Indice Anemia, sideropenia e malattia celiaca pag. 5 Autoimmunità e malattia celiaca “ 9 Cuore e malattia celiaca “ 13 Diabete mellito insulino dipendente e malattia celiaca “ 17 Disturbi del metabolismo osteo-calcico e malattia celiaca “ 21 Fegato e celiachia “ 31 Neoplasie e malattia celiaca “ 35 Patologia neuro-psichiatrica e malattia celiaca “ 39 Patologia riproduttiva e malattia celiaca “ 45 3 Anemia, sideropenia e malattia celiaca Introduzione L’anemia e/o sideropenia costituiscono un elemento di frequente riscontro nel quadro laboratoristico dei soggetti con malattia celiaca (MC).(1,2,3) Numerosi studi, inoltre, hanno evidenziato che la presentazione clinica della MC è spesso eterogenea, con prevalenza di forme sfumate o caratterizzate da sintomi prevalentemente extraintestinali.(4) In alcuni di questi casi, dunque, le alterazioni dei parametri ematologici rappresentano l’unico dato rilevabile di un’enteropatia da glutine.(5,6,7) Epidemiologia L'anemia secondaria al malassorbimento di ferro, acido folico e/o vitamina B12 è la più comune complicazione della malattia celiaca e la maggior parte dei pazienti presenta problemi di anemia al tempo della diagnosi.(1) Numerosi studi hanno riportato una prevalenza di anemia nel 12.69% dei soggetti con recente diagnosi di malattia celiaca.(2,5,8-10) Inoltre, la malattia celiaca è spesso diagnosticata in pazienti affetti da anemia, ed in particolare, è la forma subclinica della malattia che risulta essere una causa frequente di anemia e/o sideropenia (Tabella 1). Tabella 1. Dati relativi alla prevalenza della MC in pazienti con anemia. Autore Unsworth et al 2000(11) Haslam et al. 2001(12) Annibale et al. 2001(13) Howard et al. 2002(14) Ransford et al.(15) Grisolano et al. 2004(16) Mandal et al. 2004(17) Karnam et al. 2004(18) Kalayci et al. 2005(19) Hershko et al. 2005(20) Pazienti con anemia 200 216 190 258 484 103 504 105 135 150 Prevalenza MC (%) 6.6 2.3 13.7 10.9 3.5 8.7 1.8 2.8 4.4 5 Anemia e/o sideropenia e MC: il laboratorio Sia nelle forme di malattia celiaca ad esordio classico che in quelle subcliniche, l'anemia si manifesta in genere di grado lieve-moderato e di tipo ipocromicomicrocitico(1): diminuzione del contenuto corpuscolare medio di emoglobina (MCH) che si accompagna ad una riduzione del volume medio dei globuli rossi 5 (MCV); si associano, inoltre, ridotte concentrazioni sieriche di ferro biodisponibile (sideremia) e di ferro dei depositi (ferritina, trasferrina) (Tabella 2). Un recente studio ha evidenziato che i livelli sierici del recettore solubile della transferrina(sTfR) e della ferritina rappresentano un parametro utile per la diagnosi di celiachia nei bambini affetti da anemia e/o sideropenia refrattaria.(21) Tabella 2. Caratteristiche della anemia da carenza di ferro (modificata da FA. Oski)(22). Parametri Emoglobina (g/dl) Volume corpuscolare medio (fl) Ampiezza di distribuzione globuli rossi (%) Proto porti ring erilrocitaria (pmol/l) Sideremia (mgr/dl) Capacità totale legante il ferro (mg/dl) Ferritina sierica (mcg/l) Andamento Ridotta Ridotto Aumentata Aumentata Ridotta Aumentata Ridotta Patogenesi La patogenesi della carenza marziale nella malattia celiaca è molto complessa e di verosimile natura multifattoriale(1,3,23). I meccanismi principalmente ipotizzati sono tre: 1.Ridotto intake orale di ferro da minore apporto alimentare, quale si osserva nelle forme tipiche di malattia celiaca e ad esordio nei primi anni di vita, dove i sintomi prevalenti sono rappresentati dall’anoressia e dal vomito. 2.Ridotto assorbimento di ferro, sia a causa della minore superficie assorbitiva disponibile, che di una alterazione del brush border della mucosa intestinale. 3.Aumento delle perdite di ferro a livello intestinale. La spiegazione di tale fenomeno sarebbe da ricondurre o al rapido turnover degli enterociti, con conseguente alterazione della barriera cellulare epiteliale, oppure a piccole perdite ematiche intestinali dovute a microerosioni conseguenti allo stato di infiammazione cronica. Conclusioni La sideropenia con o senza anemia presenta una incidenza elevata nei pazienti con malattia celiaca e, in alcuni casi (MC atipica o monosintomatica), costituisce l'unico elemento rilevabile. L'introduzione nella pratica clinica di test sierologici di screening validi ed affidabili, quali gli anticorpi antitransglutaminasi (tTG) ed antiendomisio (EMA), sia di classe IgA che IgG, ha reso possibile l'identificazione delle forme atipiche e, quindi, la diagnosi della enteropatia anche nei soggetti anemia e/o sideropenia isolate. In queste situazioni, inoltre, l'avvio della dieta priva di glutine, determinando il completo ripristino della mucosa intestinale, consente la 6 normalizzazione dei parametri ematologici(13). I dati sopra esposti, dunque, confermano l'opportunità di eseguire la determinazione dei markers sierologici per la malattia celiaca nei soggetti con anemia ferrocarenziale non altrimenti motivata, soprattutto se resistente alla terapia marziale per os. Bibliografia essenziale 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. TR Halfdanarson, MR Litzow, JA Murray. Hematologic manifestations of celiac disease. Blood 2007;109:41221. 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È interessante notare come la prevalenza della celiachia, priva di sintomi gastroenterologici, aumenti significativamente nel caso in cui più malattie autoimmuni siano associate nello stesso individuo(5,6), e come la stessa sia aumentata non solo nei soggetti affetti da malattie autoimmuni ma anche nei loro parenti di primo grado(15). L'associazione tra malattie autoimmuni e celiachia viene usualmente attribuita alla condivisione di fattori genetici predisponenti, principalmente tale suscettibilità genetica sembrerebbe coinvolgere la regione HLA del cromosoma 6. Peraltro, esiste un'ampia serie di evidenze che lascia pensare che lo spettro dell'autoimmunità glutine dipendente sia decisamente più ampio di quanto fino ad oggi ritenuto e che, nel soggetto celiaco, la comparsa di manifestazioni autoimmuni, al di là dell'enteropatia, possa dipendere anch'essa dall'assunzione di glutine. Tabella 1. Patologie autoimmuni con HLA sovrapponibile alla MC. Dermatite erpetiforme Diabete mellito Tireopatie Deficit selettivo di IgA Epilessia Sindrome di Sjögren Malattia di Addison Spondiloartropatie Epatite cronica autoimmune Cardiomiopatia dilatativa Lupus eritematoso sistemico (DR3/DQ2 & DR4/DQ8) (DQ2/DQ8) (DQ2) (DR3-DR7/DQ2) (DR4/DQ2 & DR7/DQ2) (DR3/DQ2) (DR3/DQ2 & DR4/DQ8) (Dr4) (DR3/DQ2) (DR4 predisponente & DR3 protettivo) (Dr3) Epidemiologia Già negli anni settanta, Cooper(7) aveva riscontrato malattie autoimmuni nel 19% di un gruppo di 57 pazienti affetti da malattia celiaca. Indagini successive hanno riportato, nel corso degli anni, una “higher-than-expected” prevalenza di malattie autoimmuni, sia in bambini che in adulti con celiachia. Un ampio studio policentrico italiano ha recentemente dimostrato che la prevalenza di malattie 9 autoimmuni in adolescenti celiaci è effettivamente molto più elevata che nella popolazione coetanea generale (13.6% contro 5.2%, p <0.000001) ma, sicuramente, è più interessante evidenziare che tale prevalenza dipende dall'età alla diagnosi, vale a dire dalla durata dell'esposizione al glutine(8). Altri studi hanno evidenziato, inoltre, un'altrettanto elevata prevalenza di celiachia in soggetti caratterizzati da patologie autoimmuni (Tabella 2)(9-14). Tabella 2. Prevalenza di celiachia in patologie autoimmuni. Autore Mysliwiec M. et al. 2006(9) O'Leary C. et al. 2002(10) Szodoray P. et al. 2004(11) Larizza D. et al. 2001(12) Prati D. et al. 2002(13) Collin P. et al. 2002(14) VillaltaD. et al. 2005(15) De Bem RS et al. 2006(16) Malattia autoimmune Pazienti (no) Diabete tipo 1 223 Morbo Addison 41 Sindrome di Sjögren 111 Tiroidite 90 Cardiomiopatia dilatativa 642 Malattia di Berger 223 Epatite autoimmune 47 Cardiopatia dilatativa 74 Pazienti con MC (%) 9.4 12.2 4.5 7.8 1.9 3.6 6.4 2.6-6.7 Rischio di patologie autoimmuni nei parenti di primo grado di pazienti celiaci. Un recente studio(17) ha evidenziato, tra i parenti di primo grado di soggetti affetti da malattia celiaca, un'aumentata prevalenza di patologie autoimmuni di almeno sei volte rispetto a quella rilevata tra soggetti di pari grado di parentela di controlli sani, e soprattutto che tale rischio era strettamente correlato all'aumento dell'età. Un sottogruppo, costituito da parenti di primo grado di pazienti celiaci, ugualmente affetti da una forma silente di malattia celiaca, presentavano una prevalenza di malattie autoimmuni significativamente più alta rispetto ai parenti di primo grado non affetti da celiachia, con un valore di OR pari a 6.3(17). Gli autori hanno concluso che i parenti di primo grado di soggetti caratterizzati da enteropatia da glutine presentano un aumentato rischio di sviluppare malattie autoimmuni, probabilmente correlato ad una non diagnosticata e, quindi, non trattata malattia celiaca. Patogenesi II meccanismo patogenetico alla base della associazione tra enteropatia da glutine e malattie autoimmuni non risulta ancora del tutto chiarito; la predisposizione genetica, i meccanismi immunologici e i fattori ambientali (l'intestino per la sua ampia superficie di contatto con l'ambiente costituisce la prima porta di ingresso per eventuali “triggers” ambientali per le malattie autoimmuni), sono tutti implicati nell'etiopatogenesi di entrambe. In passato, Scott et al.(18) avevano avanzato l'ipotesi di un deposito di immunocomplessi ma ciò non era stato confermato da ulteriori studi. Più recentemente, l'evidenza di depositi di IgA a livello della transglutaminasi (TG2) extra-cellulare del fegato, del muscolo e dei gangli linfatici indica che tale enzima 10 risulta accessibile agli auto-anticorpi sintetizzati all'interno della mucosa intestinale(19). E' stato anche dimostrato che i linfociti T specificamente diretti contro la transglutaminasi possono sfuggire al controllo timico e scatenare una reazione immunologia specifica e rapida ovunque nell'organismo, se degli epitopi sono presenti a concentrazioni elevate(20). Gravi disturbi extraintestinali in pazienti affetti da celiachia (a livello epatico, a livello cardiaco, a livello del sistema nervoso, etc.) potrebbero essere correlati alla presenza di autoanticorpi in situ. Alcuni studi, inoltre, suggeriscono un rapporto di causa effetto tra ingestione di glutine e sviluppo di patologie autoimmuni. E’ stato segnalato(8), infatti, che il rischio di sviluppare patologie autoimmuni è significativamente correlato alla durata di esposizione al glutine e, quindi, all'età della diagnosi (Grafico 1). Grafico 1. Rischio di patologie autoimmuni correlato alla durata di esposizione al glutine. 40 % 30 20 34 27 10 0 17 5 <2 10 2-4 4-12 12-20 > 20 anni di esposizione al glutine Conclusioni Da quanto sopradescritto si evince l'importanza di un'attenta valutazione clinica ed amnestica del paziente affetto da patologia autoimmune con lo scopo di ottenere un Inquadramento diagnostico quanto più possibile precoce ed appropriato. Considerata l'alta prevalenza di malattie autoimmuni nei pazienti affetti da enteropatia da glutine, diventa indispensabile operare una diagnosi precoce di MC e seguire correttamente i pazienti sottoponendoli a dieta priva di glutine con lo scopo di ottenere, almeno per quelle patologie per le quali è stato documentato essere possibile, un miglioramento clinico. 11 Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. Cronin CC, Shanahan F. Insulin-dependent diabetes mellitus and celiac disease. Lancet 1997;349:1096-7. 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Aspetti clinico-epidemiologici Di certo più numerosi, relativamente allo studio su tale associazione, sono i lavori pubblicati sul rischio di malattia celiaca in soggetti affetti da cardiomiopatia dilatativa (CMDI): è stata stimata, infatti, una prevalenza di enteropatia da glutine pari al 5.7% in pazienti affetti da tale patologia cardiovascolare(1,2). In un importante lavoro di Curione(1) è stato effettuato uno screening della celiachia in 52 soggetti con cardiomiopatia dilatativa idiopatica (CMDI) esaminati in dettaglio mediante coronarografia e biopsia endomiocardica; in 3 dei 52 pazienti e, quindi, con una rilevante percentuale (circa 6%), è stata evidenziata l'atrofia dei villi intestinali. Successivamente, uno studio retrospettivo(3) effettuato su 238 soggetti affetti da CMDI, su 28 loro familiari con iniziali alterazioni elettrocardiografiche o ecocardiografiche e su 393 familiari sani, ha riportato un esito positivo al dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi in 6 soggetti malati; tutti e 6 sono risultati positivi per l'HLA DQ2-DQ8 e la biopsia intestinale ha evidenziato in ognuno di loro le tipiche lesioni della malattia celiaca. Inoltre, sono risultati positivi al dosaggio degli anticorpi specifici per la celiachia il 7% dei 28 familiari caratterizzati da alterazioni strumentali suggestive per CMDI e solo lo 0.7% dei familiari sani. Dai risultati ottenuti si evince che l'intolleranza al glutine geneticamente determinata può costituire un importante fattore nella genesi autoimmune della CMDI, così come dimostrato per altre patologie. Inoltre, considerata l'elevata prevalenza di MC tra i familiari affetti da alterazioni specifiche per CMDI, è deducibile pensare che uno screening sierologico potrebbe rappresentare uno strumento utile per prevenire lo sviluppo della patologia cardiaca. Uno studio Italiano(4) ha esaminato 187 pazienti, 110 con insufficienza cardiaca e 77 con aritmie, diagnosticati con miocardite autoimmune. Il 4.4% di loro è risultato positivo al dosaggio degli anticorpi antiendomisio ed antitransglutaminasi, un 13 dato statisticamente significativo se comparato allo 0.6% dei controlli sani. Cinque dei nove soggetti con nuova diagnosi di celiachia, caratterizzati da insufficienza cardiaca, sono stati trattati con una dieta priva di glutine associata ad una terapia immunosoppressiva; una dieta senza glutine ha rappresentato l'unico trattamento per i restanti 4 pazienti celiaci con miocardite autoimmune e con extrasistoli. Il risultato è stato un evidente miglioramento clinico cardiovascolare e un risultato negativo al dosaggio degli anticorpi per la celiachia in tutti i nove pazienti, dopo il trattamento (8-12 mesi). Un altro recente studio(5) ha valutato la prevalenza della malattia celiaca in 74 pazienti Brasiliani affetti da grave cardiopatia dilatativa: il 2.63% degli individui è risultato positivo agli anticorpi antiendomisio di classe IgA, mentre sono risultati sierologicamente positivi al dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA ben 5 dei pazienti esaminati (6.75%). Per quanto riguarda l'associazione tra pericardite e malattia celiaca, Riccabona et al.(6), studiando 26 bambini affetti da enteropatia da glutine, hanno trovato un versamento pericardio nel 50% dei soggetti esaminati. Il versamento pericardio si presentava di modesta entità, asintomatico e di rilievo strumentale. E' stato rilevato, nei bambini celiaci che presentavano una tale anomalia, un valore più alto di anticorpi antiendomisio ed una quantità più bassa di selenio e di ferro rispetto ai bambini privi di versamento, a differenza dell'ECG, della RX al torace ed di altri esami ematochimici che risultavano, invece, simili per entrambi i gruppi di studio. Anche in questo caso è stata avanzata l'ipotesi di una causa immunologica riguardo all'associazione delle due patologie. Un'altro recente studio Italiano(7), effettuato su 642 pazienti in lista per un trapianto cardiaco, ha rilevato che l'1.9% di loro risultava positivo agli anticorpi antiendomisio (comparato allo 0.35% rilevato in 720 controlli sani); inoltre, la percentuale di positivi agli stessi anticorpi in soli 275 degli stessi pazienti, che presentavano, però, una cardiomiopatia dilatativa, è stata pari al 2.2% (comparato all'1.6% riscontrato nei rimanenti pazienti in lista per il trapianto). In passato, inoltre, altri studi relativi all'associazione tra celiachia latente e malattie cardiovascolari hanno descritto casi di aritmie ipercinetiche ventricolari legate al prolungamento del Q-T per turbe elettrolitiche presenti nei soggetti con enteropatia da glutine senza sintomatologia gastrointestinale, poiché legate all'atrofia dei villi. Interessante, ad esempio, un lavoro di Corazza(8) nel quale è stato evidenziato un prolungamento del Q-T in un terzo dei pazienti celiaci oggetto dello studio, contro nessuno dei pazienti con pancreatite cronica e disturbi intestinali comparati ai primi. In questi pazienti affetti da malattia celiaca è stato evidenziato un rapporto inverso tra prolungamento del Q-T e potassemia, da cui viene la raccomandazione di integrare la terapia dietetica con la somministrazione di potassio. Infine, va ricordato che nel 1976 Whorwell(9), studiando la mortalità nei celiaci, avrebbe osservato una mortalità per cardiopatia ischemica e stroke ridotta del 40% rispetto alla popolazione generale, ipotizzando un'azione di protezione della celiachia nei riguardi di tali patologie, forse per bassi livelli di colesterolo, trigliceridi e fibrinogeno che caratterizzano questa malattia. Un altro studio(10), più recente, condotto su 3790 pazienti affetti da malattia celiaca ha confermato una 14 diminuzione del rischio di ipertensione e ipercolesterolemia, evidenziando, inoltre, un diminuito rischio di infarto del miocardio ma anche un lieve aumento di rischio di stroke. Tuttavia, queste osservazioni non sono state confermate da altri autori. Patogenesi Per tale associazione l'ipotesi patogenetica autoimmune sembra essere la più attendibile; infatti, in alcuni pazienti affetti da CMDI e nei loro familiari, è stata rilevata la presenza di autoanticorpi diretti verso il cuore e, in alcuni di essi, degli stessi antigeni di istocompatibilità presenti in patologie ad accertata patogenesi autoimmune(3). Si può anche ipotizzare che il danno cardiaco sia il risultato di un meccanismo autoimmune scatenato dalla gliadina, come già dimostrato per altre patologie associate alla celiachia(11,12). L'azione positiva esplicata da una dieta priva di glutine evidenzia, inoltre,che il miglioramento della funzionalità cardiaca potrebbe essere dovuto ad un migliorato assorbimento di nutrienti ed oligoelementi che svolgono un ruolo importante sulla funzione contrattile del miocardio e sulla stabilità elettrica, nonché l'assorbimento di farmaci cardiovascolare, compromesso in questi soggetti sia dall'atrofia dei villi intestinali, propria della malattia celiaca, sia dell'enteropatia proteina disperdente, secondaria alla stasi venosa, presente nella CMDI in fase avanzata. La tipica espressione di atrofia dei villi intestinali che caratterizza la malattia celiaca, inoltre, può limitare l'assorbimento di differenti nutrienti come la tiamina, la riboflavina, il magnesio, il calcio, il selenio, la carnitina, etc, attivi nel metabolismo del miocardio(13). In particolar modo la carnitina rappresenta un importante carrier per il trasporto di gruppi acilici all'interno dei mitocondri, dove avviene la -ossidazione; questa sostanza può essere rilevata nel siero, nei muscoli scheletrici e nel tessuto cardiaco(14). Un incremento dei livelli di carnitina potrebbe risultare efficace per la “performance” cardiaca come è già stato osservato da alcuni autori in pazienti affetti da CMDI e CD trattati con una dieta priva di glutine.(4,7,13,15-17) Conclusioni Le patologie cardiovascolari assumono, come incidenza statistica, una posizione secondaria nella malattia celiaca rispetto alle malattie endocrine ed alle connettiviti. Tuttavia, in considerazione delle osservazioni clinicoepidemiologiche sopra descritte, appare evidente come tali patologie possano rappresentare una rilevante complicazione nei soggetti affetti da enteropatia da glutine. Appare ragionevole, quindi, considerare lo screening per la malattia celiaca un opportuno strumento diagnostico in soggetti affetti da malattie cardiovascolari, data l'evidente azione positiva esplicata da una dieta priva di glutine sulla performance del miocardio. Inoltre, vista l'elevata prevalenza di malattia celiaca tra i familiari di pazienti con CMDI, lo screening sierologico può risultare ulteriormente utile a prevenire lo sviluppo della patologia cardiaca, prima che questa possa manifestarsi clinicamente. 15 Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. M Curione, M Barbato, L Biase, et al. Prevalence of coeliac disease in idiopathic dilated cardiomyopathy. Lancet 1999;354:222-3. C Chimenti, M Pieroni, A Frustaci. Celiac disease in idiopathic dilated cardiomyopathy. Ital Heart J 2001;2;6589. T Not, E Faleschini, A Tommasini, A Repetto, et al. Celiac disease in patients with sporadic and inherited cardiomyopathies and in their relatives. 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Idiopathic dilated cardiomyopathy associated with coeliac disease: the effect of gluten free diet on cardiac performance. Digest Liver Dis 2002;34:867-71. 16 Diabete mellito insulino dipendente e malattia celiaca Introduzione L'associazione tra diabete mellito insulino dipendente (IDDM) e malattia celiaca (MC) è nota da molto tempo(1) sia nella popolazione adulta che in età pediatrica. E' possibile pensare che l'associazione tra celiachia e diabete dipenda da un comune substrato genetico. Infatti, entrambe le malattie condividono gli stessi HLA di rischio (DR3, DQ2, DQ8). Questa interpretazione non spiega come mai nella grande maggioranza dei casi di associazione tra le due malattie, la diagnosi di celiachia venga posta dopo quella di diabete, nella maggior parte di questi soggetti si presenti con un quadro clinico atipico, caratterizzato da sintomi molto sfumati(2) e, generalmente di tipo extraintestinale e solo il 10%, o quasi, siano identificati attraverso una sintomatologia classica(3). Una possibile lettura di questo dato è che la celiachia misconosciuta, e quindi non trattata con la dieta senza glutine, sia un fattore predisponente al diabete(4). Dal momento che la MC ad espressione atipica può essere facilmente identificata mediante la determinazione degli anticorpi antigliadina (AGA), degli anticorpi antiendomisio (EMA), degli anticorpi anti-reticolina (ARA)(5,6) ed in modo più sensibile degli anti-transglutaminasi (tTG)(7), queste stesse indagini sierologiche sono state applicate anche per lo screening della MC nei soggetti con IDDM(8-11). Epidemiologia La prima segnalazione di una possibile relazione tra IDDM e celiachia risale al 1951, quando Thompson(12) rilevò tra i familiari di una casistica di celiaci una aumentata incidenza di diabete. Studi successivi hanno confermato questa associazione, riportando stime di prevalenza elevate, variabili ampiamente, in funzione delle aree geografiche in esame, delle diverse casistiche e dei tests di screening usati, dall'1 al 16.4-20% nella popolazione diabetica pediatrica e adulta(13,14) (Tabella 1). 17 Tabella 1. Dati relativi alla prevalenza della MC nei bambini e negli adolescenti con IDDM. Autore Boudraa et al. 1996(14) Ertekin et al. 2006(15) Hansen et al. 2006(16) Nimri et al. 2006(17) Araujo et al. 2006(18) Ashabani et al. 2003(19) Serkon et al. 2002(20) Zbikowska- B. et al. 2006(21) Sanchez-A. et al. 2005(22) Bonguerra et al. 2005(23) Pazienti 116 74 269 42 354 234 Prevalenza MC (%) 16.4 13.5 12.3 12 10.5 10.3 100 446 281 348 6 5.1 3.9 2.3 Test di screening AGA e EMA tTG e Biop dig tTG ed EMA tTG ed EMA AGA ed EMA AGA, tTG, ARA, EMA EMAEMA ed IgG EMA EMA AGA ed EMA tTG ed EMA Patogenesi Diversi studi compiuti su popolazioni differenti hanno cercato di valutare l'associazione tra malattia celiaca e IDDM. E' risultata un'alta prevalenza della malattia celiaca ed una maggiore predisposizione a sviluppare la malattia in pazienti con diabete ad esordio precoce. E' vero anche viceversa: pazienti celiaci possono sviluppare nel tempo, soprattutto se non sottoposti a trattamento, il diabete(24). Le due patologie hanno un comune substrato genetico dato dagli stessi HLA (DR3/DR4, DQ2 e DQ8). La predisposizione genetica determina rischio anche nei parenti di soggetti celiaci e di diabetici(25). I risultati di un recente studio in cui sono stati comparati i dati genotipici di 130 bambini diabetici affetti da celiachia e di 245 bambini caratterizzati solo da IDDM, evidenziano che il rischio di sviluppare la malattia celiaca in bambini con diabete di tipo 1 è significativamente modificata sia dalla presenza di HLA-DQB1*02-DQA1*05 e sia da un altro gene del complesso maggiore di istocompatibilità, il TNF-308A(26). Comunque, il background genetico simile non è la sola caratteristica che hanno in comune le due malattie. Si ipotizza, infatti, un ruolo causale dell'intolleranza al glutine nello sviluppare la reazione autoimmunitaria contro il pancreas. Il glutine è ritenuto, perciò, uno dei fattori ambientali che possa influenzare il rischio di sviluppare il diabete. Quest'affermazione si basa su diverse osservazioni: • anticorpi anti-pancreas, se presenti in pazienti celiaci, tendono a scomparire in seguito a dieta senza glutine(27); • regioni geografiche (Giappone, Corea, Polinesia) con basso consumo di farina di grano hanno una minor incidenza di diabete(28); • nei soggetti diabetici si assiste spesso ad una tarda positivizzazione agli anticorpi anti-tTG ad indicare l'insorgenza di un'intolleranza nei confronti del glutine. L'identificazione di una risposta autoimmune contro la tTG a livello mucosale in 18 soggetti diabetici costituisce quindi un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie autoimmuni come appunto la celiachia. IDDM e MC: i test di screening I test sierologici disponibili per lo screening della malattia celiaca nei pazienti con IDDM comprendono gli AGA, gli EMA, sia di classe IgA che IgG e, più recentemente gli anti-tTG, anch'essi di classe IgA ed IgG.(7) In una recente pubblicazione(29), la North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition ha suggerito come test di scelta per le fasi iniziali di screening della malattia quello relativo al dosaggio degli anticorpi anti-tTG, associato ad una biopsia intestinale. Tuttavia, la presenza di anticorpi anti-endomisio in pazienti con recente diagnosi di IDDM potrebbe suggerire un alta probabilità di malattia celiaca, poiché tali anticorpi appaiono essere correlati al grado di danno mucosale(18). Inoltre, in un recente lavoro, oltre a confermare la prevalenza di malattia celiaca in pazienti affetti da IDDM con un risultato pari al 6.4% mediante uno screening relativo al dosaggio di soli anticorpi EMA di classe IgA, gli autori hanno ottenuto un valore decisamente superiore (13.8%) includendo nello screening anche il dosaggio degli anticorpi EMA di classe IgG evidenziando, quindi, l'importanza di tali isotipi per la diagnosi di MC(30,31). Conclusioni Da quando lo screening sierologico è divenuto strumento comune nella pratica clinica, molti casi di malattia celiaca vengono diagnosticati entro un anno dalla comparsa del diabete mellito insulino-dipendente, anche se talvolta la positivizzazione degli anticorpi per la malattia celiaca si ha solo in un secondo momento. E' opportuno, dunque, che tutti i soggetti con IDDM, indipendentemente dalla sintomatologia presentata, vengano sottoposti al monitoraggio dei markers sierologici almeno una volta l'anno. La cura della celiachia ha, infatti, un effetto positivo(22) sul diabete sia perché aiuta a migliorare il controllo metabolico, ed eventualmente a ridurre il fabbisogno insulinico, sia perché aiuta a prevenire possibili complicanze “silenziose” quali l'anemia e l'osteoporosi. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Savilahti E, Simell O, Koskmies S, Rilva A, Akerblom H. Celiac disease in insulin-dependent diabetes mellitus. J Pediatr 1986;108:690-693 Brook LS. Diagnosing celiac disease in 2002: who, why, and how? Pediatrics 2002;109:952-954. Collin P, Kaukinen K, Valimaki M, Salmi J. Endocrinological disorders and celiac disease. Endocr Rev 2002;23:464-483. Pocecco M, Ventura A. Coeliac disease and IDDM: a causal association? Acta Paediatr 1995;84:1432-3. Màki M, Huupponen T, Holm K, Hàllstròm O, Seroconversion of reticulin antibodies predicts coeliac disease in insulin dependent diabetes mellitus. Gut 1995; 36: 239-42. Catassi C, Ràtsch IM, Fabiani E, Ricci S, et al. 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J Intern Med 2001;249:181-8. 20 Disturbi del metabolismo osteo-calcico e malattia celiaca Introduzione Nell'ambito delle alterazioni che si possono associare ad una malattia celiaca (MC) non trattata, occorre segnalare anche quelle riguardanti il metabolismo osteo-calcico e, in particolare, l'osteopenia e l'osteoporosi. E' importante altresì ricordare che, soprattutto in età adulta, tali problematiche possono rappresentare anche l'unica modalità di esordio di una enteropatia da glutine(1, 3). La disponibilità di indagini semplici ed affidabili, sia a livello bioumorale che strumentale, in particolare la densitometria ossea a raggi X (DEXA), ha consentito di valutare la frequenza e l'entità della osteopenia e/o osteoporosi nel paziente celiaco durante tutte le fasi della malattia, dalla diagnosi al follow-up (4). Sebbene il turnover osseo sia influenzato anche da fattori genetici ed ambientali(5), la maggior parte degli Autori concorda nell'affermare che l'avvio del trattamento dietetico di esclusione del glutine determina non solo un significativo miglioramento del quadro clinico-metabolico ma, in alcuni casi, consente altresì di evitare il progressivo deterioramento delle alterazioni ossee già presenti(6,7,8). Si comprende pertanto come l'individuazione precoce di una MC non trattata possa rivestire un importante significato preventivo, dato che una condizione di osteoporosi si associa ad un aumentato rischio di fratture. Definizione Con il termine di osteoporosi si intende una patologia scheletrica sistemica, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumentata sensibilità alle fratture (9). Dal punto di vista quantitativo, la definizione corrente più accettata di osteoporosi è quella recentemente suggerita dal WHO, ovvero quella che si basa sulla valutazione della densità minerale ossea (Bone Mineral Density = BMD). Pertanto, si parla di osteoporosi quando i valori di BMD sono superiori a 2,5 deviazioni standard rispetto alla media giovane adulta, ovvero quando il T-score (picco medio di BMD) è inferiore a 2,5. Nel caso in cui il valore relativo al T-score risulti compreso tra 1 e 2,5, si realizza una condizione di osteopenia che, se non precocemente riconosciuta ed adeguatamente trattata può condurre allo sviluppo di osteoporosi (10). Epidemiologia Una marcata riduzione del contenuto minerale e della densità dell'osso sono stati ripetutamente segnalati da numerosi studi sia nell'adulto che nel bambino con malattia celiaca non trattata, indipendentemente dalla sintomatologia di esordio(11-15). Sebbene tali studi non siano omogenei per quanto concerne la selezione dei pazienti e dei controlli e sebbene vi siano lievi differenze nei metodi 21 di indagini utilizzati, la maggior parte concorda sul fatto che il trattamento della malattia celiaca con una dieta priva di glutine rigorosa può migliorare le alterazioni ossee riducendo il grado di osteopenia ed osteoporosi, arrestandone la progressione e riducendo il rischio di fratture(13,15). L'entità del coinvolgimento osseo al momento della diagnosi e la risposta metabolica al trattamento dietetico di esclusione sono assai variabili da individuo ad individuo. Tale fenomeno dipende soprattutto dalle condizioni clinicometaboliche del soggetto all'esordio, dall'età del paziente, dal periodo di dieta aglutinata seguito e dalla compliance al trattamento stesso, oltre che da fattori genetici ed ambientali (ad es., il sesso, la razza, l'intake giornaliero di calcio, il livello di attività fisica, eventuali terapie a base di corticosteroidi e, negli individui di sesso femminile, la carenza di estrogeni)(5,6). L'”overlapping” dei fattori sopra esposti rende quanto mai difficile stabilire la reale prevalenza delle problematiche ossee nel soggetto con enteropatia da glutine. Per tale motivo, allo scopo di valutare se la celiachia non trattata rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo di osteopenia e/o osteoporosi, è necessario stimare la prevalenza della enteropatia da glutine proprio nei pazienti in cui tale patologia ossea è di origine “indeterminata”. In uno studio condotto negli USA sono stati esaminati 840 individui, 266 con osteoporosi e 574 senza, sottoposti a screening sierologico per la celiachia. I soggetti risultati positivi ai test per l'anticorpo anti-transglutaminasi o anti-endomisio sono stati sottoposti a biopsia endoscopica intestinale allo scopo di confermare la diagnosi di MC. I soggetti con celiachia comprovata da esame bioptico sono stati assegnati a ricevere un'alimentazione priva di glutine, e seguiti per valutare i miglioramenti della densità minerale ossea. Il 4.5% dei 266 soggetti con osteoporosi e l'1% dei 574 senza osteoporosi sono risultati positivi allo screening sierologico; di questi, nove pazienti osteoporotici ed uno non osteoporotico hanno avuto risultati bioptici positivi. La prevalenza di celiachia confermata da biopsia è stata del 3.4% tra la popolazione con osteoporosi e solo dello 0.2% tra quella senza osteoporosi. I livelli di anti-transglutaminasi sono risultati correlati alla gravità dell'osteoporosi, misurata mediante punteggio T, dimostrando che più grave è la celiachia più grave risulta essere il danno osteoporotico. Il trattamento dei pazienti celiaci con una dieta priva di glutine ha portato a marcati miglioramenti nel punteggio T. I dati di questo studio hanno indicato che l'incidenza di celiachia nell'osteoporosi è sufficientemente alta da giustificare la raccomandazione di uno screening sierologico per la malattia celiaca in tutti i pazienti affetti da osteoporosi(8). Patogenesi L'assorbimento attivo del calcio ha luogo soprattutto nel duodeno e nella parte prossimale del digiuno. E' verosimile pertanto ipotizzare che le alterazioni della mucosa intestinale che si osservano nei soggetti con enteropatia da glutine (atrofia dei villi, aumento dei linfociti intraepiteliali, iperplasia della cripte), determinando una riduzione della superficie assorbitiva del piccolo intestino proprio a livello duodeno-digiunale, possano interferire negativamente anche con il bilancio del calcio(16). L'ipocalcemia rappresenta dunque l'evento centrale, al quale poi conseguono 22 una serie di complesse alterazioni metaboliche e, in particolare, l'aumento dei livelli sierici di paratormone (PTH). L'ipersecrezione di PTH, a sua volta, non solo accellera il riassorbimento osseo, ma è in grado anche di modificare il metabolismo della vitamina D. La riduzione della calcemia inoltre determina, direttamente o mediante la secrezione di PTH, una aumentata attività dell'enzima 1-a-idrossilasi, ovvero dell'enzima deputato alla conversione dell'1,25diidrossicolecalciferolo (1,25-OH2-D3) a 25-idrossicolecalciferolo (25-OH-D3). Questo tentativo compensatorio, tuttavia, risulta del tutto inefficace data l'incapacità dell'organo bersaglio, ovvero del piccolo intestino, a rispondere in maniera adeguata all'enzima. Tale condizione di insensibilità, verosimilmente correlata ad un deficit di alcune proteine coinvolte nel trasporto attivo del calcio (ad es., la calbindina), determina un aumento dei livelli sierici di 1,25-OH2-D3, a cui consegue una condizione di ipocalcemia persistente che, a sua volta, mantiene il riassorbimento osseo(17). La documentata rapida scomparsa nel plasma dei pazienti celiaci del 25-OH-D3 potrebbe anche suggerire l'esistenza di una aumentata conversione di questo metabolita attivo a 1,25-OH2-D3, fenomeno mediato proprio dal PTH o comunque da una condizione di ipocalcemia. I meccanismi fisiopatologici che, accanto alla enteropatia, potrebbero contribuire alla realizzazione di un bilancio negativo del calcio includono(17,18) anche quanto segue: a) ridotto intake di calcio con l'alimentazione. Nei pazienti celiaci, la assunzione di calcio con la dieta può risultare inadeguata, sia per la presenza di una certa anoressia (in particolare nelle forme ad esordio nei primi anni di vita), sia perché spesso coesiste una condizione di intolleranza al lattosio (giustificabile sulla base delle alterazioni mucosali sopra descritte). Entrambi questi fenomeni portano dunque il soggetto a ridurre o addirittura a sospendere l'assunzione di latte e derivati che, come è noto, rappresentano la principale fonte di calcio; b) ridotto assorbimento di calcio. Tale fenomeno determina, attraverso un meccanismo di feedback a livello delle ghiandole paratiroidi, una condizione di iperparatiroidismo secondario ed una aumentata attività da parte degli osteoclasti con successivo riassorbimento del calcio dal tessuto osseo, in modo tale da mantenere la calcemia nei valori normali; c) aumentata escrezione fecale di calcio endogeno, secondaria ad un incremento della secrezione intestinale e/o al ridotto riassorbimento ed alla precipitazione del calcio assunto nel lume intestinale sotto forma di saponi; d) deficit di magnesio. Alcuni studi avrebbero evidenziato che la supplementazione della dieta dei pazienti celiaci con magnesio determinerebbe un aumento della BMD(19); g) ridotti livelli sierici di Insulin-like Growth Factor 1 (IGF-1). L'IGF-1 è una sostanza che media gli effetti anabolici dell'ormone della crescita, intervenendo direttamente a livello del tessuto osseo, le cui concentrazioni sono direttamente correlate allo stato di nutrizione del soggetto. Nei pazienti con MC in fase florida, sia in età adulta che pediatrica, è stata osservata una riduzione dei livelli sierici di IGF-1. È stato inoltre suggerito che un deficit di zinco, condizione frequente nei celiaci, possa giocare un determinante ruolo 23 in tale riduzione(20). Solo un completo ripristino della mucosa intestinale, dopo un lungo trattamento con una dieta priva di glutine, può riportare tali parametri nella norma(21); h) produzione di citochine. Diversi studi hanno dimostrato che in fase attiva di malattia si ha produzione di citochine proinfiammatorie, quali IL-1, IL-6, TNFalpha che sembrerebbero svolgere, anche, un importante ruolo nel processo di riassorbimento dell'osso stimolando la differenziazione e l'attività degli osteoclasti. La perdita dell'osso può essere causata, inoltre, da uno squilibrio relativo alla produzione di differenti citochine: bassi livelli nel sangue di citochine inibitorie quali IL-12 e IL-18 indicano un mancato effetto inibitorio sul processo di osteoclastogenesi(22-25). Infine, si ha induzione del riassorbimento osseo attraverso l'attivazione del sistema di citochine RANKL/OPG(26,27); tale sistema, che ha un ruolo chiave nella biologia dell'osteoclasto e del rimodellamento osseo, è costituito dal RANKL, una citochina appartenente alla famiglia dei TNF-legandi, espressa sia sulla superficie della membrana di cellule stromali/osteoblastiche, sia in una forma solubile, che legato al suo recettore RANK, espresso su cellule della linea osteoclastica, stimola la differenziazione e attivazione degli osteoclasti e ne inibisce l'apoptosi. Altro componente di tale sistema è l'osteoprotegerina (OPG), una citochina solubile appartenente alla famiglia dei recettori per il TNF, espressa da cellule stromali/osteoblastiche, che funziona da recettore “trappola”, con elevata affinità per il RANKL, a cui si lega, impedendo pertanto il legame RANKL/RANK. Un aumento di RANKL/OPG è stato riscontrato in soggetti celiaci non trattati. Aspetti clinico-bioumorali Il coinvolgimento del tessuto osseo, osservabile sia in età pediatrica che nei soggetti adulti, può essere non solo parte integrante del quadro clinicometabolico di esordio della MC ma, soprattutto in età adulta, rappresentare anche l'unica modalità di espressione clinica di tale condizione, in assenza di qualsiasi disturbo gastrointestinale o addirittura prima che questo o altri sintomi divengano evidenti. L'estensione delle alterazioni a carico del tessuto osseo non sembra essere correlata alla presenza di una sintomatologia dolorosa a livello dei segmenti scheletrici interessati od alla severità dei disturbi intestinali(5). Per tale motivo, la valutazione del coinvolgimento osseo non avviene soltanto su base clinica, ma prevede l'esecuzione di una serie di indagini bioumorali (calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina, determinazione dei livelli di PTH, della vitamina D e degli indici di rimodellamento osseo) e strumentali (densitometria ossea). La presenza di un eventuale interessamento del metabolismo osteo-calcico nei soggetti con MC è stata indagata in numerosi studi, sia al momento della diagnosi, che a distanza di un periodo di tempo variabile dall'avvio del trattamento dietetico aglutinato (8 mesi 17 anni)(5). La maggior parte di queste indagini concorda nell'affermare che i soggetti affetti da celiachia non trattata, presentano le seguenti alterazioni metaboliche e strumentali(5, 7): 24 a.Ipocalcemia, aumentata secrezione di PTH, riduzione dei livelli sierici di 25OH-D3 con incremento delle concentrazioni di 1,25-OH2-D3 ed aumento degli indici di rimodellamento osseo. Per quanto riguarda la calcemia, alcuni Autori riportano che, nei celiaci adulti, tale parametro presenterebbe una correlazione positiva con il quadro clinico di esordio della enteropatia da glutine. Infatti, sebbene in tutti i pazienti i livelli sierici di calcio risultino inferiori rispetto ai controlli, tuttavia tali valori sono “migliori” nei soggetti con celiachia ad espressione subclinica o silente rispetto a coloro che presentano una forma tipica. Questo fenomeno è stato osservato anche nella valutazione dei parametri indicativi di un aumentato turnover osseo. La modalità di esordio della MC appare essere invece ininfluente sui livelli sierici di PTH(28). L'ipovitaminosi D e l'iperparatiroidismo secondario sono fenomeni comuni sia nei celiaci all'esordio che nei pazienti refrattari al trattamento dietetico, presentando una frequenza, rispettivamente pari al 58 - 88 % ed al 25 % dei casi; nei soggetti con MC che invece rispondono alla dieta aglutinata, le suddette alterazioni si osservano rispettivamente nel 25 e nel 19 % dei casi(16). b.Riduzione della BMD. I pazienti celiaci all'esordio presentano valori di BMD inferiori rispetto alla norma e la frequenza di tale fenomeno varia dal 26 all'85 %, in relazione ai distretti ossei esaminati ed all'ampiezza del campione indagato(29-31). Per quanto riguarda la correlazione tra modalità di espressione clinica della MC e grado di osteopenia, i dati disponibili non sono affatto univoci. Dal punto di vista bioumorale, è stato altresì osservato che i bambini con MC non trattata presentano iperfosforemia, lieve ipocalcemia e livelli sierici di PTH modicamente aumentati, con ridotti livelli sierici di calcitonina(32). Secondo alcuni studi, inoltre, nei pazienti pediatrici, l'età alla diagnosi riveste un ruolo più importante rispetto a quanto si verifica negli adulti, ovvero esiste una correlazione positiva tra età al momento della diagnosi e BMD. I pazienti celiaci diagnosticati tardivamente infatti presentano una BMD inferiore rispetto a coloro nei quali la diagnosi è stata posta in epoca più precoce(33). Infine, l'ipotesi del coinvolgimento dell'iperparatiroidismo secondario dovuto a malassorbimento intestinale sembra essere inadeguata a spiegare tutti i casi di bassa massa ossea nei pazienti celiaci, spesso affetti da gravi danni scheletrici, ma senza sintomi intestinali evidenti(34,16). A tal proposito, un recente studio(23) condotto su un gruppo di pazienti celiaci a dieta da almeno due anni e su un secondo gruppo di soggetti diagnosticati da poco e pertanto non ancora a dieta, ha evidenziato che,nonostante alcuni pazienti presentino un leggero aumento dei livelli di PTH, l'iperparatiroidismo secondario non sembra essere l'unica causa della perdita ossea nel campione di pazienti. Infatti, l'NTx e lo “Z-score” della massa ossea rilevati nei pazienti non correlano con i livelli di PTH, ma correlano con una serie di citochine stimolatorie degli osteoclasti. Inoltre, la concentrazione di PTH nel siero dei pazienti non correla con i livelli di citochine suggerendo che queste non derivano da una risposta all'aumentato PTH. Gli alti, ma ancora nella norma, livelli di calcio escreto osservati nei pazienti non a dieta, 25 fanno ipotizzare che l'aumentato riassorbimento osseo possa essere la causa principale della bassa densità ossea. Infatti, se ci fosse un non corretto assorbimento di calcio a causa di un danno agli enterociti, l'escrezione di calcio dovrebbe risultare ridotta nei pazienti non a dieta. Ciò accade generalmente nei pazienti celiaci che presentano sintomi intestinali evidenti, nei quali sono facilmente osservabili bassi livelli di calcio e alti livelli di PTH. Quindi, nel loro insieme, le osservazioni degli autori favoriscono l'ipotesi che lo sbilanciamento di citochine sia un importante fattore che contribuisce all'aumento del riassorbimento osseo e alla conseguente perdita di massa ossea nel gruppo di pazienti. Esperimenti in vitro mostrano che i sieri dei pazienti celiaci agiscono direttamente sia sugli osteoclasti che sugli osteoblasti, in particolare, alti livelli misurati di NTx nei pazienti sembrano confermare la maggiore influenza dei fattori sierici dei pazienti celiaci sugli osteoclasti piuttosto che sugli osteoblasti. Il fatto che l'osteoclastogenesi fosse stimolata in presenza di concentrazioni subottimali di RANKL ha fatto ipotizzare che questo regolatore potesse essere alterato nei pazienti oggetto di studio. Inoltre, sembra che l'accellerazione della perdita d'osso nei pazienti celiaci sia dovuta ad una diminuizione dei livelli di IL-12 e IL-18. Entrambe le citochine partecipano alla produzione di altri fattori inibitori dell'osteoclastogenesi(24,25); l'IL-18, ad esempio, agisce sui linfociti T stimolandoli a produrre e rilasciare il GM-CSF(35) ed entrambe le citochine collaborano alla produzione dell'IFN-y(36,37). Il GM-CSF e i membri della famiglia degli IFN sono noti per il loro effetto inibitorio nei confronti dell'osteoclastogenesi. Da notare che i livelli nei sieri di queste due citochine sono diversi nei pazienti celiaci a dieta e non a dieta e di conseguenza diverso sarà il contributo di ciascuna citochina all'osteoclastogenesi complessiva. Il metabolismo osteo-calcico e la dieta priva di glutine Lo sviluppo di alterazioni del tessuto osseo e, in particolare, della osteoporosi, si associa ad un aumentato rischio di fratture, con conseguenze comprensibili in termini di morbilità e di mortalità della popolazione. E' dunque importante valutare se nel paziente celiaco la presenza di un processo di demineralizzazione ossea può essere corretto o, comunque, arrestato nella sua evoluzione mediante l'avvio della dieta aglutinata. L'obiettivo principale del trattamento pertanto è quello di ripristinare una normale mucosa intestinale, in modo tale che i meccanismi che favoriscono l'assorbimento del calcio riprendano la loro piena funzionalità. Età adulta Nei differenti studi relativi alla valutazione del metabolismo osseo negli adulti sono stati riscontrati elevati livelli sia degli indicatori di formazione che di riassorbimento osseo: tali risultati sono stati attribuiti ad un incremento del metabolismo osseo conseguente all'iperparatiroidismo secondario al malassorbimento e, come detto prima, non solo. Dopo l'inizio della dieta aglutinata si osserva la riduzione di entrambi i markers probabilmente in relazione alla normalizzazione della secrezione di PTH(15). E' noto, ormai, che il trattamento della malattia celiaca con una dieta priva di glutine rigorosa può migliorare le alterazioni ossee riducendo il grado di osteopenia ed osteoporosi, arrestandone la progressione e riducendo il rischio di fratture(38,13,15). Tuttavia, i dati 26 ottenuti negli adulti risultano discordanti: la maggior parte degli Autori ha, infatti, riportato come negli adulti celiaci trattati il contenuto minerale osseo si mantenga sotto la media normale anche dopo anni dall'inizio della dieta(39). Alcuni studi, invece, hanno rilevato valori di contenuto minerale osseo normali in adulti in dieta da molti anni(40). Tali discrepanze potrebbero essere ascritte anche ai fisiologici cambiamenti della massa ossea durante la vita che dipendono dal picco di massa ossea raggiunto in adolescenza e dalle successive perdite che sono i maggiori determinanti dell'osteoporosi(41). Età pediatrica Gli studi che si sono occupati della valutazione delle alterazioni del metabolismo osseo nei bambini celiaci non trattati hanno raggiunto differenti risultati rispetto ai dati ottenuti nella valutazione degli adulti. Nel bambino celiaco, infatti, risultano ridotti gli indicatori di apposizione ossea, a significare una ridotta attività osteoblastica che si associa ad un incremento dell'attività di riassorbimento osseo indicato da elevati markers del catabolismo. La dieta iniziata in età pediatrica comporta già dopo pochi mesi (3 mesi) l'incremento dei markers di formazione, che risultano addirittura maggiori rispetto ai valori normali, mentre non induce modifiche negli indicatori di riassorbimento osseo nemmeno a lungo termine(15). Ne consegue, quindi, un aumentato metabolismo osseo. La patogenesi dell'osteopenia nel paziente celiaco pediatrico non trattato sembrerebbe, quindi, differire da quella dell'adulto: gli studi effettuati sui bambini, infatti, non rilevano l'incremento del paratormone evidenziato, invece, negli adulti. L'ipotesi avanzata è quella di un elemento, ancora non ben identificato, che alteri la normale regolazione del modellamento osseo(15). Alcuni dati suggeriscono un possibile ruolo di interleuchine (IL-1 e IL-6) ed autoanticorpi anti-osso che nel bambino sembrerebbero giocare un ruolo maggiore rispetto alle alterazioni nutrizionali nella genesi dell'osteopenia celiaca-correlata(42,43). Gli studi relativi al contenuto minerale osseo nel bambino affetto da celiachia hanno mostrato un ritorno a valori normali entro un anno dall'inizio della dieta priva di glutine, con conseguente incremento dell'altezza e del peso(11,12,15). La dieta aglutinata ha, inoltre, mostrato di essere sufficiente da sola, senza supplementazioni orali di calcio e vitamina D, al raggiungimento di un normale contenuto minerale e, conseguentemente, di un valido picco di massa ossea. Conclusioni Le alterazioni della mucosa duodeno-digiunale tipiche della enteropatia da glutine favoriscono lo sviluppo di alterazioni del metabolismo osteo-calcico che, in alcuni casi, possono condurre al progressivo deterioramento del tessuto osseo, fino alla realizzazione di un quadro di osteopenia e/o osteoporosi. La recente disponibilità di indagini biochimiche e strumentali ha consentito di evidenziare che tali problematiche sono di frequente riscontro, potendo rappresentare non solo una delle alterazioni metaboliche presenti al momento della diagnosi ma, soprattutto nel soggetto adulto, l'unica modalità di espressione di una MC non trattata. L'avvio della dieta priva di glutine, ripristinando completamente la mucosa intestinale, consente un miglioramento dei parametri bioumorali e densitometrici 27 del metabolismo osseo e, in alcuni casi, anche la normalizzazione completa degli stessi. Per tale motivo e data l'esistenza di una correlazione inversa tra densità ossea e rischio di fratture, è facilmente comprensibile come l'individuazione di una celiachia non trattata rivesta un importante ruolo preventivo. Sono tuttavia necessarie ulteriori indagini epidemiologiche in gruppi numericamente ampi di pazienti affetti da osteopenia e/o osteoporosi, al fine di definire meglio se una MC non diagnosticata rappresenti un fattore di rischio significativo per lo sviluppo della patologia ossea in questione. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. Mazure R, Vazquez H, Gonzalez D, Mautalen C, Pedreira S, Boerr L, Bai JC. 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Questa condizione è la più frequente, di natura benigna, clinicamente silente, forse mediata da una risposta immunitaria, e risolvibile con una dieta priva di glutine; • infiammazione cronica epatica di tipo autoimmune: di solito rappresentata da epatite autoimmune oppure, a volte, da cirrosi biliare primitiva e/o da colangite sclerosante primitiva. Queste patologie, comunque meno frequenti, necessitano di una specifica terapia immunosoppressiva, in quanto è stato evidenziato che una dieta aglutinata risulta essere poco efficace(3); • raramente possono comparire altri tipi di lesioni epatiche quali, ad esempio, iperplasia nodulare rigenerativa e carcinoma epatocellulare(4). Aspetti clinico-epidemiologici La prima segnalazione di complicazione epatica nella MC risale al 1977 quando Hagander et al.(5) rilevarono, alla diagnosi, una ipertransaminasemia in 30 su 75 (40%) pazienti celiaci non trattati, nella maggior parte dei casi reversibile con una dieta priva di glutine. Dieci anni dopo fu descritto un aumento dell'attività dell'enzima aminotransferasi anche in 39 su 65 (60%) bambini con intolleranza al glutine e sintomi gastrointestinali(6). Nello stesso anno fu riportato il caso di una giovane ragazza che presentava un persistente e criptogenico aumento di aminotransferasi seriche ed una lieve infiammazione del tratto portale. In questo caso la diagnosi di celiachia fu suggerita da un'elevata presenza di anticorpi antireticolina, a dimostrazione del fatto che la malattia può presentarsi anche atipicamente come un criptogenico disordine epatico(7). Due successivi studi retrospettivi confermarono tale ipotesi, evidenziando che più del 9% dei pazienti, caratterizzati da una persistente e criptogenetica elevata attività di aminotransferasi serica, risultavano affetti da una asintomatica malattia celiachia(8,9). Questa condizione, oggi conosciuta come coeliac hepatitis(2,3), è caratterizzata da: • assenza di epatomegalia, splenomegalia o di qualunque segno clinico che possa suggerire una malattia cronica epatica; • assenza di ipergammaglobulinemia e di anticorpi nel siero (con l'eccezione degli antitransglutaminasi specifiche per la MC); • presenza di una lieve infiammazione a livello del tratto globulare e portale, reversibile con una dieta priva di glutine. 31 Una diagnosi alternativa va presa in considerazione nel caso in cui non si abbia una risposta, oltre i dodici mesi di trattamento dietetico(10). L'ipertransaminasemia può, infatti, nascondere un danno epatico severo(5,11). In questi casi le analisi istologiche potrebbero evidenziare un disturbo epatico di tipo autoimmune caratterizzato da cirrosi biliare primitiva (PBC) e/o da colangite sclerosante primitiva (PSC) ed epatiti autoimmuni(10). Un studio(12) condotto su 4732 pazienti adulti affetti da malattia celiaca ha dimostrato un rischio tre volte superiore di sviluppare PBC e PSC rispetto a quello stimato nei soggetti sani. Inoltre, recentemente, sono stati descritti due casi di iperplasia rigenerativa nodulare (NRH)(13) in individui affetti da enteropatia da glutine che presentavano anticorpi IgA anticardiolipina (aCL). E' stato suggerito che celluleT-help derivanti dalle T-cellule specifiche per il glutine inneschino una risposta anticorpale IgA diretta sia contro la transglutaminasi, sia contro i complessi proteina/fosfolipide determinando la formazione di IgA aCL. Tali complessi provocano trombosi a livello delle piccole radicule della vena porta, causando, così, iperplasia del tessuto circostante(13). Nella tabella 1 sono riportati i dati più significativi ottenuti da alcuni studi relativi all'associazione tra malattia celiaca e disturbi epatici: Tabella 1. Prevalenza di celiachia in pazienti con malattie epatiche. Autore Bardella et al. 1999(9) Volta et al. 2001(16) Gillette t al. 2000(17) Volta et al. 2002(18) Francavilla et al. 2001(19) Villalta et al. 2005(20) Disturbo epatico No pazienti Nr. pazienti con MC (%) Ipertransaminasemia 200 9.3 Ipertransaminasemia 110 9.1 Cirrosi biliare primitiva 378 2.6 Cirrosi biliare primitiva 173 4 Epatiti autoimmuni 96 3.4 Epatiti autoimmuni 47 6.4 Patogenesi II meccanismo patogenetico alla base del danno epatico in pazienti celiaci non è ancora del tutto chiaro. I differenti tipi di patologie precedentemente descritti possono rappresentare un ampio spettro di un medesimo disturbo nel quale singoli fattori, come la predisposizione genetica e la durata di esposizione al glutine, possono influenzare la reversibilità del danno epatico(4). Disturbi autoimmuni del fegato e malattia celiaca condividono, in effetti, aplotipi HLA di classe II. Nella popolazione caucasica, sono stati identificati due aplotipi come markers predisponenti alle epatiti autoimmuni: il complesso HLA A1 B8 DR3 e l'aplotipo HLA DR4. Similmente, specifici antigeni HLA di classe II come HLADR3, in particolare la molecola HLA-DQ2 e HLA DR4, conferiscono predisposizione genetica alla malattia celiaca(3,1). Inoltre, i pazienti con malattia celiaca presentano un'aumentata permeabilità intestinale che può facilitare l'assorbimento di antigeni dall'intestino. L'incrementata permeabilità agli antigeni potrebbe indurre, in individui geneticamente predisposti, una risposta immunitaria sia contro antigeni che condividono epitopi comuni alle stesse 32 proteine epatiche e/o contro antigeni criptici smascherati dalla reazione con la gliadina(4). Inoltre, Novacek(14) et al. hanno trovato una stretta correlazione tra l'indice di permeabilità intestinale ed i livelli serici di transaminasi. E' risaputo, infine, che il danno mucosale nei pazienti celiaci conduce all'esposizione dell'enzima tissutale transglutaminasi, l'antigene bersaglio riconosciuto dagli anticorpi anti-endomisio. L'ipotesi che questo anticorpo possa giocare un ruolo nelle manifestazioni extraintestinali della MC, e particolarmente nei disturbi epatici, è supportata da una recente scoperta di deposito extracellulare di anticorpi anti-transglutaminasi tissutali di classe IgA in biopsie di fegato di due pazienti con malattia celiaca in fase attiva(15). Conclusioni La forte associazione tra malattia celiaca e disturbi epatici impone un'efficace azione di screening ed un'attenta sorveglianza nei confronti della prima. Infatti, risulta ancora alto il numero di pazienti celiaci con malattia non diagnosticata e non trattata, e l'enteropatia da glutine, complicata da disturbi subclinici al fegato, può nella maggior parte dei casi, condurre ad una forma più grave di danno epatico. Poiché alcune di queste alterazioni risultano reversibili, si ritiene molto importante una diagnosi tempestiva e l'adozione di una opportuna dieta priva di glutine. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Davison S. Coeliac disease and liver dysfunction. Arch Dis Child 2002;87:293-296. Bridoux-Henno L, Dabadie A, Briard D, et al. A case of celiac disease presenting with autoimmune hepatitis and erythroblastopenia. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2001;33:616-619. Maggiore G and Caprai S. The liver in celiac disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2003;37:117-119. Maggiore G and Caprai S. Liver involvement in celiac disease. Indian J Pediatr 2006;73:809-811. Hagander B, Brandt L, Sjolund K, et al. Hepatic injury in adult celiac disease. Lancet 1977;12:270-272. Bonamico M, Pitzalis G, Culasso F, et al. Il danno epatico nella malattia celiaca del bambino. Minerva Pediatr 1986;38:959-62. G. Maggiore, C. De Giacomo, M. Scotta, et al. 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Nella tabella 1 sono riportati i dati ottenuti da un recente studio(2) relativo alla valutazione della incidenza della malattia celiaca in due grandi popolazioni Europee: una rappresentata da pazienti con NHL e l'altra rappresentata da controlli. Tabella 1. Odds ratio per NHL in pazienti con e senza malattia celiaca(2). NHL Non-CD Olanda 310 Italia 338 UK (Derby) 128 UK (London) 25 Svezia 93 Finlandia 37 Islanda (Dublin e Belfast) 87 Irlanda 38 Spagna 193 Francia 74 Polonia 84 Jugoslavia 22 Totale 1429 Gruppi di lavoro CD 7 1 2 0 2 1 2 1 1 0 0 0 17 Controlli Non-CD CD 1009 2 3262 18 451 3 0 0 1883 10 59 0 1800 11 75 0 241 3 491 1 276 0 59 1 9606 49 Odds ratio 11.04 0.05 2.03 4.00 3.08 0.04 2.06 Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori Italiani ha analizzato il tasso di mortalità tra più di 1000 malati di celiachia, diagnosticati tra il 1962 ed il 1994, e su oltre 3300 loro parenti di primo grado. Lo studio ha permesso di evidenziare che il 35 tasso di mortalità (Tabella 2) è significativamente in eccesso rispetto all'atteso (53 i morti contro i 26 attesi), soprattutto nei primi tre anni dopo la diagnosi, nei pazienti che presentano sintomi di malnutrizione e non in quelli con sintomi minori. La mortalità appare correlata al ritardo con cui viene effettuata la diagnosi e quindi il cambiamento di dieta, e la causa principale di morte è lo sviluppo di linfoma. L'eccesso di mortalità non riguarda, invece, i parenti di primo grado(10). Tabella 2. Tasso di mortalità tra pazienti celiaci. Pazienti Caratteristiche Sesso Uomini Donne Età alla diagnosi (anni) 18-29 30-49 =50 Aderenza alla dieta GFD Buona Non buona Incerta 1072 Decessi osservati 53 Decessi aspettati 25.9 SMR (95%CI) 2.0 258 814 22 31 11.0 14.9 2.0 2.1 373 507 192 3 14 36 1.2 5.9 18.8 2.5 2.4 1.9 627 155 290 5 26 22 10.5 4.3 11.1 0.5 6.0 2.0 Quadri clinici Dal punto di vista istologico, il tipo di linfoma più frequentemente riscontrato nei pazienti celiaci è rappresentato dal linfoma T-cell non-Hodgkin classificato dalla WHO con il termine ETL (enteropathy-type T-cell lymphoma)(11), caratterizzato da una proliferazione clonale di linfociti intra-epiteliali fenotipicamente anomali (IELs)(12,13). Tale condizione neoplasica si può instaurare in un paziente celiaco a dieta aglutinata non rigorosa e si presenta in modo insidioso come progressivo peggioramento delle condizioni del paziente con malessere, anoressia, calo ponderale, diarrea e febbricola, ma l'esordio può essere più tumultuoso e non di rado complicato da un'occlusione intestinale con addome acuto o una perforazione. Alcuni studi, inoltre, hanno evidenziato un'attivazione del tessuto linfoide associato alla mucosa (MALT) anche a livello gastrico (gastrite follicolare) che potrebbe incrementare il rischio di MALT-oma gastrico a basso grado di malignità(14). L'adenocarcinoma del piccolo intestino rappresenta, dopo il linfoma, la neoplasia più frequentemente associata ad enteropatia da glutine(15). La modalità di presentazione clinica più comune è rappresentata dall'anemia; altre manifestazioni cliniche comprendono calo ponderale, dolore addominale ed ostruzione intestinale(11). Il rilievo di una massa alla palpazione addominale è 36 fortemente suggestivo per un adenocarcinoma, la cui diagnosi peraltro presenta meno difficoltà, rispetto a quella del linfoma. Infatti, se la neoplasia è localizzata nella parte alta dell'apparato gastroenterico, l'esame endoscopico consente di identificarne con precisione la sede. Nel caso in cui, invece, la patologia neoplastica presenti una localizzazione più bassa, le indagini radiologiche sono in grado di individuare direttamente il tumore o quanto meno di evidenziarne i segni indiretti (ostruzione intestinale)(11,16). Eziopatogenesi II motivo per cui alcuni pazienti affetti da MC sviluppano una patologia neoplastica permane ancora oscuro; tuttavia, diverse sono le ipotesi formulate:(17,18) - compromissione della normale funzionalità del sistema immunitario e, in particolare, dell'immunità cellulo-mediata, conseguente alla atrofia della mucosa intestinale e, quindi, allo stato di malnutrizione cronica; - infiammazione cronica, stimolazione antigenica cronica e rilascio di citochine proinfiammatorie; - passaggio di sostanze potenzialmente cancerogene, dovuto alla estrema permeabilità della mucosa intestinale; - riscontro nella mucosa intestinale di celiaci non trattati di lesioni con caratteristiche di premalignità, quali l'aumento della attività mitotica nelle cripte Tabella 3. Rischio di neoplasie e dermatite erpetiforme (DH). Autore Pazienti con DH(n) Neoplasie (n) RR (Relative Risk) Sigurgeirsson B et al. 1994(19) 976 94 1.4 M 1.2 F Collin P et al. 1996(20) 305 13 1.25 Askling J et al. 2002(5) 1128 135 1.2 Dieta priva di glutine e rischio di neoplasie Nei soggetti con MC, l'eliminazione del glutine dalla dieta consente il progressivo e completo ripristino della normale architettura mucosale. Nella quasi totalità dei casi, inoltre, la reintroduzione del glutine determina la ricomparsa di una atrofia della mucosa intestinale di grado più o meno severo che, sulla base delle alterazioni cellulari precedentemente esposte, potrebbe favorire l'insorgenza di una patologia neoplastica. È ragionevole quindi pensare che il mantenimento di una mucosa intestinale normale, attraverso una rigorosa aderenza alla dieta priva di glutine, possa rappresentare un fattore di prevenzione per l'insorgenza dei tumori. A tale proposito, i risultati di alcuni studi(10,21) hanno evidenziato che il rischio di neoplasia nei celiaci che avevano seguito rigorosamente la dieta priva di glutine per 5 o più anni consecutivi non era superiore rispetto alla popolazione generale; tale rischio, invece, era significativamente aumentato nei pazienti con MC che praticavano una dieta libera o con ridotto contenuto di glutine. 37 Conclusioni II rapporto tra MC e neoplasie, qualunque siano il loro tipo (linfomi e non) e la loro sede (intestinale ed extraintestinale), è un dato ormai acquisito. Non è stato ancora possibile, tuttavia, individuare i parametri sierologici e/o istologici specifici che consentano di riconoscere precocemente quali siano i celiaci a rischio di sviluppare una complicanza tumorale. Inoltre, non è ancora noto quanto il fattore di rischio celiachia incida nel favorire la comparsa di neoplasie. I dati che emergono dalla letteratura, tuttavia, sembrano suffragare fortemente l'ipotesi che una enteropatia da glutine non trattata espone ad un rischio maggiore di patologia tumorale. Allo stato attuale, pertanto, la maggior parte degli Autori concorda nel suggerire, a tutti i pazienti con MC, il trattamento dietetico di esclusione del glutine che, in tali casi, assume dunque un significato soprattutto preventivo. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. KR Gough, AE Read, JM Niash, Intestinal reticulosis as a complication of idiopathic steatorrhoea. Gut 1962; 3: 232-9. ML Mearin, C Catassi, N Brousse, et al. European multi-centre study on coeliac disease and non-hodgkin lymphoma. Eur J Gastroenterol Hepatol 2006;18:187-94. ML Mearin, A Ivarsson, W Dickey. Coeliac disease: is it time for mass screening? Best Pract Res Clin Gastroenterol 2005:3:441-52. C Catassi, E Fabiani, G Corrao, et al. 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Tale problematica non soltanto può accompagnarsi ad altri segni e/o sintomi tipici della MC, ma spesso rappresenta anche l'unica modalità di esordio della enteropatia da glutine(4,7,8). Epidemiologia La prevalenza della associazione tra MC e disturbi neuro-comportamentali è di difficile valutazione e piuttosto variabile. Le segnalazioni maggiori riguardano l'associazione tra celiachia ed atassia cerebellare(4,2,9,10), neuropatia sensitivomotoria ed autonomica(11), epilessia(12-17), demenza, cefalea, ansia, irritabilità e depressione(11,18-21). In passato Cooke e Smith(22) presentarono per la prima volta un gruppo di 16 pazienti celiaci con andatura atassica e neuropatia periferica. In seguito un gruppo di neurologi inglesi, che già nel 1996(1) aveva posto attenzione sull'elevata prevalenza (57%) di malattia celiaca misconosciuta in soggetti con patologia neurologica, rappresentata nella maggior parte di loro da quadri atassici, ha definito, più di recente, tale condizione come “andatura atassica” (gait ataxia)(23), spesso associata ad una neuropatia periferica con segni di atrofia cerebellare. Nei soggetti affetti da tale patologia si riscontrano sempre segni di risposta immunologica al glutine (AGA)(9,10,24-26), con autoanticorpi diretti contro le cellule del Purkinje(6), con positività per gli antigeni del sistema HLA specifici per la malattia celiaca(27), ma solo nella metà dei casi si evidenziano le classiche lesioni istologiche a livello della mucosa intestinale. La durata dell'esposizione al glutine appare direttamente correlata alla gravità dell'atassia ed indirettamente all'efficacia di un trattamento con dieta priva di glutine per una regressione dei sintomi(7,28-30). Risale, invece, al 1970(31) la prima evidente associazione tra malattia celiaca e calcificazioni endocraniche a sede occipitale ed epilessia, successivamente confermata da numerosi ulteriori studi(12-17). Si tratta di calcificazioni di origine vascolare a struttura serpiginosa. Prima che la sindrome fosse definitivamente riconosciuta, alcuni casi venivano classificati come sindrome di Sturge-Weber atipica data la somiglianza, all'indagine tomografica, delle calcificazioni cerebrali con il reperto osservato nella vera malattia di SturgeWeber, ma con assenza di angioma facciale e di ritardo mentale. Dal punto di vista clinico i soggetti si presentano con quadri di epilessia parziale occipitale, spesso resistente ai farmaci, senza chiari segni di malassorbimento. Anche per questa relazione è stata avanzata l'ipotesi autoimmune. C'è più di un'evidenza che una dieta povera di glutine determini un miglior controllo delle crisi ed una riduzione dell'uso dei farmaci antiepilettici, ma non comporti una completa risoluzione della crisi(32). 39 Un recente studio israeliano(33), poi, ha documentato che uno o più disordini neurologici comuni (quali ipotonia, il ritardo di sviluppo, i disturbi dell'apprendimento, il deficit di attenzione con iperattività, la cefalea, e la stessa atassia cerebellare) sono presenti nel 51.4% dei bambini celiaci, prevalenza significativamente superiore a quella riscontrata nella popolazione di controllo (19.9%). Lo studio mette chiaramente in evidenza l'efficacia della dieta priva di glutine almeno sull'ipotonia dei lattanti e sulla cefalea di tipo emicranico. Infine, in altri studi clinici, è emerso che i bambini affetti da autismo presentano delle alterazioni istologiche dell'intestino simili ai pazienti affetti da malattia celiaca, anche se una diretta associazione tra autismo e celiachia non è mai stata dimostrata. Contrastanti risultano essere, inoltre, i dati relativi ad un'efficacia di una dieta priva di glutine nei bambini autistici(6). Le tabelle 1 e 2 riportano i dati principali relativi alla frequenza di tale problematica, sia in soggetti adulti che in età pediatrica. Tabella 1. Prevalenza dei disturbi neuro-comportamentali in soggetti con MC. Autore Pazienti celiaci (n) Disturbi neurologici (%) Disturbi comport. (%) Luostarinen L et al. 1999(4) 144 7 Roche-Herrero MC et al.2001(34) 86 39.5 10 Cicarelli G et al. 2003(11) 176 49 Zeinik N et al. 2004(8) 111 51.4 Tabella 2. Prevalenza della MC in soggetti con disturbi neurocomportamentali. Autore Pazienti con disturbi neuro-comportam. (n) Luostarinen L et al., 1999(4) 24 Pellecchia MT et al.1999(9) 24 Burk K et al., 2001(10) 104 (25) Bushara KO et al. 2001 50 Gabrielli M et al. 2003(35) 90 Chin RL et al. 2003(36) 20 Malattia Celiaca (%) 16.7 12.5 1.9 24-37 4.4 8 Aspetti clinici La patologia neuro-comportamentale descritta nei pazienti con MC comprende quadri clinici piuttosto eterogenei, variabili in relazione al tipo di patologia ed all'età del paziente. Nelle tabelle 3 e 4 sono riportati i disturbi neurologici e le modificazioni comportamentali più frequentemente osservati negli adulti e nei bambini con MC. 40 Tabella 3. Disturbi neurologici nei soggetti con MC. Età adulta Atassia(4,2,9,10) Neuropatia periferica(11) Epilessia(15-17) Demenza presenile(6) Patologia cerebellare(37) Emicrania(35) Età pediatrica Epilessia(14,37) Autismo(6) Emicrania(33) Tabella 4. Alterazioni della personalità e del comportamento nei soggetti con MC(11,20,21,33). Età adulta Depressione Ansietà Schizofrenia Età pediatrica Irritabilità Apatia Per quanto riguarda le possibili complicanze psichiatriche, la depressione risulta essere quella più frequente(20,21), in particolare negli adulti. In età pediatrica, gli studi effettuati a questo proposito non sono molti, dal momento che una valutazione standardizzata della capacità cognitivo-comportamentali del bambino risulta abbastanza complessa. Tuttavia, le segnalazioni più importanti riguardano soprattutto i disturbi del comportamento, quali irritabilità ed apatia(19). Patogenesi La natura dell'associazione tra malattia celiaca e manifestazioni neurologiche non è ancora chiaramente definita e differenti meccanismi possono essere coinvolti: Patologia del sistema nervoso periferico Deficit di folati, di vitamina B12 e di piridossina, secondari al malassorbimento intestinale(38). Patologia degenerativa a carico del SNC Deficit di vitamina E da malassorbimento di lipidi(39). I dati disponibili, tuttavia, sono abbastanza contradditori, dal momento che sintomi relativi ad un coinvolgimento del tessuto cerebellare si riscontrano anche in soggetti con normali livelli sierici di vitamina E. Negli ultimi dieci anni, un numero sempre maggiore di autori ha avanzato l'ipotesi che, nella maggior parte dei pazienti, un costante processo infiammatorio immuno-mediato, l'infiltrazione linfocitaria, o una vascolite del sistema nervoso centrale possono essere causa di un danno irreversibile neuronale, gliale, o assonale(8). 41 Epilessia e calcificazioni cerebrali Deficit di acido folico da malassorbimento intestinale(40), con conseguente alterazione del metabolismo delle lecitine, costituenti fondamentali della mielina, e mielinizzazione microangiopatica dei vasi della corteccia cerebrale e dei nuclei della base, con depositi calcifici nella matrice organica alterata. Tale ipotesi è quanto mai suggestiva e consentirebbe pertanto di spiegare il nesso causale tra malassorbimento e formazione delle calcificazioni cerebrali. Tuttavia, epilessia e calcificazioni cerebrali si possono osservare anche in soggetti senza celiachia e con livelli sierici di acido folico normali(41). - Ipotesi immunologica(42). Dal momento che la MC si può associare a diversi disordini autoimmuni, non è possibile escludere che le calcificazioni cerebrali dipendano da un processo autoimmunitario o da un processo infiammatorio correlato alla presenza di complessi immuni. Un meccanismo patogenetico di tipo immunitario è stato preso in considerazione anche nella interpretazione di disturbi neurologici più complessi, quali la demenza e l'atrofia cerebrale. - L'associazione MC, epilessia e calcificazioni cerebrali potrebbe far parte di una sindrome geneticamente determinata(27). Disturbi comportamentali Alterata concentrazione degli aminoacidi. Studi recenti, infatti, hanno osservato che i bambini con MC, sia trattata che non, presentano, rispetto ai controlli, ridotte concentrazioni plasmatiche di tirosina e di triptofano(6). Conclusioni L'associazione tra patologia neuro-psichiatrica e MC molto probabilmente è più comune di quanto pensato e, spesso, i disturbi neuro-comportamentali rappresentano l'unico sintomo/segno di un malassorbimento intestinale. Nei pazienti con quadri clinici evocativi per una patologia a carico del sistema nervoso centrale e/o periferico ed in quelli con disturbi comportamentali, è necessario effettuare una indagine anamnestica accurata allo scopo di rilevare eventuali elementi clinici e/o bioumorali evocativi per una enteropatia da glutine. Una attenzione particolare, inoltre, dovrebbe essere posta a quei soggetti con episodi critici (epilessia) scarsamente responsivi alla terapia anticomiziale. Sebbene i soggetti con MC e disturbi neuro-comportamentali presentino spesso un quadro clinico sfumato, viene loro comunque suggerito il trattamento con dieta priva di glutine. Nella maggior parte dei pazienti con epilessia, infatti, questo intervento terapeutico è in grado di influenzare positivamente l'evoluzione del problema neurologico, dal momento che al ripristino della funzione assorbitiva intestinale segue una migliore risposta alla terapia farmacologica e, quindi, una riduzione nella frequenza e nella intensità delle crisi. 42 Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 31. 32. M Hadjivassiliou, A Gibson, GAB Davies-Jones, AJ Lobo, TJ Stephenson, A Milford-Ward. Does cryptic gluten sensitivity play a part in neurological illness? Lancet 1996;347:369-71. GKT Holmes. Neurological and psychiatric complications in coeliac disease. In: G Gobbi, F Andermann, S Naccarto, G Banchini, editors. 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U Volta, R De Giorgio, A Granito, et al. Anti-ganglioside antibodies in coeliac disease with neurological disorders. Dig Liv Dis 2006;38:183-7. 44 Patologia riproduttiva e malattia celiaca Introduzione La malattia celiaca (MC) rappresenta un importante fattore di rischio riproduttivo per entrambi i sessi evidenziando problemi legati alle carenze alimentari che possono interagire, con meccanismi diversi, con i sistemi endocrino ed immunitario sia della donna che dell'uomo(1). Aspetti clinico-epidemiologici Dall'esame degli studi clinici ed epidemiologici disponibili in letteratura, si ottiene un quadro coerente del complesso dei disturbi riproduttivi che fanno parte della MC. Le alterazioni riproduttive più frequentemente riscontrate nelle donne affette da MC sono: infertilità(2,3), aborti spontanei(4), amenorrea e ridotta durata della vita riproduttiva (ritardo nella comparsa della prima mestruazione, menopausa precoce)(5-8); inoltre non sono esclusi i ritardi di crescita fetale intrauterina(10). Infertilità In uno studio caso-controllo su donne con infertilità(2) per cause inspiegate, il 4.1% (4 su 98 pazienti) dei casi era affetto da MC rispetto a 0 su 150 controlli. Anche studi più recenti hanno confermato una più alta incidenza di MC nelle donne con problemi di infertilità(3).Sembra, quindi, possibile che in alcune pazienti, l'infertilità inspiegata possa essere conseguenza di una malattia clinicamente silente, costituendone il primo e, talvolta, unico sintomo. La correlazione tra infertilità e malattia celiaca rimane, tuttavia, ancora un argomento controverso; dai risultati di un recente studio(9), infatti, si evince che le donne affette da celiachia hanno una fertilità simile a quella della popolazione femminile generale, ma ad una età più avanzata. Sono state, infatti, confrontati i dati di 1521 donne celiache con quelli di 7732 donne non celiache. La percentuale è stata di 48.2 e di 47.7 parti vivi per 1000 persone-anno per le donne con celiachia e per le donne non celiache rispettivamente. La percentuale di fertilità, specifica per età, ha evidenziato che le donne celiache hanno una fertilità inferiore se più giovani, ma hanno una fertilità maggiore se più anziane rispetto alle donne non celiache. Questo incremento della fertilità relativa con l'aumentare dell'età si è mantenuto nonostante che le donne si fossero sottoposte o meno a trattamento della malattia celiaca. Infine, la minore fertilità nelle donne celiache potrebbe non essere correlata alle difficoltà di concepimento ma ai problemi che insorgono durante la gestazione, quali l'aborto ripetuto e la morte intrauterina. Aborto spontaneo Uno studio su celiache non trattate(4), ha riportato una prevalenza di aborti pari al 17.8%, che è stato dimostrato ridursi al 2.4% se viene instaurato un regime dietetico adeguato. Questa differenza è ancora più marcata se si prendono in 45 considerazione le sole pazienti con aborto ripetuto, nelle quali la dieta priva di glutine è in grado di ridurre il rischio di ben nove volte (43.3% vs. 7.7%). Quindi, come sottolineato da altri autori(10), sarebbe importante sottoporre a test clinici per la MC, donne che presentano una storia di aborti multipli. Menarca ed alterazioni del ciclo mestruale Le donne con malattia celiaca, anche in forma subclinica, hanno il menarca in età più avanzata. In uno studio(5) caso-controllo eseguito nel 1990 in Italia su 180 donne, aveva osservato che il menarca nella popolazione affetta avviene in media a 13.5 anni, mentre nei soggetti normali questo evento si presenta all'età di 12 anni. Recentemente(6), analizzando la storia mestruale di 200 donne brasiliane, è stato osservato un significativo ritardo dell'età di comparsa del menarca nelle celiache, rispetto al gruppo di controllo, costituito da pazienti con sindrome del colon irritabile. Tale differenza, seppur più evidente nei soggetti con grave stato nutrizionale, era presente anche in coloro che presentavano un corretto stato nutrizionale, ma che continuavano ad assumere glutine. Nei pazienti celiaci non a dieta priva di glutine è stata riscontrata, inoltre, una maggiore frequenza di amenorrea secondaria. Nello studio di Molteni(5), un'amenorrea secondaria era presente nel 38.8% delle donne con malattia non trattata, contro il 9.2% delle donne non celiache usate come controlli. Nello studio di Kotze(6) era presente nel 28% delle donne celiache, con una prevalenza diversa a seconda dell'aderenza o meno alla dieta senza glutine (rispettivamente 12.5% e 30.0%) ed indipendentemente dallo stato nutrizionale. Questi dati risultano importanti considerando che, uno studio di Eastell(7) ha indicato una precedente amenorrea tra i fattori di rischio di osteoporosi postmenopausale nelle donne. Età alla menopausa Un esempio è fornito dalla ricerca di Sher e Mayberry(8) in cui l'età media delle donne con MC era più precoce (circa 47.6 anni) rispetto alle donne non celiache usate come controlli (circa 50.1 anni). Tale dato ci deve far riflettere sul fatto che, abbassandosi l'età della menopausa nelle donne con MC, aumenta anche il rischio di andare incontro ad osteoporosi più precocemente; infatti Eastell(7), come per l'amenorrea, l'annovera tra i fattori di rischio di osteoporosi. Risultati sfavorevoli della gravidanza Studi epidemiologici dimostrano che bimbi nati da donne celiache presentano maggiore rischio di basso peso alla nascita e maggior rischio di ritardi di crescita fetale intrauterina. Recenti studi, inoltre, hanno messo in evidenza come tali disturbi della sfera riproduttiva femminile risultino più frequenti tra le donne celiache per le quali la malattia risulta non diagnosticata(11,12) (Tabella 1) e come il ripristino della mucosa intestinale determini un miglioramento del supporto nutrizionale fetale che si riflette anche sul complessivo esito perinatale(13). 46 Tabella 1. Esiti sfavorevoli della gravidanza. Percentuale con risultati sfavorevoli In gravidanza N (%) IUGRa No CD 88073/2806297 (3.1) CD non diagnosticata 51/923 (5.5) CD diagnosticata 39/1141 (3.4) Basso peso alla nascitab No CD 95531/2814664 (3.4) CD non diagnosticata 65/926 (7.0) CD diagnosticata 47/1147 (4.1) Estremamente basso peso alla nascitac No CD 14567/2814664 (0.5) CD non diagnosticata 11/926 (1.2) CD diagnosticata 6/1147 (0.5) Nascita prematurad No CD 139921/2815329 (5.0) CD non diagnosticata 74/925 (8.0) CD diagnosticata 72/1146 (6.3) Nascita estremamente prematurae No CD 9548/2815329 (0.3) CD non diagnosticata 6/925 (0.6) CD diagnosticata 4/1146 (0.3) Odds ratio; 95% CI OR P 1.00 1.80; 1.36 2.39 1.09; 0.79 1.50 <.001 .588 1.00 2.15; 1.67 2.76 1.22; 0.91 1.63 <.001 137 1.00 2.31; 1.28 4.19 1.01; 0.45 2.25 .006 .979 1.00 1.66; 1.31 2.11 1.28; 1.01 1.63 <.001 .041 1.00 1.92; 0.86 4.28 1.03; 0.39 2.75 .112 .954 NOTE. CD, Malattia celiaca. a. Ritardo di sviluppo intrauterino. b. Basso peso alla nascita <2500 g. c. Estremamente basso peso alla nascita <1500 g. d. Nascita prematura <37 settimane di gestazione. e. Nascita estremamente prematura <30 settimane di gestazione. Malattia celiaca e sistema riproduttivo maschile Per quanto riguarda gli effetti della malattia celiaca sul sistema riproduttivo maschile, anche l'uomo presenta un rischio maggiore di infertilità e di altri disturbi della sfera riproduttiva oltre ad una maggiore incidenza di ipoandrogenismo. Un punto di notevole interesse è che la presenza della MC nel padre sembra essere un fattore di rischio anche per il basso peso dei piccoli alla nascita. Uno studio di Ludvigsson e Ludvigsson(14), su 10 597 nati con basso peso, ha rilevato che 53 bambini avevano le madri con MC, 27 bambini avevano padri con MC, 70 bambini avevano fratelli con MC e 442 avevano entrambi i genitori con MC. I nati da padri con MC pesavano meno rispetto a quelli da padri non celiaci ed anche rispetto ai nati da padri che erano colpiti da altre malattie autoimmuni. In particolare, i bambini di madri celiache pesavano 222 g in meno rispetto alla media della popolazione ed i bambini di padri celiaci pesavano 266 g in meno; per i padri con MC il rischio di bambini con basso peso era 5 volte più alto di quello della 47 popolazione generale (11 vs 2.5%). Patogenesi Al momento attuale, il meccanismo patogenetico alla base dei disturbi della sfera genito-riproduttiva non è noto; tuttavia, sono state formulate le seguenti ipotesi: 1) Alterazione dello stato nutrizionale e deficit carenziali (ferro, zinco, acido folico, vitamina B12, B6 e K). Riguardo al malassorbimento cronico di vitamine, è ben nota la carenza di acido folico nella MC(15,16), una vitamina essenziale per il metabolismo degli acidi nucleici il cui deficit si ripercuote particolarmente su tessuti caratterizzati da rapida proliferazione, come il sistema emopoietico, l'embrione e l'epitelio seminifero. Inoltre, nell'uomo non va sottovalutata la carenza di vitamine liposolubili quali A(17) ed E(18,19). Infatti, la vitamina A, considerata un fattore protettivo per gli epiteli, è importante per la funzionalità delle cellule del Sertoli e per le prime fasi della spermatogenesi(20). La vitamina E, fattore antiossidante, ha diversi ruoli importanti ai fini della salute riproduttiva maschile, quali la corretta differenziazione e funzionalità dell'epitelio dell'epididimo, nonché la maturazione degli spermatici(21) e la secrezione di proteine da parte della prostata(22). Inoltre, l'effetto antiossidante può essere protettivo nei confronti di agenti con attività endocrina(23), molti dei quali hanno come bersagli specifici lo stroma testicolare e l'epitelio seminifero. 2) Deficit di 5 alfa-reduttasi. E' stata suggerita una resistenza tissutale degli ormoni circolanti nell'uomo con enteropatia da glutine e con atrofia dei villi intestinali. In particolare, si ritiene che la disfunzione gonadica sia dovuta alla riduzione della conversione del testosterone a DHT causato dai bassi livelli di 5 alfa-riduttasi (enzima responsabile della riduzione del testosterone ad alphadiidrotestosterone nei soggetti di sesso maschile) nella MC, questo porta allo sconvolgimento dell'asse ipotalamo-ipofisario(1). 3) Meccanismi immunitari: va detto che il locus HLA coinvolto nella predisposizione della MC è importante anche per altre malattie a base autoimmune. La DPG potrebbe ripristinare solo il normale assorbimento dei micronutrienti ma non altri meccanismi ormai innescati. Inoltre la MC conclamata si può riattivare o apparire durante l'ultimo periodo di gravidanza o durante l'allattamento suggerendo che, anche in questi casi, possono intervenire alterazioni immunitarie ed ormonali proprie dello stato di gravidanza e del puerperio(24); 4) Stress ossidativo: può essere associato alle forme croniche di MC, con conseguente aumento di radicali liberi di origine lipidica e proteica. L'attività del sistema xantina ossidoriduttasi a livello intestinale è una delle principali fonti di radicali liberi, ed è molto più evidente nelle forma classica di MC(25). Tuttavia, anche nelle forme subcliniche di MC può essere presente uno squilibrio ossidoriduttivo evidenziato da indicatori plasmatici, quali ad esempio gruppi carbonilici di derivazione proteica(26). Conclusioni Negli ultimi anni, le segnalazioni relative alla esistenza di una possibile associazione tra malattia celiaca e disturbi della sfera riproduttiva sono diventate 48 sempre più numerose. Giacché le alterazioni riproduttive sono reversibili, risulta molto importante una diagnosi tempestiva e l'adozione della dieta senza glutine. Perciò, l'uso di indicatori precoci della malattia, come le carenze vitaminiche e/o di ferro, le disfunzioni andrologiche o endocrinologiche, dovrebbe portare all'avvio tempestivo di strategie di prevenzione e trattamento. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. AV. Stazi, B. Trinti. Aspetti riproduttivi della malattia celiaca. Ann. Ital. Med. Int. 2005; 20: 143-157. P. Collin, S. Vilska, PK Heinonen , O. Hallstrom, P. Pikkarinen. Infertility and coeliac disease. Gut 1996; 39: 3824. S. Machac , A. Kolek , J. Dostal, et al. Celiac disease and fertility disorders in women. 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