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… per chi
Emorragie dopo traumi e interventi chirurgici anche lievi
A.B. FEDERICI
Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, Dipartimento di Medicina e Specialità Medicinali, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore
Policlinico Mangiagalli e Regina Elena, Università di Milano, Milano
Introduzione
Quando una o un paziente riferisce al suo medico curante che da diverso tempo
nota una fuoriuscita di sangue (emorragia) in varie sedi del suo corpo (sangue
dal naso, dalle gengive, lividi sulla pelle anche dopo traumi lievi, mestruazioni
abbondanti, perdita di sangue dopo estrazioni dentarie) bisogna considerare
attentamente la possibilità di una predisposizione familiare e, in particolare, di
una malattia ereditaria nota come malattia di von Willebrand (VWD).
Che cos’è l’emorragia e cosa succede quando un soggetto si taglia?
L’emorragia è la fuoriuscita di sangue dai vasi verso l’esterno (emorragia esterna)
oppure verso l’interno del corpo (emorragia interna). Il sangue si riversa all’esterno
quanto c’è un taglio della pelle. Nel caso di traumi senza taglio il sangue si può diffondere sotto la pelle (ecchimosi) e può invadere anche i muscoli (ematoma). Negli individui normali la perdita di sangue (emorragia) si ferma perché avvengono 3 cose:
- il vaso sanguigno si contrae per ridurre le dimensioni della lesione e quindi
la perdita di sangue;
- le piastrine, piccoli elementi cellulari che circolano normalmente nel sangue, corrono nel punto della lesione e si legano fra loro e alle pareti del
vaso leso, formando un primo tappo (trombo bianco);
- i fattori della coagulazione collaborano fra loro in successione per produrre la fibrina, sostanza che agisce come colla trattenendo il tappo delle piastrine: alla fine si ottiene un tappo più solido e definitivo che contiene piastrine, fibrina e globuli rossi (trombo rosso).
Una volta bloccata l’emorragia, il trombo rosso viene rimosso dall’azione di alcune
sostanze che digeriscono la fibrina (fibrinolitiche) in maniera che si possa ricostituire la parete del vaso così come era prima del taglio. Questa successione di eventi
prende il nome di emostasi. La formazione del tappo piastrinico deve avvenire entro
pochi minuti e richiede l’intervento di una proteina del sangue che aiuta le piastrine a chiudere la lesione del vaso sanguigno facendo da tramite tra queste e il tessuto posto al di sotto del vaso (collagene) (Fig. 1). Questa proteina si chiama fattore di von Willebrand (VWF) e prende il nome da Erik von Willebrand, l’ematologo di Helsinki che nel 1926 descrisse, in una famiglia numerosa di Foglo (isole
Aland, Golfo di Botnia), una nuova forma di malattia emorragica, fornendo un’esauriente descrizione delle sue caratteristiche cliniche e genetiche. Le abbreviazioni
utilizzate per definire il complesso VWF/FVIII sono riportate in Tabella 1.
Che cos’è la malattia di von Willebrand (VWD)?
La malattia di von Willebrand (VWD) è una patologia che comporta un’alterata
emostasi perché manca o funziona poco il fattore di von Willebrand (VWF). Oltre
Fig. 1. Rappresentazione grafica della formazione del tappo piastrinico (trombo bianco)
Tabella 1. Nomenclatura e abbreviazioni del complesso fattore VIII/Willebrand
Fattore VIII
Proteina
Antigene
Attività
VIII
VIII:Ag
VIII:C
Fattore di Von Willebrand
Proteina matura
Antigene
Attività come co-fattore della ristocetina
Capacità di legarsi al FVIII
VWF
VWF:Ag
VWF:RCo
VWF:FVIIIB
a promuovere la formazione del tappo di piastrine, il VWF si lega al fattore VIII
della coagulazione trasportandolo in circolo. Il VWF e il FVIII sono due proteine
differenti, ma circolano nel plasma legate tra di loro (complesso VWF/FVIII). Il fattore VIII manca nei soggetti affetti da emofilia A, mentre il VWF è ridotto o alterato nei pazienti con VWD. Le persone affette da VWD sanguinano più a lungo
rispetto alle persone sane. Esistono vari tipi di VWD. Nella VWD di tipo 1 (VWD1)
il VWF è normale ma è presente in quantità ridotta. Nelle forme di VWD di tipo
2 (VWD2A, VWD2B, VWD2M, VWD2N) il VWF è presente in quantità misurabili
ma non ha una struttura normale e quindi non riesce a svolgere le sue funzioni
specifiche, quella di interagire correttamente con le piastrine e le strutture vascolari (VWD2A, VWD2B, VWD2M) e con il fattore VIII (VWD2N). Nella VWD di tipo
3 (VWD3) il VWF è completamente assente e quindi questa è la forma più grave.
Come e chi eredita la VWD?
Il nostro corpo è costituito da cellule. Ogni singola cellula contiene 23 coppie di
cromosomi che a loro volta contengono i geni. I geni contengono le informazioni per la produzione di diverse proteine. L’informazione per la produzione della
proteina VWF è contenuta in un gene presente sul cromosoma 12. Nei pazienti
con VWD il gene che serve per la sintesi del VWF contiene informazioni sbagliate. La trasmissione ereditaria della VWD non è legata al sesso come nell’emofilia: dunque sia il maschio che la femmina possono ereditarla e a trasmetterla
possono essere sia la madre che il padre. Anche se la forma ereditaria è senza
dubbio la più frequente, esistono rari casi di Sindrome di Willebrand Acquisita
(AVWS): si verifica in soggetti normali alla nascita che all’improvviso presentano
una storia emorragica. L’AVWS si associa spesso ad altre malattie come le leucemie, i linfomi, i mielomi, i tumori solidi, le malattie autoimmuni e cardiovascolari. Quindi l’AVWS sparisce se si riesce a guarire la malattia che l’ha provocata.
Qual è la frequenza della VWD? Qual è l’età delle prime emorragie?
La VWD è la malattia emorragica più frequente. In alcune aree geografiche può essere molto frequente (fino a 0,5–1% della popolazione). In Italia 1 soggetto su 5000
circa risulta affetto da una forma manifesta di VWD. Poiché non sempre gli individui
sono esposti a traumi o a interventi chirurgici nei primi anni della loro vita, le forme
meno gravi di VWD vengono spesso diagnosticate solamente in età adulta. Quindi
molti individui con VWD rimangono per diversi anni senza una diagnosi di malattia
e possono essere esposti, senza saperlo, a un rischio più elevato di emorragie quando subiscono traumi o interventi chirurgici.
In che cosa la VWD differisce dall’emofilia?
Anche nelle persone affette da emofilia l’emorragia può durare più a lungo, poiché
anche in questi soggetti c’è un’alterata emostasi. L’emofilia tuttavia colpisce solo i
bambini maschi e a trasmettere questa malattia è la madre, definita portatrice. La
VWD può colpire invece sia i bambini maschi che le femmine e a trasmetterla possono essere la madre o il padre. Nella VWD, le manifestazioni emorragiche più frequenti sono il sangue dal naso (epistassi) e, nella donna, le mestruazioni abbondanti
(menorragia), mentre le emorragie dei muscoli (ematomi) e delle articolazioni (emartri) si verificano solo nei pazienti con forme gravi (VWD3). Gli emartri (fuoriuscita e
raccolta di sangue all’interno di un’articolazione) e gli ematomi (emorragia nei
muscoli) caratterizzati da gonfiore e limitazione del movimento sono invece le manifestazioni emorragiche tipiche dei pazienti con emofilia. Nell’emofilia A infatti il VWF
è normale, ma risulta diminuito o assente solamente il fattore VIII.
Cosa succede quando un soggetto con VWD si taglia?
Nei pazienti con VWD il tempo di emorragia può essere più lungo rispetto al soggetto
normale perché la mancanza o il mal funzionamento del VWF impedisce la formazione
del tappo piastrinico e, nelle forme di VWD3 gravi, anche la formazione del reticolo di
fibrina, alla quale collabora il fattore VIII trasportato in circolo dal VWF. Nel caso di un
taglio superficiale, come nel soggetto normale, anche nel paziente con VWD è sufficiente esercitare una pressione sulla ferita per arrestare l’emorragia. Nel caso di una ferita
profonda, nei pazienti con VWD grave per fermare l’emorragia può essere necessaria la
somministrazione di farmaci che facciano aumentare i livelli di VWF nel plasma. I sintomi
più frequenti caratteristici dei pazienti con VWD sono: perdita di sangue dal naso (epistassi); emorragie dopo estrazione dei denti; nella donna, mestruazioni eccessivamente
abbondanti (menorragia) ed emorragia dopo il parto; facilità alla formazione di lividi
spontanei o lividi sproporzionati rispetto al colpo preso (ecchimosi); emorragia prolungata dopo tagli e in occasione di interventi chirurgici; emorragie nello stomaco e intestino
(gastroenterorragia). Le emorragie nelle articolazioni (emartri) e nei muscoli (ematomi) si
presentano solamente nelle forme di VWD gravi, quando anche il fattore VIII è diminuito.
È vero che la VWD colpisce di più le donne?
La frequenza della VWD è uguale nei due sessi poiché il gene che codifica per la
proteina VWF è sul cromosoma 12 e non sul cromosoma X legato al sesso come
nell’emofilia. Tuttavia la diagnosi viene posta più frequentemente nelle donne
poiché sono esposte all’evento emorragico della mestruazione. Le donne affette
da VWD infatti possono presentare emorragie importanti (meno-metrorragie) che
si manifestano fin dalla prima mestruazione (menarca).
Come si emette la diagnosi di VWD?
Tre sono i criteri necessari per una corretta diagnosi di VWD:
1. Una storia di emorragie che si ripete da diversi anni;
2. Un test di laboratorio che dimostri un’attività di VWF ridotta rispetto ai soggetti normali;
3. La familiarità, cioè la presenza di storia di emorragie in altri membri della famiglia.
Di questi tre criteri, quello più importante è la documentata storia di emorragie da
diversi anni (anamnesi positiva per emorragie). Per questo motivo il medico deve raccogliere le informazioni dal paziente con la massima attenzione, utilizzando un questionario dettagliato per valutare il grado di gravità per ciascun tipo di emorragia
secondo lo schema riportato nella Tabella 2. Questo tipo di valutazione semiquantitativa consente di calcolare un indice di gravità dell’emorragia (bleeding severity score).
La diagnosi di VWD è tanto più probabile quando i sintomi emorragici sono presenti in
più di una sede e quando il bleeding severity score supera il valore di 3 nell’uomo e 5
nella donna [1]. Per quanto riguarda i test di laboratorio, va subito detto che i comuni
esami, quali Tempo di Protrombina (PT), Tempo di Tromboplastina Parziale (PTT) e la
conta delle piastrine, utilizzati per studiare l’emostasi in maniera globale (test di screening) sono quasi sempre normali nella maggior parte dei pazienti con VWD. Il PTT può
essere alterato solo in quei pazienti con VWD grave in cui è diminuito anche il fattore
VIII. Il test specifico per la diagnosi di VWD è il dosaggio dell’attività del VWF misurata come cofattore della ristocetina (VWF:RCo) perché riproduce in una provetta di laboratorio le interazioni tra il VWF e la membrana delle piastrine. Questa interazione tra
VWF e piastrine è essenziale per la prima fase dell’emostasi e può essere riprodotta in
vitro. Rispetto alla diagnosi di emofilia A che richiede solamente la dimostrazione di
due test alterati (PTT prolungato e FVIII ridotto), la caratterizzazione di un paziente con
VWD richiede numerosi test, che spesso vanno ripetuti più volte prima di arrivare a una
diagnosi definitiva. Oltre al dosaggio dell’attività del VWF misurata come VWF:RCo,
bisogna valutare l’antigene del VWF (VWF:Ag) per stabilire la sua quantità nel plasma
e i livelli del fattore VIII della coagulazione (FVIII:C) trasportato in circolo dal VWF.
Inoltre si devono utilizzare l’Agglutinazione Piastrinica Indotta da Ristocetina (RIPA)
che valuta l’interazione del VWF con il suo recettore specifico sulle piastrine (VWD2B);
l’analisi dei multimeri del VWF che analizza la struttura della proteina VWF (VWD2A o
VWD2M); il test di legame del VWF al FVIII (VWF:FVIIIB) che esamina l’interazione del
VWF con il FVIII (VWD2N). Anche la valutazione della familiarità è importante: la VWD
infatti è di solito ereditaria e dunque anche gli altri componenti della famiglia del soggetto indagato possono risultare affetti dallo stesso tipo di VWD. Lo studio della distribuzione della VWD nell’ambito di un gruppo familiare aiuta inoltre a prevedere la probabilità di trasmissione del difetto ai futuri discendenti del soggetto in esame [2].
Tabella 2. Punteggi per calcolare il bleeding severity score
Score
Sintomi
-1
0
1
2
3
4
Epistassi
-
Assente o lieve
(meno di 5 min)
> 5 o più di 10 min
Solo consulto medico
Tamponamento o
Cauterizzazione o
Antifibrinolitici
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Cutanei
-
> 1 cm e senza
trauma
> 5 o più di 5 min
Solo consulto medico
Sanguinamento da ferite minori
Assenti o lievi
(< 1 cm)
Assenti o lievi
(meno di 5 min)
Solo consulto medico
Emostasi
chirurgica
Cavità orale
-
No
Riferito almeno
uno
Solo consulto medico
Emostasi chirurgica o
Antifibrinolitici
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Sanguinamenti gastro-intestinali
-
No
Associato a ulcera,
ipertensione portale,
emorroidi,
angiodisplasia
Spontanei
Estrazioni dentarie
No sanguinamenti in
almeno 2 estrazioni
Riguardante
< 25% di tutte
le procedure
Riguardante > 25%
di tutte le procedure,
senza intervento
Interventi chirurgici
No sanguinamenti in
almeno due interventi
chirurgici
Emostasi chirurgica o
Antifibrinolitici
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
-
Riguardante
< 25% di tutte
le procedure
chirurgiche
Solo consulto medico
Riguardante > 25%
di tutte le procedure,
senza intervento
Menorragia
Nessuna
estrazione o no
saguinamenti in
1 estrazione
Nessun intervento o
no sanguinamenti in
1 intervento
chirurgico
No
Emostasi chirurgica o
Antifibrinolitici
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Risutura o
tamponamento
Antifibrinolitici,
utilizzo di pillola
Raschiamento
uterino, terapia
marziale
Emorragie Post-partum
Non sanguinamenti in
almeno due parti
Ematomi muscolari
-
No parti o no
sanguinamenti in
1 parto
Mai
Post traumatico
senza terapia
Raschiamento uterino,
terapia marziale,
Antifibrinolitici
Spontanei,
senza terapia
Emartri
-
Mai
Post traumatico
senza terapia
Spontanei,
senza terapia
Emorragie intracraniche
-
Mai
-
-
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Spontanei o traumatici,
che richiedono
Desmopressina o
Terapia sostitutiva
Spontanei o traumatici,
che richiedono
Desmopressina o
Terapia sostitutiva
Subdurali,
nessun intervento
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina o
Isterectomia
Isterectomia
Solo consulto medico
Si può eseguire una diagnosi genetica molecolare?
La diagnosi genetica della VWD è attualmente possibile. Essa si basa sullo studio del
DNA dei soggetti affetti. Scopo della diagnosi genetica è identificare le mutazioni
(variazioni) presenti sul gene che contiene le informazioni per la sintesi del VWF,
responsabili della VWD. Per le forme più gravi di VWD3 è importante cercare la presenza di ampie delezioni (assenza di larga parte del gene). Infatti la presenza di
delezioni si può accompagnare alla produzione di anticorpi contro il VWF. La presenza di anticorpi è pericolosa perché può esporre i pazienti a reazioni trasfusionali gravi (shock anafilattico) quando vengono trattati con i concentrati (vedi di seguito). Diversamente dall’emofilia, per cui spesso viene richiesta, la diagnosi prenatale
della VWD non viene consigliata poichè il neonato non corre rischi durante il parto
e perché solitamente la maggior parte dei tipi di VWD presenta un quadro clinico
relativamente benigno. La diagnosi può essere eseguita, infatti, in caso di familiarità, solamente per escludere o confermare la presenza della VWD nel neonato o
nella prima infanzia se si presentano problemi emorragici [2].
Come si cura la VWD?
Attualmente non esiste una cura che possa guarire la VWD. La terapia genica non
è per ora proponibile per la VWD, anche se è stata realizzata con successo negli
animali (topi e cani). I farmaci utilizzati per il trattamento della VWD si dividono
in due categorie: farmaci che aumentano transitoriamente i livelli di VWF (desmopressina, concentrati di VWF/FVIII) farmaci di supporto (antifibrinolitici).
Che cos’è la desmopressina?
Derivato sintetico della vasopressina (ormone antidiuretico), la desmopressina
(DDAVP) permette il rilascio delle scorte di VWF dall’endotelio (cellule che rive-
Emotrasfusione o
Terapia sostitutiva
Desmopressina
Spontanei o traumatici,
che richiedono
intervento chirurgico o
emotransfusione
Spontanei o traumatici,
che richiedono
intervento chirurgico o
emotransfusione
Intracerebrali,
nessun intervento
stono la parete dei vasi sanguigni) con un loro aumento pari a 3–8 volte. Poiché
il VWF è la proteina che lega il fattore VIII della coagulazione, ne consegue un
aumento secondario anche di questa proteina. Il dosaggio consigliato è di 0,3
microgrammi/kg (µg/kg) di peso corporeo da iniettare sottocute oppure endovena diluito in 50–100 cc di soluzione fisiologica in 30 min circa. L’infusione può
essere ripetuta dopo 8–12 ore ed eventualmente dopo 24–36 ore. Tuttavia, l’efficacia di tale farmaco potrebbe ridursi progressivamente fino alla scomparsa,
quando (dopo 2–3 giorni) si esauriscono le scorte di VWF dell’organismo. La
DDAVP è un farmaco sintetico, non derivato dal sangue, con scarsi effetti collaterali. I pochi effetti indesiderati sono rappresentati da rossore e calore al viso,
aumento della frequenza del battito cardiaco (tachicardia), mal di testa (cefalea)
e modesta ritenzione di liquidi. Il farmaco deve essere evitato nei soggetti affetti da grave ipertensione e/o anomalie cardiovascolari di rilievo. Non può essere
usato anche nei soggetti affetti da epilessia. Va somministrato con molta attenzione nei bambini piccoli (meno di 5 anni) poiché sono stati descritte crisi epilettiche. Per sapere se la DDAVP è efficace e dunque può essere utilizzata in occasione di problemi emorragici o interventi chirurgici, bisogna sempre fare una
prova somministrando una dose test di tale farmaco e valutando i livelli di VWF
e fattore VIII a distanza di un’ora, fino a quattro ore dalla stessa. Se i livelli plasmatici di VWF si normalizzano senza effetti collaterali spiacevoli, la DDAVP è
efficace e dunque può essere utilizzata nel soggetto indagato. La DDAVP è un
farmaco di facile impiego e dunque il paziente che risponde a tale farmaco può
tenerlo in casa e utilizzarlo in caso di necessità. Sarà lo specialista ematologo a
fornire al paziente le indicazioni circa la sua conservazione, le modalità di somministrazione e la dose utile, calcolata in base al peso corporeo. La DDAVP è in
commercio e si può reperire in tutte le farmacie [2].
Cosa sono i concentrati di VWF/FVIII?
Si tratta di preparati per uso endovenoso ottenuti dal plasma di donatori, contenenti
elevate quantità di VWF con o senza FVIII. Questi concentrati sono virtualmente privi
di rischio di trasmissione di malattie virali poiché ottenuti attraverso la selezione
accurata dei donatori e delle donazioni e mediante procedure di purificazione e inattivazione virale. I concentrati di VWF/FVIII sono comunque emoderivati e vanno quindi utilizzati considerando sempre il rapporto rischio/beneficio. Ai pazienti con VWD
che utilizzano tali concentrati è comunque consigliata la vaccinazione contro l’infezione da virus B e A dell’epatite per ridurre al minimo il rischio di trasmissione di
queste malattie virali. I concentrati di VWF/FVIII sono utilizzati nei pazienti in cui la
DDAVP non è efficace o non può essere usata. La dose di concentrato consigliata è
di 40–50 U/kg di peso corporeo. Tuttavia il dosaggio può essere diverso a seconda
del tipo di emorragia oppure del tipo di intervento chirurgico maggiore o minore a
cui il paziente si deve sottoporre. Come tutti i prodotti che derivano dal plasma,
anche i concentrati di VWF/FVIII possono presentare alcuni effetti indesiderati: reazioni allergiche con abbassamento della pressione arteriosa; aumento della temperatura corporea (febbre), ipervolemia (aumento eccessivo del volume plasmatico) e
reazioni emolitiche (rottura dei globuli rossi) in caso di terapia massiccia. In alcuni
pazienti con VWD3 e assenza completa del gene è stata dimostrata la presenza di
anticorpi contro il VWF.
A cosa servono i farmaci antifibrinolitici?
Questi farmaci non aumentano i livelli di VWF, ma stabilizzano il coagulo di fibrina
che si è formato e ne impediscono il precoce scioglimento. Normalmente la somministrazione è orale (per bocca); si possono utilizzare anche per via endovenosa.
Possono essere utilizzati in associazione ai farmaci specifici fin qui descritti.
Cosa bisogna fare in caso di:
1. Perdita di sangue dal naso: Assumere posizione seduta con il capo piegato in avanti; comprimere manualmente per almeno 10 minuti le narici e
assumere la DDAVP. Utile l’associazione di farmaci antifibrinolitici; riposare
e umidificare l’ambiente. Contattare il medico se l’emorragia è intensa e
dura più di 30 minuti.
2. Estrazioni dentarie: I pazienti con VWD che rispondono alla DDAVP devono utilizzare tale farmaco in una singola dose subito prima dell’estrazione.
Assumere antifibrinolitici a dosi piene dal giorno precedente l’intervento e
per i 7 giorni successivi. Nei pazienti con VWD che non rispondono alla
DDAVP si rende necessario l’utilizzo di concentrati contenenti VWF/FVIII.
3. Emorragie dalle ferite: Se il taglio è superficiale, è sufficiente esercitare
una pressione sulla ferita; se il taglio è più profondo, può essere necessario
il ricorso ai farmaci specifici.
4. Mestruazioni eccessivamente abbondanti: Escludere sempre altre
cause eseguendo una visita dallo specialista ginecologo. Assumere la
DDAVP nei primi tre giorni della mestruazione. Assumere i farmaci antifibrinolitici alle dosi consigliate, dal giorno precedente l’inizio delle mestruazioni e poi per altri 2–4 giorni. Escludere la presenza di conseguente anemia
da carenza di ferro (anemia sideropenica) che può essere corretta con l’assunzione di ferro per un periodo adeguato. In alcuni casi può essere necessario ricorrere alla terapia con estro-progestinici.
5. In occasione di gravidanza e parto: Nella maggior parte dei casi lievi
(VWD1 e VWD2) la gravidanza causa un aumento del VWF con temporaneo
miglioramento della malattia. Tuttavia questo miglioramento è estremamente
variabile e dunque le pazienti devono essere tenute sotto controllo durante la
gestazione e per alcune settimane dopo il parto. Normalmente nelle donne
con VWD lievi è sufficiente la somministrazione della DDAVP subito dopo il
parto durante il secondamento (distacco della placenta) e a 24 ore di distanza. Nei VWD3 invece è necessario ricorrere al trattamento sostitutivo con concentrati contenenti VWF/FVIII per l’espletamento del parto. È sempre utile il
consulto dello specialista ematologo. Non vi sono rischi per il neonato.
6. In occasione di interventi chirurgici: È necessario aumentare i livelli di
VWF e FVIII in circolo per un periodo sufficiente a garantire una buona emostasi, assumendo il farmaco specifico. La DDAVP è il farmaco di prima scelta nei pazienti con VWD lieve. Per i casi gravi di VWD o che non rispondono
alla DDAVP, è necessario ricorrere ai concentrati di VWF/FVIII. I pazienti
durante la chirurgia devono essere seguiti dall’ematologo.
I pazienti con VWD possono svolgere attività sportiva?
Chi è affetto da VWD può svolgere sport o attività fisica senza nessuna limitazione. Tuttavia questi soggetti dovrebbero evitare sport che comportino contatti
fisici particolarmente violenti, come la boxe, il karate, il rugby e l’hockey.
Quali farmaci sono da evitare?
L’acido acetilsalicilico (Aspirina®, Bayer) e l’indometacina sono farmaci da evitare poiché impediscono alle piastrine di funzionare bene e dunque possono facilitare le emorragie. Poiché l’acido acetilsalicilico è spesso presente in alcuni farmaci antidolorifici e
anti-infiammatori, prima di usarli è opportuno controllarne la loro composizione.
Quando bisogna consultare altri specialisti?
1. Otorinolaringoiatra: Una delle manifestazioni della VWD è l’epistassi
ovvero la perdita di sangue dal naso. In questi casi lo specialista ematologo
potrà richiedere il parere dello specialista otorinolaringoiatra per escludere
una patologia a livello locale.
2. Odontoiatra: In caso di interventi odontoiatrici come l’estrazione dentaria, il
paziente con VWD deve essere adeguatamente trattato con farmaci in grado di
impedire un possibile evento emorragico. Lo specialista odontoiatra deve essere dunque informato riguardo alla malattia del paziente. Se possibile, è opportuno ricorrere a uno specialista con esperienza in tale settore. Lo specialista
ematologo potrà prendere contatti con lo specialista odontoiatra e indirizzarlo
sul trattamento appropriato al fine di evitare complicanze emorragiche.
3. Ginecologo: Le donne con VWD sono frequentemente soggette a menorragie
(mestruazioni abbondanti). La DDAVP per due o tre giorni riduce l’entità delle
menorragie nelle pazienti che rispondono a questo farmaco. In alcuni casi si
può ricorrere a una terapia con estroprogestinici. Fondamentale è dunque il
ruolo dello specialista ginecologo che dovrà inoltre assistere la paziente durante il parto. Lo specialista ginecologo potrà avvalersi della competenza dello specialista ematologo che potrà fornire indicazioni riguardo al trattamento delle
menorragie e, in occasione del parto, consigli per evitare possibili complicanze
emorragiche durante il secondamento (distacco della placenta).
4. Gastroenterologo: I pazienti con VWD possono essere esposti al rischio di
emorragie gastrointestinali e dunque lo specialista ematologo può in questi casi
necessitare del supporto dello specialista gastroenterologo. In alcune forme di
VWD le emorragie gastrointestinali possono durare per molto tempo e richiedono il ricovero in ospedale, dove si possono eseguire le indagini più approfondite.
5. Epatologo: Come già detto in precedenza, i concentrati di VWF/FVIII
attualmente in commercio sono ottenuti da donatori selezionati e sottoposti a più metodi di inattivazione virale, dunque il rischio di contrarre un’infezione da virus che possono provocare epatiti è ormai quasi inesistente.
Tuttavia i pazienti con VWD che in passato hanno contratto un’infezione da
virus B e/o C dell’epatite in seguito all’utilizzo di emoderivati, devono essere seguiti con controlli semestrali dallo specialista epatologo. L’epatologo è
in grado di valutare se il fegato che ha avuto contatto con i virus dell’epatite, ha subito un danno transitorio oppure duraturo. È dunque utile una collaborazione fra lo specialista ematologo e lo specialista epatologo.
6. Ortopedico: Gli emartri (fuoriuscita e raccolta di sangue all’interno di
un’articolazione) sono, come abbiamo già detto, più frequenti nel soggetto
affetto da emofilia; comunque anche il paziente con VWD (nei casi gravi) ne
può essere colpito. Il paziente dovrà rivolgersi allo specialista ematologo, il
quale con la terapia adeguata e la collaborazione dello specialista ortopedico, sarà in grado di risolvere il problema e prevenire eventuali complicazioni a carico dell’articolazione interessata (artropatia cronica).
Bibliografia
1. Tosetto A, Rodeghiero F, Castaman G et al (2006) A quantitative analysis of bleeding symptoms in type 1 von Willebrand disease: results from a multicenter European study
(MCMDM-1 VWD). J Thromb Haemost 4:766–773
2. Federici AB, Mannucci PM (2007) Management of inherited von Willebrand disease in
2007. Ann Med 39:346–358
IMPRESSUM
Inserto alla rivista "Internal and Emergency Medicine" Vol. 4 Num. 2
Editore: Springer-Verlag Italia Srl, Via Decembrio 28, 20137 Milano
Stampa: Grafiche Porpora, Segrate (MI) – Copyright © SIMI, Società Italiana di Medicina Interna
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