Number 2/09 edico non è … … per chi Emorragie dopo traumi e interventi chirurgici anche lievi A.B. FEDERICI Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, Dipartimento di Medicina e Specialità Medicinali, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena, Università di Milano, Milano Introduzione Quando una o un paziente riferisce al suo medico curante che da diverso tempo nota una fuoriuscita di sangue (emorragia) in varie sedi del suo corpo (sangue dal naso, dalle gengive, lividi sulla pelle anche dopo traumi lievi, mestruazioni abbondanti, perdita di sangue dopo estrazioni dentarie) bisogna considerare attentamente la possibilità di una predisposizione familiare e, in particolare, di una malattia ereditaria nota come malattia di von Willebrand (VWD). Che cos’è l’emorragia e cosa succede quando un soggetto si taglia? L’emorragia è la fuoriuscita di sangue dai vasi verso l’esterno (emorragia esterna) oppure verso l’interno del corpo (emorragia interna). Il sangue si riversa all’esterno quanto c’è un taglio della pelle. Nel caso di traumi senza taglio il sangue si può diffondere sotto la pelle (ecchimosi) e può invadere anche i muscoli (ematoma). Negli individui normali la perdita di sangue (emorragia) si ferma perché avvengono 3 cose: - il vaso sanguigno si contrae per ridurre le dimensioni della lesione e quindi la perdita di sangue; - le piastrine, piccoli elementi cellulari che circolano normalmente nel sangue, corrono nel punto della lesione e si legano fra loro e alle pareti del vaso leso, formando un primo tappo (trombo bianco); - i fattori della coagulazione collaborano fra loro in successione per produrre la fibrina, sostanza che agisce come colla trattenendo il tappo delle piastrine: alla fine si ottiene un tappo più solido e definitivo che contiene piastrine, fibrina e globuli rossi (trombo rosso). Una volta bloccata l’emorragia, il trombo rosso viene rimosso dall’azione di alcune sostanze che digeriscono la fibrina (fibrinolitiche) in maniera che si possa ricostituire la parete del vaso così come era prima del taglio. Questa successione di eventi prende il nome di emostasi. La formazione del tappo piastrinico deve avvenire entro pochi minuti e richiede l’intervento di una proteina del sangue che aiuta le piastrine a chiudere la lesione del vaso sanguigno facendo da tramite tra queste e il tessuto posto al di sotto del vaso (collagene) (Fig. 1). Questa proteina si chiama fattore di von Willebrand (VWF) e prende il nome da Erik von Willebrand, l’ematologo di Helsinki che nel 1926 descrisse, in una famiglia numerosa di Foglo (isole Aland, Golfo di Botnia), una nuova forma di malattia emorragica, fornendo un’esauriente descrizione delle sue caratteristiche cliniche e genetiche. Le abbreviazioni utilizzate per definire il complesso VWF/FVIII sono riportate in Tabella 1. Che cos’è la malattia di von Willebrand (VWD)? La malattia di von Willebrand (VWD) è una patologia che comporta un’alterata emostasi perché manca o funziona poco il fattore di von Willebrand (VWF). Oltre Fig. 1. Rappresentazione grafica della formazione del tappo piastrinico (trombo bianco) Tabella 1. Nomenclatura e abbreviazioni del complesso fattore VIII/Willebrand Fattore VIII Proteina Antigene Attività VIII VIII:Ag VIII:C Fattore di Von Willebrand Proteina matura Antigene Attività come co-fattore della ristocetina Capacità di legarsi al FVIII VWF VWF:Ag VWF:RCo VWF:FVIIIB a promuovere la formazione del tappo di piastrine, il VWF si lega al fattore VIII della coagulazione trasportandolo in circolo. Il VWF e il FVIII sono due proteine differenti, ma circolano nel plasma legate tra di loro (complesso VWF/FVIII). Il fattore VIII manca nei soggetti affetti da emofilia A, mentre il VWF è ridotto o alterato nei pazienti con VWD. Le persone affette da VWD sanguinano più a lungo rispetto alle persone sane. Esistono vari tipi di VWD. Nella VWD di tipo 1 (VWD1) il VWF è normale ma è presente in quantità ridotta. Nelle forme di VWD di tipo 2 (VWD2A, VWD2B, VWD2M, VWD2N) il VWF è presente in quantità misurabili ma non ha una struttura normale e quindi non riesce a svolgere le sue funzioni specifiche, quella di interagire correttamente con le piastrine e le strutture vascolari (VWD2A, VWD2B, VWD2M) e con il fattore VIII (VWD2N). Nella VWD di tipo 3 (VWD3) il VWF è completamente assente e quindi questa è la forma più grave. Come e chi eredita la VWD? Il nostro corpo è costituito da cellule. Ogni singola cellula contiene 23 coppie di cromosomi che a loro volta contengono i geni. I geni contengono le informazioni per la produzione di diverse proteine. L’informazione per la produzione della proteina VWF è contenuta in un gene presente sul cromosoma 12. Nei pazienti con VWD il gene che serve per la sintesi del VWF contiene informazioni sbagliate. La trasmissione ereditaria della VWD non è legata al sesso come nell’emofilia: dunque sia il maschio che la femmina possono ereditarla e a trasmetterla possono essere sia la madre che il padre. Anche se la forma ereditaria è senza dubbio la più frequente, esistono rari casi di Sindrome di Willebrand Acquisita (AVWS): si verifica in soggetti normali alla nascita che all’improvviso presentano una storia emorragica. L’AVWS si associa spesso ad altre malattie come le leucemie, i linfomi, i mielomi, i tumori solidi, le malattie autoimmuni e cardiovascolari. Quindi l’AVWS sparisce se si riesce a guarire la malattia che l’ha provocata. Qual è la frequenza della VWD? Qual è l’età delle prime emorragie? La VWD è la malattia emorragica più frequente. In alcune aree geografiche può essere molto frequente (fino a 0,5–1% della popolazione). In Italia 1 soggetto su 5000 circa risulta affetto da una forma manifesta di VWD. Poiché non sempre gli individui sono esposti a traumi o a interventi chirurgici nei primi anni della loro vita, le forme meno gravi di VWD vengono spesso diagnosticate solamente in età adulta. Quindi molti individui con VWD rimangono per diversi anni senza una diagnosi di malattia e possono essere esposti, senza saperlo, a un rischio più elevato di emorragie quando subiscono traumi o interventi chirurgici. In che cosa la VWD differisce dall’emofilia? Anche nelle persone affette da emofilia l’emorragia può durare più a lungo, poiché anche in questi soggetti c’è un’alterata emostasi. L’emofilia tuttavia colpisce solo i bambini maschi e a trasmettere questa malattia è la madre, definita portatrice. La VWD può colpire invece sia i bambini maschi che le femmine e a trasmetterla possono essere la madre o il padre. Nella VWD, le manifestazioni emorragiche più frequenti sono il sangue dal naso (epistassi) e, nella donna, le mestruazioni abbondanti (menorragia), mentre le emorragie dei muscoli (ematomi) e delle articolazioni (emartri) si verificano solo nei pazienti con forme gravi (VWD3). Gli emartri (fuoriuscita e raccolta di sangue all’interno di un’articolazione) e gli ematomi (emorragia nei muscoli) caratterizzati da gonfiore e limitazione del movimento sono invece le manifestazioni emorragiche tipiche dei pazienti con emofilia. Nell’emofilia A infatti il VWF è normale, ma risulta diminuito o assente solamente il fattore VIII. Cosa succede quando un soggetto con VWD si taglia? Nei pazienti con VWD il tempo di emorragia può essere più lungo rispetto al soggetto normale perché la mancanza o il mal funzionamento del VWF impedisce la formazione del tappo piastrinico e, nelle forme di VWD3 gravi, anche la formazione del reticolo di fibrina, alla quale collabora il fattore VIII trasportato in circolo dal VWF. Nel caso di un taglio superficiale, come nel soggetto normale, anche nel paziente con VWD è sufficiente esercitare una pressione sulla ferita per arrestare l’emorragia. Nel caso di una ferita profonda, nei pazienti con VWD grave per fermare l’emorragia può essere necessaria la somministrazione di farmaci che facciano aumentare i livelli di VWF nel plasma. I sintomi più frequenti caratteristici dei pazienti con VWD sono: perdita di sangue dal naso (epistassi); emorragie dopo estrazione dei denti; nella donna, mestruazioni eccessivamente abbondanti (menorragia) ed emorragia dopo il parto; facilità alla formazione di lividi spontanei o lividi sproporzionati rispetto al colpo preso (ecchimosi); emorragia prolungata dopo tagli e in occasione di interventi chirurgici; emorragie nello stomaco e intestino (gastroenterorragia). Le emorragie nelle articolazioni (emartri) e nei muscoli (ematomi) si presentano solamente nelle forme di VWD gravi, quando anche il fattore VIII è diminuito. È vero che la VWD colpisce di più le donne? La frequenza della VWD è uguale nei due sessi poiché il gene che codifica per la proteina VWF è sul cromosoma 12 e non sul cromosoma X legato al sesso come nell’emofilia. Tuttavia la diagnosi viene posta più frequentemente nelle donne poiché sono esposte all’evento emorragico della mestruazione. Le donne affette da VWD infatti possono presentare emorragie importanti (meno-metrorragie) che si manifestano fin dalla prima mestruazione (menarca). Come si emette la diagnosi di VWD? Tre sono i criteri necessari per una corretta diagnosi di VWD: 1. Una storia di emorragie che si ripete da diversi anni; 2. Un test di laboratorio che dimostri un’attività di VWF ridotta rispetto ai soggetti normali; 3. La familiarità, cioè la presenza di storia di emorragie in altri membri della famiglia. Di questi tre criteri, quello più importante è la documentata storia di emorragie da diversi anni (anamnesi positiva per emorragie). Per questo motivo il medico deve raccogliere le informazioni dal paziente con la massima attenzione, utilizzando un questionario dettagliato per valutare il grado di gravità per ciascun tipo di emorragia secondo lo schema riportato nella Tabella 2. Questo tipo di valutazione semiquantitativa consente di calcolare un indice di gravità dell’emorragia (bleeding severity score). La diagnosi di VWD è tanto più probabile quando i sintomi emorragici sono presenti in più di una sede e quando il bleeding severity score supera il valore di 3 nell’uomo e 5 nella donna [1]. Per quanto riguarda i test di laboratorio, va subito detto che i comuni esami, quali Tempo di Protrombina (PT), Tempo di Tromboplastina Parziale (PTT) e la conta delle piastrine, utilizzati per studiare l’emostasi in maniera globale (test di screening) sono quasi sempre normali nella maggior parte dei pazienti con VWD. Il PTT può essere alterato solo in quei pazienti con VWD grave in cui è diminuito anche il fattore VIII. Il test specifico per la diagnosi di VWD è il dosaggio dell’attività del VWF misurata come cofattore della ristocetina (VWF:RCo) perché riproduce in una provetta di laboratorio le interazioni tra il VWF e la membrana delle piastrine. Questa interazione tra VWF e piastrine è essenziale per la prima fase dell’emostasi e può essere riprodotta in vitro. Rispetto alla diagnosi di emofilia A che richiede solamente la dimostrazione di due test alterati (PTT prolungato e FVIII ridotto), la caratterizzazione di un paziente con VWD richiede numerosi test, che spesso vanno ripetuti più volte prima di arrivare a una diagnosi definitiva. Oltre al dosaggio dell’attività del VWF misurata come VWF:RCo, bisogna valutare l’antigene del VWF (VWF:Ag) per stabilire la sua quantità nel plasma e i livelli del fattore VIII della coagulazione (FVIII:C) trasportato in circolo dal VWF. Inoltre si devono utilizzare l’Agglutinazione Piastrinica Indotta da Ristocetina (RIPA) che valuta l’interazione del VWF con il suo recettore specifico sulle piastrine (VWD2B); l’analisi dei multimeri del VWF che analizza la struttura della proteina VWF (VWD2A o VWD2M); il test di legame del VWF al FVIII (VWF:FVIIIB) che esamina l’interazione del VWF con il FVIII (VWD2N). Anche la valutazione della familiarità è importante: la VWD infatti è di solito ereditaria e dunque anche gli altri componenti della famiglia del soggetto indagato possono risultare affetti dallo stesso tipo di VWD. Lo studio della distribuzione della VWD nell’ambito di un gruppo familiare aiuta inoltre a prevedere la probabilità di trasmissione del difetto ai futuri discendenti del soggetto in esame [2]. Tabella 2. Punteggi per calcolare il bleeding severity score Score Sintomi -1 0 1 2 3 4 Epistassi - Assente o lieve (meno di 5 min) > 5 o più di 10 min Solo consulto medico Tamponamento o Cauterizzazione o Antifibrinolitici Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Cutanei - > 1 cm e senza trauma > 5 o più di 5 min Solo consulto medico Sanguinamento da ferite minori Assenti o lievi (< 1 cm) Assenti o lievi (meno di 5 min) Solo consulto medico Emostasi chirurgica Cavità orale - No Riferito almeno uno Solo consulto medico Emostasi chirurgica o Antifibrinolitici Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Sanguinamenti gastro-intestinali - No Associato a ulcera, ipertensione portale, emorroidi, angiodisplasia Spontanei Estrazioni dentarie No sanguinamenti in almeno 2 estrazioni Riguardante < 25% di tutte le procedure Riguardante > 25% di tutte le procedure, senza intervento Interventi chirurgici No sanguinamenti in almeno due interventi chirurgici Emostasi chirurgica o Antifibrinolitici Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina - Riguardante < 25% di tutte le procedure chirurgiche Solo consulto medico Riguardante > 25% di tutte le procedure, senza intervento Menorragia Nessuna estrazione o no saguinamenti in 1 estrazione Nessun intervento o no sanguinamenti in 1 intervento chirurgico No Emostasi chirurgica o Antifibrinolitici Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Risutura o tamponamento Antifibrinolitici, utilizzo di pillola Raschiamento uterino, terapia marziale Emorragie Post-partum Non sanguinamenti in almeno due parti Ematomi muscolari - No parti o no sanguinamenti in 1 parto Mai Post traumatico senza terapia Raschiamento uterino, terapia marziale, Antifibrinolitici Spontanei, senza terapia Emartri - Mai Post traumatico senza terapia Spontanei, senza terapia Emorragie intracraniche - Mai - - Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Spontanei o traumatici, che richiedono Desmopressina o Terapia sostitutiva Spontanei o traumatici, che richiedono Desmopressina o Terapia sostitutiva Subdurali, nessun intervento Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina o Isterectomia Isterectomia Solo consulto medico Si può eseguire una diagnosi genetica molecolare? La diagnosi genetica della VWD è attualmente possibile. Essa si basa sullo studio del DNA dei soggetti affetti. Scopo della diagnosi genetica è identificare le mutazioni (variazioni) presenti sul gene che contiene le informazioni per la sintesi del VWF, responsabili della VWD. Per le forme più gravi di VWD3 è importante cercare la presenza di ampie delezioni (assenza di larga parte del gene). Infatti la presenza di delezioni si può accompagnare alla produzione di anticorpi contro il VWF. La presenza di anticorpi è pericolosa perché può esporre i pazienti a reazioni trasfusionali gravi (shock anafilattico) quando vengono trattati con i concentrati (vedi di seguito). Diversamente dall’emofilia, per cui spesso viene richiesta, la diagnosi prenatale della VWD non viene consigliata poichè il neonato non corre rischi durante il parto e perché solitamente la maggior parte dei tipi di VWD presenta un quadro clinico relativamente benigno. La diagnosi può essere eseguita, infatti, in caso di familiarità, solamente per escludere o confermare la presenza della VWD nel neonato o nella prima infanzia se si presentano problemi emorragici [2]. Come si cura la VWD? Attualmente non esiste una cura che possa guarire la VWD. La terapia genica non è per ora proponibile per la VWD, anche se è stata realizzata con successo negli animali (topi e cani). I farmaci utilizzati per il trattamento della VWD si dividono in due categorie: farmaci che aumentano transitoriamente i livelli di VWF (desmopressina, concentrati di VWF/FVIII) farmaci di supporto (antifibrinolitici). Che cos’è la desmopressina? Derivato sintetico della vasopressina (ormone antidiuretico), la desmopressina (DDAVP) permette il rilascio delle scorte di VWF dall’endotelio (cellule che rive- Emotrasfusione o Terapia sostitutiva Desmopressina Spontanei o traumatici, che richiedono intervento chirurgico o emotransfusione Spontanei o traumatici, che richiedono intervento chirurgico o emotransfusione Intracerebrali, nessun intervento stono la parete dei vasi sanguigni) con un loro aumento pari a 3–8 volte. Poiché il VWF è la proteina che lega il fattore VIII della coagulazione, ne consegue un aumento secondario anche di questa proteina. Il dosaggio consigliato è di 0,3 microgrammi/kg (µg/kg) di peso corporeo da iniettare sottocute oppure endovena diluito in 50–100 cc di soluzione fisiologica in 30 min circa. L’infusione può essere ripetuta dopo 8–12 ore ed eventualmente dopo 24–36 ore. Tuttavia, l’efficacia di tale farmaco potrebbe ridursi progressivamente fino alla scomparsa, quando (dopo 2–3 giorni) si esauriscono le scorte di VWF dell’organismo. La DDAVP è un farmaco sintetico, non derivato dal sangue, con scarsi effetti collaterali. I pochi effetti indesiderati sono rappresentati da rossore e calore al viso, aumento della frequenza del battito cardiaco (tachicardia), mal di testa (cefalea) e modesta ritenzione di liquidi. Il farmaco deve essere evitato nei soggetti affetti da grave ipertensione e/o anomalie cardiovascolari di rilievo. Non può essere usato anche nei soggetti affetti da epilessia. Va somministrato con molta attenzione nei bambini piccoli (meno di 5 anni) poiché sono stati descritte crisi epilettiche. Per sapere se la DDAVP è efficace e dunque può essere utilizzata in occasione di problemi emorragici o interventi chirurgici, bisogna sempre fare una prova somministrando una dose test di tale farmaco e valutando i livelli di VWF e fattore VIII a distanza di un’ora, fino a quattro ore dalla stessa. Se i livelli plasmatici di VWF si normalizzano senza effetti collaterali spiacevoli, la DDAVP è efficace e dunque può essere utilizzata nel soggetto indagato. La DDAVP è un farmaco di facile impiego e dunque il paziente che risponde a tale farmaco può tenerlo in casa e utilizzarlo in caso di necessità. Sarà lo specialista ematologo a fornire al paziente le indicazioni circa la sua conservazione, le modalità di somministrazione e la dose utile, calcolata in base al peso corporeo. La DDAVP è in commercio e si può reperire in tutte le farmacie [2]. Cosa sono i concentrati di VWF/FVIII? Si tratta di preparati per uso endovenoso ottenuti dal plasma di donatori, contenenti elevate quantità di VWF con o senza FVIII. Questi concentrati sono virtualmente privi di rischio di trasmissione di malattie virali poiché ottenuti attraverso la selezione accurata dei donatori e delle donazioni e mediante procedure di purificazione e inattivazione virale. I concentrati di VWF/FVIII sono comunque emoderivati e vanno quindi utilizzati considerando sempre il rapporto rischio/beneficio. Ai pazienti con VWD che utilizzano tali concentrati è comunque consigliata la vaccinazione contro l’infezione da virus B e A dell’epatite per ridurre al minimo il rischio di trasmissione di queste malattie virali. I concentrati di VWF/FVIII sono utilizzati nei pazienti in cui la DDAVP non è efficace o non può essere usata. La dose di concentrato consigliata è di 40–50 U/kg di peso corporeo. Tuttavia il dosaggio può essere diverso a seconda del tipo di emorragia oppure del tipo di intervento chirurgico maggiore o minore a cui il paziente si deve sottoporre. Come tutti i prodotti che derivano dal plasma, anche i concentrati di VWF/FVIII possono presentare alcuni effetti indesiderati: reazioni allergiche con abbassamento della pressione arteriosa; aumento della temperatura corporea (febbre), ipervolemia (aumento eccessivo del volume plasmatico) e reazioni emolitiche (rottura dei globuli rossi) in caso di terapia massiccia. In alcuni pazienti con VWD3 e assenza completa del gene è stata dimostrata la presenza di anticorpi contro il VWF. A cosa servono i farmaci antifibrinolitici? Questi farmaci non aumentano i livelli di VWF, ma stabilizzano il coagulo di fibrina che si è formato e ne impediscono il precoce scioglimento. Normalmente la somministrazione è orale (per bocca); si possono utilizzare anche per via endovenosa. Possono essere utilizzati in associazione ai farmaci specifici fin qui descritti. Cosa bisogna fare in caso di: 1. Perdita di sangue dal naso: Assumere posizione seduta con il capo piegato in avanti; comprimere manualmente per almeno 10 minuti le narici e assumere la DDAVP. Utile l’associazione di farmaci antifibrinolitici; riposare e umidificare l’ambiente. Contattare il medico se l’emorragia è intensa e dura più di 30 minuti. 2. Estrazioni dentarie: I pazienti con VWD che rispondono alla DDAVP devono utilizzare tale farmaco in una singola dose subito prima dell’estrazione. Assumere antifibrinolitici a dosi piene dal giorno precedente l’intervento e per i 7 giorni successivi. Nei pazienti con VWD che non rispondono alla DDAVP si rende necessario l’utilizzo di concentrati contenenti VWF/FVIII. 3. Emorragie dalle ferite: Se il taglio è superficiale, è sufficiente esercitare una pressione sulla ferita; se il taglio è più profondo, può essere necessario il ricorso ai farmaci specifici. 4. Mestruazioni eccessivamente abbondanti: Escludere sempre altre cause eseguendo una visita dallo specialista ginecologo. Assumere la DDAVP nei primi tre giorni della mestruazione. Assumere i farmaci antifibrinolitici alle dosi consigliate, dal giorno precedente l’inizio delle mestruazioni e poi per altri 2–4 giorni. Escludere la presenza di conseguente anemia da carenza di ferro (anemia sideropenica) che può essere corretta con l’assunzione di ferro per un periodo adeguato. In alcuni casi può essere necessario ricorrere alla terapia con estro-progestinici. 5. In occasione di gravidanza e parto: Nella maggior parte dei casi lievi (VWD1 e VWD2) la gravidanza causa un aumento del VWF con temporaneo miglioramento della malattia. Tuttavia questo miglioramento è estremamente variabile e dunque le pazienti devono essere tenute sotto controllo durante la gestazione e per alcune settimane dopo il parto. Normalmente nelle donne con VWD lievi è sufficiente la somministrazione della DDAVP subito dopo il parto durante il secondamento (distacco della placenta) e a 24 ore di distanza. Nei VWD3 invece è necessario ricorrere al trattamento sostitutivo con concentrati contenenti VWF/FVIII per l’espletamento del parto. È sempre utile il consulto dello specialista ematologo. Non vi sono rischi per il neonato. 6. In occasione di interventi chirurgici: È necessario aumentare i livelli di VWF e FVIII in circolo per un periodo sufficiente a garantire una buona emostasi, assumendo il farmaco specifico. La DDAVP è il farmaco di prima scelta nei pazienti con VWD lieve. Per i casi gravi di VWD o che non rispondono alla DDAVP, è necessario ricorrere ai concentrati di VWF/FVIII. I pazienti durante la chirurgia devono essere seguiti dall’ematologo. I pazienti con VWD possono svolgere attività sportiva? Chi è affetto da VWD può svolgere sport o attività fisica senza nessuna limitazione. Tuttavia questi soggetti dovrebbero evitare sport che comportino contatti fisici particolarmente violenti, come la boxe, il karate, il rugby e l’hockey. Quali farmaci sono da evitare? L’acido acetilsalicilico (Aspirina®, Bayer) e l’indometacina sono farmaci da evitare poiché impediscono alle piastrine di funzionare bene e dunque possono facilitare le emorragie. Poiché l’acido acetilsalicilico è spesso presente in alcuni farmaci antidolorifici e anti-infiammatori, prima di usarli è opportuno controllarne la loro composizione. Quando bisogna consultare altri specialisti? 1. Otorinolaringoiatra: Una delle manifestazioni della VWD è l’epistassi ovvero la perdita di sangue dal naso. In questi casi lo specialista ematologo potrà richiedere il parere dello specialista otorinolaringoiatra per escludere una patologia a livello locale. 2. Odontoiatra: In caso di interventi odontoiatrici come l’estrazione dentaria, il paziente con VWD deve essere adeguatamente trattato con farmaci in grado di impedire un possibile evento emorragico. Lo specialista odontoiatra deve essere dunque informato riguardo alla malattia del paziente. Se possibile, è opportuno ricorrere a uno specialista con esperienza in tale settore. Lo specialista ematologo potrà prendere contatti con lo specialista odontoiatra e indirizzarlo sul trattamento appropriato al fine di evitare complicanze emorragiche. 3. Ginecologo: Le donne con VWD sono frequentemente soggette a menorragie (mestruazioni abbondanti). La DDAVP per due o tre giorni riduce l’entità delle menorragie nelle pazienti che rispondono a questo farmaco. In alcuni casi si può ricorrere a una terapia con estroprogestinici. Fondamentale è dunque il ruolo dello specialista ginecologo che dovrà inoltre assistere la paziente durante il parto. Lo specialista ginecologo potrà avvalersi della competenza dello specialista ematologo che potrà fornire indicazioni riguardo al trattamento delle menorragie e, in occasione del parto, consigli per evitare possibili complicanze emorragiche durante il secondamento (distacco della placenta). 4. Gastroenterologo: I pazienti con VWD possono essere esposti al rischio di emorragie gastrointestinali e dunque lo specialista ematologo può in questi casi necessitare del supporto dello specialista gastroenterologo. In alcune forme di VWD le emorragie gastrointestinali possono durare per molto tempo e richiedono il ricovero in ospedale, dove si possono eseguire le indagini più approfondite. 5. Epatologo: Come già detto in precedenza, i concentrati di VWF/FVIII attualmente in commercio sono ottenuti da donatori selezionati e sottoposti a più metodi di inattivazione virale, dunque il rischio di contrarre un’infezione da virus che possono provocare epatiti è ormai quasi inesistente. Tuttavia i pazienti con VWD che in passato hanno contratto un’infezione da virus B e/o C dell’epatite in seguito all’utilizzo di emoderivati, devono essere seguiti con controlli semestrali dallo specialista epatologo. L’epatologo è in grado di valutare se il fegato che ha avuto contatto con i virus dell’epatite, ha subito un danno transitorio oppure duraturo. È dunque utile una collaborazione fra lo specialista ematologo e lo specialista epatologo. 6. Ortopedico: Gli emartri (fuoriuscita e raccolta di sangue all’interno di un’articolazione) sono, come abbiamo già detto, più frequenti nel soggetto affetto da emofilia; comunque anche il paziente con VWD (nei casi gravi) ne può essere colpito. Il paziente dovrà rivolgersi allo specialista ematologo, il quale con la terapia adeguata e la collaborazione dello specialista ortopedico, sarà in grado di risolvere il problema e prevenire eventuali complicazioni a carico dell’articolazione interessata (artropatia cronica). Bibliografia 1. Tosetto A, Rodeghiero F, Castaman G et al (2006) A quantitative analysis of bleeding symptoms in type 1 von Willebrand disease: results from a multicenter European study (MCMDM-1 VWD). J Thromb Haemost 4:766–773 2. Federici AB, Mannucci PM (2007) Management of inherited von Willebrand disease in 2007. Ann Med 39:346–358 IMPRESSUM Inserto alla rivista "Internal and Emergency Medicine" Vol. 4 Num. 2 Editore: Springer-Verlag Italia Srl, Via Decembrio 28, 20137 Milano Stampa: Grafiche Porpora, Segrate (MI) – Copyright © SIMI, Società Italiana di Medicina Interna