E. Schein "Culture d'impresa”
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E. Schein "Culture d'impresa”
EDGAR H. SCHEIN
CULTURE
D’IMPRE S A
COME AFFRONTARE CON
SU C C E S S O LE TRAN SIZIONI E I
C AM BIAMENTI OR GANIZZATIVI
Titolo originale: The Corporate Culture Survival Guide
Traduzione Giuliana Picco
Raffaello Cortina Editore
© 2000 Raffaello Cortina Editore
Prima edizione: 2000
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E. Schein "Culture d'impresa”
Indice
Introduzione
PARTE PRIMA
Assunti di base della cultura aziendale
1.
2.
3.
4.
Perché la cultura aziendale è importante?
Cos’è la cultura, in ogni caso?
Su cosa si basa la cultura aziendale?
Dunque, come si può valutare la cultura della propria azienda?
PARTE SECONDA
La cultura aziendale in azione
5. Creazione di cultura, evoluzione e cambiamento nelle imprese giovani
6. Il cambiamento trasformativo - Disapprendere e riapprendere la cultura
7. Le dinamiche della cultura aziendale nelle imprese mature
8. Quando le culture si incontrano: Acquisizioni, fusioni, joint venture e altre
organizzazioni mescolate
9. Realtà culturali per un serio leader di cultura
Bibliografia
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Introduzione
Ho sempre detto ai miei studenti di scrivere quando si appassionavano a
qualcosa. Nel corso degli anni la rabbia ha affrettato alcuni dei miei migliori
scritti - qualcosa che a me sembrava chiaro era totalmente oscuro per altri,
così mi fermavo per cercare di renderlo il più chiaro possibile. Sono stato di
nuovo vinto da questa sensazione in relazione alla cultura aziendale.
Il concetto di cultura fu introdotto dagli antropologi più di cento anni fa, e
chiunque viaggi o segua un corso di antropologia sente personalmente come
individui diversi pensino e agiscano in maniere differenti. Chi viaggia impara
anche che è pericoloso ridurre un’altra cultura a uno stereotipo. È facile e
conveniente, ma è pericoloso, soprattutto quando ci sono somiglianze
superficiali, se l’importante è riscire ad agire nell’altra cultura. Se voglio
lavorare in Germania mi aiuta poco sapere che i tedeschi sono ossessivi; se
voglio lavorare in Italia non è di grande aiuto sapere che gli italiani sono liberi
nel manifestare le loro emozioni; e se un tedesco vuole lavorare negli Stati
Uniti, gli sarà di scarso aiuto sapere che siamo individualisti. Questo livello di
comprensione può fornire un qualche aiuto, ma non è sufficiente: le culture
sono schemi di elementi che interagiscono; se non abbiamo un modo per
decifrare questo schema, allora non saremo mai in grado di comprendere la
cultura.
E qui arrivano il mio enigma e la mia frustrazione. Perché si presume che le
organizzazioni - corporation con una storia lunga e venerabile o anche giovani
imprese con una storia breve ma intensa - siano piu semplici da decifrare di
una nazione? Tutti i casi presentati come prova suggeriscono che le
organizzazioni sviluppano potenti culture che guidano il pensiero e il
comportamento dei loro dipendenti. E tuttavia si parla di cultura aziendale
come se fosse uno strumento manageriale, come una nuova forma di struttura
organizzativa. Ogni giorno si legge di manager che annunciano di aver bisogno
di una “nuova cultura”, di un tipo o di un altro, nella loro organizzazione, ed è
pieno di consulenti pronti a precipitarsi e offrire loro un programma per
lanciare una nuova cultura. Ma vi immaginate la Francia o gli Stati Uniti
affermare di avere bisogno di una nuova cultura?
A peggiorare le cose, sappiamo che ai manager piace ciò che è quantificabile,
valutabile e manipolabile. “Management” vuoi dire avere il controllo di
qualcosa, non procedere in mezzo alla corrente. I manager prediligono i
concetti processabili. Così sfortunatamente parecchi accademici e consulenti
“vendono” concetti di cultura e teorie basati su questionari che producono
numeri e profili, e che permettono di collocare l’organizzazione in ben ordinate
scatole. Ma quando visito queste organizzazioni, ciò che osservo è che le
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scatole contengono solo alcuni elementi superficiali della cultura. Non sono
etichette sbagliate, ma risultano scarsamente utilizzabili perché non riflettono
le forze culturali che rivestono una reale importanza. Nella mia esperienza le
forze rilevanti non possono essere scovate con semplici numeri; non possono
essere facilmente classificate secondo tipologie perché tendono a seguire
schemi unici che riflettono la storia particolare dell’organizzazione.
E così sono di nuovo qui a scrivere per integrare i miei libri più lunghi del 1985
e del 1992 (Cultura d’azienda e leadership, prima e seconda edizione
rispettivamente) e per essere più chiaro nella mia argomentazione. Ci sono ora
numerose prove che dimostrano che la cultura aziendale fa la differenza nei
risultati che l’azienda ottiene; sappiamo che i leader hanno un bisogno sempre
maggiore di concetti e strumenti per lavorare con la cultura in modi sottili e
vari. Se si vuole dare alla cultura uno sguardo serio e non superficiale, si
proceda nella lettura del libro e ci si lasci pervadere dalla complessità piuttosto
che essere schiacciati da essa. Non vi si troveranno “I tre passi per la perfetta
cultura aziendale”, ma si potrà guadagnare un po’ di comprensione e qualche
idea per essere in grado di affrontare in maniera più costruttiva i problemi
della cultura nella propria organizzazione.
In ogni capitolo fornisco la logica dell’argomentazione, ma offro anche gli
esempi e i suggerimenti pratici su quanto si può fare per testare da soli le idee
che presento. Spero che i titoli dei capitoli siano autoesplicativi; ci si dovrebbe
sentire liberi di saltare qua e là per seguire il filo delle proprie domande. Io
trovo che imparare a guardare il mondo attraverso lenti culturalmente più
sofisticate sia divertente, si vede e si capisce di più: spero che anche i lettori
scoprano che è di vertente avere uno sguardo profondo sulla cultura.
Metodologia e ringraziamenti
Ho imparato, negli ultimi quaranta anni, che i migliori dati su quello che
succede nel mondo reale arrivano dall’esperienza stessa che se ne fa. Ho
imparato di più sulle organizzazioni e sulle loro culture dalle concrete
esperienze come membro e consulente delle organizzazioni. Il fornire
consulenza a un’organizzazione è critico perché fino a quando qualcuno cerca
aiuto e fino a che il consulente prova a fornirlo, gran parte della realtà di
quanto sta accadendo rimane nascosta. I ricercatori tradizionali non possono
motivare i membri di un’organizzazione a rivelare quello che occultano con così
grande energia, molto di ciò che il ricercatore vuole sapere è celato dai membri
dell’organizzazione anche a se stessi.
È nel momento in cui l’organizzazione vuole qualcosa, quando cerca aiuto, che
la dinamica psicologica è pronta per portare alla luce ciò che sta realmente
succedendo. Aveva ragione Kurt Lewin quando affermava che non si può
comprendere un’organizzazione fino a quando non si prova a cambiarla. Ho
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riscontrato, lavorando come assistente o consulente, che potevo osservare e
chiedere cose che rivelavano il ventre molle della vita organizzativa dove
risiedono i problemi culturali. Ho chiamato questo “ricerca clinica” (Schein,
1987) e ho argomentato che questo livello di inchiesta è necessario e
auspicabile per decifrare i problemi culturali (Schein, 1993). Il ricercatore
clinico porta teorie e abilità utili ai sistemi del cliente che voglia risolvere i
problemi, e scopre, durante la sua interazione con il cliente, che emerge alla
luce ogni genere di dati importanti su quello che sta succedendo. La
documentazione, l’organizzazione e l’estrapolazione da questi dati costituisce
l’essenza della ricerca clinica, ed è ciò su cui si basa la maggior parte della mia
conoscenza culturale.
Siccome la maggior parte di ciò che ho imparato deriva dal mio lavoro come
consulente con le organizzazioni, è a tali organizzazioni che va il mio maggior
debito di gratitudine. È stata la volontà delle organizzazioni a lasciare che io le
aiutassi, andassi in giro, facessi do mande, tenessi conferenze e ottenessi
risposte a nutrire la mia stessa comprensione delle dinamiche culturali e
organizzative. Desidero rin graziare tutti i miei clienti e in particolare la Digital
Equipment, la Ciba-Geigy, la “Alpha” Power, la “Beta” Oil e la dozzina di altre
che mi hanno permesso di osservare un poco le loro realtà culturali.
La capacità di comprensione che ho ottenuto dalla mia esperienza clinica,
lavorando con le organizzazioni, insieme alle mie conoscenze teoriche e a ciò
che altri ricercatori hanno scoperto, costituiscono la base per le asserzioni fatte
in questo libro. In questo campo non siamo ancora al livello di avere ipotesi
forti da testare, e forse non ci arriveremo mai. Ma la buona descrizione e
l’analisi sono uno stadio della scienza di cui si a grande bisogno, e considero
questo sforzo come un tentativo in tale direzione. Se ho avuto ragione, il
lettore riconoscerà dalla sua esperienza molti dei fenomeni che descrivo e
questo sarà per me un importante livello di convalida.
EdgarH. Schein
Cambridge, Massachusetts
Giugno 1999
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Parte prima
Assunti di base sulla cultura aziendale
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1. Perché la cultura aziendale è importante?
La cultura è importante. Lo è perché decisioni prese senza avere
consapevolezza delle forze culturali in atto possono produrre conseguenze
inattese e indesiderate. Nelle storie che presenterò in questo libro, gli effetti a
volte sono stati considerati desiderabili, a volte no (in parecchi casi
appartenenti a quest’ultimo gruppo ho utilizzato nomi fittizi e li ho indicati fra
virgolette). Il punto è che tali conseguenze ci sono state, che avrebbero potuto
essere anticipate e, in alcuni casi, le si sarebbe potute prevenire se la cultura
fosse stata considerata seriamente sin dall’inizio. La discussione sul
considerare seriamente la cultura, pertanto, è che si dovrebbero prevedere le
conseguenze e si dovrebbero fare scelte sulla base di quanto tali conseguenze
siano auspicabii.
Qualche lezione di cultura da Atari, Apple, IBM, DEC, Procter & Gamble
e Acme Insurance
Parecchi anni fa, quando Atari eccelleva nel progettare giochi computerizzati,
venne nominato un nuovo CEO, formatosi nel settore marketing. Il suo
background culturale, pertanto, gli suggeriva che per guidare un’impresa fosse
necessario un buon sistema di incentivi individuali e di avanzamento di
carriera. Si può immaginare la sua contrarietà quando scoprì di avere a che
fare con un gruppo di ingegneri e programmatori organizzati in modo generico,
il cui lavoro era così apparentemente disorganizzato da rendere impossibile
stabilire chi ricompensare per cosa. Be’, il CEO era sicuro di sapere come
riordinare una confusione di quel tipo! Stabilì chiare responsabilità individuali e
un sistema di premi su base personale e competitiva, rappresentati dal
l’identificare “l’ingegnere del mese” - solo per scoprire che il personale si era
demoralizzato e alcuni dei migliori ingegneri avevano lasciato l’impresa. Questo
ben intenzionato CEO non aveva capito che l’essenza del processo creativo nel
progettare buoni giochi consisteva proprio nel clima di collaborazione non
strutturata, che permetteva agli ingegneri di dare l’avvio alla creatività l’uno
dell’altro: il gioco di successo era un prodotto di gruppo. I singoli ingegneri
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condividevano l’assunto che solo attraverso un’ampia interazione informale
un’idea potesse arrivare alla sua realizzazione. Nessuno poteva ricordare in che
modo ciascuno avesse realmente contribuito. Il sistema di premi
individualizzati dava troppa importanza all’ingegnere del mese, nominato dal
CEO, e il clima competitivo riduceva il divertimento e la creatività.
Anche se l’intera storia della Apple computer non è ancora completamente
nota, è verosimile che la reggenza di John Sculley sia stata complicata da
problemi simili. Egli provò a ottenere il rispetto della cultura tecnica che aveva
moltiplicato il successo della Apple, ma non vi riuscì mai: molti dei suoi sforzi,
volti a rendere migliore l’impresa, in contrarono una forte resistenza nella
cultura interna. Probabilmente non è stato per caso che, alla fine, la Apple si
sia rivolta a uno dei suoi fondatori, Steve Jobs, per riprendere la giusta
direzione.
Se gli uomini del marketing mal si combinano con la cultura tecnica, come è
stato possibile per uno come Lou Gerstner arrivare all’IBM e riportarla alla
redditività e alla salute economica? Neppure in questo caso la storia è ancora
completamente nota, ma se si assume una prospettiva culturale si comprende
un fatto chiave. Tom Watson senior, il fondatore, era un venditore, scontento
di lavorare sotto l’autoritario John Patterson, fondatore del National Cash
Register. decise di mettersi in proprio - ed essendo un venditore introdusse
molti dei valori e degli assunti della cultura della vendita e del marketing
(Dyer, 1986). Quando l’IBM, alcuni anni fa, si trovò in difficoltà, furono in
molti, al suo interno, a sostenere che molti problemi nascessero da un
fallimento delle politiche di marketing: assumere un buon CEO era, quindi, il
modo corretto per riprendere slancio. Anche se il lato tecnico dell’IBM nel
tempo ha assunto maggior peso, tuttavia hanno sempre dominato i lati della
vendita e del marketing: ecco perché Gerstner si inserì perfettamente. La
storia della Digital Equipment Corporation verrà raccontata con dovizia di
particolari nel corso del volume, ma per capire quanto sia importante la cultura
è necessario dire già ora che proprio la cultura che aveva reso la DEC una
grande impresa in un periodo di tempo straordinariamente breve, si trasformò
in un limite quando cambiarono la dimensione della struttura, le condizioni del
mercato e la tecnologia. Il mancato adattamento della cultura è stato alla
radice delle difficoltà economiche che, alla fine, hanno condotto la DEC alla
grave inversione di tendenza e alla definitiva acquisizione da parte della
Compaq: sebbene estremamente cosciente della propria cultura, la DEC non è
stata in grado di cambiarla dall’interno.
Passiamo ora a un altro tipo di storia. Nel l950 la Procter & Gamble decise di
diventare un produttore a basso costo. Un previdente manager della
produzione diede pieni poteri a uno staff per esaminare come si potessero
organizzare gli impianti per aumentare sia la produttività sia il livello di
soddisfazione dei lavoratori. Con l’aiuto di consulenti dello sviluppo
organizzativo come Douglas McGregor e Richard Beckhard, si sviluppò un
concetto di industria che dipendeva molto più dal coinvolgimento dei
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lavoratori e da un sistema di premi, ponendo l’enfasi su molteplici
capacità, piuttosto che sulla posizione gerarchica o sul numero di
persone poste sotto supervisione. L’essenza dell’idea era di avere un
impianto visto come un’azienda in sé, con i suoi fornitori e i suoi clienti, e di
gestire questa impresa in modo responsabile.
Lo stesso staff si rese conto che non c’era possibilità di “vendere” un tale
concetto al sindacato o al gruppo più tradizionale dell’amministrazione.
Dovevano perciò cominciare con un nuovo impianto, assumere il loro manager
e insegnargli il nuovo concetto di impianto funzionante come un’azienda che si
autodirige. Sorse così lo stabilimento di Augusta, che ebbe subito un grande
successo. Per moltiplicare questo successo lo staff decise che i potenziali
manager di altri nuovi impianti (e dei vecchi impianti sindacalizzati) avrebbero
dovuto imparare il nuovo sistema tramite un tirocinio per avere la certezza che
lo avessero realmente compreso.
Negli anni successivi un certo numero di nuove fabbriche entrò in attività, ogni
volta con un manager che aveva fatto il tirocinio presso io stabilimento di
Augusta. I nuovi impianti funzionavano bene, mentre quelli sindacalizzati
rimanevano problematici. Alcuni dei più vecchi e saggi manager di Augusta
vennero quindi collocati in questi stabilimenti, per iniziare il processo del
“cambiamento di cultura”, anche se allora non erano queste le parole che
venivano usate. Ogni impianto aveva anche un manager dello sviluppo
organizzativo che riferiva direttamente al manager dell’impianto stesso e che
era stato reclutato fra le file degli impiegati prima di essere istruito in sviluppo
organizzativo.
Il mio lavoro con uno di questi manager mise in risalto il problema. Fino a che
il sindacato non cominciò a fidarsi del management non ci fu alcuna possibilità
di discutere i nuovi modi dei sistemi di produzione, che avrebbero permesso di
tenere conto del lavoro commerciale e delle molteplici capacità - nozioni che
violavano alcuni dei dogmi del sindacato. In una fabbrica ci vollero circa cinque
anni prima che il sindacato decidesse che si poteva fidare del manager e,
quindi, che si potesse iniziare una discussione sul nuovo tipo di contratto. Dopo
parecchi altri anni il sindacato accettò il nuovo sistema e constatò che era un
vantaggio per tutti.
Alcuni anni fa, ho partecipato a un festeggiamento per la conversione al nuovo
sistema dell’ultimo degli stabilimenti sindacalizzati della P&G. L’evento ha
avuto luogo quindici anni dopo il lancio dello stabilimento di Augusta, ma in
questo lasso di tempo è stato raggiunto un reale cambiamento di cultura nella
divisione della produzione. (Non c’è dubbio che fra alcuni anni sentiremo una
storia analoga su come Jack Welch abbia cambiato la cultura della GE, e,
ancora una volta, realizzeremo che un reale cambiamento di questo tipo
richiede un intenso sforzo per parecchi anni).
“Acme Insurance” (uno pseudonimo) illustra le conseguenze di un
cambiamento tecnologico senza che si siano analizzati i vincoli posti dalla
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cultura. Una grande compagnia assicurativa decise di accrescere la propria
competitività divenendo rapidamente un'azienda paperless (Roth, 1993): tutte
le maggiori transazioni avrebbero dovuto essere eseguite, nel prossimo futuro,
via computer. Per realizzare questo cambiamento, venne assunta una manager
del settore informatico, molto dotata e con un provato curriculum.
Le venne assegnato il difficile obiettivo di convertire lo staff dei dipendenti al
nuovo sistema nel giro di un anno, e vennero creati dei moduli di
addestramento per insegnare loro come usare efficacemente il nuovo sistema.
Ma questa manager non era al corrente del fatto che, allo stesso tempo, la
compagnia stava dando inizio a intensi sforzi produttivi, che mandavano ai
collaboratori il segnale che il lavoro dovesse essere svolto normalmente e
che, in aggiunta, dovessero anche riuscire a farsi carico della
formazione. Il risultato fu che la formazione si svolse fuori dalle ore
lavorative, senza entusiasmo, e, peggio ancora, la manager del settore
informatico non fu informata del problema, perché i dipendenti temevano il
rimprovero dei superiori. Alla fine dell’anno la manager annunciò che il sistema
di transazioni paperless era stato installato con successo, ma non sapeva che i
dipendenti erano stati addestrati così mediocremente che richiedeva loro più
tempo usare il computer che la carta, ed effettivamente ci fu un calo della
produttività. Il mancato riconoscimento di alcune profonde realtà della propria
cultura causò a questa organizzazione la perdita di un’enorme quantità di
denaro e un grande sforzo a fronte di un guadagno molto piccolo.
Ho osservato uno scenario simile nella stanza dei bottoni di una grande banca
che aveva installato un archivio computerizzato per ridurre il volume del
materiale cartaceo. I dipendenti avevano i dati sullo schermo dei loro
computer, ma, quando un cliente chiamava per chie dere informazioni, sul
singolo schermo del computer non c’era mai abbastanza documentazione su
cui il dipendente potesse fare affidamento. Per questa ragione gli impiegati
tenevano ampie cartelline di riserva, che tiravano fuori in caso di necessità.
Ogni volta che il manager favorevole all’informatizzazione faceva la sua
apparizione, le cartelline scomparivano, e i dipendenti facevano finta di usare
solo i computer. Questo non era un fallimento tecnologico, era un fallimento
nella comprensione della subcultura che agiva fra il personale.
Questioni culturali nelle fusioni, nelle acquisizioni e nelle joint venture
In queste storie d’apertura la cultura è un problema interno e relativamente
poco visibile. Quando organizzazioni, che hanno sviluppato la loro cultura, ne
acquisiscono altre, tentano di fondersi o si impegnano in vari tipi di
associazione e joint venture, la questione della cultura diviene più vistosa ed
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evidente. Comunque, sorprendentemente, alla cultura viene prestata scarsa
attenzione prima della creazione della nuova organizzazione. Quando questa
comincia a funzionare, si sente dire la frase retorica “prenderemo il meglio da
entrambe le culture”, ma un attento esame dei fatti ci porta in una diversa
direzione.
Sembra che in tutti i casi in cui le culture si devono combinare, ci siano tre
possibili strade: la separazione, la dominazione, la commistione.
1. Culture separate
La prima possibilità è che le culture rimangano separate in conglomerati che
permettono alle società controllate di mantenere la propria identità specifica.
Alcuni anni fa mi è stato chiesto dal governo svedese di tenere un seminario
per dirigenti di alto livello delle industrie locali, di proprietà del governo, per
decidere se dovessero intraprendere lo sforzo di creare una “cultura comune”.
Dopo lunghe discussioni sui disparati elementi della costruzione delle navi,
sull’attività mineraria, sul l’imbottigliamento dell’acqua e così via, risultò chiaro
che una cultura comune era non solo una cattiva idea, ma probabilmente era
anche impossibile da realizzare. I partecipanti furono d’accordo nell’affermare
che i dirigenti di alto livello in ogni industria dovevano essere considerati
“proprietà dell’azienda” e dovevano essere disponibili in qualunque industria
avesse bisogno di loro. Ma anche così decisero che sarebbe stato pericoloso
spostare tali dirigenti dall’impresa nella quale avevano raggiunto il successo.
Un altro caso svedese riguarda un’impresa di serrature che stava comprando
altre aziende simili in tutta Europa, ma lasciandole aggressivamente da sole nascondendo la sua proprietà nella convinzione che i clienti avessero bisogno
di mantenere fiducia nell’impresa di serrature con la quale avevano sempre
trattato.
In questi casi le culture hanno bisogno di essere “allineate”, nel senso
che non devono lavorare a obiettivi opposti l’una con l’altra. Questo è facile se i
proprietari devono amministrare l’azienda attraverso limitati legami finanziari.
Diviene più difficile nelle partnership o joint venture dove le case madri hanno
culture diverse. In uno studio su cinquantacinque (proprietà) joint venture con
case madri di paesi diversi, sono state trovate scarsissime prove di
commistione iniziale (Saik, 1992). In una joint venture tedesco - statunitense,
i due gruppi nazionali si aggrapparono al proprio modo di fare le cose per
parecchi anni, fino a che una crisi nelle relazioni industriali li costrinse a
collaborare e a elaborare un nuovo modo di lavorare che in realtà attirò
l’attenzione sulle reciproche capacità e modi di fare le cose. In una joint
venture italo - canadese i due gruppi lavorarono insieme per almeno un
decennio senza alcuna integrazione dal punto di vista culturale. Ogni gruppo
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parlava male dei modi degli altri, ma siccome le condizioni economiche erano
favorevoli, non esisteva alcun incentivo per fare reali sforzi in direzione
dell’integrazione.
Ho lavorato con la Ciba-Geigy verso la fine degli anni Settanta. Erano passati
circa venti anni da quando la Ciba si era unita con la Geigy e tuttavia molti
manager si identificavano ancora completamente nell’impresa da cui
provenivano. Si sentivano liberi di criticare la nuova azienda come se non
avessero tratto vantaggi da alcuni dei “migliori” modi di fare dell’altra impresa.
2. Cultura dominante
La seconda possibilità in una fusione di imprese è che una cultura domini
sull’altra. In alcuni casi questo è esplicito, ad esempio quando un’impresa ne
acquisisce un’altra. Quando la Intel comprò uno stabilimento per la produzione
di semiconduttori della DEC, la nuova proprietà annunciò che l’impianto
avrebbe d’ora in poi operato secondo il metodo Intel - e questo fu quanto.
Quando la Hewlett - Packard comprò la Apollo, ne addestrò obbligatoriamente i
dipendenti affinché adottassero la “via HP”. Illustrerò la situazione usando il
caso Apollo-HP. Ho lavorato con un gruppo di manager della divisione
computer a Palo Alto (California) e mi era stato detto che la via HP richiedeva
al personale di essere gentili gli uni con gli altri, e di raggiungere il consenso
unanime nelle riunioni. Se si faceva resistenza con troppa forza, dicevano, il
capo ti avrebbe preso da parte per dirti che non eri un “giocatore di squadra”.
Alcuni mesi più tardi sedevo accanto a una giovane donna che era andata a
lavorare per la Apollo in Massachusetts e le chiesi se le piaceva. Disse che si
trovava bene, ma che era preoccupata dal fatto che non si potesse essere
realmente espliciti o comunicare in modo diretto il proprio punto di
vista. Le chiesi cosa sarebbe successo se avesse continuato a discutere per
sostenere il suo punto di vista e lei mi disse letteralmente: “Il capo ti prenderà
da parte e ti dirà che non sei un giocatore di squadra”.
Qualcuno vede meno prevaricazione nella cosiddetta unione degli uguali? O
ogni unione è una acquisizione - non importa la retorica sul prendere il meglio
da ogni cultura? Nella mia personale esperienza, una cultura è sempre
dominante, ma realtà può rimanere nascosta per un certo tempo proprio
a causa della retorica. Sarà interessante analizzare come parecchie fusioni
attuali si risolveranno da questo punto di vista: British Petroleum e AMOCO,
Chrysler e Daimler Benz; NYNEX e Bell Atlantic. Nello studio effettuato su
cinquantacinque casi di joint venture (Salk, 1992) si è rilevato che la sola
organizzazione che non sia rimasta culturalmente separata (una partnership
franco - tedesca) era dominata dai francesi, perché la sede dell’organizzazione
era in Francia.
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3. Commistione di culture
La terza possibilità è che le culture si mescolino, o si integrino. Il mischiarsi, il
prendere il meglio da entrambe le culture è solitamente l’auspicabile risultato
cui si dice di aspirare. Ciò che accade in pratica è, di solito, più
complesso e incerto. Un livello di commistione è la creazione di una
nuova, sovrapposta serie di valori, e la sua “vendita” alle varie unità
culturali. Come vedremo in seguito, questo funziona solo in certe circostanze.
A un altro livello, la nuova organizzazione cerca di valutare i suoi vari sistemi e
le sue procedure l’una rispetto all’altra e rispetto a ciò che è esternamente
percepito come “pratica migliore”, per creare e standardizzare nuove
procedure attraverso l’organizzazione che ne risulta. Spesso la nuova
organizzazione prende il sistema di contabilità dalla casa madre, il sistema
delle risorse umane dall’altra e così via. Per equilibrare il potere e mantenere
l’immagine della fusione, il direttore spesso arriva da un’impresa e il presidente
dall’altra, oppure viene annunciato un sistema di successione che selezioni i
dirigenti alternativamente dalle due organizzazioni. Queste mosse
preservano l’immagine pubblica di una fusione, ma la reale
commistione delle culture non può essere presupposta dalla
standardizzazione dei sistemi. Infatti, la ben nota resistenza ai
cambiamenti nelle nuove organizzazioni è quasi sempre basata sul dato che i
problemi culturali non sono stati per nulla considerati al momento di prendere
decisioni sulla procedura da seguire. Nel caso di una fusione si scoprì che
un’impresa pagava salari molto alti ma si opponeva energicamente all’acquisto
di azioni e altre forme di benefit a causa della profonda convinzione che
non si dovessero promettere prospettive di impiego a lungo termine né
ci si dovesse aspettare lealtà dai dipendenti. L’altra impresa era cresciuta,
invece, con la convinzione che il personale andasse valorizzato come risorsa di
lunga durata, e pertanto aveva adottato un sistema basato su bassi salari,
accompagnato dall’emissione di azioni gratuite e dall’elargizione di premi. Non
c’era modo di unire queste due filosofie. Una doveva avere la meglio sull’altra.
Come dimostra il prossimo caso, qualche volta vincere porta a risultati
disastrosi.
Due società giovani nel campo dell’high tech si unirono dopo aver ottenuto
successi indipendenti nella prima decade della loro esistenza. Il fondatore
dell’azienda A credeva nel lavoro di squadra, nel consenso unanime, nel dare
pieni poteri e nell’aver fiducia nelle capacità dei dipendenti. Il fondatore
dell’azienda B riteneva invece che il personale dovesse essere molto
disciplinato, il che richiedeva una gerarchia ben funzionante. Ciascuna impresa
aveva sviluppato una struttura direttiva che rifletteva queste convinzioni. B
aveva acquisito A per appropriarsi di tutto il talento tecnico. Senza riflettere
sufficientemente sulla faccenda, il presidente di B impose il suo sistema
dirigente di definita gerarchia, stretto controllo e disciplina sulla forza lavoro
appena acquisita - solo per assistere a un esodo massiccio, sei mesi più tardi,
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proprio delle persone che aveva sperato di trattenere. È stata una costosa
lezione sui rischi che si corrono quando si ignora la cultura.
Aziende agli inizi, di mezza età e vecchi dinosauri
La cultura assume un’importanza diversa a seconda degli stadi di evoluzione
organizzativa. Un’impresa giovane e in crescita cerca di stabilizzare e far
proliferare la cultura che considera alla base del suo successo. La cultura è la
fonte principale dell’identità dell’organizzazione, e pertanto ci si aggrappa a
essa, anche in modo eccessivo, proprio come gli adolescenti si aggrappano
all’identità dei loro compagni. Le giovani organizzazioni sono anche
tipicamente sotto il controllo del proprio fondatore, il che significa che la
loro cultura è grosso modo il riflesso delle sue convinzioni e dei suoi valori.
Anche se il successo conduce a una più ampia accettazione di quelle
convinzioni e di quei valori nell’intera popolazione, si deve riconoscere che una
sfida a ogni elemento culturale equivale a mettere in discussione il
fondatore o il proprietario dell’organizzazione. Quegli elementi culturali
divengono dogmi e sono difficili da cambiare, pertanto il cambiamento di
cultura è soprattutto un problema di evoluzione e rafforzamento degli elementi
culturali, come viene discusso nel capitolo 5.
Un’organizzazione di mezza età può essere pensata come se avesse avuto
parecchie generazioni di manager professionisti incaricati dai comitati esterni, i
cui membri sono di solito in debito con diversi azionisti. Con ogni probabilità
una tale organizzazione evolve verso unità multiple basate sulle funzioni, i
prodotti, i mercati o le geografie e queste unità sviluppano verosimilmente le
loro subculture. Pertanto il problema della cultura nelle organizzazioni di
mezza età è triplice:
1. Come mantenere quegli elementi della cultura che continuano a essere
adattabii e collegati al successo dell’organizzazione
2. Come integrare, mescolare o almeno allineare le varie subculture
3. Come identificare e cambiare quegli elementi culturali che potrebbero
divenire via via meno funzionali a causa del cambiamento delle condizioni
dell’ambiente esterno.
A questo livello c’è una grandissima necessità di valutare accuratamente la
cultura al fine di mantenerne alcuni aspetti mentre se ne cambiano altri.
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L’organizzazione richiede anche intuito e abilità per produrre cambiamenti
“pilotati” di alcuni elementi culturali mentre se ne mantiene il nucleo.
Il cambiamento di cultura diventa trasformazione perché i vecchi elementi
devono essere dimenticati.
Quando le imprese invecchiano, se non si evolvono, non si adattano e non
cambiano gli elementi della loro cultura, divengono via via meno adatte e la
cultura diviene un limite all’imparare e al cambiare. La dirigenza si
aggrappa a qualunque cosa ne abbia deciso il successo. Proprio la cultura che
aveva creato il successo rende difficile per i membri del personale accorgersi
dei cambiamenti nell’ambiente che richiedono nuove risposte. La cultura
diventa un limite per la strategia. Un’industria di aerei, che arrivò quasi al
fallimento con uno dei suoi modelli commerciali, ebbe un grande successo
nell’industria della difesa. Nacquero nuove opportunità per gli aerei
commerciali, ma il consiglio di amministrazione e i massimi dirigenti non
furono neppure in grado di prendere in considerazione il ritorno alla produzione
commerciale a causa del forte ricordo del disastro di parecchi decenni prima.
Il problema della cultura nelle imprese più vecchie è come impegnarsi in
massicce trasformazioni, spesso sotto grande pressione, per evitare seri danni
economici. Il processo di trasformazione è sostanzialmente lo stesso
nelle imprese di mezza età in salute, ma il tempo richiesto e la
quantità di cambiamenti necessari spesso affrettano il ricorso a misure
drastiche (di solito definite “svolte”). Il rapido disimparare e accantonare cose
che avevano valore è per molti dipendenti troppo difficile; o lasciano l’impresa
o vengono allontanati perché oppongono troppa “resistenza” ai cambiamenti.
Se il tentativo di pilotare il cambiamento non riesce, l’organizzazione può
arrivare al fallimento e ricominciare da capo, costruire una nuova cultura con
una nuova direzione o essere acquistata e trovare una nuova cultura che le
viene imposta.
Dove risiede la cultura?
La cultura è la proprietà di un gruppo. Ogni volta che un gruppo ha abbastanza
esperienza in comune comincia a formarsi una cultura. Culture si trovano al
livello di piccole équipe, di famiglie [Nota di PM: professionali?] e di gruppi di
lavoro. Culture sorgono anche a livello di dipartimenti, di gruppi funzionali e di
altre unità organizzative che hanno un comune nucleo di occupazione ed
esperienza. Si trovano culture a ogni livello gerarchico. La cultura esiste a
livello dell’intera organizzazione, se c’è una storia sufficientemente condivisa.
Si trova anche al livello di una intera industria a causa del bagaglio
professionale condiviso dai lavoratori di tutta l’industria. Infine, la cultura
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E. Schein "Culture d'impresa”
esiste a livello regionale e nazionale, a causa della lingua comune, del
background etnico, della religione e delle esperienze condivise.
Una persona in quanto individuo, quindi, è un’entità multiculturale e mostra
differenti comportamenti culturali a seconda di quanto viene richiesto dalla
situazione. Ma se questa persona passa la maggior parte sua vita facendo un
certo lavoro, in una certa organizzazione, assorbe parecchi temi culturali
condivisi dagli altri nell’ambiente di lavoro o nell’organizzazione. Pertanto la
chiave per capire se esiste o meno una cultura è cercare la presenza di
esperienze comuni e di un comune bagaglio culturale. La cultura è
importante a questo livello perché le convinzioni, i valori e il comportamento
de gli individui sono spesso compresi solo all’interno del contesto delle identità
culturali della gente. Per spiegare il comportamento individuale bisogna
andare oltre la personalità, e cercare l’appartenenza a un gruppo e le
culture che gli sono proprie.
Conclusioni
La cultura è importante perché è un insieme di forze potenti, nascoste e spesso
inconsce, che determinano il nostro comportamento individuale e collettivo, i
modi della percezione, lo schema del pensiero e i valori. La cultura
organizzativa in particolare è importante perché gli elementi culturali
determinano strategie, obiettivi e modi di agire. I valori e lo schema di
pensiero di leader e dirigenti sono in parte determinati dal loro bagaglio
culturale e dalle loro esperienze comuni. Se si vuole rendere una
organizzazione più efficiente ed efficace, allora si deve comprendereil ruolo
giocato dalla cultura nella vita organizzativa. Ma, in ogni caso, cos’è la cultura?
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2. Cos’è la cultura, in ogni caso?
Il maggior pericolo nel cercare di comprendere la cultura è di
semplificarla eccessivamente nelle nostre menti. È allettante - e a certi livelli
giusto - dire che la cultura è solo “il modo in cui facciamo le cose da queste
parti”, “i riti e i rituali della nostra impresa”, “il clima dell’impresa”, “il sistema
di premi”, “i nostri valori fondamentali” e così via. Tutte queste sono
manifestazioni della cultura, ma nessuna esprime il livello in cui la cultura è
importante. Un modo migliore di pensare alla cultura è rendersi conto che
esiste a parecchi “livelli”, e che dobbiamo capirne e gestirne quelli più profondi
(come è illustrato nella figura 2.1).
Tre livelli di cultura
I livelli di cultura vanno dal più visibile a quello più nascosto e sottinteso.
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Primo livello: artefatti
Il livello più immediato di osservazione quando si entra in un’organizzazione è
quello degli artefatti: quello che si vede, si ascolta e si prova quando si va in
giro. Si pensi ai ristoranti, agli alberghi, ai negozi, alle banche, alle
concessionarie di automobili. Si osservino le reazioni emotive all’architettura,
all’arredamento e al clima, basandosi sul comportamento delle persone fra loro
e con esterni. Si può intuire immediatamente che differenti organizzazioni
agiscono in modo diverso. In una organizzazione (chiamiamola Action
Company), le persone sono costantemente in riunione, non ci sono muri o
porte chiuse, sono vestite in maniera informale, c’è intensità di sentimenti
tutt’attorno, e si ha una sensazione di azione che scorre veloce. In un’altra
organizzazione, la Multi Company, ogni cosa è formale. Le persone stanno
dietro a porte chiuse, le conversazioni sono bandite, l’abbigliamento è formale
e si ha una sensazione di attenta riflessione e movimento lento. Come cliente o
nuovo dipendente, possono piacere l’una o l’altra di queste organizzazioni; si
può pensare che la Action e la Multi abbiano differenti culture. Ma bisogna
stare attenti. Quello che si sa per certo è che hanno particolari modi di
presentarsi e avere a che fare l’una con l’altra. Quello che non si sa è cosa
questo significhi.
In altre parole, a livello di artefatti la cultura è molto chiara e ha un
immediato impatto emotivo. Ma non si sa veramente perché i membri
dell’organizzazione si comportino in questo modo e perché ogni
organizzazione sia costruita così. Non si può realmente decifrare cosa sta
capitando solo andando in giro e osservando. Bisogna essere in grado di
parlare con chi vi lavora e porre domande su quanto si osserva e si percepisce.
Questo conduce al successivo livello di cultura.
Secondo livello: valori dichiarati
Si immagini di essere un dipendente o un manager a cui è appena stato offerto
un lavoro alla Action o alla Multi. Se ne sa abbastanza della cultura
dell’impresa scelta sulla base degli artefatti e dei modelli di comportamento, o
si dovrebbe scavare più a fondo? Scavare più a fondo significa cominciare
a fare domande sulle cose che hanno valore per l’organizzazione.
Perché si agisce in un certo modo? Perché la Action crea spazi aperti negli uffici
mentre la Multi colloca tutti dietro porte chiuse? Queste domande devono
essere poste specialmente su quegli artefatti che rendono perplessi o
che paiono incoerenti rispetto a quello che ci si aspetterebbe. A questo fine
si ha bisogno di trovare dipendenti che possano spiegare l’organizzazione.
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La prima cosa che si impara è ciò che nella figura 2.1 ho etichettato come
“valori dichiarati”.
Alla Action potrebbero dire che credono nel lavoro di squadra, che non si può
arrivare a buone decisioni senza discutere nei dettagli quello che è il punto di
vista di ciascuno e ottenere un consenso da parte di coloro che devono rendere
effettive le decisioni e pertanto deve essere semplice per i dipendenti
comunicare fra loro. Potrebbero addirittura dire che questi valori discendono
direttamente dal fondatore dell’azienda e che una volta nella storia
dell’impresa questi aveva anche proibito la presenza delle porte agli uffici. In
questa azienda le riunioni tendono a essere libere per tutti e a elevato
coinvolgimento emotivo. Potrebbero anche fornire qualche documento,
opuscolo o breve saggio in cui vengono descritti i valori, i principi, l’etica, la
visione. Potrebbe venir detto che questi documenti costituiscono la cultura e
riflettono i loro valori di base: integrità, lavoro di squadra, orientamento al
cliente, qualità del prodotto e così via.
Alla Multi potrebbero invece dire che non si può giungere a decisioni valide
senza un’attenta riflessione e che loro apprezzano la privacy e l’opportunità per
gli impiegati di riflettere a fondo prima di intraprendere un’azione. Si sentirà
forse dire che questo approccio è necessario perché la natura della loro
tecnologia è tale per cui il solo modo per raggiungere una buona decisione è la
ricerca e la riflessione individuale. In questa compagnia le riunioni hanno un
andamento formale durante il quale sostanzialmente i superiori annunciano le
decisioni prese e quanto ora deve essere eseguito dai dipendenti. Anche la
Multi potrebbe fornire vari artefatti che presumono di descrivere i valori e i
principi della compagnia. Ma ora arriva la sorpresa: la lista della Multi è
praticamente identica a quella della Action. Anche la Multi è orientata al
cliente, ci tiene al lavoro di squadra, alla qualità del lavoro, all’integrità e così
via. Cosa sta succedendo? Come è possibile che due organizzazioni che
dichiarano di abbracciare gli stessi valori abbiano differenti organizzazioni dello
spazio fisico e differenti stili di lavoro?
Avendo letto parecchio sulla cultura, nella letteratura divulgativa, si è ora
tentati di indovinare che le due organizzazioni possono rientrare in una
“tipologia”. Chiaramente la Multi è una organizzazione del tipo comando – e controllo, mentre la Action sembra essere un tipo di organizzazione a struttura
più piatta, basata sul lavoro di squadra, nella quale i dipendenti sentono di
essere empowered in prima persona. Si potrebbero avere reazioni emotive di
fronte a queste etichette, sulla base delle proprie esperienze e dei propri valori
e così ci si potrebbe sentir pronti a concludere che si comprendono queste due
culture e sentirsi in grado di fare una scelta. Ma non si deve cedere alle
tentazioni: non si può ancora capire nessuna di queste due organizzazioni al
più profondo livello culturale.
La tipologia potrebbe in realtà portare fuori strada. Tutto quello che si sa è
che i loro artefatti sono abbastanza differenti ma, paradossalmente, i
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valori da loro dichiarati esplicitamente sono abbastanza simili. Inoltre,
più si va in giro facendo domande, più si noteranno ovvie incongruenze fra
alcuni dei valori dichiarati e il comportamento visibile. Entrambe le
organizzazioni abbracciano il lavoro di squadra, tuttavia entrambe sembrano
avere premi, promozioni e un sistema di incentivi altamente competitivi e
individualistici. Entrambe le imprese sono customer oriented, però nessuna
produce prodotti particolarmente facili da capire o da usare, e in nessuna il
personale sembra particolarmente gentile o orientato al servizio.
Ciò che queste incongruenze comunicano è che un livello più profondo di
pensiero e percezione sta guidando il comportamento pubblico. Il più
profondo livello potrebbe o meno essere incongruente con i valori e i principi
dichiarati dall’organizzazione. Se si vuole comprendere la cultura, si deve
decifrare cosa sta succedendo a un livello più profondo.
Terzo livello: assunti taciti condivisi
Per comprendere il livello più profondo, si deve pensare a queste
organizzazioni con una prospettiva storica: nel passato dell’impresa quali
erano i valori, le convinzioni, gli assunti dei fondatori e dei leader che ne hanno
creato il successo? Le organizzazioni sono state avviate da individui o piccoli
gruppi che inizialmente hanno imposto le proprie convinzioni, valori e assunti
sulle persone che vi sono state chiamate a lavorare. Se i valori e gli assunti dei
fondatori non sono in linea con ciò che l’ambiente dell’organizzazione permette
e offre, l’organizzazione non ha successo e per prima cosa non svilupperà mai
una cultura. Ma si immagini che il fondatore della Action, che crede che la
gente debba discutere in dettaglio e condividere tutte le decisioni, crei un
insieme di prodotti e servizi che hanno successo sul mercato, queste
convinzioni e valori divengono gradualmente condivisi e dati per scontati.
Diventano taciti assunti sulla natura del mondo e su come avervi successo.
Supponiamo che alla Multi il fondatore sia uno scienziato in possesso di un
brevetto che ha creato un incisivo processo di produzione che, come risultato,
porta beni e servizi di cui il mercato ha un elevato bisogno e che saranno
acquistati immediatamente, non appena disponibili. Questo fondatore vuole
un’organizzazione altamente disciplinata che possa efficacemente eseguire il
progetto che ha in mente o sulla carta.
Attira persone favorevoli a disciplina e ordine che, quando ottengono il
successo, arriveranno a dare per scontato il fatto che gerarchia, disciplina e
ordine sono il solo modo per l’efficace gestione di un’organizzazione.
In altre parole l’essenza della cultura è costituita da valori, convinzioni e
assunti imparati insieme che divengono comuni e dati per scontati
mentre l’impresa continua ad avere successo. È importante ricordare che
sono il risultato di un processo congiunto di apprendimento. In origine erano
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soltanto nella mente del fondatore e dei leader. Diventano comuni e scontati
solo quando i nuovi membri dell’organizzazione comprendono che sono state le
convinzioni, i valori e gli assunti dei loro fondatori a condurre al successo
organizzativo, e che quindi devono essere “giusti”.
Per comprendere queste due culture, come qualunque cultura, bisogna portare
alla luce alcuni degli assunti che operano senza che i membri ne siano
consapevoli, perché hanno cominciato a essere dati per scontati. Se si
descrivono alla Multi le persone della Action (e viceversa) ci si sentirà dire che
l’altro gruppo “sta sbagliando tutto”. Si ricordino gli esempi con cui si è aperto
il primo capitolo. Il nuovo CEO della Atari non aveva compreso il tacito assunto
per cui i prodotti (computer e video game) erano il risultato di uno sforzo di
gruppo.
Sculley non aveva compreso che alla Apple gli ingegneri presumevano che solo
un altro ingegnere fosse in grado di capire realmente il loro lavoro. La
manager del settore informatico, che aveva introdotto l’ufficio paperless alla
Acme Insurance, non aveva capito il tacito assunto secondo cui riuscire a
portare a termine il proprio normale lavoro aveva sempre la priorità sulla
formazione, che gli obiettivi di breve durata erano sempre più
importanti dei miglioramenti produttivi di lungo termine. La DEC non
aveva compreso che gli assunti che avevano determinato una rapida crescita
potevano andare contro la funzionalità quando era diventata un’impresa più
grande e strutturata. La squadra che ha coordinato il cambiamento alla P&G
aveva invece compreso che gli impianti sindacalizzati non avrebbero adottato
un nuovo metodo fino a quando non avessero sviluppato fiducia nel
management e che la cultura di questi impianti si era costruita sulla
base della sfiducia verso i dirigenti in un arco di tempo di decenni, per
cui, per prima cosa, avrebbero dovuto creare nuovi assunti e mostrare che il
nuovo sistema di produzione, in realtà, portava vantaggi ai lavoratori
sindacalizzati.
Implicazioni del considerare seriamente la cultura
Le implicazioni di questo modo di pensare alla cultura sono profonde. Da una
parte si comincia a capire che la cultura è così stabile e difficile da cambiare
perché rappresenta le lezioni via via apprese da un gruppo - i modi di
pensare, i sentimenti e le percezioni del mondo che hanno portato al
successo del gruppo. Dall’altra si comprende che le parti importanti di una
cultura sono essenzialmente invisibili. A questo più profondo livello, si può
pensare alla cultura come ai modelli mentali che i membri di
un’organizzazione considerano comuni e danno per scontati: essi non
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potrebbero immediatamente spiegare cos’e la loro cultura più di quanto un
pesce, se potesse parlare, saprebbe dire cos’è l’acqua.
Forse, e questa è la cosa più importante, si comincia a capire che non esiste
una cultura giusta o sbagliata, non c’è una cultura migliore o peggiore, se non
in relazione a quello che l’organizzazione sta cercando di fare e a quello che
permette l’ambiente in cui si trova a operare. Tutte le discussioni di carattere
generale che si trovano nella letteratura divulgativa - sul basarsi
maggiormente sulla squadra o sul creare un’organizzazione di apprendimento o
sul conferire maggior empowerment ai dipendenti - non sono valide a meno
che non mostrino come l’assunto fondamentale su cui questi “nuovi valori”
sono basati si adatti all’ambiente in cui le organizzazioni devono funzionare. In
alcuni settori di mercato e con alcune tecnologie, il lavoro di squadra e
l’empowerment del personale sono essenziali e sono il solo modo in cui
l’organizzazione può continuare ad avere successo. In altri settori di mercato o
con altre tecnologie, invece, una severa disciplina e relazioni altamente
strutturate sono i prerequisiti per arrivare al successo. Non c’è una cultura
migliore o giusta, come illustra l’esempio della Digital Equipment.
Un esempio: la Digital Equipment Corporation
Un esempio chiarisce come gli assunti culturali che hanno condotto al successo
in un certo ambiente possano perdere la loro funzionalità quando si verifica un
cambiamento.
Quando la DEC era agli inizi, stava effettivamente partecipando a creare il
mercato dei computer. Nessuno sapeva con certezza quali fossero i prodotti
giusti e cosa i clienti avrebbero voluto nel lungo periodo. I profondi assunti su
cui la DEC venne costruita erano che:
Si deve iniziare con persone intelligenti e flessibili
Le persone intelligenti devono discutere in riunioni con un alto grado di
confronto perché nessuno è sufficientemente intelligente da prevedere ogni
cosa da solo e le cose in ogni caso non vengono eseguite correttamente a
meno che tutti non partecipino alla decisione
Anche le decisioni dibattute a fondo possono essere sbagliate e il singolo
dipendente non può eseguire la decisione se questa non ha senso; lui o lei
dovrebbe invece “respingerla” affinché la decisione venga ripensata. E, in
ogni caso, si deve prendere la decisione giusta, anche se questo significa
essere insubordinati. Per fare tale lavoro bisogna che tra il personale circoli
la fiducia.
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Ne risulta l’assunto: “Siamo una grande famiglia che può prendersi cura gli
uni degli altri, e le persone non possono smettere di farne parte anche se
commettono grossi errori”.
Questi assunti insieme crearono un incredibile senso di empowerment a tutti i
livelli dell’organizzazione, e un’atmosfera di coinvolgimento che diede vita a
un’impresa di grande successo. Questo insieme di assunti aveva funzionato
benissimo e infatti è diventato il modello su cui molte delle giovani aziende di
computer hanno basato la loro organizzazione. Si può vedere l’origine di questi
assunti e valori nella professione degli ingegneri, specialmente nei valori
pragmatici ed egualitari degli ingegneri elettronici che hanno fondato molte di
queste realtà.
Ma raggiungere il consenso con questi mezzi è un processo lento e
spesso faticoso. Trattative di successo e consenso dipendevano in larga parte
dalla fiducia che si sviluppava nella “famiglia”, e che si basava sui fatto che i
membri conoscevano lo stile gli uni degli altri. Se il progettista hardware
chiedeva alla sua controparte, che si occupava di software, se il software
sarebbe stato pronto in sei mesi e otteneva risposta affermativa, sapeva se
questo significava letteralmente sei mesi, o se invece voleva dire forse nove
mesi o forse mai a meno che lui non continuasse a fare pressione sul suo
collega. Gli ingegneri e i manager erano funzionalmente “familiari” gli uni con
gli altri, sapevano come calibrarsi a vicenda grazie all’avere lavorato insieme
per un certo periodo di tempo.
Se era stata presa una decisione e lungo la strada qualcuno la metteva in
discussione, era poi suo dovere respingerla e prendere la decisione giusta
(come gli assunti profondi volevano). Questo processo spesso chiariva le
decisioni e le migliorava, ma richiedeva molto più tempo e funzionava solo se
la familiarità funzionale fra le parti era alta e se erano sicuri che l’altro non
sollevasse obiezioni insignificanti. Questo modello di lavoro ebbe un enorme
successo e proiettò la DEC nei “Fortune 50”.
Ma il successo portò la crescita, e con la crescita dell’organizzazione il dibattito
avveniva sempre più con esterni che con fidati colleghi. L'intimità funzionale
divenne rara e venne rimpiazzata da rapporti formali, da controlli reciproci e da
giochi di potere per far sì che le cose accadessero. Contemporaneamente, la
tecnologia stessa era diventata più complessa e richiedeva il passaggio da un
ambiente in cui singoli ingegneri progettavano prodotti completi a uno in cui un
gruppo di ingegneri doveva coordinare i propri sforzi per costruire i complessi
prodotti che la tecnologia rendeva possibili e desiderabili. Gli ingegneri molto
competitivi, individualistici e creativi si trovarono a dover sempre più
coordinare la loro parte del progetto con altri, di cui non sempre rispettavano
le idee. Era arduo mantenere il senso di coinvolgimento e impegno che
caratterizzava i piccoli progetti ora che, invece, si trattava di progetti più ampi,
con varie parti che dovevano essere coordinate in maniera disciplinata. Se
all’inizio della storia della DEC gli ingegneri erano i re e dominavano le
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decisioni, quando il volume di affari aumentò, altre funzioni, come la finanza e
il marketing, divennero più potenti e il risultato fu un conflitto fra i vari gruppi
a contatto.
Il successo della DEC attrasse concorrenti e, poiché il computer diveniva
sempre più una merce d’uso comune, il time – to - market e il costo dello
sviluppo e della produzione diventarono fattori estremamente rilevanti. Queste
forze esterne resero gli assunti iniziali sull’autonomia e il potere dell’individuo
sempre meno funzionali. A livello teorico, la dirigenza della DEC
riconobbe queste nuove forze e discusse della possibilità di
organizzarsi in unità più piccole, nelle quali gli assunti originali in cui
la gente credeva potessero essere ancora realizzati. Ma per una serie di
ragioni l’organizzazione non fu in grado di spezzare la famiglia in famigliole più
piccole, e così, rimanendo un’unica larga unità, si venne a creare un processo
politico in cui crebbero le fazioni avverse e la sfiducia prese il posto dell’intimità
funzionale da cui la cultura dipendeva.
Il controllo centrale divenne ancora più difficile. Costi eccessivi, lentezza
rispetto al time – to - market e incapacità di sviluppare una strategia coerente
in un mercato sempre più complesso causarono una serie di problemi finanziari
fino a che, alla fine, negli anni Novanta, la DEC conobbe un deciso
cambiamento della dirigenza e abbracciò una struttura più gerarchica che
avrebbe permesso la disciplina e l’efficienza richiesti dal mercato. (Il modo in
cui si arrivò a questo viene discusso nel capitolo 7, che tratta dei cambiamenti
di cultura.)
La lezione che se ne trae è che la bontà di una cultura dipende dal livello al
quale gli assunti taciti comuni creano il tipo di strategia e di organizzazione che
è funzionale nell’ambiente dell’organizzazione. Se una persona che preferisce il
tipo di organizzazione aperta e con molto confronto, rappresentato dalla DEC,
fosse andata a lavorare là negli anni Settanta, si sarebbe trovata come a una
festa. Se fosse stata lì con la stessa disposizione mentale negli anni Novanta,
avrebbe potuto trovarsi senza lavoro.
Quindi, cos’è la cultura?
Lasciatemi riassumere ritornando alla figura 2.1. Ciò che realmente guida la
cultura - la sua essenza - sono gli assunti acquisiti, condivisi e taciti su
cui la gente basa il proprio comportamento quotidiano. Ciò che ne risulta
è quello a cui comunemente ci si riferisce come “il modo in cui facciamo le cose
da queste parti”, ma neanche i dipendenti dell’organizzazione possono, senza
aiuto, ricostruire gli assunti su cui riposa il comportamento quotidiano. Sanno
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solo che quello è il modo e ci fanno assegnamento. La vita diviene
prevedibile e acquista un significato. Se si comprendono questi assunti è
facile vedere come essi portano al genere di artefatti comportamentali che si
osservano. Ma fare il percorso inverso è molto difficile: non si possono
dedurre gli assunti solo dall’osservazione del comportamento. Se
davvero si vuole comprendere la cultura, si deve cominciare un processo
che comporta l’osservazione sistematica e il parlare con i dipendenti
per poter rendere espliciti gli assunti taciti (si veda il capitolo 4).
Implicazioni pratiche
Quindi, cosa si dovrebbe fare in modo differente domani?
Si prenda un po’ di tempo per riflettere sul proprio concetto di cultura e lo si integri con alcune
delle prospettive di questo capitolo. Si pensi all’organizzazione presso cui si lavora e si veda se si
può arrivare a qualcuno dei suoi valori dichiarati e dei suoi assunti taciti e condivisi. Si cominci
pensando agli artefatti da cui si è circondati. Si localizzino cose che rendono perplessi. Si chieda a
qualcuno che lavora lì da molto tempo perché le cose sono in un certo modo. Si cerchi di vedere la
cultura con gli occhi di un esterno (ma per il momento si cerchi di non darne un giudizio e di non
pensare a dei cambiamenti).
Conclusioni
Il concetto di cultura a più livelli rende chiaro che essa è un concetto
complesso, che richiede l’analisi di ogni livello prima di poter essere compreso.
Il più grosso rischio, nel lavorare con la cultura, è quello di semplificarla
eccessivamente e non vederne parecchie sfaccettature di rilievo.
1. La cultura è profonda. Se la si considera un fenomeno superficiale, se si
pensa di poterla manipolare secondo la propria volontà si è sicuri di fallire.
Inoltre, la cultura controlla più di quanto sia controllabile. La si vuole in un
certo modo perché è la cultura che dà significato e prevedibilità alla vita
quotidiana. Quando si impara cosa funziona, si sviluppano convinzioni e
assunti che alla fine non saranno più coscienti e diventeranno tacite regole
su come fare le cose, come pensarle e come sentirsi.
2. La cultura è ampia. Quando un gruppo impara a sopravvivere nel proprio
ambiente, impara qualcosa anche sugli aspetti delle sue relazioni interne ed
esterne. Convinzioni e assunti danno forma alla vita quotidiana, al modo in
cui si può andare d’accordo con il capo, al tipo di atteggiamento che si
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dovrebbe avere nei confronti dei clienti, alla natura della carriera
nell’organizzazione, a cosa serve per andare avanti, a quali sono i dogmi e
così via. Decifrare la cultura può, pertanto, essere un compito senza fine. Se
non si hanno scopi e ragioni per voler comprendere la propria
organizzazione, il compito sarà sconfinato e frustrante
3. La cultura è stabile. I membri di un gruppo vogliono mantenere i propri
assunti culturali perché essi forniscono significato e rendono la vita
prevedibile. Agli esseri umani non piacciono le situazioni caotiche e
imprevedibili e si sforzano di stabilizzarle e “normalizzarle”. Ogni
possibile cambiamento culturale, quindi, provoca una grande quantità di
ansia e resistenza al cambiamento. Se si vogliono cambiare alcuni elementi
della propria cultura, si deve riconoscere che si stanno affrontando alcune
delle parti più stabili dell’organizzazione.
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3. Su cosa si basa la cultura aziendale?
La prospettiva comune
Quando si pensa alla cultura è possibile riuscire a identificare alcuni aspetti
relativi al modo in cui le persone nell’organizzazione si pongono in reciproca
relazione e al modo in cui svolgono il loro lavoro - “il modo in cui si fanno le
cose da queste parti”. La prospettiva comune vuole che la cultura riguardi le
relazioni umane nell’organizzazione.
Moltissimi questionari che pretendono di stabilire che cos’è la cultura hanno a
che fare con problemi come comunicazione, lavoro di squadra, relazioni
superiore - subordinato, grado di autonomia ed empowerment che i dipendenti
sentono di avere, il livello di innovazione o creatività da loro mostrato. Le
tipologie di cultura basate su queste prospettive comuni parlano di livelli di
“socievolezza” e “solidarietà” (Goffee, Jones, 1998) o di “concentrazione
esterna opposta a concentrazione interna” (Cameron, Quinn, 1999). I
programmi di cambiamento di cultura parlano di riduzione della supervisione
nell’organizzazione, di creazione di comunicazione laterale, di costruzione di
lealtà e impegno nell’organizzazione, del fare empowerment, dello stimolare il
lavoro di squadra. Queste prospettive sulla cultura sono corrette, ma
pericolosamente ristrette. Gli assunti culturali nelle organizzazioni crescono sì
intorno al modo in cui le persone nell’organizzazione si relazionano fra loro, ma
questo costituisce solo una frazione di ciò che e compreso dalla cultura. I
programmi di cambiamento culturale che si concentrano in modo limitato sul
modo in cui i dipendenti percepiscono, ora, la loro organizzazione in confronto
a come gli piacerebbe che fosse, difficilmente raggiungono risultati positivi
perché ignorano altri elementi della cultura che sono radicati e possono anche
passare inosservati.
Ad esempio, una grande compagnia di assicurazioni assunse un nuovo CEO che
concluse che fra i maggiori problemi vi erano la mancanza di innovazione e il
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fatto che ogni dipendente faceva le cose seguendo rigidamente le regole,
anche quando sembravano esserci disponibili alternative creative. Un certo
numero di focus group costituiti dai dipendenti stessi analizzò la storia della
società. Emerse che il successo passato era basato su un rigido sistema per
trovare la miglior soluzione per ogni problema, documentarla, mettere tutte le
soluzioni trovate in voluminosi manuali, organizzati secondo ogni immaginabile
tipo di problema che sarebbe potuto sorgere, e ricompensando
sistematicamente i dipendenti per avere usato le regole contenute nel
manuale.
Nel corso degli anni, i dipendenti impararono che l’applicazione delle regole
apriva la strada al successo. Il numero di manuali crebbe per contemplare
ogni nuova situazione che si presentava. I dipendenti a cui non piaceva
lavorare in questo ambiente strutturato e vincolato alle regole erano
incoraggiati a lasciare l’organizzazione; questo alla fine portò ad avere una
forza - lavoro che si sentiva a proprio agio in un ambiente strutturato.
I precedenti CEO avevano glorificato questo sistema di lavoro, che davvero
aveva ottenuto grandi successi nel costruire l’impresa e diventò scontato che il
miglior modo di lavorare fosse seguire le regole dei manuali.
Il nuovo CEO vide che l’ambiente era però in fase di cambiamento e comprese
che molte delle situazioni che l’azienda avrebbe dovuto affrontare non
potevano essere programmate. I dipendenti avrebbero dovuto imparare a
ragionare da soli quando si trovavano ad affrontare un ambiente turbolento.
Lanciò varie campagne per premiare l’innovazione (buche per i suggerimenti,
premi per le nuove idee) ma ottenne poche risposte. Non riusciva a
comprendere che l’intera organizzazione si basava sull’assunto per cui il modo
corretto di agire era seguire le regole e che negli anni questo assunto si era
profondamente radicato in tutti gli strati della dirigenza e del personale perché
aveva avuto successo. Era nel tessuto profondo del modo di fare
dell’organizzazione, insito nel sistema di premi e promozioni e con una
profonda influenza sul tipo di persone che venivano assunte. Per questa
organizzazione cambiare il proprio modo di lavorare avrebbe richiesto una
completa e realistica valutazione di tutti gli aspetti della propria cultura. Quali
aree di contenuto dovrebbe contemplare una tale valutazione?
Una opinione più realistica del contenuto della cultura
La cultura è la somma totale di tutti gli assunti condivisi e dati per scontati che
un gruppo ha appreso lungo la sua storia. È ciò che resta del successo. Questa
definizione astratta non aiuta a capire il contenuto della cultura, e la
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prospettiva volgarizzata che ho precedentemente descritto può, in realtà,
condurre fuori strada. Per offrire una prospettiva più realistica di quanto viene
coperto dalla cultura, si guardi la tabella 3.1.
Questa sottolinea le aree in cui gli assunti culturali fanno la differenza. La
prima cosa da notare è che gli assunti culturali coinvolgono non solo il lavoro
interno dell’organizzazione, ma, cosa più importante, anche il modo in cui
l’organizzazione si relaziona ai suoi diversi ambienti.
Contenuto della cultura, parte I: sopravvivere nell’ambiente esterno
Per sopravvivere e crescere, ogni organizzazione deve sviluppare assunti vitali
su cosa fare e sul modo di farlo.
Missione, strategia, obiettivi
Affinché un’organizzazione possa avere successo, nel senso di portare a
termine la sua missione, sopravvivere e crescere, deve realizzare quello che i
suoi diversi ambienti richiedono e permettono. La maggior parte delle
organizzazioni sviluppa assunti sulla propria missione e identità fondamentale,
sui propri intenti strategici, sulla linea di condotta finanziaria, sul modo
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essenziale di organizzarsi e di organizzare il proprio lavoro e sviluppa mezzi per
correggersi quando non sembra in grado di raggiungere l’obiettivo.
Quando l’organizzazione è stata creata, i suoi fondatori e i suoi primi
leader avevano un forte senso di missione e identità - cosa cercano di
essere, quale prodotto o mercato stanno cercando di sviluppare, chi sono e
cosa li giustifica. Per guadagnare, hanno dovuto sviluppare una storia credibile
su queste domande, e il primo gruppo di dipendenti aveva bisogno di
acquistare una quota del capitale e credere alla stessa storia, pur sapendo che,
inizialmente, vi era il rischio e la possibilità che la società non ottenesse
successo. Ma, se lo otteneva, i fondatori e il personale avrebbero cominciato a
formare assunti condivisi attorno a queste convinzioni iniziali e nel tempo si
sarebbe arrivati a darli per scontati. Il profondo senso di missione e identità
può essere dato per scontato così da emergere alla superficie solo se qualche
avvenimento lo scuote violentemente e in tal modo lo porta a livello di
coscienza.
Un esempio, offerto dall’impresa svizzera Ciba-Geigy, illustra questo punto. A
metà degli anni Settanta la C-G era formata da quattro divisioni di prodotti
principali (coloranti, prodotti chimici per l’industria e l’agricoltura e prodotti
farmaceutici) e parecchie unità locali. Storicamente l’azienda affondava le sue
radici nell’attività dei coloranti e nelle importanti scoperte fatte nei laboratori di
ricerca & sviluppo, che avevano portato a nuovi prodotti nel settore agricolo e
farmaceutico. L’azienda riconosceva che la sua forza risiedeva nell’area della
ricerca & sviluppo e che rimaneva remunerativa principalmente grazie alla
protezione dei brevetti. La dirigenza riconosceva che quando i brevetti
scadevano e la concorrenza in ogni mercato aumentava, la C-G aveva bisogno
di migliorare il marketing e ridurre i costi.
Fino a questo punto questa storia sembra rappresentare un’evoluzione
abbastanza tradizionale. E allora, dove entra in gioco la cultura?
Per migliorare le capacità di marketing, la C-G diede potere a una impresa
statunitense, da lei controllata, di acquistare un’azienda di beni di consumo, in
quanto organizzazioni di questo tipo sanno come fare un marketing sofisticato.
Fu acquistata la Airwick, produttrice di deodoranti, prodotti per la pulizia dei
tappeti e per la rimozione dei cattivi odori. Per un certo numero di anni la
Airwick riuscì solo a sopravvivere ma pian piano divenne remunerativa, non
solo negli Stati Uniti, ma anche in vari paesi europei, dove acquisì altre
aziende.
In quel periodo stavo lavorando con il comitato esecutivo societario della C-G
nel dirigere un meeting annuale dei suoi principali quaranta - cinquanta
manager funzionali, di divisione e di area geografica. In uno degli incontri, il
presidente della Airwick stava facendo una relazione sui progressi dell’impresa
da lui diretta e mostrava un filmato di una campagna pubblicitaria che aveva
avuto particolarmente successo, con la quale veniva presentato un nuovo
prodotto, “Carpetfresh”. La pubblicità mostrava una casalinga che spargeva la
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polvere “Carpetfresh” sui tappeti di casa; dopo circa un minuto la rimuoveva
con l’aspirapolvere e illiustrava come fosse facile usare il prodotto.
Ero seduto accanto a un membro del comitato esecutivo, un uomo che aveva
sviluppato parecchi dei principali prodotti chimici della C-G e che si riteneva un
importante stratega all’interno dell’azienda. Mentre guardava il filmato,
cominciò a contorcersi sulla sedia, mostrando segni di grande tensione e alla
fine si sporse verso di me e disse con un sussurro a voce nemmeno troppo
bassa: “Sa, Schein, questi non sono nemmeno prodotti”.
In quel momento intravidi l’immagine che lui doveva avere della C-G: la
vedeva come un’impresa che produceva “prodotti importanti”, che
combattevano la fame (i pesticidi industriali rendevano possibile la produzione
del raccolto ai paesi del terzo mondo) e che salvavano vite umane (i prodotti
farmaceutici offrivano i mezzi per combattere malattie). In questo contesto e
con questo senso di missione, come si poteva pensare a un deodorante per
ambienti o per tessuti degno di essere denominato “prodotto”? Come ci si
poteva identificare in un problema così banale? L’immagine di quest’uomo era
stata violata dall’unione della C-G con la Airwick - non importa che l’idea fosse
quella di imparare qualcosa sul marketing e che la Airwick stesse cominciando
a msotrare dei buoni risultati economici.
Alcuni mesi dopo, venni a conoscenza di un altro modo in cui questa immagine
di sé aziendale aveva un impatto sul processo di apprendimento. La divisione
europea della Airwick aveva la sua sede principale a Parigi, e quell’ufficio
assunse come capo dirigente finanziario una donna con molto talento. Riportò
con orgoglio che, nelle politiche di promozione, si stavano iniziando a rompere
le barriere fra i sessi, e questa donna ne era il primo esempio.
Però lei lasciò l’impresa qualche mese più tardi e riferì la seguente storia:
nell’organizzare l’operazione europea della Airwick, c’era bisogno di un sistema
di contabilità più efficiente e rapido di quello usato dalla C-G. Così lei andò dal
capo contabilità nella sede centrale dell’azienda, a Basilea, chiedendo il
permesso e i fondi per dare avvio al nuovo sistema, ma si sentì dire: “Signora
Smith, ritengo che il nostro sistema di contabilità sia stato sufficientemente
adeguato al suo compito per un centinaio d’anni o giù di lì, e certamente
dovrebbe essere adeguato al suo compito attuale”. Non c’è bisogno di dire che
lei lasciò l’azienda e i manager della Airwick furono costretti a produrre
clandestinamente e in segreto il sistema che rispondeva alle loro esigenze.
La morale culturale di questa storia è che una strategia di acquisizione
deve adattarsi alla cultura esistente. Anche se lo scopo dell’acquisizione
era imparare le tecniche di marketing da un’impresa di beni di consumo,
questo particolare gruppo di prodotti stava provocando una indigestione
culturale. Il senso di missione e immagine di sé della C-G erano violati da
questi “non prodotti” anche se la Airwick stava cominciando a diventare
remunerativa in molti paesi. Per frontare questo disagio, il comitato esecutivo
diede l’incarico a un manager svizzero di valutare il futuro della Airwick in un
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arco di tempo di parecchi anni e di suggerire cosa la C-G dovesse fare con
essa. Da una prospettiva culturale, era ovvio che alla fine il manager avrebbe
raccomandato la vendita della Airwick, il che fu quanto avvenne. Allo stesso
tempo il comitato esecutivo riaffermò la propria immagine di sé di acquisire
solo imprese basate su tecnologie sofisticate. Al successivo meeting annuale,
fu esplicitamente affermato che la C-G do va comprare solo imprese con una
solida base tecnologica. La cultura stava guidando la strategia di acquisizione.
I manager della C-G potevano o meno aver riconosciuto che stavano
affrontando un problema di cultura, e che avevano assunti profondamente
radicati circa chi erano, che tipo di cose si potevano qualificare come prodotto
e quale strategia di acquisizione andava o non andava bene. Si tende a
pensare che si possa separare la strategia dalla cultura, e non si nota che,
nella maggior parte delle organizzazioni, il pensiero strategico è
profondamente caratterizzato da taciti asunti sulla propria identità e su quale
sia la propria missione.
Durante la sua storia, un’organizzazione impara molto su quali tipi di strategia
funzionano e quali no. Tali strategie riguardano il genere di prodotti e
servizi, i tipi di mercato, il livello di qualità desiderato, il prezzo che il
cliente tipo accetterà e così via. Questi argomenti sono riflessi nella prima
categoria della tabella 3.1: la missione fondamentale dell’organizzazione, il suo
intento strategico e gli obiettivi che derivano dalla missione e dalla strategia.
Questa categoria di cultura è tanto centrale da giustificare un altro esempio per
illustrare il funzionamento di queste dinamiche culturali. All’inizio della sua
storia, la missione della Digital Equipment era di portare agli utenti inclini alla
scienza efficienti mezzi di calcolo, offrire alle organizzazioni risorse di calcolo
distribuite, e mostrare al mondo la forza dei computer di media dimensione. La
sua strategia di prodotto, il concetto di chi fossero i clienti, i prezzi e le
decisioni sul livello di qualità erano tutti guidati nella fase di rapida crescita
dell’impresa, da questi obiettivi strategici. Il grado a cui arrivarono a essere
dati per scontati, e quindi a essere parte della cultura della DEC, può essere
misurato dalle difficoltà incontrate dall’impresa nel progettare un prodotto
competitivo con i personal computer della IBM. A un certo livello, gli ingegneri
della DEC non rispettavano realmente gli utenti “stupidi” per i quali un PC a
basso costo e di facile utilizzo avrebbe dovuto essere progettato; tutti i loro
successi passati erano stati ottenuti vendendo prodotti a utenti di tecnologia
sofisticata che erano anche desiderosi di fare da sé una parte della
programmazione. Gli alti standard di qualità e tecnica dei prodotti DEC li
rendevano più eleganti di quanto necessario, più cari e pertanto non molto
competitivi nel nuovo mercato dei PC.
Parecchie forze culturali contribuirono a rendere l’ingresso della DEC nel mondo
del PC un sostanziale fallimento. Per prima cosa c’era il profondo assunto per
cui, sostanzialmente, gli ingegneri non si preoccupavano troppo dell’utente
“stupido”. In secondo luogo, le persone intelligenti dovrebbero essere messe in
condizioni di prendere la decisione giusta: tre manager del settore
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progettazione, con idee molto forti sui PC, proposero dei prodotti potenziali, i
cui nomi erano DECmate, PRO e Rainbow. A questo punto della sua storia la
DEC era già abbastanza grande e differenziata e tutti i manager ingegneri
avevano la propria base di forza e forti convinzioni che i loro prodotti
avrebbero avuto la meglio sul mercato. Loro stessi erano prodotti della cultura
DEC.
Un terzo assunto culturale che entrò in gioco fu che, se non si potevano
prendere chiare decisioni interne, “allora doveva essere il mercato a decidere”.
Nell’impresa si era sviluppata una tradizione secondo cui avere gruppi interni in
competizione fra loro era una cosa sana; il mercato avrebbe rivelato qual era il
prodotto migliore. La DEC aveva conosciuto il successo con l’approccio della
competizione interna, perciò non lo metteva in discussione, e andava bene
avere tre progetti sui PC in competizione fra loro.
Ma l’assunto culturale per cui ogni manager e dipendente era obbligato a
“prendere la decisione giusta” portava a un altro problema. Ken Olsen, il
fondatore, e altri manager ritenevano che i tre prodotti proposti fossero troppo
sofisticati, troppo eleganti e troppo costosi.
Tuttavia nessuno, neppure Olsen, poté convincere i manager ingegneri ad
abbassare il livello dei loro prodotti. Nella cultura della DEC non si poteva
ordinare ai tre gruppi di fare le cose in modo diverso; si poteva solo cercare di
convincerli. Alla fine tutti e tre i prodotti fallirono dal punto di vista della
competitività, anche se tutti dicevano che si trattava di eccellenti PC. La storia
sottolinea come un fallimento strategico nell’area del prodotto - sviluppo possa
solo essere compreso nel contesto della cultura.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Qual è la missione fondamentale dell’organizzazione? Qual è la sua ragion d’essere? Cosa ne
giustifica l’esistenza nel più ampio schema delle cose?
•
La strategia dell’organizzazione e gli obiettivi che ne derivano come si adattano a questa
missione?
•
Da dove derivano questa strategia e l’insieme di obiettivi? La strategia si basa completamente
su un ragionamento logico e formale o è in parte il prodotto delle convinzioni e delle
inclinazioni del fondatore dell’organizzazione e dei suoi leader?
Mezzi: struttura, sistemi, processi
Il modo in cui un’organizzazione decide di realizzare la sua strategia e
i suoi obiettivi costituisce il livello successivo del contenuto della cultura. La
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struttura organizzativa formale in una compagnia può essere molto alta,
profonda, e stratificata; se si è ottenuto successo con questa struttura, si crede
che questa sia l’organizzazione corretta. In un’altra organizzazione, il fondatore
ha creato una struttura piatta, con molte commissioni e gruppi che si
sovrappongono; anche in questo caso, se si è ottenuto successo, si crederà
altrettanto fortemente che questa sia l’organizzazione corretta. L’adattamento
della struttura al compito che deve essere eseguito e alla natura dell’ambiente
in cui l’organizzazione opera crea gli assunti taciti sull’organizzazione.
L’etichettare prontamente un’organizzazione secondo la definizione “di tipo
comando – e - controllo” o “di tipo a rete - orizzontale” riflette questa
categoria, ma si noti che una tale etichetta non descrive l’intera cultura, ma
solo un suo piccolo aspetto.
La complessità dell’analisi culturale è anche rivelata, in questa categoria, dal
fatto che un’organizzazione può avere una missione condivisa e degli intenti
strategici, tuttavia le unità si possono organizzare in modo differente nel loro
sforzo di raggiungerli. Si creano così delle subculture all’interno della cultura
globale. Quando un’organizzazione si differenzia in unità funzionali e basate su
prodotti, mercato e geografia, esse sviluppano anche delle subculture attorno a
ciascuna di queste aree, che possono essere estremamente funzionali ed
efficienti perché le parti dell’organizzazione devono avere successo in ambienti
di diverso tipo.
Ad esempio, negli anni Sessanta, una grande impresa aerospaziale, la
Northrop, era orgogliosa della sua struttura egualitaria; c’erano pochi livelli
gerarchici e poche regole in tutta la sua unità di produzione. Durante un
seminario per analizzare la loro cultura, un gruppo di alti dirigenti non riusciva
a spiegarsi perché la sede della Northrop a Los Angeles sembrasse violare
questa cultura, dal momento che aveva molti livelli ed era molto rigida: c’erano
tre sale da pranzo, per ogni livello gerarchico, ogni tipo di regola
sull’abbigliamento e sul comportamento, una rigida osservanza degli orari di
lavoro e così via. Alla fire compresero che la cultura della sede centrale si
era sviluppata in questo modo perché il suo principale cliente era il
Pentagono e i militari che vi si recavano in visita erano abituati a un sistema
in cui status, codice di abbigliamento, grado, privilegi e via di seguito erano
tutti molto ben definiti.
Nei loro stabilimenti però, si era sviluppato un insieme completamente
differente di assunti riguardo alla tecnologia; era complesso, richiedeva
un alto grado di lavoro di squadra e reciproca fiducia fra il personale, e regole
precise per quanto riguardava la qualità del lavoro e l’arrivare a portarlo a
termine. Non c’erano orologi marcatempo; le ore erano determinate dalla
natura del compito da svolgere; la selezione e il sistema di promozione
incoraggiavano l’assunzione di membri della famiglia perché era più facile
sviluppare relazioni di fiducia in un’atmosfera familiare; lo status era
determinato dalla conoscenza e dal livello di abilità, non da un titolo formale.
Una volta che il gruppo riconobbe che i compiti della fabbrica e della sede
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erano diversi, compresero che era corretto che queste unità sviluppassero
subculture distinte.
Si ricordi quanto detto nel capitolo 1 a proposito della Procter & Gamble e al
modo in cui ristrutturò la divisione manifatturiera in un gruppo di impianti
autonomi e autodiretti, per raggiungere l’intento strategico condiviso di
divenire un produttore a basso costo, pur mantenendo alta la qualità. Nelle
divisioni marketing, vendite e finanziaria non emersero tali strutture,
mostrando che mezzi differenti di realizzazione di una strategia condivisa
possono coesistere. In modo analogo, all’interno dell’ambiente molto
egualitario della DEC esisteva un’organizzazione dei servizi estremamente
strutturata, autoritaria e disciplinata, perché nell’ambiente dei servizi solo una
tale struttura poteva consegnare in maniera efficiente quanto era richiesto dal
cliente. Ogni organizzazione che abbia successo sviluppa un modo di
strutturare il lavoro, definire i processi di produzione e marketing e creare il
tipo di informazioni, premi, e sistemi di controllo necessari per operare e
fficacemente. Poiché questi sistemi continuano a funzionare, vengono
considerati modi scontati di fare le cose e un dipendente che si sposti da
un’impresa all’altra trova difficile imparare come lavorare nel nuovo ambiente.
È per questa ragione che, quando un’azienda ha una cultura forte,
preferisce promuovere il personale interno. Spesso è troppo difficile
formare chi arriva dall’esterno “al modo in cui si fanno le cose da queste parti”.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
In che modo l’impresa ha sviluppato l’approccio per soddisfare i propri obiettivi?
•
Come e perché ha sviluppato il tipo di struttura che ha?
•
La struttura formale e il modo in cui il lavoro viene svolto riflettono largamente le convinzioni
del fondatore e dei leader dell’organizzazione?
•
Fino a che punto i mezzi usati nelle divisioni funzionali e territoriali sono gli stessi (o sono
differenti)?
•
Ci sono prove che l’organizzazione abbia al suo interno forti subculture? Su cosa si basano?
Valutazione: identificazione dell’errore e sistemi di correzione
Il terzo problema culturale considerato nella tabella 3.1 riguarda il modo in
cui l’organizzazione valuta se stessa, identifica gli errori e li corregge.
Le organizzazioni sviluppano diversi meccanismi per decifrare l’ambiente:
frequenti rapporti sul reparto vendite per determinare cosa sta succedendo “là
fuori”, sondaggi formali di marketing, creazione di dipartimenti il cui lavoro è
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scoprire cosa sta succedendo e portare le informazioni all’interno
dell’organizzazione, e altri. Il CEO, il reparto vendite, l’unità di ricerca e
sviluppo e il dipartimento di marketing hanno tutti “finestre” sull’ambiente, ma
ogni impresa sviluppa il proprio modo di utiizzarle e, se ha successo, arriva a
credere che i propri siano i modi migliori.
Nella maggior parte delle organizzazioni aziendali, i risultati economici sono il
principale meccanismo di identificazione dell’errore, ma gli assunti culturali
dominano il tipo di informazioni che si raccolgono e il modo in cui le si
interpreta. Per esempio, alcune imprese si basano quasi esclusivamente sul
prezzo delle azioni come indicatore per sapere come stanno andando. Altre
guardano al rapporto fra debito e capitale, al flusso di cassa, al mercato
azionario. In ogni caso, gli assunti culturali sorgono dagli indicatori che
funzionano meglio. Se l’organizzazione è strutturata in maniera funzionale, può
anche sviluppare delle subculture sulla funzione finanziaria, e possono
svilupparsi reali conflitti fra la finanza, la produzione, il settore progettazione e
il marketing su quali indicatori si debbano usare nello stabilire le prestazioni
dell’impresa.
Ciò che viene definito una variante significativa o un errore cambia da azienda
ad azienda e si radica negli assunti culturali. Una storia sulla Levi Strauss narra
che in questa azienda erano in grado di fare cambiamenti importanti
dichiarando una crisi ogni volta che l’indice di redditività diminuiva dello 0,5%.
Ciò che è culturalmente significativo in questa storia non è che venisse data
una risposta a una tale piccola variazione, ma che il personale accettasse la
definizione della dirigenza della reale esistenza di una crisi.
La correzione dell’errore, così come la sua identificazione, riflette la storia
dell’impresa e la personalità dei suoi fondatori. Harold Geneen divenne famoso
per il modo in cui valutava le prestazioni della ITT e per il modo in cui
distribuiva premi o punizioni per l’aver conseguito o meno un obiettivo. La
cultura della ITT, senza dubbio, rifletteva il suo stile manageriale. Parecchie
organizzazioni sviluppano quella che è stata etichettata come “la cultura della
colpa”. I manager tendono a essere preparati a pensare semplicemente in
termini di causa ed effetto; hanno bisogno di sentire di avere il pieno controllo,
e la più ampia cultura manageriale ha reso la responsabilità individuale un
dogma. Dato questo modo di pensare, se le cose vanno male la risposta
ovvia è cercare chi è da incolpare, chi è responsabile.
Ma le imprese differiscono notevolmente nel modo di rispondere a quanto
scoprono. In alcune organizzazioni, una volta che una persona è ritenuta
colpevole viene immediatamente congedata. In altre, soprattutto quelle
cresciute attorno a valori paternalistici e di impiego permanente, a questa
persona può anche non venir detto che è stata ritenuta responsabile del
fallimento, ma semplicemente viene tolta dal binario rapido della scala di
carriera, le vengono assegnati compiti di minor importanza e in altri modi è
punita con una limitazione permanente delle sue possibilità di carriera.
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Un terzo modo è quello, evidente nel caso della DEC, di “esser messi in
punizione”. Dal momento che tutti appartenevano alla famiglia, nessuno
poteva smettere di farne parte, cioè perdere il lavoro, ma si poteva perdere il
proprio ruolo in un progetto ed essere costretti a trovarne un altro da soli. Se
si riusciva a trovare un altro lavoro nell’impresa e lo si faceva bene, si era
celebrati come un caso riuscito di “riabilitazione”. Mettere in risalto questo
sistema era un assunto importante sulle persone: se qualcuno non riesce, è a
causa di una scarsa armonizzazione fra la persona e il lavoro; la persona va
sempre bene, ma l’incontro persona - lavoro non sempre funziona. Questo
assunto rende chiaro quanto fosse valutata la gente, ma anche che tutti
avevano una grande responsabilità nell’organizzare la propria carriera e nel
farsi sentire nel caso in cui non vi fosse una corrispondenza con il lavoro.
Un quarto modo di correggere gli errori, usato da molte organizzazioni, tenta di
evitare la colpevolizzazione personale e di cercare, invece, le radici o la causa
sistematica del fallimento. Il programma dell’esercito degli Stati Uniti di “analisi
dopo l'azione”, i progetti post mortem, e altri tipi di analisi cercano di fornire
maggior conoscenza del processo invece di attribuire semplicemente la
colpa. Si noti, tuttavia, che tali analisi sistematiche non funzionano se la
cultura è fortemènte individualistica e competitiva, perche la gente non
si aprirà per dare informazioni negative su se stessa o sugli altri. Se
l’organizzazione sviluppa una cultura della colpa, i dipendenti si
dissoceranno il più in fretta possibile da un progetto fallito e saranno
riluttanti a impegnarsi in un post mortem perché questo potrebbe rivelare che,
in qualche modo, sono anch’essi colpevoli. Solo se nel tempo si è costruita
fiducia, lavoro di squadra, e solo se il lavoro ha successo, l’analisi sistematica
degli errori e il lavoro di correzione diventano accettabili.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quali sono i sistemi di identificazione dell’errore nell’organizzazione? Come si scopre se non si
stanno raggiungendo gli obiettivi?
•
Cosa si fa se si scopre che alcuni importanti obiettivi non vengono raggiunti?
•
Ci sono variazioni fra le parti dell’organizzazione nel modo in cui esse valutano se stesse e
quello che fanno a proposito dei risultati?
•
In tali variazioni ci sono prove di importanti differenze di subcultura?
Ho cercato di mostrare in queste ultime pagine che la cultura è pesantemente
implicata nella missione fondamentale, nella strategia, nei mezzi, nella
valutazione e nel sistema di rimedi dell’organizzazione. La cultura non riguarda
solo le persone e il modo in cui le si dirige; non è costituita solo dal lavoro di
squadra e dal sistema di premi. Gli assunti culturali si sviluppano nel tempo e
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riguardano il tessuto fondamentale dell’organizzazione, la sua missione e le
strategie fondamentali. Se non si considerano queste parti della cultura quando
si cerca di cambiarne altre, si scoprirà che le altre parti non rispondono alla
sollecitazione come si era sperato.
Contenuto della cultura, parte II: integrare l’organizzazione umana
La visione volgarizzata della cultura si concentra sulla relazione fra le persone
nell’organizzazione, sul sistema di incentivi e premi; sul livello di lavoro di
squadra, sulle relazioni fra superiori e subordinati, sulla comunicazione e su
tutti gli altri processi che rendono il luogo di lavoro più o meno produttivo e
piacevole. Gli assunti culturali che fioriscono intorno a queste aree sono,
ovviamente, critici. Ma interagiscono con gli assunti orientati verso l’esterno
che abbiamo esaminato (e di cui abbiamo fatto una lista nella prima parte della
tabella 3.1) e pertanto non possono essere trattati isolatamente, come molte
verifiche culturali, invece, implicano che si possa fare.
Concetti e linguaggio comune
Le più ovvie manifestazioni della cultura sono il linguaggio comune e i comuni
modi di pensare. Lo si vede molto chiaramente a livello nazionale, quando si
viaggia e si scopre quanto sia difficile cavarsela se non si conosce la lingua o il
modo di pensare dei locali. Alcuni anni fa feci un viaggio nel sud della Francia e
mi trovai a fare la fila per acquistare dei francobolli in un piccolo ufficio postale
di campagna. Proprio quando era il mio turno, un uomo entrò nell’ufficio
postale e cominciò a parlare all’impiegata, interrompendo la mia esitante
richiesta in francese. Con mia sorpresa, l’impiegata rivolse la sua attenzione
all’uomo e affrontò il suo problema per parecchi minuti prima di ritornare alla
mia richiesta. Quando, più tardi, raccontai questa storia a dei miei amici
francesi, essi scoppiarono a ridere e dissero: “Vedi, Ed, la situazione è anche
peggio di quel che tu immagini. L’impiegata si stava muovendo secondo il
principio di considerare le richieste che lei considerava le più importanti.
Avendo lasciato che l’intruso catturasse la sua attenzione, stavi dimostrando a
tutto l’ufficio postale quanto era bassa la tua autostima”. Evidentemente quello
che avrei dovuto fare sarebbe stato di attirare nuovamente l’attenzione
dell’impiegata, fermamente e con forza, su di me, invece di starmene li
silenzioso e risentito.
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L’equivalente di questi fatti in ambito organizzativo si ha quando nuovi
dipendenti cercano di capire come vestirsi, come parlare ai capi, come
comportarsi nelle riunioni, come decifrare il gergo e gli acronimi usati dagli altri
impiegati, quanto essere aggressivi, fino che ora fermarsi al lavoro oltre il
normale orario e così via. Una delle ragioni per cui occorre tempo prima che si
possa diventare produttivi in una nuova organizzazione è perché così tante
norme, modi di lavorare e pensare appartengono unicamente a quella
organizzazione e devono essere appresi attraverso tentativi ed errori.
Ad esempio alla DEC la discussione e il raggiungimento del consenso
erano definiti “lavoro reale”, mentre alla C-G lavoro reale significava
pensare le cose da soli. A un certo punto nella storia della DEC il
management decise che era necessario accelerare il processo di
apprendimento culturale e così lanciarono quelli che vennero definiti boot camp
[campi di addestramento per reclute] per nuovi dipendenti, nei quali i neo
assunti, insieme al personale con più anzianità, venivano portati per parecchi
giorni fuori sede insieme a un facilitatore. Questi camp offrivano la possibilità
per i più anziani di parlare della cultura della DEC e per i nuovi di fare
domande su quanto li rendeva perplessi nel nuovo ambiente.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
L’organizzazione usa un gergo speciale o degli acronimi che vengono dati per scontati ma che,
per chi arriva da fuori, possono essere strani e indecifrabii? Quali sono alcuni esempi?
•
Quali aspetti del nostro linguaggio e del modo di pensare vengono associati dai nostri amici al
far parte dell’organizzazione in cui lavoriamo?
•
Se si è lavorato in più di una organizzazione, quali sono le differenze fra queste per quanto
riguarda il modo in cui la gente parla e pensa?
Confini di gruppo: chi è dentro e chi è fuori?
Ogni organizzazione, per identificare il grado di appartenenza, sviluppa modi
che variano dalle uniformi e dai distintivi a indicatori più sottili, ad esempio
quali posti del parcheggio si ottengono, i diritti di opzione e altre prerogative.
Quando i nuovi arrivati imparano la lingua e i modi di pensare, scoprono che
questi più spesso sono inclusi in eventi dell’organizzazione. Un segnale
importante di accettazione è quando del nuovo venuto ci si fida
abbastanza da raccontargli “segreti”: informazioni su quello che sta
realmente capitando, su chi è dentro e chi è fuori, sul reale lavoro dell’impresa,
sui dettagli della vita privata dei dirigenti e così via. Essere accettati come
membri implica di essere più leali, di non rivelare questi segreti ai nuovi
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arrivati, di lavorare più duramente e investire una parte maggioré di sé
nell’organizzazione. Gli assunti taciti e condivisi sull’essere membri, e gli
obblighi che ne derivano, costituiscono una significativa porzione di
quello a cui ci si riferisce come la cultura di un’organizzazione. Ma,
ancora una volta, si tenga a mente che si tratta solo di una porzione della
cultura.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quali sono i segnali di appartenenza nell’organizzazione?
•
Si usano speciali speciali simboli o privilegi per simbolizzare il livello di appartenenza
all’organizzazione?
•
Si pensi a chi fa parte del gruppo, a chi ne è fuori e a cosa questo significa in termini di
relazione con queste persone
•
Si può ricordare come è stato l’ingresso nell’organizzazione attuale
•
Qualcuno è stato fatto entrare nell’organizzazione tramite conoscenza? Come è stato gestito il
processo?
Come si definiscono le relazioni
Le organizzazioni sono differenti per quanto riguarda gli assunti riguardanti le
relazioni con l’autorità e il grado di confidenza che vie ne considerato
appropriato fra i membri dell’organizzazione stessa. Alcune
organizzazioni sono fortemente egualitarie e minimizzano la distanza
psicologica esistente fra capi e subordinati. Può esistere una gerarchia, ma i
subordinati sono incoraggiati a usare il nome di battesimo con i loro capi, a
giostrarsi fra le funzioni, quando sembra appropriato, e a prendere la decisione
giusta anche se questo significa insubordinazione (come era il caso della DEC).
In altre organizzazioni la gerarchia è rispettata, le relazioni fra diversi livelli
sono molto formali ed è inconcepibile oltrepassare le proprie funzioni o sfidare
il capo (come era il caso della C-G). Sia la DEC sii la C-G si consideravano
famiglie, ma per la prima la famiglia era un gruppo di adolescenti ribelli che
sfidano continuamente i genitori, mentre per la seconda la famiglia era un
insieme di “buoni” figli che fanno sempre quanto i genitori autoritari dicono
loro di fare.
Connessi strettamente con le relazioni con l’autorità sono gli assunti relativi
alle relazioni nell’organizzazione e a quanto queste dovrebbero essere aperte e
personali. In alcune organizzazioni ci si aspetta che i dipendenti siano
aperti su tutto - anche sui loro sentimenti verso i capi e fra loro.
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Queste organizzazioni costituiscono un’eccezione. Più comuni sono le
norme che definiscono chiari confini sulle cose di cui si può e non si può parlare
al lavoro, e su cosa può essere detto al capo o a un subordinato. In alcune
organizzazioni, l’assunto è quello di lasciare la propria vita personale e
familiare fuori dalla porta quando si arriva sul posto di lavoro. Sono a
conoscenza di un caso in cui la moglie di un dipendente si suicidò e tuttavia il
dipendente continuò ad andare a lavorare come se niente fosse accaduto. Gli
altri seppero della tragedia solo sei mesi dopo.
Alla DEC la gente socializzava molto, specialmente a causa del sistema dei due
giorni trascorsi fuori sede negli “incontri dei boschi”, dove il gruppo di lavoro
stava insieme per l’intera giornata. Alla C-G alcune famiglie uscivano insieme
per cena, e al meeting annuale c’erano un pomeriggio e una sera apposta per
lasciarsi andare, con l’intero gruppo impegnato in qualche insolito sport che
portava tutti allo stesso livello di incompetenza, seguito da una cena
informale. A Silicon Valley parecchie imprese usano eventi sociali tipo feste,
gite sugli sci, fine settimana a San Francisco e cose del genere come premio
per i propri dipendenti; in alcuni casi sono invitati solo questi ultimi, in altri
anche le mogli.
Ancora una volta il punto è che ogni organizzazione sviluppa i propri
assunti culturali sul livello di intimità che ci si aspetta dai dipendenti
fra loro. Mi è stato detto che alla Apple le persone diventano molto vicine
quando formano un gruppo di progetto, ma una volta che il progetto è
terminato l’amicizia non dura. Al contrario alla HP una volta che si è creata
un’amicizia, questa dura anche se uno lascia l’azienda.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quanto è appropriato interrompere il capo quando sta parlando?
•
Se non si è d’accordo con il capo, ci si sente incoraggiati o meno a dar voce al proprio
disaccordo faccia a faccia? Va bene non essere d’accordo di fronte agli altri, o si deve trovare
il capo e far presente il proprio disaccordo in via privata?
•
Il capo parla chiaro delle prestazioni o si deve indovinare se si sta lavorando bene o male?
•
Se il capo chiedesse di dare una valutazione su qualcuno, quanto ci si sentirebbe a proprio agio
nel dire esattamente quello che si sente e prova?
•
Come risponderebbero a queste domande i propri subordinati?
•
Si possono portare i propri problemi di famiglia e personali al lavoro, o ci si aspetta che
vengano mantenuti nella sfera privata e separati dal lavoro? Si parla, con i colleghi o con il
capo, dei problemi che si hanno a casa?
•
Se, in una coppia, entrambi sono “in carriera” e uno dovesse stare a casa per, diciamo,
accudire un bambino, ci si sentirebbe a proprio agio nello spiegare la situazione o si dovrebbe
inventare una solida scusa per andare a casa (forse prendere un giorno di ferie o di malattia)?
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E. Schein "Culture d'impresa”
•
Quando si partecipa a un evento informale con i colleghi o il capo, di che cosa si parla?
Quanto si è a proprio agio nel socializzare con gli altri membri dell’organizzazione? Quanti fra
questi sono amici che si vedono regolarmente?
Ancora una volta, si tenga presente che non ci sono risposte esatte: Le culture sono differenti, e
ogni data cultura può funzionare in certe circostanze e tuttavia non essere per nulla funzionale in
altre.
Come sono assegnati i premi e lo status
Ogni organizzazione sviluppa un sistema di premi e status. La fora più ovvia è
quella di pagare aumenti e di far concedere avanzamenti di carriera. Ma le
culture delle organizzazioni differiscono per quanto riguarda i
significati dati a questi e ad altri tipi di premi. In alcune organizzazioni e
per alcuni dipendenti le promozioni e i premi economici, come incentivi, bonus,
opzioni sulle azioni e divisione del profitto sono premi fondamentali e fonte di
status. In altre organizzazioni quello che conta sono i titoli, o il numero di
subordinati per i quali si è il riferimento. Ancora, in altre organizzazioni e per
personale di altro genere (ad esempio ingegneri e scienziati nel settore della
ricerca e dello sviluppo) la dimensione del progetto, il suo budget, il grado di
autonomia rispetto alle ore di lavoro, la visibilità all’interno dell’organizzazione,
quanto vengono consultati dai massimi dirigenti su temi di importanza
strategica, il loro status professionale fuori dal l’organizzazione e così via,
possono avere più significato come premi e status rispetto a paga e benefit.
Uno dei compiti più difficili da affrontare per chi arriva in una nuova
organizzazione è decifrare il sistema di premi e status. Che tipo di
comportamento ci si aspetta e come si sa quando si sta facendo la cosa
giusta o quella sbagliata? Quale tipo di comportamento è premiato e
quale punito? Come si sa se si è stati premiati o puniti? Una delle più
comuni lamentele che si sente tanto dai dipendenti quanto dai manager è “non
so come sto andando; non mi viene dato nessun utile feedback”. Il sistema di
valutazione delle prestazioni dovrebbe fornire feedback, ma la maggior parte
dei manager si lamenta poiché trova molto goffo esprimersi apertamente con i
propri dipendenti a proposito delle loro prestazioni. Per affrontare questo
problema alcune organizzazioni stanno sperimentando un complesso sistema di
“feedback a 360 gradi”, in cui i dati su un certo dipendente vengono raccolti
attraverso i commenti del suo capo, dei suoi compagni e dei suoi subordinati. I
dati vengono poi uniti e restituiti all’interessato. Ma, anche in questo caso, è
sorprendente notare quanto spesso la persona non sia realmente in grado
di “leggere” i segnali riguardo all’essere stata premiata o punita o al
non aver ricevuto né un premio né una punizione. Ovviamente il grado di
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E. Schein "Culture d'impresa”
apertura di tali sistemi dipende dagli assunti cultural sulla natura delle
relazioni, come abbiamo discusso.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
In una data situazione di lavoro, cosa si considera un premio e cosa una punizione?
•
A quali segnali si fa attenzione per capire se si sta lavorando bene o male? Quando altri
ottengono dei premi visibili, è chiaro cosa hanno fatto per meritarli? Quando altri vengono
puniti, come si sa che stanno ricevendo una punizione ed è chiara la ragione per cui vengono
puniti?
•
Si possono identificare le persone con uno status più alto o più basso nell’organizzazione ed è
chiaro su cosa si basa il loro status?
Una volta che si è risposto a domande come queste si può pensare di aver
decifrato la cultura, ma sfortunatamente ci si trova ancora a un livello
superficiale. Oltre al modo in cui l’organizzazione gestisce la propria
sopravvivenza esterna e i problemi di integrazione interna ci sono assunti
ancora più profondi che hanno bisogno di essere decifrati al fine di capire
pienamente la cultura.
Contenuto della cultura, parte III: assunti più profondi su realtà, tempo,
spazio, verità, natura umana e relazioni umane
La cultura delle organizzazioni, in definitiva, è radicata nelle culture nazionali in
cui essa opera. Perciò gli assunti più profondi della cultura nazionale si
riflettono nelle organizzazioni attraverso gli assunti e le convinzioni dei suoi
fondatori, dei suoi leader e dei suoi membri. Ad esempio Ken Olsen, il
fondatore della DEC, era un ingegnere elettronico che credeva profondamente
nel valore statunitense dell’individualismo competitivo, aveva un forte senso
etico e morale ed era profondamente convinto che alle persone dovesse essere
data fiducia. Tutte queste convinzioni si riflettevano in tutti i sistemi di
incentivi, premi e controllo sviluppati dalla DEC. Credeva anche nella
responsabilità individuale e si irritava se i manager non se l’assumevano o la
delegavano agli altri, anche se questi altri erano i loro superiori. Lo sviluppo
della DEC arrivò a rispecchiare in maniera esagerata molti aspetti della cultura
degli Stati Uniti.
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E. Schein "Culture d'impresa”
Analogamente, la C-G crebbe in un contesto svizzero-tedesco e rifletteva molti
dei profondi valori e assunti di quella parte della Svizzera: rispetto per
l’autorità, forte senso di responsabilità e rispetto verso chi sa di più, lealtà al
Paese e all’impresa, autonomia individuale (ma combinata con una profonda
fede nella collaborazione e nel lavoro di squadra). Una volta stavo aiutando a
organizzare un seminario per i manager della C-G e proposi l’esercizio di
“sopravvivenza sulla luna della NASA”, che mostra come un gruppo possa
ragionare molto meglio di un individuo, fosse anche il più informato. La mia
controparte svizzera si chiese perché mi fossi dato la pena di proporre questa
attività, dal momento che la maggior parte degli svizzeri avrebbe dato questa
conclusione per scontata. Secondo il loro modo di vedere, erano solo gli
americani ad aver bisogno di imparare che i risultati di gruppo possono essere
migliori di quelli di uomo singolo, sia pure il migliore.
Per esaminare le implicazioni (per le organizzazioni) di tali differenze delle
culture nazionali, bisogna rifarsi a un insieme più astratto di fattori che sono
state sviluppate dagli antropologi per confrontare le culture (Kluckhohn,
Strodtbeck, 1961). Questi fattori di ordine più alto si riflettono anche negli
artefatti che si osservano nelle organizzazioni, ma qualche volta non si
rispecchiano nei valori dichiarati. Ad esempio, un’impresa che sostiene di
abbracciare il lavoro di squadra non opera necessariamente su una profonda
convinzione secondo cui il “gruppo è meglio”. Infatti l’ironia sta nel fatto che
spesso i valori dichiarati riflettono le aree in cui l’organizzazione è
particolarmente inefficace, perché opera partendo da assunti culturali
contraddittori.
Per arrivare agli assunti che stanno alla base di questo livello bisogna
vedere dove gli artefatti e i valori non sono compatibili e porre
domande più profonde su cosa guida e determina gli artefatti osservati
e il comportamento quotidiano. Ad esempio, in un’organizzazione che
abbraccia il lavoro di squadra, se tutti gli incentivi, i premi e il sistema di
controllo si basano sulla responsabilità individuale, allora si può con certezza
identificare un profondo assunto operativo secondo cui è l’individuo a contare
realmente, non la squadra. Nelle organizzazioni che dichiarano di
investire nell’empowerment dei dipendenti, qualche volta si scopre che
il management presume di avere il diritto e l’obbligo di comandare,
possedere le informazioni finanziarie e le decisioni che influenzano
l’impresa, e trattano i dipendenti come una risorsa rimpiazzabile.
Questi assunti più profondi sono spesso difficili da decifrare, tuttavia sono gli
elementi propulsori del modo in cui la cultura funziona a livello operativo.
Assunti sulle relazioni degli esseri umani verso la natura
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Le culture differiscono a seconda delle convinzioni circa le relazioni
dominante, simbiotica o passiva degli uomini con l’ambiente naturale.
Perciò nelle società occidentali, che si premuniscono contro le difficoltà, si
presume che gli uomini possano dominare la natura, che tutto sia possibile. Lo
slogan del corpo dei Marine americani “si può fare” simbolizza questo
orientamento ed è riflesso in un ulteriore slogan: “Per l’impossibile ci vuole solo
un po’ più di tempo”. Al contrario, in parecchie società asiatiche si ritiene che
gli uomini dovrebbero confondersi con la natura, o addirittura sottomettersi a
essa: l’ambiente naturale è immutabile e pertanto il miglior modo di essere
“umani” è di confondersi con esso.
Nel campo delle organizzazioni questi assunti hanno la loro controparte nelle
nozioni per cui alcune di esse presumono che occuperanno una posizione
dominante nel mercato e “definiranno” il mercato, mentre altre cercano una
nicchia alla quale si adattano il meglio possi bile. Essendo la filosofia degli
affari nel suo insieme e per larga parte riflesso della moderna società
occidentale, si è diffuso di conseguenza l’assunto che è vantaggioso occupare
una posizione dominante. Un tale assunto è comprovato dalla ricerca, ma
questo non cambia la realtà per cui, in alcune società, il cosiddetto modo
corretto di condurre un’attività commerciale sia trovare una nicchia e
armonizzarsi in essa.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Come si definisce l’organizzazione in cui si lavora relativamente alle altre nel suo settore, e
quali sono le aspirazioni per il futuro?
•
Si considera come dominante, solo inserita in una nicchia, o accetta passivamente qualunque
cosa sia resa possibile dall’ambiente?
Assunti sulla natura umana
Le culture differiscono per il livello di bontà o cattiveria che attribuiscono
alla natura umana, e per il livello di immobilità o cambiamento che
ritengono a essa connaturato. Nel suo classico libro “L’aspetto umano
dell’impresa” (1960) Douglas McGregor ha notato che i manager statunitensi
hanno idee molto diverse su questa dimensione della natura umana (ma io non
sono d’accordo).
Alcuni presumono che l’essere umano sia fondamentalmente pigro e
lavori solo all’interno di un sistema di incentivi e controlli - cosa che
viene da lui definita Teoria X. Altri manager ritengono, al contrario, che gli
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esseri umani siano fondamentalmente motivati a lavorare, e che sia
sufficiente fornirgli le risorse appropriate e le opportunità; questa viene
chiamata Teoria Y. McGregor, inoltre, asserisce che l’assunto profondo
fondamentalmente determina la strategia manageriale usata. Se non ci
si fida dei dipendenti, si useranno orologi marcatempo, li si controllerà
frequentemente, e la mancanza di fiducia verrà comunicata anche in altri modi.
Il risultato che ne deriva sarà che i dipendenti reagiranno diventando più
passivi; ovviamente, una volta che questo è successo, i manager avranno
l’impressione che il loro assunto iniziale sia stato confermato. Molti di quelli che
noi oggi chiamiamo sistemi di controllo e comando affondano le loro radici
nell’assunto secondo cui del personale non ci si può fidare.
D’altra parte, i manager che credono che i dipendenti potrebbero collegare i
propri obiettivi a quelli dell’organizzazione, delegheranno di più, avranno più
una funzione di insegnanti e allenatori e aiuteranno i dipendenti a sviluppare
incentivi e controlli che saranno controllati da loro stessi.
McGregor ha osservato che i manager che seguono la Teoria Y ottengono
migliori risultati; ma, ancora una volta, si deve essere cauti e notare che
differenti assunti culturali possono essere appropriati per differenti tipi di
compiti e circostanze.
Un ulteriore importante elemento discriminante fra le culture è il grado di
stabilità o malleabilità che si presume sia proprio della natura umana.
Nella maggior parte delle culture occidentali, specialmente negli Stati Uniti, si
appoggia la visione che si possa essere qualunque cosa si scelga di essere,
come è illustrato nelle migliaia di libri tipo “Come migliorare il tuo...” che
proliferano nelle edicole degli aeroporti. In altre culture, si crede che la natura
umana sia stabile e che ci si debba adattare il meglio possibile a ciò che si è.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quali sono gli assunti o i “messaggi” che stanno dietro agli incentivi, ai premi, e al sistema di
controllo nell’organizzazione? Il sistema comunica fiducia o sfiducia nei confronti del
personale?
•
Se si deve valutare l’organizzazione su una scala di 10 punti (con 1 che rappresenta il massimo
della Teoria X e 10 il massimo della Teoria Y), quale sarebbe il punteggio dell’organizzazione?
Le unità dell’organizzazione potrebbero riflettere assunti diversi?
•
Si ritiene che i dipendenti e i manager possano trasformarsi e fondamentalmente li si deve
selezionare per le giuste qualità? Quali qualità si possono sviluppare e quali no?
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Assunti sulle relazioni umane
La società è fondamentalmente organizzata intorno al gruppo o alla comunità
o, al contrario, attorno all’individuo? Se gli interessi dell’individuo e della
comunità (del Paese) sono in conflitto, da chi ci si aspetta il sacrificio? Nelle
società basate sul gruppo o comunitarie, come quella giapponese o cinese, è
chiaro che è l’individuo colui che deve compiere il sacrificio. In una società
individualistica come quella statunitense è il gruppo che deve cedere, perché si
ritiene che i diritti dell’individuo siano, in definitiva, la base della società. Perciò
negli Stati Uniti è possibile per ogni cittadino fare causa addirittura al governo,
un concetto che non esiste neppure lontanamente nella mente di cittadini di
società fortemente comunitarie.
Le organizzazioni riflettono questa dimensione nella misura in cui enfatizzano
la lealtà verso l’impresa e l’impegno in opposizione alla libertà individuale e
all’autonomia. In un’organizzazione fortemente paternalistica come la C-G,
l’azienda si prende cura del personale e in cambio questi sarà leale e farà
sacrifici, se necessario. Dall’altra parte, alla Apple e in molte altre imprese di
Silicon Valley, l’assunto si è evoluto così che l’azienda non garantisce il
posto di lavoro e non si aspetta lealtà dall’impiegato. La Hewlett-Packard
si distingue, in evidente contrasto, perché ha adottato e messo in pratica, sin
dall’inizio, una filosofia più paternalistica e di gruppo, simboleggiata in maniera
particolarmente evidente dall’incidente del 1970, quando tutti optarono per
una riduzione di stipendio piuttosto che lasciare gente a casa. Allo
stesso tempo, in molti dei suoi settori di lavoro, dominano gli assunti
individualistici, nel senso che premi, incentivi e controlli sono tutti basati sulle
prestazioni individuali.
Se si guarda alle organizzazioni degli Stati Uniti in generale, il più chiaro
indicatore dell’individualismo è il dogma della responsabilità individuale. Non
importa quanto il lavoro di squadra sia reclamizzato a livello teorico, in pratica
questo non esiste fino a che la responsabilità stessa non viene assegnata
all’intera squadra e non viene istituito un sistema di incentivi e premi per il
gruppo.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quanto l’organizzazione riflette assunti profondi di tipo individualistico in opposizione ad
assunti di gruppo?
•
Come sono organizzati incentivi, premi e controlli? Se si dichiara di abbracciare il lavoro di
squadra, in pratica come funziona?
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Assunti sulla natura della realtà e della verità
In ogni cultura si cresce con convinzioni e assunti su quando considerare
qualcosa come reale e vero. Nelle moderne società occidentali, si comincia
con la convinzione che la verità sia quanto viene detto dai genitori, dagli
insegnanti e da altre figure autorevoli, poi, gradualmente, viene insegnato a
fidarsi della propria esperienza e delle prove scientifiche. Infatti, alla fine, si
arriva a rendere la scienza un altro dogma, come viene dimostrato
dall’ossessione dell’industria pubblicitaria per le statistiche, i test scientifici e
quelle che si pretende siano prove (“I dottori raccomandano..”). Dal punto di
vista filosofico possiamo pensare a questo insieme di assunti come
fondamentalmente pragmatici: crediamo a ciò che funziona.
Ma non tutte le culture sono pragmatiche in questo senso. In molte culture le
tradizioni, i principi morali, le dottrine religiose e altre fonti di massima autorità
definiscono più chiaramente ciò che deve essere considerato reale e vero.
Come si sa, anche nella società occidentale ci sono molti campi in cui si
considera più veritiera l’autorità religiosa e morale dell’esperienza pragmatica.
La DEC rifletteva assunti fondamentalmente pragmatici: tutto doveva essere
dibattuto e solo le idee che sopravvivevano al dibattito potevano essere
sufficientemente vere da meritare di essere verificate. Il test era di nuovo
pragmaticamente simbolizzato dalla volontà della DEC di avere progetti
paralleli in competizione fra loro, che sarebbero stati testati, alla fine, sul
mercato. La C-G, d’altra parte, dava per scontato che, siccome la sua
evoluzione era basata sulla chimica e sulla ricerca, coloro che avevano
istruzione ed esperienza in questo campo erano qualificati per stabilire cosa era
vero. Mentre alla DEC ogni idea veniva contrastata - anche se era proposta dal
fondatore, Olsen, o dal guru tecnico Gordon Beil -, alla C-G se un ricercatore di
alto livello con un Ph.D. proponeva un’idea, era probabile che questa venisse
accettata.
I principi morali o religiosi arrivano a dominare le decisioni aziendali in
alcune organizzazioni, come quando, per principio, un’impresa rifiuta di fare
debiti, o quando le politiche del personale sono governate da principi religiosi o
morali. Pertanto, in un’organizzazione, mentire è accettato come
un’inevitabile conseguenza della politica, ma in un’altra lo stesso
comportamento è severamente sanzionato dal punto di vista morale. In una
società moralistica, la realtà è spesso definita dal comune codice morale,
mentre in una società molto pragmatica finisce con un qualche equivalente alle
regole della legge. In altre parole, più la società è pragmatica, più i
meccanismi di risoluzione del conflitto su cosa è vero (cosa è realmente
successo) finiscono in un tribunale “dell’ultima spiaggia”, che si basa sulla
legge comune e sulla storia.
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Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Se si pensa a un paio di decisioni chiave prese dall’organizzazione negli ultimi anni, su cosa si
basavano in definitiva tali decisioni? Come è stata definita l’informazione? Cosa era
considerato un fatto in opposizione a un’opinione? Quali fatti sono risultati decisivi nel
prendere la decisione e su cosa, alla fine, si basa la decisione? Era un fatto o un’opinione? Se
era un’opinione, di chi era la decisione che aveva importanza e cosa le aveva conferito
credibiità?
•
Se si deve valutare lo stile del prendere decisioni dell’organizzazione (con 1 equivalente
all’essere completamente moralistici e 10 all’essere totalmente pragmatici), quale punteggio si
assegnerebbe all’organizzazione?
Assunti su tempo e spazio
Gli assunti su tempo e spazio sono i più difficili da decifrare, ma anche
i più decisivi nel determinare quanto a proprio agio ci si sente in ogni
dato ambiente. Se si guarda prima agli assunti sul tempo, le culture variano
nella misura in cui considerano il tempo come una risorsa lineare, che una
volta speso non può più essere riguadagnato (Hall, 1959, 1966): il tempo è
denaro e deve essere usato con giudizio. In ogni data unità di tempo può
accadere una sola cosa; quindi si sviluppano calendari e agende. In altre
culture il tempo è più ciclico; non viene considerato male il fare parecchie
cose contemporaneamente, come quando una persona anziana “dà udienza”
ed è in grado di valutare i bisogni di parecchi subordinati allo stesso tempo.
Le organizzazioni differiscono nel significato che attribuiscono
all’essere puntuali o in ritardo. Nei paesi latini, essere in ritardo può essere
considerato consueto e appropriato, mentre nei paesi dell’Europa del Nord lo
stesso comportamento è visto come un insulto. Arrivare al lavoro presto e
uscire tardi può avere diversi significati simbolici in diversi contesti;
può essere considerato come segno di grande impegno o come segno di
inefficienza. In alcune occupazioni, gli orari e la pianificazione del tempo sono
critici per riuscire a trovare opportunità di incontro o per rendere più facile il
coordinamento. Ma in altre professioni, come la biologia o la chimica, il tempo
è misurato piuttosto da quanto tempo è necessario per poter fare una cosa.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
Quali norme relative al tempo esistono nell’organizzazione?
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•
Cosa significa essere puntuali o in ritardo, o arrivare e andare via presto?
•
Le riunioni cominciano all’ora prefissata? Finiscono entro l’ora prevista?
•
Quando si fissa un appuntamento, quanto tempo è normale?
•
Infastidisce fare due o più cose allo stesso tempo?
•
Come reagisce l’organizzazione di fronte a obiettivi o orari mancati?
Lo spazio, come il tempo, ha importanti significati simbolici. La
disposizione di uffici aperti implica che le persone dovrebbero poter facilmente
comunicare fra loro, mentre uffici privati e porte chiuse sono il simbolo
dell’esigenza di pensare da soli. In alcune culture, privacy significa
letteralmente essere fuori dalla vista, dietro a porte chiuse. In altre culture è
considerato privato l’essere al di fuori della portata delle orecchie altrui, anche
se si è visibili.
La normale distanza con cui la gente sta separata dagli altri simbolizza
la formalità della relazione: più si è vicini, maggiore è la confidenza. Se
qualcuno con cui non ci si sente in confidenza sta troppo vicino, ci si sente a
disagio e si arretra; se viene permessa una maggior vicinanza, la si interpreta
come volontà di diventare più intimi (come quando letteralmente si sussurrano
segreti all’orecchio stando molto vicini).
Il luogo in cui si collocano uffici e scrivanie è simbolo di status e grado. Di
solito, più alto è il grado, più in alto nell’edificio si trova l’ufficio e più è
circondato da barriere fisiche che assicurano la privacy. La posizione e la
dimensione dell’ufficio, così come l’arredamento, sono, in molte organizzazioni,
direttamente correlati con il grado. Si scherza sugli status symbol, come gli
uffici coperti di moquette o con una bella vista, ma questa ironia riflette seri
assunti culturali sul significato attribuito agli oggetti e alla loro collocazione
nello spazio.
Implicazioni pratiche
Si pongano a se stessi e agli altri queste domande:
•
In che modo la disposizione fisica riflette lo stile di lavoro e lo status nell’organizzazione?
•
In che modo le persone esprimono il proprio grado gerarchico attraverso il comportamento
fisico e spaziale?
•
In che modo viene organizzato lo spazio circostante, e cosa si cerca di comunicare attraverso il
modo in cui lo si fa?
•
In termini di disposizione fisica, come viene definita la privacy?
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Conclusioni: cosa si farà diversamente domani?
La lezione principale da imparare, dopo essere arrivati sin qui nel la lettura, è
che la cultura è profonda, estensiva e complessa. Contempla tutti gli
aspetti della realtà e del funzionamento umano. Influenza il modo in cui si
pensa e si sente, così come il modo in cui si agisce, e dà significato e
prevedibiità alla vita quotidiana. Quindi non la si deve prendere alla
leggera e non si deve pensare in modo superficiale al suo cambiamento: ci si
potrebbe ritrovare a non amare proprio le conseguenze dei cambiamenti che si
stanno pensando. Ma se le cose non vanno per il verso giusto, se
l’organizzazione non sta realizzando gli obiettivi o se si pensa che si può
fare meglio, allora bisogna entrare in contatto con i più profondi
assunti culturali che fanno da guida.
A partire da questo momento, bisogna essere più analitici e riflessivi sulla
cultura, si deve mettere un freno al proprio impulso di passare velocemente
all’azione. Se si sta cercando di cambiare il modo in cui l’organizzazione
lavora, bisogna prima scoprire in che modo la cultura esistente sarà di
aiuto o di ostacolo. Se si scopre che alcuni degli assunti culturali non sono
funzionali, si deve trovare il modo di cambiarli. Ciò che si deve osservare nel
passo successivo, è come arrivare a questi assunti in maniera sistematica,
andando oltre al tipo di domande su cui ho chiesto di riflettere nel corso di
questo capitolo. Come valutiamo la cultura? Cos’è una “revisione” della
cultura? Si può stabilire com’è una cultura attraverso un questionario ben
progettato? Questi sono i quesiti fondamentali del capitolo 4.
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4. Dunque, come si può valutare la cultura della propria
azienda?
La valutazione della cultura è messa in gioco quando
un’organizzazione individua problemi nel modo in cui opera, o come
parte di una autovalutazione strategica in relazione a una fusione,
un’acquisizione, una joint venture o una partnership. Rispondendo alle
domande del capitolo 3 si è cominciata un’autovalutazione. Ma la capacità di
decifrare la propria cultura è ancora limitata. Quali altre tecniche si hanno a
disposizione?
Si dovrebbe usare un sondaggio?
Molti manager sono inclini alle misurazioni, fa parte della cultura della
dirigenza. Probabilmente, si vuole sapere subito se ci sono sondaggi
disponibili che permettano di valutare la cultura e assegnare valori
quantitativi a tutti i fattori considerati nel capitolo precedente. Ci sono alcuni
strumenti di analisi nei sondaggi e nei questionari che asseriscono di valutare
la cultura, ma nei termini del modello di cultura che propongo, tali sondaggi
svelano solo qualche artefatto, qualche valore dichiarato e forse un paio di
assunti di base. Non raggiungono gli assunti taciti e condivisi che possono
rivestire importanza nell’organizzazione. Perché accade questo? Perché
nessuno ha sviluppato un sondaggio affidabile e valido sulla cultura?
Perché i sondaggi sulla cultura non valutano e non possono valutare la
cultura
Ci sono parecchi motivi per cui i questionari sulla cultura non rivelano gli
assunti culturali - e per cui, in realtà, non possono farlo.
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Non si sa cosa chiedere
Per prima cosa, non si sa cosa chiedere, o quali domande formulare. Si ricordi
che la cultura comprende tutti gli aspetti di quanto un’organizzazione impara
nella sua storia. Per progettare un questionario che abbracci tutte le
dimensioni interne ed esterne considerate nel capitolo 3 (si veda la tabella
3.1), si dovrebbero formulare parecchie centinaia di domande, e ancora non ci
sarebbe modo di sapere quali fattori sono quelli importanti nell’organizzazione
presa in esame. Alcuni analisti di cultura sostengono di aver isolato un limitato
insieme di fattori rilevanti e di aver progettato sondaggi che hanno a che fare
con essi; tuttavia, la mia esperienza mi dice che ogni organizzazione ha un suo
profilo unico di assunti culturali che, inevitabilmente, non vengono colti da
nessun questionario (si veda Hofstede, 1980, 1991; Cameron, Quinn, 1999;
Goffee, Jones, 1998).
I sondaggi quasi invariabilmente hanno a che fare con i valori
dichiarati che riguardano le relazioni di lavoro. I dipendenti si sentono
coinvolti? La comunicazione è abbastanza aperta? I dipendenti comprendono la
strategia dell’impresa? E così via. Questi sono i fattori importanti per il
clima dell’impresa, e pertanto devono essere valutati, ma il pericolo è
che vengano confusi con la cultura. Cosa succede se gli elementi
importanti della cultura sono invece gli assunti taciti su strategia, clienti e
mercato, uso del denaro e altri problemi che possono avere poco a che fare
con le relazioni umane sul posto di lavoro e sono completamente trascurati dal
sondaggio? Ad esempio, se un’azienda ha sempre operato senza contrarre
molti debiti e ha avuto successo, ora potrebbe presumere che mantenere i
debiti bassi e un saldo di cassa fortemente attivo sia il modo corretto di
amministrare le proprie finanze. Questo assunto sull’amministrazione
finanziaria può divenire una parte cruciale della sua cultura e quindi modellare
tutti i generi di operazioni strategiche e operative. Ma non c’è modo di sapere
in anticipo se si debbano progettare delle domande di tipo finanziario
all’interno di un sondaggio sulla cultura.
Fare domande sui processi condivisi è inefficace
In secondo luogo, fare domande a singoli individui su fenomeni condivisi è
inefficace e in qualche modo non valido. Non è facile per nessuno avere
accesso agli assunti taciti e condivisi, pertanto, come prima cosa, l’idea di
usare un questionario è basata su una falsa logica. Dal momento che la cultura
è un fenomeno di gruppo, è molto più semplice trarre informazioni in un
gruppo ponendo domande generali su differenti aree del
funzionamento dell’organizzazione e vedendo dove c’è un ovvio
consenso fra i membri del gruppo.
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Nel gruppo si impara non solo quali sono le aree che creano
preoccupazione, ma anche qual è l’intensità del sentimento nei loro
confronti e perciò qual è la centralità dei differenti assunti condivisi
nel profilo globale della cultura.
Inoltre, non c’è modo di sapere che cosa legge nelle domande una persona che
risponde a un questionario, né si può conoscere l’atteggiamento provocato
dalla comune promessa di anonimato e privacy. Ironicamente, dover dare
ai dipendenti un sondaggio anonimo, circondato da tutti i generi di
procedure per assicurare che nessuno venga identificato, dice di più
sugli assunti profondi della cultura dell’organizzazione di tutte le
analisi statistiche delle risposte. Si consideri cosa sia implicato dalla
necessità di mantenere le risposte anonime, la paura della punizione se un
dipendente fornisce un’informazione negativa, la segretezza che circonda
l’intero progetto. Al contrario, condurre uno studio sulla cultura riunendo
insieme focus group per discutere apertamente i valori e gli assunti condivisi
che operano nel l’organizzazione, manda un segnale completamente differente.
Le cose di cui si lamenta il personale possono essere immodificabili
In terzo luogo, le cose di cui si lamenta il personale possono essere
immodificabili, perché sono radicate nella cultura. Il sondaggio ha
qualche valore nell’identificare se vengono soddisfatti o meno i valori dichiarati
e, nella maggior parte dei casi, i dati del sondaggio possono mostrare aree in
cui non lo sono. Ma per fare i cambiamenti che i dipendenti desiderano,
si ha bisogno di fare un “vero” studio sulla cultura per vedere perché i
valori non vengono soddisfatti e cosa deve essere cambiato nella
cultura affinché lo siano.
Ad esempio, come è stato sottolineato, è normale per le imprese dichiarare di
abbracciare il lavoro di squadra; i sondaggi spesso rivelano che i dipendenti
desiderano che ci sia più lavoro di squadra, più fiducia fra i dipendenti e così
via. Tuttavia, se si esaminano gli artefatti di solito si vede che i sistemi di
premi e incentivi distribuiscono riconoscimenti per l’adempimento individuale e
creano competizione fra il personale per le rare opportunità di promozione
disponibili. Se l’azienda vuole davvero basarsi sulla squadra, deve sostituire
questi sistemi individualistici, che hanno funzionato nel passato e sono
profondamente radicati nel pensiero delle persone. Se non può o non lo farà il
risultato finale potrebbe ben essere una caduta del morale quando i dipendenti
scoprono che le loro aspettative non vengono corrisposte.
In altre parole, quella che viene spesso etichettata come “cultura
desiderata” è un insieme di valori dichiarati che possono
semplicemente non essere sostenibii nella cultura esistente. Si può
asserire di appoggiare il lavoro di squadra, la comunicazione aperta, fare
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E. Schein "Culture d'impresa”
empowerment con i dipendenti che prendono decisioni responsabili, l’alto
livello di fiducia e il prendere decisioni sulla base del consenso in organizzazioni
piatte e snelle fino a che si è esausti. Ma la cruda realtà è che, nella
maggior parte delle culture aziendali, queste pratiche non esistono
perché le culture sono costruite su profondi assunti di gerarchia,
stretto controllo, privilegi manageriali, scarsa comunicazione con i
dipendenti e l’assunto che la dirigenza e il resto del personale siano
sostanzialmente in conflitto, in ogni caso, - una verità simbolizzata dalla
presenza dei sindacati, da procedure per discutere le vertenze sindacali, il
diritto allo sciopero e altri artefatti che dicono quali siano veramente gli assunti
culturali. Questi assunti sono, verosimilmente, profondamente radicati
e non cambiano solo perché il nuovo gruppo dirigente annuncia una
“nuova cultura”. Come si vedrà nei prossimi capitoli, se si vogliono
veramente cambiare tali assunti, c’è bisogno di un grande sforzo teso al
mutamento dell’organizzazione.
Come arrivare alla propria cultura
Un altro modo di porre la questione è chiedersi: io sono una personalità unica
o sono solo un esempio di una cultura?
Questa domanda ha preoccupato psicologi e sociologi per lungo tempo. La
risposta è che si è unici, si è il prodotto della propria composizione genetica e
della propria particolare esperienza di crescita. Ma nel processo di crescita si
diviene anche membri di un’unità culturale che lascia le sue tracce nella
personalità e nel modo di vedere. La più ovvia manifestazione è la lingua o le
lingue che si parlano, che sono state chiaramente apprese (non sono genetica)
e che determinano in sommo grado il processo di pensiero e il modo di
percepire il mondo. Oltre al linguaggio ci sono i molti atteggiamenti e valori
che si acquisiscono in famiglia, a scuola, nel gruppo di amici. È stato
dimostrato, più e più volte, che i bambini mostrano schemi di atteggiamenti e
valori che sono sistematicamente differenti a seconda della comunità e degli
strati socioeconomici in cui sono cresciuti.
Quindi, come si può valutare il lato culturale? L’esercizio più utile è quello di
chiedersi come adulti a quali gruppi e comunità si appartiene e in quali ci si
identifica. Si presti particolare attenzione alla comunità professionale
[Nota di PM: l'autore attribuisce grande rilevanza a questo aspetto che, al
contrario, io non vedo così critico] (Van Maanen, Barley, 1984): se si è
ingegneri e si fanno lavori di ingegneria, è possibile che si abbia un intero
insieme di assunti sulla natura del mondo che sono stati appresi come parte
dell’educazione formale e nelle prime esperienze lavorative. D’altra parte, se si
è sempre stati interessati alle vendite, si è seguito un corso di business
all’università e ci si sta costruendo una carriera nel settore vendite e
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marketing, probabilmente si hanno degli assunti che riflettono questo ambiente
professionale. Si noti che spesso i venditori sono in disaccordo con gli
ingegneri, addirittura si arrabbiano per il loro modo di pensare, dimenticando
che venditori e ingegneri spesso vedono il mondo con ottiche differenti a causa
della diversa educazione culturale.
Le convinzioni politiche, la spiritualità o la religione, i gusti personali e gli
hobby, tutti riflettono i gruppi in cui si è cresciuti e a cui si appartiene nel
presente. Questo si sa a livello intuitivo e si comprende che si è prodotti
dell’ambiente. Quello che una prospettiva culturale aggiunge a questa
intuizione, comunque, è il riconoscimento che l’attuale modo di pensare, gli
atteggiamenti, gli assunti sono anch’essi un riflesso dell’appartenere e far parte
adesso di un gruppo e di una comunità, e che una delle ragioni per cui si
aderisce alla propria cultura è che non si vuole essere devianti rispetto
al gruppo che si stima.
In altre parole, una fonte di forza per gli assunti culturali è che sono
condivisi, e il bisogno di rimanere nel gruppo li mantiene attivi. Per
guardare avanti, lasciatemi dire che quando si sostiene un cambiamento di
cultura si sta, in effetti, chiedendo all’intero gruppo e alla comunità di
alterare una delle sue caratteristi che condivise. Non c’è da meravigliarsi,
allora, che sia così difficile; non c’è da meravigliarsi che la gente opponga così
grande resistenza.
Implicazioni pratiche
Si pensi a quali gruppi e comunità si appartiene. Li si classifichi in base alla loro importanza,
quella che rivestono adesso e quella che potranno rivestire nel futuro. Per ciascun gruppo, si
faccia un elenco di alcuni assunti chiave, atteggiamenti, convinzioni, valori. Si usino le categorie
della tabella 3.1 come guida. Ci si conceda di essere sorpresi da quanto la propria personalità e il
proprio carattere - il proprio processo di pensiero, le proprie percezioni, i propri sentimenti e
atteggiamenti - siano condivisi con gli altri membri della comunità a cui si appartiene. Anche se
agiamo come attori singoli della nostra vita, siamo molto più radicati nel gruppo di quanto si
pensi.
Decifrare la cultura della propria impresa: un esercizio di quattro ore
Si ricordi che gli assunti culturali sono taciti e inconsapevoli. Anche così
questo non significa che sono repressi o indisponibili. Se si vuole avere
accesso alla cultura della propria organizzazione, ci si ritrovi con alcuni altri
colleghi (e magari qualcuno appena arrivato), si faccia partecipare un
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faciitatore che abbia un certo livello di conoscenza del concetto di cultura
descritto qui, e ci si pongano domande su quelle aree che sembrano
importanti per il continuo successo dell’organizzazione. Elenchiamo qui
di seguito i passi da compiere:
Definire il “problema aziendale”
Ci si incontri in una stanza con molto spazio alle pareti e un blocco di fogli
grandi (da lavagna). Si cominci con “problemi aziendali”: qualcosa che si
vorrebbe sistemare, qualcosa che potrebbe funzionare meglio, o qualche
nuovo intento strategico. Ci si concentri su concrete aree di miglioramento,
altrimenti l’analisi della cultura sembra senza scopo e inutile.
Revisione del concetto di cultura
Una volta che si è d’accordo sugli obiettivi tattici e strategici - le cose che si
vogliono cambiare o migliorare - si riveda il concetto di cultura quale
esiste ai tre livelli di artefatti visibili, valori dichiarati, e assunti taciti
condivisi. Si deve essere certi che tutti i membri del gruppo di lavoro
comprendano questo modello.
Identificare gli artefatti
Si cominci con l’identificare molti degli artefatti che caratterizzano
l’organizzazione. Si chieda ai nuovi arrivati com’è lavorare nell’organizzazione.
Quali artefatti notano? Si scrivano tutti gli articoli che vengono nominati. Si usi
la tabella 4.1 per iniziare a pensare, per essere sicuri di coprire tutte le aree in
cui gli artefatti culturali sono visibili. Si scoprirà che, una volta che il gruppo ha
iniziato, tutti i partecipanti interverranno con cose che hanno notato. Si
potranno riempire da cinque a dieci fogli di carta. Li si appenda al muro così
che le manifestazioni della cultura circondino i partecipanti.
Identificare i valori dell’organizzazione
Dopo circa un’ora, si cambi marcia e si chieda al gruppo di fare un elenco di
alcuni dei valori dichiarati dell’organizzazione. Alcuni possono essere già stati
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menzionati, ma li si segni su pagine separate da quelle degli artefatti. Spesso
questi sono stati scritti e pubblicati. Qualche volta sono stati ripetuti come
parte della “visione” del modo in cui l’organizzazione dovrebbe operare nel
futuro per rimanere vitale e competitiva.
Confrontare valori e artefatti
Il passo successivo è confrontare i valori dichiarati con gli artefatti nelle
aree comuni. Ad esempio se l’attenzione al cliente viene affermata come
valore, si veda quali sistemi di premi o responsabilità si sono identificati come
artefatti e se questi offrono un sostegno all’attenzione al cliente. Se ciò non
accade, è stata identificata un’area in cui agisce un assunto tacito più
profondo, che sta guidando il sistema.
Per fare un altro esempio, si può dichiarare di abbracciare il valore della
comunicazione aperta e la politica delle porte aperte in riferimento ai capi,
tuttavia si può riscontrare che gli informatori e i dipendenti che portano cattive
notizie sono puniti. Queste incoerenze dicono che al livello di assunti taciti
condivisi la cultura è in realtà chiusa, che solo le comunicazioni positive sono
tenute in considerazione, e che, se non si può trovare una soluzione, è meglio
tenere la bocca chiusa.
Come principio generale, il modo per approfondire i livelli culturali è
attraverso l’identificazione delle incoerenze e dei conflitti che si
osservano fra i comportamenti pubblici, le politiche, le regole, la
pratica (gli artefatti) e i valori dichiarati come sono formulati nelle
affermazioni, nelle linee di condotta e in altre comunicazioni
manageriali.
Si deve poi identificare cosa guidi il comportamento pubblico e gli altri
artefatti. Questo è il luogo in cui sono radicati importanti elementi della
cultura. Quando si scoprono assunti taciti condivisi, li si scriva su una
pagina separata. Si comincerà a vedere quali schemi ci sono fra questi
assunti, e quali sembrano realmente guidare il sistema, nel senso che spiegano
la presenza della maggior parte degli artefatti elencati.
Tabella 4.1 Alcune categorie per identificare gli artefatti
•
Codice di abbigliamento
•
Livello di formalità nelle relazioni con l’autorità
•
Orario di lavoro
•
Riunioni (frequenza, durata, coordinazione del tempo)
•
Come sono prese le decisioni
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•
Comunicazioni: come si apprendono le cose?
•
Eventi sociali
•
Gergo, divise, simboli di identità
•
Riti e simboli
•
Disaccordi e conflitti: come vengono gestiti?
•
Equilibrio fra lavoro e famiglia
Ripetere il processo con altri gruppi
Se il quadro che emerge da questo incontro è incompleto o opaco, si ripeta il
processo con un altro o più gruppi. Se si pensa che ci potrebbero essere
sottogruppi con i loro assunti condivisi, si verifichi questo pensiero riunendo i
gruppi che riflettono queste possibili differenze. Se si ha bisogno di ripetere il
processo parecchie volte (usando circa tre ore ogni volta), si è ancora molto
avanti in termini di tempo ed energia investita in rapporto al fare un grande
sondaggio sia attraverso il questionario sia attraverso le interviste individuali. I
dati che si ottengono hanno anche molto più significato e valore.
Valutare gli assunti taciti
È ora tempo di valutare lo schema degli assunti taciti fondamentali che sono
stati identificati in termini di quanto aiutino o ostacolino la realizzazione degli
obiettivi enunciati nel primo passo di questo processo (definire il problema
aziendale). Dal momento che la cultura è molto difficile da cambiare, si
concentri la maggior parte delle energie nell’identificare gli assunti che possono
essere di aiuto. Si cerchi vedere la cultura come una forza positiva da
usare, piuttosto che come un vincolo da superare. Se si vedono assunti
specifici che costituiscono reali vincoli, allora si deve pianificare un
cambiamento di questi elementi della cultura. Questi cambiamenti possono
essere fatti meglio se ci si avvantaggia degli elementi positivi e di sostegno
della cultura esistente. Questo processo di cambiamento è spiegato e mostrato
nei capitoli 6 e 7.
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È necessario che un consulente esterno fornisca la valutazione?
Nella mia esperienza, il gruppo che sta decifrando la cultura ha bisogno di un
facilitatore che comprenda il concetto di cultura come è stato spiegato qui, e
che non sia un membro del gruppo o del setore che sta conducendo lo studio
della propria cultura. Questa persona può essere un consulente esterno, ma
non deve necessariamente esserlo. Molte organizzazioni hanno al loro interno
professionisti di sviluppo dell’organizzazione che possono giocare il ruolo
dell’esterno maniera efficace. Qualche volta un’organizzazione mi assume per
formare il personale interno, per condurre questo processo, e quindi procede
allo studio con il proprio personale così preparato. Il facilitore deve essere
qualcuno che può creare l’ambiente, fornire il modello e continuare a fare
domande provocatorie per far sì che il gruppo continui ad andare avanti fino a
che qualche importante assunto tacito condiviso della cultura non emerga a
livello di coscienza. Questo processo è illustrato nei prossimi casi.
Quattro casi: esempi e analisi
Se si è uno di quei manager che non vogliono mai perdere più di un minuto, e
se si pensa di aver capito il processo, si possono saltare i casi e andare
direttamente al capitolo 5 - ma attenzione a saltarli. Nella mia esperienza,
sono gli esempi concreti e i casi che illustrano quale sia la reale portata della
cultura. Mentre si leggono i casi, ci si cali in uno dei seguenti ruoli.
L’agente del cambiamento che decide che l’organizzazione ha bisogno di
un’autovalutazione.
Il membro di uno dei gruppi di valutazione che sta portando a termine il
processo.
Il faciitatore che sta conducendo l’esercizio per un’altra organizzazione, o per
una parte della stessa organizzazione ricoprendo il ruolo dell’esterno.
Si immagini come ci si sente in ognuno di questi ruoli.
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«Beta Oil»
Questo caso illustra il processo di decifrazione della cultura in un progetto che
inizialmente non coinvolgeva direttamente la totalità della cultura aziendale ma
richiedeva invece la chiarificazione della cultura per realizzare gli obiettivi del
progetto.
La “Beta Oil” aveva reingegnerizzato tutti i suoi processi combinando tutto il
settore dell’ingegneria in un singolo gruppo di servizio. In precedenza gli
ottocento ingegneri coinvolti avevano lavorato per varie unità aziendali,
raffinerie e unità di esplorazione e produzione come membri di queste
organizzazioni. Nella nuova organizzazione centralizzata essi avrebbero
lavorato come consulenti per quelle organizzazioni e addebitato le loro
prestazioni. Le regole ufficiali erano che tutti i servizi di reingegnerizzazione
sarebbero stati addebitati, e la parcella ai vari clienti interni sarebbe stata
sufficiente a coprire i costi di gestione dell’unità degli ottocento ingegneri.
L’unità aziendale che voleva “assumere” ingegneri per costruire e mantenere
l’esplorazione, la produzione o la raffinazione, e le attività di marketing, poteva
usare sia il gruppo centrale interno sia rivolgersi all’esterno per questi servizi.
In ogni caso, l’unità di servizi di poteva vendere i propri servizi solo all’interno.
Ho imparato tutto questo dalla manager interna di sviluppo organizzativo
assegnata a questo gruppo centrale di servizi, che chiameremo Mary. Era stata
incaricata dal manager dell’unità di formare un “comitato della cultura”, la cui
missione era quella di definire la cosiddetta nuova cultura dell’unità durante la
sua evoluzione verso il nuovo ruolo. Era riconosciuto che i singoli ingegneri
affrontassero un gran cambiamento, il passaggio dall’essere membri di
un’unità aziendale all’essere consulenti freelance che devono vendere se stessi
e i propri servizi, e che devono emette una fattura in base al tempo di lavoro e
secondo un prezzo prefissato. Molti avevano riconosciuto che creare una nuova
cultura in questa unità era intimamente connesso alla cultura esistente
nell’impresa più grande, dal momento che sia gli ingegneri che i loro clienti
erano impiegati alla Beta Oil da lungo tempo. Inoltre, si riconosceva anche che
gli ingegneri provenivano da subculture diverse, e uno dei problemi era quello
di creare una singola cultura comune per la nuova unità.
Dopo parecchie ore di conversazione con Mary per la pianificazione di un
efficace funzionamento del comitato di cultura e per stabilire quali tipi di
intervento fossero necessari, decidemmo che dovevamo procedere a una
valutazione della cultura aziendale della Beta. Io sarei stato il faciitatore e lei
avrebbe riunito un gruppo una quindicina di persone fra manager e ingegneri
dell’unità.
Il seminario dedicò quattro ore alla discussione secondo quanto descritto
sommariamente di seguito.
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1. Richiesta al gruppo di ottenere l’unanimità sul problema aziendale:
l’evoluzione di un nuovo modo di lavorare e i nuovi valori per l’unità di
servizio nel contesto della realtà culturale della Beta.
2. Spiegazione del modello culturale.
3. Circa un’ora sugli artefatti.
4. Concentrarsi sui valori dichiarati.
5. Esplorazione per identificare gli assunti condivisi di base.
6. Esplorazione di quali di questi assunti avrebbero aiutato o ostacolato
l’evoluzione verso un nuovo modo di lavorare in questa unità.
La riunione ebbe successo nell’identificazione di un certo numero di importanti
assunti. Mary, alcuni dei suoi colleghi del comitato di cultura e io, tutti quanti
avevamo l’impressione che avrebbero dovuto essere condotti uno o più incontri
con altri gruppi per sviluppare il quadro che ci eravamo formati e controllare le
nostre intuizioni quanto avevamo sentito. Nei mesi successivi, altri due gruppi
furono riuniti per incontri di mezza giornata e portarono a un coerente quadro
dell’attuale cultura dell’azienda.
La motivazione per delineare questo disegno era che il comitato dei massimi
dirigenti dell’unità doveva essere coinvolto se si dovevano diffondere un nuovo
modo di lavorare e nuovi valori. Dare loro feedback sulla cultura così come noi
stavamo cominciando a vederla offrì l’ordine del giorno per una sessione di
lavoro con questo gruppo. Avrebbero elaborato la valutazione della cultura e,
quindi, preso alcune decisioni sui passi da adottare per definire un nuovo modo
di lavorare, coerente con i nuovi valori.
Decisi di fornire il feedback sulla cultura il più possibile nei termini del
linguaggio che era stato usato dal gruppo di valutazione. Optai inoltre, a
questo stadio, per la presentazione dei “temi” piuttosto che per una
generalizzazione che avrebbe condotto a concetti molto astratti, perché
volevamo che anche il gruppo dirigente fosse coinvolto nel processo di
valutazione della cultura e ci sembrava che offrire loro i temi sarebbe stato più
concreto. A generalizzazioni di più alto grado si sarebbe potuti arrivare
insieme, durante la riunione. La tabella 4.2 presenta il documento che era
stato dato al gruppo dirigente. Durante la riunione, feci un rapido commento
su ogni tema e incoraggiai membri del gruppo a commentarne l’accuratezza in
base alla loro esperienza.
Il gruppo dirigente sostanzialmente accettò questo quadro e confermò, con i
propri esempi, che i temi erano stati accuratamente descritti. La riflessione
sulla propria cultura permise ai membri della dirigenza di meditare sul proprio
ruolo. Riconobbero che l’aspetto più difficile della cultura della Beta era
la fondamentale paura di essere associati con qualche fallimento, o di
essere incolpati per qualcosa che andava storto. Inoltre, dal punto di vista
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della cultura degli ingegneri, compresero quanto difficile fosse per loro passare
a essere consulenti che vendono se stessi e fanno pagare una tariffa oraria ai
clienti.
Tabella 4.2
Temi della cultura identificati nel seminario di valutazione della
“Beta Oil”
I. Assunti sulla natura del lavoro che deve essere svolto
•
L’organizzazione viene stimolata dall’identificazione dei problemi e dallo
sviluppo di soluzioni.
•
Funziona con veloci soluzioni di qualunque problema venga identificato
(“fuoco, pronti, puntare”).
•
Si presume che, se si scompone un problema in problemi più piccoli e li si
mette a posto singolarmente, il problema complessivo verrà risolto (cecità
per l’interdipendenza).
•
I problemi sono riconosciuti e gli viene dato un nome una volta che il
disaccordo è abbastanza forte. Il management interviene con una veloce
diagnosi, corregge e organizza una nuova struttura o un processo
riparatore, quindi si rilassa e non porta a termine l’esecuzione (ad esempio
un fallimento sul costo della ripresa).
•
C’è una cultura dell'“eroe”: aspettare che il problema diventi serio,
spegnere l’incendio e premiare il pompiere che ha avuto successo
(“ma si ricordi che una cultura che premia i pompieri nutre i piromani”).
•
Soluzioni veloci sono sempre costituite da nuove strutture e processi, e una
volta che una nuova struttura o processo è stato messo a posto, il lavoro è
fatto. L’esecuzione è il problema di qualcun altro.
•
Tutti i dilemmi e le situazioni difficili sono considerati come problemi da
risolvere, e sono quindi soggetti alla veloce risposta di una soluzione
strutturale. Non c’è sensibilità verso la complessità di problemi “piccoli” o
verso le difficoltà di esecuzione dopo che è stata annunciata una nuova
struttura o un nuovo processo.
•
Le soluzioni sono spesso la creazione di una squadra o di un gruppo, e una
volta che una squadra è formata, si presume che il lavoro sia fatto (ma la
cultura è fondamentalmente individualistica; di conseguenza non è
detto che i gruppi funzionino bene).
•
Si evita di avere un ruolo attivo nell’esecuzione perché si è esposti al
fallimento. Si presume che le soluzioni si autovendano.
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II. Assunti sulle persone e sulle loro motivazioni
•
Si presume che il personale possa e voglia lavorare da solo, che sia
altamente motivato e scrupoloso (cioè, il management non deve
impegnarsi sul dettaglio).
•
Si presume che la gente avrà successo; il successo è atteso e dato per
scontato.
•
Si presume che il personale non abbia ego o bisogni sociali mentre lavora.
Bisogna aver voglia di sacrificarsi per l’impresa lavorando oltre l’orario
normale, portandosi a casa due borse portadocumenti ecc. Oggigiorno tutti
svolgono due lavori e ci si aspetta che siano in grado di portarli a termine.
•
Si presume che i gruppi possano lavorare da soli, e siano in grado di
decidere le proprie priorità (ma c’è la sensazione che manchi la direzione da
parte della dirigenza).
III. Assunti sul processo di management
•
L’organizzazione è guidata da procedure e numeri.
•
Tutto gira intorno a costi e denaro.
•
Spianare i costi è una buona cosa.
•
L’organizzazione è orientata ai numeri (ad esempio, obiettivi numerici su
quai persone avere nell’organizzazione).
•
L’organizzazione opera con una mentalità di comando e controllo.
•
Si presume che “la dirigenza decide; gli altri fanno” (ad esempio: quando ci
sono lavori da eseguire, il management decide chi eseguirà il lavoro, senza
nessuna o scarsissime consultazioni).
•
C’è poca responsabilità e grandissima libertà, specialmente nelle aree
intangibili e delicate che sono le più difficili da valutare.
•
Si dichiara di abbracciare il lavoro di squadra, ma il sistema di premi è
altamente individualistico, con enfasi alla ricompensa degli “eroi”.
•
Gli ingegneri gestiscono l’impresa. Si sa subito chi sono gli ingegneri: sono i
“ragazzi d’oro” bianchi, uomini, alti, per bene e agguerriti ma non
aggressivi.
•
L’azienda è una famiglia autocratica e paternalistica che si prende buona
cura suoi bambini (paga bene e ha un generoso programma di
pensionamento), a patto che si sia leali, si lavori sodo e si abbia successo.
Se si è un po’ ansiosi, questo normale e va bene.
•
Un patto stabilito è irreversibile.
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IV. Il “clima” dell’organizzazione
•
Il clima è egualitario, amichevole, moderato e gentile, ma forse anche
cattivo e attribuisce colpe dietro le spalle.
•
Vige una cultura della punizione e della colpa.
•
Non si ammette mai di non sapere qualcosa o di aver commesso un errore.
•
Nessuno vuole riconoscere atteggiamenti cattivi, ma la gente parla delle
cose cattive capitate agli altri.
•
Quando si identificano errori o fallimenti, si incolpa subito qualcuno senza
condurre un’accurata analisi sistematica; il colpevole è identificato, si sparla
di lui, viene etichettato, il che ha un’influenza sui compiti che gli vengono
assegnati, ma non ci sono conseguenze formali.
•
Non ci sono molti incentivi al lavorare insieme.
•
Un singolo errore per il quale si è incolpati può adombrare molti successi, e
ne consegue che si viene etichettati e limitati nei compiti futuri e nelle
promozioni
•
Se si è etichettati in quanto si è fatto un errore, questo influenza le persone
cui si può lavorare nel futuro, quindi essere etichettati negativamente può
essere distruttivo per la carriera.
•
Una volta che si è etichettati, lo si è per sempre; alcuni esempi: “superbo
esecutore”, “dinosauro”, “uno che non gioca di squadra”, “alto potenziale”,
“basso potenziale”, “non è materiale da dirigenza”.
•
- Fare gli straordinari è la norma.
•
Il lavoro è fatto attraverso relazioni, e si lavora con chi si conosce; si usa la
rete delle vecchie conoscenze.
•
La miglior strategia per proteggersi è quella di avere una rete di persone
che offre sostegno.
•
Si rimane nell’azienda a causa del buon salario e del programma di
pensionamento.
•
Vige un clima di paura, il futuro è incerto.
•
L’azienda era un datore di lavoro gentile e duraturo, ma, in varie divisioni, ci
sono stati dieci tornate di licenziamenti e riduzione del personale. Di
conseguenza, c’è una reale atmosfera di paura, si è riluttanti al confronto o
al lamentarsi, i conflitti si evitano o si sopprimono.
•
La combinazione del passaggio al servizio generalizzato e della riduzione del
personale porta all’esacerbazione di questi sentimenti.
•
In una ristrutturazione si possono perdere spazi, il grado o la faccia - ma
non la paga.
•
L’organizzazione non ha evidenti sostenitori.
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•
La sicurezza del lavoro non è legata alla competenza individuale.
Queste osservazioni rendevano chiaro che, per il progetto, era prioritario
sviluppare una nuova immagine su come lavorare coerente con l’immagine di
sé che avevano. Il comitato di cultura fu incaricato di trovare un nuovo set di
valori e modi di agire - il nuovo modo di lavorare, che sarebbe poi stato diffuso
nell’organizzazione. Mentre nel passato si pensava alla “nuova cultura” come a
un insieme di valori generali, come, ad esempio, lavoro di squadra, il nuovo
modo di lavorare doveva essere una concreta descrizione, basata sulla
valutazione della cultura e sulle realtà di business che la Beta affrontava.
Il nuovo modo di lavorare doveva avere a che fare con le realtà strutturali della
definizione attuale del lavoro di reingegnerizzazione, ma allo stesso tempo
doveva adattarsi alla più larga “cultura della colpa”, radicata
nell’intera organizzazione.
Per illustrare il potere di un assunto quale “non si deve mai essere
associati ad alcun fallimento perché questo può essere una minaccia
per la carriera”, una promettente joint venture si scontrò con un grande
ostacolo quando si scoprì che le strutture del progetto vero e proprio avrebbero
messo gli ingegneri della Beta in situazioni di subordinazione rispetto ai project
manager che facevano parte dell’altro lato della joint venture. L’intero processo
pianificato si chiarì perché gli ingegneri della Beta si rifiutavano di lavorare per
qualcuno proveniente da un’altra azienda. Sottolinearono che se il progetto
andava male, il manager che arrivava dall’altra organizzazione poteva
semplicemente scomparire, mentre la loro associazione con il fallimento
sarebbe stata vista negativamente all’interno della Beta. Il fatto che il manager
arrivasse da un altra azienda non sarebbe stato considerato una scusa valida.
L’impatto della valutazione culturale era doppio. Rese i leader più anziani
dell’organizzazione consapevoli della grandezza del compito di cambiamento
che affrontavano, e consci che il semplice annuncio di un nuovo insieme di
valori e obiettivi non avrebbe prodotto il cambiamento desiderato. A meno di
non specificare concretamente qual era il nuovo modo di lavorare, non ci si
poteva aspettare che gli ingegneri dell'unità si adattassero efficacemente alle
nuove condizioni strutturali imposte loro.
La sede centrale della “Circle Healthcare”
Questo caso illustra come il processo di valutazione riveli alcuni degli elementi
critici nelle subculture di un’organizzazione. Si noti anche che qui si ha a che
fare con un’organizzazione molto grande di assistenza sanitaria, quindi di tipo
diverso rispetto ai casi precedenti. Ero stato chiamato originariamente dal
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manager interno di sviluppo organizzativo dell’HMO (Health Maintenance
Organization: una società finanziata attraverso premi assicurativi i cui membri
- medici e amministrativi - offrono servizi di medicina e prevenzione entro
prestabiliti limiti finanziari, geografici e professionali a chi ne è socio e alla sua
famiglia), Robert, per discutere alcuni cambiamenti organizzativi che stavano
per avere luogo. Lui aveva l’impressione che la cultura della Circle sarebbe
stata un fattore importante, ma non era sicuro che gli altri vi avrebbero
prestato attenzione. La mia funzione era quella di consulente al processo
(Schein, 1987, 1999), e avrei aiutato Robert a decidere che tipo di intervento
avrebbe portato il management alla consapevolezza dei problemi culturali.
Riconoscemmo dal contesto che una parte della Circle (in termini di evoluzione
storica) era una compagnia di assicurazioni guidata dai tipici assunti culturali
aziendali, ma un’altra parte era un’organizzazione di medici guidata dagli stessi
dottori in modo più democratico. Ad esempio, i capi dipartimento erano eletti
dagli altri dottori, non ricevevano l’incarico dalla dirigenza. La domanda
principale era se la ristrutturazione aziendale avrebbe condotto alla
sopraffazione di una di queste subculture, se si sarebbero mischiate o se
avrebbero continuato a coesistere.
In ogni caso era importante comprendere alcuni degli elementi chiave di
ciascuna subcultura. Una fetta di personale “diagonale”, in rappresentanza di
parecchi livelli dei dipartimenti dello sviluppo organizzativo e delle risorse
umane, fu riunito per procedere con l’esercizio della valutazione. Seguii lo
stesso modello di spiegazione dei livelli di cultura visto in precedenza e quindi
di lavoro dagli artefatti ai valori agli assunti taciti condivisi. Comunque
aggiungemmo un lasso di tempo perché i membri dei due sottogruppi si
incontrassero per sviluppare il quadro delle loro subculture e per condividerlo
con l’altro gruppo.
Dopo l’esercizio, che durò un giorno intero, presi tutti i grandi fogli da lavagna
e da questi dedussi gli assunti chiave che emergevano nell’intera
organizzazione. Inserii fra parentesi i commenti e le domande che mi venivano
in mente dato il mio ruolo di consulente esterno. Appesi anche alcuni “problemi
e domande”, osservazioni sugli artefatti e sui comportamenti osservati dove gli
assunti di base non erano stati sorvolati (tabella 4.3).
Questa relazione fu inviata a Robert per essere usata nel caso lo ritenesse
opportuno. Ci incontrammo parecchie altre volte nei mesi successivi, ma la
valutazione culturale non portò ad alcun cambiamento della strategia adottata
dai manager esecutivi con il loro consulente di strategia per ristrutturare
l’organizzazione. Pensavano che le osservazioni fossero utili ma non di reale
rilievo al fine della ristrutturazione complessiva. Appresi in seguito che il
management “burocratico” della subcultura del lato assicurativo della Circle si
era fatta valere e aveva fatto cambiamenti che erano soprattutto coerenti con i
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E. Schein "Culture d'impresa”
propri assunti. La funzione del manager di sviluppo organizzativo venne
diminuita e Robert lasciò la Circle per diventare un consulente indipendente.
Tabella 4.3
Assunti condivisi nella sede centrale dell’organizzazione “Circle
Healthcare”
I. Assunti chiave
•
Si è guidati dai dati
Si deve dare l’impressione di essere guidati dai dati e di essere razionali,
anche se i “dati” sono spesso opinioni e/o esperienze passate, non dati
concreti.
•
Si è superiori
Non si deve sembrare troppo ricchi, e in pubblico si deve sembrare sempre
senza pretese, anche se si sa di essere “superiori”. Parecchi medici pagati
profumatamente guidano auto economiche, e anche attraverso altri
comportamenti si presentano in pubblico in modo più umile. (C’è necessità
di controllare l’immagine pubblica, di presentarsi come un’organizzazione
che controlla i suoi costi con attenzione? Un medico che si mostrasse
benestante verrebbe “educato” a non farlo? - E.S.)
•
Si è unici
Si è gli unici a sapere realmente cosa si può e si deve fare. Siamo l’onda del
futuro. Questo porta a essere concentrati su di sé e a non curarsi di
apprendere dagli altri. (La fiducia nei consulenti e nell’avere consulenti che
offrono alternative o raccomandazioni, piuttosto che lottare con i propri dati,
è anomalo e richiede un ulteriore approfondimento; cosa significa il fatto
che il gruppo non vuole che si lavori sui propri dati ma mi ha lasciato di
buon grado andar via con essi e condurre la mia analisi? - E.S.)
•
C’è una gerarchia
Le decisioni sono prese al vertice. (Il gruppo ha chiesto a Michael, il loro
capo, se era possibile tenere un altro incontro, piuttosto che affermare che
avevano bisogno di in contrarsi ancora per risolvere alcuni dei problemi che
erano emersi – E.S.)
•
C’è una burocrazia
Ci sono troppe scartoffie e troppe firme da apporre per far sì che le cose
siano fatte; c’è una “incapacità ad agire”. (Ho sperimentato questo nel
gruppo più come un fatto con cui convivere che come un problema da
affrontare - E.S.) Non si può trattare la teralmente, solo attraverso la
gerarchia.
•
Ci sono due forti subculture
Esse coesistono in complessa simbiosi (parola mia - E.S.). La prima è la
subcultura dei medici, che è, dal punto di vista organizzativo, una
partnership professionale (una gerarchia stratificata - E.S.) che consiste di
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E. Schein "Culture d'impresa”
molte specialità e brevi scale di carriera. La seconda è la subcultura
burocratica manageriale nella quale lavoro, paga, status e linee di carriera
sono definite da avanzamenti nella gerarchia. Nella subcultura professionale
si può salire nel ramo del management e poi tornare nella propria specialità;
nella subcultura manageriale ci si può solo muovere in su. Nella subcultura
professionale, i dipendenti possono guadagnare più dei loro manager, cioè
del primario; in quella manageriale, i manager devono sempre guadagnare
di più dei loro subordinati. Ad esempio, una caposala rinegoziò il contratto
con il sindacato infermieri [nota di P.M.: la traduzione è fatta male; così
com'è questa affermazione è priva di senso] quando scoprì che alcuni
infermieri guadagnavano più di lei. Lo status è chiaramente associato
all’essere medici, e solo loro sono chiamati professionisti. Le altre funzioni
sono di supporto e di sussidio. La rabbia nei confronti dei medici è
pubblicamente soppressa, ma colpire i medici è un’arte sottile. I medici sono
considerati inattaccabili, ma paradossalmente si sentono abbastanza privi di
potere. Spesso sono il gruppo più stabile nel sistema in termini di turnover.
•
Si è orientati all’azione
Qualunque cosa valga la pena di essere fatta la si può e deve fare
velocemente. Le cose importanti non devono richiedere troppo tempo. (È
vero il contrario? Se non si può fare qualcosa velocemente, non vale la pena
farla? Cioè, se non si può decifrare la cultura in poche ore, allora
accantoniamo questo compito oppure lasciamo che sia qualcun altro a
preoccuparsi di esso e a riportare qualche “risposta” - E.S.)
II. Osservazioni aggiuntive
I prossimi punti sono osservazioni fatte dal gruppo, ma gli assunti che vi
stanno alle spalle non sono chiari, e non c’è stato il tempo di esplorarli.
•
Ci sono tensioni fra la direzione e i servizi (centri medici), specialmente a
causa della sensazione che conduce a credere che i centri subiscano tagli dei
conti mentre la direzione continua a vivere agiatamente. La direzione è vista
come se avesse protezioni, ottenesse più soldi rispetto ai centri, come se
richiedesse sempre più soldi di quanti in realtà sono necessari.
•
Il personale arriva tardi alle riunioni, va e viene dalla stanza, va via quando
ne ha voglia (questo è successo al nostro incontro – E.S.)
•
Si valutano impegno e lealtà all’organizzazione.
•
C’è una forte etica del lavoro di stampo protestante. Più si lavora, più lavoro
si ottiene. Il tempo per la riflessione e il pensiero non è autorizzato.
•
L’abbigliamento è solitamente informale, ma in cerimonie informali gli
infermieri si vestono più elegantemente.
•
I salari dei medici sono ufficialmente segreti e tali devono essere mantenuti.
•
Istruzione e tirocinio sono largamente disponibili e altamente stimati.
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E. Schein "Culture d'impresa”
•
Non si può essere licenziati tranne che per furto o perché si infrange la
fiducia.
•
Valutazioni soddisfacenti sono offerte anche per dipendenti marginali; il
feedback negativo è scarso o nullo, similmente ai premi per
prestazioni di qualità. Si valutano la presenza regolare e la longevità, non
il lavorare per molte ore. Lavorare per molte ore porta semplicemente più
lavoro.
•
Ci sono molte riunioni e l’unanimità si costruisce durante tali incontri. C’è un
alto uso di e-mail, telefono, fax.
III. Problemi e questioni
•
L”incapacità di agire” è un riflesso delle barriere burocratiche, o del
compiacimento basato su qualche profondo livello di autosoddisfazione e
senso di superiorità e invulnerabiità?
•
Quanto di ciò che è descritto sopra è una funzione della subcultura dello
sviluppo dell’organizzazione (e non un riflesso della cultura della “Circle
Healthcare”?).
•
Dove sono le forze favorevoli agli auspicati cambiamenti strategici di
innovazione, riduzione dei costi, e maggior coinvolgimento del personale?
(L’unico posto in cui io vedo questo è nella subcultura dei medici, che è
basata più sulla partnership che su principi manageriali o burocratici. - E.S.)
•
Come si può creare un dialogo che permetta di decifrare i migliori elementi
di ogni subcultura così che il futuro possa essere costruito su un insieme di
assunti che rappresentino la migliore integrazione delle subculture
professionali e manageriali? Il processo deve partire dalla valutazione di
entrambe le subculture basandosi sull’osservazione che, in entrambe, sono
presenti elementi funzionali e altri che non lo sono. Vale a dire, come si
riducono i costi restando competitivi e senza compromettere la quantità e la
qualità delle cure mediche? Il pericolo è che la subcultura manageriale
tenterà di schiacciare la subcultura dei medici e questo condurrà o alla
paralisi, a causa della resistenza da parte dei medici, o a una riduzione della
quantità e qualità delle cure mediche.
L’organizzazione vendite della “Delta”
La Delta è una consociata statunitense controllata da una grande società
farmaceutica europea. Il vice presidente delle vendite fa questo lavoro da
trent’anni e gode di ampio credito per aver costruito una organizzazione
vendite di grande successo. Il problema di cultura sorse intorno alla domanda
se, dopo il suo pensionamento, rimpiazzarlo con un candidato interno,
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E. Schein "Culture d'impresa”
rafforzando perciò la cultura che era stata creata in un lungo periodo di tempo,
o assumere un esterno, mettendo perciò in moto cambiamenti culturali che
avrebbero portato a un altro tipo di organizzazione delle vendite. In questo
caso, l’obiettivo della valutazione non era solo comprendere la cultura
attuale dell’organizzazione delle vendite, ma anche darne una
valutazione per vedere se dovesse essere mantenuta o cambiata.
Incontrai la squadra di dirigenti e stabilii che erano davvero aperti a entrambe
le alternative. Ciò che volevano era un’efficiente organizzazione vendite;
avrebbero valutato la sua efficacia determinando, prima di tutto, quali erano le
loro impressioni sulla cultura che avremmo scoperto, e poi quali erano i
sentimenti dei membri del l’organizzazione vendite verso la loro stessa cultura.
Il piano di valutazione di base era che io avrei lavorato nell’organizzazione,
facendo interviste, individuali o di gruppo a seconda di quanto ritenessi
appropriato.
Durante il processo di pianificazione emerse un problema rilevante. L’attuale
vice presidente delle vendite si aspettava che, per decifrare la cultura, io
conducessi lunghe interviste individuali. Dovetti convincerlo che era non solo
più valido ma anche molto più efficiente lavorare con i gruppi, a meno che non
ci fosse ragione di credere che i membri del gruppo fossero inibiti a parlare
della cultura di fronte agli altri. Il risultato fu che feci interviste individuali al
massimo livello dell’organizzazione, dove l’inibizione poteva esistere; ma
quando passai alle organizzazioni regionali e distrettuali condussi incontri di
gruppo secondo le linee descritte in precedenza.
La tabella 4.4 presenta alcuni estratti dalla mia relazione, che condusse alla
fine a dare l’incarico al candidato interno e rifletteva la decisione di preservare
e rafforzare la cultura esistente. Si noti che in questo caso gli artefatti e i
valori sono più rilevanti e gli assunti taciti sono sottesi ma non resi
espliciti.
Tabella 4.4
Estratti dalla relazione sulla cultura delle vendite della “Delta”
•
C’è una forte cultura delle vendite in gran parte creata negli ultimi
decenni dall’attuale vice presidente, che sta per andare in pensione.
•
Questa cultura di vendita gode del credito di essere la ragione del successo
dell’azienda.
•
L’attuale cultura delle vendite viene percepita come la miglior speranza
dell’azienda per il futuro. L’organizzazione delle vendite sente fortemente
che non ci si dovrebbe intromettere.
•
Gli elementi chiave della cultura delle vendite - i suoi punti di forza - sono:
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E. Schein "Culture d'impresa”
1. L’alto morale, la dedizione e la lealtà dei rappresentanti delle vendite [Nota
di P.M.: Traduzione pedestre. Di qui in poi li chiameremo “funzionari di
vendita”]
2. L’alto grado di flessibilità dei funzionari di vendita nel rispondere ai
cambiamenti richiesti dal management nel marketing dei prodotti esistenti.
3. La grande apertura della comunicazione, che permette una rapida
soluzione dei problemi, collaborazione e cambiamenti di strategia quando
necessario.
4. Buona comunicazione e collaborazione fra i manager distrettuali e i
funzionari di vendita.
5. Un forte sentimento familiare, relazioni informali a tutti i livelli della scala
gerarchica; tutti sono conosciuti dal management con il nome di battesimo e
i dipendenti si fidano dei dirigenti.
6. C’è un forte programma di sviluppo che offre ai funzionari di vendita
parecchie opzioni di carriera, secondo il loro talento e i loro bisogni.
7. Standard etico-professionali elevati; l’attenzione è sull’istruzione dei medici,
non sul semplice spingere singoli prodotti.
8. Alto grado di disciplina nel seguire le direttive dell’azienda per quanto
concerne il modo in cui piazzare il prodotto; sensazione che “la direzione ci
ha mostrato come farlo, e ha funzionato”.
•
Forte sentimento che solo un interno avrebbe compreso la cultura che era
stata costruita. Far arrivare un esterno sarebbe stato molto rischioso perché
questi avrebbe potuto minare o distruggere proprio quanto si riteneva
rendesse efficiente l’organizzazione.
•
Anche se la cultura è autoritaria e gerarchica, funziona bene perché i
manager di più alto livello riescono a comunicare il messaggio che
sono i funzionari di vendita e i distretti a far funzionare il sistema, e
che quello che la direzione fa è fornire supporto alle prime linee. È
una cultura molto orientata verso la gente, il che permette sia flessibilità sia
disciplina. Ad esempio, ogni distretto segue il progetto delle vendite e del
marketing, ma ogni manager di distretto permette ai funzionari di vendita di
usare le proprie abilità e inclinazioni a loro completo vantaggio e non
vengono imposti metodi arbitrari che devono essere usati in ogni caso. I
funzionari di vendita sentono di godere di un certo livello di autonomia, ma
sentono anche obblighi e responsabilità verso i piani dell’azienda.
•
Gli incentivi individuali e di gruppo e il sistema di bonus funzionano bene nel
mantenimento di un ottimo equilibrio fra competizione individuale e lavoro
di squadra. Il management è molto sensibile alla necessità di bilanciare
queste forze, e lo fa al più alto livello, così come è attento all’equilibrio fra le
organizzazioni di vendita e marketing.
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•
La più diffusa cultura aziendale è fortemente orientata alla soddisfazione del
personale e rende disponibili molteplici percorsi di carriera. L’enfasi sulla
crescita personale e sullo sviluppo, integrata da un’approfondita formazione,
proviene dai livelli più alti dell’azienda ed è percepita come la ragione per
cui il personale è così motivato.
La relazione mostra come una valutazione culturale possa essere usata
per affrontare domande molto specifiche - in questo caso una decisione
sulla successione di un manager anziano. Se ci fosse stato un conflitto o un
contrasto maggiore nella cultura, la decisione sarebbe stata più complessa,
ma, come risultò, in tutta l’organizzazione si era concordi nell’affermare che
l’attuale cultura ben si adattava alla situazione aziendale e doveva pertanto
essere mantenuta e valorizzata.
Naval Research Labs
Il quarto e ultimo caso illustra come la decisione di procedere alla valutazione
della cultura di un’organizzazione, a causa di presunti problemi di subcultura
geografica, abbia condotto a un insieme di inaspettate intuizioni sulle altre
dinamiche subculturali che erano in atto.
L’obiettivo iniziale era quello di determinare come le differenze geografiche e
strutturali fra l’unità dei Naval Research Labs, che era localizzata in New
England, e la sua unità politico-amministrativa, di Washington D.C., potessero
aver creato sub-culture. Le due unità avevano una differente popolazione e
differenti compiti, così ci si aspettava che ci sarebbero state importanti
differenze di subcultura portatrici di problemi di comunicazione.
Io fui contattato da un ex studente del MIT che lavorava nel laboratorio, ed era
a conoscenza del mio lavoro sulla cultura. Mi presentò agli alti dirigenti e
decidemmo di creare un seminario di valutazione, della durata di un giorno,
durante il quale avremmo esplorato le subculture geografiche usando la mia
metodologia. La valutazione fu fatta con manager che rappresentavano sia
l’unità di ricerca sia quella amministrativa. Mentre procedevano, emerse che un
importante insieme di differenze strutturali, mai notate in precedenza,
dovevano essere tenute in considerazione. La Naval Research Labs lavorava in
termini di progetti, e ogni progetto aveva una particolare sponsorizzazione
finanziaria. Pertanto, ogni progetto aveva il proprio staff amministrativo che
lavorava a Washington per sviluppare il budget, mantenere informati gli
sponsor e, in generale, gestire tutti i problemi politici esterni che potevano
sorgere.
Ciò che era inizialmente percepito come due unità, una a Washington e una in
New England, si rivelò essere costituita in realtà da nove unità - ciascuna delle
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quali aveva una sottounità sia a Washington sia in New England! Comunque,
siccome era così importante per ogni progetto procedere senza scossoni, il
fattore geografico era stato superato in tutti e nove i progetti attraverso
molteplici riunioni e una comunicazione costante. Ogni progetto così aveva
sviluppato una subcultura basata sulla natura del proprio lavoro e del suo
personale, e c’erano davvero differenze subculturali fra i progetti. Ma la
nozione originale che ci fosse un problema geografico dovette essere
completamente abbandonata.
L’importante lezione che emerse da questo esercizio fu che l’attenzione
prestata alla cultura rivelò alcune strutture nell’organizzazione che non erano
state ritenute realmente significative in precedenza. Nel caso in cui la
separazione geografica costituiva un problema, ogni progetto aveva già fatto
molto per migliorare le potenziali conseguenze negative. Come nel caso della
Delta, la valutazione rivelò che le subculture dovevano essere preservate
piuttosto che cambiate.
Conclusioni
Ho cercato in questo capitolo di mostrare che:
La cultura può essere valutata tramite il processo di interviste a individui e
gruppi, e che le interviste di gruppo sono di gran lunga il miglior metodo in
termini sia di validità sia di efficienza. Tale valutazione può essere utilmente
condotta nel breve arco di tempo di una mezza giornata.
La cultura non può essere valutata per mezzo di sondaggi e questionari
perché non si sa cosa chiedere; inoltre usando tali metodi non possono
essere giudicate l’attendibiità e la validità delle risposte. Le risposte ai
sondaggi possono essere considerate come artefatti culturali e come riflessi
del clima dell’organizzazione, ma non dicono nulla sui valori più profondi o
sugli assunti condivisi che sono in opera.
Una valutazione di cultura ha poco valore a meno che non sia legata
a qualche problema organizzativo. In altre parole, fare la diagnosi di una
cultura per il puro gusto di farlo è non solo un problema troppo vasto, ma
può anche essere visto come noioso e privo di utilità. D’altra parte se
l’organizzazione ha uno scopo, una nuova strategia, o un problema
da risolvere, allora determinare l’impatto della cultura sul problema
è non solo utile ma, nella maggior parte dei casi, necessario.
Il problema dovrebbe essere correlato all’efficacia
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dell’organizzazione ed enunciato nel modo più concreto possibile. Non si
può dire che “la cultura” sia un problema. La cultura ha un impatto sul modo
in cui l’organizzazione opera, e l’attenzione dovrebbe inizialmente
concentrarsi dove l’esecuzione ha bisogno di essere migliorata.
Il processo di valutazione dovrebbe, per prima cosa, identificare gli assunti
culturali e quindi valutarli per stabilire se sono punti di forza o di costrizione
in relazione a quello che l’organizzazione sta cercando di fare. Nella
maggior parte degli sforzi di cambiamento organizzativo, è più facile
spingere i punti di forza di una cultura che superare i limiti
cambiando la cultura.
In ogni processo di valutazione culturale, si deve essere sensibili alla
presenza di subculture e preparati a farne valutazioni separate per
determinarne l’importanza rispetto a quanto l’organizzazione sta cercando di
fare.
La cultura può essere descritta e valutata a livello di artefatti, valori
dichiarati e assunti taciti condivisi. L’importanza di arrivare al livello
degli assunti deriva dall’osservazione che, se non si comprendono gli
assunti taciti condivisi, non si potranno spiegare le incongruenze che
quasi sempre emergono fra valori dichiarati e artefatti
comportamentali osservati.
Ora che si è compreso qualcosa del processo di valutazione culturale, si è
pronti per pensare a come costruire, far evolvere, valorizzare e forse anche
cambiare la cultura.
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Parte seconda
La cultura aziendale in azione
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5. Creazione di cultura, evoluzione e cambiamento nelle
imprese giovani
La natura del cambiamento in un’organizzazione dipende dallo stadio di
crescita in cui si trova. In questo e nei prossimi tre capitoli, descriverò tali
processi e mostrerò quali fattori sono coinvolti per poterli gestire nel percorso
di fondazione e crescita di un’impresa; nelle organizzazioni di mezza età che
ancora hanno successo; in quelle mature e sulla via del declino; nelle fusioni,
nelle acquisizioni e nei vari tipi di joint venture.
La fondazione e la crescita iniziale
La caratteristica culturale saliente delle organizzazioni in fase di crescita è che
sono creazioni del fondatore e delle famiglie fondatrici. Le convinzioni
personali, gli assunti e i valori dell’imprenditore o del fondatore si
impongono sulle persone che vengono chiamate a lavorarvi e - se
l’organizzazione ha successo - sono condivisi, considerati corretti e,
alla fine, dati per scontati. Le convinzioni condivise, gli assunti e i valori
funzionano, quindi, come il collante che tiene insieme l'organizzazione, come la
fonte principale del suo senso di identità e come il modo fondamentale di
definire la sua competenza specifica. A questo stadio, la cultura è la prima
risorsa dell’organizzazione, ma viene ripetutamente testata rendendola
pubblica. Se si rafforza, se l’organizzazione ha successo, la cultura
diventa più forte. Se l’organizzazione fallisce, verosimilmente i fondatori
verranno allontanati e i loro assunti verranno contestati e probabilmente
abbandonati.
Esempio: la “Jones Food”
Il fondatore, Harold Jones, era un immigrato i cui genitori avevano aperto una
drogheria in una vasta area urbana negli anni Trenta. I suoi genitori, e la
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madre in particolare, gli insegnarono alcuni atteggiamenti di base da tenere nei
confronti dei clienti e lo aiutarono a formarsi l’idea che poteva riuscire
egregiamente nella costruzione di un’impresa di successo. Il suo presupposto
fin dall’inizio fu che, se avesse fatto le cose giuste, sarebbe riuscito a costruire
una grande organizzazione che avrebbe reso una fortuna a lui e alla sua
famiglia. Alla fine costruì una grande catena di supermercati, grandi magazzini
e aziende collegate che dominarono la loro area di mercato per parecchi
decenni.
Jones era la più grande forza ideologica dell’impresa lungo tutta la sua storia, e
continuò a imporre i suoi assunti fino alla sua morte, quando aveva
abbondantemente superato la settantina. Egli supponeva che la sua missione
fondamentale fosse quella di fornire prodotti affidabili e di alta qualità ai clienti,
in ambienti puliti e attraenti. In ogni decisione che veniva presa, i bisogni dei
suoi clienti stavano al primo posto. Circolano parecchi aneddoti su Jones,
quando ancora giovane lavorava con la moglie alla drogheria, vendeva a
credito ai clienti e dimostrava in tal modo la sua fiducia in loro. Riprendeva
sempre indietro i prodotti se vi era anche la più piccola lamentela e manteneva
il suo negozio perfettamente pulito, per far sì che i clienti avessero fiducia nei
suoi prodotti. Ciascuno di questi comportamenti divenne più tardi una delle
principali linee di condotta nella sua catena di negozi, che veniva insegnata e
rafforzata attraverso un’attenta supervisione personale.
Jones riteneva che solo l’esempio personale e una stretta supervisione
avrebbero assicurato l’adeguata prestazione da parte dei dipendenti. Si
presentava senza preavviso in uno dei suoi negozi, ispezionava ogni minimo
dettaglio e quindi - con l’esempio personale, i racconti di come altri negozi
stavano risolvendo i problemi che erano stati identificati, con l’enunciazione di
chiare regole e l’esortazione - “insegnava” allo staff come avrebbe dovuto
comportarsi. Spesso perdeva la pazienza e rimproverava i dipendenti che non
seguivano le regole o i principi da lui stabiliti.
Jones si aspettava che i manager dei suoi negozi fossero molto visibili,
con il pieno controllo del loro lavoro, e che facessero lo stesso tipo di
supervisione condotta da lui, esprimendo in tal modo i profondi assunti sulla
natura della buona direzione. Questi assunti divennero uno dei temi principali
negli anni successivi del suo concetto di “management visibile”, l’assunto per
cui il “buon” manager deve sempre essere in giro per dare l’esempio e
insegnare ai subordinati il giusto modo di fare le cose.
Il gruppo fondatore di questa impresa era essenzialmente formato dai tre
fratelli di Harold. Ma venne presto assunto un “luogotenente”, che non faceva
parte della famiglia, e che insieme al fondatore divenne il principale creatore e
il supporto della cultura. Dal momento che condivideva gli assunti di base di
Jones sulla gestione di un’azienda, egli creò dei sistemi formali per assicurare
che questi assunti venissero adottati nei negozi che erano già stati aperti.
Dopo la morte di Jones, continuò a esprimere chiaramente la teoria del
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management visibile e cercò di fornire l’esempio personale per mostrare come
attuarlo, continuando con la stessa linea di condotta di attenta supervisione
che era stata usata da Jones.
Uno degli assunti diJones era che si può essere vincenti sul mercato solo se si
è altamente innovativi e tecnicamente all’avanguardia; per tale ragione
incoraggiava sempre i suoi manager a tentare nuovi approcci e chiamò molti
consulenti che sostenevano nuovi metodi per la gestione delle risorse umane,
cominciò la selezione e lo sviluppo di programmi, ricorrendo ad assessment
center molto prima che altre aziende provassero questo approccio, partecipò a
convention e visitò altre imprese in cui venivano mostrate innovazioni
tecnologiche, cosa che fece sì che lui fosse uno dei primi, ad esempio, a
introdurre il codice a barre. Era sempre desideroso di sperimentare e
migliorare la sua azienda. La visione di Jones della verità e della realtà era che
dovevano sempre essere cercate ovunque si potesse, e perciò era importante
essere aperti all’ambiente e non dare mai per scontato che si potessero
conoscere tutte le risposte.
Se una innovazione funzionava, Jones ne incoraggiava l’adozione, se invece
non funzionava, ordinava che fosse lasciata perdere. La valutazione dei
risultati e la risoluzione dei problemi erano per lui questioni
profondamente personali, che derivavano dalla sua teoria del
management visibile. Oltre a usare un gran numero di mezzi di valutazione
di business di tipo tradizionale, era per lui un dovere andare personalmente nei
suoi negozi; se c’era qualcosa che non era di suo gradimento, la correggeva
immediatamente e in maniera decisa, anche se questo significava non tener
conto della scala gerarchica. Si fidava solo di quei manager che agivano
secondo assunti analoghi ai suoi, e aveva chiaramente dei favoriti ai
quali conferiva più autorità.
Il potere e l’autorità nell’organizzazione erano centralizzati, perché tutti
sapevano che Jones o il suo luogotenente, avrebbero potuto - e lo avrebbero
certamente fatto -, calpestare, anche perentoriamente, la decisione presa in
maniera autonoma dai manager di divisione o di unità. Il controllo dell’impresa
- le azioni con diritto di voto - era totalmente posseduto da lui e dalla moglie e,
dopo la sua morte, dalla moglie.
Jones era interessato alla formazione di buoni manager nell’organizzazione, ma
non pensò mai che condividere la proprietà, attraverso la concessione di titoli
azionari, avrebbe contribuito a questo processo. Pagava molto bene i suoi
manager ma non divideva la proprietà neppure con quelli che erano stati con
l’azienda sin dall’inizio. In questo campo, l’assunto era che la proprietà era un
affare strettamente di famiglia, al punto che non era disposto neppure a
dividere il capitale sociale con il suo luogotenente, intimo amico e
fondamentale co-costruttore dell’azienda.
Jones collocò parecchi membri della famiglia in posizioni chiave di tipo
dirigenziale e riservò loro trattamenti di favore, concedendo avanzamenti di
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carriera che li ponevano presto sotto esame per valutare le loro effettive
potenzialità manageriali. Man mano che l’azienda si diversificava, i membri
della famiglia diventavano capi divisione, anche se spesso avevano
relativamente poca esperienza dirigenziale. Se il membro della famiglia non
lavorava bene, lo si sosteneva ponendo alle sue dipendenze un buon manager;
se le cose miglioravano, tutti i meriti sarebbero andati al membro della
famiglia. Se, al contrario, le cose continuavano ad andare male, il membro
della famiglia veniva rimosso, anche se con molte scuse per salvargli la faccia.
Il mio primo contatto con l’azienda fu proprio in relazione a questa dinamica.
Jones aveva solo figlie, e aveva collocato il marito della maggiore alla
presidenza dell’azienda. Questi era una persona amabile, ma non era abituata
a ricoprire una posizione di management generale, così Jones aveva
autorizzato la creazione di un programma di sviluppo manageriale per le
venticinque persone con il grado più alto nell’organizzazione (l’intento nascosto
era quello di impartire al genero qualche insegnamento sul modo in cui si
dirige un’organizzazione). Il luogotenente di Jones mi chiamò al programma in
qualità di consulente e incaricato della formazione e mi fu detto dall’inizio che
l’obiettivo era quello di istruire il genero.
Le relazioni alla pari fra le persone che non facevano parte della famiglia
diventarono inevitabilmente altamente politicizzate, e vennero ufficialmente
definite come “competitive”. Jones credeva fermamente nel valore della
competizione interpersonale: i vincitori sarebbero stati premiati, i perdenti
sarebbero stati lasciati da parte. Comunque, dal momento che i membri della
famiglia occupavano le posizioni di potere, bisognava sapere come ottenere
l’approvazione della famiglia senza perdere però la fiducia dei colleghi esterni
alla famiglia dai quali si dipendeva.
Jones voleva una comunicazione aperta e un alto livello di fiducia fra
tutti i membri dell’organizzazione, ma i suoi stessi assunti sul ruolo
della famiglia e sul modo corretto di dirigere l’azienda erano, per larga
parte, in conflitto gli uni con gli altri. Parecchi membri dell’organizzazione
si unirono insieme in una sorta di società di mutua protezione, che sviluppò
una sua propria cultura. Erano più leali gli uni verso gli altri di quanto non lo
fossero verso l’azienda, e avevano un alto livello di interazione, che generò
assunti e norme che produssero, in qualche misura, una cultura opposta a
quella del fondatore.
A questo punto si devono notare alcune cose. Per definizione, qualcosa
diventa parte della cultura solo se funziona, vale a dire se rende
possibile all’organizzione avere successo e se riduce l’ansia dei
membri (Jones incluso). Gli assunti di Jones sulla gestione dell’azienda erano
coerenti con il tipo di ambiente in cui agiva, per cui lui e il gruppo fondatore
ricevevano forti conferme su questi assunti. Mano a mano che l’impresa
cresceva e prosperava, questi assunti venivano sempre più rafforzati e lui
aveva perciò più fiducia nella loro correttezza. Nel corso della sua vita, aderì
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fedelmente a questi assunti e fece ogni cosa in suo potere per far sì che
venissero accettati anche dagli altri. Ma, come si è notato, alcuni di questi
assunti resero i dipendenti che non facevano parte della famiglia più ansiosi, e
questo portò alla formazione di una controcultura.
Jones, inoltre, imparò che doveva condividere alcuni concetti e assunti
con molte altre persone. Mentre l’impresa cresceva e traeva insegnamenti
dalla propria storia, i suoi assunti dovettero essere modificati in alcuni settori,
o, se non altro, dovette astenersi dal management attivo di questi settori. Ad
esempio, nei suoi sforzi di diversificazione, l’organizzazione acquistò parecchie
unità di produzione che le avrebbero permesso un’integrazione verticale in
alcune aree alimentari e di abbigliamento in cui ciò era economicamente
vantaggioso. Ma quando Jones capì che sapeva relativamente poco della
produzione, chiamò manager capaci e diede loro una grande autonomia.
Alcune divisioni della produzione non acquisirono mai la cultura
dell’organizzazione principale, e i capi di queste divisioni non godettero mai
dello status e della sicurezza di cui godevano invece gli interni.
Alla fine il fondatore comprese, faticosamente, che non mandava segnali così
chiari e coerenti come invece pensava. Incapace di percepire i propri conflitti e
le proprie incoerenze, non poteva comprendere perché alcuni dei suoi
migliori giovani manager non rispondessero ai suoi incentivi e
addirittura lasciassero l’azienda. Riteneva di motivarli in maniera adeguata
e non riusciva a comprendere che, per alcuni di loro, il clima politico, la
mancanza di diritti azionari, i premi arbitrariamente assegnati ai
membri della famiglia, rendevano i loro avanzamenti di carriera troppo
incerti. Jones era perplesso e arrabbiato per questo, e incolpava i giovani
manager mentre si aggrappava ai suoi assunti e ai suoi conflitti.
Dopo la sua morte, l’azienda conobbe un lungo periodo di disordine culturale, a
causa del vuoto creato dall’assenza di Jones e dal pensionamento di parecchi
altri dirigenti che costituivano un supporto chiave per quella cultura.
Ma la filosofia di base sulla gestione dei negozi era profondamente radicata e
pertanto rimase invariata. Parecchi membri della famiglia continuarono a
gestire l’impresa, anche se nessuno di loro possedeva le abilità affaristiche di
Jones.
Con il pensionamento del luogotenente di Jones, si aprì un periodo di
instabilità, contrassegnato dalla scoperta che alcuni dei manager che erano
“cresciuti” sotto Jones non erano in realtà così forti e capaci come ci si
aspettava. Nessuna delle sue figlie o dei loro mariti fu in grado di prendere il
controllo in maniera decisa, e così, a dirigere l’organizzazione, fu chiamata una
persona esterna, che, com’era prevedibile, andò incontro al fallimento perché
non si poteva adattare alla cultura e alla famiglia.
Dopo altri due insuccessi con CEO presi da altre imprese, la famiglia si rivolse a
un manager che era stato con la Jones Food agli inizi, e poi aveva fatto fortuna
altrove, in un’azienda immobiliare. Questo manager stabilizzò la situazione
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aziendale perché godeva di maggior credibilità grazie alla sua precedente
storia e alla sua conoscenza su come comportarsi con i membri della famiglia.
Sotto la sua direzione alcuni degli assunti originari cominciarono a evolversi in
nuove direzioni. Alla fine, la famiglia decise di vendere l’impresa e questo
manager, insieme a uno dei cugini, cominciò un’attività per conto suo, che finì
con l’essere in concorrenza con la Jones Food.
Una evidente lezione che si trae da questo caso è che una cultura non
sopravvive se i suoi principali fautori se ne vanno e se la maggior parte dei
membri dell’organi zazione è, a un certo livello, in conflitto a causa dei
messaggi contraddittori che provengono dai leader durante il periodo di
crescita. La Jones Food aveva una forte cultura, ma le contraddizioni del
fondatore si radicarono nella cultura stessa, creando conflitto e portando, alla
fine, alla mancanza di stabilità.
Come i fondatori e i leader radicano gli elementi culturali
Il modo in cui i fondatori e i leader creano e radicano la cultura può essere
riassunto dando uno sguardo ai vari meccanismi descritti nella tabella 5.1.
Tabella 5.1
Come i leader radicano gli elementi culturali
I. Meccanismi primari di radicamento
•
Gli elementi a cui i leader prestano attenzione, quel che valutano e
controllano regolarmente
•
Il modo in cui i leader reagiscono a incidenti critici e a crisi
dell’organizzazione
•
I criteri osservati attraverso cui i leader ripartiscono scarse risorse
•
Il deliberato disegnare, insegnare, formare un ruolo
•
I criteri osservati attraverso cui i leader assegnano premi e status
•
I criteri osservati attraverso cui i leader reclutano, selezionano,
promuovono, mandano in pensione e licenziano i membri
dell’organizzazione
II. Articolazione secondaria e meccanismi di rafforzamento
•
La progettazione e la struttura dell’organizzazione
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•
I sistemi e le procedure organizzative
•
I riti e i rituali organizzativi
•
La progettazione degli spazi fisici, delle facciate e degli edifici
•
Storie, miti e leggende su fatti e persone
•
Affermazioni formali della filosofia organizzativa, dei valori e del credo
Il meccanismo di gran lunga più importante è il comportamento del
fondatore stesso. Quando si tratta di creazione e radicamento della cultura,
“passare dalle parole ai fatti” ha uno speciale significato perché i nuovi
membri prestano di gran lunga più attenzione ai fatti che alle parole.
Una particolare importanza rivestono gli elementi di cui il leader si
prende cura, che valuta, che lo irritano, che premia e che punisce. I
meccanismi che sostengono le strutture e i processi diventano più importanti
nelle organizzazioni mature, quando nuove generazioni di leader sono
pesantemente influenzate da queste strutture e da questi processi. In casi
estremi, questi elementi determinano anche il tipo di persona che viene
accettata come leader. Ma in un’organizzazione giovane e in crescita, il
comportamento personale del leader è la causa di gran lunga più
importante per determinare il modo in cui viene modellata la cultura.
Il meccanismo di cambiamento della cultura
I membri di una giovane impresa di successo si aggrappano ai loro assunti per
due ragioni. La prima è che gli assunti sono stati inventati da loro e sono
un prodotto della loro esperienza; la seconda è che riflettono i valori del
fondatore (dei fondatori) o della famiglia fondatrice, che ha ancora il
potere che le deriva dalla proprietà. Se i fondatori dicono “questo è il modo
in cui ci comporteremo, e questo è ciò in cui noi crediamo”, allora i membri
rischiano le loro carriere se affermano che si dovrebbe provare a fare in un
altro modo, che forse è migliore. Se l’organizzazione ha successo, si sentono
irrispettosi a sfidare le convinzioni delle figure dei padri. In altre parole, questo
tipo di evoluzione culturale è sostenuta con molta forza.
L’enfasi, in questo stadio iniziale, è posta sul differenziarsi
dall’ambiente e dalle altre organizzazioni. L’organizzazione rende la
propria cultura esplicita, la integra il più possibile, e la insegna con fermezza ai
nuovi arrivati (o li seleziona per ragioni di compatibilità iniziale). Nelle
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giovani imprese si può anche riconoscere un’inclinazione nei confronti di alcune
funzioni aziendali, che influenza il tipo di cultura che sorgerà. Nella Jones Food
c’era una precisa inclinazione verso la vendita al dettaglio e il cliente, mentre
alla DEC l’orientamento era chiaramente rivolto alla progettazione e alla
produzione. Non solo era difficile per le altre funzioni della Digital acquistare
status e prestigio, ma i professionisti, come ad esempio i venditori, si
sentivano spesso dire dai manager, che erano con l’organizzazione sin dai suoi
inizi, che “i venditori non sanno mai di cosa parlano”. Alla Ciba - Geigy
l’inclinazione iniziale per la scienza e la ricerca rimasero anche quando
l’azienda era molto più vecchia. Dal momento che la divisione di ricerca &
sviluppo costituiva storicamente la base del successo dell’impresa, la scienza
era definita come competenza distintiva, anche se i manager ammettevano
sempre di più, e apertamente, che il futuro dipendeva dal marketing, da uno
stretto controllo finanziario e da operazioni efficienti.
Le implicazioni per un cambiamento a questo stadio sono chiare. Alla cultura
nelle giovani imprese che stanno crescendo con successo è verisimile che si
aderisca in maniera forte perché:
I creatori primari di cultura sono ancora presenti.
La cultura aiuta l’organizzazione a trovare una definizione di sé e a trovare la
sua strada in un ambiente potenzialmente ostile.
Molti elementi della cultura sono stati appresi come difesa contro l’ansia
quando l’organizzazione lotta per costruire e mantenere se stessa.
La proposta di cambiare deliberatamente la cultura, sia dall’interno sia
dall’esterno, è perciò probabile che sia totalmente ignorata e che a
essa si opponga resistenza. Al contrario, i membri dominanti o le coalizioni
cercano di preservare e valorizzare la cultura. La sola forza che potrebbe
sbloccare una tale situazione è una crisi esterna per la sopravvivenza,
sotto forma di un’acuta diminuzione del tasso di crescita, un calo delle vendite
o del profitto, un grandissimo fallimento di un prodotto o qualche altro
evento che non può essere ignorato (Dyer, 1986). Se una tale crisi ha
luogo, può automaticamente essere lanciata una transizione (diretta da un
esterno) al passo successivo. La crisi può gettare discredito sul fondatore e
portare all’interno del quadro un nuovo manager di alto livello. Se
l’organizzazione così come è stata fondata rimane intatta, tale rimane anche la
cultura. Quindi, come si evolve la cultura nella fase di crescita
dell’organizzazione? Quali processi possono essere attivamente guidati dalla
prospettiva di un leader o di un consulente?
Si possono identificare parecchi processi di cambiamento.
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Cambiamento che porta incremento attraverso una evoluzione specifica e
generale
Se l’organizzazione continua ad avere successo e se il fondatore o la
famiglia fondatrice sono presenti per un lungo periodo, la cultura
evolve verso piccoli incrementi continuando, nel corso degli anni, ad
assimilare quello che funziona meglio. L’evoluzione generale coinvolge la
diversificazione, la complessità crescente, i livelli più alti di differenziazione e di
integrazione, e la sintesi creativa in forme nuove e più alte. L’evoluzione
specifica coinvolge l’adattare specifiche parti dell’organizzazione al loro
ambiente particolare, creando così delle subculture che, alla fine, avranno un
impatto sul nucleo della cultura. Questi meccanismi inducono le organizzazioni
che operano in certi settori industriali a sviluppare abilità nella divisione di
ricerca & sviluppo altamente perfezionate, mentre un’impresa di prodotti di
[largo] consumo, come cibo o cosmetici, sviluppa in modo altamente
perfezionato le abilità nel campo del marketing.
In ciascun caso, tali differenze riflettono importanti assunti di base sulla natura
del mondo e sulla reale esperienza di crescita dell’organizzazione. Inoltre, dal
momento che le parti dell’organizzazione esistono in ambienti differenti,
ciascuna parte si evolve per adattarsi al suo ambiente particolare. Man mano
che i sottogruppi si differenziano e le subculture si sviluppano, sorgono
opportunità di grandi cambiamenti culturali, ma a questo stadio, questi sono
solo tollerati e si cerca di minimizzarli. Questi processi evolutivi avvengono
sia che si faccia qualcosa di specifico sia che non lo si faccia, ma se si
acquista consapevolezza dei processi, li si può aiutare sviluppando
capacità di analisi.
Implicazioni pratiche
Se non si rileva alcun pressante problema aziendale nel modo in cui le cose stanno procedendo, ci
si limiti a osservare e a mantenersi flessibili. Se si scorgono dei problemi, si cominci il processo
per sviluppare una maggior capacità di analisi, basandosi su queste dinamiche della cultura.
Guidare l’evoluzione attraverso l’incoraggiamento della comprensione
Se si pensa alla cultura come a un meccanismo per dare al mondo
significato e prevedibilità, per evitare l’ansia che deriva dall’ignoto e
dalla mancanza di senso, si possono aiutare i membri dell’organizzazione
attraverso l’esplicitazione dei temi e degli elementi culturali. Se si accresce la
capacità di penetrazione su quelli che sono gli assunti condivisi, e sul perché si
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resta aggrappati a essi, ci sarà una miglior possibilità di valutarli e
determinarne la funzionalità in relazione ai cambiamenti dell’ambiente
circostante. Il processo di decifrazione interna, descritto nel capitolo 4, ha
come effetto quello di produrre un livello di discernimento della cultura tale da
permettere a un gruppo di decidere la direzione della sua evoluzione futura. Il
ruolo chiave del leader, in questo processo, è quello di riconoscere la
necessità di un tale intervento e di dirigere il processo di valutazione
interno. Anche se i leader non descriverebbero questo processo tipicamente
come una terapia, dal punto di vista funzionale si tratta, per i gruppi,
dell’equivalente a cui si sottopongono gli individui quando ricercano aiuto
terapeutico perché le cose non vanno per il verso giusto. Il ruolo chiave del
consulente in questo processo è quello di attivare la leadership perché
diventi un sostegno alle attività che producono comprensione.
Un esempio di cambiamento attraverso comprensione improvvisa ha avuto
luogo alla Gamma Tech, un’impresa il cui assunto era sempre stato che il
marketing era una funzione inutile in relazione alle altre, tuttavia la sua
sopravvivenza dipendeva sempre più dalla sua efficacia. Nel valutare la propria
cultura, i manager di più alto grado scoprirono di condividere una definizione
molto limitata di marketing, che era “commerciare i prodotti che già si hanno”.
Con l’aiuto di un consulente esterno, i manager riuscirono a intuire che la loro
definizione di marketing era limitata e frutto di un pregiudizio. Essi furono
quindi in grado di autoistruirsi per dare una nuova definizione di marketing che
includesse la costruzione dell’immagine dell’azienda Gamma Tech, il
miglioramento del legame fra i clienti e le funzioni di sviluppo del prodotto,
l’istruzione dei venditori sulle caratteristiche dei nuovi prodotti, lo sviluppo di
strategie di lungo periodo e l’integrazione delle varie linee produttive in base
alle proiezioni di quali sarebbero stati, nel futuro, i bisogni del cliente.
I manager della Gamma Tech improvvisamente compresero che tutti gli
elementi specifici che bisognava migliorare, si riducevano, in realtà, al
marketing. Cominciarono a vedere nei loro manager di marketing delle qualità
che in precedenza passavano inosservate, e questo permise loro di cominciare
a stimare i loro colleghi del marketing e di collocarli in ruoli più centrali del
processo di management. Dal presupposto che il marketing fosse inutile,
attraverso la ridefinizione, nelle loro menti, di quale fosse il significato del
concetto di marketing, arrivarono a convincersi che fosse estremamente
prezioso. Il successo arrivò quando prestarono attenzione alle funzioni del
marketing - e poco a poco adottarono l’assunto per cui il marketing era
fondamentale per la continuazione della loro esistenza.
Parecchi degli interventi che ebbero luogo alla DEC nel corso degli anni
possono essere considerati come terapeutici nel senso che l’obiettivo era la
comprensione. Ad esempio, a un seminario aziendale per gli ottanta manager
più importanti, vennero discusse le scarse prestazioni dell’azienda. I
partecipanti vennero colti da depressione e alla fine la ragione di ciò fu
espressa in questi termini: “Potremmo fare meglio, se solo il presidente o uno
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dei suoi principali luogotenenti decidessero in che direzione dovremmo
muoverci”.
Chi di noi conosceva la cultura di quell’azienda, ascoltò questa affermazione
non come una richiesta realistica, ma come il desiderio di una soluzione
magica. Era in programma una mia breve presentazione e colsi questa
opportunità per porre una domanda: “Data la storia di quest’impresa e il tipo di
manager e persone che voi siete, se Ken Olsen entrasse qui ora e dicesse a
ciascuno di voi in quale direzione vorrebbe che voi vi muoveste, pensate che
seguireste le sue indicazioni?”. Ci fu un lungo silenzio e poi, a poco a poco,
comparve qualche sorriso complice. Ne seguì una discussione più realistica.
L’intero gruppo comprese che, data la sua storia, non avrebbe accettato ordini
da nessuno, neppure da Olsen, e che era meglio che i singoli si dessero da fare
da soli per trovare una valida direzione. In effetti, il gruppo riaffermò e rafforzò
i propri assunti sulla responsabilità individuale e sull’autonomia, ma questi
dirigenti riconobbero anche che il loro desiderio di un ordine di marcia derivava
in realtà dal desiderio di maggior disciplina nell’organizzazione - e questa
disciplina poteva essere raggiunta fra loro con una più stretta coordinazione a
partire proprio dal loro livello.
Non sempre gli assunti che non sono funzionali devono essere
abbandonati. Qualche volta è sufficiente riconoscere il modo in cui agiscono,
così che le loro conseguenze possano essere valutate in modo realistico: se
vengono giudicate troppo costose, ci si può impegnare in comportamenti di
compensazione. Ad esempio, l’impegno della DEC a controllare tutte le
decisioni lateralmente prima di procedere (anche se questo rallentava le cose)
era un’affermazione dell’assunto secondo cui si può testare la correttezza di
una decisione solo avendo ampi confronti. Se questo modo di procedere non è
più funzionale, si può (1) progettare un meccanismo di compensazione (ad
esempio avere riunioni meno frequenti ma più lunghe, o classificare le decisioni
e cercare l’unanimità solo su alcune di esse, o trovare il modo per velocizzare
le riunioni), oppure (2) suddividere l’impresa in unità più piccole, in cui il
processo per raggiungere il consenso unanime possa funzionare meglio perché
la gente si conosce.
Implicazioni pratiche
Se il risultato del processo di analisi è la scelta, da parte dell’organizzazione, di riaffermare la
propria cultura, parecchi meccanismi concreti possono essere usati per assicurare continuità;
•
Accertarsi che i nuovi assunti si adattino alla forma culturale.
•
Identificare e assegnare premi per i comportamenti coerenti con gli assunti culturali.
•
Identificare e punire i comportamenti che vanno contro importanti assunti e valori.
•
Creare o continuare programmi di formazione, socializzazione, indottrinamento e counselling
che facciano entrare in contatto i nuovi arrivati con chi è nell’impresa da più tempo.
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Se, al contrario, il processo di analisi porta a dire che la cultura deve evolvere allora si deve
intervenire secondo le linee discusse nella sezione seguente.
Evoluzione gestita attraverso la promozione di “ibridi”
I mutamenti nell’ambiente spesso creano disequiibri che costringono a un reale
cambiamento. Come può una giovane organizzazione impegnata tanto a fondo
a consolidare la propria identità operare un tale cambiamento? Uno dei
meccanismi è il processo di graduale e progressivo mutamento attraverso la
promozione sistematica di interni i cui assunti meglio si adattano alle
nuove realtà esterne. Poiché sono interni, accettano gran parte del nucleo
della cultura, e godono di credibilità. Ma, a causa della loro personalità o delle
loro esperienze di vita, o delle subculture nelle quali si sono sviluppate le loro
carriere, mantengono degli assunti che sono in vari gradi diversi da quelli del
nucleo e possono pertanto far gradualmente muovere l’organizzazione verso
nuovi modi di pensare e agire. Se tali manager si trovano in posizioni chiave,
spesso suscitano negli altri sentimenti tipo “non ci piace cosa sta facendo nel
processo di cambiamento di questo posto, ma almeno è uno di noi”.
Affinché questo meccanismo funzioni, alcuni dei manager più in vista
dovrebbero comprendere cosa manca. Questo implica che debbano prima
diventare sufficientemente marginali nella loro stessa organizzazione [Nota di
P.M.: ritengo che l'autore voglia dire “assumere un punto di vista distaccato,
dall'alto o dall'esterno”. La traduzione continua a essere becera] per essere in
grado di percepire la loro cultura aziendale in maniera accurata. Possono
ottenere tale capacità di discernimento attraverso le domande dei membri del
consiglio, attraverso consulenti, o attraverso programmi formativi in cui
incontrano altri leader. Se i leader sono quindi in grado di riconoscere la
necessità di un cambiamento, possono cominciare a selezionare quei membri
della cultura esistente che meglio rappresentano i nuovi assunti che si vogliono
valorizzare, affinché ricoprano delle posizioni chiave.
Ad esempio, in un certo stadio della sua storia, la DEC scoprì che stava
rapidamente perdendo la capacità di coordinare gli sforzi di un grande numero
di unità. Olsen e gli altri dirigenti sapevano che collocare un esterno in una
posizione chiave sarebbe stato un errore, perché questi non sarebbe stato
accettato, così cercarono gradualmente di far ricoprire tali posizioni a dei
manager che erano cresciuti nella produzione, dove la disciplina e la
centralizzazione erano la norma. Questi manager agirono all’interno della
cultura, ma, poco a poco, provarono a imporre maggiore centralizzazione e
disciplina.
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Analogamente, una volta che la Ciba-Geigy aveva accettato la necessità di
prestare maggiore attenzione al mercato, cominciò a dare l’incarico per
posizioni di rilievo a manager che erano cresciuti nella divisione farmaceutica,
dove l’importanza del marketing era stata riconosciuta prima.
Le organizzazioni qualche volta cercano di raggiungere tali cambiamenti
chiamando del personale esterno, ma, a questo stadio, la cultura è troppo forte
e gli esterni o adottano la cultura o vanno incontro al fallimento e alla
conseguente espulsione. Come vedremo, in uno stadio successivo gli esterni
giocano invece un ruolo più impotante. D’altra parte, con la crescita di
subculture, diviene più semplice trovare degli “ibridi” all’interno
dell’organizzazione, come discuteremo nel prossimo paragrafo.
Implicazioni pratiche
Si identifichino e promuovano in posizione chiave quegli individui che accettano la forza del
nucleo della cultura, ma che hanno altri valori e altri assunti, più idonei alla direzione che
l’organizzazione deve prendere. Si cerchi di individuare tali persone all’interno
dell’organizzazione, così che siano accettate come membri della cultura esistente.
Trarre vantaggio dalla crescita di subculture
Se le convinzioni del fondatore ben si adattano alle realtà ambientali
che la nuova organizzazione affronta, questa cresce e invecchia. Con la
crescita e l’invecchiamento si verificano nuovi fenomeni organizzativi: sorgono
forti sottounità basate sulla funzione, la geografia, i mercati o i prodotti, che
devono sopravvivere nei loro vari ambienti esterni. Perciò, nell’adattarsi a
questi ambienti esterni, sviluppano convinzioni e assunti che sono coerenti ma
diversi dal nucleo di quelli del fondatore. Tali subculture sono spesso chiamate
silos o “tubi di stufa” se riflettono funzioni, prodotti, mercati o geografie. I
confini che costruiscono intorno a sé rendono difficile la comunicazione e
l’integrazione dei loro vari sforzi.
Ma questo non è il solo tipo di subcultura che si forma. Con l’età ogni gruppo di
dipendenti e di manager a un dato livello all’interno dell’organizzazione
condivide anche esperienze comuni, che divengono la base per assunti
mantenuti reciprocamente su come stanno le cose e su come dovrebbero
andare. Gli assunti condivisi dai dipendenti sono diversi da quelli della
dirigenza, specialmente se i lavoratori sono sindacalizzati e in particolare se
appartengono a una confederazione internazionale [nota di P.M.: Nella realtà
italana questa affermazione va presa con le dovute tare]. I supervisori di prima
linea sviluppano assunti condivisi basati sulla natura del loro lavoro. I gruppi di
progettazione, finanza e programmazione sviluppano i propri, basandosi sulle
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loro esperienze professionali e occupazionali. I manager di medio livello
sviluppano subculture basate sulla somiglianza dei loro ruoli. E, cosa
che è forse la più importante, lo fanno anche i CEO e le persone che godono
della loro fiducia, condividendo assunti che riguardano i problemi finanziari
della loro organizzazione.
È particolarmente importante comprendere alcune subculture, specialmente
quella ingegneristica e quella dell’alta dirigenza, perché il gruppo di riferimento
- il gruppo con cui i membri si confrontano - risiede al di fuori
dall’organizzazione, nella comunità professionale (Schein, 1996; Van Maanen,
Barley, 1984). Pertanto, per gli ingegneri e per gli altri progettisti organizzativi
[meglio: “per altre figure organizzative di taglio tecnico / scientifico”] molti dei
valori e degli assunti su cui si basano sono dettati dal modello offerto dalla
professione. È verosimile che condividano gli assunti secondo cui i progetti
perfetti sono quelli privi di persone e che sono le persone a commettere errori
e pertanto dovrebbero essere il più possibile tenute fuori dalla progettazione.
La subcultura degli ingegneri e della progettazione, quindi, è potenzialmente in
conflitto con vari operatori, linee e unità di vendita che dipendono dalle
persone e dal lavoro di squadra per poter ottenere efficaci prestazioni.
Nel caso dei CEO è il loro consiglio, il mercato finanziario, la comunità degli
analisti e di altri CEO nel ripettivo settore merceologico a definire l’ambiente e
di conseguenza a creare alcuni degli assunti su cui essi imparano a basarsi.
Per quanto ritengano che le persone siano importanti, il loro lavoro
richiede, innanzitutto, attenzione alla situazione finanziaria
dell’organizzazione e, inevitabilmente, le persone verranno viste come
un fattore di costo. In pratica, la subcultura dei CEO è anche fuori sincronia
con quella degli ingegneri, a causa del desiderio di questi ultimi di costruire il
sistema più elegante possibile, che è solitamente troppo costoso. Quindi il
grado di allineamento di queste subculture professionali fra loro è un fattore
fondamentale che determina il modo in cui l’organizzazione funziona come un
tutto. Il ruolo del leader di cultura è proprio quello di far accettare
queste subculture come necessarie e bisognose di allineamento: se
ogni subcultura ritiene che le altre non siano funzionali, non è di aiuto
all’organizzazione. Il lavoro di un agente del cambiamento di cultura è di
sviluppare incontri ed eventi in cui possa sorgere fra le diverse
subculture la reciproca comprensione.
Implicazioni pratiche
•
Si creino processi di valutazione per identificare gli assunti di varie subculture, secondo la
funzione, la linea di prodotto, il mercato, l’area geografica, la comunità professionale e i gradi.
•
Si esamini la stereotipizzazione non funzionale attraverso questi confini culturali.
•
Si creino eventi per permettere la comunicazione e il dialogo per migliorare la comprensione
reciproca e l’allineamento delle subculture.
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•
Se qualche subcultura rappresenta assunti e valori più in linea con le esigenze dell’ambiente, si
collochino le persone provenienti dalla subcultura in posizioni-chiave per l’organizzazione.
L’impatto della dimensione e la perdita della “familiarità
funzionale”: dal management personale ai contratti, ai
sistemi e ai processi
Quando la diversificazione in vari tipi di subcultura ha luogo in una
piccola organizzazione in cui tutti si conoscono, le difficoltà di
comunicazione che possono sorgere durante gli sforzi di coordinazione
sono risolvibili in via informale. Le persone hanno “familiarità di funzione”
le une con le altre, nel senso che conoscono lo stile di lavoro reciproco,
sanno cosa significa un impegno verbale o il lasso di tempo che viene
usato e generalmente sono in grado di calibrarsi a vicenda. Con la
crescita della dimensione dell’organizzazione, le persone non possono più
rimanere funzionalmente “familiari” fra loro, così devono ricorrere a
processi più formali di contrattazione, di controllo reciproco, e, in
generale, a processi e procedure che sostituiscono il contatto
personale.
Per ritornare su questo concetto, quando la DEC era una piccola impresa, un
ingegnere hardware poteva andare al reparto software e chiedere se il
software sarebbe stato pronto in sei mesi, così da poter lanciare il prodotto. Il
manager del software avrebbe detto: “Certo”. Il manager dell’hardware mi
avrebbe poi detto che “sapeva” che questo significava nove mesi, perché “il
manager del software era sempre un p0’ ottimista, ma lo avrebbe fatto, e così
io potevo fare i piani di conseguenza”. Quando la DEC si ingrandì e si
diversificò, lo stesso scenario non avrebbe prodotto gli stessi risultati. Il
manager del software avrebbe di nuovo detto: “Certo” ma il manager
dell’hardware mi avrebbe detto di non essere sicuro se questo significasse sei,
nove o dodici mesi, o mai, perché qualche altra priorità poteva cancellare il suo
progetto. Il manager del software era ora un estraneo, inserito in altre
strutture, qualcuno con una personalità sconosciuta. Il manager
dell’hardware doveva ricorrere a un impegno scritto così da poter
vincolare a esso il manager del software. Era nata la burocrazia.
Quando gli accordi devono essere negoziati con estranei, viene meno il
livello di fiducia e i processi politici cominciano a subentrare al lavoro
di squadra nel perseguimento degli obiettivi comuni. Le sottounità divengono
centri di potere e i loro leader diventano baroni con priorità sempre più limitate
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a una realtà ristretta. I vari livelli della supervisione e la dirigenza di medio e
alto livello sviluppano le proprie norme e costringono entro certe forme il
percorso della comunicazione fra i vari gradi di gerarchia. Ad esempio, gli
ingegneri imparano che le loro idee di progettazione devono essere espresse in
termini di costi e benefici, affinché la media dirigenza prenda in considerazione
la proposta, e la media dirigenza impara a mostrare i benefici del progetto nei
termini dei particolari problemi finanziari con cui il CEO è alle prese (Thomas,
1994).
Per tutto il periodo in cui il fondatore o la famiglia fondatrice mantengono la
proprietà e il controllo, possono funzionare come forze unificanti e usare alcuni
degli assunti di base della cultura come meccanismi principali di integrazione e
controllo. Il fondatore-proprietario dotato di carisma può continuare ad agire
da collante enunciando i valori e i principi che si aspetta che il management
dell’organizzazione segua. Ma, con il continuo successo, l’impatto della
dimensione e dell’età rendono questa forma di coordinazione più difficile da
realizzare. L’incapacità dei fondatori a cedere il controllo aumenta il pericolo
che vengano perpetuati gli elementi non funzionali della cultura, e ai nuovi
manager con assunti e valori appropriati e adatti non verrà permesso di
acquistare potere. Quindi il problema principale diviene il modo in cui si guida
la successione.
Implicazioni pratiche
•
Si presti attenzione ai sintomi di perdita della familiarità di funzione: incomprensioni fra i
confini delle subculture, perdita di fiducia, crescita di impegni formali e altri processi
burocratici.
•
Si creino eventi (incontri, progetti speciali, viaggi comuni, occasioni sociali) per ricostruire la
familiarità di funzione, che permettano alla gente che deve lavorare insieme di conoscersi dal
punto di vista personale.
Gestire i problemi di successione
La transizione dalla gestione dei fondatori e dalle famiglie proprietarie alla fase
di maturità, gestita dai general manager, coinvolge un certo numero di
passaggi e processi. Il modo in cui le imprese realmente si muovono nel
passaggio dai controllo di un fondatore o una famiglia alla direzione di general
manager di seconda, terza o quarta generazione, presenta così tante varianti
che si possono solo identificare alcuni processi ed eventi tipo.
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E. Schein "Culture d'impresa”
Il primo - e spesso più critico - di questi processi è il passaggio dal
fondatore al successivo CEO, sia esso un membro della famiglia o
esterno. Anche se si tratta dei figlio o della figlia o di un altro membro della
famiglia, è nella natura dell’imprenditore-fondatore aver difficoltà a cedere
quanto ha creato. In casi estremi, un fondatore può addirittura,
inconsciamente, desiderare di distruggere la sua organizzazione per dimostrare
al mondo quanto fosse indispensabile. D'altra parte, per alcuni imprenditori, la
cui passione è continuare a creare nuove imprese, è facile uscire allo scoperto
e lasciare il proprio posto o dare l’incarico di guidare l’impresa di successo ad
amici o colleghi.
Durante la fase di transizione, il conflitto su quali elementi della cultura
piacciono o meno al personale, riflette quello che a loro piace o meno del
fondatore, dai momento che la maggior parte della cultura è, verosimilmente,
un'emanazione della sua personalità. Le battaglie nascono fra “conservatori”,
ai quali piace la cultura del fondatore, e “liberali” o “radicali”, che vogliono
invece cambiarla (in parte per migliorare la propria posizione). Il pericolo, in
questa situazione, è che i sentimenti nei confronti del fondatore siano proiettati
sulla cultura e, nello sforzo di sostituire il leader, venga messa in dubbio gran
parte della cultura. I membri dell’organizzazione dimenticano che la cultura è
un insieme di soluzioni apprese che hanno prodotto successo,
benessere, e identità, e allora possono provare a cambiare proprio le cose
cui danno valore e di cui hanno bisogno.
Ciò che spesso manca, in questa fase, è la comprensione di cosa sia la cultura
e di cosa sta facendo per l’organizzazione, indipendentemente da come è
diventata così. I processi di successione dovrebbe pertanto essere
progettati per accrescere quelle parti della cultura che forniscono
identità, competenza specifica e protezione dall’ansia. Un tale processo
può probabilmente essere diretto solo dall’interno, perché un esterno non può
comprendere le sottigliezze insite nei problemi culturali e le relazioni emotive
che si sono stabilite fra fondatore e dipendenti.
La preparazione per la successione è solitamente difficile dal punto di vista
psicologico sia per il fondatore sia per il potenziale successore, perché
normalmente agli imprenditori piace mantenere un livello di controllo.
Ufficialmente stanno preparando i successori, ma inconsciamente stanno
impedendo a persone forti e competenti di rivestire tali ruoli con successo.
Oppure possono designare i successori ma impedire loro di avere
abbastanza responsabilità per imparare come svolgere il lavoro - cosa
che potremmo chiamare la sindrome del Principe Alberto, ricordando che la
Regina Vittoria, in molte occasioni, non permetteva al figlio di impratichirsi con
ciò che significa essere re. Questa dinamica si produce con maggiore
probabilità nel caso in cui si tratti di una transizione da padre a figlio.
Quando la massima dirigenza o il fondatore stabilisce i criteri per trovare un
successore, i problemi culturali escono necessariamente all’aperto. È ormai
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chiaro che una grossa parte della cultura è diventata attributo e proprietà
dell’organizzazione, anche se all’inizio era proprietà del fondatore. Se il
fondatore o la famiglia hanno ancora una posizione dominante
nell’organizzazione, ci si può aspettare un piccolo cambiamento di cultura ma
un grande sforzo per chiarificarla, integrarla, mantenerla e farla evolvere,
principalmente perché la si identifica con il fondatore.
Quando il fondatore o la famiglia, alla fine, cedono il controllo, la successione
formale del management offre un’opportunità per cambiare l’indirizzo della
cultura, se il successore è il giusto tipo di ibrido, cioè se rappresenta ciò che è
necessario all’organizzazione per sopravvivere, e tuttavia rimane accettabile
perché è parte dell’organizzazione stessa e pertanto è anche un conservatore
di parte della vecchia cultura. In alcune imprese, dopo che parecchi esterni
hanno fallito nella carica di CEO, si trova qualcuno che in precedenza ha
lavorato nell’organizzazione, e perciò viene visto dalla famiglia come uno che la
può comprendere - anche se introduce parecchi nuovi assunti sulla gestione
dell’azienda.
Se il processo di successione non è condotto in maniera efficace, i fondatori e
la famiglia fondatrice perdono potere e sono alla fine rimpiazzati da mezzi
formali [Ma che diavolo significa? Che cosa vuol dire in lingua italiana?]. Se la
proprietà diventa nota [Idem!], viene creato un comitato, costituito
essenzialmente da esterni, e un manager professionista, esterno
all’organizzazione, diventa CEO. Mano a mano che la famiglia perde la sua
influenza e il comitato procede nel dare l’incarico a nuovi CEO, le
organizzazioni entrano in quella che io chiamo la mezza età. Come vedremo, i
problemi culturali nella mezza età sono abbastanza diversi.
Implicazioni pratiche
•
Se si lavora in un’organizzazione che è ancora guidata dal fondatore, si comincino a costruire
processi per esaminare e discutere la successione.
•
Se si osserva che la discussione sulla successione viene accolta con resistenza o che il fondatore
mostra una scarsa volontà di affrontarla, si pensi in termini di fornire comprensione in tono
dimesso, esaminando il processo di successione in sé come un artefatto culturale.
•
Dal momento che si ha a che fare con forti componenti psicologiche che riguardano questo
problema, si deve agire il più possibile come un consulente al processo, che aiuta il CEO a
ottenere maggior comprensione - non si deve agire come un agente di cambiamento culturale
che crea un conflitto.
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Conclusioni
Il cambiamento culturale e il ruolo della leadership nel condurlo si attuano
attraverso diversi meccanismi che dipendono dallo stadio di sviluppo
dell’organizzazione. Al momento della fondazione e in uno stadio iniziale, gli
assunti culturali definiscono l’identità del gruppo e le sue competenze
specifiche e perciò sono mantenute con forza. Se i leader scoprono assunti che
mal si adattano, l’unico modo in cui possono cambiare la cultura è influenzare
la normale evoluzione del processo o produrre interventi terapeutici che
forniscano ai membri del gruppo una nuova comprensione e perciò permettano
loro di far evolvere più agevolmente la loro cultura.
L’altro meccanismo principale a disposizione dei leader in questo stadio è la
localizzazione e la promozione sistematica, nell’organizzazione, di ibridi che si
facciano portatori dei principali elementi della cultura, ma che abbiano appreso
anche altri assunti, che si considerano adattabili, in vari sottogruppi.
La transizione alla mezza età è densa di problemi culturali perché i problemi di
successione comportano necessariamente l’uscita allo scoperto degli assunti
culturali.
È assai probabile che i membri del gruppo confondano elementi della cultura
con elementi della personalità del fondatore, ed è verosimile che i sottogruppi
si uniscano a favore o contro ciò che il fondatore rappresenta. I problemi
culturali, perciò, divengono salienti durante la fase di transizione della
successione, ma i meccanismi di cambiamento sono probabilmente gli stessi
che ho descritto, a meno che, durante la transizione, l’impresa non venga
venduta o affidata a una direzione totalmente diversa, nel qual caso ha inizio
un nuovo processo di formazione della cultura.
Il problema chiave per i leader del cambiamento culturale è che essi devono
diventare marginali nella loro stessa cultura, in maniera sufficiente da
riconoscere quali sono le forze che vale la pena preservare e quali sono gli
assunti non adatti, che richiedono invece un cambiamento.
Questo rende necessaria la capacità di apprendere nuovi modi di
pensare come preludio per scongelare e cambiare la loro
organizzazione. Questo processo è particolarmente difficile per fondatori
imprenditori perché il successo iniziale della loro organizzazione li porta
probabilmente a credere che i loro assunti siano alla fine quelli corretti.
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6. Il cambiamento trasformativo
Disapprendere e riapprendere la cultura
Prima di poter guidare il cambiamento della cultura in organizzazioni giunte
alla fase della mezza età, si devono comprendere alcuni elementi del
cambiamento trasformativo in generale. Nel capitolo 5 ho delineato i
meccanismi evolutivi del cambiamento. Ma una volta che gli elementi si sono
stabilizzati, il problema del cambiamento diventa più complicato, perché ora
implica il dover disapprendere convinzioni, atteggiamenti, valori e
assunti e impararne di nuovi. Le persone oppongono resistenza al
cambiamento perché il processo di disapprendere provoca disagio e ansia.
Possono essere costretti a cambiare il loro comportamento pubblico, ma tale
comportamento non è stabile a meno che i livelli più profondi non conoscano
un qualche tipo di trasformazione. Si deve vedere cosa sappiamo sui processi
di cambiamento che sono autenticamente trasformativi.
Un modello semplificato della psicodinamica del cambiamento
trasformativo
Il modello mostrato nella tabella 6.1 implica tre stadi principali e parecchi
passaggi intermedi che descrivo qui con qualche dettaglio.
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Se non si comprendono le dinamiche psicologiche e sociologiche coinvolte, non
si può realmente afferrare la ragione per cui i cambiamenti culturali sono così
difficili nelle organizzazioni mature, o perché richiedano così tanti anni. In
questo capitolo espongo il modello, nel capitolo 7 fornisco invece i casi pratici
che servono a illustrarlo.
Disconferma
Cambiare qualcosa implica non solo apprendere qualcosa di nuovo, ma anche
disapprendere qualcosa che già si sa e che in qualche modo crea
un’interferenza. Ciò che la maggior parte delle teorie e modelli
sull’apprendimento trascurano sono le dinamiche connesse a disimparare,
al superare la resistenza al cambiamento. In tali teorie si presume che, se
si può avere una visione sufficientemente chiara di un futuro positivo, questa
sia una motivazione sufficiente per cominciare un nuovo apprendimento.
Per rispondere a questa convinzione, iniziamo a sollevare un punto
controverso. C’è un istinto naturale ad apprendere e migliorare? Prima
che l’apprendimento trasformativo abbia luogo, ci deve in essere una qualche
nuova forza che fornisce le motivazioni? La curiosità naturale è un motivo
sufficiente per provare nuove cose e superare vecchie abitudini di pensiero? O,
perché sorga la motivazione, ci deve invece essere una qualche ragione di
insoddisfazione? Questa deve esprimersi come “ansia da sopravvivenza” (in
un certo senso non sopravviverò, a meno che io non cambi), o come “colpa”
(non raggiungerò i miei ideali e le mie aspirazioni a meno che io non cambi)?
La formulazione aziendale di questa domanda è: “Può un’organizzazione di
successo operare grandi cambiamenti, o deve esistere un senso di
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paura o fallimento o crisi prima che le persone trovino motivazioni per
cambiare?”. Per usare un’analogia tratta dall’esplorazione dei giacimenti
petroliferi in mare aperto: ci deve essere una piattaforma che brucia prima che
venga accettata la necessità di un reale cambiamento? In breve, il processo
di cambiamento o di apprendimento deve sempre cominciare con una
qualche forma di ansia da sopravvivenza?
Indubbiamente ciascuno di noi ha le proprie esperienze e le proprie
inclinazioni, e nessuno è realmente in grado di provare quale delle due sia la
risposta corretta. La mia esperienza però mi convince che un certo senso
di paura, di crisi, o di insoddisfazione deve essere presente in un
sistema maturo in cui le cose devono essere disimparate prima che le
nuove possano essere apprese. Kurt Lewin, lo psicologo sociale che ha
condotto alcune delle più creative ricerche in questo campo, ha pensato a
questo processo come allo “scongelamento”.
I sistemi umani tendono a cercare di mantenere un equilibrio stabile;
se ci deve essere un cambiamento, delle nuove forze devono
disturbare l’equilibrio. Riconoscere e guidare queste forze crea la
motivazione al cambiamento. Ogni cambiamento, quindi, comincia con
una qualche disconferma.
Insoddisfazione e paura come fonti di disconferma
I membri dell’organizzazione possono sperimentare queste forze che
provocano lo scongelamento in maniera diretta, o possono essere espresse,
nell’organizzazione, da qualcuno (di solito una persona che occupa una
posizione di rilievo), che ha la funzione di spronare, il leader del cambiamento.
L’informazione di disconferma può implicare alcune o tutte le seguenti
categorie.
Una paura di tipo economico - a meno che non si verifichi il cambiamento,
ci si dovrà ritirare dagli affari, si perderanno quote di mercato, o si subiranno
altre perdite.
Una paura di tipo politico - a meno che non ci sia un cambiamento, qualche
gruppo più forte avrà la meglio o otterrà qualche vantaggio.
Una paura di tipo tecnologico - a meno che non ci sia un cambiamento, si
diventerà obsoleti.
Una paura di tipo legale - a meno che non ci sia un cambiamento, si finirà
in prigione o si dovranno pagare multe salate.
Una paura di tipo morale - a meno che non ci sia un cambiamento, si verrà
considerati egoisti, malvagi, socialmente irresponsabili.
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Un disagio di tipo interno - a meno che non ci sia un cambiamento, non si
raggiungeranno alcuni degli obiettivi e degli ideali che ci si era prefissati.
L’ultima spinta, quella interiore, è spesso considerata come la base
dell’apprendimento “spontaneo” o naturale, perché sembra possibile
rluscire ad automotivarsi. C’è il desiderio di fare meglio, di raggiungere
qualche ideale. Ma nella mia esperienza tale apprendimento motivato
spontaneamente è quasi sempre messo in moto da qualche nuova
informazione che segnala il fallimento nel raggiungimento degli
obiettivi e degli ideali. In altre parole, l’ansia da sopravvivenza spesso si
presenta come un sentimento di colpa perché non si stanno
realizzando alcuni dei valori e degli ideali ai quali si tiene.
Lo scandalo come fonte di disconferma
Per un’impresa, una delle più potenti molle al cambiamento è il verificarsi di un
incidente (si considerino le esplosioni a Three Mile Island, il Challenger e
Bhopal) o uno scandalo (un servizio giornalistico su accordi di cartello o il
suicidio di un dirigente). Ciò che questi eventi rivelano è che alcuni degli ideali
e dei valori dichiarati dall’organizzazione risultano non essere, in pratica,
operativi. Questo conduce a una revisione dei profondi assunti culturali che
agiscono effettivamente. Ad esempio un’impresa che si fregia di un sistema di
carriera che offre ai manager una reale scelta di lavoro oltreoceano deve
affrontare la realtà quando un dirigente strategico all’estero si uccide e lascia
un biglietto in cui rivela di aver subito pressioni per l’accettazione dell’incarico,
nonostante le obiezioni personali e familiari. A livello di valori dichiarati,
l’impresa aveva idealizzato il suo sistema. Lo scandalo svela l’assunto tacito
condiviso attraverso cui realmente agisce: ci si aspetta che le persone vadano
dove gli alti dirigenti vogliono. Riconoscere la discrepanza conduce a un
completo programma di riorganizzazione del sistema di carriera per allineare
valori dichiarati con gli assunti.
Fusioni, acquisizioni e joint venture come fonti di disconferma
La più ovvia fonte di informazione sulla necessità di un cambiamento di cultura
si ha quando due o più culture si uniscono e cercano di lavorare insieme.
Sfortunatamente, nella maggior parte dei casi il bisogno di un cambiamento
culturale sorge solo dopo che l’unione delle due organizzazioni è avvenuta,
senza aver considerato prima la compatibiità o meno delle due culture. Il
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problema è, quindi, come le due culture devono porsi in relazione l’una
con l’altra:
Si dovrebbe loro permettere di coesistere in maniera indipendente come
quando un’impresa ne acquisisce un’altra ma la lascia completamente da
sola?
Una cultura dovrebbe imporsi sull’altra?
Le culture dovrebbero raggiungere la commistione per tentare di realizzare
al massimo grado quelli che sono considerati i punti di forza di ciascuna?
Questi schemi si trovano nell’esperienza di molte aziende. Ma ci sono alcune
prove che dimostrano che, anche nelle fusioni al 50%, il raggiungere la
commistione risulta lo schema più difficile da realizzare. Gli schemi più
comuni sono quelli della coesistenza indipendente o dell’acquisizione
di controllo culturale (Salk, 1992). Questo argomento verrà trattato più
ampiamente in seguito (capitolo 8).
La leadership carismatica come fonte di disconferma
Un nuovo leader dotato di carisma può, a volte, mettere in moto l’ansia da
sopravvivenza o il sentimento di colpa, sottolineando in maniera convincente
che “si sta andando bene, ma si pensi quanto meglio si potrebbe fare se si
imparasse a fare le cose in questo nuovo modo...”. Ci vuole carisma per
ottenere l’attenzione dei collaboratori, per evitare una reazione compiaciuta
secondo cui i capi stanno solo gridando “al lupo, al lupo”. Quando un leader
poco carismatico cerca di convincere che l’organizzazione ha dei
problemi e deve imparare a svolgere alcuni compiti in maniera
differente per poter sopravvivere o crescere, il messaggio è spesso
accolto con scetticismo. I dipendenti non sono d’accordo sulla definizione di
problema data dai leader, non credono che l’organizzazione abbia problemi
economici, politici, tecnologici o legali, specialmente se questi leader si
gratificano con generosi bonus mentre reclamizzano tagli alle spese. I
dipendenti spesso non comprendono la situazione economica così bene perché
non sono mai stati istruiti sulla situazione economica della loro azienda.
Oppure non hanno fiducia nella dirigenza e credono invece che, se loro
lavorano più duramente o in modo più intelligente, alla fine ci si approfitterà di
loro in ogni caso. Ciò che rende i leader carismatici tanto potenti è proprio la
loro capacità di superare questo scetticismo.
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L’educazione e la formazione come fonte di disconferma
Molte organizzazioni hanno capito che l’unico modo per convincere
collaboratori e manager della necessità di agire in maniera diversa, è
attraverso interventi di formazione. Specialmente riguardo
all’economia dell’organizzazione, i dipendenti non credono a quello che i
leader dicono loro, a meno che non siano stati istruiti sulle realtà economiche
della loro azienda. Un problema analogo sorge rispetto all’acquisizione di
maggiore responsabilità in aree come l’ambiente, la salute, la
sicurezza. Il personale non accetta che ci sia il bisogno di un nuovo schema di
comportamento responsabile fino a che non è stato istruito sui pericoli inerenti
gli eventi ambientali. I programmi di cambiamento, pertanto, devono spesso
partire da sforzi di carattere educativo, che possono richiedere tempo ed
energia.
Implicazioni pratiche
Per definizione, il concentrarsi su eventi di disconferma significa che si affronta il problema di
business prima ancora di cominciare a pensare alla cultura. Si deve avere una chiara definizione
del problema di business che ha dato inizio al processo di cambiamento.
I dati che portano alla disconferma non costituiscono comunque il problema, sono solo i sintomi
che devono sollecitare il lavoro diagnostico. Bisogna pensare con attenzione a quello che i dati
stanno dicendo e a quale sia il problema di base che è necessario affrontare. Bisogna fare una
attenta differenza fra sintomi e possibili cause di base. Si prendano in considerazione diverse
cause; cercarne una radice si rivela spesso una perdita di tempo per il livello di interrelazione
esistente fra le forze causali.
È durante queste analisi che può verificarsi la prima necessità di una valutazione culturale, per
determinare quanto estensivamente gli elementi culturali sono coinvolti nella situazione
problematica. Ma si mantenga l’attenzione sul problema di business, si eviti la tentazione di
addossare la colpa dei sintomi alla causa.
L’ansia da sopravvivenza (o colpa) opposta all’ansia da apprendimento
Se i dati di disconferma riescono a scalfire il sentimento di rifiuto e di difesa, si
proveranno ansia da sopravvivenza o colpa. Si riconoscerà il bisogno di
cambiare, di abbandonare alcune vecchie abitudini e modi di pensare e la
necessità di impararne di nuovi. Ma nel momento in cui si accetta il
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bisogno di cambiare, si comincia anche sperimentare l’ansia da
apprendimento. L’interazione di queste due ansie crea le complesse
dinamiche del cambiamento. Il modo pi semplice per illustrarla è la situazione
in cui si vuole imparare un nuovo colpo a tennis o a golf. Il processo comincia
con la disconferma: non si vince più contro avversari che si era soliti
sconfiggere, oppure le aspirazioni per un miglior punteggio o un gioco
stilisticamente migliore non vengono raggiunte. Quindi si sente il bisogno di
migliorare il proprio gioco. Ma, mentre si prende in considerazione il vero e
proprio processo di disimparare il vecchio colpo o movimento e sviluppare
quello nuovo, si comprende che esiste la possibilità di non riuscire, o che si
potrebbe essere temporaneamente incapaci durante la fase di
apprendimento. Queste sensazioni rappresentano l’ansia da apprendimento.
Sentimenti simili sorgono nel campo culturale quando il nuovo
apprendimento implica l’acquistare competenza nell’uso dei computer;
il cambiamento nello stile di supervisione; la trasformazione delle
relazioni competitive in lavoro di squadra e collaborazione; il
rimpiazzare una strategia di alta qualità e alti costi con una che
conduce a essere un produttore a basso costo; lo spostamento dalla
supremazia tecnica e da un orientamento a favore del prodotto a un
orientamento rivolto, invece, al marketing e al cliente; l’imparare a
lavorare in una rete non gerarchica e diffusa e così via.
Basi psicologiche dell’ansia da apprendimento
L’ansia da apprendimento è una combinazione di parecchie specifiche
paure, che possono essere attive contemporaneamente in ogni momento in
cui si prende in considerazione il dover disimparare qualcosa e il dover
imparare qualcosa di nuovo.
Paura di incompetenza temporanea.
Durante il processo di transizione non ci si sente competenti perché bisogna
abbandonare la vecchia maniera e ancora non si domina la nuova. I migliori
esempi sono probabilmente evidenti negli sforzi per imparare a usare il
computer.
Paura di una punizione per incompetenza.
Se ci vuole un lungo periodo di tempo per imparare il nuovo modo di
pensare e fare, si avrà paura di essere puniti per mancanza di
produttività. Nel campo dei computer, ci sono casi sorprendenti in cui i
dipendenti non imparano mai il nuovo sistema in maniera sufficiente da
riuscire a trarre vantaggio dalle sue potenzialità, perché pensano di dover
rimanere produttivi - così dedicano troppo poco tempo all’apprendimento
delle nuove tecnologie.
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Paura di perdere l’identità personale.
Se l’attuale modo di pensare è una potente fonte di identità, si può
verificare il caso per cui non si vuole essere il tipo di persona che la
nuova cultura invece richiede. Ad esempio, nello scioglimento del sistema
della Bell, molti dipendenti che vi lavoravano da lungo tempo lasciarono
l’impiego perché non potevano accettare l’identità derivante dall’essere
membri di un’organizzazione che lavorava duramente e attenta ai costi, che
avrebbe tolto i telefoni ai clienti che non se li potevano permettere.
Paura di perdere l’appartenenza al gruppo.
Gli assunti condivisi che costituiscono una cultura, identificano anche chi è
dentro e chi è fuori dal gruppo. Nello sviluppare nuovi modi di pensare,
si diventa devianti rispetto al gruppo, e si può essere rifiutati o
anche subirne l’ostracismo. Per evitare di perdere l’appartenenza al
gruppo, si oppone resistenza all’apprendimento di nuove forme di pensiero e
comportamento. Questa quarta resistenza è forse la più difficile da
superare perché richiede un cambiamento nel modo di pensare, così
come nelle sue norme di inclusione ed esclusione da parte dell’intero gruppo.
Risposte difensive all’ansia da apprendimento
Per tutto il periodo in cui l’ansia da apprendimento rimane alta, si sarà
motivati a opporre resistenza alla validità dei dati di disconferma o a
inventare varie scuse per cui non ci si può realmente impegnare in un
processo di apprendimento trasformativo in questo momento. Queste
risposte avvengono in stadi che possono essere determinati.
Rifiuto.
Ci si convince che i dati di disconferma non sono validi, o sono
temporanei, o non hanno reale valore o riflettono la posizione di qualcuno
che sta solo gridando “al lupo al lupo” e così via.
[Ricerca di un] capro espiatorio, fare scaricabarile. scansarsi.
Ci si convince che la causa risiede in qualche altro settore, che i dati
non sono applicabili al sé, e che sono gli altri a dover compiere un
cambiamento.
Attuare manovre e negoziazioni.
Si vogliono speciali compensi per lo sforzo che si fa per il
cambiamento; si vuole essere convinti che lo si fa nel proprio interesse e
che nel lungo periodo porterà dei vantaggi.
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Due principi del cambiamento trasformativo
Se si è l’oggetto di un cambiamento e ci si trova di fronte al bisogno di
disimparare e reimparare, si opporrà resistenza al fine di proteggere la
propria posizione, la propria identità, la propria appartenenza al
gruppo anche se questo significa sperimentare l’ansia da
sopravvivenza o la colpa.
La resistenza ha una base nell’ansia da apprendimento. Dunque, il
manager del cambiamento come crea un cambiamento trasformativo? Due
principi entrano in gioco:
1. L’ansia da sopravvivenza o la colpa devono essere più grandi dell’ansia da
apprendimento.
2. Si deve ridurre l’ansia da apprendimento piuttosto che aumentare
l’ansia da sopravvivenza.
Dal punto di vista del manager del cambiamento, potrebbe sembrare ovvio che
il modo per motivare le persone sia incrementare semplicemente l’ansia da
sopravvivenza o farle sentire anche più colpevoli per il mancato conseguimento
dei propri ideali. Il problema di questo approccio è che se la paura o colpa
sono più grandi, si accresce semplicemente la posizione difensiva per
evitare la paura o la fatica del processo di apprendimento. Questa logica porta
all’osservazione chiave sul cambiamento trasformativo, incarnata dal
secondo principio: l’ansia da apprendimento deve essere ridotta
aumentando il senso di sicurezza psicologica di chi deve apprendere.
Come si crea la sicurezza psicologica?
Creare la sicurezza psicologica per i membri di un’organizzazione che sono
sottoposti all’apprendimento trasformativo coinvolge un certo numero di passi
che devono essere intrapresi quasi contemporaneamente. Li elenco in ordine
cronologico, ma il manager del cambiamento deve essere preparato a
compierli tutti.
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1. Una irresistibile visione positiva. Se si è l’oggetto del cambiamento, si
deve credere che, insieme all’organizzazione, tutto finirà meglio se si
impara il nuovo modo di pensare e lavorare. La visione deve essere
enunciata (e ampiamente sostenuta) dalla massima dirigenza.
2. Formazione strutturata. Se si devono imparare nuovi modi di pensare,
nuovi atteggiamenti e nuove abilità, si deve avere accesso a tutti i tipi di
formazione richiesti. Ad esempio, se nel nuovo modo di lavorare si punta al
lavoro di squadra, deve essere fornita specifica formazione sulla costruzione
di gruppi di lavoro e sul loro mantenimento.
3. Coinvolgimento di chi deve imparare. Se la formazione specifica deve
essere compresa, si deve avere la sensazione di poter gestire il
proprio metodo informale di apprendimento. Ciascuno di noi impara in
modi differenti, e quindi è essenziale coinvolgere chi apprende nella
costruzione del proprio processo ottimale di apprendimento.
4. Formazione informale di importanti family group e squadre. Siccome gli
assunti culturali sono radicati nei gruppi, la formazione informale e la pratica
devono essere fornite all’intero gruppo così che le nuove norme e i nuovi
assunti possano essere costruiti collettivamente.
Non ci si deve sentire devianti nel decidere di impegnarsi
all’apprendimento di cose nuove.
5. Applicazioni, guide e feedback. Non si può imparare qualcosa di
fondamentalmente nuovo se non si hanno il tempo, le risorse, la guida e un
valido feedback su come ci si sta comportando. I campi di applicazione
[simulazioni e role playing?] sono particolarmente importanti perché si
possono fare errori e si può imparare da essi senza far crollare
l’organizzazione.
6. Modelli di ruolo positivi. Il nuovo modo di pensare e comportarsi può
essere così differente da rendere necessario vedere com’è, prima che ci si
possa immaginare a metterlo in pratica. Si devono poter vedere il nuovo
comportamento e i nuovi atteggiamenti in altri contesti cui ci si può
identificare.
7. Gruppi di sostegno. Si dovrebbero formare gruppi nei quali i problemi
connessi con l’apprendimento vengono esposti e discussi. Si deve
essere in grado di parlare delle proprie frustrazioni e delle difficoltà
nell’apprendimento con altri che stanno sperimentando analoghi problemi,
cosi che ci possa essere un sostegno reciproco e si possano apprendere
congiuntamente nuovi modi per affrontare le difficoltà.
8. Sistemi e strutture coerenti. È essenziale avere sistemi di premi,
disciplina e strutture organizzative coerenti con il nuovo modo di pensare e
lavorare. Ad esempio, se si sta imparando come far parte di una squadra, il
sistema di premi deve essere orientato al gruppo, il sistema di disciplina
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deve punire i comportamenti egoisti e aggressivi e le strutture
organizzative devono rendere possibile il lavoro di squadra.
La maggior parte dei programmi di cambiamento trasformativo fallisce
perché non crea queste otto condizioni. Se si considerano le difficoltà di
realizzarle tutte, e le energie e le risorse che si devono spendere per tradurle
in pratica, non c’è da meravigliarsi se i cambiameni hanno spesso vita breve e
non arrivano mai a essere operativi. D’altra parte, come mostrano alcuni dei
casi illustrati nel prossimo capitolo, quando un’organizzazione stabilisce di
voler realmente cambiare se stessa, si possono conseguire cambiamenti
culturali reali e significativi.
Ridefinizione cognitiva
Il miglior modo di definire il processo di ciò che realmente succede a chi
impara è chiamarlo ridefinizione cognitiva. Se si è stati addestrati a
pensare in un certo modo e si fa parte di un gruppo che la pensa allo
stesso modo, come si può immaginare di cambiare e pensare in un
nuovo modo? Un ingegnere della Beta Oil faceva parte di una divisione in cui
si lavorava in qualità di esperti con risorse tecniche, chiare linee di carriera e
un unico capo. Nella nuova struttura, viene ora richiesto di pensare a sé come
a un membro di un’organizzazione di consulenti che vende i propri servizi a
clienti che possono acquistarli da altri, se non sono soddisfatti del trattamento
offerto. Per compiere una tale trasformazione, per prima cosa bisogna
sviluppare parecchi nuovi concetti, come ad esempio “consulente
freelance”, “vendita di servizi dietro pagamento”, “competizione con esterni
che possono offrire un prezzo più basso”. Inoltre, bisogna imparare a dare un
nuovo significato al concetto di “ingegnere”, e a cosa ora significhi essere un
dipendente della Beta Oil. Si deve affrontare un nuovo sistema di premi, e
l’essere pagati e promossi in base alla capacità di procurare del lavoro. Ci si
deve ora considerare più dei venditori che degli ingegneri. Infine, si deve
definire la propria carriera in termini alquanto differenti e imparare a lavorare
per più capi.
Insieme ai nuovi concetti, arrivano nuovi standard di valutazione. Mentre nella
precedente struttura si era valutati in larga parte in base alla qualità del
lavoro, ora bisogna considerare più accuratamente quanti giorni ci vogliono per
completarne uno, quale livello qualitativo può essere raggiunto in quel dato
tempo, e qual è il costo se si cerca di usare gli alti livelli qualitativi ai quali si è
abituati.
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E. Schein "Culture d'impresa”
I progettisti di computer alla DEC che cercarono di sviluppare prodotti
competitivi con i PC della IBM, non cambiarono mai i loro standard di
valutazione per andare incontro alle aspettative del cliente. I prodotti erano
troppo sofisticati, troppo cari e con troppi accessori. I progettisti erano troppo
radicati nel loro vecchio modo di pensare, e l’organizzazione non aveva un
programma di cambiamento sufficientemente forte per aiutarli a ridefinire i
nuovi bisogni del mercato dal punto di vista cognitivo.
Quando l’alta dirigenza annuncia una strategia di cambiamento che
sposta l’attenzione dalla produzione o dalla progettazione al marketing
orientato al cliente, sta richiedendo ai propri dipendenti un grande
spostamento cognitivo e parecchi di essi potrebbero non essere in
grado di farlo.
Quando l’alta dirigenza annuncia di voler coinvolgere maggiormente i
dipendenti e fare empowerment, sta chiedendo sia ai collaboratori sia
ai supervisori di spostare il loro insieme di riferimenti cognitivi per
quanto concerne l’essere un dipendente o un supervisore.
Tali spostamenti cognitivi sono possibili se l’organizzazione permette
la creazione di sufficiente sicurezza psicologica - specialmente se
coinvolge le persone che sono l’obiettivo del cambiamento nel
processo di apprendimento. L’apprendimento avviene quindi attraverso il
tentativo e l’errore (basato sull’analisi, condotta da chi impara, sull’ambiente
di lavoro per localizzare le possibili opzioni per nuovi comportamenti) o
attraverso un processo di formazione più strutturata (che di solito
coinvolge l’imitazione di modelli di ruolo e l’identificazione psicologica con essi).
L’imitazione e l’identificazione in opposizione all’esame, al tentativo e
all’errore
I meccanismi attraverso i quali si imparano nuovi concetti e nuovi standard di
valutazione, si attribuiscono nuovi significati a vecchi concetti sono, quindi,
sostanzialmente due:
si impara imitando un modello di ruolo e identificandosi
psicologicamente con esso
oppure si continuano a inventare soluzioni fino a che non si trova
quella che funziona.
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E. Schein "Culture d'impresa”
Il manager del cambiamento può scegliere quale dei due meccanismi
incoraggiare. Come parte del programma di formazione si possono fornire
modelli di ruolo attraverso casi concreti, film, role play, simulazioni. Si possono
portare persone che hanno acquisito i nuovi concetti e incoraggiare gli altri a
scoprire come hanno fatto. Questo meccanismo funziona bene se il nuovo
modo di lavorare e i concetti che devono essere insegnati sono chiari.
Tuttavia, apprendendo le novità attraverso l’imitazione si può scoprire che non
si adattano alla nostra personalità e alle nostre attuali relazioni. Una volta che
si deve procedere da soli, e i modelli di ruolo non sono più disponibili, si ritorna
al vecchio comportamento.
In alternativa, se si vuole che chi apprende impari cose che realmente si
adattano alla sua personalità, allora si devono rifiutare i modelli di ruolo e
incoraggiare chi impara a esaminare il proprio ambiente e a sviluppare
le proprie soluzioni. Ad esempio, la Beta Oil avrebbe potuto sviluppare un
programma di formazione su come essere un consulente, basato
sull’esperienza degli ingegneri che erano riusciti con successo a effettuare il
passaggio. Ma l’alta dirigenza pensava che il cambiamento fosse troppo
personale e decise semplicemente di creare le strutture e gli incentivi, e lasciò
che ogni singolo ingegnere scoprisse come gestire il nuovo tipo di relazioni. In
qualche caso questo significò che alcuni elementi del personale
lasciarono l’azienda. Ma quegli ingegneri che appresero dalla propria
esperienza come trasformarsi in consulenti, compirono una genuina evoluzione
verso un nuovo tipo di carriera, che integrarono nella globalità della loro vita.
Il principio generale è che il manager del cambiamento deve essere chiaro
sugli obiettivi ultimi, sul nuovo modo di lavorare che si deve raggiungere. Ma
questo non implica necessariamente che tutti raggiungano gli obiettivi nello
stesso modo. Coinvolgere chi impara non implica che chi impara abbia
una scelta sugli obiettivi ultimi, ma implica invece una scelta personale
dei mezzi per arrivarvi.
Ricongelamento
Il passo finale in ogni processo di cambiamento trasformativo è
l’interiorizzazione del nuovo concetto che conduce al nuovo comportamento.
Se il comportamento si adatta al resto della personalità ed è coerente con le
aspettative di altre persone, importanti nel lavoro di chi impara e nel suo
ambiente sociale, allora diventa una parte stabile della persona e, alla fine, del
gruppo. Ma si noti che se si impara un qualche nuovo concetto che conduce a
un nuovo comportamento che non si adatta al lavoro o al gruppo sociale, o si
ritornerà ai vecchi concetti e al precedente comportamento, se si dà valore al
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gruppo, oppure si abbandonerà il gruppo se ora si attribuisce un valore
maggiore ai nuovi concetti e al nuovo comportamento.
Implicazioni pratiche
Se si ricopre la carica di manager del cambiamento, si deve pensare con attenzione a quali
risultati si vogliono ottenere. Per prima cosa si deve decidere se il nuovo modo di lavorare deve
essere adottato da interi gruppi o unità. Nella maggior parte dei programmi di cambiamento
culturale si vuole quasi sempre che l’intera unità di lavoro adotti una nuova forma di pensiero e
comportamento; quindi la formazione dovrebbe inizialmente essere adattata a gruppi, non a
individui.
Quando si esamina l’intera organizzazione di cui si deve cambiare la cultura, si pensi in termini
dei vari gruppi di lavoro, di livelli gerarchici e così via. Se cambiano solo gli individui chiave, ci
sono possibilità che, quando ritornano al loro gruppo di lavoro, ritornino anche alle norme vigenti
in questo gruppo.
Come seconda cosa, si deve decidere se il nuovo modo di pensare e comportarsi debba essere più
o meno standardizzato. Se c’è un chiaro consenso sul nuovo modo di lavorare, allora se ne
dovrebbero fornire modelli di ruolo ed esempi. Questo processo rende più veloce
l’apprendimento, ma porta anche all’adozione di nuovi comportamenti che potrebbero non
adattarsi a chi apprende, potrebbero non essere interiorizzati e, alla fine, potrebbero essere
abbandonati. D’altra parte, si possono affermare in maniera chiara gli obiettivi ma invitare chi
impara a sviluppare le proprie soluzioni. Il processo che passa attraverso il tentativo e l’errore è
più lento, ma garantisce che qualunque cosa appresa venga interiorizzata. In questo caso si
dovrebbero rifiutare i modelli di ruolo o gli esempi chiari.
Sistemi di apprendimento paralleli e temporanei
L’apprendimento evolutivo e il cambiamento si verificano sempre. Le
organizzazioni sono sistemi dinamici che interagiscono con ambienti in
perpetuo mutamento. Il cambiamento trasformativo diventa un
problema quando il livello di disconferma costringe il vertice a
esaminare gli assunti fondamentali sul modo in cui opera. Spesso tale
esame rivela che il problema può venire risolto senza dover cambiare gli
elementi culturali. Se, comunque, la dirigenza riconosce che tali elementi non
sono più funzionali, allora deve lanciare un programma di cambiamento
trasformativo e creare un processo di management che lo renda possibile.
Le attività di reale cambiamento varieranno a seconda della situazione,
ma quasi tutti questi programmi comportano la creazione d un sistema
parallelo di apprendimento in cui vengono insegnati e testati alcuni nuovi
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assunti (Bushe, Shani, 1991; Zand, 1974). È troppo faticoso abbandonare un
assunto condiviso a favore di un sostituto sconosciuto. Se alcuni settori
dell’organizzazione possono apprenderi un modo alternativo di pensare, e se la
soluzione sembra funzionare allora c’è meno ansia poiché l’alternativa viene
introdotta gradualmente nella parte principale dell’organizzazione. Il processo
di tentativo ed errore nel sistema parallelo e temporaneo crea un po’
dell’indispensabile sicurezza psicologica, fornendo i modelli di ruolo per i
nuovi modi di pensare e di comportarsi.
L’essenza del concetto di un sistema parallelo e temporaneo è che qualche
parte dell’organizzazione deve diventare marginale ed esporsi al nuovo modo
di pensare così da poter vedere in maniera oggettiva i punti di forza e di
debolezza degli elementi culturali esistenti e il modo in cui questi saranno un
aiuto o un ostacolo per i cambiamenti che devono essere intrapresi.
Gli interni semplicemente non possono vedere la cultura in cui sono radicati
con sufficiente chiarezza per poterne valutare gli elementi. D’altra parte, una
valutazione della cultura condotta totalmente da un esterno sarà difficilmente
produttiva perché la sua conoscenza delle sfumature non è tale da porlo nella
condizione di farne una valutazione. La soluzione è che il sistema parallelo
includa dipendenti con ruoli chiave che lavorino con un consulente per
decifrare la cultura e pianificare il programma di cambiamento.
Il sistema parallelo è di solito una task force che comprende i leader più
importanti e i membri con ruoli chiave dei gruppi su cui ricadrà l’impatto del
cambiamento trasformativo. Il suo compito corrisponde, di solito, almeno a un
lavoro part time, e spesso a tempo pieno. La task force richiede tempo, denaro
e ogni altra risorsa che assicuri l’esecuzione di un profondo lavoro di
valutazione e pianificazione. Se il programma di cambiamento è estensivo, la
task force originaria può diventare un comitato direttivo che “possiede” l’intero
programma. Ma la realizzazione può quindi coinvolgere un’intera serie di altre
task force che funzionano come sistemi paralleli nei confronti dei vari gruppi
coinvolti nel processo di cambiamento. Ho etichettato come équipe del
cambiamento il comitato direttivo e le sue varie diramazioni. Come questo
funzioni in pratica è illustrato negli esempi esposti nel capitolo 7.
Tutti questi programmi di trasformazione hanno in comune l’essere pianificati e
consciamente guidati dai leader dell’organizzazione, così che i periodi di
disequilibrio sono anticipati come una normale parte dell’evoluzione
organizzativa piuttosto che come uno sconvolgimento doloroso. Si presume,
inoltre, che l’organizzazione non possa imparare nulla di nuovo se a imparare
non sono anche gli stessi leader. È necessario che i leader si trovino in una
posizione marginale, affinché possano giungere a una nuova comprensione e a
partecipare al sistema parallelo per esplorare, in un contesto più ampio, i nuovi
elementi appresi.
Se gli assunti di base devono essere cambiati senza arrivare alla
distruzione e ricostruzione dell’organizzazione, le trasformazioni
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richiedono fra i cinque e i quindici anni, se non di più. Ci vuole tempo per
costruire il sistema parallelo, imparare i nuovi assunti e quindi progettare i
processi che ne permettono l’introduzione nell’organizzazione originale. Si
ricordi l’esempio della Procter & Gamble presentato nel capitolo 1: ci vollero
quindici anni prima che tutti gli impianti fossero convertiti al nuovo sistema di
produzione.
Il lavoro dell’équipe del cambiamento
Come si organizza il lavoro una volta che è stata designata l’équipe del
cambiamento? Il miglior modello delle fasi e degli elementi del processo di
cambiamento è rappresentato dalla mappa sviluppata da Beckhard e Harris
(1987), mostrata nella figura 6.1.
Qual è il futuro stato ideale?
Il primo elemento nella mappa del cambiamento è un promemoria per
confermarne la necessità e la possibilità. I leader del cambiamento devono non
solo esaminare il livello di disconferma e i loro stessi motivi, ma anche fornire
un articolato giudizio critico su quale tipo di cambiamento è possibile. La
rifiessione attenta sul problema che sta alla base dei sintomi di
disconferma è un passo cruciale nel primo stadio del processo di
cambiamento.
Se c’è bisogno di un cambiamento e lo si ritiene possibile, il passo successivo è
definire il futuro stato ideale. La definizione deve essere chiara e concreta.
Dovrebbe rispondere a questa domanda: “Se si deve risolvere un problema
aziendale o se si devono raggiungere degli ideali che non erano raggiunti
prima, quali sono i nuovi modi di pensare e lavorare che condurranno a questo
punto?”
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A meno che non si possano specificare quali sono i cambiamenti
comportamentali necessari, non si può testare la rilevanza della cultura per il
processo del cambiamento. Troppo spesso lasciare lo stato ideale nel
vago significa scoprire troppo tardi che non c’è modo di arrivarvi
partendo dalla presente cultura. Questo implica che il nuovo modo di
pensare e lavorare deve essere specificato in modo molto concreto. Non è
sufficiente dire che nel futuro “c’è bisogno di più lavoro di squadra” o che “da
adesso in poi si sarà più aperti verso gli altri”. Bisogna dire che nel nuovo
modo di lavorare ogni squadra sarà valutata e premiata come tale; bisogna
specificare quali compiti richiedono un alto livello di interdipendenza e,
pertanto, quale tipo di lavoro di squadra. Per quanto riguarda l’apertura, si
specifichi che tipo di informazione deve essere trasmessa apertamente, quando
e con quali mezzi. Ad esempio, ora si vuole che tutti riferiscano e dicano al
capo esattamente cosa pensano di qualcuno? O si intende con apertura che le
informazioni rilevanti per il compito assegnato siano condivise al momento
opportuno con tutti i membri della squadra? Si dice solo “condividiamo più
informazioni”? O si specifica che dopo ogni progetto ci sarà una completa
revisione condotta da tutti i partecipanti e in questo momento ci si darà
feedback reciproco su quanto ha funzionato e su quanto non ha funzionato
durante il progetto?
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Implicazioni pratiche
Per sviluppare una visione chiara e vincente, necessaria per la creazione della sicurezza
psicologica, bisogna sapere qual è il problema aziendale che deve essere risolto e quale ruolo
ricopre la cultura. Paradossalmente, il miglior modo per capire chiaramente quanto il
cambiamento implichi la cultura, è di non cominciare con l’idea di cambiare la cultura; ci si
deve invece concentrare su come deve essere il nuovo modo di lavorare.
Basandosi sulla visione del leader del cambiamento e sulla comprensione di dove l’organizzazione
sta cercando di andare, si formi una squadra di cambiamento, o si comincino una serie di
incontri con focus group per definire quale tipo di comportamento ci si aspetta nel futuro stato
ideale, per raggiungere il quale si stanno ora compiendo sforzi. Si deve essere il più concreti
possibile nello specificare il nuovo comportamento e si pensi a molti esempi da condividere con i
dipendenti come parte della loro istruzione.
La mappa del cambiamento costringe, in primo luogo, a pensare chiaramente perché lo si sta
facendo, quanto è possibile, e quale stato ideale si sta cercando di raggiungere. Nel definire lo
stato ideale, è spesso auspicabile usare una ricerca “di apprezzamento” per concentrarsi su quello
che funziona e su come accrescerlo piuttosto che concentrarsi su quanto non va (Barrett,
Cooperrider, 1990). Solo dopo che si è definito il futuro ideale in termini di nuovo modo di
pensare e lavorare, si è pronti per procedere alla valutazione della cultura.
Valutare lo stato presente
Una volta che si è ben compreso lo stato ideale, l’équipe del cambiamento
deve fare una diagnosi e valutare lo stato presente del sistema per
determinare qual è la distanza fra il futuro ideale e il presente. Nel valutare lo
stato attuale, è specialmente importante creare un sistema parallelo per
assicurare l’obiettività. Un’équipe di cambiamento costituita solo da interni
probabilmente percepisce in maniera errata lo stato della cultura, o non lo
percepisce per nulla, perché i membri dell’équipe sono profondamente radicati
in essa. I processi di valutazione culturale descritti in precedenza sono a
questo punto appropriati e necessari.
Implicazioni pratiche
Si è pronti a procedere alla valutazione della cultura una volta che è chiaro qual è il problema
aziendale da affrontare e qual è il nuovo modo di lavorare che deriva dalla visione dello stato
ideale. Per prima cosa, ci si concentri sull’aiuto che la cultura attuale può fornire per il
raggiungimento del nuovo modo di lavorare. Come seconda cosa, si identifichino gli elementi
culturali che possono essere di ostacolo al conseguimento degli obiettivi, e si progetti un
programma specifico di cambiamento culturale per affrontarli. Si tenga a mente che non si sta
cambiando l’intera cultura ma solo gli elementi che ostacolano il programma di cambiamento.
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Rendere concreto l’obiettivo del cambiamento
Mentre l’équipe del cambiamento lavora sullo stato ideale e su quello presente,
probabilmente deve periodicamente ridefinire il problema del mutamento in
termini di distanza e divario identificati fra questi due momenti. In altre parole,
anche se il processo è costituito da un insieme di passi intrapresi in sequenza,
ci sono parecchi cicli di feedback che costringono a ritornare sui passi
precedenti per garantire chiarezza di pensiero. Il miglior modo per
enunciare la distanza è specificare concretamente come si pensa e si
lavora nel presente e porlo in contrasto con una chiara affermazione di
quello che sarà il nuovo modo di pensare e lavorare. Ad esempio, non è
sufficiente dire “c’è bisogno di maggior collaborazione e lavoro di squadra nella
divisione vendite”, ma si dovrà enunciare la distanza fra i due momenti in
questi termini: “Nel sistema attuale le divisioni vendite sono in competizione
per il raggiungimento dei loro obiettivi”, nel futuro stato ideale: “Vogliamo che
ci sia collaborazione fra le divisioni vendite delle diverse aree in considerazione
del fatto che sono esse stesse disperse geograficamente”. Per fare un secondo
esempio, la distanza è che “al momento attuale viene premiato ogni singolo
venditore attraverso il raggiungimento di obiettivi individuali”; il futuro stato
ideale è che “dovremmo sviluppare un sistema di compensation che faccia sì
che i gruppi di vendita vogliano lavorare insieme su una scala vasta e
geograficamente distribuita”.
Quando le varie distanze da colmare sono identificate in forma
concreta, diventa chiaro dove gli assunti culturali costituiscono un
aiuto e dove invece creano un ostacolo per il programma di
cambiamento. Ad esempio, far sì che le squadre di vendita lavorino insieme
su larga scala può sembrare semplice fino a quando si scopre che la cultura
individualistica dell’organizzazione impedisce il cambiamento del sistema di
incentivi per portarlo a un programma basato sulla ricompensa del gruppo. Il
programma di cambiamento deve allora spostarsi ed esaminare come mutare
alcuni degli assunti individualistici; questo può comportare un programma
totalmente nuovo e che in precedenza non era stato assolutamente preso in
considerazione.
Sviluppare un piano di transizione e un processo di cambiamento
del management
Quando le distanze sono identificate in maniera concreta, l’équipe del
cambiamento vede quale tipo di reale processo di mutamento è necessario. Per
questo stadio non ci sono soluzioni pronte o modelli precostituiti. L’équipe del
cambiamento deve piuttosto usare le pro prie capacità di progettazione e
intervento o chiamare un consulente per pianificare i passi successivi. Ci
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possono essere interventi educativi di vario tipo, la creazione di nuove task
force, ampi interventi sul sistema, la formazione di team o altri processi con
seminari, e il fornire una guida alla dirigenza strategica.
A questo punto, l’équipe del cambiamento spesso diviene qualcosa in più di un
comitato direttivo e lancia altre équipe e processi per far procedere il progetto.
L’équipe del cambiamento e i suoi leader devono continuare a presiedere
l’intera trasformazione e a rimanere responsabili, ma di solito il lavoro viene
delegato a vari altri gruppi il cui operato viene periodicamente controllato.
Implicazioni pratiche
Si cerchi di non trascurare questi passi. La tentazione di passare all’azione è fortissima, ma
quando è coinvolta la cultura, all’inizio è meglio procedere lentamente ed essere sicuri di aver
afferrato qual è il nuovo modo di pensare e lavorare, come la cultura può essere un aiuto o creare
un ostacolo, prima di lanciare nuove grandi iniziative. È particolarmente importante riflettere su
come la cultura può essere di aiuto - come ci si può basare sulla cultura presente per raggiungere
i cambiamenti di cui c’è bisogno.
Si riveda il concetto di sicurezza psicologica: come rendere le persone che sono l’obiettivo del
cambiamento sufficientemente motivate a volere il mutamento ma non così ansiose da opporre
resistenza all’apprendimento del nuovo. Ancora una volta, si pensi a come la cultura presente può
aiutare il processo di apprendimento e può far sì che le persone si sentano sicure.
I leader del cambiamento e gli agenti del cambiamento
Si può pensare ai leader del cambiamentò come a persone che creano
nell’organizzazione abbastanza disconferme da sollevare motivazioni per il
cambiamento. I leader del cambiamento devono pertanto possedere tre
caratteristiche se devono fornire gli stimoli adeguati:
1. Credibilità. Qualunque cosa dicano deve essere creduta (non deve essere
tenuta in poco conto)
2. Chiarezza della visione. Qualunque cosa dicano deve essere chiara e
avere senso
3. Capacità di enunciare la visione. Devono essere in grado di enunciare
verbalmente e per iscritto cos’è che immaginano e quali sono le implicazioni
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per il futuro dell’organizzazione (Bennis, Nanus, 1985; Kouzes, Posner,
1995).
Una volta che la motivazione è presente, gli agenti del cambiamento (quelli che
prima ho chiamato l’équipe del cambiamento) possono procedere allo sviluppo
di vari processi per riuscire a tradurlo in pratica. Gli agenti del cambiamento
possono o meno essere i leader del cambiamento. Non hanno bisogno di
essere in posizione di leadership formale; infatti spesso funzionano più
efficacemente come catalizzatori e facilitatori piuttosto che
apertamente come leader (se qualche fonte di motivazione è già presente).
Il loro ruolo più importante è quello di realizzare i vari passi descritti nella
mappa di Beckhard e Harris (figura 6.1).
I leader del cambiamento possono enunciare nuove direzioni, nuovi valori e
nuove visioni, ma di solito è l’équipe del cambiamento che, funzionando
come un sistema parallelo e temporaneo, definisce esattamente cosa è
richiesto dall’organizzazione in termini di nuovo pensiero e nuovo
comportamento. L’équipe del cambiamento, quindi, deve essere in grado di
funzionare come un consulente del processo, facendo simultaneamente la
diagnosi e l’intervento mentre lavora attraverso i vari stadi del cambiamento
(Schein, 1987, 1999).
Conclusioni
Questo capitolo si concentra sulle dinamiche del cambiamento trasformativo.
Per prima cosa sono state riviste le dinamiche psicologiche e sociali coinvolte in
ogni processo di cambiamento che richieda di disapprendere così come
di riapprendere. La chiave è capire che ci si deve aspettare la resistenza
al mutamento come un fenomeno normale, e che l’apprendimento del
nuovo avviene solo se chi impara si sente psicologicamente sicuro. In
termini di principio per il cambiamento trasformativo, l’ansia da
sopravvivenza deve essere più grande di quella da apprendimento. Ma
un secondo principio è che il modo preferito per raggiungere questo stato è la
riduzione dell’ansia da apprendimento. Nell’esaminare tutte le condizioni
di cui si ha bisogno per creare la sicurezza psicologica, diventa chiaro per quale
ragione il cambiamento trasformativo sia difficile e richieda molto tempo.
Come seconda cosa, abbiamo rivisto come l’équipe del cambiamento debba
diventare un sistema parallelo e temporaneo che diriga l’intero processo nei
termini degli stadi identificati da Beckhard e Harris. Ho sottolineato come
l’obiettivo del mutamento - il nuovo modo di pensare e comportarsi - debba
essere specificato piuttosto concretamente per determinare come la cultura
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attuale aiuterà o ostacolerà il processo di cambiamento. Più la cultura sarà
usata come un aiuto, più sarà semplice ottenere il mutamento. Se si
trovano elementi culturali che creano ostacoli, bisogna progettare nuovi
processi di cambiamento per affrontarli. Ma non bisogna automaticamente
presumere che ogni mutamento sia un cambiamento culturale. Come tutto
questo funziona viene illustrato nel capitolo 7.
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7. Le dinamiche della cultura aziendale nelle imprese mature
La mezza età o maturità organizzativa crea una serie di problemi culturali che
differiscono profondamente da quelli iniziali, del periodo di crescita e di
evoluzione. Come ho sottolineato nel precedente capitolo, si stanno ora
affrontando assunti e valori che vanno disappresi e sostituiti, e si sta
trattando con culture stabili e altamente dif ferenziate che, verosimilmente,
sono funzionali in alcune parti ma non in altre. Anche i meccanismi di
cambiamento sono differenti, perché le strutture della direzione, nelle
organizzazioni mature, non sono quelle delle organizzazioni guidate e
possedute dal fondatore.
Dalla proprietà alle strutture di management generale
La caratteristica più saliente della maturità organizzativa è che i processi
direttivi sono creati da manager promossi a tale incarico, non da imprenditori,
fondatori o famiglie fondatrici.
Quando la famiglia fondatrice non ha più la proprietà o non detiene più una
posizione dominante, o dopo almeno due generazioni di management generale,
o quando le dimensioni dell’organizzazione sono tali per cui il semplice numero
dei manager che non fanno parte della famiglia supera il numero dei membri
della famiglia, si parla di mezza età e maturità.
Nel creare la loro azienda, i fondatori e le famiglie fondatrici spesso
mantengono valori diversi da quelli puramente economici, li
impongono sull’organizzazione e li radicano nella cultura. D’altra parte, i
general manager che si sono fatti strada nell’organizzazione di solito
imparano che i valori umanistici, ambientali, spirituali e altri di
carattere non economico devono essere subordinati ai problemi
pragmatici della gestione dell’azienda e del suo mantenimento in
attivo.
I manager promossi non provano il piacere del fondatore-proprietario
nell’assumersi rischi finanziari per conservare alcuni dei loro valori e
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delle loro convinzioni; sono di solito più vulnerabili nei confronti di
potenti comitati esterni; hanno incarichi più brevi e imparano come
sopravvivere nelle organizzazioni. Come CEO, di solito arrivano a lavorare
nelle organizzazioni quando queste sono già, in termini di sub-culture,
altamente differenziate.
Quando questi manager crescono e si assumono maggiori responsabiità,
scoprono anche la faticosa realtà per cui la gestione delle persone
viene gradualmente soppiantata dalla gestione dei sistemi e dei
processi. Come ha detto il CEO di un’azienda di beni di largo consumo “Ho
cominciato come manager di un negozio, dove conoscevo tutti molto bene.
Quando sono stato promosso a un distretto con dieci negozi, visitavo
regolarmente tutti i negozi e ancora conoscevo parecchie centinaia di persone
che vi lavoravano. Ma poi, quando sono stato promosso a manager regionale e
alla fine a manager di divisione ho scoperto che non potevo più conoscere
nei negozi un numero di persone tale da sentirmi personalmente
affezionato. Dovevo inventare sistemi, procedure e regole e realizzarli tramite
i miei immediati dipendenti. Ma a questo punto mi sembrava un lavoro
completamente differente ed era diventato molto più impersonale. Questa è
stata la transizione più importante nella mia carriera di manager”.
Secondo una prospettiva culturale, l’organizzazione matura affronta una
situazione molto diversa. È stata fondata e deve mantenersi attraverso continui
processi di vario tipo di crescita e rinnovamento. E deve decidere se perseguire
tale crescita attraverso un’ulteriore espansione geografica, lo sviluppo di nuovi
prodotti, l’apertura di nuovi mercati, una integrazione verticale per migliorare i
suoi costi e la posizione delle sue risorse, fusioni e acquisizioni,
divisionalizzazione o formazione di una società sussidiaria. La storia passata
della crescita e dello sviluppo dell’organizzazione non necessariamente
costituisce una buona guida per sapere cosa avrà successo in futuro,
perché l’ambiente verosimilmente cambia; e, cosa più importante, i
cambiamenti interni probabilmente alterano i singoli punti di forza e di
debolezza dell’organizzazione.
Mentre la cultura era un collante necessario nel periodo della crescita, gli
elementi più importanti della cultura sono ora radicati nella struttura e nei
maggiori processi dell’organizzazione. Quindi la consapevolezza della cultura e i
deliberati tentativi di costruirla, integrarla o conservarla sono meno importanti.
La cultura acquisita dall’organizzazione durante i suoi primi anni è ora data per
scontata. I soli elementi che probabilmente si trovano a livello conscio sono
credo, valori dominanti dichiarati, slogan dell’impresa, contratti scritti e altri
pronunciamenti pubblici su cosa essa vuole essere e asserisce di sostenere - la
sua filosofia e ideologia.
Mentre i leader creano cultura nei primi anni, ora è la cultura a creare i leader,
nel senso che solo quei manager che si adattano al modello esistente vengono
promossi alle posizioni di vertice. Infatti, uno degli aspetti più pericolosi della
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cultura a questo stadio è che diviene un elemento inconscio che determina la
maggior parte di quello che succede nell’organizzazione, incluse anche la sua
missione e la sua strategia.
A questo livello è più difficile decifrare la cultura e rendere le persone
consapevoli di essa perché è profondamente radicata nella routine. Far
crescere la consapevolezza della cultura può addirittura essere
controproducente, a meno che non ci sia una crisi o un problema specifico da
risolvere. I manager considerano le discussioni sulla cultura noiose e
irrilevanti, specialmente se l’impresa è grande e con solide basi. D’altra
parte, se l’organizzazione intraprende una espansione geografica, delle fusioni
e delle acquisizioni, delle joint venture e/o introduce delle nuove tecnologie,
deve procedere a un’attenta autovalutazione per determinare la compatibilità
della cultura esistente con i nuovi modi di pensare e comportarsi che stanno
per essere introdotti.
Inoltre, a questo stadio, ci potrebbero essere forti forze a favore della
diffusione culturale e della perdita di integrazione. Si sono sviluppate
subculture potenti, e una cultura altamente integrata è difficile da mantenere
in un’organizzazione ampia, differenziata, geograficamente dispersa. Per di più,
quando un’organizzazione invecchia, diventa meno chiaro se tutte le sue unità
subculturali dovrebbero essere uniformi e integrate. Parecchie società
conglomerate con cui ho lavorato perdevano parecchio tempo dibattendo il
problema se era meglio cercare di mantenere, o in qualche caso costruire, una
cultura comune o meno. Vale la pena affrontare i costi legati a un tale sforzo?
Esiste anche solo un pericolo nell’imporre degli assunti a una sottounità che
potrebbe non adattarsi neppure lontanamente alla situazione? D’altra parte, se
alle sottounità è permesso sviluppare la propria cultura, qual è il vantaggio
competitivo di essere un’organizzazione singola? Risolvere tali questioni spesso
richiede una valutazione attenta della cultura attuale per vedere quali
elementi, se ce ne sono, dovrebbero essere generalizzati, considerati i vari
compiti delle unità organizzative.
Da una prospettiva culturale, allora, l’essenza del lavoro del leader non
è come creare una cultura organizzativa, ma come dirigere la diversità
delle forze subculturali che sono già all’opera, vale a dire, come integrare
e far evolvere un’organizzazione altamente differenziata e come accrescere gli
elementi della cultura che sono coerenti con le nuove realtà ambientali mentre
si cambiano elementi della cultura che non sono più funzionali. Se gli elementi
culturali devono essere cambiati, allora si ha a che fare con cambiamenti
trasformativi (come descritto nel precedente capitolo); questo richiede dei
meccanismi che vadano oltre a quelli evolutivi, caratteristici delle
organizzazioni giovani e in crescita.
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Implicazioni pratiche
Si passi un po’ di tempo, da soli o con qualche collega, a ripercorrere la storia dell’impresa.
• - Si ripensi ai fondatori. Ci si chieda quali erano i loro valori profondi e i loro assunti che sono
poi diventati parte della cultura dell’organizzazione. Se necessario, si localizzino alcune
persone che lavoravano in quei tempi e che ricordano come era la cultura alle origini.
• Si identifichino i leader potenti che sono venuti dopo i fondatori. Ci si chieda se hanno o meno
cambiato elementi della cultura durante il loro periodo di leadership. Se sì, in che modo? Quali
nuovi modi di pensare e di comportarsi hanno introdotto?
• Ora si sposti l’attenzione all’ambiente. Ci si chieda come è cambiato l’ambiente economico,
tecnologico, politico e sociale in cui opera l’impresa. Fino a che punto alcuni dei più profondi
assunti dei fondatori e dei primi leader non sono più funzionali nell’ambiente attuale?
Questo esercizio comincia a far pensare a una valutazione della cultura più formale, che si può
fare con un gruppo più ampio, secondo il metodo descritto nel capitolo 4.
I meccanismi di cambiamento della cultura nelle organizzazioni di
mezza età
I meccanismi di cambiamento della cultura descritti nel capitolo 5 (evoluzione
generale e specifica, evoluzione guidata attraverso la comprensione,
evoluzione diretta attraverso la promozione di ibridi, empowerment di manager
provenienti da subculture selezionate) continuano a essere in opera nelle
organizzazioni mature. Ma siccome la cultura è ora più differenziata e radicata,
se i suoi elementi non sono più potenzialmente funzionali, allora i meccanismi
di cambiamento devono essere di tipo più trasformativo che evolutivo;
comportano il disimparare vecchi modi di pensare, un processo che
fondamentalmente crea grande paura e quasi invariabilmente produce
resistenza al cambiamento. Far evolvere la cultura attraverso la selezione
sistematica di manager provenienti da certe subculture è spesso un
processo troppo lento per attuare le trasformazioni necessarie. Il
maggior meccanismo di cambiamento diviene quindi il cambiamento della
cultura pianificato e guidato, attraverso un processo sistematico che coinvolge
leader del cambiamento ed équipe di cambiamento che operano come strutture
parallele.
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Il cambiamento di cultura pianificato e guidato
Come dimostrano i casi esposti più avanti, gran parte del lavoro del manager
del cambiamento e dell’équipe del cambiamento ora riguarda le dinamiche
psicologiche e sociologiche descritte nel capitolo 6.
La possibilità di attuare cambiamenti culturali attraverso processi pianificati è
maggiore in questo stadio perché la cultura non è più legata
psicologicamente ed emotivamente ai fondatori e ai membri della
famiglia. Mentre molte pratiche manageriali erano sacre nel periodo
della giovinezza, è ora più facile dare una valutazione oggettiva di tali
pratiche e degli assunti che vi stanno dietro per determinare i loro punti di
forza e di debolezza. In altre parole, se si ritiene che alcuni assunti non siano
più funzionali, non si sta criticando una “figura paterna”. Piuttosto che
essere il collante e la sorgente di identità, la cultura diventa parte
della tradizione del successo - gli assunti che hanno fatto arrivare
l’organizzazione dove è oggi. Costituisce ancora una grande forza
conservatrice, perché molti dipendenti e molti manager danno per scontato che
ciò che ha creato il successo dell’organizzazione debba ancora essere valido e
queste convinzioni non vengono minate dal semplice annuncio di un nuovo
modo di fare le cose o di nuovi valori.
È per questa ragione che si vuole ancora legare qualunque cambiamento che
debba essere fatto agli assunti culturali esistenti, piuttosto che cominciare da
capo con l’annuncio di una nuova cultura. Anche se sembra che i cambiamenti
necessari portino una contestazione degli assunti sostenuti profondamente,
una delle parti più importanti del processo di valutazione, descritto nel
precedente capitolo, è cercare di legare le pratiche aziendali future ai
temi culturali attuali. È molto più facile collegare i cambiamenti necessari ai
temi culturali esistenti che cercare di cambiare la cultura. Le organizzazioni
efficienti sono in grado di far evolvere in questo modo le loro pratiche intorno
al nucleo di un limitato numero di valori e assunti di alta qualità, che
rimangono invariati (Kotter, Heskett, 1992; Collins, Porras, 1994).
La molla per questo genere di processo di cambiamento è di solito l’esposizione
dell’organizzazione a informazioni che creano una grande disconferma e
portano il management esecutivo a decidere che è necessario apportare
qualche mutamento di rilievo, se si vuole che l’organizzazione sopravviva e
continui ad avere successo. Si affermano, o sono incaricati, i leader del
cambiamento, e si forma l’équipe del cambiamento. La necessità di una
valutazione della cultura si presenta in stadi del processo trasformativo; in
questi momenti l’équipe del cambiamento deve decidere come la cultura può
aiutare il processo di cambiamento e come può aiutare a modificare gli
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elementi culturali che non sono più funzionali. Ulteriori interventi sono
pianificati, quind nei termini degli specifici elementi identificati nella cultura.
Si noti, comunque, che quanto viene percepito come una disconferma, le
informazioni che producono ansia da sopravvivenza nel management
esecutivo, i processi con cui rimediare che vengono lanciati, sono loro stessi
culturalmente determinati. Pertanto, ogni programma di cambiamento di
un’organizzazione matura ne riflette la cultura e probabilmente differisce da
quello che potrebbe fare un’altra organizzazione con la propria cultura. Di
conseguenza, non posso fornire un modello da seguire fedelmente per questo
tipo di cambiamento, ma solo presentare alcuni casi da cui si possono inferire
altre più vaste generalizzazioni. La meccanica di base del cambiamento segue
il modello presentato nel capitolo precedente, ma il modo in cui viene
realizzato o sperimentato varia da un’impresa all’altra.
Esempio: un cambiamento di cultura moderato all’Alpha Power
Mentre si legge il caso dell’Alpha Power si devono notare alcune cose: la
maggior forza portatrice di disconferma arrivava dall’esterno, il che rese il
cambiamento interno non solo necessario ma anche maggiormente possibile;
alcuni dei mutamenti richiesti dalla cultura sono sostenuti da cambiamenti
strutturali, ma quando vengono esposti livelli più profondi della cultura non è
più chiaro fino a che punto l’azienda sia desiderosa di cambiare la cultura e le
sue manifestazioni strutturali. Si deve anche notare quanto sia difficile
identificare alcuni degli assunti più profondi, quanti di loro riflettano la
profonda divisione esistente fra management e dipendenti e quanto sia arduo
creare sicurezza psicologica sufficiente per la realizzazione di alcuni
cambiamenti.
Il programma di cambiamento dell’Alpha Power cominciò qualche anno fa,
quando un gruppo motore esplose spargendo polvere di amianto nella zona
circostante. L'agenzia ambientale locale accusò l’azienda di reato, perché
riteneva che avesse mentito quando aveva negato l’esistenza di un pericolo
derivante dall’amianto. Il caso fu risolto fuori dal tribunale con un accordo
consensuale che richiedeva all’impresa di:
1. Pagare ingenti multe
2. Istituire un insieme di procedure ambientali di diagnosi e rimedio, che
includevano una valutazione periodica dei progressi fatti, da parte di
un’impresa di consulenza esterna
3. Accettare la presenza di un controllore, incaricato dal tribunale, che avrebbe
fatto rapporto al giudice e avrebbe scritto perizie quadrimestrali sui
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progressi fatti dall’impresa nel rispondere adeguatamente a tutti gli obiettivi
di carattere ambientale che erano stati stabiliti
4. Rimanere sotto amministrazione controllata per un periodo di tre anni,
durante i quali l’impresa avrebbe dovuto dimostrare una crescente
responsabilità nei confronti dell’ambiente.
Uno degli obiettivi più urgenti era quello di ammettere più apertamente di
fronte al governo gli incidenti ambientali e nel mettere in atto misure
riparatorie.
Le maggiori forze di scongelamento erano la perdita di autonomia, derivante
dall’essere sotto amministrazione controllata, e la presenza del controllore
nominato dal tribunale, le cui relazioni quadrimestrali ricordavano a tutti
nell’azienda quanto non veniva fatto per raggiungere la sua visione.
Allo stesso tempo la massima dirigenza arrivò a comprendere una cosa
importante: per essere competitivi nel futuro mercato deregolamentato, il tipo
di comportamento dei dipendenti volto a una maggior responsabilità verso
l’ambiente, la salute, e i problemi di sicurezza, sarebbe anche stato auspicabile
per rendere, in generale, l’impresa più competitiva.
L’alta dirigenza, specialmente il CEO, che godeva di rispetto e aveva molto
potere, enunciò chiaramente la visione secondo cui i dipendenti dovevano
diventare più favorevoli al lavoro di squadra, più aperti nelle loro
comunicazioni, più responsabili dal punto di vista personale, dovevano
migliorare le loro capacità di pianificazione e di valutazione dei rischi, di
valutazione e capacità di rimediare ai problemi di ambiente, salute e sicurezza.
Venne assunto un vice presidente per gli affari ambientali con l’incarico di
formare un’organizzazione che avrebbe provveduto alla formazione e fornito
consulenza, esperienza nella diagnosi e nei rimedi e - cosa più importante - un
po’ di supervisione per assicurare che gli affari relativi ad ambiente, salute e
sicurezza fossero gestiti a tutti i livelli in maniera adeguata. Fu formato un
comitato ambientale di alto livello, che si riuniva mensilmente per valutare i
progressi fatti nella riduzione degli incidenti ambientali, quali, ad esempio,
perdite di olio, per stabilire linee di condotta e, in generale, per sorvegliare
l’intero programma.
Oltre a questo, venne anche formato un consiglio ambientale incaricato della
revisione della qualità, formato da due legali esperti in problematiche
ambientali e il cui lavoro consisteva nell’aiutare l’impresa con i suoi problemi di
conformità. Il consiglio doveva anche assicurare che il programma, nella sua
evoluzione, avrebbe adeguatamente soddisfatto le condizioni dell’ufficio legale
dello Stato in maniera sufficiente da garantire la fine del periodo di
amministrazione controllata al termine dei tre anni. Io venni aggiunto al
comitato in qualità di “esperto di cultura” quando fu chiaro, dalle relazioni
quadrimestrali del controllore, che egli riteneva la “cultura” dell’impresa il
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maggior ostacolo all’effettivo cambiamento nell’area dell’ambiente, della salute
e della sicurezza. Noi tre, che facevamo parte del consiglio, eravamo anche
parte del comitato ambientale, che diventò in effetti la struttura parallela per
esaminare come la cultura avrebbe aiutato o ostacolato gli sforzi volti al
cambiamento. Il fatto che del comitato facessero parte tanto interni di alto
livello quanto esterni lo rese de facto il comitato direttivo per l’intera
trasformazione, e lo rese più “marginale”.
Il mio ruolo in qualità di consulente culturale
Il mio mandato era di aiutare la Alpha a capire quali elementi della cultura
erano utili per procedere ai necessari cambiamenti e di istruire il management
sulle dinamiche generali della cultura. Il mio approccio fu quello del consulente
al processo, attento al fatto che tutte le mie interviste costituissero esse stesse
un intervento sul sistema. Allo stesso tempo, tutti gli interventi esploratori
servivano come indicatori diagnostici sulla cultura. Gli esempi forniti dal
controllore nelle sue relazioni suggerivano che proprio alcune delle cose che un
tempo avevano reso la Alpha un’azienda di successo potevano ora non essere
più funzionali rispetto alla nuova visione enunciata dal CEO. Ad esempio, fare
rapporti aperti al governo poteva essere un concetto completamente alieno in
una cultura basata su una stretta lealtà di gruppo e sul principio del lavare i
panni sporchi in famiglia.
Trascorsi parecchie giornate, nell’arco di mesi, a intervistare gruppi di
dipendenti dell’area dell’ambiente, salute e sicurezza, dipendenti del sindacato
che lavoravano nelle strade, supervisori di prima linea, manager di media
importanza e - cosa più importante - tutto il gruppo degli alti dirigenti. Avevo
bisogno di verificare quanto la visione fosse condivisa dall’alta dirigenza e
compresa scendendo nella gerarchia. Fu chiaro, da queste interviste individuali
e di gruppo, che la visione di base e la necessità di maggior responsabilità dal
punto di vista ambientale, erano state ben comprese e accettate, ma c’era
scarsa comprensione del significato attribuito dal controllore all’affermazione
che la cultura dell’impresa stava ostacolando il processo che doveva condurre a
una reale apertura, al lavoro di squadra e alla responsabilità verso l’ambiente,
la sicurezza e la salute.
Il mio compito diventò quindi quello di:
1. Istruire l’organizzazione sui concetto di cultura e su cosa è coinvolto in un
cambiamento culturale
2. Aiutare a definire più chiaramente il nuovo modo di lavorare se i nuovi valori
precedentemente menzionati dovevano essere raggiunti
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3. Aiutare a definire quali elementi della cultura avrebbero aiutato il
cambiamento e quali, al contrario, l’avrebbero ostacolato
4. Se si scoprivano elementi della cultura che creavano un ostacolo, aiutare a
sviluppare un programma di cambiamento per affrontarli.
Interventi educativi
Fu deciso che dopo parecchi mesi avrei fatto al comitato ambientale una
presentazione sul concetto di cultura, che avrebbe costituito il primo passo
nell'istruzione su questo argomento. Con l’aiuto di diapositive, spiegai i passi
fondamentali e necessari da intraprendere se si voleva cambiare. Il discorso
era integrato da un insieme di appunti che presentavano il modello di base del
cambiamento che doveva essere appreso. Presento parte di questi appunti
nella tabella 7.1, perché servono come modello per l’intero processo di
cambiamento in corso alla Alpha; inoltre illustrano come la teoria del
cambiamento presentata nel precedente capitolo possa essere comunicata a
dipendenti e manager. L’essenza di un buon intervento formativo è riuscire a
comunicare concetti difficili in maniera concreta, così che il pubblico possa
applicare immediatamente la teoria a sé.
La presentazione fu discussa per esteso e gli alti dirigenti cominciarono ad
apprezzare la complessità di questo cambiamento. La cosa più importante era
che avevo bisogno di verificare se il gruppo era ancora intenzionato a
impegnarsi nel cambiamento culturale, data la miglior comprensione di quanto
era implicato. Affermarono di voler continuare nel loro impegno e questa
affermazione fu seguita dalla programmazione di una discussione simile per il
personale del management che si trovava al livello immediatamente inferiore
al loro. Contemporaneamente, io avrei continuato ad avere incontri con i
gruppi per meglio definire qual era il dilemma culturale a livello dei dipendenti.
In altre parole, se si doveva definire un nuovo modo di lavorare, cosa
del vecchio modo poteva farne parte? Questi elementi della cultura
emersero gradualmente nelle interviste di gruppo che ebbi con i dipendenti.
Elementi rilevanti della cultura attuale
Gli elementi della cultura vecchia, o dell’attuale, con cui ci si doveva
confrontare, si caratterizzano meglio nei termini delle norme e degli assunti
che si erano evoluti storicamente ed erano ampiamente condivisi:
La priorità numero uno è sempre quella di tornare al ripristino dell’energia e
al mantenimento di un servizio affidabile
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Il modo eroico di essere è avere comunque l’energia, non importa quali
rischi si debbano correre o quali procedure formali debbano essere ignorate
in questo processo
Il modo eroico di essere è rispondere alle crisi nel momento in cui accadono;
un’attenta pianificazione e l’utilizzo dei momenti privi di situazioni di
crisi per la pianificazione non godono di valore
Si fa quello che dice il capo; i supervisori organizzano il lavoro e danno
disposizioni su come farlo
Le informazioni sulle infrazioni vengono mantenute all’interno del gruppo e i
problemi si risolvono sempre al suo interno
Non si “abbandona” un compagno che sta trascurando o ignorando un
problema ambientale; non lo si denuncia né lo si affronta se la procedura
ambientale non è rispettata
Il collega che ha fornito informazioni sul gruppo (vale a dire, se ha chiamato
il controllore nominato dal tribunale sulla linea diretta privata) viene punito
L’esperienza tecnica e l’anzianità sono le chiavi per l’avanzamento di carriera
L’impresa si prende cura dei dipendenti che vi lavorano da lungo tempo,
anche se le loro abilità tecniche si sono atrofizzate
Il lavoro ben fatto è dato per scontato e viene automaticamente
riconosciuto; non lo si deve pubblicizzare né ci si deve vantare di ciò che si è
riusciti a fare.
I due temi principali che emergono da questo profilo culturale sono, primo, che
l’intero sistema funziona grazie a una forte gerarchia e a una forte
lealtà di gruppo e, secondo, che sia il management sia i dipendenti
condividono una mentalità meccanica in cui l’attenzione si concentra
sulla risoluzione di problemi tecnici in maniera efficiente, senza
preoccupazione per il modo in cui il pubblico, il governo, e altri fiduciari esterni
potrebbero percepire l’impresa e il suo comportamento. Ad esempio, in seguito
a un estensivo cablaggio sotterraneo l’impresa è in grado di localizzare solo
una certa per centuale di perdite di fluidi dielettrici, che possono contaminare
l’ambiente. Nella presentazione di questi sforzi, tutta l’energia si concentra sul
modo sofisticato in cui vengono recuperati l’80% dei fluidi derivanti dalla
perdita. Che il restante 20% - che ammonta a 20.000 galloni all’anno - non
possa essere localizzato e trattato, viene più o meno ignorato come un
problema di pubbliche relazioni nonostante il fatto che questo possa ancora
sembrare un enorme danno quantitativo al pubblico.
Ho incontrato le maggiori difficoltà con questi elementi della cultura,
specialmente quelli che coinvolgevano le norme del gruppo sul mantenimento
delle informazioni all’interno dell’unità di lavoro, il rispetto dell’indipendenza
dei colleghi anche quando stanno violando le regole sull’ambiente, la salute e
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la sicurezza, e l’accettazione dell’autorità gerarchica anche quando questo
significa infrangere queste regole. L’unico modo che intravedevo per poter
raggiungere il cambiamento in quest'area era di coinvolgere tutti i livelli
dell’organizzazione, specialmente i dipendenti: se loro non partecipavano
attivamente alla definizione dei metodi di apprendimento, le loro norme non
sarebbero cambiate.
Tabella 7.1
Estratti degli appunti presentati al comitato del cambiamento dell’ “Alpha
Power”
Cosa ci vuole per cambiare gli elementi della cultura?
1. Motivazione per il cambiamento
La motivazione viene prodotta da informazioni che creano disconferma e, di
conseguenza, ansia da sopravvivenza e colpa. Cosa produce tali sentimenti?
- Reali eventi esterni, quali esplosioni, incidenti, perdite che sono costose da
rimediare e fanno comprendere ai membri dell’organizzazione che qualcosa
deve essere cambiato. Si può pensare all’ansia da sopravvivenza come a un
tipo di ansia prodotta dalla prospettiva di non cambiare nulla e quindi di
diventare meno adatti e competitivi.
- Disconferme esterne di tipo formale sotto forma di ordini del tribunale,
rapporti di un controllore incaricato dal tribunale su infrazioni, ulteriori
incidenti o perdite ecc. Queste cose causano ansia da sopravvivenza.
- Riconoscimento interno che le cose non vanno così bene come potrebbero,
si stanno prendendo scorciatoie e le procedure non vengono seguite, le
prestazioni inefficienti vengono tollerate e i dipendenti inefficienti non sono
allontanati, gli standard di condotta non sono fatti rispettare e coloro che li
infrangono non vengono puniti., Questo provoca colpa e l’idea di un
mancato soddisfacimento degli ideali.
2. Perché la disconferma non è sufficiente per dare inizio a un cambiamento?
(Ansia da cambiamento e resistenza al cambiamento)
L’ansia da sopravvivenza e la colpa forniscono le motivazioni per imparare
qualcosa di nuovo, ma, allo stesso tempo, se il nuovo comportamento,
atteggiamento, valori ecc. richiedono di disimparare qualcosa che già
si sapeva, si va immediatamente in contro all’ansia da
apprendimento.
L’ansia da apprendimento è la combinazione di parecchie specifiche paure:
- Paura di diventare temporaneamente incompetenti mentre si impara
qualcosa di nuovo (mancanza di comprensione o capacità nel diagnosticare
e risolvere “problemi” ambientali).
- Paura di perdere il senso di identità se si adotteranno nuovi
atteggiamenti, valori e comportamento (perdita di capacità di essere la
persona tipo macho che mantiene l’energia in funzione).
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- Paura di perdere l’identità di gruppo se si devia dalle norme del gruppo
precedentemente accettate (vessazione, ostracismo e la punizione da parte
del gruppo per aver defezionato, essere troppo legati alle regole, non
badare ai “propri affari”, mettere in imbarazzo i colleghi o il capo o l’unità
organizzativa).
- Paura di ricevere una punizione dall’organizzazione per impiegarci
troppo tempo, o uscire dai doveri specifici e prescritti; si potrebbe essere
improduttivi mentre si apprende, il che renderebbe furioso il capo.
3. Risposte difensive all’ansia da apprendimento
Fino a quando l’ansia da apprendimento rimane alta, si opporrà resistenza al
cambiamento e si inventeranno per questo varie ragioni o scuse:
- Rifiuto difensivo: “Non è quello che intendono realmente”; “Passerà e
torneremo alla normalità”; “Stanno solo gridando al lupo al lupo”; “Non
c’era realmente olio nella perdita”; “La direzione deve dire tutte queste cose
a causa del tribunale”; “Il tribunale non ci terrà davvero più sotto
amministrazione controllata” e così via.
- Capro espiatorio, far scarica barile, scansarsi: “Non si applica a me”;
“Abbiamo questo problema perché ‘loro’ in quell’altro dipartimento, ne sono
la causa”; “Le minime cose che noi facciamo a stento contano confrontate
con quello che fanno loro”; e così via.
- Fare manovre e negoziare: “Va bene, imparerò come affrontare i problemi
ambientali, ma mi dovete pagare di più o dovrete darmi del tempo extra per
svolgere il mio normale lavoro”; “Se seguo le nuove regole e imparo queste
nuove cose, cosa ne ricavo se non più lavoro?”; e così via.
4. Superare la resistenza al cambiamento creando sicurezza psicologica
Affinché l’apprendimento del nuovo abbia luogo, l’ansia da sopravvivenza
deve essere molto più grande dell’ansia da apprendimento. Ma
aumentare l’ansia da sopravvivenza spaventando le persone crea
semplicemente un aumento della loro resistenza difensiva o porta a
un’accettazione superficiale. Per interiorizzare l’apprendimento,
bisogna ridurre l’ansia da apprendimento compiendo i seguenti passi,
che devono essere tutti intrapresi. (Il lettore si renderà conto che questa
lista è leggermente differente rispetto agli Otto punti presentati nel capitolo
6, nel paragrafo “Come creare la sicurezza psicologica?”, perché riflette le
priorità dell’Alpha. Il coinvolgimento di coloro che devono apprendere era
menzionato in una parte separata.)
- Una irresistibile visione positiva: Se imparo queste cose, come saremo
tutti in migliori condizioni?
- Formazione strutturata: Cosa viene coinvolto dal nuovo comportamento
e dai nuovi atteggiamenti? Vale a dire, quali sono le leggi, quali sono le
sostanze pericolose, quali sono le procedure per trattarle, chi si deve
chiamare per cosa ecc.?
- Formazione informale: Ottenere le conoscenze tecnologiche e la
capacità di fronteggiare le situazioni nuove e forse anche ambigue
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(nell’acqua si trovano olio o altre sostanze?); imparare nuovi standard da
usare per giudicare le cose.
- Campi di pratica e guide: Posso fare prove per la prima volta in
situazioni in cui sono accettati gli errori e posso da questi imparare? Ci
saranno guide a dirmi se sto agendo bene o male e a spiegarmi come posso
fare meglio?
- Feedback correttivo: Se faccio qualcosa, qualcuno mi dirà se lo sto
facendo nel modo giusto o nel modo sbagliato? Se sto agendo nel modo
corretto, mi sarà detto e verrò premiato?
- Sistema di premi e disciplina coerente con i nuovi elementi appresi: Se io
o altri agiamo bene, otterremo premi consistenti? Se io o altri stiamo in
qualche modo commettendo un errore, riceveremo l’appropriato feedback?
Se altri stanno violando le nuove regole, saranno adeguatamente puniti?
- Modelli di ruolo positivi ed esempi e casi di cosa non fare: Vedremo i
nostri manager che occupano i gradi più alti passare dalle parole ai fatti e
stabilire esempi positivi?
- Gruppi di sostegno: gruppi nei quali si possono esporre i problemi
connessi con l’apprendimento e in cui si può essere coinvolti
nell’elaborazione del proprio processo di apprendimento.
Interventi e processi strutturali
Si riconobbe che la cultura dell’Alpha Power aveva davvero degli elementi che
avrebbero dovuto essere cambiati, ma si riconobbe anche che gli elementi
della cultura basati su forte gerarchia, deferenza nei confronti dei superiori,
paternalismo e implicite promesse di impiego a tempo indeterminato potevano
essere di aiuto nella trasmissione del messaggio sulle linee di condotta relative
all’ambiente, alla salute alla sicurezza. L’impresa procedette a una serie di
cambiamenti e processi strutturali che riflettevano questi elementi culturali
esistenti:
Fu assunto un vice presidente per gli affari ambientali
Manager ambientali furono collocati in ogni unità operativa e venne data loro
l’autorità di decidere come doveva essere eseguito il lavoro legato
all’ambiente, alla sicurezza e alla salute
Furono sviluppate e pubblicate le procedure dettagliate per identificare e
correggere i rischi ambientali
Furono lanciati programmi intensivi di formazione su queste procedure per
supervisori e dipendenti
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Si istituirono severe procedure disciplinari per punire supervisori o
dipendenti che maltrattavano chi faceva rapporto al controllore designato dal
tribunale
Si assegnarono riconoscimenti pubblici e premi a quei dipendenti che
dimostravano responsabilità ambientale e inventavano nuove procedure per
aumentare sia l’efficienza sia la responsabilità ambientale
Vennero create nuove tecnologie per aiutare ad affrontare le perdite d’olio o
altri analoghi problemi
Si istituirono dettagliati sistemi di misurazione per individuare la percentuale
di incidenti ambientali
I comitati di sorveglianza si riunirono regolarmente per controllare l’intero
programma
Il dipartimento di revisione fece indagini su tutti gli incidenti legati
all’ambiente, alla salute e alla sicurezza per determinare le cause che vi
erano alla radice e altri fattori causali, e per costruire un archivio da cui si
sarebbero potute ricavare generalizzazioni sui problemi legati all’ambiente,
alla salute e alla sicurezza.
Creazione del comitato di cultura
Oltre a queste misure, suggerii che era essenziale coinvolgere anche il
successivo livello di manager. Il vice presidente degli affari ambientali (il mio
cliente principale) e io decidemmo di formare un comitato di cultura
comprendente tutti i successivi livelli di dirigenti delle aree chiave e delle
organizzazioni dello staff. Anche a questo comitato fu fatta la presentazione
della cultura e fu incoraggiato, nel corso degli incontri che ebbero luogo nei
mesi successivi, a discutere come coinvolgere i dipendenti sindacalizzati
nel totale processo di trasformazione.
Il mio presupposto era che, a meno che questo strato dell’organizzazione non
cambiasse i suoi segnali rispetto a cosa era importante, il messaggio non
avrebbe, avuto molto significato a livello di supervisori e dipendenti di primo
livello, non im porta quanto a gran voce il management esecutivo proclamasse
i nuovi valori. Era essenziale fare questo in gruppo, così che i manager
potessero imparare gli uni dagli altri e gradualmente cambiare le proprie
norme, il che costituiva un prerequisito per mandare nuovi segnali
all’organizzazione da loro diretta. Il primo compito di questo gruppo era di
tradurre la visione dell’impresa nei valori di lavoro di squadra, apertura,
e responsabilità in un nuovo concreto modo di pensare e lavorare per i
dipendenti.
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Definire il nuovo modo di pensare e lavorare
Il vice presidente e io avevamo la funzione di dirigere il comitato. Decidemmo
di introdurre il compito formale di specificare quali sarebbero dovuti
essere gli atteggiamenti dei dipendenti, i processi di pensiero e il
comportamento nella futura organizzazione ideale. Cosa voleva dire essere
un dipendente aperto, responsabile, e favorevole al lavoro di squadra?
Per spiegare meglio: nel vecchio modo di lavorare se un trasformatore
dell’ospedale si rompeva, e il gruppo di lavoro inviato per aggiustarlo scopriva
che il loro camion stava perdendo olio in una vicina fognatura, non ci
sarebbero stati dubbi: avrebbe aggiustato il trasformatore e dopo si sarebbe
preoccupato della perdita d’olio. Nel nuovo modo di lavorare, gli si richiedeva
di fare entrambe le cose, il che sembrava impossibile. Per fare un altro
esempio, nel vecchio modo di lavorare, se un membro della squadra di lavoro
non indossava l’equipaggiamento di sicurezza o faceva qualcosa di poco sicuro,
gli altri membri della squadra non avrebbero detto nulla, neppure se questo
poteva costituire un pericolo anche per loro. Nel nuovo modo di lavorare si
riteneva che i membri della squadra dovessero essere reciprocamente
responsabili e controllarsi a vicenda, qualcosa che sembrava ugualmente
impossibile, date le norme del gruppo.
Le mie interviste di gruppo con i manager ambientali e i consulenti
sull’ambiente, la salute e la sicurezza che lavoravano sul campo mi portarono a
concludere che gli obiettivi erano chiari, ma nessuno nella gerarchia
aveva una soluzione. Questa sarebbe dovuta venire dai gruppi di lavoro
stessi, una volta che avessero accettato la validità di tali obiettivi. Avrebbero
pensato a come integrare, o almeno allineare, produttività e preoccupazioni
ambientali. In altre parole, il ruolo dell’alta dirigenza era di chiarire che la
visione doveva essere realizzata, ma il modo in cui ciò doveva avvenire
dipendeva dal coinvolgimento dei dipendenti. L’empowerment doveva
essere reale nella condivisione con il personale delle responsabilità per il
raggiungimento di una soluzione. Quando tali soluzioni fossero state inventate,
gli individui e i gruppi che le avevano ideate avrebbero potuto essere
altamente pubblicizzati, premiati e diventare modelli di ruolo per le altre parti
dell’Alpha.
Il programma “time-out”.
Una di queste soluzioni, inventata in una sottounità geografica dell’Alpha, fu
chiamata programma “time-out” (sospensione del tempo). A ogni dipendente
era stata rilasciata una piccola tessera verde con le istruzioni per
richiedere una sospensione ogni volta che lui o lei avesse l’impressione
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che procedere avrebbe comportato qualche rischio per l’ambiente, la
salute, la sicurezza. Il lavoro sarebbe quindi stato sospeso fino a che un
esperto dell’ambiente, salute e sicurezza non avesse valutato la situazione e
dato istruzioni su cosa fare. Non c’è bisogno di dire che fra i ranghi direttivi si
sviluppò una considerevole ansia, dovuta alla possibilità che il personale
facesse ricorso alla sospensione in maniera leggera e irresponsabile, ma questo
non accadde. Nei casi in cui un dipendente aveva bloccato il lavoro si scoprì
che l’aiuto dell’esperto era realmente necessario e vennero istituite nuove
procedure. Il programma ebbe un tale successo in quest’unità che alla fine
l’impresa ne fece un programma con validità generale, con la benedizione e il
sostegno dell’alta dirigenza.
Si noti che la sospensione è un modo concreto di cambiare le norme
gerarchiche della cultura dando al personale la licenza di bloccare il
lavoro, il che significa rifiutare di continuare a fare ciò che è stato approvato,
o anche esplicitamente ordinato, dal supervisore. Si noti anche che la vecchia
norma che richiede di seguire sempre le regole, viene ora minata, ma
la nuova norma del “noi abbiamo il potere e la responsabilità di
fermare il lavoro se necessario” non è ancora totalmente accettata.
Non si è ancora formata una nuova cultura, è stato ratificato solo un nuovo
comportamento. La formazione di un nuovo elemento culturale dipende
dal successo o meno del nuovo comportamento nel lungo periodo, e nel
rendere l’impresa più responsabile e produttiva. Allo stesso tempo
l’accettazione di questo programma da parte dei supervisori è un chiaro segno
che la vecchia cultura gerarchica si sta gradualmente evolvendo e concede un
maggior empowerment al personale sui problemi legati all’ambiente, alla salute
e alla sicurezza.
Coinvolgimento dei dipendenti nella riprogettazione dei comitati sulla
sicurezza.
Il nuovo modo di lavorare stava diventando più definito nell’area ambientale,
ma rimaneva un problema nel campo della sicurezza a causa della norma di
non abbandonare i compagni di lavoro o avere un confronto con essi. La
visione era chiara: una buona sicurezza richiede lavoro di squadra, ed è
responsabilità di ogni membro della squadra assicurarsi che tutti gli altri stiano
seguendo le procedure di sicurezza. Se un membro del gruppo non indossa il
casco o gli occhiali protettivi, è responsabilità degli altri componenti farglielo
notare ed esigere il rispetto della procedura. Ma questo richiede l’abbandono
dell’implicito modello eroico di portare a termine il lavoro con un
comportamento individuale eroico, così come l’abbandono della regola per cui
ogni dipendente gode di autonomia nel decidere cosa indossare o meno.
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E. Schein "Culture d'impresa”
Per affrontare questo problema, è di nuovo necessario cercare esempi creativi
all’interno dell’organizzazione. Uno arrivò da un settore in cui il comitato di
sicurezza del management degli operai decise che le ispezioni per la sicurezza
e le valutazioni successive agli incidenti non dovevano essere condotte solo da
esperti di sicurezza ma piuttosto da personale di pari grado. Se un collega
proveniente da un altro gruppo fa notare a un dato gruppo di lavoro la
“stupidità” di non indossare l’equipaggiamento di sicurezza, questo ha
chiaramente un impatto maggiore che se il messaggio arriva da un supervisore
o da uno staff di esperti. In questo dipartimento è stata ottenuta una maggior
responsabilità reciproca, ma resta da vedere se questo processo di valutazione
condotto da un gruppo di pari livello sarà accettato in altre parti dell’Alpha.
Coinvolgimento dei dipendenti nella riprogettazione dell’equipaggiamento.
Un altro esempio arriva da un gruppo in cui gli ingegneri scoprirono che
l’equipaggiamento di sicurezza era ingombrante e scomodo. Invece del
tradizionale approccio della “formazione” del personale per usare
l’equipaggiamento esistente, organizzarono un gruppo di lavoratori per
riprogettare l’equipaggiamento con l’obiettivo specifico di renderlo utilizzabile
nelle particolari condizioni di lavoro che venivano normalmente affrontate.
Ancora una volta, se questo processo di ridisegnare l’equipaggiamento
condotto dai lavoratori stessi avrà successo e si diffonderà, la cultura
cambierà ulteriormente. Ma questo spesso è un lento processo di
invenzione, diffusione e accettazione, e anche a questo punto non produce una
nuova cultura, a meno che non riscuota successo.
Coinvolgimento del personale nella pianificazione del lavoro.
Alla fine, cosa succede al trasformatore dell’ospedale e alla perdita di olio? I
rappresentanti degli affari ambientali, lavorando con il personale,
sottolinearono che la soluzione, da loro adottata, consisteva in una miglior
pianificazione di tutte le eventualità ambientali. Se si sa che il camion ha una
perdita, allora bisogna portare coperte in più e secchi di sabbia. Ci vogliono
solo dieci secondi per limitare la perdita; quindi si aggiusta il trasformatore, e
dopo si puliscono i resti della perdita. Ma imparare a pianificare significa
implicitamente andare contro la cultura, se la norma è la lotta eroica al
fuoco, così resta da vedere se l’educazione, la formazione, i modelli positivi di
ruolo e i sistemi di riconoscimento e premi sono sufficienti a cambiare questa
norma. In ogni caso, senza il coinvolgimento del personale è poco
probabile che il cambiamento abbia luogo.
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E. Schein "Culture d'impresa”
In conclusione, il nuovo modo di pensare e lavorare implica il ricorso agli
elementi della cultura che aiutano il processo di cambiamento e l’affrontare gli
elementi che vi si oppongono. Cambiare gli elementi implica tutti i passi visti
nella precedente sezione sul superare l’ansia da apprendimento (capitolo 6,
“Come si crea la sicurezza psicologica?”) e spesso dipende dal profondo
coinvolgimento dei dipendenti che ne sentono di più l’impatto. Soprattutto se
sono coinvolte norme del personale, queste non possono essere
cambiate per decreto manageriale. Solo il gruppo può decidere di
abbandonare una certa norma e cominciare ad agire secondo linee differenti. Il
lavoro dell’agente del cambiamento è quello di continuare a inventare
e realizzare processi che faciitino le nuove idee, assicurarne la
circolazione, essere certo che tutti i livelli della direzione e dei dipendenti sono
coinvolti in maniera appropriata nell’inventare soluzioni e nel continuare a
istruire il management sulle realtà di cosa è alla fine coinvolto nei processi di
cambiamento trasformativo.
Lezioni
L’Alpha Power illustra la complessità della decisione su cosa è necessario
cambiare. Chiaramente l’impresa doveva diventare responsabile dal punto di
vista ambientale per liberarsi della “amministrazione controllata”, ma non era
facile tradurre questa richiesta di principio in uno specifico comportamento
quotidiano. Allo stesso tempo l’alta dirigenza voleva inculcare o rafforzare
alcuni nuovi valori: apertura, lavoro di squadra, senso di responsabilità
individuale, e miglior pianificazione. Questi valori sono ambigui per quanto
riguarda il nuovo comportamento richiesto. E solo quando
l’organizzazione diventa specifica su affermazioni come “non mentire al
governo”, “riportare immediatamente tutti gli incidenti ambientali”, “controllare
reciprocamente l’uso dell’equipaggiamento di sicurezza” e così via che la
cultura emerge alla superficie, sia come un aiuto sia come un vincolo. E a
questo punto che si riconosce che il nuovo comportamento implica anche un
intero nuovo modo di pensare.
Dovette essere lanciato un più vasto programma su cosa le dinamiche
della cultura riguardassero prima di capire quali interventi culturali
fare. Questo processo educativo dovette filtrare verso i gradini inferiori
dell’organizzazione così che i nuovi segnali manageriali su cosa sarebbe
stato punito e premiato fossero coerenti e in linea con i nuovi valori.
Quando si trattò di cercare di cambiare le norme culturali a livello dei
dipendenti, fu necessario cercare soluzioni innovative fra i dipendenti stessi.
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E. Schein "Culture d'impresa”
Il programma dell’Alpha Power è solo agli inizi. Se e quanto velocemente la
cultura cambierà, dipende in realtà dal grado di successo delle innovazioni che
potranno rendere l’Alpha Power un’organizzazione più produttiva e
responsabile.
Implicazioni pratiche
Si deve creare un comitato direttivo che pianifichi il proprio processo di cambiamento
trasformativo basato sull’industria, l’impresa, la particolare cultura e lo specifico problema che si
affronta. Quello che si deve ricavare dal caso della Alpha Power è che un programma di
cambiamento deve essere adeguato alla situazione specifica. Si possono applicare principi
generali come quelli schematizzati nella tabella 7.1 a proposito dell’Alpha, ma il modo in cui
realizzarli cambia da un progetto all’altro.
Un secondo dato da comprendere è che “il diavolo si nasconde nei particolari”. Il successo o il
fallimento del programma sono determinati dal modo in cui vengono realizzati i principi
generali a livello di cambiamenti dettagliati nelle procedure di lavoro. Non si deve lasciare che
un consulente culturale venda il proprio prodotto sulla base di un programma standardizzato di
diagnosi e intervento. Si prenda un consulente del processo che possa fornire un aiuto nella
comprensione del programma e nella realizzazione degli interventi che si scelgono.
Esempio: un cambiamento moderato di cultura alla Ciba-Geigy
La Ciba-Geigy (C-G) illustra bene un caso in cui la cultura rappresenta per la
maggior parte un aiuto al processo di svolta, reso necessario da forze
economiche e tecnologiche. Il settore chimico aveva risorse eccedenti e doveva
essere ridotto, mentre il settore farmaceutico doveva produrre un profitto
molto maggiore in relazione ai suoi concorrenti. Come si è già visto in
precedenza, le unità e le divisioni geografiche erano già diventate snelle, ma la
sede centrale di Basilea non si era ancora liberata più di tanto delle sue spese
generali; le unità di linea stavano facendo pressioni sulla sede affinché ciò
accadesse.
La situazione era definita a “una svolta”. Una task force di manager ad alto
livello, che fungeva da comitato direttivo, decise venticinque progetti separati
che avrebbero dovuto essere messi in pratica per raggiungere la visione di
quello che la C-G del futuro avrebbe dovuto essere. Piccoli gruppi di alti
dirigenti si recarono in ciascuna delle unità e spiegarono in dettaglio cosa
doveva essere fatto e misero a disposizione le risorse. La presenza
personale degli alti dirigenti rese chiaro che non ci potevano essere
contrattazioni sugli obiettivi da conseguire: doveva essere una svolta
seria. Ogni progetto aveva un manager e un collegamento con un membro del
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E. Schein "Culture d'impresa”
consiglio che controllava e sovrintendeva il progetto stesso. Il comitato
direttivo si riuniva una volta al mese per seguire i processi e intervenire
quando necessario. Fu stabilita una tabella di marcia di tre anni affinché il
cambiamento avesse luogo.
Ogni gruppo di progetto dovette allora disegnare il proprio processo di
cambiamento trasformativo per soddisfare l’obiettivo entro il lasso di tempo
previsto. Ad esempio, nella divisione chimica dovette essere realizzato un
grande processo di riduzione del personale. Una delle cose importanti che la
squadra di cambiamento comprese fu che non solo si sarebbe trovata nella
situazione di allontanare la gente in modo dignitoso (riflettendo i valori della CG), ma che avrebbe prestato una particolare attenzione alla motivazione e al
morale di quei dipendenti e di quei manager che sarebbero rimasti nella
divisione, che avrebbero provato sentimenti di colpa nei confronti degli amici
che avevano perso il lavoro, e ansia da sopravvivenza per quanto concerneva
le loro carriere. Furono progettati programmi speciali per affrontare entrambi
questi sentimenti.
Nella divisione farmaceutica, d’altra parte, doveva venir lanciato un grande
programma di marketing e direzione finanziaria. Il pensiero manageriale
doveva spostarsi dall’assunto che la divisione di Ricerca & Sviluppo avrebbe
sempre garantito quantità sufficienti di nuove medicine per rendere possibile la
crescita della divisione, al l’assunto che, in futuro, ci sarebbero state poche
nuove medicine e quindi l’enfasi doveva spostarsi su un sistema di vendita più
competitivo e su controlli più stretti dei costi per proteggere i margini di
profitto.
La cultura è cambiata?
In tutti i progetti si faceva un gran parlare di cambiamento della cultura, ma in
effetti il programma della C-G era un chiaro caso in cui si identificavano un
insieme di problemi aziendali e si usavano i migliori elementi della cultura
esistente per risolverli. La C-G appoggiò il suo sistema autoritario, la sua
gerarchia, la predilezione per l’uso di gruppi e squadre e le tradizioni di lealtà e
subordinazione per effettuare grossi cambiamenti in ogni unità. Ad esempio,
nella divisione chimica e nella sede di Basilea, il positivo assunto culturale
secondo cui “noi trattiamo bene il nostro personale” condusse a un processo di
licenziamento progettato con attenzione e con molta sensibilità, in cui il capo e
l’alta dirigenza parlavano con ogni persona e fornivano un’accurata spiegazione
di quello che veniva fatto e perché. Per completare questa spiegazione
personale, la C-G creò un programma per portare agli estremi la riduzione del
personale attraverso il logoramento, un esteso servizio di counseling per
aiutare le persone a trovare un nuovo impiego, opportunità di consulti di
transizione o lavori part time, sostanziosi pacchetti di indennità di
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licenziamento e generosi programmi di pensionamento anticipato. Alla fine, i
manager della C-G ebbero l’impressione di aver affermato la loro cultura
piuttosto che averla cambiata e tuttavia avevano risolto i loro problemi
aziendali.
Lezioni
Il mutare le pratiche aziendali, la riduzione dei costi, la giusta
dimensione ecc., non implicano necessariamente un cambiamento
della cultura. Questo caso illustra piuttosto l’importanza di concentrarsi sui
problemi aziendali e di usare la cultura esistente per cambiare qualunque cosa
necessiti di essere modificata. Solo se i cambiamenti hanno un impatto sulla
cultura esistente, come nel caso dell’Alpha Power, il mutamento di cultura
diventa un problema.
Implicazioni pratiche
A questo punto vorrei ricordare che non tutti i cambiamenti trasformativi sono cambiamenti
culturali. Questo è importante perché la cultura può spesso essere usata come supporto per uno
specifico cambiamento auspicato nelle pratiche aziendali. Si rivedano alcuni dei cambiamenti di
cui ha bisogno l’impresa, e ci si chieda fino a che punto richiedano un cambiamento di cultura.
Crisi organizzativa di mezza età e potenziale declino
Il successo continuato crea assunti condivisi molto forti e quindi una
cultura forte. Se l’ambiente interno ed esterno rimane stabile, questo è un
vantaggio. Tuttavia, se c’è un cambiamento nell’ambiente, alcuni di questi
assunti condivisi possono diventare un peso proprio a causa della loro forza.
Questo stadio viene qualche volta raggiunto quando l’organizzazione non è più
in grado di crescere perchè ha saturato i suoi mercati o perché i suoi prodotti
sono diventati obsoleti. Questi sviluppi non sono necessariamente correlati con
l’età, dimensione, o il numero di generazioni di manager succedutesi, ma
riflettono piuttosto l’interazione fra la produzione dell’organizzazione e le
opportunità e i limiti ambientali.
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L’età è comunque determinante quando è richiesto un cambiamento di cultura.
Se un’organizzazione ha una lunga storia di successi, con certi assunti su di sé
e sull’ambiente, è probabile che non voglia metterli in discussione o
riesaminarli. Anche se vengono portati a livello consapevolezza, è
probabile che i membri dell’organizzazione vogliano restarvi
aggrappati perché giustificano il passato e sono fonte di orgoglio e
autostima. Tali assunti agiscono ora come filtri e rendono difficile, per i
manager in posizione chiave, comprendere strategie alternative per la
sopravvivenza e il rinnovamento (Donaldson, Lorsch, 1983).
Si possono introdurre consulenti esterni e identificare delle chiare alternative.
Ma non importa quanto il consulente cerchi di essere chiaro e
persuasivo, alcune delle sue proposte non saranno neppure comprese
se non si adattano alla vecchia cultura, e ad altre verrà opposta
resistenza, anche se sono comprese, perché creano troppa ansia da
sopravvivenza o colpa o perché non c’è un sufficiente livello di sicurezza
psicologica. Non importa quanta capacità di penetrazione abbia la massima
dirigenza, alcuni nuovi assunti non possono essere realizzati scendendo in
basso nella linea gerarchica dell’organizzazione, perché le persone
semplicemente non comprendono o non accettano quanto viene richiesto dalla
nuova strategia.
Come già citato in precedenza, un vivido esempio nella DEC era la sua
incapacità a sviluppare un prodotto in grado di competere efficacemente con i
PC. Tutta l’alta dirigenza riconosceva che la DEC doveva far parte del mercato
dei PC, ma tacitamente presumeva che il loro target fosse costituito da utenti
esperti; questo portò alla costruzione di tre versioni di PC, tutte troppo
sofisticate, troppo costose, e ancora troppo complicate da usare. Gli ingegneri
erano completamente radicati nei loro assunti tradizionali sulla natura dei
computer e del mercato, ed erano convinti di progettare un prodotto
veramente competitivo, perciò furono molto sorpresi quando tutte e tre le
versioni fecero fiasco.
In una situazione in cui la crescita ha rallentato e il declino è imminente, le
scelte fondamentali sono fra
1. la trasformazione rapida di parti della cultura per permettere
all’organizzazione di diventare ancora una volta adattabile attraverso un
qualche tipo di svolta, o
2. la distruzione dell’organizzazione e della sua cultura attraverso un processo
di totale riorganizzazione tramite fusioni, acquisizioni o ricorrendo al
fallimento.
In entrambi i casi, è probabile che siano necessari nuovi forti manager del
cambiamento o leader trasformativi per scongelare l’organizzazione e lanciare i
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programmi di cambiamento (Kotter, Heskett, 1992; Tichy, Devanna, 1986). In
entrambi i casi, quando i nuovi manager scoprono che l’obiettivo di
cambiare gli assunti culturali spesso si realizza più velocemente
sbarazzandosi delle persone portatrici dei vecchi assunti, il costo
umano è alto. A questo stadio, la trasformazione culturale può solo essere
raggiunta attraverso un drastico programma di cambiamento, che costituisce
l’argomento della prossima sezione.
Drastico cambio di cultura
Se il processo di cambiamento delineato precedentemente, “Il cambiamento di
cultura pianificato e guidato”, non produce i risultati aziendali di cui si ha
bisogno in termini di futuro stato ideale, i leader del cambiamento ricorrono a
misure più drastiche, fra cui la più comune è l’introduzione di un CEO esterno
che abbia un insieme di valori e assunti differente da quelli della presente
cultura. A questo scopo può servire un manager ibrido che appartenga
a una delle subculture. Il consiglio solitamente concede pieni poteri al CEO
affinché produca una grossa svolta - ed esplicitamente o implicitamente
stabilisce quanto tempo ha a disposizione per raggiungere migliori risultati
aziendali. La versione estrema di questo procésso è l’introduzione di un
manager conosciuto per le svolte (ad esempio, Al Dunlap), che promette di
riportare l’impresa alla salute economica prendendo immediatamente
qualunque misura sia necessaria. Versioni più controllate di questo processo
sono rappresentate dalla General Electric, che ha dato pieni poteri a Jack
Welch, dall’IBM, che ha introdotto Lou Gerstner, o dalla Kodak, che ha
selezionato George Fisher. A metà strada si colloca il caso della DEC, con
Robert Palmer, come vedremo in seguito.
Se il nuovo manager della svolta vede barriere insormontabili nella cultura
attuale, è inevitabile che, sotto la pressione del poco tempo a
disposizione, si verifichi un periodo di distruzione culturale. Molti
manager devono passare molto rapidamente a una nuova forma di pensiero e
comportamento, o vengono costretti a uscire dall’organizzazione. In qualche
caso (forse la GE è un buon esempio) un forte leader carismatico può produrre
il cambiamento all’interno dell’esistente quadro di esecutivi. Ma, come mostra il
caso seguente, spesso il quadro esistente si aggrappa alla vecchia cultura che
li ha portati al successo e pertanto deve essere rimpiazzato prima che il
problema aziendale cominci a essere risolto. Non bisogna quindi farsi
illusioni sulla possibilità di una grande trasformazione culturale senza
un massiccio costo umano. Per distruggere i vecchi assunti culturali,
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l’organizzazione deve convertire i portatori della vecchia cultura, o sbarazzarsi
di loro.
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Esempio: cambiamento culturale massiccio e distruzione
Per una varietà di ragioni durante gli anni Ottanta la DEC divenne lenta e
inefficiente. La competizione era più dura, gli spazi di mercato più ristretti e il
costo della struttura della DEC non era in linea con quello dei suoi concorrenti.
Furono tentati una serie di sforzi di riduzione del personale, ma,
secondo il giudizio del consiglio, non furono sufficienti per riportare la
DEC alla vitalità e a buoni profitti. La cultura era percepita come troppo
ugualitaria e il processo di decisione come troppo lento; le sottounità erano
diventate troppo potenti e non avevano intenzione di integrarsi intorno a
nessun tipo di strategia centrale; dilagavano i conflitti sugli obiettivi strategici e
sui mezzi da usare per realizzarli. La scelta di Robert Palmer come successore
di Ken Olsen sembrò motivata dalla volontà di introdurre qualcuno che
comprendesse la DEC, perché vi aveva trascorso parte della sua carriera, ma
che sarebbe stato molto più disciplinato nel suo approccio per risolvere i
problemi dell’impresa. Questo cambiamento è un esempio del prendere un
manager ibrido da una subcultura basata su assunti molto diversi, e
dargli l’incarico di creare una grossa svolta.
I maggiori cambiamenti introdotti da Palmer, nel corso di alcuni anni, furono la
centralizzazione delle decisioni, l’irrigidimento della disciplina, la
chiusura delle unità improduttive e, cosa più importante, il liberarsi della
maggior parte di coloro che sostenevano la vecchia cultura. Alcuni
furono licenziati, altri andarono in pensione, altri ancora se ne andarono perché
non potevano lavorare sotto il nuovo sistema. Tutti erano concordi nel dire che
la vecchia cultura della DEC veniva distrutta a favore di una gerarchia più
tradizionale, autocratica e disciplinata. Al loro posto Palmer introdusse un certo
numero di esterni con esperienze, abilità, e assunti di base sulla direzione di
un’organizzazione molto diversi. Il personale che rimase alla DEC
frequentemente lamentava la distruzione della vecchia cultura, e parecchi di
loro se ne andarono per dare vita a nuove aziende che avrebbero ripreso la
vecchia cultura. Per molti l’attaccamento alla vecchia cultura è così forte
da aver formato una “associazione di alumni” , con un bollettino di
informazioni per rimanere in contatto e riunioni regolari. Coloro che andarono
in altre aziende cercarono di istituire alcuni dei principi che, a loro parere,
avevano funzionato bene alla DEC. Paradossalmente, anche se all’interno della
DEC la cultura era largamente distrutta, quella stessa cultura, intesa come
insieme di concetti su come dirigere un’azienda, sopravviveva fra vari ex
dipendenti della DEC.
La cosa da notare in questo caso è che il cambiamento di cultura non poteva
essere realizzato se l’attuale gruppo di persone continuava a ricoprire incarichi
di alta dirigenza: erano troppo radicate nel vecchio modo di lavorare, in primo
luogo perché aveva portato al successo della DEC. Per stabilire un nuovo modo
di lavorare, Palmer dovette reclutare un altro gruppo di dirigenti. Non è chiaro
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se questo abbia creato una nuova cultura, o se semplicemente abbia fatto
imboccare alla DEC una strada di altre transizioni e altri cambiamenti, ma è
ovvio che la DEC fece profitti abbastanza buoni da diventare un bersaglio
attraente per la Compaq. Quali ulteriori cambiamenti nei modi di lavorare
questo porterà, rimane da vedere. Non è neppure chiaro se la cultura della
Compaq sia simile, in qualche aspetto, a quella della vecchia DEC o se, come
risultato dell’acquisizione, la cultura della DEC sarà ulteriormente erosa e
sostituita.
Lezioni
La principale lezione che si trae dall’esperienza della DEC è che non si
possono cambiare gli assunti culturali centrali senza rimuovere coloro
che li sostengono. La distruzione della cultura è un processo doloroso e
brutale in termini umani. È anche chiaro, vedendo il modo in cui gli ex
dipendenti della DEC si sono aggrappati ai valori culturali con cui erano
cresciuti, che la “cultura” non era stata distrutta nella testa della gente
ma solo nell’organizzazione della DEC in quanto tale.
La seconda lezione deriva dall’osservazione del fallimento delle svolte. Il nuovo
leader esterno deve arrivare a conoscere la vecchia cultura abbastanza da
comprendere cosa è necessario cambiare e quale tipo di resistenza incontrerà.
Gli esterni ibridi sono nella posizione migliore per comprendere questo. Come
ho detto nel caso della Jones Food (capitolo 5), quando crisi serie seguirono la
morte del fondatore e il pensionamento del suo luogotenente, l’impresa cercò
di introdurre forti manager esterni; ma la cultura di questa impresa di famiglia
era così forte che i primi tre fallirono. Solo quando la famiglia riportò una
persona che era stata nella Jones Food in precedenza e che era stata
richiamata dopo un periodo di successo indipendente, trovarono qualcuno in
grado di guidare il necessario cambiamento di cultura.
La storia della Apple è in qualche modo simile, nel senso che John Sculley e poi
Gilbert Amelio non erano evidentemente in grado di determinare i cambiamenti
di cui l’azienda aveva bisogno, così il consiglio ritornò a Steve Jobs - che
chiaramente comprendeva la cultura, essendone stato uno degli artefici e dei
fondatori. Il successo di Welch alla GE è indubbiamente legato al suo essere
cresciuto nell’azienda, e il successo di Gerstner alla IBM è probabilmente in
relazione al fatto che reintrodusse alcuni dei valori di marketing che erano stati
così duramente erosi.
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Implicazioni pratiche
Il livello di trasformazione in svolte di questo tipo ha una logica organizzativa e finanziaria tutta
sua. Non è verosimile avere una grossa influenza sulle dinamiche dal punto di vista del
cambiamento pianificato. Se l’organizzazione si ritrova con problemi tali da ricercare una
leadership esterna, si deve preventivare un periodo di dolorosa sofferenza umana. Come nella
svolta della Ciba-Geigy, si presti particolare attenzione al morale e alle motivazioni di chi
sopravvive.
Conclusioni
Questo capitolo ha evidenziato gli aspetti più problematici della trasformazione
organizzativa e del cambiamento culturale. Ci siamo concentrati sulle
organizzazioni mature, in cui il mutamento non è un’evoluzione o un nuovo
apprendere, ma, prima e soprattutto, disimparare e incontrare una prevedibile
resistenza al cambiamento. La gente non si aggrappa così tenacemente
alla cultura nelle organizzazioni mature come accade invece in quelle
giovani e in crescita, ma l’impresa matura è più difficile da cambiare perché
la cultura è più radicata nelle sue strutture e nella sua routine. Se è presente
un livello di disconferma sufficiente e la leadership esecutiva decide che sono
necessari importanti cambiamenti nel funzionamento dell’organizzazione, può
essere lanciato un processo di cambiamento pianificato e guidato. Tale
processo richiede la creazione di un’équipe del cambiamento che assuma il
compito di comitato direttivo e diventi, per un certo periodo, un sistema
parallelo per ottenere una visione più oggettiva della cultura.
Il comitato direttivo non è solo lo spazio in cui la nuova forma di pensiero e
comportamento può essere concettualizzata ma anche il luogo in cui la vecchia
cultura può essere valutata per analizzare dove risulta un aiuto o un ostacolo
per i cambiamenti necessari nei processi aziendali. Il reale programma di
cambiamento che viene lanciato riflette la particolare cultura
dell’organizzazione che lo mette in atto. Deve essere coerente con il modello
generale di cambiamento presentato nel capitolo 6, ma i dettagli su come
questo avviene dipendono dai particolari della cultura di quella organizzazione.
I casi dell’Alpha Power e della Ciba-Geigy sono esempi di due programmi di
cambiamento guidati.
Se molti elementi della cultura non sono funzionali il management esecutivo
può decidere un drastico programma di cambiamento che comporta un
manager della svolta, introdotto dall’esterno, come nuovo CEO. Ma questo è
rischioso se lui non comprende la cultura presente. Ci sono maggiori possibilità
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di successo se il nuovo CEO è un manager ibrido che ha qualche conoscenza
della cultura attuale perché ne ha fatto parte in precedenza o perché ne era in
qualche modo associato. Se il CEO è dotato di carisma, può essere in grado di
convertire molti degli attuali manager dell’organizzazione. Più probabilmente, il
nuovo CEO deve liberarsi dei maggiori sostenitori della cultura e rimpiazzarli
con nuove persone i cui assunti si adattino meglio alla realtà corrente
affrontata dall’organizzazione. La DEC rappresenta questo scenario.
Come osservazione finale, vorrei far notare che sia i cambiamenti pianificati
sia le svolte sono probabilmente dolorosi, implicano la rimozione di molte
persone, ci vogliono molti anni prima che siano realizzati e stabiliscono solo
un nuovo modo di pensare e lavorare il cui successo finale non è
ancora garantito. Se hanno successo, sono state gettate le basi per gli inizi
di una nuova cultura, ma solo con successi ripetuti i nuovi modi di pensare e
lavorare si trasformano effettivamente in una nuova cultura.
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8. Quando le culture si incontrano: Acquisizioni, fusioni, joint
venture e altre organizzazioni mescolate
Le culture si incontrano ogni volta che ha luogo una fusione fra due imprese,
quando una ne acquisisce un’altra, o quando due aziende si impegnano in una
joint venture. Una fusione tenta di fondere due culture, senza che
necessariamente l’una o l’altra venga considerata dominante. Nelle
acquisizioni, l’organizzazione acquisita diventa una subcultura nella più vasta
cultura dell’impresa acquisitrice. Nelle joint venture la nuova
organizzazione deve ricominciare da capo e riunificare le due culture.
In ogni caso, il problema della mescolanza o dell’assimilazione è costituito dal
fatto che il complesso della nuova unità non ha una storia condivisa,
così una o l’altra delle due subunità si sente inferiore, impaurita, arrabbiata e
sulla difensiva (Buono, Bowditch, 1989; Centre for Organization Studies, 1990;
McManus, Hergert, 1988).
Di solito, a guidare questo processo sono le più evidenti caratteristiche
dell’organizzazione - come tecnologie condivise o compatibili, obiettivi
commerciali compatibili, compatibiità finanziaria, mercati comuni e sinergia di
prodotti. Si trascura troppo spesso, fino a che non è troppo tardi, il fatto che le
due organizzazioni usano mezzi molto diversi per raggiungere i loro
obiettivi, e i rispettivi assunti di base sull’azienda e sui processi umani
possono essere fra loro in conflitto. Raramente vengono controllati quegli
aspetti che si potrebbero considerare come “culturali”: la filosofia o lo
stile dell’impresa, le origini tecnologiche, che possono fornire una chiave di
lettura sugli assunti di base; le convinzioni sulla propria missione e sul proprio
futuro. E tuttavia una differenza culturale in un’acquisizione, in una fusione o in
una joint venture è un rischio grande quanto una differenza finanziaria,
produttiva o di mercato.
Alcuni esempi concreti chiariranno queste affermazioni. Alcuni anni fa la
Generai Food (GF) comprò la Burgerchef, una catena di successo di fast-food.
Nonostante dieci anni di sforzi concertati, i due partner non riuscirono a
ricavare profitti dall’acquisizione. Per prima cosa, la GF non si aspettava che
molti dei migliori manager della Burgerchef se ne sarebbero andati
perché non gradivano la filosofia del management della GF. Poi, la GF,
invece di assumere nuovi manager con esperienza nel campo dei fast-food,
assegnò la direzione della nuova azienda ad alcuni dei suoi stessi
manager. Questo fu il secondo errore, perché questi manager non
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comprendevano la tecnologia del fast-food, ed erano quindi incapaci di usare
molte delle tecniche di marketing che avevano funzionato molto bene alla GF.
Come terza cosa, la GF impose alla Burgerchef molti dei sistemi di
controllo e delle procedure che nell’arco della sua storia le erano stati utili,
ma non comprese che questo avrebbe fatto lievitare eccessivamente i costi
operativi della catena. I manager della GF non capirono mai completamente le
operazioni in franchising e quindi non poterono afferrare di cosa ci sarebbe
stato bisogno per gestire in maniera positiva un’azienda di quel tipo. Alla fine
la GF vendette la Burgerchef, dopo avervi perso milioni di dollari nell’arco di un
decennio. Con il senno di poi, si può dire che era chiaro che la GF non aveva
mai capito che un’azienda come il fast-food crea un tipo di cultura totalmente
differente da quella che si crea in un’azienda di cibo in scatola.
La mancata comprensione dei rischi culturali insiti nel comprare un’azienda in
franchising emerge ancora più chiaramente in un altro caso. La United Fruit,
all’epoca un’impresa conservatrice, tradizionale e moralistica, il cui
management andava orgoglioso dei suoi alti standard etici, comprò una catena
di ristoranti fast-food che erano dati localmente in franchising in tutto il paese.
I manager dell’impresa scoprirono, con loro grande pena, che uno dei più
grandi di questi ristoranti, e il motel a esso associato, era un bordello. Le
attività della città erano così ben integrate intorno al ristorante/motel che
l’alternativa di chiuderlo poneva il rischio di attirare sulla United Fruit proprio
quel tipo di attenzione che l’impresa voleva a ogni costo evitare.
I manager si chiesero, a posteriori, “Avremmo dovuto conoscere le implicazioni
della nostra acquisizione a questo livello non molto ovvio? Avremmo dovuto
capire meglio il nostro sistema di valori per assicurare la compatibiità?”.
Un terzo esempio, che sottolinea lo scontro fra due insiemi di assunti
sull’autorità, è il caso delle due imprese di prima generazione nel campo
dell’high tech che abbiamo visto nel primo capitolo e che abbiamo chiamato
azienda A e azienda B. L’azienda A, diretta da un fondatore la cui forte
convinzione era che si ottiene il successo se si stimolano l’iniziativa e
l’uguaglianza, fu acquistata dall’azienda B, di retta da un imprenditore molto
autocratico che formava i suoi dipendenti alla disciplina e alla formalità.
L’impresa acquisitrice desiderava far proprio e aveva bisogno del talento
manageriale di quella acquisita, ma nel giro di un anno la maggior parte dei
migliori manager dell’azienda A se ne era andata perché non riusciva ad
adattarsi allo stile formale e autocratico dell’azienda B. L’imprenditore
autocratico non poté capire perché questo accadeva e non mostrò alcuna
sensibilità verso le differenze culturali delle due realtà.
Ciò che è sorprendente in questi casi è la mancanza di comprensione,
dimostrata dall’azienda acquisitrice, della sua stessa cultura
organizzativa, dei suoi assunti inconsci e del modo in cui si dovrebbe
gestire un’impresa. Se si osservano alcune grandi fusioni avvenute di
recente (come quelle fra Citicorp e Travelers, AMOCO e British Petroleum,
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E. Schein "Culture d'impresa”
Chrysler e Daimler Benz, NYNEX e Bell Atlantic) ci si può solo chiedere come
questi giganti integreranno non solo le loro aziende ma anche le loro culture.
Le storie di queste imprese suggeriscono che fra loro esistono differenze
culturali sostanziali.
Le joint venture che stanno fiorendo in tutte le parti del mondo
implicano non solo differenti culture aziendali, ma anche differenti
culture nazionali. Quando due culture si incontrano, il problema
fondamentale è che più di una cultura deve essere allineata, riconciliata, fusa o
assorbita. Nel primo capitolo ho sottolineato che ci sono solo tre possibilità
logiche e distinte: le culture possono rimanere indipendenti l’una dall’altra
e coesistere; una cultura può gradualmente dominare e alla fine assorbire
l’altra; le due culture possono mescolarsi in una nuova cultura che le
comprende entrambe. Quando si legge di fusioni, acquisizioni e joint venture,
di solito c’è molta retorica sul benchmarking delle culture e sulla volontà di
prendere il meglio da entrambe (alternativa tre). Ma a questo risultato si
giunge raramente, perché di solito nessuno dei partner considera la cultura
così seria mente da comprendere veramente dove sono le sinergie e come
trarre da esse vantaggio. La cultura viene riconosciuta come un problema, ma
raramente la si analizza o la si valuta a sufficienza per localizzare realmente
sinergie o conflitti.
Salk (1992) ha fatto delle osservazioni dettagliate su tre joint venture in cui i
partner provenivano da paesi differenti: una joint venture italo - canadese con
base in Europa, una franco - tedesca con base in Francia, e una tedesco americana con base negli Stati Uniti. I problemi culturali si svilupparono in tre
modi distinti. Nel primo caso, l’impresa canadese dichiarava l’uguaglianza
culturale, ma per “ragioni pratiche” il luogo fisico era vicino alla sede europea
dei canadesi, il che portò all’adozione di molte procedure sulla base di quello
che stava facendo la sede. Le prime interazioni portarono a reciproci stereotipi
negativi, che ancora dominavano i rapporti tre anni più tardi. Ai canadesi
piaceva scrivere le cose e fare richieste scritte. Gli italiani percepivano le cose
scritte come scarsamente importanti, e se si doveva fare qualcosa lo si doveva
chiedere di persona; pertanto avevano la tendenza a ignorare le comunicazioni
scritte, il che portò i canadesi a concludere che gli italiani erano privi di
motivazione e di volontà di cooperazione. L’impresa italiana funzionava in
termini di relazioni e influenza personali; i canadesi accordavano la loro
preferenza a ruoli formali, a procedure e descrizioni di lavoro. Questo fece sì
che gli italiani considerassero i canadesi terribilmente legati alla burocrazia.
Il punto significativo è che ciascuna parte si sentiva inadeguata a esprimere
apertamente i propri sentimenti. In qualche modo a questo livello la
cultura divenne un qualcosa di impossibile da discutere, perché farlo
avrebbe comportato il rischio di perdere la faccia. Così il gruppo continuò
a vivere con i propri stereotipi, a mugugnare silenziosamente nelle interviste
con il ricercatore, ma non fece nulla per correggere la situazione. Fino a questo
punto i risultati dell’impresa non hanno creato pressioni su problema, grazie a
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un favorevole clima aziendale, ma se questo dovesse cambiare,
l’organizzazione dovrà arrivare a un confronto più diretto sulle differenze
culturali esistenti.
Nella joint venture franco - tedesca, la tendenza della dominazione culturale è
sempre più determinata dal reale rapporto fra manager francesi e tedeschi e
dalla sede dell’azienda. In questo caso i tedeschi sembrano adattarsi allo stile
francese perché la sede della joint venture è in Francia.
Nel caso americano - tedesco la situazione è più complicata. Ciascun partner
decise di fornire una formazione cross-culturale sull’altra cultura, e i due
partner stabilirono di destinare una parte del bilancio a un’esperienza fuori
sede della durata di una settimana per aiutare l’unione dei due team. Ma
questa formazione iniziale creò forti stereotipi e la formazione
congiunta dovette essere cancellata per ragioni di tempo e denaro. Le
prime interazioni furono dominate dagli stereotipi che erano stati imparati.
Questo si palesò, ad esempio, nello stabilire gli obiettivi della produzione. I
tedeschi presumevano che i numeri degli americani fossero sempre gonfiati,
perché “gli americani si aspettano sempre che i dirigenti superiori
ridimensionino obiettivi e budget”. D’altra parte gli americani erano stati
avvertiti che i tedeschi erano sempre troppo conservatori [Nota di PM: o
meglio, secondo me, “prudenti riguardo alle stime di budget”]. Ciascuna parte
cercò di fornire numeri accurati e precisi, ma non si fidava per nulla dei numeri
forniti dall’altro gruppo. Anche in questo caso, non furono in grado di esporre
apertamente il problema per paura di offendere l’altro partner. Così ciascun
gruppo si lamentava con il ricercatore, ma sosteneva di non poter esprimere
questi sentimenti in un incontro.
In quest’ultimo caso, a seguito di una crisi aziendale, alla fine si arrivò a una
qualche mescolanza culturale. La produzione era molto al di sotto delle stime
fatte da ciascun gruppo, c’erano inaspettati problemi con gli operai e la parte
americana, quando emersero tali problemi, procedette a cambiare i manager
strategici. Per risolvere la situazione, i due gruppi nazionali alla fine si
trovarono insieme come un gruppo singolo per scegliere le procedure in base
agli assunti culturali che meglio si adattavano alla risoluzione dei nuovi
problemi esterni. Per i problemi dell’area operaia, i tedeschi si affidarono di più
agli americani, ma nel settore tecnico accadde il contrario; a poco a poco si
creò un nuovo modo di lavorare attraverso l’acquisizione di alcuni assunti
derivanti da entrambi i partner.
Salk sottolinea il fatto che, sebbene queste joint venture fossero internazionali,
un altro fattore decisivo che determinò i risultati fu la specifica politica
delle imprese divenute partner per ciò che riguarda l’avanzamento di
carriera. Se il percorso di carriera era ancora visto come collocato all’interno
della casa madre, era molto più difficile per i due partner costituire una
squadra. Questa situazione risultava particolarmente problematica nel caso
italiano dal momento che quei manager avevano un incentivo molto più alto a
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mantenere delle buone relazioni con la casa madre piuttosto che a imparare ad
andare d’accordo con i canadesi. Quello che inizialmente Salk aveva definito
uno studio attraverso i confini culturali nazionali risultò essere uno studio sulle
culture aziendali e sulle loro politiche di avanzamento di carriera.
Perché non effettuare una valutazione culturale prima di procedere?
Una valutazione culturale seria, secondo quanto descritto nel capitolo
4, non è solitamente possibile perché i negoziati che conducono alla
fusione o alla joint venture devono essere mantenuti segreti. Ma questo
crea il pericolo di arrivare alla scoperta di importanti differenze solo dopo che
le parti si sono impegnate nella nuova organizzazione. Si ricordi l’acquisizione
della Airwick da parte della Ciba-Geigy e la conseguente rivelazione
dell’impossibilità di sopportare l’associazione con i prodotti e i processi della
Airwick - anche se questa produceva profitto.
Comunque, una volta che la fusione o la joint venture è stata resa pubblica, è
sensato procedere e impegnarsi in una tale valutazione formale. Le due
organizzazioni possono creare una serie di task force con pari numero di
partecipanti provenienti da ogni unità culturale. Queste task force possono
quindi valutare gli artefatti, i valori dichiarati e gli assunti taciti condivisi nelle
principali aree della missione, degli obiettivi, dei mezzi, della valutazione, dei
meccanismi di correzione, della lingua, dei confini del gruppo e dei sistemi di
status e premi. Di fatto, si dovrebbe procedere a una tale valutazione
all’interno di un’organizzazione che sta pensando a un’acquisizione, a
una fusione o a una joint venture come parte della sua preparazione per tali
attività. L’organizzazione dovrebbe sapere il più possibile sulla propria cultura.
Implicazioni pratiche
Autovalutazione: Se l’organizzazione sta progettando o realizzando una fusione, un’acquisizione o
una joint venture, si cominci un processo di autovalutazione il prima possibile. Ci si chieda
soprattutto quali sono i nuclei degli assunti condivisi e dei valori su cui non si intende scendere a
compromessi; si usi la comprensione di questi dati come un mezzo diagnostico nella ricerca di
potenziali partner. Si costituisca un’organizzazione fantoccio con la quale fondersi per fornire una
ragione aziendale per l’autovalutazione culturale.
Valutazione cross-culturale: Si crei un insieme di task force, metà proveniente da una cultura e
metà dall’altra, e gli si assegnino varie aree di contenuto della cultura. Si usi la tabella 3.1 come
guida. Si faccia in modo che i membri della task force visitino le reciproche organizzazioni così da
sviluppare sentimenti di prima mano sull’altra cultura.
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Le trappole della cultura (l’illusione di comprendere la cultura altrui)
Quando gli elementi esterni, come i prodotti e i mercati, funzionano bene, c’è
la tentazione di presumere che persone dotate di buona volontà cercheranno di
comprendersi a vicenda e provvederanno agli aggiustamenti necessari per
poter lavorare insieme. Per mostrare buona volontà, si tende a esagerare
il livello di comprensione reciproca.
Una ragione per cui si esagera il livello di comprensione reciproca è
per evitare la fatica che deriva dall’essere “estranei”. Se si chiede a una
persona di lavorare con qualcuno che proviene da un’altra organizzazione e con
cui non ha mai lavorato, è faticoso rendersi conto di dover stabilire la propria
identità dall’inizio. Lo è meno se si presume che si è sostanzialmente simili e si
procede da questo punto.
Solo più tardi si potrebbero improvvisamente scoprire grandi differenze nel
modo in cui si lavora. A questo punto è però di solito sorta una seconda
trappola: la necessità di aggrapparsi e giustificare il proprio modo di fare.
Improvvisamente il proprio modo di fare sembra avere completamente senso e
sembra impossibile capire perché “gli altri” vogliono agire in modo diverso. A
questo punto è probabile arrivare a un livello di convinzione tale che riduce gli
altri a degli stereotipi che non hanno senso se non sono d’accordo.
Da questo si origina la terza trappola nella comunicazione cross culturale: i
nostri disaccordi e i nostri stereotipi sono loro stessi indiscutibili. Non
c’è modo di fare marcia indietro ed esaminare gli assunti senza rischiare di
offendere l’altra persona o avvilirsi.
Nel resto di questo capitolo, tratterò tutte queste forme di trappole
interculturali come se avessero tutte sostanzialmente le stesse
caratteristiche, anche se, ovviamente, i dettagli sulle modalità di risoluzione
sono altamente specifici. Ma da un punto di vista culturale, ci sono solo alcuni
punti di base che devono essere ricordati, ed è su questi che io mi concentro.
La chiave per la comprensione cross - culturale è il dialogo.
La necessità del dialogo ai confini culturali
Se la cultura viene considerata seriamente, si comprenderà che due culture
che cercano di incontrarsi in maniera costruttiva devono andare oltre il tipo di
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valutazione che è stata descritta fin qui, perché non sanno neppure se stanno
attribuendo gli stessi significati agli stessi concetti che apparentemente
condividono. Il significato che la Ciba-Geigy attribuiva ai prodotti della Airwick
non avrebbe potuto essere previsto. La General Food non avrebbe potuto
ottenere alcuna comprensione su cosa è necessario per la gestione di una
catena di fast-food attraverso una valutazione culturale formale. Per arrivare
a ottenere la comprensione culturale a questo livello bisogna che
ciascuna parte partecipi alla cultura dell’altra, mandando concretamente
dei dipendenti presso l’altra organizzazione per un certo periodo di tempo, o
creando un dialogo fra i membri delle due culture tale da permettere
l’emergere degli assunti differenti. Presumendo che lo scambio dei
dipendenti non sia un metodo pratico, mi concentrerò su come creare tali
dialoghi.
Il dialogo è una forma di conversazione che consente ai partecipanti di
rilassarsi quanto basta per cominciare a esaminare gli assunti che
stanno alla base dei loro processi di pensiero (Isaacs, 1993, 1999;
Schein, 1993). Invece di cercare di risolvere il problema velocemente, il
processo dialogico cerca di rallentare la conversazione per permettere ai
partecipanti di riflettere su cosa esce dalle loro labbra e di ascoltare quanto
esce dalle labbra altrui. La chiave per iniziare una conversazione dialogica è la
creazione di un ambiente in cui i partecipanti si sentono sicuri, così che
l’esigenza di vincere la discussione sia sospesa, così come lo sia la
necessità di chiarire ogni cosa che viene detta o di mettersi reciprocamente
alla prova ogni volta che si è in disaccordo. Il dialogo è piuttosto una
“chiacchierata intorno al fuoco” di basso profilo, che concede abbastanza
tempo per la conversazione riflessiva e la incoraggia. Ma il suo scopo non è
solo quello di avere una tranquilla, riflessiva conversazione, ma piuttosto di
vedere dove differiscono i più profondi livelli di pensiero e gli assunti
taciti.
Introdurre il dialogo nelle valutazioni cross-culturali
Se una joint venture, una partnership, una fusione o un’acquisizione sono al
punto in cui possono diventare di pubblico dominio, chi sta pianificando tali
operazioni dovrebbe creare dei dialoghi che si concentrino sui principali
elementi della strategia, degli obiettivi e dei mezzi da usare nella nuova
organizzazione.
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Dal punto di vista operativo questo significa:
Creare una serie di task force i cui membri provengono da entrambe le
culture
Chiedere ai nuovi gruppi interculturali di esplorare le principali modalità di
lavoro di ogni organizzazione
Addestrare ogni task force all’uso del dialogo come principale
veicolo per la conversazione.
L’assunto di base è che il normale processo di valutazione a cui si è fatto
riferimento in precedenza - il semplice confronto di artefatti e valori dichiarati
riguardo ai vari processi aziendali - non rivela abbastanza sugli assunti di base
taciti e condivisi, anche se tale confronto può costituire un buon inizio di
dialogo. Quando le differenze, per quanto concerne strutture e procedure, sono
state identificate, il cruciale passo successivo è l’esplorazione riflessiva degli
assunti di base che creano le differenze manifeste. La chiave per questo
processo riflessivo è l’esame, per prima cosa, dei propri assunti; solo quando
questi sono stati a grandi linee compresi si può provare ad apprezzare gli
assunti degli altri. Perché questo riesca, tutte le parti coinvolte nel dialogo
devono avere la volontà di sospendere l’impulso a essere in disaccordo, a
mettersi alla prova, a chiarire e a elaborare. Rallentando la conversazione,
si impara ad ascoltare i più profondi livelli del proprio discorso e a rendersi
conto di quanto le percezioni, i pensieri e i sentimenti siano basati su assunti
che si sono appresi. Si comincia a sperimentare la propria cultura, vale a dire il
livello in cui le identificazioni nel gruppo e il background caratterizzano i
processi mentali. Quando si scopre questo in se stessi, si è più pronti ad
ascoltarlo e accettarlo negli altri.
Implicazioni pratiche
Se si sta cercando di ottenere una reciproca comprensione fra due culture, si deve creare una
forma di conversazione di tipo dialogico. Si può agire come facilitatori, o, se si introduce un
facilitatore, si può organizzare l’ambiente:
1. Selezionare dalle dieci alle venti persone in rappresentanza paritaria delle due culture
2. Far sedere tutti in cerchio, o in una forma il più possibile vicina al cerchio
3. Spiegare lo scopo del dialogo: “Essere in grado di ascoltare più riflessivamente se stessi e gli
altri per avere una prima idea sulle somiglianze e sulle differenze fra le due culture”
4. Cominciare la conversazione facendo presentare i partecipanti, che dovranno dire chi sono e
quali obiettivi si pongono per il meeting
5. Dopo che tutti si sono presentati, il facilitatore dovrebbe fare una domanda molto generale del
tipo “Come è stato entrare in questa impresa?”. Tutti dovrebbero, a turno, rispondere alla
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domanda per la propria impresa, con la regola base che non ci devono essere interruzioni o
domande fino a che ciascuno non ha fornito la risposta
6. Incoraggiare una conversazione aperta su quanto si è appena sentito, senza il limite di
procedere secondo un ordine o di trattenere domande e commenti
7. Se il soggetto si esaurisce o il gruppo perde energia, introdurre un’altra domanda, ad esempio:
“Nell’organizzazione, come vengono prese le decisioni?”. Di nuovo, tutti dovranno dare una
risposta a turno prima di far cominciare la conversazione generale
8. Lasciare che le differenze emergano in maniera naturale; non cercare di fare affermazioni
generali, perché lo scopo è la comprensione reciproca, non necessariamente una descrizione
chiara.
9. Dopo un paio d’ore, chiedere al gruppo di fare un sondaggio chiedendo a ogni persona di
condividere con gli altri un paio di cose che ha compreso sulla cultura propria o altrui;
questo può essere messo per iscritto
10.A seconda del tempo a disposizione, continuare il processo o pianificare un altro incontro o
procedere nello stesso modo con un altro gruppo.
Conclusioni
Le dinamiche culturali coinvolte nelle fusioni, nelle acquisizioni e nelle joint
venture sono fondamentalmente diverse dall’evoluzione culturale e dalle
dinamiche di cambiamento che abbiamo affrontato fin qui, perché ora si
incontrano culture mature. Idealmente si cerca la mescolanza, attraverso cui la
nuova organizzazione prende gli elementi più funzionali di ciascuna cultura. Ma
questo presume la capacità di decifrare le culture, il che è raramente presente,
se non molto tempo dopo la formazione della nuova organizzazione. Infatti,
quando avviene l’incontro fra culture mature, i membri di entrambe sono
intrappolati nell’illusione di comprendersi meglio di quanto in realtà
accada, e sono coinvolti dalla necessità di salvare la faccia o di non mettere in
discussione l’altro in maniera troppo severa.
Nel preparare una nuova organizzazione, è essenziale che quanto meno i
membri di ciascuna organizzazione abbiano una grandissima comprensione
della propria cultura. Un utile esercizio per ogni organizzazione che stia
pensando a una fusione o a una joint venture è organizzare un’ipotetica altra
organizzazione e farne una valutazione culturale. Quindi, quando si arriva alla
realtà, se non altro si ha una certa conoscenza della propria cultura.
Una volta che la nuova organizzazione sta per formarsi, se deve sorgere la
comprensione culturale, è essenziale creare gruppi di dialogo per esplorare i
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reciproci assunti condivisi. Solo creando dialoghi riflessivi è possibile superare
l’inevitabile posizione di difesa e l’illusione di somiglianza.
Dopo che l’operazione di unione è iniziata, si costruisce gradualmente una
nuova cultura poiché la nuova organizzazione che ne deriva affronta nuovi
compiti e impara come affrontarli. Per velocizzare l’apprendimento culturale si
dovrebbero creare compiti comuni sin dall’inizio della vita del nuovo gruppo.
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9. Realtà culturali per un serio leader di cultura
Se si è seri riguardo al guidare la cultura nella propria organizzazione, il
problema più grande che si affronta è quello di non apprezzare pienamente la
profondità e la forza della cultura.
In circa quarant’anni di attività come consulente in questo campo, ho visto più
e più volte quanto le semplificazioni siano ricercate. Quando si presenta
qualcuno e offre un modo più semplice per valutare e guidare la cultura, si
accetta al volo, solo per scoprire più tardi che si stanno affrontando fenomeni
superficiali, non legati a reali temi culturali. La cultura è profonda, estensiva e
stabile, non può essere presa alla leggera. Se non la si dirige, si è diretti da
essa e può anche mancare la consapevolezza del livello a cui ciò accade.
Questo capitolo cerca di considerare seriamente la cultura. Non prometto
semplificazioni o interventi facili; non prometto che si sarà in grado di creare e
cambiare la cultura secondo i nostri desideri. Prometto una dose di obiettività,
che spero verrà considerata seriamente così che qualunque programma di
gestione della cultura si intraprenda, si affronteranno realisticamente le forze
culturali. Le realtà che sottolineo riflettono più o meno i capitoli del libro, ma
da essi si astraggono e li rendono più chiari. Ho scelto di enunciare queste
realtà come principi e di elaborare la logica che vi sta alle spalle, quando
appropriato.
Realtà su cosa è la cultura
La cultura è costituita dagli assunti taciti condivisi di un gruppo che ha
imparato ad affrontare compiti esterni e a trattare le relazioni interne.
Sebbene la cultura si renda esplicita attraverso comportamenti manifesti,
rituali, artefatti, clima e valori dichiarati, la sua essenza è data dagli
assunti taciti condivisi. Come leader responsabile, si deve essere
consapevoli di questi assunti e dirigerli, o si verrà diretti da essi.
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A meno che l’organizzazione non sia un nuovissimo insieme di persone
provenienti da altre organizzazioni, esiste una cultura formata che influenza
ogni comportamento e ogni modo di pensare.
Se l’organizzazione è costituita da un nuovo gruppo, senza precedenti
esperienze condivise, allora tutti i membri porteranno le loro esperienze
antecedenti nella nuova situazione e cercheranno di imporle su di essa.
Il modo più rapido per creare una nuova cultura in una situazione di
questo tipo è offrire alle persone un compito comune di primario
interesse, così che insieme possano costruire un nuovo insieme di
assunti.
La forza e la profondità della cultura di un’organizzazione riflette (1) la
forza e la chiarezza del fondatore dell’organizzazione, (2) la quantità e
l’intensità dell’esperienza condivisa che i membri dell’organizzazione hanno
avuto insieme, (3) il grado di successo riscosso dall’organizzazione.
La cultura è pertanto il prodotto dell’apprendimento sociale. Modi di
pensare e comportamento che sono condivisi e che funzionano divengono
elementi della cultura.
Non si può pertanto creare una nuova cultura. Si può richiedere o
stimolare un nuovo modo di lavorare e pensare; lo si può controllare per
essere sicuri che sia fatto; ma i membri dell’organizzazione non lo
interiorizzano e non lo rendono parte della nuova cultura a meno che, nel
tempo, non funzioni realmente meglio.
La cultura di una data organizzazione è “giusta” a patto che
l’organizzazione abbia conseguito il successo nel suo compito
primario. Se l’organizzazione comincia a conoscere dei fallimenti, questo
implica che gli elementi della cultura hanno cominciato a non essere più
funzionali e si devono attuare dei cambiamenti. Ma il criterio di una cultura
giusta è quello pragmatico che rende possibile all’organizzazione avere
successo nel suo compito primario.
Quando le condizioni interne ed esterne di un’organizzazione cambiano, cambia
pure la funzionalità, o correttezza, degli assunti culturali dati. La cultura evolve
insieme alle fluide circostanze dell’organizzazione.
Gli elementi essenziali di una cultura sono invisibili. Sono dati per
scontati e non si trovano più a livello di consapevolezza, ma a tale
livello possono essere riportati.
La mancata comprensione di una cultura e il non considerarla seriamente
possono avere conseguenze disastrose per un’organizzazione.
La comprensione superficiale della cultura può essere pericolosa tanto quanto
la totale mancanza di comprensione.
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Realtà su cosa comprende la cultura
Una volta che le organizzazioni hanno una cultura, gli assunti taciti condivisi
che la formano influenzano tutti gli aspetti del funzionamento organizzativo.
Missione, strategia, mezzi usati, sistemi di valutazione, sistemi di correzione,
lingua, norme del gruppo sull’inclusione e l’esclusione; sistemi di status e
premi, concetti di tempo e spazio, lavoro e natura umana, tutti sono riflessi
nella cultura. La cultura influenza compiti e struttura, non può essere separata
e considerata un elemento indipendente.
È particolarmente importante comprendere che missione, strategia e
struttura sono tutte caratterizzate da assunti culturali. Se si cerca
obiettività in questi campi, si deve cercare un esterno che aiuti a identificare i
pregiudizi della cultura.
Realtà sul decifrare la cultura
Non si può usare un sondaggio per valutare la cultura. Nessun sondaggio
contiene domande sufficienti a coprire tutte le aree rilevanti. I singoli
dipendenti non sanno come rispondere a molte delle domande. Anche se
forniscono dati, non si sa quali elementi salienti della cultura sono relativi a
qualche problema che si potrebbe cercare di risolvere.
La cultura è un fenomeno di gruppo, è costituita da assunti taciti
condivisi e, pertanto, il miglior modo di valutarla è riunire insieme dei
gruppi, parlare dell’organizzazione in maniera strutturata così da arrivare a
parlare degli assunti taciti.
Si possono decifrare i propri pregiudizi culturali se ci si rende parzialmente
marginali rispetto alla propria cultura. “Si viaggi” verso altre organizzazioni
(verso la loro cultura), e si lavori con consulenti e colleghi provenienti da altre
organizzazioni per riflettere sui propri assunti taciti e dati per scontati.
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Realtà sui meccanismi del cambiamento trasformativo
Ogni cambiamento culturale è trasformativo perché si deve disimparare
qualcosa prima di poter imparare qualcosa di nuovo. È il processo del
disimparare che è faticoso e crea resistenza al cambiamento.
La motivazione per disimparare e imparare qualcosa di nuovo deriva dal
rendersi conto che, se si continua nel modo attuale, non si raggiungeranno i
propri obiettivi; si sperimenterà “l’ansia da sopravvivenza”.
Ma il rendersi conto delle implicazioni legate all’apprendere qualcosa di nuovo
provoca “ansia da apprendimento” perché si può diventare temporaneamente
incompetenti e perdere l’appartenenza a un gruppo.
Affinché il cambiamento abbia luogo, l’ansia da sopravvivenza deve essere
maggiore di quella da apprendimento. A questo si giunge in modo più
efficace se si abbassa il livello dell’ansia da apprendimento, creando
sicurezza psicologica per chi deve imparare.
Se si ricopre il ruolo di agente di cambiamento, la chiave per dirigere il
cambiamento trasformativo è equilibrare l’ansia da sopravvivenza con la
sicurezza psicologica in modo tale da superare la resistenza al
cambiamento.
Realtà sul cambiare la cultura
La cultura si evolve e cambia attraverso parecchi meccanismi diversi che
possono essere influenzati a vario livello:
1. Evoluzione generale attraverso l’adattamento all’ambiente
2. Evoluzione specifica dei sottogruppi al loro ambiente specifico
3. Evoluzione guidata che deriva dalla “comprensione” culturale da parte dei
leader
4. Evoluzione guidata favorendo l’empowerment degli ibridi selezionati dalle
subculture che meglio si sono adattati alle realtà attuali
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5. Cambiamenti di cultura pianificati e guidati attraverso la creazione di sistemi
paralleli di comitati direttivi e task force orientati al progetto
6. Distruzione totale o parziale attraverso una nuova leadership che elimina i
sostenitori della precedente cultura (svolte, bancarotte ecc.).
Non si deve mai partire dall’idea di voler cambiare la cultura, ma dai
problemi che l’organizzazione affronta; solo quando i problemi aziendali
sono chiari ci si dovrebbe chiedere se la cultura ne aiuta o ne ostacola la
risoluzione.
Si deve sempre inizialmente pensare alla cultura come a una sorgente
di forza: essa è il residuo del successo passato. Anche se alcuni elementi della
cultura non paiono più essere funzionali, si ricordi che sono probabilmente solo
alcuni in mezzo a un vasto insieme di altri che continuano a costituire dei punti
di forza.
Se esiste la necessità di procedere a cambiamenti nella gestione
dell’organizzazione, si cerchi di usare i punti di forza della cultura
esistente come basi per costruire il cambiamento piuttosto che cercare di
modificare quegli elementi che possono rappresentare dei punti deboli.
Se si è parte di un’organizzazione giovane e in crescita, la si può aiutare a
evolvere e a consolidare la cultura e se ne possono aiutare i membri a ottenere
una maggior comprensione della cultura.
Qualora se ne abbia il tempo, si può far evolvere la cultura cercando leader
nelle varie subculture che sono sorte, localizzando quelli che rappresentano il
tipo di assunti che si ritiene siano necessari nel futuro, e promuovendoli in
posizioni di potere.
Se, in una organizzazione in crescita, gli elementi della cultura non sono più
funzionali, sarà difficile cambiarli a causa della centralità rivestita dalla cultura
per l’identità dell’organizzazione. Ci si potrà trovare nella situazione di dover
rimpiazzare alcuni leader strategici e sostenitori dell’altra cultura, il che può
essere un processo molto doloroso.
Se si è in un’organizzazione di mezza età i cui elementi culturali chiaramente
non sono funzionali, si lanci un programma di cambiamento diretto creando un
sistema parallelo per la valutazione della cultura, identificando un programma
di cambiamento e realizzandolo.
Se si è in un’organizzazione di mezza età o già nella vecchiaia e non si ha
tempo per un programma di cambiamento diretto, si dovrà agire come
manager della svolta, valutare la cultura identificando gli elementi non
funzionali, localizzare i portatori di tali elementi culturali e rimpiazzarli. Questo
è un processo doloroso.
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Realtà su fusioni, acquisizioni e joint venture
Prima di impegnarsi in qualunque tipo di intervento interculturale, si cerchi di
avere una buona conoscenza della propria cultura. Ci si alleni a essere
culturalmente sensibili visitando altre organizzazioni e cercando di capire come
i loro assunti differiscono da quelli dell’impresa a cui si appartiene.
Se si ha l’iniziativa in una fusione, in un’acquisizione o in una joint venture, si
cerchi di andare presso l’altra organizzazione per fare più esperienza possibile
del modo in cui vi si lavora.
Si creino gruppi di dialogo attraverso i confini culturali che diventano
evidenti. Non ci si aspetti buona volontà ed esperienza per produrre
reciproca comprensione. Entrambe le unità culturali hanno bisogno di
imparare a essere riflessive per entrare in contatto con gli assunti propri e
altrui; questo può solo essere fatto attraverso la via del dialogo.
Considerazione finale
Avere conoscenza della cultura richiede sforzi: si devono allargare le proprie
percezioni, si deve esaminare il proprio processo di pensiero, si deve accettare
l’esistenza di altri modi di pensare e agire.
Ma una volta che si è acquisita quella che definirei “prospettiva culturale”, si
sarà stupiti da quanto sia gratificante. Improvvisamente il mondo appare
più chiaro. Le anomalie sono ora spiegabii, i conflitti risultano più
comprensibili, la resistenza al cambiamento comincia a sembrare
normale e, cosa più importante di tutte, aumenta la propria umiltà; e
nell’umiltà si troverà la saggezza.
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001. Schein Culture d`Impresa