) di denaro da un soggetto (finanziatore) ad un
altro (finanziato) e su questo presupposto dovrebbe essere eseguito il giudizio di
qualificazione (con limiti di rigore più o meno severi a seconda del caso), di quei
contratti che pretendono di possederne i requisiti. Si deve constatare, peraltro, che la
nozione economica diffusamente condivisa di mercato finanziario come “luogo ideale in
cui vengono effettuati il trasferimento del risparmio tra gli operatori economici che ne
accumulano e gli operatori che ne fanno domanda e la redistribuzione dei rischi
economici tra i medesimi operatori”40 sembrerebbe del tutto funzionale a questa
ipostazione, di modo che, se il mercato è il luogo dove si trasmettono delle somme, i
contratti devono consistere in quegli strumenti che lo consento. Non servirebbe a
confutare questa prospettiva la precisazione introdotta dall‟art. 1 co. 4 TUF ai sensi del
quale “i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari”, perché è chiaro che un
conto è il finanziamento (contratto) ed un conto è il mezzo (l‟oggetto del contratto in
senso stretto), tramite cui questo è effettuato.
Se questa ricostruzione, però, è corretta, si dovrebbe constatare l‟erronea
ricomprensione dei contratti derivati tra gli strumenti finanziari. Infatti nessuno di questi
svolge una funzione “finanziaria” in senso stretto intesa come “finanziamento” di un
soggetto ad un‟altro, perché nessuno di questi contratti si preoccupa di trasferire in
prestito denaro o altre utilità. Al più i derivati potrebbero realizzare un meccanismo di
tutela del credito (ad esempio con un Interest rate swap stipulato a garanzia della
fluttuazione di tassi di un mutuo41). Al contrario una causa finanziaria può rivenirsi (per
quanto in certi casi impropriamente) nell‟acquisizione di azioni o obbligazioni di società,
oppure anche di quote di OICR42.
39
V. GABRIELLI E R. LENER, op. loc. ult. Cit. p. 128 e 129. V. Lener, seppure con riferimento alla
nozione di contratto finanziario stipulato tra professionista e consumatore ed utile all‟esclusione della
disciplina delle clausole vessatorie ex art. 33 co. 4, 5 e 6, ritiene estranei ai contratti finanziari, quelli
deposito, in quanto volto semplicemente alla raccolta del risparmio (fuorviante sarebbe il riferimento
alla corresponsione dell‟interesse) ed i contratti di conto corrente, perché “neutri” ed “accessori”
rispetto a quelli di deposito, apertura di credito ed altre operazioni bancarie.
40
La definizione corrisponde alla voce “mercato finanziario” di “Finanza”dizionario Garzanti, collana
Le Garzatine, Milano, 2007.
41
Si può ipotizzare un contratto a termine con finalità di copertura stipulato da un soggetto che
detiene titoli di stato decennali che già contava di vendere ad una data futura per pagare la rata di un
mutuo il cui importo corrisponde al valore attuale dei titoli. Il rischio che si presenta in questi casi
consiste nel possibile deprezzamento che i titoli potrebbero subire, con la conseguenza che alla
scadenza della rata del mutuo il ricavato della loro vendita non sarebbe sufficiente a pagare la rata del
mutuo. La conclusione del contratto a termine escluderebbe questo rischio. Infatti vendendo i titoli ad
un prezzo di consegna pari al valore dei titoli al momento della conclusione del contratto, anche
qualora il valore dei titoli fosse soggetto a deprezzamento, se ne ricaverà al termine stabilito per
l‟adempimento delle reciproche obbligazioni la somma necessaria (esempio liberamente tratto
dall‟opuscolo informativo Consob “I principali prodotti derivati. Elementi informativi di base”, p. 11
reperibile al sito: www.consob.it).
42
Che il legislatore utilizzi un concetto di finanziarietà diverso e tale da non comprendere solo
un‟attività finanziaria in senso stretto (prestiti), ma anche quella, seppure del tutto distinta, dei servizi
accessori o degli accessori del credito in senso lato (come , ne da atto anche l‟art. 106, co. 1 e 2 del
d.lgs n. 385/93 (TUB), ai sensi del quale si ricava che per attività finanziaria deve intendersi
“l'esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di
finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in
cambi”. Quindi non solo la concessione di finanziamenti e l‟attività di assunzione di partecipazioni,
ma anche la prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi, che di certo attività
13
Secondo un‟altra interpretazione la natura finanziaria troverebbe riscontro nella
ragione giustificativa (causa) dell‟operazione economica43. Sarebbe, dunque, attestata da
una aspettativa di rendimento correlata all‟investimento di una somma di denaro e
soggetta a particolari condizioni di rischio (cioè la possibilità di un nocumento). Questa
definizione, però, sebbene sia in grado di descrivere anche il meccanismo elementare dei
contratti derivati (compresi gli swap), perché questi realizzano pur sempre un
investimento, (anche se spesso “virtuale” o di importo limitato rispetto al capitale
effettivamente movimento), per lo scopo di ottenere un rendiconto economico (quale
che sia la funzione in concreto perseguita) ed a fronte della sopportazione di un rischio
(che comunque in questi contratti è presente seppure con intensità profondamente
diverse44), tuttavia non riuscirebbe ad escludere contratti come il leasing, perché anche lì
esiste un‟aspettativa di rendimento del concedente il bene, una funzione di
finanziamento per l‟utilizzatore (che eviterebbe immobilizzazioni di capitali per
l‟acquisizione dei beni) ed un rischio (il conduttore infatti si assume il rischio per il
perimento ed il deterioramento del bene). Non escluderebbe neppure quei contratti di
compravendita di diritti reali (come nel caso di acquisto di quote di multiproprietà),
perché anche questi finirebbero per realizzare “un investimento di natura finanziaria se a
motivare l‟acquisto è (non il godimento di un bene ma) l‟attesa dei suoi possibili
rendimenti di portafoglio”45. Ne risulta, in sintesi, che questa accezione di “finanziarietà”
è decisamente troppo vasta e suscettibile di creare fraintendimenti e confusioni.
finanziarie non sono. Per altro verso si potrebbe anche replicare che se per strumenti finanziari si
intendono genericamente gli strumenti presenti sul mercato, allora questi sembrerebbero non
distinguersi dai prodotti finanziari, fattispecie utilizzata dal legislatore come contenitore amplissimo di
tutto quanto può essere reperito nei mercati finanziari e non necessariamente coincidente con uno
strumento finanziario. C‟è da dire al riguardo che il legislatore attribuisce sorti differenti ai due
concetti. Infatti all‟individuazione degli strumenti finanziari è legata principalmente la disciplina dei
servizi di investimento e degli obblighi informativi a carico degli intermediari. A quella di prodotto
finanziario sono invece ancorate tutela più generiche connesse alle OPV ecc., di modo che tutte quelle
operazioni finanziarie che hanno ad oggetto quei prodotti che non consistono anche in strumenti
lascerebbero l‟investitore sprovvisto di alcune cautele fondamentali.
43
In questo senso M. BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 55. Deve precisarsi sul punto
che l‟autore più precisamente spiega il concetto di “finanziarietà” rispetto ai “prodotti finanziari” e
non agli “strumenti finanziari”, per la definizione dei quali si affida all‟elenco di cui all‟art. 2 TUF
(chiaramente nelle sua formulazione precedente alla riforma Mifid). Tuttavia le conclusioni devono
ritenersi le medesime non potendosi accettare idee di finanziarietà diverse per gli uni e per gli altri.
Per altro verso la decisione di trovare una “definizione” solo “in limine” è indice, per dirla con le
parole dell‟autore, di “problemi di identificazione” per “loro oggettiva complessità”.
44
Del resto anche le opzioni presentano profili di rischio, per quanto limitato. Infatti in questi contratti
“la particolare condizione di rischio” che dovrebbe esprimerne uno dei presupposti fondamentali, è in
pratica fortemente contenuta. Si pensi ad esempio che se un acquirente (opzione call) o un venditore
(opzione put) dell‟opzione (secondo il gergo in uso), si riservano di esercitare il proprio diritto a
seconda della convenienza dell‟affare, di modo che il valore intrinseco non potrà assumere valori
negativi, in quanto il portatore ha un diritto (non l‟obbligo) di acquistare o vendere e, nel caso in cui il
prezzo corrente del sottostante fosse al momento dell‟esercizio inferiore al prezzo d‟esercizio, eviterà
di esercitarlo. La perdita, dunque, eventualmente sarà limitata al premio già corrisposto per
avvantaggiarsi della possibilità di scelta. Per l‟oblato invece il rischio del nocumento si limiterà al
prezzo fissato di acquisto o vendita in caso di apprezzamento o deprezzamento del bene. Un‟ampia
casistica è presente nell‟opuscolo informativo Consob “I principali prodotti derivati. Elementi
informativi di base”, reperibile al sito: www.consob.it. Altrimenti v. F. CAPUTO NASSETTI, I contratti
derivati finanziari, Milano, 2007.
45
Più esattamente il Bessone scrive: ”Anche l‟acquisto di diritti reali (e si pensi all‟acquisto di quote
di multiproprietà) finisce infatti per essere investimento di natura finanziaria se a motivare l‟acquisto è
(non il godimento di un bene ma) l‟attesa dei suoi possibili rendimenti di portafoglio”. Cfr M.
14
Spunti di riflessione del tutto diversi, ma capaci di suggerire una nozione di
“finanziarietà” corrispondente alla realtà dei mercati, sono offerti dallo studio della
disciplina delle commodities (i derivati su materie prime). Infatti la direttiva n. 22/93 (c.d.
ISD) aveva escluso dall‟elencazione degli strumenti finanziari questa tipologia di
contratti46. La Consob, dal canto suo, aveva precisato che le operazioni di
compravendita a pronti o a termine aventi “direttamente” ad oggetto merci non
rientravano tra gli strumenti finanziari (come peraltro quelle che avevano direttamente
ad oggetto valute)47, lasciando supporre che diversamente queste potevano esservi
incluse nel caso in cui, ad esempio, il regolamento fosse avvenuto in differenziali48, per
la preoccupazione, probabilmente, che potessero rimanere sottoposte alla disciplina
prevista in materia di servizi di investimento semplici compravendite di quantità di
materie prime. Il TUF, dal canto suo, a seguito della riforma Mifid, ha inserito nell‟art. 2
BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 55. Sul punto occorre tuttavia obiettare che se i
rendimenti di portafoglio di cui discorre l‟autore consistono nella cessione ad altri del godimento del
bene acquistato o nella differenza tra il prezzo di acquisto e di rivendita dell‟immobile (o della quota
in multiproprietà) i rischi da questo stesso rimarcati per individuare un investimento finanziario
consisterebbero, in sostanza, nell‟eventualità che il bene non sia locato o che il bene sono subisca un
apprezzamento profittevole, ovvero diminuisca perfino di valore. In questi casi, però, si tratterebbe di
un rischio esterno alla causa del contratto e quindi inidoneo a connotare una fattispecie (o un
investimento) di per sé come rischioso.
46
Sul punto interessante è la considerazione di A. RANCATI in Mifid. La nuova disciplina dei mercati,
servizi e strumenti finanziari, a cura di L. ZITIELLO, Torino, 2007, p. 25: “Dalla definizione di
strumento finanziario stabilita dalla direttiva ISD erano, pertanto, escluse già allora importanti
tipologie di strumenti, quali, in particolare, i contratti derivati su merci (commodities), che se da un
lato, in forza di tale esclusione, non ricadevano nell‟ambito di applicazione delle norme di condotta
prescritte dalla normativa comunitaria, dall‟altro, in forza di tale esclusione, non ricadevano
nell‟ambito di applicazione delle norme di condotta prescritte dalla normativa comunitaria, dall‟altro
non potevano beneficiare del regime c.d. di passaporto europeo disposto in generale per i servizi di
investimento aventi ad oggetto strumenti finanziari”.
47
Cfr. Comunicazione Consob DAL/RM796009251 del 15 ottobre 1996. Analoga anche la
Comunicazione Consob DAL/RM796008578 del 23 settembre 1996 la quale osservava che non
rientrano nella nozione di servizi finanziari le operazioni di compravendita a pronti o a termine che
abbiano direttamente ad oggetto valute. Sul punto A. RANCATI op. ult. loc. cit., p. 25, ha osservato: “la
linea di demarcazione tra operatività su valute ed operatività in contratti derivati su valute poggia,
dunque, sull‟oggetto della specifica operazione: qualora essa abbia direttamente ad oggetto una valuta,
intesa come res oggetto della compravendita, sebbene il suo prezzo sia determinato con riferimento ad
una valuta diversa (e, dunque, ad un tasso di cambio), si sarà nell‟ambito dell‟attività di
intermediazione in cambi (che non costituisce servizio di investimento; qualora, invece, essa abbia ad
oggetto direttamente (non una res ma) un differenziale, connesso all‟andamento del tasso di cambio, e
solo mediante una valuta, si sarà nell‟ambito della prestazione di un servizio di investimento”.
48
Cfr. in proposito l‟art. 38 del Reg. CE n. 1287/06 rubricato: “Characteristics of other derivative
financial instruments ai sensi del quale: ”1. For the purposes of Section C(7) of Annex I to Directive
2004/39/EC, a contract which is not a spot contract within the meaning of paragraph 2 of this Article
and which is not covered by paragraph 4 shall be considered as having the characteristics of other
derivative financial instruments and not being for commercial purposes if it satisfies the following
conditions: (a) it meets one of the following sets of criteria: (i) it is traded on a third country trading
facility that performs a similar function to a regulated market or an MTF; (ii) it is expressly stated to
be traded on, or is subject to the rules of, a regulated market, an MTF or such a third country trading
facility; (iii) it is expressly stated to be equivalent to a contract traded on a regulated market, MTF or
such a third country trading facility; (b) it is cleared by a clearing house or other entity carrying out
the same functions as a central counterparty, or there are arrangements for the payment or provision of
margin in relation to the contract; (c) it is standardised so that, in particular, the price, the lot, the
delivery date or other terms are determined principally by reference to regularly published prices,
standard lots or standard delivery”.
15
alcuni criteri necessari alla sussunzione dei derivati su merci tra gli strumenti finanziari.
In primo luogo precisando che “i contratti di opzione, i contratti finanziari a termine
standardizzati (contratti future), gli swap, gli accordi per scambi futuri di tassi di interesse
e altri contratti derivati connessi a merci si possono considerare strumenti finanziari se
l‟adempimento delle prestazioni dovute avviene attraverso il pagamento di differenziali
in contanti (o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione
dei casi in cui tale facoltà conseguirebbe ad inadempimento o ad altro evento in grado di
determinare la risoluzione del contratto), ovvero tramite la consegna del sottostante, ma
in questo caso deve trattarsi di accordi negoziati su di un mercato regolamentato o in un
sistema multilaterale di negoziazione”49. Altrimenti (ipotesi residuale) deve trattarsi di
“contratti d‟opzione, a termine future (ma, in questo caso, anche forward), swap, o altri
derivati (sempre connessi a merci) che non hanno scopi commerciali (è pertanto hanno
scopi finanziari), possiedono le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, e che
sono eseguiti perciò attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a
regolari richiami di margini”50.
In pratica il legislatore per escludere la natura commerciale di contratti che per
l‟oggetto (merci) ben si prestavano a fraintendimenti, si è visto costretto a svelare
“indici” di “finanziarietà” in grado di operare questa selezione. Tutti, però, diretti ad
evidenziarne la reperibilità sul mercato, come se questa loro peculiarità dovesse essere
rintracciata nel fatto (rebus sic stantibus) che questi sono finanziari perché normalmente
conclusi da intermediari e stipulati (negoziati) sul mercato finanziario (regolamentato o
meno). Questo sarebbe il senso della specifica richiesta di negoziazione su mercati o
tramite sistemi multilaterali di scambio, del conferimento regolare di margini,
dell‟esecuzione tramite stanze di compensazione o del pagamento di differenziali, posto
che, in quest‟ultimo caso, l‟accordo di compensare una prestazione con l‟altra (di modo
che solo il residuo della sottrazione dovrà essere adempiuto), ben può accedere a
contratti anche non finanziari, ma che tuttavia, per la frequenza di questo genere di
operazioni nelle sedi finanziarie, ne fa presumere l‟appartenenza. Sembrerebbe, quindi,
che un indizio di “finanziarietà” sia rintracciabile nel rapporto che uno strumento
conserva col mercato; in altre parole, si potrebbe dire, nella reperibilità di uno strumento
sul mercato finanziario.
Se ne ricava, in sintesi, che per accertare la “finanziarietà” di uno strumento,
unitamente alla prospettiva di ottenere una utilità economica da un investimento, a
fronte della possibilità di subire un nocumento (il rischio), deve essere verificare la
possibilità di poter negoziare (reperire) quello strumento sul mercato finanziario. Una
compravendita commerciale, come un contratto di leasing, non possono essere negoziati
49
Cfr. art. art. 2 lett. e) ed f) TUF.
Cfr. ancora art 2 lett. e), f) e g) TUf. Sul punto si veda anche F. ANNUNZIATA, La disciplina del
mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 85. Un discorso analogo va fatto per i c.d. derivati esotici, vale a
dire quelli il cui sottostante è rappresentato da variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di
emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, i cui indici di finanziarietà sono
individuati dall‟art. 1 co. 2 let. j) del TUF nel fatto che i contratti siano regolati attraverso il
pagamento di differenziali in contanti (anche a seguito di scelta discrezionale di una delle parti, con
esclusione, però, dei casi in cui tale facoltà consegua a inadempimento o ad altro evento che determina
la risoluzione del contratto), oppure deve trattarsi di contratti negoziati su un mercato regolamentato o
in un sistema multilaterale di negoziazione, o compensati ed eseguiti attraverso stanze di
compensazione riconosciute oppure, in ultimo, soggetti a regolari richiami di margini. In proposito
cfr. ancora F. ANNUNZIATA, op. ult. loc. cit., p. 86 e 87.
50
16
su mercati finanziari e di conseguenza non potranno essere considerati “finanziari”, né
tanto meno strumenti (o prodotti) finanziari51.
Utilizzando questi criteri per i contratti derivati il giudizio sulla “finanziarietà”
non può essere che positivo. Infatti è vero che attraverso un derivato (pur tecnicamente
senza investire una somma) è possibile ricevere profitti (ossia somme in eccesso rispetto
alla condizione patrimoniale iniziale dello stipulante) soggiacendo a perdite, secondo
regimi di rischio tipici di un mercato che connota con questa peculiarità intrinsecamente
gli strumenti che all‟interno sono negoziati.
IV. Definizione e caratteristiche dei contratti di swap. I
principali contratti individuati dalla prassi.
Secondo la dottrina specializzata, gli swap consistono in “contratti con cui le parti
si obbligano a scambiare tra loro pagamenti, il cui ammontare è determinato sulla base
di paramenti di riferimento diversi”52. L‟obbligo che ciascuna parte si assume di eseguire
51
Di conseguenza non potranno essere applicate le norme del TUF o del codice del consumo disposte
in relazione agli strumenti finanziari o ai prodotti.
52
La definizione è di F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari, Milano, 2008, p. 54. Una
definizione analoga si ricava anche dalla circolare ABI S.T. 0 n. 35 del 1991 che a proposito di IRS
precisa trattarsi di contratto “in base al quale le parti si scambiano due serie di pagamenti basati su due
differenti metodi di calcolo”. Le definizioni sono generiche ed hanno indotto gli stessi autori a
segnalare possibili sovrapposizioni con altre fattispecie contrattuali, come può accadere tra un IRS
(Interest Rate Swap) ed un FRA (Forward Rate Agreement), nel quale “l‟obbligo di una parte di
pagare alle scadenze predeterminate una somma prestabilita si compensa con la somma – il cui
ammontare verrà calcolato in base a parametri di riferimento futuri (sic) – che l‟altra parte deve a sua
volta pagare”52. La prestazione che ne risulterebbe, andrebbe coincidere con uno swap regolato con
differenziale, senza che sia possibile, prima facie, coglierne le differenze. F. CAPUTO NASSETTI, op.
ult. loc. cit. p. 232, definisce il forward rate agreement “come il contratto mediante il quale una parte
si obbliga a corrispondere un importo calcolato moltiplicando un ammontare nominale per la
differenza positiva tra il tasso di interesse per il periodo di riferimento concordato in vigore alla data
futura stabilita e quello inizialmente pattuito al tempo della conclusione del contratto e per il numero
dei giorni compresi nel periodo di riferimento e dividendo il risultato per il numero dei giorni
dell‟anno. L‟altra, invece, si obbliga a corrispondere allo stesso termine un importo calcolato allo
stesso modo utilizzando la differenza negativa tra gli stessi valori”. Lo stesso autore segnala (ancora
nota 6 cit.) la somiglianza, per quanto “superficiale” con uno swap, in quanto quest‟ultimo
presupporrebbe che i pagamenti che almeno una parte deve all‟altra siano almeno due e che comunque
la causa del negozio è diversa. Ora, al di là del fatto che la nozione di causa non è univoca, e
comunque, quale che sia non sembra condurre a risultati diversi per entrambe le fattispecie (sul punto,
17
pagamenti a scadenze stabilite (non necessariamente coincidenti), colloca questi contratti
tra quelli c.dd. ad effetti obbligatori. Infatti negli swap sono presenti due promesse di
versare una data somma di denaro, seppure in caso di contratto regolato con
differenziali, al momento dell‟adempimento solo una delle due potrebbe essere tenuta
all‟esecuzione della prestazione53. Più in particolare gli swap sono contratti di durata, in
quanto realizzano molteplici pagamenti reciproci, distinti ed autonomi, seppure
connessi, proiettati nel tempo per soddisfare un interesse “periodico” dei contraenti54.
Se ne ricava che in questi contratti il decorso del tempo è l‟elemento caratterizzante della
vicenda giuridica, perchè il tempo non può essere considerato uno spazio vuoto, ma è il
contenitore di quegli avvenimenti incerti che modificano i termini patrimoniali delle
prestazioni e generano quel rischio che le parti hanno assunto a requisito qualificante
della fattispecie55.
Dalla definizione di swap si ricava, inoltre, che le prestazioni devono essere
calcolate su “parametri” di riferimento necessariamente “diversi”. Infatti, se si trattasse
di pagamenti che già nella previsione delle parti coincidono nell‟ammontare e nelle
modalità di adempimento, non si riscontrerebbe un interesse dei contraenti degno di
tutela. Diversamente si ammette, invece, che i pagamenti possano essere determinati a
priori dello stesso ammontare, purché siano effettuati in tempi diversi, perchè
l‟adempimento differito potrebbe realizzare comunque l‟interesse dei contraenti, come
nel caso in cui una società si impegna a pagare una somma l‟ultimo giorno di ogni mese
per tre anni e l‟altra, invece si impegna a pagare la stessa cifra il quindici di ogni mese56.
però, si rinvia al cap. dedicato), anche la necessità che anche solo una parte esegua non meno di due
prestazioni è opinabile, ed opinata (v. R. AGOSTINELLI Le operazioni di swap e la struttura
contrattuale sottostante, in Banca, borsa, titoli di credito, Milano, 1997, I, p. 113), da altra dottrina e
non serve a vincere quell‟incertezza ed ambiguità che investe le fattispecie de quibus. E‟ dibattuto,
peraltro, se i flussi di pagamenti che individuerebbero l‟accordo possano limitarsi a due oppure,
necessariamente, debbano consistere in un numero superiore, di modo che non si rientrerebbe più
nell‟ambito degli swap se ciascuna delle parti si obbligasse ad eseguire un solo pagamento 52 Secondo
R. AGOSTINELLI ai fini della qualificazione dello swap sarebbe sufficiente lo scambio a termine di
almeno due somme di denaro calcolate applicando due diversi parametri ad un unico ammontare di
riferimento. V. R. AGOSTINELLI, op.ult. loc. cit., p. 113 ss. del tutto contrario F. CAPUTO NASSETTI,
secondo il quale la pluralità di pagamenti consiste nel fatto che i pagamenti che almeno una parte deve
all‟altra non siano meno di due. L‟ipotesi limite sarebbe realizzata dallo swap zero cupons, in forza
del quale le parti si obbligano ad eseguire reciprocamente un pagamento il cui ammontare è
determinato sulla base di parametri di riferimento diversi. Non vi sarebbe più swap se le parti si
obbligassero ad eseguire un solo pagamento reciproco. Cfr. F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati
finanziari, Milano, 2008, p. 56.
53
La presenza di una duplice promessa escluderebbe la possibilità che si possa parlare di contratto con
prestazioni a carico di una sola parte, secondo il modello di cui all‟art. 1333. Cfr. F.GAZZONI,
Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 1299.
54
V. F. CAPUTO NASSETTI, op.ult. loc. cit., P. 97.
55
Sul rilievo del tempo nella prestazione di servizi di investimento v. G. G. LUCIANI, Gli obblighi
informativi “passivi” ed “attivi” degli intermediari finanziari, in La tutela del consumatore di servizi
finanziari, a cura di L. DI NELLA, p. 51. V. anche F. CAPUTO NASSETTI, op.ult. loc. cit., P. 98.
56
Infatti F. CAPUTO NASSETTI, op. cit., p.232, evidenzia che i parametri devono essere
necessariamente diversi, ma le prestazioni possono essere uguali. L‟autore al riguardo precisa che
“non si è definito lo swap come lo scambio di pagamenti diversi in quanto ciò avrebbe comportato
l‟esclusione degli swap in cui le prestazioni sono quantitativamente identiche, ma sono dovute in
tempi diversi”. Ad esempio continua “Alfa si impegna a pagare 100.000 euro l‟ultimo giorno di ogni
mese per tre anni e Beta, in cambio si impegna a pagare la stessa cifra il quindici di ogni mese”.
Diversamente R. AGOSTINELLI, op. cit., p. 113, aveva affermato piuttosto frettolosamente che ai fini
della qualificazione dello swap sarebbe sufficiente lo scambio a termine di almeno due somme di
denaro calcolate applicando due diversi parametri ad “un unico ammontare” di riferimento.
18
Piuttosto, potrebbe rilevarsi, che il semplice conferimento di somme di denaro, il cui
valore non è legato al variare di un sottostante, ma a quello delle divise in sé, come del
resto ogni prestazione contrattuale è legata al suo valore di mercato, farebbe dubitare
della natura “derivativa” di un simile contratto57.
In dottrina, invece, per quanto riguarda il rapporto tra i pagamenti che
intervengono tra i contraenti, si sostiene che lo swap sia “un contratto a prestazioni
corrispettive, nel senso che tra le due prestazioni esiste un rapporto di interdipendenza o
causalità reciproca per cui ciascuna parte non è tenuta alla propria prestazione, se non
sia dovuta ed effettuata la prestazione dell‟altra”, di modo che “l‟una prestazione è il
presupposto inscindibile dell‟altra”58. Del resto il termine “scambio” (swap appunto), che
identifica comunemente questi contratti sembrerebbe suggerire un‟idea generica di
“corrispettività” dei pagamenti. Il che, tuttavia, non trova riscontro giuridico oltre che
fattuale. In diritto, infatti, il concetto di corrispettività implica un nesso funzionale tra
due attribuzioni (sinallagma), di modo che l‟una trova la propria giustificazione nell‟altra.
In altre parole si instaurerebbe tra queste un “nesso di dipendenza reciproca”59. Nei
contratti di swap, però, i pagamenti reciproci non sono naturalmente volti ad uno
“scambio” in senso tecnico, perchè non trovano ragione l‟uno nell‟altro. Un contraente
paga una somma determinata ad una certa scadenza, l‟altro fa lo stesso ad una analoga o
ad un‟altra scadenza, senza che l‟una rappresenti il controvalore dell‟altra60. Al più si
potrà dire che in questi contratti si realizza “uno scambio, un baratto delle relative
posizioni di rischio, sia in positivo che in negativo”61. Pertanto la definizione di swap
dovrebbe essere riformulata tenendo conto di queste considerazioni, di modo che per
swap si dovrebbe intendere “quel contratto tramite il quale le parti si obbligano ad
effettuare tra loro pagamenti reciproci, il cui ammontare è determinato sulla base di
paramenti di riferimento diversi”.
Per le stesse ragioni si può ritenere che la corrispettività non caratterizzi neppure
quegli swap regolati con differenziali, seppure siano previsti nel contratto più pagamenti
(differenziali) successivi. Anzi in questo caso è ancora più evidente l‟assoluta autonomia
delle prestazioni che si susseguono nel tempo, in quanto ciascun pagamento non ha
alcun rapporto di corrispettività col precedente o col successivo.
Se ne ricava che a questi contratti non potrà applicarsi quella disciplina che
consente ad una parte di rifiutarsi di eseguire una la prestazione se l‟altra non esegue la
propria (art. 1460 c.c.), né di liberarsi se la controprestazione diviene impossibile per
causa non imputabile al debitore (art. 1463 c.c.) o se vi è grave inadempimento di
quest‟ultimo (art. 1453 c.c.).
. Nonostante la casistica sempre crescente e piuttosto variegata di questi
contratti, la dottrina ha individuato alcune tipologie di riferimento al cui interno è
possibile ricondurre questa moltitudine.
1 - Gli interest rate swap.
57
Infatti un derivato è tale perché il valore delle prestazioni deriva da quello da quello di un
sottostante. Invece nei contratti “non derivati”, come ad esempio una normale somministrazione, il
valore di ogni prestazione si apprezza o si deprezza a seconda del variare del valore di mercato di
ciascuna di queste. Sul punto v. E. GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p. 148 ss.
58
In questi termini F. CAPUTO NASSETTI, op. cit., p. 97 e 98.
59
P.PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 83
60
Si pensi ad esempio alla compravendita dove il prezzo nell‟intenzione delle parti rappresenta il
controvalore del bene o al contratto di assicurazione, dove al pagamento di un premio corrisponde
l‟obbligo di manlevare l‟assicurato.
61
Cfr. F.GAZZONI, op. cit., p. 1299.
19
In primo luogo gli interest rate swap (IRS) sono contratti dove le parti si obbligano
ad effettuare a date prestabilite (payment dates) e per tutta la durata del contratto (maturity
date o termination date viene definita la data in cui il contratto conclude i suoi effetti),
pagamenti periodici di interessi (rate) calcolati su una determinata somma di denaro
presa a riferimento (il c.d. capitale nozionale di riferimento - notional principal amount) a
determinate scadenze stabilite (date di rilevazione o fixing date).
Tra le innumerevoli tipologie di IRS concepite dalla prassi finanziaria la più
diffusa è la c.d. plain vanilla. Si tratta di uno swap semplificato con durata fissata in un
numero intero di anni e capitale nozionale mantenuto costante per tutta la vita del
contratto, dove uno dei due flussi di pagamenti è basato su un tasso di interesse fisso,
mentre l‟altro è indicizzato a un tasso di interesse variabile (solitamente il Libor o altri
tassi interbancari, oppure anche i tassi di interesse pagati sui titoli di Stato).
Nella prassi si definisce acquirente di un IRS chi corrisponde i pagamenti a tasso
fisso e riceve quelli a tasso variabile. In gergo questa posizione si suole definire “lunga”
(long swap position). Simmetricamente, venditore è colui che in cambio del tasso variabile
riceve il tasso fisso. Questi, di contro, si dice che assume una posizione corta (short swap
position)62. Il flusso dei pagamenti di interessi a tasso fisso è detto “gamba fissa”. In
questi casi il controvalore di ciascun pagamento è dato dal prodotto del capitale
nozionale per il tasso fisso contrattualmente stabilito e riferito alla frazione d‟anno di
pertinenza (fixed rate day count fraction). Il flusso dei pagamenti a tasso variabile è detto
invece a “gamba variabile” ed il relativo controvalore corrisponde al risultato del
prodotto del capitale nozionale per il tasso variabile fissato alla data di rilevazione
indicata nel contratto (fixing date) e riferito alla frazione d‟anno di pertinenza (floating rate
day count fraction).
Gli IRS sono costruiti in modo tale che al momento della conclusione i reciproci
pagamenti si equivalgono. Ciò si determina eguagliando il valore attuale dell‟insieme dei
pagamenti della gamba fissa al valore attuale dell‟insieme dei pagamenti della gamba
variabile. In queste condizioni, le due prestazioni, al momento della stipula, sono
equivalenti (at the money par swap). Durante la vita del contratto, la valutazione ad un dato
momento di uno swap è data dalla differenza tra i valori attuali dei flussi di pagamenti
delle due gambe – fissa e variabile – ancora dovuti in base alla previsione contrattuale.
Le variazioni del tasso variabile, rispetto ai livelli ipotizzati al momento della
conclusione del contratto, determinano il profilo di rischio/rendimento del plain vanilla
swap. In particolare, se il tasso variabile risulta superiore alle aspettative, l‟acquirente
dello swap, cioè colui che è obbligato a pagare il tasso fisso, matura un profitto (in
quanto, fermo restando i pagamenti a tasso fisso cui è obbligato, riceverà pagamenti a
tasso variabile di importo superiore a quanto previsto) ed il venditore una perdita,
mentre se il tasso variabile scende è il venditore a conseguire un profitto.
Si consideri ad esempio un interest rate swap di tipo plain vanilla in cui il nozionale è
pari a 100.000 euro, dove il tasso fisso nominale annuo è pari al 2.5% (I tassi sono
calcolati secondo la convenzione 30/360) ed il tasso variabile corrisponde al Libor a 6
mesi più uno spread dello 0,5%. Si ipotizzi, inoltre, che il tasso Libor relativo al primo
periodo sia fissato al 2% e che il periodo di liquidazione degli interessi è semestrale per
entrambe le gambe (cioè per entrambi i flussi di pagamento). Alla prima data di
liquidazione degli interessi, 6 maggio 2005, l‟acquirente dello swap, cioè colui che paga il
tasso fisso, paga alla controparte la somma di 1250 euro (100.000 x 2,5% : 2) e riceve,
62
Tuttavia non è sempre cosi e i ruoli molto spesso si invertono.
20
avendo ipotizzato il Libor per il primo periodo pari al 2%, la stessa somma di 1250 euro,
conseguente all‟applicazione al nozionale di un tasso annuo del 2,5% (che, considerato il
periodo di riferimento semestrale, deve essere diviso per due), dato dal Libor (2%) + lo
spread (0,5%). Alla seconda data di liquidazione, 6 novembre 2005, ipotizziamo che il
livello del Libor sia pari a 2,2%. L‟acquirente continua a pagare 1250 euro, ma riceve la
somma di 1350 euro, conseguente all‟applicazione al nozionale del tasso annuo del
2,7%, dato dal Libor (2,2%) + lo spread. Alla terza data di liquidazione, 6 maggio 2006,
ipotizziamo un livello del Libor pari al 2,4%. L‟acquirente, a fronte del solito pagamento
di 1250 euro, riceve la somma di 1450 euro, conseguente all‟applicazione al nozionale
del tasso annuo del 2,9%, dato dal Libor (2,4%) + lo spread. Alla quarta e ultima data di
liquidazione, 6 novembre 2006, con un Libor ipotizzato al 2,1%, l‟acquirente paga come
sempre 1250 euro e riceve 1300 euro, derivanti dall‟applicazione al nozionale del tasso
annuo del 2,6%, dato dal Libor (2,2%) + lo spread.
2 - I Currency Swap
I currency swap (letteralmente “scambio di valute”), sono contratti in cui una parte
si obbliga a pagare una somma corrispondente ad un capitale comprensivo degli
interessi espressi in una divisa, mentre l‟altra si obbliga a pagare un capitale e interessi
espressi in un‟altra divisa. Caratteristica ricorrente dei currency swap è che entrambi i flussi
di pagamenti sono a tasso variabile e che i capitali nozionali sono scambiati una prima
volta all‟inizio del contratto e poi alla data di scadenza dello swap. I due nozionali,
denominati in valute diverse, sono di solito scelti in modo da essere
approssimativamente uguali se valutati al tasso di cambio corrente osservato sul mercato
alla data di stipula del contratto. Se, ad esempio, un euro vale 1,23 dollari (e allora si dice
che il rapporto euro/dollaro è pari a 1,23), ad un nozionale di 100.000.000 di euro dovrà
corrispondere un nozionale di 123.000.000 dollari. Tale uguaglianza non è detto che
permanga durante la vita del contratto, allorché il variare del rapporto di cambio fra le
valute determina una variazione del valore dei nozionali.
Si considerino, ad esempio, due società, Alfa e Beta, che hanno la possibilità di
accedere ad un finanziamento a tasso variabile (Libor a 1 anno) su un medesimo capitale
nozionale in dollari e in euro. Si ipotizzi che Alfa possa indebitarsi in dollari al tasso
Libor più uno spread dello 0,4%, mentre in euro sia soggetta a condizioni più onerose,
dovendo, magari, corrispondere il tasso Libor più uno spread dello 0,5%. Beta, dal canto
suo, potrebbe indebitarsi in dollari al tasso Libor più uno spread dello 0,5% ed in euro,
invece, al tasso Libor più uno spread dello 0,4%. In pratica, Beta si troverebbe a pagare lo
0,1% in più rispetto ad Alfa sui finanziamenti in dollari, mentre Alfa paga lo 0,1% in più
rispetto a Beta sui finanziamenti in euro. Pertanto, Alfa gode di un vantaggio comparato
rispetto a Beta sul mercato del debito in dollari, mentre Beta gode di un vantaggio
comparato rispetto ad Alfa sul mercato del debito in euro. Si supponga che Alfa desideri
indebitarsi in euro e Beta desideri indebitarsi in dollari: siamo in presenza delle
condizioni perfette per la stipulazione di un currency swap tra le due società. Ogni
società infatti si indebita nel mercato in cui gode di un vantaggio comparato (i.e. Alfa si
indebita in dollari e Beta si indebita in euro) e, attraverso un currency swap, Alfa provvede
a trasformare il suo debito in dollari in uno in euro e Beta provvede a trasformare il suo
debito in euro in uno in dollari. Dal momento che la differenza tra i due finanziamenti
in euro è dello 0,1%, e anche quella tra i due finanziamenti in dollari è dello 0,1%, lo
swap consentirà una riduzione complessiva dell‟interesse per indebitarsi pari allo 0,2%
che sarà ripartita tra le parti secondo lo schema dei flussi di pagamento contrattualmente
21
pattuito. Pertanto, presupposto che Alfa possa ottenere un finanziamento in dollari al
Libor + lo 0,4% e Beta uno in euro al Libor + lo 0,4%, converrebbe ad Alfa e Beta
stipulare un contratto di currency swap attraverso il quale Alfa consegni a Beta la somma
finanziata in dollari e Beta quella in euro di modo che Alfa si tenuta a corrispondere
periodicamente a Beta il Libor sull‟euro aumentato di uno spread dello 0,4%, mentre Beta
dovrà pagare periodicamente ad Alfa il Libor sul dollaro aumentato dello 0,4%. Alla
scadenza, Alfa riconsegnerà a Beta la somma n euro e riceverà quella in dollari. Alfa e
Beta potranno così restituire ai propri finanziatori le somme nella stessa valuta in cui le
hanno ricevute.
3 - Gli asset swap.
Gli asset swap sono contratti in cui due parti si obbligano ad effettuare pagamenti
periodici reciproci definiti in relazione ad un titolo obbligazionario (asset) detenuto da
una di esse (e non, quindi, come per gli IRS, in relazione ad una semplice somma di
denaro).
La determinazione dei flussi di cassa corrisposti presuppone quindi
l‟individuazione di un‟obbligazione che, di norma, è a tasso variabile, di modo che
attraverso l‟asset swap, chi detiene l‟obbligazione può scambiare il tasso variabile ad essa
collegato con un tasso fisso. Se invece l‟obbligazione sottostante corrisponde un tasso
fisso, il contratto (che in questo caso viene determinato reverse asset swap) può essere
utilizzato per sostituire un tasso fisso con uno variabile. Tuttavia questa distinzione
terminologica non sempre è adottata nella pratica, dove viene indifferentemente usata la
dizione asset swap. Chi detiene l‟obbligazione è detto asset swap buyer (il contraente che
“compra” la posizione economica offerta dall‟altra parte) e corrisponde l‟interesse
connesso all‟obbligazione, che può essere appunto fisso o variabile. Di contro l‟asset swap
seller (il venditore) riceve l‟interesse dell‟obbligazione e paga un tasso di natura diversa
(se l‟obbligazione è a tasso fisso pagherà un variabile e viceversa). In caso di default del
titolo obbligazionario, l‟asset swap buyer cesserà i pagamenti, mentre l‟asset swap seller
continuerà a corrispondere l‟interesse pattuito. La funzione di questi contratti è quindi
quella di “sostituire” un tasso fisso con un tasso variabile, e in ciò sono assimilabili agli
IRS. In più vi è una parziale copertura contro il rischio di default di una determinata
obbligazione.
Gli asset swap sono generalmente costruiti in modo tale che il valore del contratto
al momento della conclusione sia nullo. Circostanza questa che, nel caso di titoli
obbligazionari privi di rischi di credito, si verifica alternativamente, cioè quando il valore
attuale delle due gambe dello swap (ove l‟attualizzazione viene eseguita scontando
entrambi i flussi di pagamenti con la stessa curva dei tassi di interesse correnti di
mercato - tassi spot) è il medesimo, ovvero quando il prezzo del titolo sottostante è
esattamente pari a 100 (che è generalmente il prezzo di un titolo privo di rischio di
credito con interessi corrispondenti a quelli di mercato) ed una gamba dello swap è
rappresentata dal tasso risk free (cioè il tasso di interesse corrisposto per un‟attività
assolutamente priva di rischio).Qualora ciò non si verifichi, il valore del contratto non è
nullo. Per riportarlo al valore zero si può operare innestando uno spread (denominato
asset swap spread) sul tasso che definisce i flussi di pagamenti periodici corrisposti in
cambio di quelli derivanti dall‟obbligazione, oppure fissando un contributo una tantum
(denominato par adjustment). Queste due modalità non sono necessariamente alternative,
22
ma possono anche concorrere fra di loro per conseguire l‟obiettivo di annullare il valore
del contratto. Sempre con queste modalità operative, inserimento di un asset swap spread o
determinazione di un par adjustment, viene anche gestita, attraverso calcoli
necessariamente molto più complessi, l‟eventuale presenza di un rischio di credito
dell‟obbligazione consistente nella possibilità che non tutte le cedole vengano pagate.
Quanto appena detto spiega come l‟esistenza di un asset swap spread o di un par adjustment
svolga un ruolo segnaletico sulle caratteristiche del titolo sottostante in termini di classe
di rating e struttura cedolare, vale a dire in termini di valutazione del rischio di credito e
di tasso di interesse corrisposto dall‟obbligazione. E‟ evidente, infatti, come l‟asset swap
spread (o il par adjustment) venga eventualmente previsto per compensare determinate
caratteristiche del titolo sottostante che comportano un rischio aggiuntivo rispetto ai
titoli risk free oppure comportano rendimenti diversi, superiori o inferiori, rispetto alla
curva dei tassi di mercato (tassi spot) presente al momento della stipula del contratto.
Si consideri, ad esempio, un asset swap in cui il titolo sottostante è
un‟obbligazione a tasso fisso pari al 5% annuo (superiore a quello di mercato al
momento della stipula) con vita residua di 4 anni, con valore di mercato al momento
della stipula pari a 100, e cioè pari al nominale (la valorizzazione alla pari, pur in
presenza di un interesse superiore a quello di mercato, si giustifica considerando una
componente di rischio di credito che, quindi, verrà rappresentata nell‟asset swap spread) e
con il rateo della cedola nullo al momento della stipula. Si ipotizzi anche la sussistenza di
una perfetta coincidenza tra le date di pagamento delle cedole e le date in cui vengono
scambiati i flussi di pagamenti dell‟asset swap e che il tasso variabile di riferimento sia il
Libor a un anno ed il valore dell‟asset swap spread (per rendere nullo il valore dell‟asset
swap), calcolato con formule di attualizzazione dei flussi di cassa tali da includere il
possibile rischio di default, è pari al 2,825%.
Pertanto se il tasso variabile di riferimento si attesta per il primo anno al 2% (per
un totale compreso lo spread di 4,825%), al secondo al 2,2% (per un totale compreso lo
spread di 5,025%), al terzo al 2,4% (per un totale compreso lo spread di 5,225%) ed al
quarto al 2,1% (per un totale compreso lo spread di 4,925%), i flussi di cassa di questo
asset swap sono i seguenti: per il primo anno l‟asset swap buyer, cioè colui che deve
corrispondere il tasso fisso dell‟obbligazione, corrisponde 5 euro (5% su 100 euro del
valore di mercato dell‟obbligazione) e ne riceve dall‟asset swap seller 4,825 (4,825% sul
valore di mercato dell‟obbligazione); per il secondo anno l‟asset swap buyer corrisponde 5
euro e ne riceve 5,025; per il terzo anno l‟asset swap buyer corrisponde 5 euro e ne riceve
5,225; in ultimo per il quarto l‟asset swap buyer corrisponde sempre 5 euro, ma ne riceve
4,925.
4 - I credit default swap
I credit default swap (CDS) sono contratti in cui un soggetto (c.d. protection buyer),
tramite pagamenti periodici effettuati a favore della controparte (c.d. protection seller), si
protegge dal rischio di credito associato ad un determinato sottostante (denominato
generalmente reference asset), che può essere costituito da una specifica emissione, da un
emittente o da un intero portafoglio di strumenti finanziari. I rischi coperti dal CDS
sono connessi ad alcuni eventi (c.d. credit event) indicati nel contratto (ad esempio
l‟insolvenza dell‟emittente l‟obbligazione, c.d. default), al cui verificarsi si realizzano dei
flussi di pagamento fra le parti.
Tali flussi, concretamente, possono avvenire secondo due modalità operative. In
un caso, verificatosi il default, il protection seller corrisponde alla controparte il valore
23
nominale (ovvero quello contrattualmente definito) dello strumento finanziario oggetto
del CDS, al netto del valore residuo di mercato dello stesso (c.d. recovery value o valore di
recupero) e il protection buyer, di conseguenza, cessa il versamento dei pagamenti periodici
(cash settlement). Nell‟altro il protection seller corrisponde alla controparte il valore
nominale (ovvero quello contrattualmente definito) dello strumento finanziario oggetto
del CDS e il protection buyer, oltre a cessare il versamento dei pagamenti periodici,
consegna il reference asset (physical delivery). Nella prassi, il protection buyer ha la facoltà di
scegliere il reference asset da consegnare tra un paniere di attività individuate nell‟ambito
del contratto e, in tal caso, sfrutterà questa facoltà scegliendo quello per lui più
conveniente (c.d. cheapest to delivery). La funzione tipica del contratto è quindi la copertura
dei rischi associati ad una determinata attività: una funzione molto vicina a quella
assicurativa.
Se ne ricava che elementi essenziali del contratto di credit default swap sono, oltre
al capitale nozionale rispetto a cui vengono calcolati i pagamenti a carico del protection
buyer, generalmente corrispondente al valore nominale del reference asset, alla periodicità di
tali pagamenti ed alla scadenza del contratto medesimo, l‟importo di ciascuno di tali
pagamenti (pari al il risultato del prodotto di un tasso fisso (c.d. CDS rate) per il capitale
nozionale) e gli accadimenti relativi al reference asset identificabili come credit event
(insolvenza, declassamento da parte di un‟agenzia di rating, ecc.).
Nel caso in cui il CDS abbia come sottostante una specifica emissione
obbligazionaria, la scadenza del contratto tende a coincidere con la vita residua
dell‟obbligazione e, soprattutto, l‟importo di ciascuno dei pagamenti effettuati dal
protection buyer è strettamente legato allo spread di rendimento implicito nell‟emissione
rispetto a quello dei titoli privi di rischio creditizio (c.d. credit spread). In altri termini, più
è rischioso il titolo, più alto è il tasso fisso richiesto per offrire la copertura. Per questa
ragione i CDS possono anche svolgere una funzione segnaletica della rischiosità
dell‟attività che ne forma oggetto.
Si consideri un credit default swap con scadenza a 5 anni, con un nozionale di 100
euro, corrispondente al valore nominale di un‟obbligazione sottostante soggetta a rischio
di default e con pagamenti annuali corrispondenti al 5%. Assumiamo che al quarto anno
si verifichi il default e che il valore di recupero in caso di default sia di 40 euro. Il protection
buyer, cioè colui che si protegge dal rischio a fronte di pagamenti periodici, pagherà la
somma di 5 euro per il primo, secondo, terzo e quarto anno. Al quarto anno, al
verificarsi del default, il protection buyer corrisponderà al protection seller anche il valore di
recupero del titolo, pari a 40 euro. Riceverà però in cambio 100 euro, pari al valore
nominale del titolo, per un saldo di 60 euro incassati dal protection buyer. Al quinto anno il
protection buyer cesserà anche il pagamento dei 5 euro. Nel caso in cui per la durata del
contratto non si fosse verificato il default, il protection seller avrebbe continuato ad incassare
i 5 euro annui senza corrispondere alcuna somma al protection buyer.
5 - I Total Return Swap
I total return swap (TRS) sono contratti in cui un soggetto (c.d. protection buyer) cede
alla controparte (c.d. protection seller) l‟intero profilo di rischio/rendimento di un
sottostante (c.d. reference asset), a fronte di un flusso di pagamenti periodici. Questi
pagamenti periodici, in genere, consistono in somme di denaro corrispondenti ad un
tasso variabile maggiorato di uno spread (c.d. TRS spread). La funzione di questo
24
strumento è la stessa dei credit default swap: coprire il rischio connesso ad un titolo.
Diverse sono le modalità per conseguirla. Con il TRS il detentore del titolo, ad esempio
un‟obbligazione, non corrisponde un pagamento periodico in cambio della protezione,
come per il credit default swap, ma corrisponde l‟intero rendimento del proprio titolo
(cedole e aumenti in conto capitale) in cambio di pagamenti periodici, definiti al
momento della stipulazione del contratto, e della compensazione di eventuali perdite in
conto capitale sul sottostante, ivi compresa la perdita estrema in caso di default. In questo
senso il possessore del titolo, cioè il protection buyer, è anche chiamato total return seller,
mentre il protection seller è anche denominato total return buyer.
Nei contratti TRS, al verificarsi dell‟evento di default, le parti possono pattuire
che una (il protection seller) corrisponda alla controparte il controvalore della perdita
realizzata (il c.d. loss given default), pari alla differenza fra valore nominale del titolo e
valore residuo di mercato dopo il default (cash settlement). Diversamente nel contratto può
essere stabilito che il protection buyer consegni il titolo oggetto del TRS al protection seller il
quale gli corrisponde il valore nominale, ovvero quello contrattualmente definito, del
titolo stesso (physical delivery).
Anche nel contratto di total return swap deve essere individuato il capitale
nozionale rispetto a cui vengono calcolati i pagamenti a carico del protection seller,
generalmente corrispondente al valore nominale del reference asset, l‟importo di ciascuno
dei suddetti pagamenti, pari al risultato del prodotto di un tasso variabile accresciuto di
uno spread per il capitale nozionale, la periodicità di tali pagamenti e la scadenza del
contratto medesimo.
Si ipotizzi, ad esempio, una società Alfa che detiene in portafoglio
un‟obbligazione con una vita residua di 4 anni emessa dalla società Gamma, che tale
obbligazione paga una cedola a tasso fisso del 3%, ha un valore nominale di un milione
di euro e al momento della conclusione del contratto, è quotata alla pari (cioè il valore di
quotazione coincide con il valore nominale di un milione di euro). Si ipotizzi anche che
Alfa trovi interesse ad effettuare un TRS con la società Beta. In particolare le parti
potrebbero accordarsi che una (Alfa), trasferirà annualmente a Beta tutte le cedole
dell‟obbligazione sottostante così come ogni suo eventuale apprezzamento o
deprezzamento rispetto al valore iniziale di un milione di euro e l‟altra (Beta), invece,
corrisponderà ad Alfa dei pagamenti periodici indicizzati al Libor a un anno aumentato
dello 0,4%.
Di conseguenza, posto che il tasso Libor pari al 2, 2,2, 2,4 e 2,1%,
rispettivamente per il primo, secondo, terzo e quarto anno, che le date di pagamento
delle due gambe del TRS coincidano tra loro e che corrispondano alle date in cui
l‟obbligazione sottostante effettua i pagamenti delle cedole, che alla data di stipulazione
del TRS il rateo cedola maturato sia nullo, che l‟obbligazione emessa dalla società
Gamma vada in default alla fine del quarto anno, che il valore di recupero sia pari al
40% del valore nominale del prestito obbligazionario, che alla fine del secondo anno e
fino al verificarsi del default il valore di mercato dell‟obbligazione sottostante aumenti a
1.010.000 euro, è possibile stabilire i flussi di pagamenti e la convenienza dell‟operazione
tra le parti. Infatti sulla base di questo esempio il primo anno, Alfa corrisponderà 30.000
euro (la cedola pari al 3%) a Beta in cambio di 24.000 euro (2% + 0,4%); il secondo
anno, Alfa pagherà sempre la cedola, pari a 30.000 euro, e in più, considerato
l‟apprezzamento del valore di mercato dell‟obbligazione (che da 1.000.000 passa a
1.010.000) verserà altri 10.000 euro, ricevendo da Beta 26.000 euro (2.2% + 0,4%); il
terzo anno, Alfa corrisponderà i soliti 30.000 euro e ne riceverà 28.000 (2,4% + 0,4%).
Non verrà corrisposta alcuna somma da Alfa a Beta a titolo di incremento del valore
25
dell‟obbligazione in quanto quest‟ultimo è fermo a 1.010.000; il quarto anno, si verifica il
default. Alfa consegnerà a Beta i 30.000 euro della cedola ed il titolo obbligazionario (il
cui valore residuo è di 400.000 euro (40% del valore nominale), Beta verserà invece la
somma di 1.000.000 di euro, pari al nominale dell‟obbligazione, più 25.000 euro (2,1% +
0,4%).
6 - Gli swap domestici.
In ultimo per swap domestico si intende quel contratto tramite il quale una parte,
per proteggersi dalle fluttuazioni di una valuta estera, si obbliga a pagare all‟altra ad un
certo termine un importo in euro pari alla differenza positiva tra il valore in euro di una
somma in valuta estera al tempo della conclusione del contratto e il valore in euro della
stessa somma di valuta estera al termine stabilito e l‟altra invece si obbliga a
corrispondere allo stesso termine un importo pari alla differenza negativa degli stessi
valori.
L‟accordo necessita per essere operativo di un capitale convenzionale di
riferimento, della fissazione di un tasso di cambio concordato, da confrontare durante la
vita del contratto con quello ufficiale per calcolarne le differenze, e di scadenze per
eseguire i regolamenti.
Si supponga ad esempio che Alfa, una società esportatrice CE, sia creditrice di
un importo di 100.000 dollari, mentre Beta, un importatore CE, sia debitore di una cifra
analoga nella medesima divisa. E‟ chiaro che Alfa potrebbe ricevere un vantaggio
dall‟aumento di valore del dollaro perché riceverebbe in pagamento una somma che
spesa nel mercato interno varrebbe di più, ma patirebbe un nocumento se il dollaro si
valuta rispetto all‟euro, perché si tratterebbe di una somma che nel mercato europeo
varrebbe meno. Beta invece effettua pagamenti in dollari si troverebbe nella posizione
speculare: sarebbe svantaggiata dall‟aumento del valore del dollaro ed avvantaggiata
nell‟ipotesi contraria. Le parti però potrebbero tutelarsi reciprocamente, rinunciando ad
un possibile profitto derivante da fluttuazioni della divisa a loro favorevoli, ma
escludendo di contro la possibilità di incorrere in esborsi onerosi. Si tratta in pratica in
una sorta di assicurazione atipica dove un soggetto cede all‟altro il risultato positivo che
ottiene dal verificarsi di una variazione del tasso di cambio ed in tal modo ne va a
ripianare il pregiudizio. Pertanto, posto un capitale pari a 100.000 dollari e che le parti
abbiano fissato convenzionalmente il cambio dollaro-euro a 1,4 (1 Euro = 1,4 Dollari
Statunitensi), nel caso in cui alla scadenza pattuitali il cambio sia inferiore (1,3) a quello
disposto nel contratto Beta verserà ad Alfa la differenza tra i valori calcolati sul capitale
di riferimento (100.000 dollari). In pratica 100.000 X 0,1 = 10.000 euro. Nel caso invece
di un rialzo del tasso di 0,1 punti allora sarà Alfa a dover pagare questa somma a Beta.
Qualora, invece, le parti prevedessero di effettuare nel tempo diversi versamenti
o incassi, potrebbero semplicemente limitarsi a registrare le fluttuazioni e le somme
reciprocamente dovute (anche se potrebbe anche ipotizzarsi, ad esempio in casi di
continui ribassi, che sia solo una parte ad effettuare tutti i pagamenti) limitandosi così a
dover corrispondere solo il saldo finale calcolato su tutte le poste attive e passive.
26
V. La causa dei contratti swap. La funzione di copertura e la
funzione speculativa.
Si suole distingue tra funzione di copertura (o di protezione ovvero anche di
hedging in gergo) e funzione speculativa dei contratti di swap, per individuare l‟intenzione
dei contraenti ed il risultato che questi prevedono di ottenere dall‟operazione finanziaria
che pongono in essere.
La funzione di copertura svolta da un derivato è stata descritta in dottrina come
“quell‟attività volta al controllo di un evento futuro e incerto”, nella specie della
“fluttuazione di valore di un bene o di una grandezza economica”63. Un‟attività, si
potrebbe anche dire, rivolta alla “riduzione di un rischio finanziario di un portafoglio
preesistente64”, mai, però all‟annullamento di un rischio, perché questa possibilità non
può essere realizzata con nessuno di questi strumenti e ciò è ben noto (o dovrebbe
esserlo) al soggetto che se ne avvale. Più corretto sarebbe dunque ammettere che la
funzione di copertura opera piuttosto la “trasformazione” del rischio di un pregiudizio
futuro (anche se prossimo - percepito ad esempio, nella probabile rincaro di una valuta
o nell‟impennata dei tassi di interesse), con un‟altro che diversamente si valuta meno
grave del precedente o comunque meno probabile. La copertura quindi non può
escludere che lo stipulante, nonostante la conclusione di un contratto ad hoc, proprio per
il verificarsi di una contingenza sottovalutata (ma possibile), si trovi invece vessato da un
esborso, anche sensibilmente superiore a quell‟altro che voleva rifuggire65.
Questa peculiarità costituisce un primo motivo di distinzione tra la funzione di
copertura perseguita tramite uno swap e quella svolta da un normale contratto di
assicurazione. Infatti in quest‟ultimo caso l‟unico pericolo che l‟assicurato può correre è
quello di aver corrisposto “inutilmente” un premio periodico. Un‟ulteriore distinzione si
riscontra nel fatto che nei contratti di swap la condizione di assicurato e di assicuratore
possono sommarsi nella persona di ciascuno dei contraenti, in quanto ciascuno di questi
spera di trovare protezione nella prestazione dell‟altro66.
63
La definizione è di E. GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p. 18, che, occorre sottolineare, la
definisce “intuitiva”.
64
E‟ questa la definizione che dà la Consob di funzione di copertura nell‟opuscolo dedicato
all‟investor education, pubblicato nel sito: www.consob.it
65
Si pensi al caso di un imprenditore che riceve un finanziamento a tasso variabile, ma temendo che
questo possa incidere in futuro per la previsione di consistenti rialzi, per tutelarsi concluda un IRS
costruito ad hoc. Questi quindi pagherà sempre un tasso fisso (magari corrispondente al valore attuale
del tasso che deve), mentre riceverà un tasso variabile ancorato a quello del proprio debito. Ora, se i
tassi salgono, secondo il suo pronostico, il differenziale che incasserà gli consentirà di non patire
quelle conseguenze negative nella restituzione del finanziamento che aveva voluto evitare, se invece
scendono sarà lui a dover corrispondere il differenziale, per tutto il periodo in cui questa circostanza si
verifica.
66
Sul punto cfr. E. GIRINO, I contratti derivati, Milano 2001, p. 18 e 19, secondo il quale la “funzione
hedging corrisponde ad un modello di tutela finanziaria ispirato a quello assicurativo, ma vieppiù
27
Diversa dalla funzione copertura è quella speculativa che si realizza nello scopo
di lucro perseguito da uno od entrambi i contraenti, che per raggiungere
quest‟obbiettivo accetterebbero di esporsi contemporaneamente al rischio di perdite
indefinite67. Una scommessa, in sostanza, dove rimane incerto il vincitore sino all‟esito
del calcolo.
Una convinzione diffusa in dottrina è quella della generale irrilevanza delle
funzioni (di copertura o speculativa) per cui uno swap è stipulato, in quanto queste altro
non esprimerebbero che un‟inclinazione intima dei contraenti e che perciò non
sarebbero in grado di intervenire sul regolamento contrattuale68. L‟intenzione di
evoluto e per così dire, totalizzante ed estremo”. Infatti “l‟operatore non paga un premio per
proteggersi contro l‟evento futuro e incerto, bensì pone in essere un accordo che ad un tempo, lo
espone al possibile vantaggio di una copertura totale del rischio così come all‟eventualità della
sopportazione totale del rischio di segno opposto”. In “termini volutamente deformati”, conclude
l‟autore “il derivato corrisponderebbe ad una assicurazione per la quale non si pagherebbe alcun
premio, ma si avrebbe la certezza di realizzare l‟intero ammontare del sinistro ovvero di pagare
l‟intero ammontare del danno subito dall‟assicuratore nel caso si verifichi il sinistro di segno
contrario”. In pratica si tratterebbe di una “duplice assicurazione”, per adattare un‟espressione nota di
M. Scheler, utilizzata chiaramente non nel senso dell‟autore, e con significato giuridico improprio.
67
Recuperando l‟esempio precedente, si può ipotizzare che un imprenditore a cui non interessa
limitare gli effetti negativi della fluttuazione dei tassi, semplicemente mosso dall‟aspettativa di un
guadagno, convito di approfittare di determinati trend del mercato, decida di stipulare un IRS per
incassare un profitto ottenuto dai differenziali a lui favorevoli. La Consob nell‟opuscolo dedicato
all‟investor education, reperibile nel sito: www.consob.it, descrive la funzione speculativa come
“l‟esposizione ad un rischio al fine di conseguire un profitto”. Un‟ulteriore funzione riconosciuta dagli
economisti, ma ignorata in campo giuridico, è quella dell‟arbitraggio, che, in pratica, si realizza in
un‟operazione finanziaria complessa dove un soggetto acquista o vende valute per rivenderle (o
viceversa) nell‟intento di lucrare un profitto dato dalla differenza dei due prezzi (cfr. Finanza, in
Enciclopedia le Garzatine, 2007, Milano, vol. 26, p. 25, alla voce “arbitraggio”). Sul punto la Consob
nel libretto precedentemente citato definisce l‟arbitraggio come quell‟operazione finalizzata a
“conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni combinate sul derivato e sul sottostante
tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione”. Nei casi “tipici” le due operazioni
“elementari” si distinguono per essere l‟una a termine e l‟altra a pronti, ovvero per essere poste in
essere in luoghi diversi. Per esempio, se in un dato momento alla borsa di Londra un titolo è quotato
più che a quella di Milano, vale la pena di vendere a Londra e comprare a Milano (cfr. ancora la
medesima voce della vol. dell‟Enciclopedia cit.). Certo è che la funzione di arbitraggio è ottenuta
dall‟interessato non attraverso un contratto, come accade per la funzione di copertura o quella
speculativa, ma tramite più contratti di segno opposto dal cui collegamento il legislatore sembra non
trarre alcuna implicazione.
68
Per E. GIRINO, I contratti derivati, Milano 2001, p. 20, ad esempio “le due funzioni (protezione e
speculazione) sono solo astrattamente, ma non anche concretamente, scindibili”. “In concreto”,
conferma l‟autore, “non è possibile escludere che l‟impresa esposta in valuta stipuli ad esempio uno
swap per finalità soltanto protettive e non anche speculative, né che una banca si esponga ad un
rischio valutario per finalità di puro lucro e non di protezione”. “La protezione o la speculazione”,
continua, “possono individualmente sussistere ovvero indifferentemente coesistere nell‟ambito di una
stessa fattispecie”. Sul punto anche R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale
sottostante, in Banca, borsa, titoli di credito, Milano, 1997, I, p. 113 ss. precisa che “l‟operazione può
essere effettuata per finalità di controllo e gestione del rischio legato alle fluttuazioni del mercato
oppure per finalità speculative”. Al riguardo cfr. ancora E. GIRINO, op. ult. loc. cit., p. 21, il quale,
peraltro, rileva correttamente che entrambe le funzioni potrebbero anche difettare completamente nella
scelta dell‟operatore che stipuli un contratto derivato, come nel caso in cui una banca che si
interponga nelle contrattazioni tra due soggetti distinti, come nel caso in cui un operatore voglia
stipulare uno swap lira/dollaro su un capitale convenzionale di un miliardo di dollari. In tal caso egli
stipulerà un accordo per tale valore con l‟intermediario, il quale, disponendo di dieci operatori a loro
volta interessati ad uno swap di segno opposto ciascuno di 100 milioni di dollari, potrà utilmente
aprire una posizione con il primo operatore e ricoprirla con dieci contratti stipulati con gli altri. In tale
28
approfittare o di proteggersi da un accidente economico, in pratica, corrisponderebbe a
quella aspettativa che nella prospettiva civilistica caratterizza i motivi, vale quella
“rappresentazione soggettiva che induce le parti a concludere un contratto”, e che
proprio perché consiste in un impulso relegato nel foro interno di ciascun contraente,
rimane uno “scopo del tutto irrilevante”69. Del resto molteplici possono essere i motivi
che spronano le parti a contrarre, senza che nessuno di questi acquisti una propria
dignità nel regolamento da queste predisposto.
Proprio su questa considerazione, tuttavia, deve affermarsi una sostanziale
distinzione tra le “funzioni” degli swap e i motivi, in quanto queste si trasmettono
all‟oggetto del contratto, definendone a seconda i contenuti. Per così dire si
“oggettivizzano”, dettando la morfologia delle prestazioni e provocandone, in definitiva,
gli effetti70. Così se un contraente mira a tutelarsi di fronte alla possibile impennata dei
tassi di interesse, costruirà uno swap che gli consentirà di poter pervenire a questo
risultato. In specie pagherà un somma pari ad un reddito fisso corrispondente, ad
esempio all‟attuale tasso e riceverà una somma corrispondente alle fluttuazioni in rialzo
del tasso da lui fissato (in pratica dai pagamenti reciproci guadagnerà la differenza tra i
due valori oppure riceverà direttamente il differenziale). Ne consegue una stretta
interdipendenza tra gli effetti giuridici prodotti dal regolamento contrattuale e gli
interessi che l‟operazione è diretta a realizzare71.
Né si può concludere che l‟irrilevanza delle funzioni che uno swap può
perseguire, debba dedursi dal fatto che in uno stesso contratto possano coesistere
l‟interesse a proteggersi di una parte con quello a speculare dell‟altra, quasi a dimostrane
una schizofrenia patologica, di modo che gli operatori concluderebbero in un medesimo
regolamento, non uno, ma più contratti tra loro autonomi e con causa differente72.
ipotesi è chiaro, conclude l‟autore, che l‟intermediario si trova in una condizione di perfetta neutralità
(per lo meno rispetto i succitati scopi).
69
Gli incisi sono ricavati da F.GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 810.
70
Peraltro, in questo genere di contratti, proprio le prestazioni consistono in grandezze determinate in
relazione a parametri, che mutano necessariamente in rapporto all‟interesse perseguito tramite quello
specifico accordo dalle parti. Per altro verso occorre qui segnalare che il legislatore dà atto di voler
attribuire rilevanza alla distinzione attraverso l‟art. 37 reg. Consob intermediari n. 11522/98, il quale
stabilisce perentoriamente che il contratto di gestione oltre ad indicare le caratteristiche della gestione,
ad individuare espressamente le operazioni che l'intermediario non può compiere senza la preventiva
autorizzazione dell'investitore, ad indicare le modalità attraverso cui l'investitore può impartire
istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere, ecc., con riguardo agli strumenti finanziari
derivati, obbliga il gestore ad indicare se detti strumenti possono essere utilizzati per finalità diverse
da quella di copertura dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione. Quindi l‟assenza di una
dichiarazione, nel caso di derivati utilizzati per fini speculativi realizza senz‟altro un inadempimento.
Se dalla speculazione deriva un danno, all‟inadempimento si accompagnerà anche la pretesa
risarcitoria. Diverso è il caso in cui un intermediario, o la banca che si pone come controparte
contrattuale, confermi al cliente che stanno stipulando uno swap con scopo di protezione, quando ciò
non è vero, o senza informare della rischiosità intrinseca anche in uno swap di protezione. In questo
caso infatti la comunicazione un obbiettivo fittizio, lascerebbe spazio alla disciplina civilistica
disposta a tutela della libertà contrattuale (clausola generale di buona fede, responsabilità
precontrattuale, vizi del consenso ecc.) o a quella inerente i servizi d‟investimento, sempre che vi
sussistano i requisiti.
71
Cfr. P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 374.
72
“Le finalità per le quali gli operatori concludono tale operazione non possono costituire la causa del
contratto, altrimenti si avrebbe non solo un contratto ma tre diversi contratti tra loro autonomi e con
causa differente. La conseguenza sarebbe paradossale: se un hedger stipulasse un contratto con un
arbitraggista, in realtà non vi sarebbe consenso sul contratto, ma ciascuno intenderebbe concludere un
negozio differente”: in questi termini
29
Infatti se è vero che le funzioni, come si è osservato, possono coincidere nelle intenzioni
di entrambe le parti o disallinearsi, sino ad apparire confliggenti, in nessun caso possono
considerarsi inidonee a convivere in una stessa fattispecie contrattuale. Del resto se il
contratto è quello strumento capace di comporre “interessi in conflitto”73, proprio il
contratto di assicurazione, combina un interesse speculativo, quello dell‟assicuratore che
mira a ricavare dall‟operazione un guadagno, pur consapevole che potrà a certe
condizioni riceverne un nocumento, e l‟assicurato che, invece, intende proteggersi dal
verificarsi un evento.
Se la funzione speculativa e la funzione di copertura consistono in interessi delle
parti che incidono sul contenuto e sugli effetti del contratto, se ne ricava che la causa
che caratterizza uno swap non può rimanerne immune. Del resto se per causa si intende
la “funzione pratica del contratto”, vale a dire lo scopo “concretamente perseguito dalle
parti”, questa si realizzerà proprio nel “significato pratico dell‟operazione” con riguardo
a “tutte le finalità che sono entrate nel contratto”74. Di conseguenza l‟aspettativa di un
rendimento o la volontà di ripararsi dagli effetti negativi di un evento incerto, “devono
(comunque) rilevare”, sempre che questi “non siano rimasti nella sfera interna di
ciascuna parte, ma siano obiettivizzati nel contratto”, divenendo così “interessi che il
contratto è diretto a realizzare75”.
Non è necessario, tuttavia, che un interesse per contare in un rapporto
contrattuale, sia manifestato esplicitamente dalle parti, perché è sufficiente che risulti dal
complesso dell‟operazione o che si ricavi dall‟economia dell‟affare76, ed al riguardo
73
L‟espressione, riferita ai contratti corrispettivi, è di P. PERLINGIERI e P. FEMIA, in P.PERLINGIERI,
Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 83.
74
Così C. M. BIANCA, Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 2000, p. 452.
75
Così C. M. BIANCA, op. ult. loc. cit., p. 461. Inoltre è solo in relazione agli interessi concretamente
perseguiti dalle parti che deve accettarsi se, ad esempio, il rapporto possa sopravvivere ad una parziale
nullità del contratto, ed è solo a seguito della valutazione dell‟interesse o dell‟insieme degli interessi
che stanno alla base di un operazione negoziale che se ne può valutare la meritevolezza sociale. Cfr. lo
stesso BIANCA, p. 454 e 433 in ordine alla causa concreta come criterio di interpretazione del contratto
e p. 454 e 472 per la funzione della causa concreta nel procedimento di qualificazione.Per la dottrina
che intende la causa come la “funzione economico-sociale” del negozio ed identifica perciò la causa
col tipo, gli scopi individuati dalle parti e gli interessi che il contratto nei propositi di queste è diretto a
realizzare, sono destinati a rimanere relegati al rango di meri motivi e come tali irrilevanti, eccetto,
chiaramente in quelle ipotesi di salvezza individuate dal legislatore. Pertanto in questa prospettiva non
rimarrà che accertare se il motivo abbia assunto rilevanza giuridica, perché acquisito ad una
condizione apposta al contratto e che perciò ne vincola l‟efficacia o la risoluzione al verificarsi di un
evento futuro e incerto (cfr. art. 1353), oppure dovrà verificarsi l‟illiceità del motivo, che pur non
rientrando nella struttura negoziale è in grado di determinare la nullità del contratto, se, però, è
comune alle parti ed è stata l‟unica ragione che ha indotto la stipulazione del contratto. Oppure dovrà
constatarsi la nullità della donazione se il motivo illecito risulta dall‟atto ed è il solo che abbia
determinato la liberalità (cfr. art. 788). Analogamente è disposto in materia testamentaria (cfr. art.
626). In questa prospettiva, quindi, non ci sarebbe spazio per l‟interesse delle parti di speculare o di
proteggersi da eventi finanziari incerti. L‟una o l‟altra sarebbero equivalenti, non incisive e per nulla
in grado di informare di sé la disciplina del regolamento contrattuale. Non sotto il profilo delle
prestazioni dedotte nel contratto, né del regolamento, neppure degli effetti. La causa risulterebbe
semplificata alla prestazione reciproca di pagamenti. Un mezzo neutro per movimentare denaro. Deve
darsi atto, tuttavia, che la realtà giuridica corrisponde a combinazioni di interessi che si intrecciano, si
intersecano, si scontrano e si mediano e che i contratti originano ed intervengono su questa fitta trama,
da cui in nessun modo possono prescindere. Ma se il contratto è il mezzo per regolare al meglio
interessi distinti, di questi non rimane l‟ignavo testimone. In altre parole non può essere assimilato ad
un “asettico” strumento, perché invece da questi risulta pervaso ed adeguatamente modellato.
76
C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2000, p. 462 il quale precisa che se l‟interesse si inserisce,
esplicitamente o tacitamente nell‟economia dell‟affare esso diviene per ciò stesso causa del contratto
30
proprio dalle variabili introdotte nel contenuto del contratto e dai parametri utilizzati per
calcolare il valore delle prestazioni si possono ricavare utili indizi, se non certezze circa i
risultati che i contraenti volevano raggiungere.
Peraltro deve considerarsi che un contratto interviene sempre in un determinato
contesto economico-giuridico di riferimento, in altre parole, in una “realtà preesistente
al fatto (considerata giuridicamente)” che si svolge in “un tessuto di situazioni
soggettive”. Su queste il “fatto incide con la forza innovativa, modificandole o
estinguendole o creando situazioni nuove”. Di conseguenza la considerazione dei fini
per cui le parti agiscono dovrà tenere conto dell‟assetto iniziale e di quello finale degli
interessi in gioco. Infatti “l‟analisi funzionale del fatto è completa quando, oltre al punto
di arrivo (determinazione delle situazioni soggettive programmate nell‟atto: efficacia), si
tiene conto anche, e in via preliminare, del punto di partenza (lo stato iniziale degli
interessi consolidati nelle situazioni soggettive preesistenti al fatto)”77. Un accorgimento
da cui non può prescindere proprio l‟analisi delle regioni che spingono gli autori di
queste operazioni finanziarie, perché, qualora sia dubbio il regime degli obblighi che
scaturiscono da un contratto è proprio la condizione pregressa degli interessi che
l‟accordo intende manipolare a trasmettere all‟interprete utili elementi d‟indagine78.
Nonostante in dottrina sia considerata necessaria “un‟indagine sulla causa
concreta, ossia sulla realtà viva di ogni singolo contratto” e cioè “sugli interessi reali che
di volta in volta il contratto è diretto a realizzare al di là del modello tipico adoperato”,
questa (la causa), invece, viene solitamente ridotta allo “scambio di pagamenti” ovvero
allo “scambio di pagamenti destinato alla gestione del rischio79”. Non conterebbero,
quindi queste nozioni, queste nozioni “i fini che hanno spinto le parti a concludere un
contratto” in quanto si tratterebbe di meri “motivi”80irrilevanti. Eppure se una
valutazione deve essere eseguita in concreto e se da questa emerge che sussistono
interessi i quali condizionano “i parametri di calcolo delle prestazioni” ed assumono
“fondamentale rilevanza in quanto consentono il realizzarsi della funzione del contratto
e la gestione del rischio finanziario”81, questi, di certo, non potranno essere considerati,
tamquam non essent. In altre parole una definizione di causa in concreto non può
prescindere dalla funzione speculativa o di protezione, quando le parti hanno dato prova
di averle ritenute rilevanti, anzi di averle considerate le ragioni primarie che hanno
portato alla conclusione di un determinato contratto.
ed è coma tale rilevante. Sul punto, aggiunge l‟autore, occorre piuttosto procedere all‟interpretazione
del contratto per accertare se il “motivo” sia divenuto un fine del negozio. Così, ad esempio,
l‟enunciazione del fine per cui il bene è acquistato diviene criterio di determinazione del contenuto del
contratto se il bene deve essere scelto o costruito dal venditore. Un ulteriore esempio di scuola è
quello del vettore che offre una crociera. Qui infatti l‟interesse turistico entrerebbe nel contenuto del
contratto, determinando in capo al vettore l‟impegno di effettuare una prestazione idonea a soddisfare
tale interesse. V. in proposito anche M. BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 98.
77
In questi termini P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, p. 604.
V. anche del medesimo autore, Remissione del debito, p. 162 ss; L. LONARDO, Ordine pubblico,
cit.,p.132 ss..
78
Si pensi al caso di un soggetto che sopporti un mutuo o sia assoggettato, se commercia con l‟estero,
agli esiti dei cambi di valuta e decida di contrarre un derivato di copertura, piuttosto che azzardare
alchimie volte ad ottenere profitti rischiosi. E‟ chiaro che la peculiarità dell‟attività commerciale, la
situazione debitoria, unitamente all‟assetto del contenuto del contratto, saranno gli indici di
un‟operazione di copertura
79
In questi termini: F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari, Milano, 2007, p. 58.
80
F. CAPUTO NASSETTI, op.ult. loc. cit., p. 74.
81
Ancora F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit. p. 58.
31
Di conseguenza la definizione di causa di un contratto di swap dovrà essere
individuata nell‟obbligo che ciascun contraente si assume nei confronti dell‟altro di
eseguire periodicamente un pagamento in base ad un determinato parametro per
ottenere un profitto, ovvero per l‟intenzione di tutelarsi da eventi negativi inerenti il
proprio credito o il proprio debito82. L‟obbligo di effettuare un pagamento caratterizza
sia quello swap dove ciascuna delle parti alla scadenza prefissata trasferisce materialmente
all‟altra una quantità di denaro, sia quello swap dove la prestazione pecuniaria consiste in
un differenziale. Nel secondo caso, però, l‟obbligo a cui ciascun contraente si vincola è
quello di corrispondere una certa somma, qualora all‟esito della compensazione sarà
riconosciuto debitore.
In entrambe le circostanze, tuttavia, la funzione speculativa e quella di copertura
caratterizzano le prestazioni e influiscono sugli effetti che il contratto produce, per
quanto il risultato finale rimane incerto perché, sia con l‟uno che con l‟altro intento
perseguito dalle parti, il rischio di un nocumento è l‟incognita assunta a presupposto e
che ne è rimasta intimamente connesso.
82
Sul punto Caputo Nassetti individua la causa astratta del contratto di swap (in specie IRS e currency
swap) nel semplice scambio di pagamenti, mentre la causa concreta, ossia , come gli stesso la
definisce “come la realtà viva di ogni singolo contratto e cioè gli interessi reali che di volta in volta il
contratto è diretto a realizzare al di là del modello tipico adoperato”, nello “scambio di pagamenti
destinato alla gestione del rischio finanziario”. Cfr. F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati
finanziari, Milano, 2007, p. 57 e 58. L‟autore tuttavia, oltre a considerare corrispettivo lo scambio
(cfr. pag. 97 del medesimo testo), il che è stato dimostrato essere scorretto e fuorviante, ritiene
sufficiente ad individuare gli interessi in gioco la destinazione di questi alla gestione del rischio. Ora
questa definizione, per quanto corretta nel evidenziare la permanenza del rischio nella causa di questi
contatti (rischio che però l‟autore riferisce alla normale alea del contratto), è inconferente rispetto alla
funzione effettiva che questi possono realizzare. Infatti la gestione del rischio è comune sia alla
intenzione speculativa, sia a quella di copertura, perché in entrambi i casi l‟arricchimento sia la
protezione, oltre ad essere attività de per se stesse rischiose, su fondano sulla probabilità del verificarsi
di un evento. Pertanto il semplice interesse alla gestione del rischio non sarebbe sufficiente a
caratterizzare il contenuto del contratto e a specificarne gli effetti. Diversa è la valutazione invece
della definizione della causa degli swap domestici individuata nella volontà di ridurre i rischi
finanziari impliciti nella compravendita di divise e nell‟intenzione di ridurre i costi del regolamento
delle prestazioni con pieno scambio. V. F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit. p. 195. L‟autore
tuttavia, ritiene che gli swap domestici per fini pratici e struttura non possano essere assimilati agli
IRS o agli IRCS in quanto nello swap domestico si ha solo un pagamento, il cui ammontare è
determinabile solo nel momento successivo dell‟esecuzione della prestazione, ed è incerto al momento
della conclusione del contratto, quale dei due sia tenuto ad effettuarlo, mentre per quanto riguarda gli
IRS o gli IRCS, la pluralità dei pagamenti sarebbe elemento tipico della fattispecie e sarebbe
determinato o determinabile nell‟ammontare in relazione a ciascun contraente (cfr. p. 185).
32
VI. Alcune considerazioni in merito alla aleatorietà dei contratti di
swap.
Sia l‟intenzione di ricavare un profitto dal flusso incrociato di pagamenti
reciproci, sia la volontà di tutelarsi dal pregiudizio che potrebbe verificarsi a seguito di
un evento incerto, caratterizzano la causa del contratto di swap introducendone
all‟interno quell‟elemento di rischio che connota intimamente (e sotto vari profili)
entrambe queste funzioni.
Se quindi i aleatori sono quelli dove proprio “il rischio di un evento casuale” ne
determina il contenuto83 e “qualifica la stessa operazione economica a livello di
giustificazione causale”84, di modo che “le parti non sono in grado di prevedere il
vantaggio o lo svantaggio che deriverà loro”85, allora il contratto di swap non può che
trovare tra questi la sua collocazione naturale86, pur con tutte le implicazioni che ne
83
In questi termini C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2000, p. 491, secondo il quale il contratto è
aleatorio “quando è a carico di una delle parti il rischio di un evento casuale che incide sul contenuto
del suo diritto o della sua prestazione”. alla nota n. 153, stessa pagina, l‟autore fornisce anche una
definizione di rischio quale “pericolo di pregiudizio derivante da fatti non imputabili alle parti come
illeciti”. Secondo Boselli l‟alea esprimerebbe una ragione di scambio tra due rischi equivalenti e si
pone come causa generica del contratto aleatorio, causa che diventerebbe specifica o tipica in base alle
caratteristiche di ciascun contratto. Cfr. A. BOSELLI, Alea, in Novissimo Digesto italiano, p. 473.
84
V. F. GAZZONI, Manuale di Diritto privato, Napoli, 2004, p. 812.
85
V. F. GAZZONI, op. ult. cit, p. 812. A tal riguardo occorre precisare che ciò che renderebbe aleatorio
il contratto non è l‟incertezza della del valore economico delle prestazioni, ma l‟incertezza
sull‟esistenza o sull‟entità di una o entrambe le prestazioni. Cfr. C.M. BIANCA, op. cit. p. 492, il quale
ritiene che “l‟alea che caratterizza i contratti aleatori incide sul contenuto delle prestazioni ed è quindi
estranea all‟alea delle variazioni di costi e valori inerisce di regola ogni operazione contrattuale”.
R.NICOLÒ, Alea, in Enciclopedia del Diritto, I, Milano, 1964, p. 1024, considera aleatori quei contratti
in cui l‟alea, per volontà delle parti o per la natura della prestazione, costituisce un momento
essenziale e originario del sinallagma, che vede come termini dello scambio una prestazione
necessariamente incerta. G. DI GIANDOMENICO, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 201, ravvisa
nella funzione di lucro incerto la causa dei negozi aleatori e afferma l‟essenzialità dell‟alea: ammette
per altro che la causa aleatoria possa concretamente risultare compatibile col modello normativo dei
singoli contratti tipici. In relazione a questa più ristretta nozione di contratto aleatorio, l‟alea è stata
assunta essa stessa a causa del negozio, incompatibile con altre cause tipiche dei contratti di scambio.
In ogni caso deve riconoscersi che anche quando l‟alea costituisce un momento eventuale o marginale
del contratto essa è pur sempre un elemento che concorre a determinare l‟interesse concretamente
perseguito dal contratto, ed quindi un elemento che incide sulla causa concrea di esso. Sul punto cfr.
C.M. BIANCA, op.ut.loc. cit. p. 493.
86
L‟assunzione del rischio può inerire al tipo di operazione negoziale (come nel contratto di
assicurazione o di vitalizio) o può essere prevista dalle parti in deroga alla regola legale di ripartizione
dei rischi (contratti aleatori per volontà delle parti come l‟emptio spei). La distinzione tra contratti
aleatori per natura e per volontà delle parti è ritenuta da taluni autori infondata e si dimostra utile
soltanto per distinguere i contratti aleatori tipici da quelli atipici. In proposito, tuttavia, la distinzione
tra tipico ed atipico non sembra reggere. Infatti per quanto riguarda gli swap, si può pur sostenere che
si tratta di contratti atipici (il che tuttavia è opinabile), ma certamente la loro aleatorietà ne definisce la
causa e non è possibile ipotizzare un contratto non aleatorio. Si dovrebbe dire allora che gli swap sono
33
derivano. Di conseguenza, in primo luogo deve ritenersi esclusa l‟applicazione della
disciplina disposta in materia di eccessiva onerosità della prestazione, in quanto è
peculiarità dei contratti aleatori quella di sottoporre la definizione quantitativa della
prestazione dovuta ad eventi straordinari e imprevedibili (cfr. art. 1469 c.c.). Inoltre,
per espressa decisione legislativa, i contratti aleatori non possono essere rescissi per
lesione ex art. 1448 c.c., per quanto, invece, se si tratta di rescissione dovuta allo
sfruttamento dello stato di bisogno del contraente ex art. 1447 c.c., ammesso che in
questo caso non sussiste uno specifico divieto normativo87, questo rimedio potrebbe
anche trovare applicazione (purché se ne ritenga l‟operatività anche ai contratti non
corrispettivi qual è lo swap)88.
Secondo un‟opinione diversa gli swap dovrebbero includersi tra i contratti
commutativi89. Le ragioni dovrebbero ricercarsi nel fatto che negli swap “non sarebbe
incerta l‟esistenza o l‟ammontare di una o di entrambe le prestazioni”, perché queste
sarebbero determinate sin dall‟inizio, come alle parti “sarebbe noto” ab origine il rapporto
tra “entità del vantaggio e qualità del rischio dello scambio”90. Se ne ricaverebbe, quindi,
che in specie “il rischio della variazione dei tassi (ad esempio), non sarebbe l‟oggetto, né
si porrebbe come causa dello scambio”, col corollario che l‟incertezza di ogni risultato
“sarebbe piuttosto da riferire alla normale alea del contratto”91, in quanto quelle
“variazioni” che contraddistinguono questa fattispecie “non dovrebbero considerarsi un
avvenimento straordinario e nel contempo imprevedibili”. Il che, francamente, è
contraddittorio. Infatti sono proprio quelle “variazioni” ad essere considerate dalle parti
imprevedibili92, perché altrimenti non si potrebbe giustificare la conclusione di uno swap
di copertura se il rischio da cui ci si intende proteggere è inesistente, né sarebbe
ammissibile una speculazione, per quello stesso motivo per cui nel gioco non può essere
contratti atipici, ma aleatori per natura. La causa comune sarebbe lo scambio del rischio e tanto gli uni
quanto gli altri sono ritenuti fondamentalmente aleatori per natura. Cfr. A. BOSELLI, Alea, in
Novissimo Digesto italiano, p. 474 e R.NICOLÒ, Alea, in Enciclopedia del Diritto, I, Milano, 1964, p.
1029.
87
Cfr.F. MESSINEO, voce Contratto, in Enciclopedia del Diritto, 1961, Milano, p. 925.
88
Il rimedio della rescissione è stato ritenuto possa operare anche nei contratti non corrispettivi quale
quello associativo. In Specie la Cassazione (sentenza del 27 febbraio 1976 n. 639) ha ritenuto
esperibile l‟azione di rescissione per lesione a favore del socio che, in sede di aumento del capitale,
aveva conferito un bene di valore superiore di oltre la metà al valore delle azioni da lui sottoscritte,
sproporzione dipesa dall‟approfittamento della società del suo stato di bisogno. Sul punto cfr. Codice
Civile, a cura di P. RESCIGNO, Milano, Tomo I, p. 2685. sulla natura non corrispettiva del contratto
associativo v. . F. GAZZONI, op.cit., p. 812
89
Nei contratti commutativi si assiste ad uno scambio predeterminato delle prestazioni, in quanto
entrambe sono individuate, certe e definite nell‟ammontare. Cfr. F. GAZZONI, op.cit., p. 813 In questi
contratti dunque l‟alea può incidere sulle variazioni dei costi o dei valori (la c.d. alea normale), ma
rimane comunque estrinseca al contenuto del contratto
90
Gli incisi si riferiscono a F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari, Milano, 2007, p. 67
ss
91
Questa considerazioni sono sostenute da F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit., Milano, 2007, p. 70
ss. il quale in particolare precisa (p. 76) che “il rischio di variazione del tasso di interessi o di cambio
fa parte dell‟alea normale del contratto di swap, di quell‟alea cioè che non si inserisce nel contenuto
del contratto sì da qualificarne la funzione, ma rimane ad esso estrinseca, per quanto di fatto connessa
con lo svolgimento esecutivo del rapporto contrattuale”. Nella direzione segnata dall‟autore anche E.
PAGNONI, I contratti di swap, in I contratti del mercato finanziario, a cura di E. GABRIELLI E R.
LENER, p. 1077 SS.
92
Le espressioni “non imprevedibile” e “variazioni” sono di F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit., p.
79.
34
conosciuto l‟esito della scommessa93. Se invece per “variazioni” deve intendersi la
consapevolezza della “possibilità di variazioni” di elementi estrinseci al contratto, allora
deve constatarsi che anche nel contratto di assicurazione l‟incertezza degli eventi non
può considerarsi un “avvenimento straordinario e nel contempo imprevedibile”, perché
è proprio sulla valutazione di una simile contingenza che questo trova la sua causa.
Piuttosto, sarebbe da obbiettare, che rispetto a quelli assicurativi, nei contratti di
swap, più che ad un‟assenza di aleatorietà si assisterebbe ad un‟ipotesi di aleatorietà
aggravata, perché se nei primi è sempre individuato il soggetto che si assume il rischio
dell‟esborso necessario a ripianare il pregiudizio, nello swap è incerto sino alla scadenza
non solo l‟importo del pagamento dovuto ma anche l‟identità dell‟onerato alla
prestazione, se è vero (come è vero) che una funzione come quella di copertura negli
swap incamera in sé la possibilità di un nocumento anche a carico del soggetto che con
questo strumento intendeva tutelarsi. Fatto questo che si verifica certamente quando il
contratto è regolato con differenziali, ma che non può essere confutato neppure se i
pagamenti sono effettuati da entrambe le parti per intero, perché è chiaro che in quel
caso la differenza si vedrà in cassa. Infine deve concludersi che se negli swap “non
sarebbe incerta l‟esistenza o l‟ammontare di una o di entrambe le prestazioni”, lo stesso
accade nei contratti di gioco e scommessa, dove solitamente alla puntata, che possiede
un valore determinato, corrisponde una vincita anch‟essa definibile dalla percentuale di
successo/insuccesso (la quotazione) contro cui la scommessa è stata effettuata.
93
Se infatti i pagamenti reciproci a cui gli operatori sono tenuti fossero già determinati o determinabili
nel loro esatto ammontare, nel caso di funzione di copertura questi non troverebbero alcun
giovamento a tutelare i propri interessi con uno swap. Ad esempio se il beneficiario di un
finanziamento fosse sicuro di un determinato trend dei tassi, sicuramente si tutelerebbe a priori con un
tasso fisso. Se, invece, la consapevolezza del mutamento dei tassi fosse successiva nessuno
scommetterebbe contro la sua proposta, a meno che non si tratti di qualcuno mosso a spirito di
liberalità. Se diversamente la funzione fosse speculativa, ad una perdita certa corrisponderebbe
sempre un profitto certo, in pratica come in un gioco in cui si conosce già il vincitore.
35
VII. La “meritevolezza” dei contratti di swap.
In un sistema giuridico fortemente caratterizzato da un sistema valoriale rigido,
ove si consideri che in primo luogo i principi costituzionali reclamano piena attuazione,
“l‟atto meramente lecito non è di per sé valutabile in termini positivi”, perché deve
esserne verificata anche la meritevolezza. Occorre, in altre parole, che il “fatto sia
rappresentabile quale realizzazione pratica di valori primari dell‟ordinamento giuridico,
quale coerente sviluppo di premesse da questo ritenute fondamentali ed irrinunciabili”94.
A partire da questa considerazione è possibile interrogarsi sulla meritevolezza
degli scopi “tipici” di speculazione e protezione che gli swap mirano a realizzare. Sul
punto, tuttavia, occorre precisare che nella prospettiva di una funzione contrattuale
spiegata alla luce di questi interessi, è del tutto lecito assumere il requisito della
meritevolezza a carattere o qualità della causa, con l‟evidente corollario che meritevole di
tutela va qualificata la causa stessa che ne assorbe i contenuti, di modo che a questa deve
essere riferito quel grado di apprezzabilità sociale necessario ai fini del riconoscimento
dell‟atto di autonomia da parte dell‟ordinamento95.
Così se nessun rilievo critico può essere mosso alla funzione di copertura, per i
benefici che questa potrebbe realizzare, diversamente potrebbe sindacarsi dell‟intento
speculativo, a causa, da un lato, dell‟accezione negativa che storicamente è stata
attribuita a qualsiasi forma di utile slegato da un‟attività produttiva, dall‟altro,
dell‟assimilazione di questo risultato economico alla posta vinta per gioco e scommessa,
fattispecie che nel nostro ordinamento sono inquadrate tra le obbligazioni naturali ex
art. 2034 c.c., e perciò considerate vincoli non giuridici e non azionabili in giudizio, di
modo che se il vincitore non può far valere la propria pretesa contro il debitore
inadempiente, al perdente invece è preclusa la ripetizione di quanto spontaneamente
pagato96.
94
Cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, p. 611, che precisa:
“Il giudizio di meritevolezza dell‟atto deve essere espresso alla luce dei principi fondamentali
dell‟ordinamento e dei valori che lo caratterizzano”.
95
Cfr. P.PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 424 e 425, passim.
96
Cfr. art. 1933 c.c. In particolare questa possibilità deve ritenersi esclusa in quanto darebbe vita ad
un contrasto tra inammissibile tra norma giuridica e norma sociale. Cfr. F. GAZZONI, Manuale di
Diritto privato, Napoli, 2004, p. 794.Talvolta il gioco e la scommessa sono perfino proibiti e
sanzionati penalmente. L‟art. 718 c.p. rubricato “Esercizio di giuochi d'azzardo”, stabilisce che
chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, tiene un
giuoco d'azzardo o lo agevola è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda non
inferiore a 206 euro. Inoltre v. l. n. 401/1989 “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse
clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche”, in particolare
l‟art. 4, rubricato “Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa”. Le scommesse meritevoli
di tutela sono invece quelle collegate alle competizioni sportive, che possono riguardare sia coloro che
vi prendono parte, sia coloro che scommettono sul risultato, e le lotterie legalmente autorizzate. La
ragione della tutela va ricercata nell‟indiretto incentivo all‟attività sportiva e nell‟utilità delle lotterie,
specie quelle promosse dallo Stato per le cospicue entrate che quest‟ultimo riceve. del Cfr. sul punto
36
L‟empasse tuttavia può essere agevolmente superato con la considerazione che il
profitto, anche dovuto al mero risultato di una riflessione (lo speculum riflette)
intellettuale, rimane pur sempre il prodotto di un lavoro. Se invece i motivi di sospetto
sono individuati nel rapporto tra i profitti elevati che questo genere di operazioni
finanziarie sono in grado di attribuire, ed i rischi che di questi rappresentano l‟inevitabile
paredro, la soluzione riposa proprio sul fatto che profitto e rischio sono elementi
peculiari di ogni attività economica97. Del resto, secondo un‟opinione si tratterebbe di un
richio economico effettivo e non artificiale come per i contratti di gioco e scommessa98.
In ultimo dovrà pure ammettersi che all‟interno di mercati veramente organizzati alla
speculazione è stata spesso riconosciuta una “utile funzione”99.
Il legislatore, peraltro, all‟art. 23, co. 5 TUF, ha stabilito espressamente che
nell‟ambito della prestazione dei servizi di investimento ai contratti finanziari derivati
non è applicabile l‟eccezione di gioco100, rivestendo così con un paludamento giuridico
autentico quelle ipotesi appena svolte. Se, però, questa precisazione normativa ha
confermato il giudizio positivo dell‟ordinamento in ordine a quei contratti conclusi
nell‟ambito di servizi di investimento (nei rapporti quindi tra intermediario e clienti ex
art. 2 TUF), contemporaneamente ha suscitato il dubbio circa la meritevolezza di quei
contratti estranei a questa previsione. Questa limitazione di operatività della disposizione
all‟ambito dei soli servizi di investimento ha comportato, come si può immaginare,
un‟inquietudine nella dottrina specializzata che si è interrogata sul significato del
discrimine di meritevolezza proposto. Per questi soggetti, infatti, il vincolo non avrebbe
M. PARADISO, I contratti di gioco e scommessa, Milano, 2003, ovvero dello stesso autore, Gioco,
scommessa, rendite, Torino, 2006. Inoltre E. VALSECCHI, Il giuoco e la scommessa, Milano, 1986.
97
L‟impresa, infatti, da un punto di vista economico è un‟attività che presuppone un investimento che
implica un rischio. Sul punto, D. CANTARELLI, Lezioni di economia politica, Padova, 1996, p. 101,
ammette che “in molti casi con speculazione si intende un‟attività al limite del lecito che produce
arricchimenti ingenti quanto immeritati”. L‟autore, però, precisa che “tutto ciò non ha nulla a che
vedere col significato tecnico di speculazione. Detto in altri termini la speculazione se attuata entro
precise disposizioni di legge ed in mercato veramente organizzato può esercitare un‟utile funzione”.
98
Cfr. F.GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 1299.
99
Cfr. D. CANTARELLI, Lezioni di economia politica, Padova, 1996, p. 99 ss., passim. In particolare
l‟autore individua nella speculazione è “un‟attività che ha una sua importanza economica nel contesto
di una economia di scambio”. ”Ciò contrariamente”, precisa, “alla concezione volgare o comune che
vede nello speculatore uno sfruttatore”. “In particolare”, continua l‟autore “è stato dimostrato la
speculazione finanziaria agisce positivamente sull‟andamento dei mercati, stabilizzandone i prezzi.
Questo può essere spiegato con un esempio. Se un compratore ritiene che sul mercato a pronti il
prezzo di un bene cui è interessato dovrà nel futuro aumentare egli è portato ad acquistare. La sua
maggiore domanda contribuirà a far innalzare il prezzo del bene subito. Se al contrario un venditore
ritiene che in futuro il prezzo della merce diminuirà egli cercherà di vendere la propria o non ne
comprerà. In questo modo egli contribuisce a diminuire il prezzo della merce subito. Questo significa
che in mercato a pronti le previsioni che si fanno sul futuro non solo tendono ad essere attualizzate e
realizzate, ma possono contribuire ad accentuare ulteriormente le variazioni dei prezzi. Le cose si
presentano in modo diverso se in questi vari mercati, accanto al mercato a pronti esiste quello a
termine. L‟operazione a contrario che l‟esistenza del mercato a termine consente è sostanzialmente
diversa dall‟azione passiva che i contratti possono effettuare su di un mercato a pronti. Se infatti esiste
il mercato a termine essi possono operare positivamente rischiando denaro. Se ne deduce quindi che
operazioni speculative di acquisto sul mercato a termine contribuiscono a stabilizzare la fluttuazione
dei prezzi e a ridurne l‟ampiezza. Al riguardo cfr. ancora D. CANTARELLI, Lezioni di economia
politica, Padova, 1996, p. 100 e 101.
100
Cfr. art. 23 co. 5 dlgs. N. 58/98 il quale stabilisce che “nell'ambito della prestazione dei servizi di
investimento, agli strumenti finanziari derivati … non si applica l'art. 1933 del codice civile”. In
proposito v. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2004, p. 119 ss. In
particolare cfr. F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari, Milano, 2008, p. 87 ss.
37
valore giuridico e ne sarebbe preclusa l‟azionabilità, trovando dunque giustizia ogni loro
pretesa solo tra i precetti e le sanzioni di ordine morale. Il risultato è stato quello di
ritenere il co. 5 dell‟art. 23 TUF equivoco e di vigore “depotenziato” in quanto
formalmente non applicabile neppure agli swap conclusi nell‟ambito di servizi di
investimento, infatti, a rigore l‟emissione (stipulazione) di un contratto di swap non è
compreso tra i sevizi di investimento101. Per questa via si sarebbe giunti, quindi, al
paradosso di una eccezione di gioco opponibile a contratti stipulati al di fuori di un
servizio di investimento, di modo che all‟emittente di una opzione sarebbe opponibile
l‟eccezione di gioco, mentre non sarebbe opponibile a chi la negozia102. Per altro verso si
è inteso dimostrare la “natura dichiarativa” della norma sul presupposto della presunta
commutatività degli swap, con la conseguenza che l‟eccezione di gioco non dovrebbe
essere applicata a nessuno di questi contratti (indipendentemente quindi dalla previsione
del co. 5 dell‟art. 5) per caratteristiche intrinseche di questi contratti103.
La mancata previsione di una formula legislativa puntuale, però, non è un
argomento determinante, perché nel gergo tecnico la “negoziazione” (in particolare la
negoziazione per conto proprio) e quindi non si può considerare la mancata previsione
di ipotesi tra quelle dell‟art. 2 TUF più di un‟imperfezione tecnica. Mentre per quanto
riguarda la natura commutativa degli swap, si è già detto che questa non tiene conto degli
interessi che questi contratti mirano a realizza e non può essere utilizzata come utile
elemento di critica.
Piuttosto si dovrà constatare che l‟art. 23 TUF è stato dettato nell‟ambito della
disciplina dei servizi di investimento e per questo riguarda esclusivamente i contratti
conclusi in quest‟ambito, senza ulteriori pretese. Diversamente la giuridicità degli swap, al
di fuori dei servizi di investimento, dipenderà dal giudizio di meritevolezza che
l‟ordinamento riserva loro104, per la funzione “utile” che questi svolgono a livello socio
economico.
101
F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc. cit., p.94. Del resto ex art. 5 TUF l‟eccezione di gioco non deve
operare solo per quei derivati stipulati tra intermediari e clienti nell‟esercizio di un servizio di
negoziazione per conto proprio, di esecuzione di ordini per conto dei clienti, di sottoscrizione e/o
collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente,
di collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente, di
gestione di portafogli, di ricezione e trasmissione di ordini, di consulenza in materia di investimenti e
di gestione di sistemi multilaterali di negoziazione (i servizi di investimento appunto). Si precisa che
l‟autore tuttavia faceva riferimento alla precedente formulazione dell‟art. 5 TUF (mentre qui si è
riportata l‟attuale), che realizzava una diversa individuazione dei servizi di investimento. Tale
modifica, però, non rileva ai fini delle considerazioni da questo sostenute.
102
F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc.cit p. 95.
103
Ancora F. CAPUTO NASSETTI, op. ult. loc.cit p. 95.
104
“Il gioco e la scommessa”, scrivono P. Perlingieri e E. Capobianco, “sono fenomeni di ampia
diffusione; la loro rilevanza giuridica dipende dal giudizio di meritevolezza che di volta in volta
l‟ordinamento esprime su di essi”. V. P.PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2005, p. 552.
38
VIII. Fonti e disciplina generale dei contratti di swap.
I contratti di swap sono regolati in primo luogo dal d.lgs. n. 58/98 (TUF) che
oltre ad individuarli in un elenco, gli sottopone alla disciplina cui sono soggetti i
contratti relativi ai servizi di investimento, fissando all‟art. 23 puntuali prescrizioni in
ordine alla forma scritta che tali contratti devono assumere, al diritto del cliente di farne
valere la nullità (nullità relativa), al diritto di ciascun contraente di domandare
l‟esecuzione della prestazione, all‟onere della prova in caso di inadempimento. Qualora
si tratti di contratti conclusi fuori dalla sede del proponente l‟art. 30 del TUF prescrive
che nel contratto sia inserita a pena di nullità un‟apposita clausola che avvisi il cliente
della possibilità di recesso nel termine di sette giorni, disponendo inoltre la sospensione
dell‟efficacia del contratto sino al decorrere di quel termine 105. Un‟ulteriore disciplina del
contenuto di questi contratti finanziari si ricava dall‟art. art. 37 reg. Consob n. 16190/07
(c.d. regolamento intermediari), in base al quale gli swap, oltre a stabilire il periodo di
efficacia e le modalità di rinnovo dei contratti, le modalità tramite le quali il cliente può
impartire ordini ed istruzioni e la frequenza, il tipo ed i contenuti della documentazione
da rilasciare al cliente, impone all‟intermediario di indicare la tipologia di strumenti
finanziari offerti e delle operazioni interessate ed in particolare di precisare le prestazioni
dovute, individuando così un‟ipotesi di invalidità di contratti noti per la loro complessità
e dove quasi mai è possibile definire gli obblighi a carico delle parti. Una volontà
legittima di tutela questa che si trasmette anche nel dovere espresso dal medesimo art.
37 di far risultare dal contratto non solo tutte le condizioni a cui il cliente si è vincolato,
ma anche le remunerazioni che spettano all‟intermediario ed i criteri oggettivi necessari a
calcolarle, quando invece proprio negli swap i costi impliciti, vale a dire quei costi
intrinseci all‟operazione, per quanto possano intaccare la convenienza dell‟affare,
rimangono sconosciuti per tutta la durata del rapporto106. Ulteriori disposizioni sono
dettate dal successivo art. 38 in relazione agli swap stipulati nell‟ambito di un contratto di
gestione patrimoniale. Dal combinato disposto dell‟art. 21 TUF e degli articoli da 27 a
45 del reg. 16190/07 (compresi quindi gli art. 37 e 38) si ottiene la disciplina
complessiva degli obblighi informativi a carico degli intermediari, relativa ai contratti di
swap conclusi nell‟ambito dei sevizi di investimento.
Secondo un‟opinione dottrinaria, “salvata l‟importanza dei principi, strutture e
valori che costituiscono l‟ossatura dell‟ordinamento giuridico”107, il mercato finanziario
105
Sul punto occorre precisare che la disciplina per quanto dettata, a rigore per la promozione ed il
collocamento di titoli fuori sede da parte degli istituti di investimento, in realtà è esteso dalla
giurisprudenza maggioritaria anche alle ipotesi di semplice negoziazione del contratto col cliente. V.
per tutti, la recentissima sentenza del Tribunale di Padova
106
La particolare attenzione che il legislatore ha rivolto alla formazione del vincolo contrattuale deriva
dalla condizione di squilibrio informativo e di potere contrattuale in cui versa il cliente dell‟istituto di
investimento e deve essere coordinata con l‟art. 117 TUB, che dispone analoghe disposizioni in
materia di trasparenza delle condizioni contrattuali..
107
Infatti in nessun caso si può procedere ad un‟esatta ricostruzione della disciplina di mercato senza
considerare il ruolo immanente svolto della Carta costituzionale che rappresenta non solo il terminale
ultimo di tutta la struttura giuridica dell‟ordinamento, ma anche il principio ed il fine “superiore” cui
deve volgersi inevitabilmente l‟economia, perché “le misure del mercato finanziario non possono
essere discrezionali, ma anch‟esse devono necessariamente essere sottoposte al vaglio della
39
sarebbe “oggetto di proprie regole, tutte tendenti ad assicurare la correttezza nello
svolgimento del mercato e della tutela degli investitori destinatari delle operazioni
finanziarie che nel mercato si realizzano”, di modo che “non apparirebbe metodo da
condividere quello che, allo scopo di illustrare le regole del mercato finanziario le
raffronta con la normativa di portata generale, quasi nell‟intento di enunciare una
dipendenza delle prime dalla seconda e di ritenere, di conseguenza, l‟esistenza di una
deviazione dai principi”108. Diversamente si ritiene, che la disciplina dei contratti
contenuta nel TUF non esaurisca il novero della peculiare normativa che può
applicarsi ai contratti stipulati sul mercato 109 e non convince un‟autarchia che non
trova fondamento né nel complesso dei principi dell‟ordinamento, né nelle esigenze
riscontrate di volta in volta nella pratica. Del resto quale significato può attribuirsi
all‟espressione “regole proprie”, se tale àmbito è disciplinato da norme speciali110 o
comunque di settore che hanno posto e pongono l‟interprete di fronte alla necessità di
analizzare i rapporti tra le disposizioni del T.U.F., le disposizioni del codice civile, le
disposizioni del codice del consumo111 e le altre normative pur sempre settoriali che
attengono all‟area tematica del consumo o del risparmio112.
Certamente il codice civile “ha perduto la centralità di un tempo”, ma ciò “non
implica assolutamente la perdita di un fondamento unitario dell‟ordinamento, sì da
produrre una frantumazione di esso in tanti microordinamenti ed in tanti
microsistemi”113, né tanto meno il valore ricostruttivo ed esegetico che gli spetta. Anzi,
piuttosto, è proprio a causa di questa molteplicità che se ne deve constare la funzione
aggregante, o, se si vuole, la pietra angolare delle materie civilistiche. Del resto se “la
tecnica legislativa” non è suscettibile di “autolegittimare legislazioni di settore”, tali da
assumere il ruolo di “diritto generale di un‟intera materia” è chiaro che questa peculiarità
ragionevolezza costituzionale”. Cfr. P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rassegna
di diritto civile, Saggi, p. 102. Il mercato d‟altronde funziona secondo criteri d‟efficienza e secondo
una logica “distributiva” degli utili, mentre è il diritto che opera la “redistribuzione” e rettifica il
sistema secondo regole di equità e solidarietà. Cfr. P. PERLINGIERI, op. ult. loc. cit., in particolare v. p.
96.
108
Il virgolettato è di M. Foschini, Il diritto del mercato finanziario, Milano, 2009, p. 8, il quale più in
particolare per regole proprie del mercato finanziario intende “leggi nazionali, regolamenti ministeriali
o della autorità indipendenti, direttive della unione europea, regole di comportamento espresse
all‟interno del mercato finanziario, si che derivino dalle associazioni degli operatori, sia che siano
poste in essere dalle società che gestiscono il mercato”. Così l‟autore, op. ult. loc. cit.
109
Cfr. P. MORLUPO, Gli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza, in La tutela del
consumatore di servizi finanziari, a cura di L. DI NELLA, p. 10.
110
Sulla specialità della norma anche in considerazione della necessaria distinzione con la natura
eccezionale della stessa v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il
sistema Italo-Comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 270 ss. ad avviso del quale la distinzione è
rilevante perché soltanto le regole speciali, non sempre quelle eccezionali, sono applicabili per
analogia (art. 14 disp. prel. c.c.).
111
Per un esaustivo commento v. Codice del Consumo, Commentario., V. Cuffaro, Milano, 2006;
Codice del consumo. Commentario, G. Alpa e L. Rossi Carleo, Napoli, 2005.
112
Si pensi alla disciplina del commercio elettronico (d.lgs. n. 70\2003) alla normativa sulle vendite
piramidali (l. n. 173\2005) alla disciplina connessa alla commercializzazione a distanza dei servizi
finanziari (d.lgs. n. 190\2005) ed al testo unico in materia di servizi bancari (d.lgs. n. 385\1993).
Trattasi, appunto, di discipline non inserite all‟interno del codice del consumo – seppure lo stesso ad
esempio rinvii al testo autonomo del commercio elettronico la connessa regolamentazione: art. 68
codice del consumo- le quali, tuttavia, confermano o comunque contengono i principi sugli obblighi di
informazione e sulla trasparenza.
113
Il virgolettato è di P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, p.
175.
40
deve essere ricercata altrove114. Per altro verso non può negarsi che dalla comprensione
del fatto concreto occorre iniziare per individuare la disciplina applicabile ed anzi “la
norma esiste nella sua attuazione, allorché viene dall‟interprete individuata in relazione al
caso concreto115. Pertanto se il cliente rientra nella nozione di consumatore 116
troveranno applicazione anche tutte quelle specifiche norme del codice del
consumo (d.lgs n. 206/05)117, dirette ad assicurare ai consumatori un “elevato livello di
tutela”118. Questo è il senso dell‟art. 2 lett. c) del cod. consumo, che ha attribuito al
diritto ad un‟adeguata informazione del consumatore il rango di diritto fondamentale119,
arricchendo di conseguenza di ulteriori significati proprio l‟art. 21 TUF e le relative
disposizioni contenute nei regolamenti Consob di attuazione. Con la stessa intensità,
l‟art. 2 lett. e), tutela il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità dei rapporti
contrattuali120. Del resto il consumatore (o l‟utente) è il protagonista principale del
mercato, perché questi, scegliendo i prodotti, si fa giudice della qualità dei beni e della
congruità dei prezzi, e determina, in un sistema concorrenziale quei meccanismi di
selezione e di incentivo capaci di influire sugli assetti del mercato121. Tuttavia, questa
funzione primaria, in mercati come quelli finanziari caratterizzati da un‟endemica
114
Cfr. P. PERLINGIERI, op. ult. loc. cit., p. 176.
P. PERLINGIERI, Profili del diritto civile, cit., p. 83 e già ID., Profili istituzionali, cit., p. 126,
osserva che la realtà normativa non è entità preesistente alla realtà socio-economica e da questa
indipendente: l‟ordinamento è in funzione della complessa realtà sociale. Al riguardo v., ampiamente,
supra, cap. V, spec. § 69 ss.
116
Cosí, tra gli altri, M. FRANZONI, La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in
www.lerivisteipertestuali.it, 4,-2006, il quale in merito alla validità di alcuni contratti di vendita a
termine di valuta straniera, con i quali un privato intendeva effettuare operazioni speculative ha
affermato testualmente: «siamo, dunque, nell‟ambito di contratti finanziari, soggetti ad una particolare
disciplina nell‟interesse del risparmiatore, inteso in senso lato quale consumatore».
117
Cosí G.F. CAMPOBASSO, Servizi bancari e finanziari e tutela del contraente debole:
l’esperienza italiana, in Banca borsa tit. cred., 1998, I, p. 562; M. ATELLI, Commento all’art.
23, in Commentario al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 , Milano, 1998, p. 213;
118
Cfr. l‟art. 153 Tratt. CE, relativo alla disciplina dei fenomeni economici, che costituisce un
riferimento apicale di tutto il sistema consumeristico, per cui: “1. Al fine di promuovere gli interessi
dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, la Comunità
contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a
promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei
propri interessi; 2. Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono
prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”. Si consideri, peraltro,
che il diritto alla informazione del consumatore ha natura patrimoniale ed opera sul piano dei rapporti
economici, perciò occupa nel sistema delle fonti e dei valori una posizione gerarchica anch‟essa
primaria, ma inferiore in quanto subordinata alle situazioni esistenziali, tra le quali rientrano quelle
corrispondenti alle libertà della persona.
119
Cfr. art. 2 cod. consumo ai sensi del quale sono riconosciuti ai consumatori come fondamentali i
diritti ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità (lett. c) e ad alla correttezza,
trasparenza ed equità dei rapporti contrattuali (lett. e).
120
Per quanto, in realtà, una deroga all‟applicazione della disciplina consumeristica a rapporti
finanziari si trova all‟interno dello stesso codice del consumo, in materia di clausole vessatorie
applicate a contratti finanziari, all‟art. 33, co. 3, 4 e 5, ma che proprio per questo non può prescindere
da una minuziosa opera di coordinamento tra questa, la disciplina generale e quella più propriamente
finanziaria. In proposito una preziosa opera ricostruttiva degli istituti è eseguita da G. LENER, Le
clausole abusive nei contratti del mercato finanziario, in I contratti del mercato finanziario, a cura di
E. GABRIELLI E R. LENER , Torino, 2004, p. 121 ss.
121
Sul punto si rinvia in primo luogo a L. DI NELLA, Mercato ed autonomia nell’ordinamento
comunitario, Napoli, 2005, in particolare p. 259 ss. Successivamente anche G.G. LUCIANI, Gli
obblighi informativi “passivi” ed “attivi” degli intermediari finanziari, in La tutela del consumatore
di servizi finanziari, a cura di L. DI NELLA, p. 51.
115
41
carenza (asimmetria) di informazioni122, non può in alcun modo essere svolta se non si
procede al riequilibrio tra le posizioni del consumatore e del professionista
(intermediario), anche con interventi sanzionatori123. Da qui l‟attenzione riservata al
ruolo dell‟informazione e l‟esigenza di collocare la protezione dei consumatori tra i fini
istituzionali dell‟Unione Europea124.
Ancora e proprio con riferimento al particolare rapporto tra banca e
imprenditore ed alle modalità con cui gli swap vengono stipulati, una diversa tutela può
essere offerta dalla disciplina che sanziona l‟abuso di dipendenza economica, se è vero
che questa riguarda direttamente tutti i contratti tra imprese e non soltanto quelli
qualificabili come subfornitura125. Infatti la regola del divieto di abuso di dipendenza
122
La dottrina discorre di asimmetria informativa quale situazione di maggior favore per una
parte che dispone di un numero maggiore di informazioni, in quanto opera in modo
professionale nel mercato, rispetto ad altra parte che dispone di un numero di informazioni di
gran lunga inferiore. v. S. GRUNDMANN, L’autonomia privata nel mercato interno, in Europa e dir.
privato, 2001, p. 277 In tali condizioni il consumatore è soggetto ad “errori di valutazione” ed a
“comportamenti opportunistici” del professionista; sul punto cfr. F. PICHLER, Profili teorici e di
regolamentazione dei sistemi finanziari, Milano, 2005, in particolare p. 62 ss. Inoltre, L. DI NELLA,
Mercato ed autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, p. 342, conclude che
“le informazioni riguardo ai parametri essenziali sono il presupposto perché il soggetto possa
effettuare una scelta razionale di massimizzazione del guadagno. E questo è anche il presupposto per
il funzionamento autoguidato del mercato”. Si consideri, peraltro, che tra le cause del c.d. “fallimento
del mercato”, le asimmetrie informative assumono particolare rilevanza, in quanto i consumatori non
solo non sarebbero in grado di scegliere tra offerte buone ed offerte cattive, ma perfino tenderebbero a
scegliere le cattive. In materia, G. AKERLOF, The market for “lemons”: Quality Uncertainly and the
Market Mechanism, in 84 Q. J. Econ., 1970, p.488 ss., dove viene affrontato per la prima volta questo
fenomeno. Per considerazioni più prettamente giuridiche sull‟argomento ci si riferisca invece ancora a
L. DI NELLA, o.c., p. 342, alla cui bibliografia si rinvia. Invece sulla teoria dell‟agency come rimedio a
situazioni caratterizzate da asimmetria informativa e sulla funzione svolta dall‟intermediario
nell‟ambito dei mercati finanziari in ordine al superamento di dette asimmetrie, v. F. PICHLER, o.u.c.,
in particolare p. 50 ss. e F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano,
2004, p. 65 ss.
123
Del resto, è oramai dato acquisto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, seppure dopo alcune
titubanze, che l‟investitore non è genericamente il cliente o l‟operatore qualificato del TUF o del
TUB, ma è contemporaneamente consumatore o utente di servizi finanziari e di conseguenza la
disciplina disposta a tutela del consumatore con queste deve confrontarsi. Al riguardo in particolare v.
L. DI NELLA, Profili della nuova disciplina di mercati finanziari, in La tutela del consumatore di
servizi finanziari, a cura dello stesso autore, p. 193. Piuttosto si discute circa l‟estensione della
definizione di consumatore quale “persona fisica che agisce per scopi estranei all‟attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” per quanti come G. LENER, (Le clausole
abusive nei contratti del mercato finanziario, in I contratti del mercato finanziario, a cura di E.
GABRIELLI e R. LENER , Torino, 2004, p. 136 ss.) ritengono che la nozione di consumatore andrebbe
interpretata estensivamente, ben potendo considerarsi tale colui che acquista un bene o richiede la
prestazione di un servizio nel quadro dell‟attività professionale svolta, qualora la stipulazione del
relativo contratto non sia inquadrabile tra le manifestazioni di tale attività. Così, peraltro, anche Trib.
Roma, sentenza del 20 ottobre 1999. D‟altra parte secondo l‟autore, solo quest‟interpretazione
consente di offrire una tutela alla parte debole, visto che “un piccolo imprenditore, non ha nessun
potere contrattuale nei confronti del professionista qualificato come la banca e de facto si trova nella
medesima condizione della persona fisica che agisce per scopi estranei all‟attività professionale ove
del caso esercitata”. Così ancora G. Lener, op. ult. loc cit. p. 137. Il che peraltro non è di poco conto,
con riferimento in particolare alla stipulazione di contratti derivati, in primo luogo di swap, perché
spesso questi sono stipulati tra banche e imprenditori (ma anche enti pubblici) in condizioni di
sostanziale disparità economia, giuridica e informativa.
124
Sul punto v. L. DI NELLA, op.cit., p. 179.
125
V. sul punto F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, profili
riscostruttivi e sistematici, Napoli, 2002, p. 267 ss. L‟autore, infatti (ed a ragione) sostiene
42
economica fissa il principio secondo il quale non è lecito per la parte dotata di maggiore
potere contrattuale imporre condizioni contrattuali ingiustificatamente squilibrate alla
parte debole, per cui diviene subito evidente che restringere una tale illiceità
esclusivamente ai rapporti di subfornitura risulterebbe del tutto illogico. Quel che rileva,
piuttosto, per l‟applicazione della disciplina è un relazione di dipendenza economica tra
il cliente e la banca, verificata tenendo conto della possibilità di quest‟ultima di
determinare un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi nei rapporti con l‟altro
contraente126.
Come è possibile, dunque, ritenere esaurito il compito di ricostruzione degli
elementi costitutivi e fondanti del mercato finanziario e sostenere che l‟interprete
dovrebbe limitarsi a “descrivere ciò che il mercato è e non ciò che questo non è”, perché
anzi è proprio dalla comparazione e dall‟integrazione tra discipline (pur tralasciando i
principi che informano ogni ordinamento) di un sistema in cui la stessa materia
finanziaria è inserita, che questa trova la completezza della propria regolamentazione,
che diversamente non sarebbe in grado di raggiungere127. Ed è qui il “costante e tenace
lavoro” dell‟interprete, “volto ad individuare i principi portanti della legislazione
speciale, riconducendoli, anche sul piano della legittimità, all‟unità del sistema”128.
IX. Obblighi informativi “passivi” e “attivi” relativi alla negoziazione
di contratti derivati. La disciplina pre-Mifid.
l‟applicabilità della disciplina a tutti contratti stipulati tra imprese, né la fondatezza di una simile
impostazione può essere inficiata dalla collocazione della normativa all‟interno di una legge speciale
(L. n. 192/98 relativa al contratto di subfornitura) perché se ciò si è già verificato in altre occasioni (L.
n. 194/78 titolata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull‟interruzione volontaria di
gravidanza”), ciò conferma che per decidere il carattere generale o speciale di una norma si deve avere
riguardo al contenuto sostanziale piuttosto che alla sua collocazione sistematica.
126
Cfr. l‟art. 9 della L. L. n. 192/98 cit. rubricato “Abuso di dipendenza economica” ai sensi del
quale:” È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale
si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza
economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con
un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata
tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato
alternative soddisfacenti (co.1).L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di
comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie,
nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto (co. 2). “Ciò significa che ai fini della
configurazione dell‟abuso di dipendenza economica è necessario dimostrare la condizione di
debolezza economica di cui altri abbia approfittato tenendo uno dei comportamenti vessatori
sanzionati dall‟art. 9, ma non anche che tale condizione di debolezza sia stata determinata dalla
posizione dominante tenuta dall‟autore delle pratiche abusive, siano esse di natura contrattuale o
meno”: Così F. PROSPERI, op. ult. loc. cit. p. 286. Sostanzialmente conforme a questa impostazione
anche E. CAPOBIANCO, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, Napoli, 2004. Nella realtà
dei rapporti finanziari lo sfruttamento della condizione di creditore della banca nei confronti del
cliente ha condotto spesso questi ultimi a stipulare contratti finanziari (swap) iniqui e pregiudizievoli.
127
Secondo Foschini, invece, non avrebbe più senso un approccio metodologico di questo tipo, ed
anzi sarebbe controproducente. Per cui salvata l‟importanza dei principi, strutture e valori che
costituiscono l‟ossatura dell‟ordinamento giuridico, compito dell‟interprete rimarrebbe semplicemente
quello di descrivere ciò che è e non di raffrontarlo con ciò che non è (M. FOSCHINI, Il diritto del
mercato finanziario, Milano, 2009, p. 9), quasi a voler richiamare quelle teorie economiche che
predicavano la fine della storia, ora peraltro rinnovate nella prospettiva finanziaria, secondo cui con
l‟epoca attuale si assisterebbe alla conclusione di un ciclo economico, ed all‟ingresso di un altro
fondato sul lavoro.
128
Cfr. ancora P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, p. 176.
43
Gli swap sono strumenti finanziari complessi e ostici perfino per gli specialisti
della materia. Nonostante ciò sono stati oggetto di un uso disinvolto e spesso proposti
dalle banche senza che se ne ravvisasse per i clienti un‟effettiva utilità, il più delle volte
con la promessa di facili guadagni. Il risultato di queste policies si è tradotto nei pregiudizi
gravissimi cui sono malauguratamente incappate le imprese e gli enti pubblici, che di
questi sono stati i destinatari inconsapevoli. L‟urgenza, che presto si è trasformata in un
“pericolo paese”, vista la vastità del fenomeno, se non anche in un “pericolo globale”
per le responsabilità che, a giudizio degli economisti, proprio taluni derivati avrebbero in
quella che potrebbe definirsi l‟attuale “seconda crisi mondiale”, non ha però suggerito al
legislatore quegli interventi che probabilmente si sarebbero resi opportuni per
consentire un‟applicazione pratica più “matura” e “giudizievole” di strumenti che di per
sé, occorre ribadire, non rappresentano un male assoluto ed in certe occasioni possono
svolgere una indispensabile funzione di gestione del rischio. Invece, proprio nei rapporti
tra “intermediari” ed investitori “non qualificati” e “non professionali”, oppure
semplicemente “non professionali”, per usare una semplificazione della disciplina preMifid, la tutela del contraente debole e disinformato, non è stata oggetto di una riforma
più severa, ma è stata lasciata alla disciplina generale dei servizi di investimento, dettata,
peraltro, per operazioni finanziarie profondamente diverse tra loro (ad esempio
l‟acquisto di azioni ed obbligazioni) e che richiede, perciò, un intervento costante di
adattamento dell‟interprete.
L‟art. 21 TUF, costituisce la pietra angolare dell‟intero sistema degli obblighi
informati cui l‟intermediario è tenuto nell‟esecuzione dei servizi di investimento e quindi
anche nella attività di “negoziazione” degli swap. Rubricato “criteri generali”, sebbene,
come si è accennato, si occupi più propriamente di fissare i “principi generali”129,
contiene in sé tutte e tre gli ordini di doveri fondamentali poi dettagliati ed approfonditi
nei regolamenti Consob. In primo luogo quelli di diligenza correttezza e trasparenza
(l‟intermediario ”nella prestazione dei servizi di investimento e accessori … deve
comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per
l'integrità dei mercati”), successivamente quelli c.dd. di informazione “passiva”
(l‟intermediario deve “acquisire le informazioni necessarie dai clienti”) ed in ultimo
quelli c.dd. di informazione “attiva” (l‟intermediario deve operare in modo che i clienti
siano sempre adeguatamente informati”)130.
Il concetto di diligenza, previsto dal co. 1 dell‟art. 21 cit., si ritiene abbia un
significato pratico ed un utilizzo concreto e che si realizzi nell‟obbligo dell‟intermediario
ex art. 1176 co. 2 c.c. di comportarsi in modo da garantire appieno il soddisfacimento
dell‟interesse del cliente. Il principio di correttezza, invece, risulterebbe volto a limitare
la discrezionalità dell‟intermediario e ad evitare che questi con la sua condotta possa
arrecare un pregiudizio ingiustificato. La diligenza e la correttezza si ricollegherebbero,
129
Più che di criteri si tratterebbe di veri e propri principi, a causa della loro collocazione ed
autorevolezza normativa. Del resto l‟art. 6. della previdente legge Sim n. 1/1991, li definiva proprio
“principi generali”.
130
Cfr. art. 21 TUF “Criteri generali”, ai sensi del quale “nella prestazione dei servizi e delle attività
di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e
trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; b) acquisire le
informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati
… ”.
44
quindi, da un lato alla professionalità dell‟intermediario chiamato a prestare un servizio
caratterizzato da peculiari cognizioni tecniche, dall‟altro alla necessità di evitare
comportamenti che possano giustificarsi sulla disparità di forza contrattuale delle
parti131. Tali criteri sarebbero completati da quello di trasparenza132 che obbliga
l‟intermediario a rendere edotto il risparmiatore della natura e dei rischi delle operazioni,
sulle loro implicazioni, e su qualsiasi atto o circostanza che risultino necessari per
rendere consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento133. Trasparenza intesa in
particolare come una “qualità” del documento contrattuale che deve essere idoneo a
mettere il contraente nella condizione di trarre dal testo cartaceo tutte le informazioni
necessarie ad esprimere un consapevole consenso sul contenuto del contratto ed a
comprendere l‟esatto contenuto della prestazione ed i pregiudizi che questa può
comportare134. Il che, proprio per i contratti di swap, costituisce l‟argomento di maggior
rilievo sul presupposto che il cliente a cui il contratto è proposto (v. art 1341, 1342 c.c.),
non è in grado di valutare le caratteristiche del suo obbligo, né, più in generale, i
vantaggi e gli svantaggi che da questo possono derivare. Spesso, anzi, proprio per
complessità dei calcoli necessari a questa operazione, si può ritenere non raggiunto
l‟accordo su di un determinato regolamento di interessi.
L‟art. 21 lett. b) pone un obbligo di acquisire dai clienti quelle “informazioni
necessarie” che gli permetteranno di adempiere al meglio la sua funzione e poter offrire
un prodotto (contratto) realmente conforme alle esigenze che questi provvederà a
prospettargli o che l‟istituto di investimento, sulla base della propria esperienza, sarà in
grado di suggerire.
Si tratta, in altri termini, di un vero e proprio dovere di conoscenza che dimostra
come l‟intermediario non si colloca nei confronti del cliente come un qualsiasi
contraente, perchè invece gli è attribuito un obbligo virtuoso specifico di interpretazione
e protezione dell‟altrui condizione ed aspettativa135.
131
Il T.U.F. risulterebbe, quindi, particolarmente attento alla tutela della parte debole del rapporto
contrattuale in quanto mentre nei giudizi è rimessa all‟investitore la prova connessa al pregiudizio
economico ed al rapporto causale con il comportamento assunto dall‟intermediario, a quest‟ultimo
viene rimesso l‟onere di dimostrare una condotta conforme agli standard di diligenza professionale (v.
art. 23, co. 6). Cfr. Trib. Genova, n. 1230 15/3/05 il quale afferma che la negoziazione dei prodotti
finanziari deve avvenire secondo regole di diligenza, correttezza e trasparenza specificate nel T.U.F. e
nel Regolamento di attuazione e che i doveri di informazione richiesti agli intermediari si pongono
come obbligazioni di carattere primario, il cui adempimento deve essere valutato a stregua dell‟art.
1176 c.c. co. 2°, nel quale è indicato il criterio di determinazione della specifica diligenza richiesta
nell‟adempimento da parte di chi svolge attività professionale.
132
In merito al criterio di trasparenza quale obbligo di indicazione completa del contenuto del
contratto e delle modalità di svolgimento del servizio finanziario quale criterio generale che prescinde
dalla conclusione del contratto v. C. RABITTI BEDOGNI, Commento all’art. 21, comma 1º, lett. a) e b),
p.175 ss.; G. ALPA, Commento all’art. 21, in Comm. al Testo Unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, p. 223; M. MIOLA, Commento all’art. 21, in, Comm. testo unico della
finanza, G.F. Campobasso I, p. 167. Per l‟analisi della disciplina della trasparenza dei contratti del
consumatore si rinvia a V. RIZZO, Trasparenza e « contratti del consumatore », ( la novella al codice
civile), Napoli, 1997, passim, che sottolinea la finalizzazione di questa disciplina al corretto
funzionamento del mercato e della concorrenza; v. inoltre M. PENNASILICO, L’interpretazione dei
contratti del consumatore, cit., p. 152 ss., e la bibliografia ivi ulteriormente indicata.
133
Sul punto A. DI MAJO, La correttezza nell’attività di intermediazione mobiliare, in Banca, borsa e
tit. cred., 1993, p. 300 ss.
134
Trib. Firenze, 19 aprile 2005, in Corr. Giur., 2005, p. 1272 ss.
135
In questo senso cfr. Trib. Bologna, 18.12.2006, n. 2820, in www.ilcaso.it, per il quale “se, da un
lato, è vero che, rispetto al contratto di gestione titoli, quello di trasmissione e ricezione di ordini
conferisce all'investitore ordinante una maggiore autonomia negoziale, dall'altro, è parimenti vero che,
45
Nella disciplina pre-Mifid l‟art. 28 reg. Consob n. 11522/98, attualmente
applicato ai rapporti iniziati prima del 24 ottobre 2007 (la data di entrata in vigore del
nuovo reg. intermediari), distingue questi obblighi “passivi” in quelli che riguardano “la
esperienza in materia di investimenti, la situazione finanziaria, gli obiettivi di
investimento e la richiesta di propensione al rischio136”. In primo luogo l‟apprezzamento
della “esperienza in materia di investimenti” svolge la funzione di permettere
all‟intermediario di tarare le informazioni per renderle meglio comprensibili e valutare se
il cliente è in grado di comprendere le opportunità ed i rischi che un‟operazione
complessa può comportare.
Le informazioni riguardanti la “situazione finanziaria”, invece, servono a
misurare l‟incidenza che una determinata iniziativa finanziaria può esercitare sul
patrimonio dell‟investitore ed a valutarne l‟utilità in rapporto alle circostanze del caso.
Ad esempio, in una situazione imprenditoriale precaria è sconsigliabile proporre una
speculazione che possa in ultimo compromettere definitivamente le possibilità di
recupero del cliente. Anche in questo caso la cautela che deve contraddistinguere
l‟azione dell‟istituto di investimento costringe a perseguire pedissequamente l‟interesse
dell‟investitore.
In ultimo con l‟informazione sulla “propensione al rischio” e sugli “obiettivi di
investimento”, che costituiscono le due ultime previsioni dell‟art. 28 cit., il cliente deve
spiegare le proprie intenzioni e quindi se desidera effettuare un investimento
speculativo, o, diversamente, se intende perseguire fini di copertura. Deve in pratica
spiegare qual è l‟interesse che vuole immettere nel contratto e che rileverà nel disciplina
del rapporto tra le parti.
Oltre a sentire il cliente l‟intermediario è tenuto per l‟art. 26 reg. Consob comma
1 lett. e), ad acquisire “una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei
prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti,
adeguata al tipo di prestazione da fornire”. Questo dovere di diligenza qualificata ex art.
1176 c.c. co. 2 (per cui la responsabilità del debitore dovrà verificarsi in rapporto a
canoni di capacità professionale e rispetto ad una specifica prestazione), tuttavia, lungi
dall‟essere considerato irrilevante nell‟offerta di contratti di swap, proprio in
quest‟ambito, paradossalmente, svolge la sua più utile funzione. Infatti, per quanto può
sembrare inverosimile il fatto che il soggetto che propone un vincolo ad un determinato
anche in quest'ultimo caso, in forza dei doveri di correttezza e trasparenza, nonché di informazione, in
senso attivo e passivo, imposti dalla speciale legislazione in materia, l'intermediario finanziario non è
relegato al ruolo di mero esecutore materiale o nudus minister, dovendo esso, comunque, tenere una
condotta ispirata a principi di diligenza e prudenza, nonché finalizzata alla protezione del cliente, in
special modo quando, come nel caso di specie, quest'ultimo non sia un investitore abituale e sia
addirittura alla sua prima esperienza nel ramo specifico”. Per F. ANNUNZIATA, Regole di
comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, “viene, così,
gradualmente ad affermarsi un principio che completa e modifica il tradizionale principio di neutralità
e che si concretizza nell‟istituzionalizzazione di pregnanti obblighi di collaborazione
dell‟intermediario, e la cui massima espressione è rappresentata dalla suitability rule”.
In argomento anche F. PICHLER, Profili teorici e di regolamentazione dei sistemi finanziari, Milano,
2005, p. 63, che rileva “la posizione privilegiata” dell‟intermediario, “sia nell‟accesso sia nel controllo
delle informazioni, in ragione, soprattutto della sua specializzazione e della tecnologia più efficiente”.
Sul ruolo giocato dall‟intermediario e sul rapporto di fiducia con l‟investitore. V. F. SARTORI, o.c.,
cap. II e III.
136
L‟individuazione di specifici obblighi, però, non esclude che l‟intermediario per diligenza e
correttezza non possa o non debba avvalersi anche di altre informazioni di cui sia in possesso, se
queste risultino necessarie all‟adempimento della sua funzione. La questione è affrontata in particolare
dalla comunicazione Consob DI/30396, in nota 28, cui si rimanda.
46
regolamento di interessi, di questo abbia una conoscenza approfondita ed una certa
maneggevolezza, se non altro perché egli stesso ne subirà gli effetti, nella pratica si
assiste non solo e non tanto alla stipulazione di contratti non conformi alle esigenze del
cliente (ma magari conformi a quelle dell‟intermediario), ma anche (e non di rado) di
accordi svantaggiosi, se non pregiudizievoli, per il proponente. Il che dipende proprio
dalla complessità intrinseca di certi derivati e dalla difficoltà degli operatori delle banche
a comprenderne le dinamiche economiche. Si tratta, tuttavia, di contratti dalla vita breve,
perché solitamente sostituiti prontamente con altri ritenuti più convenienti. In ogni caso,
al di là di questi spiacevoli equivoci, quest‟obbligo acquisitivo trova la sua principale
giustificazione proprio sulla valutazione legislativa di assicurare al soggetto debole del
mercato di utilizzare prodotti conformi alle velleità che questi manifesta ed alle necessità
specifiche che intende soddisfare, di modo che se un imprenditore che ha ricevuto un
finanziamento si decide ad utilizzare un IRS per gestire il rischio di innalzamento dei
tassi, non potrà essergli applicato per errore uno swap meramente speculativo.
Gli obblighi informativi “attivi”, individuati invece dalla lett. b) seconda parte
dell‟art. 21 TUF, ai sensi del quale “i soggetti abilitati devono operare … in modo che i
clienti siano sempre adeguatamente informati”, rappresentano solo l‟ultima fase del
procedimento più complesso di acquisizione e di elaborazione di dati predisposto dal
legislatore affinché gli investitori siano “sempre” provvisti di tutte le informazioni “utili”
ad operare scientemente sul mercato.137
Nella previgente disciplina (reg. Consob 11522/98) quest‟obbligo generale si
articolava in doveri informativi distinti, caratterizzati in particolare dalla diversa
collocazione temporale cui erano soggetti. Alcuni dovuti prima dell‟inizio della
prestazione dei servizi di investimento e dunque prima della stipulazione dello swap.
Altri invece (quelli che prevedevano l‟esecuzione del rapporto) sono dovuti quindi
successivamente alla conclusione del contratto.
Per quanto riguarda in primo luogo l‟intermediario a rilasciare “informazioni
adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del
servizio”.
Ne discende, quindi, che per quanto riguarda i contratti di swap l‟intermediario
per svolgere compiutamente la sua funzione, è tenuto ad una duplice incombenza. Da
un lato deve fornire una serie di informazioni relative alle caratteristiche dei prodotti
(contratti) ed alle conseguenze economiche positive o negative che da queste possono
derivare, in ordine in particolare ai regimi di rischio cui il contraente si sottopone,
dall‟altro deve attenersi a rigorosi canoni di adeguatezza e perciò è costretto a
“costruire” un‟informazione in grado di adattarsi alle peculiarità della controparte
contrattuale (in pratica: comprensibile), pur dovendo rimanere questa completa e
corretta (ossia comprensiva)138.
137
L‟utilità dell‟informazione, piuttosto che l‟adeguatezza, è messa in risalto dall‟art. 11, § 1, V
trattino dir. 22/93 che obbliga l‟intermediario a “trasmettere adeguatamente le informazioni utili
nell'ambito dei negoziati con i suoi clienti”. Per quanto qui l‟adeguatezza sia ancorata alla diligenza
della trasmissione, non si esclude che un‟informazione utile sia anche adeguata, perché in effetti solo
un‟informazione adeguata può dimostrarsi utile all‟investitore .
138
Il concetto di adeguatezza implica il rapporto di un termine ad un altro che si esprime nella
sequenza “adeguato a…”. Nello specifico è l‟informazione che deve essere adeguata alla peculiarità di
ciascun investitore affinché possa “effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”,
come è spiegato dal prosieguo stesso della norma. Di conseguenza l‟informazione se per un verso
dovrà essere comprensibile, in relazione all‟esperienza ed alla condizione del destinatario, non potrà
prescindere dal rapporto con l‟oggetto cui riferisce e pertanto dovrà essere corretta, trasparente e
comprensiva, in grado quindi di coglierne tutti gli aspetti: in altri termini realmente informativa. In
47
Nella prospettiva della consapevolezza contrattuale la giurisprudenza ha voluto
scorgere anche un principio di effettività dell‟informazione per cui ha inteso gli obblighi
informativi concretamente adempiuti solo nel momento in cui l‟investitore avesse
pienamente compreso le caratteristiche dell‟operazione, spiegando dunque che
“l‟intermediario o il promotore dovessero accertare che il cliente avesse compreso le
caratteristiche essenziali dell‟operazione proposta, non solo con riguardo ai relativi costi
e rischi patrimoniali ma anche con riferimento alla sua adeguatezza”139. Non si può
escludere, peraltro, che il giudice possa verificare ex post il recepimento reale
dell‟informazione, in particolare quando l‟operatore finanziario abbia posto in essere una
condotta opportunistica e lesiva dell‟interesse del cliente140.
L‟intermediario inoltre è tenuto a verificare l‟adeguatezza dell‟operazione in
programma in relazione alla condizione personale e finanziaria del cliente (c.d. suitability
doctrine) e ad informarlo successivamente dell‟esito di questa valutazione (l‟eventuale
inadeguatezza) e delle conseguenze che un risultato negativo potrà avere sul suo
patrimonio”141.
In pratica, in subjecta materia, l‟adeguatezza va ad innescare un giudizio di
opportunità economica tra le caratteristiche degli strumenti oggetto della valutazione e
l‟esperienza specifica, la situazione finanziaria, la propensione al rischio ed agli obiettivi
particolari che da una data operazione il cliente intende perseguire. Se ne ricava, quindi,
che senza l‟adempimento degli obblighi informativi “passivi” non potrebbe essere
accertata in concreto la convenienza, la conformità alle intenzioni e l‟incidenza
patrimoniale di possibili pregiudizi che un‟operazione può comportare. L‟interesse
sotteso a questi procedimenti formali è quello di incrementare il livello minimo di tutela
in proporzione alla pericolosità di determinati strumenti finanziari. In sostanza, di fronte
questo senso per il Trib. Cagliari, sentenza del 2006 n. 43, in www.ilcaso.it, le informazioni devono
essere “prima di tutto complete, essendo evidente che una conoscenza soltanto parziale degli elementi
di valutazione non consente la formulazione di un giudizio ponderato sulla natura dell‟investimento e
sui rischi che esso presenta”.
139
V. Trib. Milano, sentenza del 20 marzo 2006 in www.ilcaso.it; conformi Trib. Catania del 5
maggio 2006, consultabile nel medesimo sito, e Trib. Venezia del 29 settembre 2005, Trib. Monza del
16 dicembre 2004 e Trib. Mantova del I° dicembre 2004, reperibili, invece, all‟indirizzo:
www.altalex.it.
140
F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, cit., p. 200, ha rilevato che “in
considerazione della flessibilità della clausola della buona fede e del criterio dell‟adeguatezza
dovrebbe essere consentito alle corti e all‟Autorità di Vigilanza di intervenire ex post per sanzionare
l‟intermediario che, a prescindere dal rispetto delle articolate obbligazioni informative previste a
livello regolamentare, abbia posto in essere una condotta opportunistica non in linea con gli interessi
del cliente”. Illuminante è l‟esperienza statunitense dove le corti e la SEC hanno attribuito al generico
fiduciary duty of disclosure di tutti i fatti rilevanti che possono influenzare le scelte di investimento, il
potere di reagire all‟eccessivo formalismo della legislazione statale e federale. In particolare queste
hanno ritenuto che la flessibilità dei doveri fiduciari legittimasse, quindi, ad intervenire per sanzionare
l‟intermediario che si fosse comportato negligentemente o opportunisticamente per arrecare a sé o a
terzi un beneficio a discapito dell‟interesse dell‟investitore ed a prescindere dal rispetto formale degli
obblighi informativi. Al riguardo ancora F. SARTORI, o.c., passim, p. 196 ss.
141
“In altri termini l‟intermediario finanziario che, ai sensi dell‟art. 23 del TUF, deve sempre
dimostrare di avere diligentemente adempiuto il contratto, nel caso di operazione giudicata non
adeguata ha obblighi di diligenza ulteriori, cioè quelli: di avvisare il risparmiatore della natura non
adeguata dell‟operazione, di informarlo pienamente sulle possibili conseguenze dell‟operazione sul
suo patrimonio e di documentare, nella forma prescritta dal Regolamento, il consenso dato dal cliente
nonostante l‟avviso e l‟informazione”: così, Trib. Rovereto del 18.01.2006 n. 31/06, in www.ilcaso.it.
Analoga la ratio del Trib. di Bologna, del 18 dicembre 2006, n. 2820 che ha giudicato “del tutto
inadempiente la convenuta rispetto all'ulteriore dovere di astenersi dal compiere investimenti non
adeguati al profilo dell'investitore ed alla sua propensione al rischio”.
48
ad un investimento potenzialmente pregiudizievole, è opportuno che l‟investitore
disponga di un ulteriore strumento di comprensione e di verifica dell‟offerta contrattuale
dell‟istituto, in modo da poter comunicare una volontà effettiva e consapevole, in ordine
ad operazioni che in ogni caso presentano dei rischi elevati142. Circostanza questa che
purtroppo non trova quasi mai riscontro nella prassi, in quanto, da un lato, il cliente
spesso è convinto di concludere contratti sicuri, analoghi a quelli assicurativi, ma che gli
potrebbero procurare non solo un indennizzo da un eventuale pregiudizio ma anche un
probabile profitto, dall‟altro perché i contratti o consistono in formulari di numerose
pagine ed estremamente complicati a cui il contraente non può che prestare
un‟approvazione formale, oppure riducono a moduli analoghi ai normali ordini di
acquisto di valori mobiliari che contengono semplicemente i valori nozionali di
riferimento dello swap ed alcune variabili su cui i calcoli verranno effettuati.
Nel caso di inadeguatezza dell‟operazione l‟art. 29 reg. Consob, impone agli
intermediari di astenersi dall'effettuarla, salvo che l‟investitore, non la autorizzi e questa
non risulti “dall‟ordine impartito per iscritto”. Trasportato nell‟ambito dei contratti di
swap quest‟obbligo, non sussistendo nella fattispecie un rapporto autorizzazione –
ordine, si ritiene si debba tradurre nel consenso scritto che il cliente presta alla
determinata operazione finanziaria, già richiesto a pena di nullità dagli artt. 23 TUF e
117 TUB. Lo stesso deve presumersi nell‟ipotesi di contratto quadro di swap completato
dal successivo patto accessorio contenete i valori di riferimento necessari, in quanto qui
l‟autorizzazione sta nel consenso scritto ad un determinato regolamento di interessi.
Chiaramente l‟obbligo della forma scritta investirà entrambi i contratti in quanto
esecutivi di una medesima attività finanziaria.
Per quanto riguarda, invece, le informazioni da rendere dopo la conclusione del
contratto, durante, quindi, l‟esecuzione dei pagamenti periodici che questo dispone, l‟art.
28 co. 3 stabilisce che gli intermediari “devono informare prontamente e per iscritto
l'investitore appena le operazioni in strumenti derivati da lui disposte per finalità diverse
da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, pari o
superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per
l'esecuzione delle operazioni”. La norma costituisce un‟applicazione del dovere generale
dell‟intermediario previsto dall‟art. 21 TUF di informare costantemente il cliente di tutte
le vicende rilevanti che interessano il proprio investimento, in particolare quando un
trend negativo è in grado di compromettere il proprio patrimonio, intaccando in primo
luogo i margini e le garanzie prestate per garantire la solvibilità. La norma, tuttavia, in
quanto espressione di un principio generale, si può ritenere estensibile anche a fenomeni
diversi da quelli della mera speculazione, vale a dire in tutti i casi in cui un pregiudizio
possa ripercuotesi sui contraenti143.
142
Sul punto, più diffusamente L. DI NELLA, Mercato ed autonomia contrattuale nell’ordinamento
comunitario, in particolare p. 346 ss.
143
Comunicazione Consob n. DI/98088209: “ modalità di applicazione dell'art. 28, comma 3, del reg.
Consob n. 11522/98, già art. 5, comma 3, del reg. Consob n. 10943/97”
49
X. La disciplina degli obblighi informativi alla luce della
direttiva MIFID.
Con la dir. 39/04 c.d. Mifid (Markets in Financial Instruments Directive) e la dir.
attuativa 73/06 (dir. II), la disciplina compresa nel d.lgs 58/98 e nel regolamento
attuativo Consob 11522/98 concernente gli obblighi informativi “passivi” ed “attivi” è
stata completamente riformata, anzi reimpostata su criteri volti alla
“responsabilizzazione” del cliente cui sono corrisposte per gli intermediari aree di
esonero notevoli.
Se tuttavia la let. a) dell‟art. 21 del TUF non ha risentito della rivoluzione
copernicana del legislatore comunitario, il nuovo regolamento Consob 16190/07 ha
introdotto una serie di novità, che si sono riversate inevitabilmente proprio su quei
rapporti finanziari che hanno ad oggetto strumenti rischiosi come gli swap, appunto.
Peraltro è facile riscontrare che per quanto sono state dettagliate minuziosamente le
informazioni da prestare ai clienti, questa meticolosità è solo di maniera perché di fatto
con la Mifid si è operato un restringimento di quelli che erano le tutele di cui un
investitore si poteva avvantaggiare.
In primo luogo l‟art. 27 co. 1 del regolamento 16190/07 (rubricato: “requisiti
generali” delle informazioni), dispone che “tutte le informazioni, comprese le
comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o
potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti”. Il co. 2, invece,
precisa che gli intermediari “forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma
comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente
comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti
finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le
decisioni in materia di investimenti in modo consapevole”. “Tali informazioni”,
prosegue il co. 2, “possono essere fornite in formato standardizzato” e si riferiscono in
particolare “agli strumenti finanziari e alle strategie di investimento proposte, inclusi
opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali
strumenti o a determinate strategie di investimento [let. b)] ed ai costi e oneri connessi
[let. d)]” 144.
In sostanza la frammentazione dei criteri che l‟informazione deve rispettare
(correttezza, chiarezza, accuratezza, sufficienza, comprensibilità, appropriatezza ecc.),
corrisponde ai molteplici significati attribuiti in via interpretativa al precedente concetto
di “informazione adeguata”, che per la sua ambivalenza e flessibilità (per un verso intesa
144
Cfr. art. 19 § 3 MiFid: “ai clienti o potenziali clienti vengono fornite in una forma comprensibile
informazioni appropriate: - sull‟impresa di investimento e i relativi servizi, - sugli strumenti finanziari
e sulle strategie di investimento proposte; ciò dovrebbe comprendere opportuni orientamenti e
avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di
investimento, - sulle sedi di esecuzione, – sui costi e gli oneri connessi, cosicché essi possano
ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti
finanziari che vengono loro proposti nonché i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possono
prendere le decisioni in materia di investimenti con cognizione di causa”.
50
come adeguatezza all‟oggetto di conoscenza e quindi corretta, completa, appropriata
ecc., per l‟altro come adeguamento al destinatario dell‟informazione e pertanto
sufficiente, chiara, comprensibile) riusciva a cogliere nella loro interezza. Peraltro anche
la definizione di contenuti più precisi dell‟informazione (relativi agli strumenti, strategie,
rischi, costi ecc. ed a tutti gli altri inclusi negli artt. 31 ss. del reg. Consob), con buona
approssimazione, può essere ricondotta alla previsione più generica dell‟art. 28 co. 2 cit.
(che si limitava ad individuarli nella natura, rischi ed implicazioni dell‟operazione).
Dovrebbero essere garantite, in sostanza, quelle informazioni che consentono al
cliente di valutare l‟opportunità di concludere un contratto di swap ed i pregiudizi che da
questo possono provenire anche se fosse utilizzato per finalità di copertura. L‟obiettivo
è una consapevolezza che, però, il cliente dovrebbe essere in grado di raggiungere da sé.
L‟informazione relativa ai costi, compresi quelli impliciti del contratto, consente di
valutare la convenienza dell‟operazione ed il netto degli eventuali rendimenti, ma ad oggi
è rimasta inattuata, profilandosi perciò ipotesi di responsabilità degli intermediari
suppletive a quelle ordinariamente praticate.
Quel che rileva, ed è qui il nocciolo del problema, è che con la Mifid
l‟intermediario è tenuto a verificare l‟adeguatezza, che con la previgente disciplina era
considerata il principio fondamentale di protezione dell‟interesse dell‟investitore e quasi
il fulcro di ogni imputazione di responsabilità dell‟intermediario, solo quando fornisce il
servizio di consulenza o di gestione di portafoglio145.
Pertanto l‟adeguatezza rimane un giudizio sul rapporto tra la natura
dell‟operazione e le peculiarità di un cliente, per cui il consulente, sulla base della propria
competenza professionale, da un lato valuterà la corrispondenza del contratto agli
obiettivi di investimento e la “sopportazione” in relazione ad una data situazione
finanziaria, tenendo conto della sopravvenienza di qualsiasi rischio connesso che possa
generarsi146, dall‟altro verificherà che l‟investitore sia in grado, in base alla propria
esperienza e conoscenza, di comprendere tutte le implicazioni che da una operazione
finanziaria particolarmente rischiosa possono derivare. In funzione di questi percorsi
devono essere assunte quelle “informazioni necessarie in merito alle conoscenze ed
145
Cfr. il considerando 58 dir. 2006/73 ed art. 19, § 4, Mifid, per il quale “quando effettua consulenza
in materia di investimenti o gestione di portafoglio, l‟impresa di investimento ottiene le informazioni
necessarie in merito alle conoscenze e esperienze del cliente o potenziale cliente in materia di
investimenti riguardo al tipo specifico del prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli
obiettivi di investimento per essere in grado di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti
finanziari adatti al cliente o potenziale cliente”. Si osservi inoltre l‟art. 35 dir. II rubricato che fornisce
i criteri di “valutazione dell‟adeguatezza” in relazione alla “specifica operazione raccomandata o
realizzata nel quadro edlla prestazione del servizio di gestione del portafoglio”.
146
Cfr. art. 40 reg. Consob 16190/07, rubricato “valutazione dell‟adeguatezza” ai sensi del quale 1.
Sulla base delle informazioni ricevute dal cliente, e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del
servizio fornito, gli intermediari valutano che la specifica operazione consigliata o realizzata nel
quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda
agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in
grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all‟investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di
investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per
comprendere i rischi inerenti all‟operazione o alla gestione del suo portafoglio. Una serie di
operazioni, ciascuna delle quali è adeguata se considerata isolatamente, può non essere adeguata se
avvenga con una frequenza che non è nel migliore interesse del cliente. Correttamente per
L.FRUMENTO, La valutazione di adeguatezza e di appropriatezza delle operazioni di investimento
nella Direttiva Mifid, in I Contratti, Milano, 2007 n. 6, pag. 586, “tale valutazione non può essere
intesa avuto riguardo alla media dei casi, a quello che normalmente accade etc., ma essa – ben più
prudenzialmente ha riguardo a qualsiasi rischio (in ipotesi anche a quello non consueto ed improbabile
che possa sorgere dall‟effettuazione dell‟investimento”.
51
esperienze del cliente o potenziale cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo
specifico di prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di
investimento”147. Il risultato però non si traduce in una semplice informazione, ma
piuttosto in una raccomandazione148, in un suggerimento in pratica, in un consiglio a
stipulare un contratto (lo swap), che comporta un maggior coinvolgimento di una seppur
partigiana prospettazione di vantaggi e svantaggi di uno strumento, e dunque implica
una responsabilità più marcata del proponente, ma che tuttavia è limitata all‟esercizio di
un servizio in particolare (la consulenza) che non deve essere neppure convenuto per
iscritto (l‟unico)149.
Diverso dal giudizio di adeguatezza è quello di appropriatezza, dovuto per
servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione di portafoglio, e limitato alla “verifica del
livello di esperienze e conoscenze necessarie (al cliente) per comprendere i rischi che il
prodotto o servizio di investimento offerto o richiesto comporta150”. In questo caso
quindi l‟intermediario non sarà tenuto ad accertarsi della sostenibilità economica
dell‟operazione e della conformità alle intenzioni dell‟investitore e di conseguenza
lascerà la responsabilità di questa considerazione al cliente stesso. In altre parole si deve
“limitare” a “capire” se il cliente è in grado di “capire” le caratteristiche del strumento
finanziario, seppur sommariamente il contenuto della prestazioni che deve ricevere e
che deve effettuare ed il nocumento che a seguito di una variazione imprevista potrebbe
capitagli. In sostanza una pratica volutamente piratesca, perché vorrebbe esonerare
l‟intermediario da ogni valutazione, tuttavia (nolente) non priva di conseguenze
giuridiche per contratti (gli swap appunto), dove la complessità del contratto e del rigore
della prestazione non consentono, normalmente, un‟agevole comprensione.
Ai fini della valutazione della appropriatezza l‟intermediario deve assumere
informazioni “in merito alle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti
riguardo al tipico specifico di prodotto o servizio proposto o chiesto” 151. Ulteriori
dettagli sono presi in considerazione dall‟art. 42 reg. Consob 16190/07, rubricato
“valutazione dell‟appropriatezza”, in virtù della parziale sovrapposizione dei contenuti
dei due giudizi, per cui, in particolare, devono essere acquisite informazioni relative ai
tipi di servizi, alle operazioni e strumenti finanziari con i quali il cliente ha
dimestichezza, alla natura, al volume e alla frequenza delle operazioni rilevati in un certo
147
V. Art. 39 reg. Consob 16190/07 rubricato “informazioni dai clienti nei servizi di consulenza in
materia di investimenti e di gestione di portafogli” ai sensi del quale: “1. Al fine di raccomandare i
servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione
dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio, gli intermediari
ottengono dal cliente o potenziale cliente le informazioni necessarie in merito: a) alla conoscenza ed
esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio; b) alla situazione
finanziaria; c) agli obiettivi di investimento”. Cfr. anche art. 19 §. 4 Mifid; per l‟ulteriore dettaglio
delle informazioni da acquisire v. art. 35 e 37 dir. II, con riferimento nota. 49.
148
Così art. 35 §. 1 dir. II.
149
Cfr. art. 23 d.lgs n. 58/98 (TUF).
150
V. art. 36 dir. II.
151
v. art. 41 rubricato “Informazioni dai clienti nei servizi diversi da quelli di consulenza in materia di
investimenti e di gestione di portafogli” ai sensi del quale: “1. Gli intermediari, quando prestano
servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di
portafogli, richiedono al cliente o potenziale cliente di fornire informazioni in merito alla sua
conoscenza e esperienza nel settore d‟investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio
proposto o chiesto. Si applica l‟articolo 39, commi 2, 5 e 7”. Cfr. anche19 par. 5 Mifid.
52
arco di tempo, al livello di istruzione e alla professione, nella misura in cui siano
appropriati ed immediatamente necessari all‟esercizio della sua specifica funzione152.
In ultimo la riforma Mifid ha previsto per l‟investitore la possibilità di effettuare
operazioni senza l‟assistenza dell‟intermediario (il c.d. servizio execution only) che si libera,
così, dall‟obbligo non solo di acquisire le informazioni, ma anche di procedere al
controllo di appropriatezza. Si precisa, però, che la semplificazione delle procedure
comunque non esime dal rispetto degli obblighi informativi di cui all‟art. 19, comma 3
dir. I e dall‟offrire una panoramica circa le caratteristiche dei prodotti e le susseguenti
implicazioni, affinché il cliente possa effettuare decisioni con cognizione di causa.
Si tratta di un servizio che deve essere prestato esclusivamente ad iniziativa del
cliente e relativamente all‟esecuzione, ricezione, trasmissione di ordini relativi a
strumenti finanziari non complessi153. Non si trova nel TUF né nel reg. Consob la
definizione di strumento non complesso. Il dubbio tuttavia che uno swap possa essere
ritenuto, magari in una forma elementare come un plain vanilla, uno strumento non
complesso è fugata non solo dall‟inciso dell‟art. 43 lett. c) reg. 16190/07, che esclude la
possibilità di avvalersi di questo servizio per strumenti che non incorporano uno
strumento derivato, ma anche e soprattutto dall‟art. 44 reg. Consob 16190/07154, il quale
precisa che uno strumento deve essere considerato “non complesso” quando non possa
essere ricondotto alla nozione di derivato, si tratti di uno strumento di pronta liquidità,
non esponga il cliente a rischi economici che vadano oltre il costo dello strumento
acquisito e sulle cui caratteristiche sono pubblicamente disponibili informazioni
sufficientemente complete e di agevole comprensione155.
152
v. art. 42 rubricato “valutazione dell‟appropriatezza” ai sensi del quale “1. Nella prestazione dei
servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti e dalla gestione di
portafogli, e sulla base delle informazioni di cui all‟articolo 41, gli intermediari verificano che il
cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento
o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta. 2. Gli intermediari possono presumere che
un cliente professionale abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi
connessi ai servizi di investimento o alle operazioni o ai tipi di operazioni o strumenti per i quali il
cliente è classificato come professionale. 3. Qualora gli intermediari ritengano, ai sensi del comma 1,
che lo strumento o il servizio non sia appropriato per il cliente o potenziale cliente, lo avvertono di
tale situazione. L‟avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato”. Cfr. anche art.
37 dir II.
153
La disciplina del servizio execution only è contenuta negli artt. 19 §4 Mifid e 38 dir. II.
154
Cfr. art. 38 della dir. II.
155
Cfr. art. 44 reg. Consob 16190/07 rubricato “strumenti finanziari non complessi” ai sensi del quale
1. Uno strumento finanziario che non sia menzionato all‟articolo 43, comma 1, lettera a), è
considerato non complesso se soddisfa i seguenti criteri: a) non rientra nelle definizioni di cui
all‟articolo 1, comma 1-bis), lettere c) e d), del Testo Unico, nonché nelle definizioni di cui
all‟articolo 1, comma 2, lettere d), e), f), g) h), i) e j) del Testo Unico; b) esistono frequenti
opportunità di cedere, riscattare od ottenere altrimenti il corrispettivo di tale strumento a prezzi che
siano pubblicamente disponibili per i partecipanti al mercato. Tali prezzi devono essere quelli di
mercato o quelli messi a disposizione, ovvero convalidati, da sistemi di valutazione indipendenti
dall‟emittente; c) non implica alcuna passività effettiva o potenziale per il cliente che vada oltre il
costo di acquisizione dello strumento; d) sono pubblicamente disponibili informazioni
sufficientemente complete e di agevole comprensione sulle sue caratteristiche in modo tale che il
cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito alla realizzazione o meno
di un‟operazione su tale strumento”.
53
XI. L’operatore “qualificato”. Novità introdotte dalla Mifid.
Dall‟analisi della disciplina legislativa complessiva dei mercati finanziari
appare evidente la particolare attenzione che il legislatore ha rivolto al momento
della formazione del vincolo contrattuale tra intermediario e cliente, proprio a
causa della condizione di squilibrio da cui da cui si ritiene caratterizzato ab inizio
questo rapporto, nello specifico per quanto riguarda quel fenomeno descritto
dalla dottrina come “asimmetria informativa” 156, vale a dire quella situazione
dove una parte dispone di un numero maggiore di informazioni (l‟intermediario)
rispetto all‟altra parte che dispone di un numero di informazioni di gran lunga
inferiore (il cliente).
Anche per tali ragioni è sorta la necessità di individuare quei mezzi idonei a
consentire una tutela “rafforzata” per il soggetto parte debole del rapporto157. In
particolare il legislatore ha disposto l‟adempimento di obblighi informativi stringenti,
prevedendo possibili esoneri dell‟intermediario solo qualora tali incombenze risultassero
156
Per tutti v. S. GRUNDMANN, L’autonomia privata nel mercato interno, in Europa e dir. privato,
2001, p. 277
157
Relativamente a tale posizione contrattuale si discorre, altresí, di asimmetria di potere contrattuale
(V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di
potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 788) ad
avviso del quale è possibile riscontrare questa asimmetria anche in rapporti che non coinvolgono un
consumatore, quali quelli tra un subfornitore ed un committente, tra gli istituti di credito ed i clienti,
tra intermediari finanziari ed investitori, tra conduttori e locatori. Relativamente ai contratti dei
consumatori si ritiene ad esempio che attraverso il ricorso all‟interpretazione analogica o estensiva la
novella al codice civile potrebbe essere applicata anche a soggetti in senso stretto non consumatori,
ma pur sempre parti deboli del rapporto (E. CAPOBIANCO, La nuova disciplina delle clausole
vessatorie nei contratti con i consumatori (artt. 1469 bis-1469 sexies), in Vita not., 1996, p. 1147. Per
un approfondito esame del problema v. F. PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza
economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir.
civ., 1999, p. 639 ss.) Sulla possibile estensione in giurisprudenza: Giudice di Pace de l‟Aquila , 3
novembre 1997, secondo il quale “non è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell‟art. 1469, bis, cod. civ. in riferimento agli articoli 3, 35 e 41 della Costituzione,
nella parte in cui definisce consumatore solo la persona fisica che agisce per scopi estranei all‟attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta e non anche la persona fisica che agisce per
scopi imprenditoriali o professionali e la persona giuridica”. V. Tribunale di Roma 20 ottobre 1999, in
Foro it., 2000, I, c. 645 che (nel noto caso del contratto di trasporto stipulato da uno scultore per il
trasferimento di un‟opera ad un concorso) riconosce un consumatore anche nel «professionista o
imprenditore per il quale la conclusione del contratto non sia atto della professione come lo è per la
sua controparte»; Giud. pace Sanremo, ord. 5 luglio 1999, riportata con data 5 luglio 2001, in Giur.
merito, 2002, p. 649, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell‟art. 1469 bis, 2°
comma, cod. civ., nella parte in cui non equipara al «consumatore» le piccole imprese e quelle
artigiane, in relazione agli art. 3, 25 e 41 Cost. (la questione è stata dibattuta dalla Consulta nella
camera di consiglio del 19 giugno 2002). Tra gli orientamenti più rigorosi: Cass. 14 aprile 2000, n.
4843, in Corr. Giur., 2001, p. 524 che afferma che la qualifica di consumatore andrebbe negata
persino in capo alla persona «che, in vista di intraprendere un‟attività imprenditoriale, cioè per uno
scopo professionale, acquista gli strumenti indispensabili per l‟esercizio di tale attività».
54
palesemente inutili, se non dannose, in quanto colpevoli di rallentare una dinamica
economica rivolta piuttosto all‟efficienza ed alla tempestività degli scambi.
In questo senso l‟art. 31 reg. Consob cit. disponeva alcune significative dispense
da questi obblighi informativi solo con riguardo al rapporto tra intermediario ed
“operatore qualificato”. Infatti l‟art. 31 co. 2 reg. Consob distingueva tra operatori non
qualificati (in prevalenza, le famiglie, la c.d. clientela retail) e operatori qualificati,
nell'ambito dei quali un particolare ruolo rivestono gli operatori c.d. istituzionali
(banche, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, ecc.) e
tutti quei soggetti che, a vario titolo, operano nel settore finanziario e che, quindi,
tipicamente possiedono “elevati requisiti di esperienza e professionalità”158. Solo in
relazione agli operatori qualificati il co. 1 dell‟art. 31 cit. prevedeva l‟esenzione dal
rispetto degli obblighi di “acquisizione” e “rilascio” di informazioni adeguate,
valutazione dell‟adeguatezza dell‟operazione ecc.159
Questi buoni propositi, tuttavia, venivano messi in discussione da una
precisazione contenuta nel co. 2 del medesimo art. 31 che recuperava nella nozione di
operatore qualificato anche “ogni società o persona giuridica” che diversamente non
sarebbe rientrata in questa categoria, purché il “rappresentate avesse dichiarato
espressamente per iscritto” una specifica “competenza ed esperienza in materia di
operazioni in strumenti finanziari”160.
Infatti questa “ipotesi residuale” si dimostrava contraria allo spirito della
disciplina generale del mercato ed in particolare allo spirito che caratterizzava l‟obbligo
per gli intermediari di “informare sempre ed adeguatamente gli investitori” (v. art. 21
TUF), il cui fine dichiarato era proprio quello di consentire “scelte consapevoli” in
158
Così, semplificando A. Rosati, Funzionario Generale Consob, audizione alla VI Commissione
Finanze della Camera dei Deputati, del 12 gennaio 2005.
159
Cfr. art. 31 reg. Consob 11522/98, rubricato“Rapporti tra intermediari e speciali categorie di
investitori”, ai sensi dl quale”1. A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e
salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di
gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettere e ), 38, 39, 40,
41, 42, 43, comma 5, lettera b ), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b ) e c ), 44, 45, 47,
comma 1, 60, 61 e 62. 2. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di
gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che
svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di
cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le
società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre
1993, n. 385, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal
Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso
società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica
in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari
espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
160
Cfr. art. 31 reg. Consob 11522/98 cit. sul punto Sartori, commenta: “da una parte, si individuano,
ex ante e con precisione, determinate categorie di soggetti che si presumono (si tratta di presunzione
juris et de jure) investitori professionali, ergo non bisognosi di protezione. Dall‟altra, per le società o
persone giuridiche che non rientrano nella prima categoria di soggetti, si utilizza un parametro di
riferimento che sposta ex post la valutazione della professionalità. Spetta, infatti, all‟autorità
giudiziaria il compito di selezionare il tipo di need of protection, utilizzando, in particolare, la clausola
della buona fede, ed avendo riguardo agli interessi sottesi alla fattispecie di riferimento. F. SARTORI,
Gli swap, i clienti corporate e la nozione di operatore qualificato, Relazione al Convegno Synergia
Formazione Strumenti finanziari derivati e prodotti strutturati: tecniche negoziali, rischi, tutele e
contenzioso, Milano, 19 – 20 maggio 2005, già in www.dirittobancario.it/.
55
grado di determinare selezioni di “prodotti” e di “produttori”, secondo consolidate
regole concorrenziali. La spiegazione è semplice. Se proprio gli swap sono contratti
stipulati tra istituti di credito “società o persone giuridiche”, nell‟ambito di un rapporto
di fiducia cliente – professionista, regolato in prevalenza con la sottoscrizione “rapida”
di formulari, sarebbe stato sufficiente avvalersi di queste circostanze per ottenere una
dichiarazione ad hoc ed avvantaggiarsi di un esonero illegittimo. Insomma, la possibilità
di liberarsi da vincoli serrati qualora controparti fossero “società o persone giuridiche”
ha prevalso sul buon senso, proprio in quel settore del diritto e dell‟economia che
richiedeva regimi più puntuali di controllo e di tutela.
Il risultato è consistito in imprese gravemente pregiudicate nei loro diritti
patrimoniali e non di rado riconosciute non suscettibili di protezione a causa di quella
dichiarazione di “qualificazione” finanziaria, rilasciata spesso frettolosamente e senza
una reale consapevolezza, a volte, certo, per tracotanza di alcuni responsabili, più spesso
per disattenzione “scusabile”, per la mole delle carte che vengono normalmente
sottoposte in caso di operazioni di questo tipo.
La giurisprudenza, per conto suo, si è dimostrata altalenante. Agli esordi,
favorevole alle ragioni dei clienti e del mercato, ha ritenuto irrilevanti le mere “clausole
di stile” con cui l‟investitore avesse dichiarato (pur non essendolo) di trovarsi in una
condizione di oggettiva preparazione ed esperienza in materia (anche nei casi di una
cattiva informazione dovuta da un comportamento negligente dell‟operatore
finanziario)161, oppure ammettendo che “l‟investitore, in assenza di precisi e concreti
riscontri circa la sua qualifica”, non diviene “un operatore qualificato”, ma piuttosto, in
assenza di prova contraria, “un soggetto inconsapevolmente colpito dall‟imprevedibile
meccanismo di aumento del debito legato a tali strumenti finanziari”162.
Successivamente, in senso contrario, secondo una prospettiva formale, ha ritenuto che
”l‟intermediario dovesse essere sollevato dagli obblighi informativi a suo carico e che
non debba procedere all‟accertamento in concreto di tali requisiti” qualora “la società
161
Così Trib. di Milano, sentenza del 21 febbraio 1995, in Banca, borsa e titoli di credito, Milano,
1996, II, p. 442 secondo la quale “nell‟accertamento dell‟esperienza del proprio cliente, infatti,
l‟intermediario dovrà osservare i criteri generali di buona fede e correttezza, così che “la clausola del
contratto predisposto dall‟intermediario e sottoscritto dal cliente che contenga la dichiarazione di
quest‟ultimo di essere operatore qualificato che si riveli puramente una clausola di stile, in quanto
sottoscritta da un soggetto che non può rientrare nel novero di tale categoria, è priva di efficacia
giuridica”; in termini simili Trib. di Torino, sentenza del 27 gennaio 2000, in Giurisprudenza italiana,
2001, p. 442 ss.
162
In questi termini Trib. di Vicenza, sentenza del 29 gennaio 2009. In senso conforme Trib. Torino,
sentenza del 18 settembre 2007: “Seppur in grado di comprendere il funzionamento di base di uno
strumento finanziario quale l’Interest swap rate, l‟amministratore di una società industriale di piccole
dimensioni non è tenuto ad essere in possesso di nozioni ed esperienza tali da consentire una analisi
critica delle informazioni ricevute, della loro correttezza formale e sostanziale, nonché della
fondatezza su cui le soluzioni suggerite si basano. Né è possibile ritenere che lo stesso possieda
l‟insieme di strumenti e nozioni necessari per valutare, sia al momento della sottoscrizione sia
successivamente, il fair value di prodotti finanziari complessi e dei rischi insiti nella tipologia di
investimenti in questione”. V. anche Trib. Vicenza, sentenza del 12 febbraio 2008: “Può essere
sospesa la provvisoria esecuzione del decreto monitorio ottenuto dalla banca nei confronti dei garanti
per un credito derivante dalla compensazione dei flussi passivi e attivi sorti dalla applicazione di un
contratto swap qualora gli opponenti abbiano chiesto la dichiarazione di nullità e/o di risoluzione
dell‟operazione sullo strumento derivato per essere la dichiarazione prevista dall‟art. 31 del reg.
Consob n. 11522/98 generica e tale da non dimostrare l‟effettivo possesso della specifica conoscenza
ed esperienza richieste dal legale rappresentante del soggetto investitore.
56
contraente si fosse dichiarata operatore qualificato in possesso di specifica competenza
ed esperienza in strumenti finanziari anche derivati”163.
La nuova classificazione della clientela prevista dalla disciplina Mifid prevede la
suddivisione in tre categorie (cliente al dettaglio, cliente professionale e controparti
qualificate), rispetto alle due categorie della disciplina previdente, sul presupposto che
tutti i clienti, siano essi al dettaglio, clienti professionali o controparti qualificate,
necessitano di una tutela che è differente a seconda della categoria di appartenenza164. Il
differente grado di tutela viene realizzato con un‟applicazione totale, parziale o nulla
delle regole di comportamento osservate dagli intermediari nella prestazione di servizi di
investimento.
Per definire i clienti che appartengono alla “clientela professionale”, l‟art. 26,
co1, lett. d) del reg. Consob 16190/07, effettua una distinzione tra “clientela
professionale privata” e “clientela professionale pubblica”. Il regolamento emanato dal
Ministero dell‟economia e delle Finanze ai sensi dell‟art. 6 co. 2 sexies del TUF definisce
la clientela professionale pubblica” quella clientela che “possiede l‟esperienza, le
conoscenze e la competenza necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di
investimenti e valutare correttamente i rischi che assume”.
La “clientela professionale privata” è invece individuata all‟Allegato 3 del reg.
Consob n. 16190 in materia di intermediari, e viene distinta in “clientela professionale di
diritto” (parte I dell‟Allegato) e “clientela professionale su richiesta” (parte II
dell‟allegato).
Per clienti professionali di diritto si intendono i soggetti che sono tenuti ad
essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari, siano essi italiani o
esteri (ad esempio le banche, le imprese di investimento, altri istituti finanziari, le
imprese di grandi dimensioni ecc.).
Rientrano invece tra i “clienti professionali su richiesta” quei clienti che hanno
effettuato con una certa frequenza (con una media di 10 operazioni al trimestre nei
quattro trimestri precedenti) operazioni di dimensioni significative sul mercato in
questione, che hanno un portafoglio di strumenti finanziari di valore superiore a 500.000
euro (inclusi i depositi) e che lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un
anno in una professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi
previsti165.
Sono controparti qualificate, invece, le imprese di investimento, gli enti creditizi,
le imprese di assicurazioni, i fondi ecc, compresi i governi nazionali e i loro
corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati della gestione del debito
pubblico, le banche centrali, le organizzazioni sovranazionali. Nei confronti delle
163
In questi termini Trib. di Forlì, sentenza dell‟11 luglio 2008. In questo senso cfr. anche Trib.
Mantova, sentenza del 09 giugno 2005 secondo il quale “ove il legale rappresentante di una società di
non piccole dimensioni abbia dichiarato che la stessa è in possesso di una specifica competenza ed
esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari ai sensi dell‟art. 31 reg. Consob n. 11522/98,
non trova applicazione il disposto di cui all‟art. 28 del medesimo regolamento”.
164
Il considerando n. 31 della direttiva MiFID stabilisce che uno degli obiettivi della stessa è
«proteggere gli investitori. Le misure destinate a proteggere gli investitori dovrebbero essere adeguate
alle specificità di ciascuna categoria di investitori (clienti retail, professionali e controparti)». Il
considerando n. 5 dir. 2006/73/CE segnala che, «per quanto riguarda la tutela degli investitori ed in
particolare la comunicazione di informazioni agli investitori o la richiesta di informazioni agli
investitori si deve tenere conto della natura del cliente o potenziale cliente, ovvero della sua qualità di
cliente al dettaglio o di cliente professionale».
165
La norma richiede che siano stati soddisfatti almeno due dei tre requisiti richiesti.
57
controparti qualificate le imprese non sono tenute ad osservare nessuno degli obblighi
informativi specificati nel reg. Conbob 16190/07 quando prestano i servizi di
esecuzione di ordini, di negoziazione o di ricezione e trasmissione di ordini o qualsiasi
altro servizio accessorio ad essi connesso166.
I clienti al dettaglio sono i soggetti che non rientrano in alcuna delle categorie
proprie dei clienti professionali. Tale categoria raccoglie dunque tutti coloro che non
sono classificati come controparti qualificate o professionali. I clienti al dettaglio non
rappresentano però un gruppo unitario. In base a quanto sopra visto, la clientela retail
comprende sia coloro che, ai fini della tutela giusconsumeristica, sono qualificati come
professionisti, ossia le persone fisiche o giuridiche che agiscono nell‟esercizio della
propria attività imprenditoriale e professionale, nonché i loro intermediari (art. 3 lett. c,
cod. cons.), sia i consumatori, ossia le persone fisiche che agiscono per scopi estranei
all‟attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta (art. 3 lett. a, cod. cons.).
La conseguenza di questa bipartizione è la parziale diversità della tutela concessa. A tutti
i clienti retail si applica la normativa comunitaria e quella interna di recepimento della
Mifid; ai clienti consumatori si applica invece in piú la disciplina italo comunitaria
giusconsumeristica167.
Manca tuttavia, nell‟attuale disciplina, una disposizione analoga a quella di cui
all‟art. 31 del reg. intermediari previgente. Non è prevista infatti la possibilità per il
cliente al dettaglio di poter dichiarare una qualsivoglia competenza che esoneri
l‟intermediario dall‟adempimento dei propri obblighi.
Non si tratta di un maggior o minor rigore della disciplina, semplicemente di una
scelta legislativa. Infatti ai sensi dell‟art. 35 del reg. 16190/07 gli intermediari possono,
comunque, su loro iniziativa o su richiesta del cliente, trattare, ad esempio, come cliente
professionale o cliente al dettaglio un cliente che potrebbe essere altrimenti classificato
come controparte qualificata o considerare cliente al dettaglio un cliente che è
considerato come cliente professionale di diritto. Non sarebbe consentito però
all‟intermediario di considerare il cliente al dettaglio controparte qualificata o
professionale, né quest‟ultimo potrebbe autonomamente tentare una classificazione
diversa168. Non è prevista dunque la possibilità che il cliente sia privato delle
informazioni cui ha diritto, sebbene questo diritto con la Mifid, come si è detto, si sia di
gran lunga ridimensionato e non è suscettibile di offrire, di per sé, una tutela sufficiente,
in particolare in quelle ipotesi, come può essere la stipula di un contratto di swap, che
166
V. F. Martorano e v. De Luca, Disciplina dei mercati finanziari, Milano, 2008, p. 293 ss.
Cfr. L. DI NELLA, Profili della nuova disciplina dei Mercati finanziari, in La tutela del consumatore
di servizi finanziari, a cura dello stesso autore, Napoli, 2007 p. 245.
168
Sul punto occorre precisare che l‟allegato II, Sez., II, n. 2, dir. 2004/39/CE dispone che i singoli
investitori privati e più in generali tutti gli investitori che non siano classificabili come professionali,
inclusi gli organismi del settore pubblico, qualora ne facciano specifica richiesta all‟impresa di
investimento, possano invece essere considerati clienti “professionali” purché a séguito di una
valutazione della competenza, dell‟esperienza e delle conoscenze dell‟investitore l‟impresa possa
ragionevolmente ritenere che questi sono in grado di adottare proprie decisioni di investimento e di
comprendere i rischi che assume. Per la valutazione della competenza del cliente la direttiva chiede
che siano soddisfatti almeno due dei seguenti criteri: “l‟investitore deve aver effettuato operazioni di
dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni a
trimestre nei quattro trimestri precedenti; il valore del portafoglio di strumenti finanziari
dell‟investitore deve superare 500.000 Euro; l‟investitore lavora o ha lavorato nel settore finanziario
per almeno un anno in una posizione professionale che richieda la conoscenza delle operazioni e dei
servizi previsti”. Questa possibilità, tuttavia, non sembra essere stata presa in considerazione dal
legislatore nostrano.
167
58
richiedono una comprensione responsabile dell‟operazione e spesso scelte decisive per
l‟andamento di una azienda.
XII. Alcune conclusioni.
I contratti di swap sono stati concepiti per risolvere specifiche esigenze delle
banche d‟affari (v. parallel loan) o per gestire i costi del debito delle multinazionali (si
pensi all‟accordo tra IBM e Banca Mondiale). La successiva diffusione tra il pubblico dei
“dettaglianti” è stata dettata da ragioni diverse da quelle della mera tutela di interessi
patrimoniali. La prospettiva di guadagni di facile realizzazione e di imponente
consistenza, la possibilità presentata agli imprenditori di profitti sganciati da pericolose
immobilizzazioni di denaro, senza contare i compensi (per lo meno le commissioni
intese anche come “costi impliciti”) che gli “intermediari” riescono a cogliere da queste
operazioni, spiega l‟imponenza di un fenomeno che è divenuto sociale oltre che
semplicemente economico. Solo, però, con la disgregazione di questa euritmia
finanziaria, per l‟evidenza improvvisa delle storture che questa architettura nascondeva
al suo interno ed a seguito delle segnalazioni a catena di notevoli pregiudizi, delle notizie
di aziende che si ritrovavano improvvisamente sull‟orlo del fallimento e di enti pubblici
non più in grado di far fronte alla mole dei debiti accumulati, si è mostrato il vero volto
di prodotti finanziari decisamente rischiosi e la carenza di un sistema di protezione
davvero efficiente, perché il problema è in primo luogo giuridico.
Manca, innanzi tutto, una regolamentazione specifica dei rapporti
“intermediario” e contraente di swap. Il rinvio alla disciplina generale dei servizi di
investimento è decisamente troppo vaga. L‟elencazione dei servizi, infatti, è predisposta
in funzione della compravendita di valori mobiliari (azioni, obbligazioni, quote di fondi
ecc.) e non tiene conto delle peculiarità che comporta la conclusione di uno swap. Lo
stesso deve dirsi dei principali obblighi informativi previsti dal TUF e dai regolamenti
intermediari, cui è tenuto l‟intermediario nei confronti del cliente. Non è chiaro, in
particolare, il rigore delle informazioni dovute, né le modalità di comunicazione.
L‟interprete è chiamato ad un complicato lavoro di adeguamento, con margini di
opinabililità troppo ampi, con indubbio sacrificio delle ragioni del cliente. Peraltro con la
Mifid, il giudizio di adeguatezza può essere prestato solo se le parti hanno convenuto il
servizio di consulenza, l‟unico tra i servizi, occorre precisare, che può essere concluso
oralmente, quando è chiaro che sarebbe opportuno non solo che per gli swap questo sia
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disposto per iscritto, ma anche che sia disposto obbligatoriamente. Diversamente si
lascerebbe il contraente in balia delle decisioni dell‟intermediario proprio in quelle
circostanze in cui una tutela scrupolosa non può essere negata.
Manca, inoltre, la predisposizione di protezioni ad hoc relative alla stipulazione di
contratti che invece, si è dimostrato, necessitano di particolari accorgimenti. Ad esempio
per quanto riguarda il contenuto delle prestazioni, spesso consistenti in calcoli
matematici complessi. Per quanto precisi obblighi di trasparenza sono già contenuti in
norme del TUF e del TUB, si renderebbe opportuno l‟obbligo a carico
dell‟intermediario di preparare ogni qual volta, una documentazione riepilogativa,
corredata da esempi pratici, che consentano al destinatario di comprendere il complesso
degli obblighi che provengono dalla stipulazione di uno swap.
Più in generale si avverte il bisogno del recupero della funzione regolatrice del
diritto in ambiti lasciati troppo a lungo sotto dominio di quella aristocrazia economica
refrattaria ad ogni forma di imposizione normativa.
L‟atteggiamento ostile dei padri dell‟economia moderna all‟intervento pubblico e
più in generale all‟idea che il comportamento degli individui debba essere regolato
dall‟alto si riassume nell‟affermazione di Adam Smith secondo il quale “ogni uomo è
certamente, da ogni punto di vista, più capace e più adatto di ogni altra persona a
prendersi cura di se stesso”169.
Eppure il valore della funzione giuridica non può essere quello della nottola di
Minerva, per dirla con Hegel, che si leva sul far del tramonto, per scrutare, quando tutto
è concluso i destini del mondo, ma piuttosto quella dell‟abile demiurgo (ius est ars boni et
aequi spiegava Celso) che interviene sui fenomeni, secondo i valori e la direzione
impressa dal convitto dei consociati.
169
A. SMITH, Teoria dei sentimenti morali, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1991, p.297.
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