INTRODUZIONE Se una mattina, all’uscita di casa, qualcuno vi offrisse un bicchiere di acqua sporca, rifiutereste con disgusto. Ogni mattina, tuttavia, siete costretti ad ingerire, senza possibilità di rifiutarvi, una micidiale miscela di veleni. I 15 kg d’aria che i nostri polmoni filtrano quotidianamente e che ci sono indispensabili per vivere sono diventati “una sozza e pestilenziale congregazione di vapori”. Ma quella che per Amleto era una folgorante metafora, è per noi una fin troppo concreta realtà quotidiana. Né ci consola pensare che il problema, tutto sommato, non è nuovo per l’umanità. Già Carlo VI si trovò costretto a proibire in Francia, l’emissione di gas maleodoranti. Londra, sotto il regno di Elisabetta I, segnato da uno sviluppo industriale e commerciale galoppante, era immersa nel fumo del carbone. “Tuttavia - scrive il chimico americano Donald E. Carr - la classe mercantile inglese era contraria a qualsiasi iniziativa che potesse danneggiare la sua economia basata sul carbone”. Tanto la morte, prosegue Carr, si prendeva soprattutto i vecchi e i poveri, gente che aveva scarse possibilità di rivendicazione, “destinata” a pagare lo scotto delle scelte della classe al potere. I mercanti della Londra elisabettiana, tenacemente aggrappati al profitto, anticipavano, come si vede, la logica dell’American Steel and Wire e delle moderne corporations. Le cose non migliorarono nel secolo successivo, tanto che John Evelyn (1620-1706) puntuale cronista di fatti londinesi, propose a re Carlo II di circondare la città con una cintura di piante verdi per purificare “l’aria puzzolente”. L’industrializzazione rampante del XVIII e XIX secolo porterà alla Coketown di Dickens “il più orribile ambiente umano che il mondo avesse mai visto, la città che mancava di sole, d’aria buona, di acqua pulita, di fognature, circondata dalle catapecchie dei nuovi immigrati”. E’ soltanto nel XX secolo, tuttavia, che il problema dell’inquinamento dell’aria, un tempo circoscritto in zone limitate, ha assunto dimensioni planetarie. Ormai l’aria è contaminata non solo nelle megalopoli, ma persino sugli oceani e ai poli. I meteorologi parlano di una cintura inquinata che avvolge la terra in un fetido abbraccio. Il patrimonio aria, occorre ricordarlo, è limitato. L’atmosfera ha uno spessore di oltre 100 km ma lo strato fruibile arriva solo a seimila metri. E’ un lascito di lontane ere geologiche, il frutto di processi evolutivi durati milioni di anni che noi stiamo dilapidando in un batter d’occhio. C’è chi sostiene che l’ossigeno, il prezioso ossigeno, viene consumata a un ritmo di 1,6 volte superiore alla sua produzione. Pare persino che il fitoplancton degli oceani che, grazie alla fotosintesi clorofilliana, crea il 70% dell’ossigeno terrestre, sia insidiato dagli inquinamenti marini. Ma non basta: le grandi foreste di un tempo, che ricoprivano vaste aree della superficie terrestre, sono ora ridotte a pochi, stremati, ritagli di verde. L’umanità ha già raso al suolo circa un terzo delle foreste originarie e sta consumando ciò che rimane a ritmi frenetici: negli ultimi vent’anni sono stati cancellati dalla faccia della terra più boschi che in tutti i secoli precedenti. Gli incendi ingoiano ogni anno circa 20.000 km quadrati di foresta; nella sola Italia sono più di 40.000 gli ettari di bosco che se ne vanno, ogni anno, in fumo. Mentre le fonti di ossigeno vengono così indebolite, il consumo di questo vitale elemento non conosce tregua. Le macchine a combustione ne divorano enormi quantità (kg 16.5 per la combustione di un kg di benzina; kg 13.5 per un kg di carbone; kg 18 per un kg di metano). Una sola auto ingurgita, in 1000 km, il quantitativo di ossigeno che una persona respira in un anno. Mentre per riciclare l’anidride carbonica prodotta dal respiro umano è sufficiente un albero, ne occorrono 75 per far fronte all’immissione di anidride carbonica pro capite in una città industriale di medie dimensioni. Da un lato, dunque, dissipiamo l’eredità d’aria a velocità vertiginose; dall’altro avveleniamo l’atmosfera in modo così irreparabile che, secondo i calcoli fatti dall’UNESCO nel 1968, tra una ventina d’anni il pianeta comincerà ad essere, nel senso letterale del termine, una “terra desolata”. Tipi di inquinamento atmosferico Il mosaico dell’inquinamento atmosferico è composto da tre tessere: gli scarichi industriali, quelli dovuti al riscaldamento domestico; quelli emessi dai mezzi di trasporto. Iniziamo la storia dell’inquinamento atmosferico dal capitolo “raffinerie”, uno dei più desolanti. Il petrolio, come abbiamo visto, ha una pesante responsabilità per quanto riguarda l’inquinamento del mare; una volta giunto ai terminals e smistato nelle raffinerie, ricompare di nuovo nel bilancio dell’inquinamento, questa volta dell’aria, con un’incidenza meno agghiacciante rispetto a quella della contaminazione marina, ma non certo trascurabile. Vapori di idrocarburi (emessi in quantità che vanno da 4 a 7 tonnellate per mille tonnellate di greggio), ossidi di azoto, anidride solforosa, aereosoli, ammoniaca, mercaptani e fenoli: ecco la corolla di veleni che sboccia intorno a queste faraoniche cattedrali nel deserto. L’Italia è la mecca delle raffinerie: ne abbiamo 40, il doppio della Francia e dell’Inghilterra, sei volte più della Germania. Di tanta dovizia abbiamo poco da rallegrarci: lavoriamo in buona parte per conto di terzi (dei 130 milioni di tonnellate di greggio raffinate in Italia, solo il 60% è destinato ai consumi interni). Esportiamo dunque più del 30% del prodotto: a noi rimangono inquinamento e disoccupazione. La mancanza di norme anti-inquinamento e di pianificazione territoriale si traduce infatti, per le grandi compagnie petrolifere, in una licenza d’inquinare. Inoltre questi impianti, che richiedono grossi investimenti di capitale e occupano pochissimi addetti con un alto costo per ogni posto di lavoro, non risolvono il problema dell’occupazione nei paesi in cui si insediano. La scelta dell’Italia come braccio secolare della raffinazione non è casuale. Da almeno vent’anni, nella spartizione internazionale del lavoro decisa dai paesi egemoni all’interno del mercato mondiale, le industrie che nel criptico codice degli economisti “sono caratterizzate da un saldo negativo nel rapporto tra costi e benefici” (cioè producono più danni che vantaggi nelle aree in cui sono installate) vengono con sempre maggior frequenza dislocate in paesi con governi dipendenti, quindi addomesticati, quindi disponibili a chiudere un occhio per quanto riguarda la degradazione ambientale. Le raffinerie sono un esempio da manuale di tale prassi. Sulla “lista nera” degli impianti nocivi figurano anche le centrali termoelettriche: le nubi di cui sono incappucciate contengono ossidi d’azoto, particelle solide, ossido di carbonio, anidride solforosa. In Italia si è passati da 2,4 milioni di tonnellate di inquinanti nel 1966 a 3,7 milioni nel 1971, con un aumento del 62%. Non c’è da stupirsi che le popolazioni dei comuni prescelti per gli insediamenti di nuovi impianti si oppongano con tanta tenacia al diktat dell’Enel. Altre industrie pesantemente inquinanti sono le acciaierie, i cementifici, alcuni impianti chimici. Se il settore industriale è reo di circa un terzo dell’inquinamento atmosferico in Italia, anche il riscaldamento domestico ha la sua dose di responsabilità. Impianti industriali, di riscaldamento e motori di autoveicoli hanno infatti un denominatore comune: funzionano grazie a processi di combustione. La combustione, come sappiamo, è un Giano bifronte, da un lato dilapida l’ossigeno, dall’altro ammorba l’aria con una folla di veleni. Un inventario di questi subdoli attentatori alla salute dell’ambiente fa registrare, tra le presenze più minacciose, l’anidride solforosa, l’ossido di carbonio, l’ossido di azoto, gli idrocarburi , il piombo. L’anidride solforosa deriva dallo zolfo contenuto nei combustibili (in proporzioni che vanno fino al 5%). Secondo il meteorologo americano Luis J. Battan, viene prodotta ad un tasso pari a una tonnellata ogni dieci di carbone consumate. Una città di un milione di abitanti ne vomita quotidianamente 150 tonnellate. Nella sola Italia, nel 1971, sono state rovesciate nell’atmosfera 2,6 milioni di tonnellate; per l’intero pianeta si parla di150 milioni di tonnellate annue. Con la pioggia e con l’ossigeno dell’aria, l’anidride si trasforma in acido solforico e acido solforoso: maligni “corruttori” di metalli, vernici, pietre. Premessa L’atmosfera costituisce il deposito e il vettore di trasporto, a distanza assai variabile, di numerosi elementi chimici e composti organici e inorganici. Con il termine “qualità dell’aria si usa indicare in termini sintetici, la concentrazione di tali sostanze nell’aria stessa. Il termine “inquinamento” viene invece utilizzato per indicare la presenza di elementi e composti originati dalle attività antropiche. Sebbene a volte in maniera generica e imprecisa, l’inquinamento atmosferico viene definito in base al fattore di concentrazione di una o più sostanze in rapporto ai loro rispettivi livelli di concentrazione naturale nell’atmosfera. Il concetto di inquinamento fa spesso un implicito riferimento ai potenziali danni che determinate sostanza possono produrre sugli organismi viventi. Esistono obiettive difficoltà nel valutare quale sia la qualità dell’aria sia in termini di concentrazione di contaminanti che in base ai loro effetti sui viventi. Nel primo caso influisce soprattutto la marcata variazione spazio-temporale nella concentrazione di molte sostanze nell’atmosfera. Nel secondo l‘insufficiente conoscenza degli effetti dei contaminanti sui viventi. Un’ulteriore limite all’espressione quantitativamente fondata della qualità dell’aria in termini di soglia di concentrazione di una o più sostanze è dovuto al fatto che l’installazione e la gestione di una rete sufficientemente fitta di centraline per l’analisi chimica dell’aria implica costi difficilmente sostenibili per le Amministrazioni locali. Negli ultimi anni sta allora emergendo l’opportunità di utilizzare caratteristiche proprie degli organismi viventi che interagiscono a vario livello con i contaminanti al momento della ricaduta a terra con la precipitazione umida o secca. I metodi in questione si possono schematicamente inquadrare in due categorie: • Bioaccumulo: basato sulla capacità di certi organismi di concentrare una serie di contaminanti nei loro tessuti. • Bioindicazione: basato sulla risposta (in termini di danni ai tessuti, malformazioni, anomalie di crescita o effettiva scomparsa) di certi organismi per effetto di due o più contaminanti. L’utilizzo di una singola metodica di biomonitoraggio può cogliere una parte degli aspetti legati alla qualità e/o all’inquinamento, mentre è opinione sempre più diffusa che l’utilizzo combinato di metodiche di bioaccumulo e bioindicazione consenta di pervenire a un indicizzazione sintetica della qualità dell’aria su ampi territori. Il problema dell’ambiente “Ambiente è tutto ciò che ci circonda: aria, acqua, suolo. In esso, oltre all’uomo, vivono molte altre specie animali e vegetali. Tutti gli esseri viventi utilizzano l’ambiente per la propria vita:l’aria per respirare, il suolo e l’acqua per ricavare il nutrimento, muoversi, costruire le proprie case, o tane, o nidi. Nel corso di milioni di anni, sulla Terra si è stabilito un equilibrio sia fra le specie viventi nei vari territori, sia fra le sostanze presenti nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Fenomeni occasionali –come le eruzioni vulcaniche- potevano sconvolgere temporaneamente l’equilibro di una data zona, ma esso poi si ricostituiva. Anche l’attività umana, fino all’inizio dell’era industriale, non provocava mutamenti profondi e rapidi dell’ambiente. E’ vero che, nel corso dei secoli, sono avvenuti mutamenti enormi (come la distruzione di gran parte delle foreste che fino ad alcune migliaia di anni fa ricoprivano le pianure europee; o l’introduzione in alcune regioni di animali - soprattutto capre - che, non trovandovi nemici naturali, si moltiplicavano a dismisura e distruggevano la vegetazione); si è sempre però trattato di fenomeni lenti, per cui l’ambiente riusciva ad assorbire gli effetti e a ricreare un nuovo equilibrio. La situazione è cambiata radicalmente con la nascita della grande industria moderna. Lo sviluppo delle varie tecnologie ha permesso di estendere enormemente le possibili attività dell’uomo, di moltiplicare sia il numero di prodotti diversi che la quantità di ognuno di essi e di completare in tempi brevi operazioni che prima richiedevano addirittura anni. Anche i ritmi degli interventi umani sull’ambiente si sono molto accelerati. Praticamente tutti i processi di produzione industriale danno origine anche a quantità enormi di sostanze secondarie o di scarto; la maggior parte di queste sostanze è stata per lungo tempo immessa direttamente nell’aria o nell’acqua (e, in molti casi, questo avviene tuttora). L’industrializzazione ha inoltre favorito il trasferimento nelle città e di conseguenza alcune zone hanno finito con l’avere un’alta densità di popolazione. Nella vita quotidiana si producono rifiuti di vari tipi e la loro quantità è tanto maggiore quanto più alta è la densità di popolazione. Molti di questi rifiuti sono stati riversati nelle acque (attraverso le fognature) o nel suolo (attraverso le discariche di rifiuti). Una delle più vistose conseguenze dell’industrializzazione è stata l’enorme diffusione di autoveicoli, che scaricano nell’aria una grande quantità di sostanze inquinanti. In conseguenza di tutti questi fattori, l’aria e l’acqua si sono trovate a ricevere una grane varietà di sostanze, molte delle quali nocive. Un tempo si guardava all’aria e all’acqua come a riserve immense, in grado di assorbire tutti i rifiuti senza subire modificazioni sostanziali delle proprie caratteristiche (e particolarmente di quelle caratteristiche che più ci interessano: la purezza dell’aria che respiriamo o dell’acqua che beviamo). Però la quantità delle sostanze immesse nell’aria e nell’acqua in tutte le parti del mondo, ma soprattutto nei paesi industriali, è diventata ormai così grande da “sporcare” permanentemente sia l’aria che l’acqua. Negli ultimi due-tre decenni si è cominciato a prendere coscienza del problema dell’ambiente. Ci si è resi conto che l’aria e l’acqua sono presenti sulla Terra in quantità limitate, seppure enormi. Esse sono in grado di assorbire una certa quantità di sostanze estranee e di neutralizzarne gli effetti mediante processi naturali; ma se la quantità di sostanze estranee diviene eccessiva questa neutralizzazione non è più possibile. L’aria e l’acqua divengono “sporche”; si dice che sono “inquinate”. Le sostanze che provocano l’inquinamento si chiamano sostanze inquinanti. Lo studio delle sostanze inquinanti, dei loro effetti dannosi e del loro comportamento nell’aria o nell’acqua (ad esempio, sostanze inquinanti diverse possono reagire fra loro e creare nuove sostanze che non erano state immesse direttamente nell’aria o nell’acqua), insieme allo studio dei metodi più adeguati per combattere l’inquinamento , sta dando origine a una nuova branca della chimica. E’ questa una branca in cui la chimica si collega a molte altre scienze: biologia, medicina, scienza dei suoli, meteorologia (l’inquinamento può provocare anche alterazioni del clima), ingegneria, etc. E’ nato così un nuovo indirizzo nelle discipline scientifiche, le scienze dell’ambiente. Queste scienze studiano in modo approfondito i vari aspetti del problema dell’inquinamento, fornendo così conoscenze essenziali alla messa a punto di tecnologie che permettano di prevenire e di combattere l’inquinamento stesso; queste tecnologie vengono a loro volta a costituire un nuovo settore dell’industria capace di grande sviluppo. Il problema dell’inquinamento è attualmente generalizzato, esteso a tutta la Terra, sia perché ormai quasi dovunque esistono fonti di inquinamento, sia perché esso non conosce confini: i veleni emessi in un territorio vengono trasportati dai venti e dalle correnti d’aria fino ad altri paesi. La tutela dell’ambiente, indispensabile per la salvaguardia stessa della vita del futuro, è diventata necessaria e urgente; la consapevolezza di questa gravità e urgenza ha fatto del problema dell’ambiente l’argomento fondamentale di incontri internazionali ai massimi livelli. Le misure per prevenire l’inquinamento hanno un loro costo, soprattutto iniziale, al momento dell’installazione degli impianti necessari. D’altra parte, anche i danni provocati dall’inquinamento (dalla maggior incidenza di una serie di malattie allo spreco di materie prime che non sono certo inesauribili, al danneggiamento di risorse naturali importanti, come le foreste) comportano un costo economico elevato. Inoltre l’esperienza di questi ultimi anni ha dimostrato che disinquinare è molto più costoso che prevenire l’inquinamento. Tutti questi motivi indicano inequivocabilmente che la prevenzione dell’inquinamento dovrebbe avere un ruolo essenziale in un’economia sana. INQUINAMENTO AMBIENTALE L’Inquinamento Ambientale è la forma di inquinamento che comunemente viene riferita alla alterazione della composizione chimica dell’aria. Una più completa definizione comprende talvolta anche le alterazioni di natura fisica, delle quali il rumore costituisce il fenomeno più significativo (inquinamento). Nella sua accezione più ristretta l’I.a. è riferito alla presenza o concentrazione nell’aria dell’insieme delle sostanze chimiche che ne condizionano la qualità. La qualità dell’aria è influenzata dalla presenza di uno o più inquinanti, che per quantità, caratteristiche fisiche e chimiche e periodo di permanenza sono in grado di recare disturbo, essere nocivi, danneggiare o interferire con la salute umana, la vita animale e vegetale. L’I.a. può avere origine naturale o antropica, vale a dire legata alla presenza dell’uomo e delle sue attività. Il fenomeno dell’I.a. naturale è importante per le gravi ed estese ripercussioni che può avere sul territorio circostante la fonte di emissione; basti a questo proposito ricordare l’impatto atmosferico che comporta l’attività eruttiva di un vulcano. Ciò nonostante, generalmente si fa riferimento a sorgenti legate alle attività umane, essendo esse preponderanti in termini quantitativi e di diffusione sul territorio. L’I.a. può essere distinto in due categorie in base alle caratteristiche dell’ambiente in cui si manifesta: L “outdoor” è riferito all’atmosfera libera di un territorio più o meno vasto; l’“indoor” è invece relativo all’atmosfera di uno spazio confinato, cioè all’ambiente interno, alle abitazioni e agli altri spazi chiusi, talvolta con esclusione degli ambienti di lavoro che presentano caratteristiche peculiari e una speciale tutela giuridica. Classificazione degli inquinanti Sulla base delle loro caratteristiche, gli inquinanti atmosferici possono essere distinti in inquinanti primari, che vengono immessi direttamente in atmosfera nella loro forma finale, e in inquinanti secondari che si producono per reazione e trasformazione degli inquinanti primari immessi nell’atmosfera. Esempio di inquinante secondario è lo smog fotochimico che si forma nell’atmosfera per reazione degli inquinanti primari (principalmente ossidi di azoto e idrocarburi) con l’ossigeno dell’aria in presenza della radiazione solare. Un’altra classificazione, peraltro destinata a essere superata con il progresso delle conoscenze scientifiche è quella che distingue i macroinquinanti, rappresentati da un numero ristretto di composti ubiquitari, ben conosciuti nelle loro caratteristiche e nei loro effetti, immessi in atmosfera in grandi quantità, dai microinquinanti, emessi normalmente in quantità più ridotte, ma sovente caratterizzati da un’elevata attività e pericolosità specifica. Gli altri inquinanti atmosferici sono composti chimici, quali gli idrocarburi volatili (ad es. il benzene, gli Ipa), gli idrocarburi clorurati e fluorurati (Cfc), gli acidi cloridrico e fluoridrico, i mercaptani (composti organici contenenti zolfo), il particolato, ecc., sono rilasciati nel corso di numerose attività in quantità singolarmente più modeste. A causa però della loro elevata attività chimica e biologica (molti sono mutageni e teratogeni), essi costituiscono un rilevante pericolo per la salute umana e l’ambiente e talora sono fonte di disagio e molestia a causa della loro bassa soglia olfattiva. Ad esempio i Cfc, che, secondo alcune stime mondiali, vengono immessi in atmosfera in quantità di una sola tonnellata per anno, sono però i maggiori responsabili dell’ assottigliamento della fascia di ozono. Le fonti Le principali fonti dell’I.a. sono rappresentate dalle attività industriali (in particolare l’industria chimica e siderurgica, le raffinerie di petrolio i cementifici), dagli impianti di produzione energetica (centrali termiche, termoelettriche e termonucleari), dagli impianti di riscaldamento e dal traffico autoveicolare. Esistono però anche altre sorgenti in grado di alterare significativamente la qualità dell’aria in zone limitate, quali l’incenerimento e le discariche incontrollate di rifiuti (odori), la dispersione di prodotti chimici in agricoltura e l’incendio delle foreste per scopi agronomici, gli allevamenti intensivi di bestiame (odori), le cave attive e dismesse (rilascio di polveri), nonché certe attività di consumo che liberano in atmosfera rilevanti quantità di aeriformi (bombolette spray, prodotti chimici per la casa, vernicianti ecc.). Si stima inoltre che la maggior parte dell’I.a., con quote di inquinanti che superano il 75 per cento del totale delle emissioni, sia imputabile alle attività di lavorazione e all’utilizzo dei combustibili e dei carburanti. Tra le varie fonti, merita dedicare un approfondimento alle seguenti: - Industrie: Relativamente alle grandi industrie va sottolineata l’attuale tendenza alla loro locazione in aree esterne ai centri abitati, rappresentando così “poli” primari ma “isolati”, mentre le piccole e medie imprese e le aziende artigianali (carrozzerie, piccole fonderie, lavanderie a secco ecc.) costituiscono un’ampia gamma di piccole sorgenti, ma non per questo trascurabili, che contribuiscono sensibilmente al degrado della qualità dell’aria delle zone residenziali in cui sono insediate.Gli inquinanti emessi si disperdono nei bassi strati dell’atmosfera con modalità variabili in relazione alle caratteristiche teorologiche dell’area, al potenziale di ricambio dell’aria, alla modologia e alle caratteristiche della sorgente (altezza e “geometria” del punto di emissione, temperatura dei fumi ecc.). - Traffico: I mezzi di trasporto a motore costituiscono fonti di inquinamento mobile di grande rilevanza sia per le caratteristiche e le concentrazioni delle sostanze in gioco, sia per la loro diffusione spaziale. Dagli scarichi dei motori a combustione interna, benzina e diesel, vengono emessi numerosi inquinanti sotto forma di gas, aerosol e particolato, che si disperdono nello spazio circostante. Gli inquinanti emessi in prevalenza sono il monossido di carbonio, il biossido di azoto, gli idrocarburi incombusti e quelli aromatici, tra cui il piombo. A tali sostanze va aggiunta una ampia gamma di microinquinanti. L’area di massima contaminazione per i gas ha una estensione di circa 150-200 metri, mentre per il particolato, relativamente alle particelle più pesanti, la deposizione avviene a una distanza pari a 50 metri dal ciglio stradale. Nel caso di ostacoli laterali, di sezioni stradali in trincea o confinate da edifici, l’area contaminata si riduce in estensione con il conseguente incremento dei valori di concentrazione degli inquinanti. Situazioni critiche si verificano nelle sezioni viarie di tipo “canyon” (cioè strade strette sovrastate da edifici alti), in prossimità degli incroci, allo sbocco delle gallerie stradali, ai caselli autostradali, nelle aree di servizio e presso i cosiddetti “attrattori di traffico ‘, cioè i centri commerciali, le strutture per il tempo libero, i parcheggi ecc. Il traffico autoveicolare costituisce oggi la fonte principale di I.a. nelle città, dove nei periodi invernali, assommandosi ad altri inquinanti provoca gravi superamenti dei valori limite di accettabilità della qualità dell’aria stabiliti dalla legislazione ambientale. - Riscaldamento: Il riscaldamento civile e industriale rappresenta una sorgente di inquinamento legata al ciclo climatico stagionale e le sue emissioni sono direttamente proporzionali ai consumi di combustibile e alla loro tipologia (carbone, nafta, gasolio, metano). L’uso di combustibili più “puliti” (metano), unitamente alle migliori prestazioni degli impianti e alla maggiore concentrazione degli edifici, hanno permesso di ridurre nelle aree urbane l’emissione di alcuni inquinanti, in particolare degli ossidi di zolfo. L’insieme delle emissioni in atmosfera determina comunque un’alterazione della qualità dell’aria soprattutto in corrispondenza delle zone centrali delle città e in quelle particolarmente sfavorite per le caratteristiche costruttive dell’edificato e il clima prevalente di zona, ove pressione barometrica e presenza di vento, condizionano pesantemente la concentrazione dagli inquinanti. Le sostanze emesse in maggiore quantità sono gli ossidi di azoto e carbonio, le polveri, il biossido di zolfo (anidride solforosa) e i metalli pesanti. - Agricoltura: Dato il livello di industrializzazione e meccanizzazione raggiunta dall’agricoltura moderna, il suo contributo all’I.a. è ormai qualitativamente in parte simile a quello delle altre attività, almeno per ciò che concerne gli inquinanti emessi dalle trasformazioni che precedono la commercializzazione dei prodotti e l’uso dei mezzi a motore. Peculiari del settore sono le emissioni di metano provenienti dalla decomposizione della sostanza organica di scarto (vegetali e deiezioni animali) e i gas di combustione dei residui vegetali che non trovano più impiego nell’attività. Oltre a ciò va considerato che in certe condizioni di impiego ben il 50 per cento dei pesticidi utilizzati in agricoltura passa direttamente in atmosfera durante la loro distribuzione. Il problema assume dimensioni non trascurabili se si considera l’uso crescente di tali prodotti e le loro caratteristiche di pericolosità. Globalmente l’entità dell’I.a. è misurabile in termini di milioni di tonnellate di sostanze annualmente rilasciate nell’atmosfera. METODI I sistemi di controllo chimico-fisico In che modo prevenire l’inquinamento dell’aria Le tecniche che permettono di prevenire o ridurre l’inquinamento dell’aria sono numerose e variano a seconda delle caratteristiche delle sostanze inquinanti che una fabbrica o un impianto produce. Descriviamo le più importanti. Le polveri possono essere abbattute trattando gli scarichi industriali con uno dei seguenti metodi: Filtrazione - Si possono far passare i gas di scarico attraverso filtri opportuni (fibre di vetro o acriliche, ecc.) che trattengono le particelle di dimensione maggiore, e anche buona parte delle più piccole. Questo metodo può essere molto efficace, perché permette di eliminare un’alta percentuale d’inquinante presente nel gas; presenta però lo svantaggio che i gas ad elevata temperatura debbano essere raffreddati prima della filtrazione; inoltre le fibre del filtro possono essere sensibili all’attacco di alcune delle sostanze chimiche presenti nel corpo gassoso. E’ un metodo adatto per il trattamento dei fiumi proveniente dalle fornaci d’industrie metallurgiche (esclusa l’industria del ferro), e dei fiumi dell’industria del vetro, e per le polveri prodotte dai cementifici Precipitazione elettrostatica – È un metodo molto efficace che permette di eliminare almeno il 99% delle particelle presenti, sia solide sia liquide. I gas di scarico vengono fatti passare attraverso un forte campo elettrico; alcune delle molecole del gas si ionizzano, gli ioni così formatisi si uniscono alle particelle presenti nel gas stesso rendendole elettricamente cariche. A questo punto, le particelle si spostano verso la piastra di carica opposta, dove si scaricano e quindi precipitano verso il fondo di un raccoglitore. L’impianto per la precipitazione elettrostatica è piuttosto costoso, ma la manutenzione e l’uso sono facili ed economici. Può essere impiegato in molti casi: per il trattamento di fiumi e polveri emessi dalle fornaci d’industrie metallurgiche (comprese quelle del ferro e dell’acciaio), oppure emessi in certi stadi dalle industrie per la produzione degli acidi solforico e fosforico, dall’industria della carta alle raffinerie di petrolio, dai cementifici, etc. Permette di trattare anche gas che sopraggiungono ad alta temperatura, senza doverli preventivamente raffreddare. Separazione tramite “ciclone” – Il gas viene fatto entrare ad alta velocità in un cilindro, e diretto verso la parete dello stesso; assume così un moto rotatorio. Le particelle più grosse ruotano presso le pareti, e tendono a scendere verso il basso, finché fuoriescono dall’apertura inferiore; le molecole del gas e le particelle piccole tendono a ruotare nella parte centrale, salgono man mano verso l’alto e infine fuoriescono attraverso il tubo centrale. Il metodo è molto più semplice, e permette di trattare anche gas di scarico con elevata concentrazione di particelle solide o liquide sospese; non è però molto efficace per l’allontanamento delle particelle più piccole. L’efficacia del procedimento è maggiore se il raggio del cilindro non è molto grande; in uno stesso impianto si preferisce quindi ricorrere a tre o quattro cilindri di raggio piuttosto piccolo che ad un solo cilindro di raggio superiore. Lavaggio – Viene effettuato in particolari “torri di lavaggio”. L’azione dell’acqua è sfruttata sia per pulire il gas “meccanicamente” (cioè per rimuovere le particelle sospese) sia per pulirlo “chimicamente”: se, ad esempio, il gas contiene anche sostanze acide, si aggiunge all’acqua di lavaggio una sostanza basica, che reagirà con le molecole degli acidi presenti nel gas, neutralizzandole. Il lavaggio permette di eliminare oltre alle polveri e alle particelle anche gas nocivi, se anziché usare acqua pura si usano soluzioni opportune. Metodi acustici – sono meno diffusi dei metodi che abbiamo appena descritto. Si basano sul fatto che le onde sonore, essendo per loro natura vibrazioni che si propagano attraverso l’aria, fanno vibrare non solo le molecole del gas, ma anche le particelle che vi si trovano sospese; questo rende più frequenti le collisioni fra le particelle stesse, e fa sì che esse finiscano con l’unirsi l’una all’altra finché le loro dimensioni diventano tanto grandi da trascinarle verso il basso. ES DI RISULTATI DELLA PRESENZA DI UN INQUINANTE LA QUALITA’ DELL’ARIA I SISTEMI DI RILEVAMENTODEGLI INQUINANTI ATMOSFERICI LA RETE DI MONITORAGGIO MAIA (Monitoraggio Automatico Inquinamento Atmosferico) 1. CONFIGURAZIONE DELLA RETE Per la dislocazione delle centraline e tipologia degli inquinanti rilevati, l’attuale configurazione della rete di monitoraggio dell’inquinamento della provincia di Ferrara, consente di effettuare misurazioni relative alla qualità dell’aria del centro cittadino e dell’immediata periferia adiacente la zona industriale. La rete di monitoraggio di Ferrara risulta rispettare quasi completamente gli standard previsti dal D.M. 20/5/1991, relativo ai “ Criteri per la raccolta dei dati inerenti alla qualità dell’aria”. Il decreto definisce poi che le città con popolazione inferiore ai 500.000 abitanti abbiano la rete così costituita: 1 stazione di “ tipo A” 2 stazioni di “ tipo B” 2 stazioni di “ tipo C” 1 stazione di “tipo D” A seconda del tipo, le stazioni analizzano alcuni inquinanti specifici: Le stazioni di tipo A sono di riferimento, devono essere collocate in parchi o isole pedonali e misurare tutti gli inquinanti riportati in appendice. Ferrara è sprovvista di questo tipo di centralina, ma tale carenza è stata superata con l’attivazione di una stazione in località Ghepardi (Iolanda di Savoia) capace di misurare l’inquinamento di fondo. Le stazioni di tipo B caratterizzano zone ad elevata densità abitativa. Possono rientrare in questa classe le centraline di Barco e di Corso Isonzo, anche se quest’ultima, per l’elevato traffico auto veicolare, può essere definita di tipo B/C. Le stazioni di tipo C sono quelle collocate in zone ad elevato traffico ed a tale tipologia possono essere ricondotte le centraline di P.le San Giovanni e di Via Bologna, anche se quest’ultima, per l’alta densità abitativa, può essere definita di tipo B/C. Le stazioni di tipo D, situate in periferia, sono adibite al rilevamento degli inquinanti fotochimica, fra cui il Biossido di azoto e l’ozono. Di questo tipo è la centralina di Mezzana. 2. STRUTTURA DELLA RETE Il nome MAIA indica un servizio di monitoraggio automatico dell’inquinamento atmosferico attualmente in grado di rilevare complessivamente, nelle 6 stazioni di misura, 23 parametri, corrispondenti a 7 inquinanti di origine urbana, a cui vanno aggiunte le misure di tipo meteorologico. Il nucleo centrale del sistema di rilevazione dell’inquinamento è costituito dalle centraline, cioè dalle cabine che ospitano gli analizzatori dei vari inquinanti. Attraverso sonde posizionate a circa 3 metri di altezza, sul tetto delle centraline, viene rilevata la concentrazione dei vari inquinanti. I dati, memorizzati sui PC di cui è dotata ogni cabina, sono periodicamente inviati via modem al computer centrale della rete, presso la sezione provinciale dell’ARPA. Qui, una volta valicati, i dati sono archiviati nel computer e resi disponibili alla Provincia, al Comune ed al Servizio d’Igiene pubblica per elaborazioni statistiche, valutazioni e divulgazione. Dalla centrale operativa, inoltre, è possibile interrogare le unità periferiche per avere il dato di concentrazione rilevato all’istante e la situazione aggiornata sul funzionamento degli analizzatori. Biomonitoraggio (licheni) L’uso del termine “LICHEN” per descrivere questi curiosi organismi si deve allo studioso greco Teofraso e risale a circa 2300 anni fa. Solo molto più tardi, nel 1867, Simon Schwendener dimostrò che ogni lichene è formato dalla stretta alleanza fra due organismi molto diversi tra loro, un FUNGO e un’ALGA VERDE e/o un CIANOBATTERIO. LA SIMBIOSI La loro unione è definita come simbiosi mutualistica, entrambi gli organismi, infatti, traggono dei vantaggi notevoli dalla presenza del “partner”. Il fungo può utilizzare parte dei composti organici prodotti dall’attività fotosintetica dell’alga; quest’ultima riceve dal fungo protezione, acqua e sali minerali. L’unione tra il micobionte (fungo) e il fotobionte (alga e/o cianobatterio) dà luogo alla formazione di un organismo vegetale completamente nuovo il LICHENE. LA FORMA E IL COLORE La varietà di forme e di colore dei licheni è davvero sorprendente. Talli rossi, aranciati, nerastri, gialli, bianchi, verdi, grigi, ora aderiscono alle rocce, altre volte crescono a ciuffi pendenti dai rami degli alberi, altre ancora si ergono dal terreno. COME RICONOSCERE I LICHENI È piuttosto semplice riconoscere la presenza dei licheni nell’ambiente in cui viviamo. Per scoprire questi vegetali occorre osservare con una certa attenzione la superficie dei vecchi muri, i tetti delle vecchie case, le rocce, le cortecce degli alberi, le distese di muschio nelle radure. È molto più facile trovarli dove la qualità dell’aria è migliore, quindi lontano dai centri urbani e dalle concentrazioni industriali. LE SPECIE Non affatto facile semplice è riconoscere ed identificare la specie a cui appartengono i talli che osserviamo. Fino ad oggi sono state identificate più di 13000 specie, di cui 2000 circa in Italia. Una prima sommaria distinzione può essere fatta in base alla loro forma: Crostosi, sono strettamente aderenti al substrato. La superficie può essere continua o strutturata in aree poligonali dette areole; - Fogliosi, in cui il tallo è costituito da lamine fogliacee che crescono in direzione parallela rispetto al substrato. Le rizine, piccoli fasci di ife, garantiscono l’ancoraggio al substrato; Fruticosi, in cui il tallo si sviluppa in verticale rispetto al substrato e tende a ramificarsi in varie direzioni (lacinie). L’aspetto, nell’insieme, è cespuglioso. Composti, in cui il tallo è in parte parallelo al substrato e in parte si sviluppa in modo perpendicolare rispetto ad esso. DOVE VIVONO La maggior parte delle specie licheniche predilige ambienti con temperature miti ed elevata umidità atmosferica. Sono diversi i substrati su cui vivono i licheni: la terra, le rocce, le cortecce degli alberi, le foglie, il muschio, il legno morto. Molte specie sono in grado di diffondersi sul vetro, il cuoio, l’asfalto e il cemento. La simbiosi tra l’alga e il fungo permette ai licheni di vivere e riprodursi un po’ dappertutto, anche dove la singola alga o il singolo fungo non potrebbero mai sopravvivere. QUANTO VIVONO I licheni di tipo crostoso possono raggiungere anche i 300 anni di vita, quelli fogliosi e fruticosi, invece, hanno mediamente una vita di 70-80 anni. Nei climi artici, alcune specie possono vivere anche oltre i 3000 anni. I ritmi di crescita dei licheni sono lentissimi: la velocità di crescita, a seconda della specie, può variare da meno di 1 mm fino a 10 mm in un anno. LICHENI COME BIONDICATORI Cosa significa il termine BIONDICATORE? “Sono quegli organismi che in presenza di determinate concentrazioni di inquinanti subiscono variazioni facilmente rilevabili e quantificabili”. Perché i licheni sono degli ottimi biondicatori? Il loro metabolismo dipende essenzialmente dall’atmosfera; La loro attività metabolica è ininterrotta durante l’anno; Hanno un ritmo di crescita molto lento e sono longevi; Non si liberano periodicamente delle parti vecchie o intossicate; È dimostrata la loro sensibilità nei confronti delle sostanze inquinanti (anidride solforosa, idrocarburi, ozono, ossidi di azoto e altre). VEGETALI PIONIERI I licheni sono vegetali pionieri, riescono a colonizzare per primi superfici rocciose e terreni incolti, preparano le condizioni perché altri vegetali successivamente si possano insediare in quei luoghi inaccessibili. Sulle superfici rocciose, riescono a formare delle piccole fessure o abrasioni, entro le quali si depositano minime quantità di terra vegetale, dovuta anche al loro parziale disfacimento. Sono le prime forme vegetali che riescono a colonizzare la superficie arida e sassosa: il loro ciclo vitale contribuisce a formare quel sottilissimo strato di humus che consentirà ad altri vegetali, di dimensioni maggiori, di insediarsi e di contribuire, a loro volta, a preparare il terreno per formazioni vegetali via via più complesse e ricche. IL BIOMONITORAGGIO Il termine biomonitoraggio comprende le procedure che utilizzano organismi viventi per trarre informazioni sullo stato dell’ambiente. Le tecniche di biomonitoraggio sono numerose e si differenziano notevolmente tra loro per quanto riguarda sia il tipo di organismo impiegato che il tipo di informazione acquisibile. In linea di principio si possono usare per scopi di biomonitoraggio sia organismi vegetali sia organismi animali. Ai fini del biomonitoraggio della qualità dell’aria vengono utilizzati di norma quasi solo quelli vegetali. Questo perché le piante terrestri sono in genere ancorate al substrato senza possibilità di movimento attivo e anche perché talora dipendono dall’imput atmosferico di elementi e composti per il loro metabolismo. Le tecniche di biomonitoraggio, come abbiamo detto precedentemente, possono essere suddivise in due principali gruppi, in base alla strategia generale con cui viene impiegato l’organismo prescelto (cosiddetto “biomonitor”). 1) BIOINDICAZIONE. In questo caso viene selezionato un particolare tipo di organismo o un gruppo di organismi che siano sensibili nei confronti di una o più sostanze che possono assumere il ruolo di inquinanti. La bioindicazione può basarsi sui danni prodotti da un determinato inquinante su una target oppure su variazioni nella frequenza di specie indicatrici conseguenti alla loro diversa sensibilità all’inquinamento atmosferico. Una cultivar del tabacco (per esempio) particolarmente sensibile alla concentrazione di ozono nell’aria rappresenta un efficace monitor di questo pericoloso inquinante. Concentrazioni elevate di ozono provocano sulle foglie di questa cultivar caratteristiche chiazzature necrotiche. Una valutazione comparata del danno fogliare può essere efficacemente tradotta in un indice di inquinamento da ozono. Altri organismi correntemente usati quali bioindicatori della qualità dell’aria sono i licheni. Si tratta di organismi a organizzazione semplice, molti dei quali presentano una grande sensibilità all’inquinamento atmosferico. A differenza della cultivar di tabacco sopra descritta, i licheni non rispondono in maniera specifica ad un unico inquinante, ma rispondono piuttosto all’effetto congiunto di più sostanze. Tra queste sembrano giocare un ruolo predominante gli ossidi, soprattutto di zolfo e di azoto. Sebbene meno specifico, il risultato della valutazione di qualità dell’aria mediante l’uso di licheni quali bioindicatori, si è spesso rilevato assai informativo; pertanto, questa tecnica ha trovato molte applicazioni nel recente passato soprattutto nei centri urbani. Allo scopo è stato codificato un protocollo che prevede l’uso di licheni insediati sulla corteccia degli alberi. Uno dei principali vantaggi del biomonitoraggio mediante licheni epifiti è la tecnica rapida e relativamente semplice che prevede un conteggio delle specie licheniche presenti in una griglia che viene applicata sulla corteccia dell’albero al momento del campionamento. Ne risulta un indice ponderato che tiene conto al contempo del numero di specie e della loro frequenza. Tale indice è comunemente chiamato “Indice della purezza dell’aria” (o Index of Atmospheric Purity = I.A.P.) o, in alternativa “Indice della presenza lichenica” (I.P.L.). 2) BIOACCUMULO In questo caso vengono utilizzate specie non particolarmente sensibili, anzi spesso ben tolleranti nei confronti di uno o più inquinanti. La bioindicazione consiste nel determinare la concentrazione nei tessuti del monitor di elementi o composti che le piante, per le loro caratteristiche peculiari, sono in grado di accumulare nei propri tessuti. Molte specie vegetali, spontanee e coltivate, sono state utilizzate come monitor del bioaccumulo dei metalli in traccia. Si tratta sia di piante a seme, sia erbacee che legnose; ma anche di muschi e licheni. L’organizzazione primitiva di questi ultimi e l’assenza di una cuticola sulle cellule fanno si che l’approvvigionamento d’acqua e dei sali nutritivi indispensabili per il metabolismo siano limitati agi apporti piovani. Le cellule dei licheni, in particolare quelle dei muschi, hanno la capacità di legare elettrostaticamente i cationi metallici grazie alla composizione chimica della parte cellulare. Di conseguenza, le concentrazioni dei metalli nei tessuti dei muschi in primis e dei licheni risultano più direttamente correlate con l’apporto atmosferico. ARIA A FERRARA Premessa Nell’anno scolastico 1999\2000 il Comune di Ferrara, la Provincia di Ferrara, l’ARPA, l’Università di Ferrara ed il Centro Idea hanno organizzato un corso di aggiornamento rivolto al mondo scolastico dal titolo “Inquinanti atmosferici. Norme, sistemi di controllo e danni all’ambiente e all’uomo”. L’atmosfera costituisce il deposito e il vettore di trasporto, a distanza assai variabile di numerosi elementi chimici e composti inorganici. La concentrazione di tali sostanze viene definita in termini sintetici “qualità dell’aria”. Il termine “inquinamento” viene utilizzato invece per indicare la presenza di composti derivanti da attività antropiche. In particolare, l’entità dell’inquinamento atmosferico viene valutata in base allo scostamento della concentrazione di una o più sostanze dai rispettivi livelli di concentrazione naturale dell’atmosfera. Al fine di conoscere la qualità dell’aria, la legislazione attuale prevede che alcuni inquinanti vengano monitorati. Negli ultimi anni sta emergendo l’opportunità di monitorare, oltre con centraline chimico-fisiche, anche con centraline di tipo biologico, queste ultime sono in grado di segnalare, attraverso alterazioni indotte su organismi animali o vegetali, la presenza di uno o di più inquinanti. I metodi usati possono essere schematizzati in due categorie: · bioaccumulo: basato sulla capacità di certi organismi di concentrare una serie di contaminanti nei tessuti · bioindicazione: basato sulla risposta (in termini di danni ai tessuti, malformazioni, anomalie di crescita o effettiva scomparsa) di certi organismi per effetto di uno o più inquinanti. Durante questo corso di aggiornamento il Centro Idea, che si occupa di educazione ambientale, propone un intervento da effettuare con gli studenti delle scuole superiori del territorio con la collaborazione del Prof. Renato Gerdol dell’Università di Ferrara- Sez. di Botanica e l’ARPA di Ferrara. DESTINATARI E COLLABORAZIONI Le scuole che hanno aderito a questa iniziativa sono: il Liceo Classico Statale L. Ariosto di Ferrara, l’ Istituto Professionale per l’Agricoltura “Fratelli Navarra”di Malborghetto di Boara, l’Istituto Tecnico Industriale “ N. Copernico”di Ferrara, l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “E. I d’Este”di Ferrara,Istituto Fratelli Navarra di Ostellato, Liceo Ginnasio Statale Cevolani di Cento e il Polo Scolastico di Portomaggiore. Le collaborazioni verranno effettuate, oltre che dall’Università di Ferrara che sarà parte integrante dell’iniziativa anche dall’ARPA e dal Centro Idea. COINVOLGIMENTO DEL CONSIGLIO DI CLASSE Il lavoro non verrà realizzato unicamente dall’insegnante di scienze ma coinvolgerà molti membri del consiglio di classe. L’insegnante di fisica tratterà i gas, l’atmosfera e la sua pressione; l’insegnante di matematica rielaborerà i risultati e l’insegnate di italiano si occuperà delle ricerche bibliografiche e la stesura dei testi e l’insegnante di lingua inglese si occuperà della traduzione di alcuni articoli sui bioindicatori in lingua. METODOLOGIA E PERCORSO L’area di studio comprende la zona di Ferrara, Cento, Portomaggiore e Ostellato Il territorio di Ferrara è stato diviso in quattro quadranti così ripartiti tra le varie scuole: · Liceo Ariosto zona nord ovest · Ist. Navarra zona sud ovest · IPSIA zona nord est · ITIS zona sud est In queste zone si traccerà un reticolo per la determinazione dei punti di campionatura. La realizzazione del lavoro si svilupperà in due fasi: un fase teorica e una fase “sul campo”. La fase teorica comporterà un lavoro di studio e di ricerca effettuati dai ragazzi su argomenti riguardanti i principali inquinanti, i sistemi di controllo chimico fisici e di biomonitoraggio, i danni all’ambiente e alla salute. L’insegnamento si svilupperà secondo le tecniche della lezione frontale, del lavoro di gruppo e dell’approfondimento. Questa fase terminerà con un incontro con il dott.Gasparini dell’ARPA che risponderà ai quesiti posti dai ragazzi. La fase operativa verrà effettuata sotto la supervisione del Prof Gerdol e dei suoi collaboratori e si articolerà in 6-7 uscite della durata di un’intera mattinata o tre ore per il monitoraggio sugli alberi. Alla prima uscita interverrà un collaboratore del professore. L’ultima fase sarà poi di rielaborazione dei risultati e porterà alla stesura di tabelle e al calcolo dell’indice di purezza atmosferica. VALUTAZIONE DEI RISULTATI I dati ottenuti saranno poi presentati a tutto il Liceo durante la “Settimana Scientifica” dell’anno scolastico in corso che si terrà in marzo. I dati saranno correlati con quelli provenienti dalle altre scuole e rielaborati dall’Università e dall’ARPA. Il lavoro verrà poi presentato pubblicamente e si procederà successivamente all’edizione di un opuscolo o di CD-rom che tratteranno i temi sviluppati. Ferrara, 1 settembre 2000 prof. Cristina Carrà Le uscite 30 novembre 2000 Prima uscita Questa mattina la nostra classe, la II M e la classe II N hanno iniziato un percorso di ricerca e di studio sull’inquinamento dell’aria in alcune zone predefinite della città di Ferrara. Questo progetto, dal titolo “ Biomonitoraggio della qualità dell’aria “ sarà svolto in collaborazione con : ITIS “ N. Copernico “, IPSIA “ Ercole I d’Este”, istituto per l’agricoltura “ Fr.lli Navarra “ e il polo scolastico di Portomaggiore. L’indagine, che si svolgerà in diversi punti della città, prevede 4 uscite della durata variabile di 3 – 5 ore di un giorno scolastico. Il lavoro degli studenti sarà accompagnato dalla consulenza tecnico – scientifica dell’ARPA (Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente) e del Dipartimento di Scienze Biologiche dell’Università di Ferrara. In questa prima uscita le classi sono state accompagnate dal dott. Luigi Gasparini (ARPA) e dalla dott.ssa Roberta Marchesini (della facoltà di Scienze Biologiche dell’ateneo ferrarese); della nostra scuola erano presenti il prof. Osvaldo Sansoni e la prof.ssa Cristina Carrà, entrambi docenti di Scienze nell’indirizzo Scientifico Sperimentale. Venendo al merito della ricerca, così come si evince dal titolo, esso si basa sullo studio della presenza qualitativa e quantitativa dei licheni, che dà la misura reale dell’inquinamento ambientale, e quindi della qualità dell’aria del territorio analizzato: una forte presenza, oppure una ridotta presenza di licheni indica una maggiore o minore salute del territorio in oggetto di analisi. In questa prima giornata i licheni sono stati ricercati sui tronchi degli alberi che circondano la zona del parco Urbano, la nuova addizione verde realizzata dal Comune di Ferrara a partire dalla cinta muraria di nord fino al fiume Po. A questo punto occorre definire cos’è un lichene. Un lichene è una simbiosi mutualistica, ovvero un’alleanza tra un fungo (MICOBIONTE) e un’alga verde (FOTOBIONTE). L’alga effettua la fotosintesi e il fungo offre acqua e sali minerali. I licheni sono utilizzati nel processo di BIOINDICAZIONE, procedura di biomonitoraggio basata sulla risposta (danni ai tessuti, malformazione, anomalie di crescita o effettiva scomparsa) di certi organismi per l’effetto di uno o più inquinanti. Per indagare ogni gruppo era dotato di lente di ingrandimento, di una reticella divisa in 10 quadranti, di 1 taglierino e alcuni sacchetti in cui mettere i campioni prelevati. I dati sono stati riportati su una tabella indicante la specie di appartenenza e il numero di individui per albero. Da una prima e semplice analisi emergono le seguenti osservazioni: Sulle 21 specie presenti nella scheda, solo 7 sono state trovate sulle cortecce degli alberi. Questo indica una qualità dell’aria non idonea allo sviluppo dei restanti 2/3 delle specie di licheni presenti sul nostro territorio; Su gli alberi esaminati (tigli e bagolari) è prevalentemente più presente la Physcia adscendens, con circa 10 esemplari per albero; Infine si è notato che i tigli ospitano più specie di licheni rispetto ai bagolari 18 dicembre 2000 Seconda uscita La nostra classe accompagnata dalla prof.ssa Cristina Carrà e dal tecnico di laboratorio Silvia Lambertini ha svolto un lavoro di ricerca, analogo a quello della precedente giornata, seguendo un itinerario composto di diverse fermate per prelievi, alcune nel centro cittadino, in aree ZTL più o meno a ridosso di strade trafficate e in altre aree direttamente su vie cittadine aperte al traffico automobilistico. I primi prelievi sono stati effettuati nei giardinetti di viale Cavour di fronte all’ex Standa. Un unico prelievo è stato eseguito su di un albero d’alto fusto, un Carpino. Su questa pianta sono stati trovati 5 esemplari di Physconea grisea, poco diffusa nella pianta in esame. Si è passati poi in Piazza della Repubblica dove sono stati osservati due Ippocastani rosa che non presentavano nessuna specie di lichene. Pur essendo una piazza regolata come ZTL (zona traffico limitato) è in realtà frequentatissima dalle auto con permessi speciali che giungono così nel pieno cuore della città. La stessa piazza poi è molto protetta sui 3 lati dalle case e da palazzi abbastanza alti. Ci siamo spostati successivamente in Porta Reno, dove, dietro la torre dell’orologio, vive solitaria una magnolia, che non ha presentato alcun lichene. La zona pur essendo centro cittadino, è molto trafficata da autobus, taxi, piccoli camion per il trasporto delle merci e macchine private con permessi. Successivamente ci siamo recati in via Gobetti dove esiste una piazzetta (p.zza Amendola) con diverse magnolie, ed anch’essa abbastanza frequentata nonostante la sua dichiarazione di ZTL. Anche in questa piazzetta si è svolto un solo prelievo che ha dato esito negativo. La magnolia ha, per sua natura, una grande resistenza agli agenti inquinanti dell’atmosfera ed è quindi molto adatta all’ambiente metropolitano. Mi chiedo se ci sia una relazione tra la resistenza agli inquinanti e l’assenza di licheni che vivono in simbiosi con la pianta. L’itinerario ha previsto una fermata di fronte alla chiesa di via Terranova dove due alberi delimitano il sagrato della chiesa, da una trafficatissima via centrale. Nelle due piante sono state rilevate, nonostante il pesante traffico, oltre la Candelaria e la Parmelia anche una specie non ancora catalogata ( il lichene, appartenente alla specie Xanthoria, è stato catalogato successivamente in classe.) Riprendendo l’asse viario principale della città, ci siamo diretti verso i viali dell’Arcispedale Sant’Anna, ricchi di tigli, ontani e querce. Questi viali, come i tartufini ferraresi sanno, ospitano una grande quantità di funghi ipogei: in particolare di tartufo bianco pregiato (Tuber Magnatum Pico). Ciò significa che almeno il terreno non è ancora contaminato da veleni e diserbanti e che le radici di queste piante non sono state ancora del tutto coperte da colate di asfalto. Anche le diverse analisi svolte sui tigli confermano un’alta presenza di licheni, appartenenti a più specie, a dimostrazione della salubrità di quest’area della città e della sua aria. Da ultimo la nostra classe ha svolto alcuni prelievi nei seguenti sottomura: sottomura di San Rocco, fino a via Portamare; di qui fino al cimitero ebraico. Gli alberi presenti sono soprattutto bagolari, i quali per le loro forti radici erano spesso impiegati per alberature stradali. E’ stata trovata una buona quantità di licheni, quali Physcia adscendens, Xanthoria parietina (anche se in Rampari di San Rocco, per l’elevato traffico, non è stato rilevato nessun esemplare). 22 gennaio 2001 Terza uscita Oggi la nostra classe, 2M, accompagnata dalla prof.ssa Cristina Carrà e dal tecnico di laboratorio Alba Soavi ha compiuto una uscita scolastica, analoga alle precedenti, di ricerca della presenza di specie lichenarie in alcune zone della città diverse dalle altre esaminate. La prima zona considerata è stata quella di via Frutteti, un’area periferica fuori delle mura verso nord, ed in particolare in un piccolo giardino pubblico, dominato da pioppi neri e aceri ricci. Su quest’ultimi è stata rilevata una grande quantità di licheni di grandi dimensioni e ben sei specie di licheni diverse, quali Candelaria, Parmelia, Physcia e Xanthoria. Una così grande presenza indica una elevata qualità dell’aria ( si ricordi che i licheni prolificano in condizioni di purezza atmosferica), appunto perché il rilevamento è stato effettuato in una zona abbastanza isolata dal traffico stradale. Successivamente ci siano spostati in via Biancospino, nel quartiere Borgo Punta, vicino alle scuole elementari “ A. Manzoni “. Sui pioppi neri esaminati è stato trovato un numero decisamente minore di licheni, dovuto al fatto che le piante osservate si trovano ai margini di una strada molto trafficata. In seguito, dopo una buona camminata, si è giunti ad esaminare due quadranti nelle mura di via Rampari di San Rocco, verso l’Arcispedale Sant’Anna. Le specie di licheni più diffuse su questo tratto di mura sono la Robinia (Robinia pseudoacacia), il Bagolaro ( Celtis Australis) e il Platano (Platanus ispanica). Quest’ultimo, per via della sua scorza liscia e che si desquama, non è adatto alla ricerca. Dall’analisi dei due quadranti si è notato che la presenza dei licheni è quasi nulla, essendo stati ritrovati, su 6 alberi, solo 4 esemplari di Physcia adscendens, peraltro di piccole dimensioni. Ciò è dovuto all’elevato traffico che insiste su Rampari di San Rocco, che funge da collegamento cittadino tra piazzale Medaglie d’oro e piazzale San Giovanni. 9 febbraio 2001 Quarta uscita Oggi si è svolta l’ultima uscita di biomonitoraggio dei licheni. La classe, con molti assenti a causa dell’influenza, ha seguito un percorso abbastanza breve, in alcune zone molto centrali della città. Prima tappa è stato il Parco Massari, il grande giardino all’italiana della città, di recente aperto al pubblico dopo alcuni importanti lavori di manutenzione e ristrutturazione. Nel parco è stato trovato un considerevole numero di licheni (soprattutto la Physcia adscendens), ad attestare la buona qualità dell’aria. Successivamente ci si è spostati alla Certosa, il cimitero di Ferrara. Anche qui è stata trovata un’alta presenza di Physcia adscendens, testimonianza dell’assenza di traffico automobilistico al suo interno. Gli alberi esaminati in Certosa erano dei Ginkgo Biloba, originari della provincia di Zhejiang (Cina settentrionale) e considerati dei fossili viventi, cioè appartenenti ad una specie che per migliaia di anni non si è evoluta. Di seguito ci siamo portati davanti all’istituto di ragioneria “ V. Monti “ dove, per l’elevato traffico, è stata riscontrata una bassa percentuale di licheni. Inspiegabilmente, in via XXV aprile, è stata trovata una grande quantità di licheni: su ognuno dei 4 alberi esaminati (2 tigli, 1 frassino, 1 bagolaro) vi erano circa 15 esemplari di licheni; le specie più comuni sono: la Physcia, la Parmelia e la Candelaria. Costante nel numero di esemplari per albero è la Physcia adscendens (10 per pianta) mentre le altre specie erano variabili tra i 2 e i 5 individui. L’ultima stazione è stato il cortile interno della sede del Liceo Ariosto, in via Arianuova. Anche qui, sui pioppi del nostro cortile, vi è una forte presenza di licheni e una grande quantità di Physcia adscendens, la specie più comune nel nostro territorio. Lavoro a cura di Ciro Marangoni IIa M Conclusioni Nella zona del centro storico la qualità dell’aria è pessima con un inquinamento molto elevato. La qualità dell’aria migliora nella zona di Rampari di Belfiore e la zona del cimitero israelitico dove l’inquinamento risulta medio-alto. Nelle zone più periferiche (Porta Catena, S. Giovanni e Borgo Punta) la qualità dell’aria risulta mediocre e l’inquinamento è ancora medio. LICHENARIO Xanthoria parietina Ambiente: scorza Forma di crescita: lichene foglioso. Substrato: scorza, roccia. Riproduzione: sessuata per spore Morfologia: tallo di colore giallo vivo o giallo-arancio, biancastro inferiormente. Lobi appiattiti un po' concavi all'estremità Apoteci numerosi, a disco aranciato. Distribuzione : E' presente in tutta in tutta l'Europa. In Italia, dalla pianura alla fascia montana. E' piuttosto tollerante alla presenza di inquinanti. Candelariella Lecanora chlarotera Ambiente: corteccia di latifoglia. Forma di crescita: lichene crostoso. Substrato: scorza. Riproduzione: sessuata per spore. Morfologia: tallo di colore biancastro o grigio chiaro. Apoteci a disco di colore marrone chiaro con margine tallino chiaro. Distribuzione ed ecologia: presenta una notevole distribuzione ed è anche conosciuta nell'emisfero meridionale. E' molto comune sulle scorze degli alberi decidui isolati. Presenta una moderata sensibilità all'inquinamento. Parmelia tiliacea Ambiente: corteccia di tiglio. Forma di crescita: lichene foglioso. Substrato: scorza, ma anche roccia e muschio. Riproduzione: vegetativa per isidi. Morfologia: tallo grigio chiaro superiormente e nero inferiormente, con dimensioni variabili da 5 a 20 cm. Lobi corti, arrotondati, larghi 3 - 10 mm. Isidi cilindrici di colore grigio con la punta a volte più scura; appaiono come punti nerastri, sparsi sulla faccia superiore del tallo. Distribuzione ed ecologia: presente dalle isole atlantiche alla Scandinavia centrale. In Italia dalla pianura alla fascia montana inferiore. E' considerato piuttosto resistente all'inquinamento. Parmelia sulcata Taylor Ambiente: corteccia di quercia. Forma di crescita: lichene foglioso. Substrato: scorza, ma anche roccia e muschio. Riproduzione: vegetativa per soredi. Morfologia: tallo grigio chiaro superiormente, nero inferiormente, non ascendente. Lobi chiaramente reticolati superiormente da una rete di pseudocifelle lineari. Distribuzione ed ecologia: E' presente in quasi tutto il mondo. In Italia dalla pianura alla fascia subalpina. Predilige alberi isolati. E' una delle specie più tolleranti all'inquinamento da SO2, NxOy e metalli pesanti. Parmelia subrudecta Località: Paruzzaro (Novara), 400 m slm. Data: aprile 1999. Ambiente: corteccia di castagno. Forma di crescita: lichene foglioso. Substrato: scorza. Riproduzione: vegetativa per soredi. Morfologia: tallo grigio chiaro a volte più o meno bluastro superiormente, chiaro inferiormente. La faccia superiore del tallo presenta pseudocifelle a forma di puntini bianchi rotondeggianti. Lobi arrotondati, contigui e a volte leggermente reticolati superiormente. Soredi biancastri (riconoscibili nelle fotografia) presenti su tutta la superficie del tallo e più o meno confluenti al centro. Distribuzione ed ecologia: in Europa è diffusa dal Mediterraneo alle regioni meridionali della Scandinavia. In Italia è diffusa un po' ovunque, ma predilige la vegetazione submediterranea e la fascia al di sotto del piano montano. Physcia adscendens Ambiente: corteccia di tiglio. Forma di crescita: lichene foglioso. Substrato: scorza, ma anche roccia e muschio. Riproduzione: sessuata per spore Morfologia: tallo grigio chiaro, quasi bianco superiormente, biancastro inferiormente, rizine biancastre. Il tallo non supera quasi mai i 2 cm. I lobi sono ascendenti e stretti, l'estremità dei lobi è sorediata e ricurva a forma di cappuccio. Possono comparire apoteci più o meno rotondeggianti nelle stazioni non inquinate. Distribuzione ed ecologia: E' presente in quasi tutto il mondo: In Italia dalla pianura alla fascia subalpina. Predilige substrati con un certo grado di eutrofizzazione. E' uno dei licheni più tolleranti all'inquinamento ed è in grado, insieme alla Phaeophyscia Orbicularis, di raggiungere il limite del deserto lichenico. LA SALUTE GLI EFFETTI SULLA SALUTE DELL'INQUINAMENTO ATMOSFERICO L'inquinamento dell'aria che respiriamo -Le particelle inquinanti di maggiori dimensioni sono inglobate nel muco delle vie respiratorie ed espulse con la tosse. -L'inquinamento atmosferico è dato dalla presenza nell'aria di una o più sostanze indesiderabili o estranee in quantità e per una durata tali da alterare la salubrità dell'aria e da costituire un pericolo per la salute umana. -Se si considera la quantità di aria che viene quotidianamente inspirata da un individuo, ci si può meglio rendere conto della sua importanza ai fini della salute e dei rischi collegati alla respirazione di aria inquinata. Le sostanze inquinanti che, in forma gassosa o di particelle di piccolissime dimensioni (dell'ordine di millesimi di millimetro), riescono a raggiungere gli alveoli polmonari stimolano reazioni di difesa dell'organismo che, se ripetute neltempo, vengono sopraffatte dagli inquinanti i quali non trovano più ostacoli per alterare le funzioni respiratorie dei polmoni. Gli inquinanti gassosi chegiungono a livello polmonare vengono assorbiti dalla superficie alveolare ed entrano nella circolazione sanguigna da cui raggiungono i diversi organi e apparati. Gli effetti sulla salute dell'inquinamento atmosferico Vari inquinanti atmosferici quali: ossidi di zolfo, ossidi di azoto, idrocarburi policiclici aromatici, ozono, aldeidi, svolgono una azione irritante sulle mucose, in particolare su quelle delle vie aeree. Tale azione, ripetuta nel tempo, può indurre una riduzione della funzionalità respiratoria e dei meccanismi di difesa polmonari. Ne consegue un prolungamento del tempo di contatto di agenti infettivi, tossici e cancerogeni e dei relativi effetti dannosi. Potrebbero così essere spiegati i dati derivanti da studi epidemiologici, sempre più numerosi e significativi, che hanno messo in relazione l'inquinamento atmosferico con malattie dell'apparato respiratorio e cardiovascolare, con la mortalità generale, con quella per tumore e, in particolare, per tumore polmonare. Le conseguenze sfavorevoli dell'inquinamento atmosferico erano già risultate evidenti dopo alcuni episodi verificatisi nella prima metà di questo secolo. In particolare va ricordato il gravissimo inquinamento di Londra (1952) a seguito del quale si registrò un numero elevatissimo di decessi (oltre 4.000) e oltre 2.000 ricoveri ospedalieri per malattie dell'apparato cardiorespiratorio. Oggi le concentrazioni urbane degli inquinanti atmosferici responsabili di quegli episodi (polveri e ossidi di zolfo) sono più basse ma non tali da non essere fonte di preoccupazione per la salute della popolazione. A ciò va aggiunta la constatazione della continua immissione nell'ambiente di nuovi prodotti di sintesi, a tossicità elevata o poco nota, quali i costituenti dei nuovi combustibili. I danni alla salute derivanti dall'inquinamento atmosferico dipendono, oltre che dall'azione dei singoli inquinanti: • dalla interazione dei diversi inquinanti tra di loro; • dalle condizioni atmosferiche; • dalle condizioni respiratorie; • dalla dose inalata L'analisi di una serie di studi condotti negli ultimi venti anni mette in evidenza una stretta correlazione fra i livelli di inquinamento e una ampia gamma di sintomi respiratori: dall'asma bronchiale alla bronchite acuta, alla diminuita funzionalità polmonare fino alla morte. Il ruolo degli inquinanti nel facilitare tali episodi è estremamente importante, specie se concomitanti con fattori favorenti quali: • • • la circolazione ambientale di agenti virali; le basse temperature associate ad elevata umidità relativa dell'aria; la presenza di soggetti più sensibili (bambini piccoli, soggetti con predisposizione allergica,anziani). Studi recenti hanno poi dimostrato l'esistenza di una relazione tra livelli di inquinamento atmosferico, in particolare da particelle totali sospese (PTS), ossidi di zolfo (SO2), ozono (03) e aumento della mortalità generale. L'inquinamento atmosferico aumenta il rischio di tumore polmonare, rischio che è molto maggiore se associato all'esposizione a fumo di tabacco (fumatori attivi e passivi). Dal 2,5 al 10% dei tumori del polmone in abitanti delle aree urbane è attribuibile all'inquinamento atmosferico e il 56% di questi è ascrivibile all'inquinamento da veicoli a motore. Lo smog fotochimico Il grosso contributo del traffico autoveicolare alle immissioni in atmosfera è dimostrato anche dal fatto che l'inquinamento nelle aree urbane non è più limitato al periodo invernale ma è divenuto, con episodi più o meno acuti, una costante nel corso dell'intero anno. Ne è un esempio lo SMOG FOTOCHIMICO, tipico della stagione estiva, caratterizzato dai cosiddetti "inquinanti secondari" (principalmente l'ozono) prodotti dall'azione della luce solare sugli inquinanti primari (NOx, idrocarburi...). La natura e la quantità delle sostanze prodotte dal traffico autoveicolare dipendono dal tipo di carburante usato (gasolio o benzina) e dalla modalità di alimentazione e combustione dei diversi tipi di motore. La totalità degi ossidi di zolfo è prodotta dai veicoli diesel che sono anche i principali responsabili della immissione di particelle totali sospese (PTS); queste vengono emesse in quantità decisamente superiori rispet- to ai motori alimentati a benzina. I veicoli a benzina sono i principali responsabili delle emissioni di piombo nell'aria urbana. Per ridurre tale emissione sono state introdotte sul mercato benzine senza piombo. Queste ultime hanno però, rispetto alle benzine tradizionali, un contenuto di idrocarburi aromatici nettamente superiore che può essere abbattuto in modo significativo solo se si utilizza la marmitta catalitica (che abbatte idrocarburi incombusti, ossidi di carbonio e ossidi di azoto) Ne consegue che la benzina senza piombo, usata in automezzi non catalizzati, è fortemente inquinante e contribuisce alla immissione nell'ambiente di benzene sia al momento del rifornimento del carburante sia durante la marcia dell'automezzo. Cosa fare per tutelare la nostra salute Sono CATEGORIE A RISCHIO, cioè soggetti per i quali è più alto il rischio di danno alla salute: • • • • BAMBINI ANZIANI CARDIOPATICI QUANTI SOFFRONO DI DISTURBI RESPIRATORI Va comunque ricordato che non solo le categorie a rischio, ma TUTTA LA POPOLAZIONE è esposta agli effetti sfavorevoli dell'inquinamento atmosferico che è comunque un fattore di riduzione del benessere dell'uomo. 10 regole per limitare i danni alla salute di tutti i cittadini e, in particolare, di quelli a rischio: • ridurre il più possibile le uscite nei giorni e nelle ore di maggior traffico; • scegliere percorsi a minore intensità di traffico motorizzato, in qualunque modo ci si muova; • scegliere percorsi nei parchi e nei giardini, se ci si muove a piedi o in bicicletta; • evitare attività sportive (tipo jogging) in zone con intenso traffico mmotorizzato; • evitare di portare i bambini più piccoli, particolarmente a piedi ocon il passeggino, nelle strade a maggior intensità di traffico motorizzato e nei portici che le fiancheggiano; • spegnere il motore e chiudere i finestrini in caso di ingorgo o blocco della circolazione stradale; in tali occasioni gli abitacoli delle auto sono dei veri e propri concentrati di gas di scarico. Per limitare i danni da SMOG FOTOCHIMICO (ozono) nei giorni e nelle ore di massimo soleggiamento nei mesi estivi è consigliabile: • evitare di svolgere attività fisica intensa; • evitare le uscite nelle ore critiche (h 12- 17) per i soggetti a rischio Va inoltre ricordato che I RISCHI DA INQUINAMENTO ATMOSFERICO AUMENTANO A SEGUITO DI: • esposizione a FUMO Dl TABACCO assunto direttamente o frequentando locali dove si fuma. Il fumo, sia attivo che passivo, è sempre nocivo alla salute ed è in grado di potenziare notevolmente l'azione dannosa degli inquinanti atmosferici; • esposizione ai prodotti della combustione quando si tengono i fuochi di cucina accesi a lungo. Occorre, pertanto, assicurare una adeguata ventilazione degli ambienti in cui si cucina. GLOSSARIO Ecco la spiegazione dei termini specifici o i nomi con l'origine dei vari licheni. BIOMONITOR organismo vegetale o animale prescelto per il biomonitoraggio. procedure che utilizzano organismi viventi per trarre informazioni sullo stato BIOMONITORAGGIO dell’ambiente. procedura di biomonitoraggio basata sulla risposta (danni ai tessuti, BIOINIDICAZIONE malformazioni, anomali e di crescita o effettiva scomparsa) di certi organismi per l’effetto di uno o più contaminanti. procedura basata sulla capacità di certi organismi di concentrare una serie di BIOACCUMULO contaminanti nei loro tessuti. LA CLASSE QUESTI SONO I MITICI COMPONENTI DELLA CLASSE 2^A M • • • • • • • • • • • ANSALONI MICHELE (webmaster) BANZI GIULIA BENFENATI ELENA BIAVATI ELENA BINELLI ALICE BOLOGNESI NICCOLO’ CORAZZA TANIA GOVONI FILIPPO LAMPRONTI SARA MANFREDINI FILIPPO MARANGONI CIRO gruppo1 gruppo2 • • • • • • • • • • • MARCHETTI ANDREA MARICH GIULIA MARINELLO ALESSANDRO RESCA VALENTINA ROLLO FRANCESCA SGARAVATTO ELIA SIBILLA CARLO TARTARI MICHAEL TAVONE FRANCESCA VITALI GIOVANNI ZAMBONI FABIOLA gruppo3 RINGRAZIAMENTI • LICEO CLASSICO STATALE L.ARIOSTO • CONSIGLIO DI CLASSE (2M) • PROF GERDOL RENATO • DOTT.SSA MARCHESINI ROBERTA • UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FERRARA (DIP. DI BIOLOGIA) • A.R.P.A. • DOTT. GASPARINI • CENTRO IDEA gruppo4