Università “G. d'Annunzio”
Dipartimento di Scienze giuridiche
Azione amministrativa ed azione impositiva tra
autorità e consenso.
Strumenti e tecniche di tutela dell'amministrato e
del contribuente.
di Christian Califano
n° 9 / 2008
AZIONE AMMINISTRATIVA ED AZIONE IMPOSITIVA TRA AUTORITÀ E
CONSENSO.
STRUMENTI E TECNICHE DI TUTELA DELL’AMMINISTRATO E DEL
CONTRIBUENTE.
LA MOTIVAZIONE DEGLI ATTI .
1. La motivazione degli atti impositivi tra autorità e consenso.
La motivazione costituisce un elemento indefettibile di tutti gli atti amministrativi a contenuto provvedimentale: la valorizzazione del momento procedimentale, infatti, ha condotto al pieno riconoscimento del suo ruolo all’interno degli
atti che esprimono la potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria1. In questo senso, la natura provvedimentale dell’atto e la necessità di anticipare il momento della tutela per il contribuente dalla fase giurisdizionale all’atto della formazione
dell’atto impositivo, fanno emergere l’esigenza di dare rilievo agli elementi di
istruzione primaria sin dalla fase amministrativa di formazione dell’atto 2 proprio
attraverso la motivazione, ove vengono rilevati i risultati dell’istruttoria ed il vaglio
di congruità degli stessi rispetto alle circostanze affermate nell’atto stesso3.
L’esigenza che la motivazione indichi gli elementi emersi nella fase procedimentale antecedente all’emanazione dell’atto di accertamento costituisce una garanzia del rispetto delle regole dell’istruttoria stessa 4, soprattutto laddove si sia in
presenza di un presupposto complesso per la molteplicità degli elementi che influi1
Sul punto specifico paiono di rilevo le osservazioni di F. MOSCHETTI, Avviso di accertamento
tributario e garanzie del cittadino, in AA.VV., Procedimenti tributari e garanzie del cittadino,
Padova, 1984, 44, ove enfatizza significativamente il “requisito” della motivazione dell'atto di
accertamento.
2
Questa affermazione trova in dottrina ampia condivisione: cfr., per tutti, R. LUPI, Motivazione e
prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette e all’IVA, in Riv.
Dir. Fin. Sc. Fin., 1987, I, 274 ss., A. CICOGNANI, Il pensiero di Enrico Allorio nell’ordinamento
tributario odierno e nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, in Riv. Dir. Fin. e Sc. Fin.,
1988, I, 227. Una isolata posizione di dissenso, invece, si ravvisa in C. BAFILE, Motivazione dell'
accertamento e natura del processo secondo l'ultimo indirizzo delle Sezioni Unite, in Rass. Trib.,
1989, 254-255, il quale, ispirandosi alle più risalenti e ben note tesi di A. BERLIRI, Il D.P.R. 3
novembre 1981, n. 739, e la natura del processo tributario, in Giur. Imp., 1981, IV, 1194, ora in
“Scritti scelti di Diritto tributario”, Milano, 1990, 781 ss.), ritiene che nell’accertamento vi debba
essere “la sola enunciazione in modo sufficientemente chiaro di una pretesa, la cui fondatezza (e non
legittimità) sarà verificata in giudizio con accertamento di pieno merito e con completa istruttoria”.
3
Cfr. L. SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e
nell’IVA), Padova 1990, 395 ss.; I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente
nelle imposte dirette e nell’IVA, Milano, 1993, 14; F. GALLO, Accertamento e garanzie del
contribuente: prospettive di riforma, in Dir. Prat. Trib., 1990, I, 66 ss.; R. LUPI, Motivazione e prova
nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette e all’IVA, cit., 306 ss.
4
Se così non fosse, verrebbe legittimata per gli Uffici la possibilità di emanare atti in base a semplici
congetture, contando sulla possibilità di un’acquiescenza da parte del contribuente o, su un
supplemento di istruttoria durante la fase processuale.
1
scono sulla sua determinazione. Successivamente al momento dell’acquisizione dei
fatti, dunque, ed in relazione a questi, l’Amministrazione finanziaria deve esprimere una valutazione di diritto sulla base delle conoscenze da essa acquisite in sede
procedimentale. Sotto tale ultimo profilo la motivazione si atteggia secondo parametri diversi: mentre nel provvedimento discrezionale la motivazione è funzionale
a chiarire soprattutto le ragioni per le quali l’amministrazione ha ritenuto prevalente (e, quindi, meritevole di tutela) un interesse piuttosto che un altro, nell’atto vincolato la motivazione funge da elemento dimostrativo circa la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto del potere esercitato tramite l’emissione dell’atto stesso5 in relazione alla complessità del presupposto ed alla molteplicità degli elementi
che influiscono sulla sua determinazione.
In tale prospettiva si inquadra, nel diritto tributario, la possibilità di svolgere la
funzione pubblica “per consenso”.
Negli atti ove il consenso adesivo può (sostanzialmente) concernere un apprezzamento valutativo in relazione alla quantificazione della base imponibile - come
nell’accertamento con adesione - si realizza la possibilità di un accordo tra Amministrazione finanziaria e contribuente che sembra riconducibile più ad un accordo
di diritto pubblico6 che un contratto di diritto privato7.
L’esercizio della funzione amministrativa attraverso accordi realizzati in contraddittorio con il contribuente non muta, infatti, la natura autoritativa del provvedimento impositivo, che viene connotato dalla funzione stessa: permarranno sempre, infatti, le componenti dell’obbligatorietà e dell’immediata efficacia dell’atto.
Il punto merita qualche ulteriore precisazione.
5
Sul punto, G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 307 e
99 ss.; in relazione ai differenti connotati che assume la motivazione con riferimento ali atti discrezionali ed agli atti vincolati, si v. B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, in AA.VV., Istituzioni di Diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2004, 252.
6
Tale è la tesi di F. GALLO, (da ultimo in) La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in
AA.VV., “Adesione, conciliazione ed autotutela”, Padova 2007, 68; si sono espressi a favore della
tesi di accordo di diritto pubblico anche M. MICCINESI, Accertamento con adesione e conciliazione
giudiziale, in “Commento agli interventi della riforma tributaria”, a cura dello stesso A., Padova,
1999, 4; M. STIPO, Ancora sulla natura giuridica dell’accertamento con adesione del contribuente
(ex D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218) nella prospettiva del nuovo cittadino e della nuova pubblica
amministrazione nell’ordinamento democratico, in Rass. Trib., 2000, 1777 ss. In relazione
all’esercizio della funzione amministrativa attraverso accordi con il contribuente, M. VERSIGLIONI,
Accordo e disposizione nel diritto tributario, Milano, 2001, 333-334, evidenzia che “l’esercizio della
funzione amministrativa attraverso accordi realizzati in contraddittorio con il privato … finisce per
negare definitivamente l’ammissibilità di tale categoria di contratti…” aggiungendo inoltre come “tali
aspetti non trovano diretta applicazione ai procedimenti tributari, se non altro perché riguarderebbero
solo atti a contenuto discrezionale (amministrativo) e non già accertamenti a contenuto vincolato…”.
Sul tema si v. anche E. MARELLO, L’accertamento con adesione, Torino, 2000, spec. pt. IV, sez 5,
ove l’A., più che rifarsi a modelli di altri settori dell’ordinamento, sembra propendere per una natura
tipicamente tributaria dell’istituto dell’accertamento con adesione.
7
Si orientano, invece, verso la tesi contrattualistica P. RUSSO, Manuale di Diritto tributario, Milano,
1999, 313; F. BATISTONI FERRARA, La conciliazione giudiziale: come, quando, perché, in Boll.
Trib., 1996, 573 ss.; L. TOSI, La conciliazione giudiziale, in AA.VV., “Il Processo tributario”, in
Giurisprudenza sistematica di Diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1998, 91 ss.
2
Per definire, infatti, come si atteggia il concetto di autoritatività nelle ipotesi di
attività definita “per consenso” tra privato ed Amministrazione pubblica, è necessario partire dal presupposto che l’imperatività è stata negata solo in relazione all’attività contrattuale della pubblica amministrazione, ove viene messo in dubbio, se
non addirittura escluso, che gli atti che ne scaturiscano abbiano la natura di provvedimenti amministrativi8.
Al contrario, secondo la ricostruzione operata dal diritto amministrativo, le attività riconducibili agli accordi di diritto pubblico conservano la loro natura di provvedimenti amministrativi, costituendo un’espressione dell’esercizio di poteri a cui
è sempre sottesa una prevalenza dell’interesse pubblico. In altri termini, sussiste
sempre negli accordi l’idea di imperatività non nella sua accezione di privilegio o
supremazia, ma in quella di prevalenza dell’interesse pubblico.
In tale ottica, una volta recepito che nell’azione impositiva può sussistere, per
alcuni istituti specificamente previsti dalla legge9, la possibilità che si configuri un
accordo endoprocedimentale, sia esso contenutistico o sostitutivo, bisogna rilevare
che tale accordo fa venir meno quello che è sempre stato considerato il dogma dell’esclusiva unilateralità del provvedimento amministrativo.
Qui è bene evidenziare come l’assenza del carattere di unilateralità dell’atto e
la centralità dell’elemento consensuale nella funzione amministrativa deve essere
intesa solo come il venir meno dell’autoritatività dell’esercizio del potere senza il
consenso del contribuente, che è cosa diversa rispetto all’imperatività del provvedimento coincidente con la sua esecutività10. In altri termini, una volta emesso l’atto,
qualsiasi siano le modalità procedimentali regolate dalla legge attraverso le quali si
8
Sebbene si tratti, per il diritto tributario, di profili più marginali, sembra opportuno evidenziare che
tttte le ricostruzioni dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione o escludono
l’imperatività degli atti in questione come G. GRECO, I contratti dell’Amministrazione tra diritto
pubblico e privato. I contratti di evidenza pubblica, Milano, 1986, 81 ss. e 88 ss., secondo cui
“mancando … ogni autoritatività, manca altresì la caratteristica fondamentale e precipua dei
provvedimenti amministrativi”, oppure ammettono che essi sono provvedimenti amministrativi pur
negando, al contempo, che il carattere indefettibile di tali atti possa essere l’imperatività; in tali ultimi
termini si v. G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche: ammissibilità e caratteri, cit., 232 e 259 ss.,
secondo cui “l’imperatività non è affatto un contrassegno essenziale ed ineliminabile del
provvedimento, in quanto figura giuridica”. Per un’analisi critica di queste due tesi, si v. F.G.
SCOCA, La teoria del provvedimento, dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, cit., 16
ss., il quale ritiene che tale tipologia di atti siano comunque atti amministrativi finalizzati alla cura di
interessi pubblici (20 ss.), ma non possano essere considerati provvedimenti (52 ss.). L’A. afferma,
peraltro, che in tale contesto (in specifico negli atti di adesioni a convenzioni) “si deve escludere il
carattere dell’autoritatività, non essendo il potere unilateralmente idoneo a dettare un regolamento di
interessi altrui”.
9
Il venir meno dell’esclusiva unilateralità del provvedimento amministrativo ha comportato,
correlativamente, anche un differente inquadramento del principio di tipicità dell’atto. Sul rapporto
che lega il principio di tipicità con quello di legalità e, quindi, alla funzione di garanzia svolto dal
primo, si v. S. FOIS, Legalità (principio di), in Enc. Dir., Milano, 1973, 659 e 664.
10
In relazione alla distinzione tra autoritatività del potere , intesa come unilateralità e imperatività del
provvedimento, coincidente con la sua esecutività, si rinvia a F.G. SCOCA, La teoria del
provvedimento, dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, cit., 16 ss.
3
è estrinsecato il potere di imperio dell’Amministrazione finanziaria11, resta fermo
che l’atto è comunque espressione dell’esercizio della funzione amministrativa:
esso conserva il carattere proprio dell’autoritatività ed è idoneo, come tale, a consentire l’esecuzione della pretesa amministrativa12.
Tutti gli atti amministrativi autoritativi, pertanto, costituiscono lo strumento attraverso il quale l’amministrazione enuncia nei confronti del contribuente le ragioni ed il contenuto della pretesa tributaria: nelle ipotesi, infatti, in cui non vi sia uno
spontaneo ed esatto adempimento dell’obbligazione tributaria, l’atto impositivo costituisce quel momento necessario ed indefettibile per qualificare la suddetta pretesa.
2. La motivazione dell’accertamento con adesione.
Prendendo le mosse dalle conclusioni cui si è precedentemente pervenuti, occorre ora valutarne gli aspetti peculiari della funzione svolta dalla motivazione nell’accertamento con adesione.
Acclarato che si tratta di un atto di natura provvedimentale, che costituisce
un’espressione dell’esercizio di poteri a cui è sempre sottesa una prevalenza dell’interesse pubblico13, occorre considerare che la determinazione del debito fiscale
cui si perviene attraverso questo istituto è il risultato di una valutazione “critica e
concorde di soggetti non pariordinati”14, non diretta a disporre liberamente del debito d'imposta: l’accertamento con adesione si verifica, infatti, in un momento in
cui il debito di imposta o non è ancora determinato, oppure può essere sottoposto a
11
Anche l’imposizione tributaria è ricondotta al potere di imperio delle amministrazioni
pubbliche: così R. LUPI, La disciplina delle entrate, in AA.VV. “Trattato di Diritto
Amministrativo”, a cura di S. Cassese, Milano 2003, III, 1927 ss., il quale ne evidenzia
l’aspetto autoritativo.
12
Come osserva G. SACCHI MORSIANI, L’esecuzione delle pretese amministrative, Padova,
1977, 137, proprio con riferimento al contenuto dell’imperatività in rapporto alla funzione propria
del potere amministrativo sostanziale ed alla struttura del procedimento, “il problema dell’esecuzione
non si pone, fisiologicamente, sullo schermo di rappresentazione dell’azione amministrativa
sostanziale. Riguarda invece, semmai, un momento patologico e si pone come fenomeno estrinseco
rispetto al potere amministrativo primario ed al relativo procedimento. Se infatti, la realizzazione del
fatto tipico, in vista del quale un determinato potere amministrativo è previsto, si compie con
l’emanazione dell’atto produttivo degli effetti giuridici avuti di mira, ciò significa che in quel
momento va ad esaurirsi il potere stesso e quindi a conchiudersi l’arco dell’azione, vale a dire il
procedimento relativo. La conseguenza è che il fenomeno dell’esecuzione autoritativa dell’atto
rappresenta un fatto eventuale e comunque estrinseco rispetto all’arco di svolgimento proprio del
potere considerato”.
13
L’assenza del carattere di unilateralità dell’atto e la centralità dell’elemento consensuale nella
funzione amministrativa deve essere intesa solo come il venir meno della autoritatività dell’esercizio
del potere senza il consenso del contribuente, che è cosa diversa rispetto all’imperatività del
provvedimento coincidente con la sua esecutività. In relazione alla distinzione tra autoritatività del
potere , intesa come unilateralità e imperatività del provvedimento, coincidente con la sua esecutività,
si rinvia a F.G. SCOCA, La teoria del provvedimento, dalla sua formulazione alla legge sul
procedimento, cit., 16 ss. Per approfondimenti si v. in questo capitolo, retro, § 1.3.
14
Così, testualmente, F. GALLO, La natura giuridica dell’accertamento con adesione, cit., 433.
4
verifica giudiziale in sede contenziosa.
La finalità di tale istituto, dunque, resta quello di individuare consensualmente
una soluzione ad un contrasto interpretativo che sia il più possibile conforme alle
disposizioni di legge applicabili nella concreta fattispecie.
In questo contesto, l’Amministrazione finanziaria dovrà scegliere, nell’alveo
della disciplina dell’accertamento con adesione, se finalizzare un accordo con una
immediata percezione del debito di imposta oppure se puntare ad una pretesa fiscale differita nel tempo e passibile di una potenziale soccombenza in una eventuale
sede contenziosa15.
Proprio da qui, nasce l’esigenza di un’adeguata motivazione, che, peraltro, costituisce un elemento essenziale della disciplina dell’accertamento con adesione,
espressamente prevista dall’art. 7, D.Lgs 218/1997 ove è specificato che “[…] nell’atto sono indicati, separatamente per ciascun tributo, gli elementi e la motivazione su cui la definizione si fonda […]”.
Di conseguenza, gli Uffici dovranno valutare se, per la fattispecie considerata,
sussistono adeguati elementi ed una valida motivazione su cui fondare la definizione. Omettere tale valutazione o non darne conto nella motivazione significa concludere un accertamento con adesione che non esplicita e, quindi, non rende conoscibili nemmeno all’interno della stessa amministrazione, delle valutazioni compiute
in termini di opportunità e dell’apprezzamento operato dagli organi accertatori basandosi su un rapporto “costi/benefici” per l’Erario.
All’interno dell’alveo di tale istituto, infatti, la motivazione assolve ad una funzione ulteriore: oltre a contenere l’indicazione dei presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato l’agire dell’amministrazione, essa rappresenta
l’esposizione logica e ragionata delle argomentazioni condivise dalle parti e poste a
base dell’adesione stessa, da cui scaturisce la definizione dell’imposta dovuta.
Queste considerazioni valgono, a maggior ragione, se si considera un recente
indirizzo della magistratura contabile che ha ritenuto responsabili di comportamento doloso o gravemente colposo, fonte di responsabilità erariale, alcuni funzionari
dell’Amministrazione finanziaria che hanno avevano concluso un accertamento
con adesione il cui importo definito è stato rilevato dalla Corte dei Conti come
enormemente vantaggioso per il contribuente, in assenza, nella motivazione dell’atto, di adeguate ragioni16.
Paiono qui, dunque, di tutta evidenza il fatto che la motivazione assolve anche
15
La prassi amministrativa, sul punto, si è espressa attraverso la circolare 235/E dell’8/08/1997, la
quale prescrive agli uffici di operare nei casi concreti, “un’attenta valutazione del rapporto costibenefici dell’operazione, tenendo conto della fondatezza degli elementi posti a base dell’accertamento
nonché degli oneri e del rischio di soccombenza di un’eventuale contenzioso”. La circolare 117/E del
13 maggio 1996, aveva poi fornito un’elencazione, anche se non tassativa, dei motivi che potrebbero
essere validamente addotti dai contribuenti in tale sede. Pare quindi fuori di dubbio che tali
determinazioni tendono a risentire di valutazioni in termini di opportunità e di apprezzamenti basati
su un rapporto costi/benefici. Su tali profili cfr. anche L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente
ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, ed. provv.,
Montesilvano (PE), 2003, 67 ss,
5
ad una funzione all’interno dell’Amministrazione finanziaria, rilevando ai fini della
dimostrazione della correttezza e della legittimità dell’azione amministrativa intrapresa (c.d. controllo di “auditing” interno, ovvero di verifica e revisione contabile),
oltre che dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato
l’agire dell’amministrazione.
In questo senso si è anche espressa la dottrina che ha approfondito tali profili,
laddove ha posto in evidenza che, nell’accertamento con adesione e, in generale, in
tutti gli atti ove più accentuato è il profilo consensualistico, un’adeguata motivazione deve intendersi prevista nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, essendo
funzionale a valutare il comportamento del funzionario ed i parametri di una sua
eventuale responsabilità17. Nelle ipotesi in cui si manifesti un rapporto diretto in
contraddittorio con il contribuente, infatti, l’obbligo di documentare tale contraddittorio e l’obbligo di una circostanziata motivazione dell’atto di definizione, consentono al funzionario dell’amministrazione di dimostrare la correttezza dell’agire
amministrativo e di non esporsi a responsabilità di natura amministrativo-contabile18.
3. La motivazione degli interpelli.
16
Così Corte dei Conti, Sez. Giur. Sicilia, 16 marzo 2005, n. 512, in Boll. Trib., 2006, 4, 344 ss. Nella
concreta fattispecie, i funzionari condannati per danno erariale, una volta acclarata nell’ambito
dell’istruttoria la natura commerciale dei redditi, avrebbero dovuto escludere la possibilità di operare
un abbattimento forfetario, ma, al contrario, avrebbero dovuto assoggettare a tassazione l’imponibile
non rientrando la fattispecie nelle particolari esenzioni previste dalle agevolazioni per il Mezzogiorno
in base a dati oggettivi che non lasciavano margine ad alcuna valutazione discrezionale. Nella
concreta fattispecie la Corte ha ritenuto (per certi versi discutibilmente) che l’Ufficio non godeva di
discrezionalità piena bensì di discrezionalità “tecnica”, postulando che la normativa “pur
privilegiando la forma «concordataria» dell’accertamento, non attribuisce all’Amministrazione
finanziaria alcun margine di discrezionalità amministrativa nel sottoporre a tassazione, o meno, un
determinato cespite considerato dalla legge produttivo di reddito; al contrario, essa consente
all’Amministrazione finanziaria l’esercizio di una discrezionalità «tecnica» nel senso di individuare e
definire, con l’assenso del contribuente, quelle fattispecie che, in relazione allo stato della
giurisprudenza o di oggettive difficoltà esegetiche o di insufficienza di dati sostenibili in sede di un
eventuale contenzioso, si prestano ad opinabili valutazioni in ordine alla sussistenza o meno di
un’effettiva vocazione reddituale e di una corrispondente capacità contributiva, con un esito
giudiziale assai incerto e per certi versi, in previsione di una possibile soccombenza e della relativa
condanna alle spese, non percorribile con ragionevoli e apprezzabili chances di successo”.
17
P. RUSSO, Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, nella Relazione
al Convegno di Studi “Profili autoritativi e consensuali del Diritto tributario”, Catania, 14 e 15
settembre 2007, 21.
18
In questi termini, dopo approfondita analisi anche di tutta la più recente prassi, C. SCARANO, La
responsabilità contabile e civilistica dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria, in AA.VV.,
“Adesione, conciliazione ed autotutela”, Padova, 2007, 79 e 80.
6
Le differenti figure di interpello presenti nell’ordinamento tributario19 impongono l’esigenza di un inquadramento generale sia ai fini degli effetti, sia delle differenti peculiarità procedimentali che ne condizionano la struttura.
La motivazione, in questo contesto, pare implicitamente connaturata al parere a
cui afferisce oltre che esplicitamente prevista sul piano normativo20. Essa, tuttavia,
si atteggia in modi differenti a seconda dei differenti iter procedimentali cui fa da
imprescindibile corollario.
Sul piano generale, infatti, l’interpello è un istituto attraverso cui l’Amministrazione finanziaria esprime un parere su un quesito posto preventivamente dal
contribuente21.
La partecipazione della parte privata assume, dunque, un rilievo fondamentale
non solo attraverso l’atto di impulso del contribuente, attuato mediante la descrizione della questione concreta su cui si chiede il vaglio interpretativo dell’amministrazione, ma anche in ordine alla qualificazione, sul piano giuridico, della fattispecie
che deve essere considerata ai fini dell’emanazione del parere della parte pubblica.
L’accettazione implicita attraverso il silenzio assenso è prevista,poi, con modalità
differenti, sia per l’interpello cosiddetto “ordinario” dello Statuto, sia per l’interpello “speciale” previsto dalla legge n. 413/1991.
Le due previsioni presentano differenti caratterizzazioni che appaiono sin dal
tenore letterale delle due norme: l’interpello ex art. 11 si incentra, infatti, sull’applicazione delle norme tributarie a casi concreti e personali qualora sussistano, per
il contribuente, obiettive condizioni di incertezza interpretativa sulle disposizioni
stesse, mentre lo strumento previsto dall’art. 21 della legge 413/1991 concerne la
richiesta di un parere sul regime fiscale applicabile ad un atto o ad un’operazione
che si intende porre in essere. L’art. 21 della legge 413/1991, inoltre, circoscrive le
fattispecie in relazione alle quali il contribuente può interpellare l’amministrazione22, limitandone l’ambito oggettivo alle operazioni indicate nelle disposizioni della stessa norma ed a quelle ad essa collegate, non permettendone l’estensione a tutta la normativa tributaria23.
19
Sulle diverse fattispecie di interpello nel diritto tributario, fra i contributi più recenti, si v. F.
PISTOLESI, Gli interpelli nel Diritto tributario, Milano, 2007, 13 ss., 45 ss. e 87 ss.; G.A.
VENTIMIGLIA, Interpelli, procedimenti autorizzatori e tutela del contribuente, in Giustizia Trib.,
2007, 4, 652 ss.
20
Ci si riferisce all’interpello c.d. “ordinario”, previsto dall’art. 11 della legge 212/2000, ove, al
comma 2, si legge che “La risposta dell’Amministrazione finanziaria, scritta e motivata …”.
21
In relazione al fine partecipativo sotteso alla tutela delle posizioni giuridiche del contribuente e nel
concorrere, da parte dello stesso, al buon andamento dell’Amministrazione pubblica, si veda M.
VERSIGLIONI, Accordo e disposizione nel diritto tributario. Contributo allo studio
dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, cit., 20 ss.; ID., Interpello, in
AA.VV., Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Vol. IV, Milano 2006, 3174; E.
MARELLO, Accertamento con adesione, cit., 120 ss.
22
In relazione alla natura giuridica di circolari, risoluzioni pareri, si veda il fondamentale contributo
di G. FALSITTA, Rilevanza delle circolari interpretative e tutela giurisdizionale del contribuente, in
Studi in onore di Allorio, Milano, 1989, sez. VIII, 1793 ss.
7
A far luce sui rapporti tra le due norme interviene comunque lo stesso Legislatore, laddove colloca l’interpello ordinario nella legge 212/2000, il cui art. 11, comma 6, prevede espressamente che “resta fermo quanto previsto nell’art. 21 della
legge 413/1991, relativo all’interpello dell’Amministrazione finanziaria da parte
dei contribuenti”, quasi a volerne sviluppare il contenuto dettandone una disciplina
generale24.
Rispetto all’istituto previsto dall’art. 21 della legge 413/1991, inoltre, l’interpello dello Statuto evidenzia presupposti, ambiti di applicazione ed effetti differenti, soprattutto in ordine all’esplicita previsione dell’inversione dell’onere della prova a carico del soggetto passivo che non si è uniformato al parere dell’amministrazione, rappresentando, in tal senso, una differente tipologia del genus.
Oltre che sul piano procedimentale, ove emergono rilevanti profili di diversità,
risulta differente anche l’ambito di applicazione che, per l’interpello ex art. 11, si
circoscrive a quelle ipotesi ove si manifesta la sussistenza di un’obiettiva condizione di incertezza sulla portata interpretativa di una norma con riferimento ad un caso
concreto e personale, investendo, con carattere preventivo, profili sostanzialmente
di interpretazione25 anche se, poi, l’ambito applicativo dell’interpello “ordinario” è
stato poi ampliato a fattispecie di tipo “sostanziale”26. In tale ultime ipotesi l’inter23
Si segnala inoltre, per completezza, che accanto a tale tipologia di interpello è previsto, ai sensi
dell’art. 37 bis, comma 8, D.P.R. 600/1973, lo strumento del cosiddetto “tax rulling”, in virtù del
quale il contribuente può dimostrare che in una particolare fattispecie da lui prospettata non possono
essere applicate le norme tributarie che limitano detrazioni, deduzioni, crediti di imposta o altre
posizioni soggettive, altrimenti ammesse, con lo scopo di contrastare comportamenti elusivi. Qui si
tratta di una dimostrazione in negativo che il contribuente ha l’onere di fornire al fine di escludere
l’intervento di norme antielusive sulla fattispecie dallo stesso prospettata, non sussistendo peraltro
una predeterminazione tassativa da parte della norma in relazione all’ambito oggettivo di
applicazione, così da postulare una maggiore ampiezza della sua sfera di applicazione rispetto
all’interpello previsto dall’art. 21 della legge 413/1991. In argomento si veda G. ZIZZO, Diritto di
interpello e ruling, in Riv. Dir. Trib., 1992, I, 136 ss.
24
In questi termini M. MICCINESI, L’interpello nello Statuto dei diritti del contribuente, in AA.VV.,
Lo Statuto dei diritti del contribuente, cit., 103; cfr. anche A. GIOVANNINI, L’interpello preventivo
dell’Agenzia delle Entrate, in Rass. Trib., 2002, 2, 449 ss.
25
La richiesta di intervento dell’Amministrazione finanziaria, dunque, risolve (o quantomeno
dovrebbe risolvere) l’incertezza sul piano qualificatorio che concerne, per l’interpello “ordinario”,
l’interpretazione della norma in relazione al caso concreto e, nell’interpello “speciale”, l’incertezza
del fatto specifico alla luce delle disposizioni nel cui ambito il fatto stesso deve essere sussulto. Così
ancora M. MICCINESI, L’interpello nello Statuto dei diritti del contribuente, cit., 104.
26 Il Legislatore, quasi a volerne sottolineare la portata generale dell’interpello ex art. 11 Statuto, ne
ha ampliato l’applicazione a due previsioni normative concernenti la disciplina sulle cosiddette
“controlled foreign companies”, (art. 167, comma 5, TUIR) e la verifica dei requisiti per l’esercizio
dell’opzione nelle nuove disposizioni normative sul “consolidato mondiale” (art. 132, comma 3,
TUIR). In tali ipotesi lo strumento dell’interpello, previsto originariamente e strutturalmente come
uno strumento facoltativo a garanzia del contribuente, assume qui il carattere di un istituto cui
l’ordinamento impone, obbligatoriamente, l’utilizzo, subordinando alla sua proposizione da parte del
contribuente la dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’applicabilità o
meno delle disposizioni normative concernenti le CFC o per l’esercizio dell’opzione ai fini del
consolidato mondiale.
8
pello, preposto a risolvere questioni di profilo eminentemente interpretativo, viene
invece utilizzato ai fini del vaglio di questioni fattuali ed operative a scopi antielusivi, oppure di accertamento della sussistenza dei requisiti occorrenti per l’applicazione della norma, venendo in tal modo investito di implicazioni sostanziali ai fini
dell’attuazione della fattispecie normativa27.
Ulteriori profili di analisi, infine, emergono in relazione alla procedura di “ruling internazionale”, prevista dall’art. 8 del D.L. 269/2003, ove si impone, preliminarmente, una valutazione sul piano qualificatorio28. Qui, infatti, emerge la necessità di valutare se tale procedimento, circoscritto peraltro dalla norma alle imprese
che operano su scala internazionale e con riferimento ad operazioni all’interno di
gruppi societari, possa essere considerato sul piano ricostruttivo una species del genus di interpello oppure sia riconducibile ad una forma di “accordo” tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
Il tenore letterale della norma sembra confermare che si tratti di un “accordo”
ispirato agli omonimi “rulings” vigenti in altri ordinamenti29: le valutazioni operate
dall’Amministrazione finanziaria e l’utilizzo dello schema dell’accordo, hanno poi
indotto una parte della dottrina a valorizzare la funzione dispositiva di tale tipo di
interpello30 in luogo della sua funzione interpretativa - e, quindi, dichiarativa - proposta, invece, da altra parte della dottrina31.
Il profilo della motivazione, in tale contesto, si atteggerà in maniera differente
a seconda che a tale tipo di “accordo” si voglia riconoscere una funzione di tipo interpretativo, o, invece, si voglia valorizzare una funzione di tipo dispositivo.
L’elemento che, però, caratterizza tutti gli interpelli previsti dalle varie norme,
è da ravvisarsi sul versante degli effetti: la richiesta di un’interpretazione amministrativa, che opera sul piano della valutazione sistematica di quali siano le disposizioni legislative da applicare e tra queste, quali abbiano maggiore rilevanza, pone il
contribuente in una situazione di affidamento in relazione alla posizione formal27
Su questi profili si rinvia a M. MICCINESI, L’interpello nello Statuto dei diritti del contribuente,
cit., 104; R. LUPI, Principi generali in tema di C.F.C. e radicamento territoriale delle imprese, in
Rass. Trib. 2000, 1731 ss.; C. CALIFANO, Controlled Foreign Companies: esperienze tributarie
nazionali e principi del Trattato Ue, in “Lo Stato della Fiscalità nell’Unione Europea”, II, a cura di A.
Di Pietro, Roma 2003, 756 ss.
28
Sul punto cfr. C. CALIFANO, Interpello, affidamento ed illecito tributario, in “Sussidiarietà ed
efficacia del sistema sanzionatorio fiscale”, a cura di G. Insolera e R. Acquaroli, Milano, 2005, 284285.
29
G. GAFFURI, Il ruling internazionale, in Rass. Trib., 2004, 2, 488 ss.
30
Cfr. P. ADONNINO, Considerazioni in tema di ruling internazionale, in Riv. Dir. Trib., 2004, 4,
69, G. GAFFURI, Il ruling internazionale, cit., 493; L. TOSI, Il ruling di standard internazionale, in
Dialoghi Dir. Trib., 2004, 4, 495; F. CROVATO, Gli accordi preventivi nella determinazione del
reddito imponibile, Padova, 2005, 204 ss.
31
M. VERSIGLIONI, Interpello, cit., 3178; F. PISTOLESI, Gli interpelli nel Diritto tributario, cit.,
107-111; L. DEL FEDERICO, Autorità e consenso nella disciplina degli interpelli fiscali, nella
Relazione al Convegno di studi “Profili autoritativi e consensuali nel diritto tributario”, Catania, 14 e
15 settembre 2007, 5.
9
mente espressa dall’Amministrazione finanziaria, anche nell’ipotesi di successivi
ripensamenti o rettifiche.
I caratteri di concretezza e personalità cui lo Statuto affida la caratterizzazione
della questione posta dal contribuente, circoscrivono il quesito posto nell’alveo di
un effettivo interesse concreto del richiedente ed impongono all’Amministrazione
una stabilità della interpretazione data sulla disciplina, proprio in ragione del principio di legalità dell’azione amministrativa e di tutela dell’affidamento32.
Questa valutazione comporta, in linea generale, che tutti gli interpelli interpretativi, quelli che contengono elementi valutativi sul fatto a scopi antielusivi, oppure
di accertamento della sussistenza dei requisiti per l’applicazione della norma, debbano essere compiutamente motivati privilegiando, a seconda dei casi, le ragioni
giuridiche che hanno condotto alla qualificazione della fattispecie o l’istruttoria
compiuta sul fatto concreto in relazione a quanto disposto dalla norma.
Resta, comunque, ferma la necessaria indicazione delle risultanze istruttorie e
degli elementi probatori utilizzati e sottoposti a valutazione, sebbene, è opportuno
evidenziarlo, qui si sia in presenza di apporti probatori prodotti, in linea di massima, dal contribuente stesso, salva l’integrazione chiesta dall’Amministrazione finanziaria.
Certo è che nel caso in cui la valutazione operata dalla parte pubblica riguardi
profili di interpretazione della norma, i margini di valutazione discrezionale appaiono assolutamente angusti, se non inesistenti, al contrario di quanto, invece, avviene nelle ipotesi in cui dalla ricostruzione fattuale dipende la riconduzione della fattispecie a quanto previsto dalla norma. In tale ultimo caso, tuttavia, più che discrezionalità amministrativa, intesa nell’accezione tradizionale di ponderazione di interessi contrapposti, pare essere in presenza di una valutazione che trova margini nella qualificazione del fatto così come rappresentato dal contribuente.
Ciò che pare preminente, nella prospettiva suddetta, è che quanto espresso dall’Amministrazione finanziaria in esito alla domanda di interpello rappresenterà, di
regola, anche il supporto motivazionale delle eventuali pretese impositive avanzate
successivamente dagli Uffici33.
Diversa ancora, infine, appare l’ipotesi in cui la valutazione operata dalla Amministrazione finanziaria si estrinsechi attraverso l’utilizzo di un “accordo” definito
32
L’articolo 11, comma 2, dello Statuto, sottolinea infatti che la risposta vincola con esclusivo
riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello e limitatamente al richiedente, ribadendo
l’efficacia inter partes della posizione espressa o dell’adesione implicita dell’Amministrazione
finanziaria. L’efficacia preclusiva di tale disposizione si spinge sino a determinare, ai sensi
dell’articolo 11, comma 2, ultimo periodo, la nullità di qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o
sanzionatorio, emanato in difformità della risposta, tutelando in tal modo, proprio attraverso gli effetti
normativi previsti dalla disposizione, la buona fede e l’affidamento del contribuente nell’ipotesi di
una eventuale, successiva e differente interpretazione dell’Amministrazione finanziaria.
33
F. CROVATO, Peculiarità e problematicità dell’interpello ordinario, in “Il Diritto di interpello”,
Milano, 2003, 214, si spinge sino ad affermare sia l’impugnazione del parere privo di idonea
motivazione dinanzi al Giudice amministrativo, sia una “tutela differita”, di fronte alle Commissioni
tributarie, avverso il successivo eventuale atto impositivo.
10
con il contribuente, come avviene nella procedura di “ruling internazionale”, di cui
all’art. 8 del D.L. 269/2003.
Qui il profilo ed il contenuto della motivazione dipendono dall’inquadramento
sistematico del relativo istituto dato che, come già evidenziato, la dottrina non ne
ha proposto una ricostruzione unitaria.
Nel caso in cui se ne volesse accentuare, infatti, il profilo dispositivo (negoziale), allora la sussistenza di margini nell’esercizio del potere discrezionale34 comporterebbero che il contenuto motivazionale dell’atto dovrebbe dare conto, oltre che
dei presupposti di fatto, delle ragioni giuridiche, e delle risultanze dell’istruttoria,
anche dei motivi che hanno fatto propendere l’amministrazione per la scelta dell’interesse ritenuto preminente.
Viceversa, qualora l’opzione ricostruttiva prescelta riscontri in tale “accordo”
con l’amministrazione l’assenza di margini di valutazione discrezionale (intesa nella sua accezione tradizionale), ritenendosi invece preminente la funzione di interpretazione35 in relazione ad una norma o ad una operazione, allora, in questa prospettiva, varranno le considerazioni già espresse in tema di motivazione degli interpelli interpretativi.
4. La motivazione della transazione fiscale. Inquadramento della fattispecie,
natura dell’atto e rilievo motivazionale.
L’istituto della transazione fiscale36 è stato inserito a regime nel capo V del
titolo III della Legge fallimentare, all’art. 182 ter.
La “transazione”, che è un istituto tipico del diritto civile, pone subito nel diritto tributario un problema di ordine sistematico in quanto, secondo la tradizionale
34
La dottrina ha ritenuto di poter ravvisare in tale accordo un atto a contenuto transattivo (P.
ADONNINO, Considerazioni in tema di ruling internazionale, cit. 69), ritenendo altresì applicabile il
regime privatistico del contratto (così G. GAFFURI, Il ruling internazionale, cit., 493); altri ne hanno
invece valorizzato il profilo negoziale, ammettendo l’impiego di criteri di opportunità (L. TOSI, Il
ruling di standard internazionale, cit., 495); infine, vi è stato chi ne ha proposto una natura di
procedura negoziale ove sussistono margini di scelte politico-amministrative (F. CROVATO, Gli
accordi preventivi nella determinazione del reddito imponibile, cit., 204).
35
Questa sembra l’impostazione da preferire, con ciò aderendo alla soluzione da ultimo proposta da
L. DEL FEDERICO, Autorità e consenso nella disciplina degli interpelli fiscali, cit., 5. Secondo tale
A. occorre sottolineare che il ruling, utilizzando lo schema dell’accordo, potrebbe anche
apparentemente presentarsi come entità distaccata rispetto agli altri modelli di interpello: tuttavia,
anche in questa ipotesi, “non sembra potersi prescindere dall’applicazione il regime generale
dell’azione amministrativa, a meno che non si voglia intendere tale accordo come una valutazione
dell’Amministrazione sulla quantificazione del tributo, mettendo con ciò in discussione il concetto
tradizionale di discrezionalità amministrativa, intesa come ponderazione tra l’interesse primario e gli
interessi secondari”. Tale A., evidenzia altresì (ivi 7 ed 11) che “l’amministrazione non può esprimere
alcun consenso se non nei limiti della corretta interpretazione; soltanto il contribuente può
liberamente disporre”. In linea sul punto cfr. anche le soluzioni antecedentemente proposte da M.
VERSIGLIONI, Interpello, cit., 3178 ed F. PISTOLESI, Gli interpelli nel Diritto tributario, cit., 107
ss.
36
Introdotto dall’art. 146, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, contenente la riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali.
11
ricostruzione, per “definizione il credito tributario non è disponibile né rinunciabile
e, conseguentemente, non dovrebbe essere negoziabile”37.
Questo nuovo istituto, a differenza di altri come l’accertamento con adesione,
si pone, infatti, con tratti peculiari nei termini in cui, come figura di definizione del
rapporto tributario, opera in una fase in cui l’ammontare della pretesa erariale può
considerarsi certo nell’an e determinato nel quantum. La transazione fiscale, infatti,
consente al contribuente di proporre all’Amministrazione finanziaria il pagamento,
anche parziale, di tributi ed accessori anche se già iscritti a ruolo, con l’ulteriore facoltà di chiedere una dilazione di pagamento.
Rispetto alla previgente disciplina38, che consentiva all’amministrazione, dopo
l'inizio dell’esecuzione coattiva, di procedere alla transazione dei tributi iscritti a
ruolo nell’ipotesi di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva quando si palesava l’insolvenza del debitore o quando
quest’ultimo era assoggettato a procedure concorsuali, l’art. 182 ter sembra, invece, accentuare la natura non transattivi dell’istituto bensì la sua connotazione concorsuale39.
Nella pregressa disciplina, infatti, l’accordo si perfezionava in base ad apposito
atto emesso dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che si configurava come un
provvedimento di natura discrezionale di accettazione della transazione proposta
dal contribuente, in capo al quale si configurava una posizione di interesse legittimo40.
In quanto provvedimento di natura discrezionale, espressivo di una ponderazione di interessi in cui assumevano un ruolo fondamentale i parametri della maggiore
economicità e della proficuità dell’accordo rispetto all’attività di riscossione coattiva, tale accordo doveva essere attentamente motivato in relazione all’interesse dell’ordinamento ritenuto prevalente dall’Amministrazione finanziaria.
La nuova disposizione di cui all’art. 182 ter si colloca in un ambito che è stato
definito “lacunoso e scarsamente attento agli aspetti sistematici” 41, in virtù della
37
In questi esatti termini L. TOSI, La transazione fiscale, in Rass. Trib., 2006, 4, 1071, secondo cui,
inoltre, tale istituto “si pone in posizione derogatoria rispetto al principio dell’indisponibilità del
credito tributario”.
38
L’art. 3, comma 3, D.L. 138/2002, entrato in vigore il 23 febbraio 2003 ed abrogato dall’art. 151,
D.Lgs. 5/2006 con decorrenza dal 16 gennaio 2006. Per un approfondimento sul tema si v. M.
BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, in Corr. Trib., 2005, 1219; M.T. MOSCATELLI, La
disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, in Riv. Dir. Trib., 2005, I, 483; ID,
Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano 2007, 304 ss.
39
Così L. DEL FEDERICO, Commento all’art. 182 ter, in AA.VV. “Il nuovo diritto fallimentare”,
diretto da A. Jorio, Tomo II, 2006, 2575.
40
In tal senso si v. la circolare del 4/03/2005, n. 8/E dell’Agenzia delle Entrate, che ha recepito
l’indirizzo espresso dal Consiglio di Stato Consiglio di Stato con riferimento al simile istituto previsto
dall’art. 3, comma 3, D.L. 138/2002. Sul punto, cfr. M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli,
cit., 1219 ss.
41
Cfr., sul punto, M.R. GROSSI, La riforma della legge fallimentare, Milano, 2006, 2098.
12
sua “atipicità e della sua posizione derogatoria rispetto al sistema tributario nel suo
complesso”42.
Ad ogni modo, il profilo che appare più significativo ai fini della presente analisi, indipendentemente dalla delicata questione circa la natura giuridica dell’atto di
adesione, o di diniego, alla proposta di concordato, si ravvisa negli aspetti procedimentali su cui l’art. 182 ter è prevalentemente incentrato43.
Emerge, al riguardo, infatti, ed a prescindere dall’attenuazione della natura
transattiva dell’accordo, la preminente funzione di ponderazione di interessi pubblici cui l’amministrazione finanziaria è tenuta nell’esercizio della sua funzione 44,
basata sulla economicità e sulla proficuità dell’accordo45.
Nell’atto di transazione fiscale, infatti, si è in presenza di una ponderazione di
interessi e, quindi di un atto di natura discrezionale46 basato sui già menzionati parametri della economicità e della proficuità dell’accordo, comportando la necessità
che a tale atto debbano essere applicate le normali regole dell’agire funzionalizzato, soprattutto sotto il profilo della motivazione.
Nell’ambito della transazione fiscale gli Uffici, infatti, al momento della decisione sull’accettazione della proposta transattivi, saranno chiamati ad operare una
valutazione sull’utilità e sulla convenienza della procedura di riscossione coattiva
42
L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1072..
Dal tenore anche letterale dell’art. 182 ter, infatti, si evince la sua natura di norma prevalentemente
incentrata sugli aspetti procedimentali: per i tributi non iscritti a ruolo, ovvero iscritti in ruoli vistati
ma non ancora consegnati al concessionario, l’adesione, o il diniego, alla proposta di concordato è
approvata con atto del Direttore dell’ufficio, su conforme parere della Direzione regionale ed è
espressa mediante voto favorevole, o contrario, in sede di adunanza dei creditori, ovvero
successivamente, nei limiti consentiti dall’art. 178. In modo analogo, per quanto riguarda i tributi
iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario alla data della domanda, il voto viene espresso in
sede di adunanza dei creditori, su indicazione del Direttore dell’ufficio, previo conforme parere della
Direzione regionale.
44
Con riferimento ai parametri della econmicità e della proficuità dell’accordo e, più in generale, in
relazione all’agire funzionalizzato della pubblica amministrazione, si v. F.G. SCOCA, Attività
amministrativa, in Enc. Dir., Agg., 2002, 95.
45
I principi di imparzialità e buon andamento, finalizzati alla cura dell’interesse pubblico, paiono
preminenti nell’agire discrezionale della pubblica amministrazione indipendentemente
dall’articolazione del potere, sia esso unilaterale, consensuale o negoziale: sul punto cfr. M.
DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Milano, 1996, 61;
S. CIVITARESE MATTEUCCI, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività
amministrativa, Milano 1997, 143.
46
Ritengono tale istituto di natura sicuramente discrezionale L. DEL FEDERICO, Commento all’art.
182 ter, cit., 2576 e L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1071 ss. Quest’ultimo A., afferma inoltre
che “ l'assenza della benché minima indicazione in ordine ai criteri che l’Amministrazione
finanziaria deve seguire per valutare l’opportunità di accettare o rifiutare la proposta del contribuente
o per proporre eventuali modifiche, assegna agli Uffici competenti un grado di discrezionalità
assai raro, se non unico, in materia tributaria”. Sul tema delle più recenti evoluzione della
discrezionalità nel diritto tributario si v. F. GALLO, Discrezionalità (diritto tributario), in Enc. Dir.,
Agg., 1999, 536; R. LUPI, Società, diritto e tributi, Milano, 2005, 208 ss.; L. PERRONE,
Discrezionalità amministrativa (Dir. Trib.), in AA.VV., Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S.
Cassese, Milano 2006, 2005.
43
13
rispetto agli effetti derivanti dalla proposta di transazione. Il contenuto della proposta di transazione fiscale deve anche essere vagliato dal punto di vista della possibilità, nello spirito della riforma del diritto fallimentare, di salvare l’impresa in crisi,
valutando al contempo le conseguenze negative cui potrebbe condurre il fallimento
rispetto agli interessi costituzionalmente tutelati47.
Quanto, infine, alla tutela giurisdizionale, vertendosi su un atto che rileva ai
fini della determinazione del quantum del tributo, la motivazione assolve all’imprescindibile esigenza di esplicitare i motivi e le ragioni che hanno fatto ritenere prevalente un interesse piuttosto che un altro, sia nell’ipotesi di accettazione della proposta di transazione fiscale, sia di un suo eventuale diniego, oltre che, naturalmente, di rendere noto l’iter logico e giuridico che ha condotto alla determinazione
contenuta nell’atto. Tale ultima ipotesi, infatti, sembra riconducibile all’art. 19,
comma 1, lett. h, D.lgs 546/1992, che devolve espressamente al Giudice tributario
l’impugnazione del rigetto di domande di definizione agevolata del rapporto tributario48.
Christian Califano
47
Sul punto, si veda V. BUSA, La fiscalità delle procedure concorsuali, in “Problematiche
fiscali del fallimento e prospettive di riforma”, a cura di L. Tosi, Padova, 2005, 24, secondo cui “la
particolare natura del diritto al tributo, quale credito privilegiato, ha favorito un crescente dibattito in
merito alla possibilità di affermare in sede di riforma la potestà dell'Agenzia delle Entrate di
rinunciare parzialmente alla pretesa impositiva all'atto del riparto delle somme, così da favorire una
più veloce soluzione della crisi dell'impresa e garantire in qualche modo la ripresa dell'attività
imprenditoriale”.
48
In relazione al riconoscimento della giurisdizione tributaria si esprime ancora L. DEL FEDERICO,
Commento all’art. 182 ter, cit., 2576, il quale evidenzia che nell’ipotesi di cui all’art. 182 ter la
transazione non è collocata nella fase dell’esecuzione esattoriale e la sua incidenza non è più limitata
ai tributi iscritti a ruolo, con ciò differenziando la transazione fiscale dalla previgente disciplina
inerente la transazione sui ruoli. Contra L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1075, che, pur
riconoscendo la natura di atto discrezionale dell’eventuale diniego di transazione fiscale, non ne fa
discendere la sua impugnabilità avanti al Giudice tributario, non ritenendo che tale nuovo istituto
possa essere incluso tra gli atti elencati dall’art. 19, D.Lgs. 546/1992 e richiamando, in tal senso,
l’indirizzo espresso dal Consiglio di Stato con riferimento all’istituto della transazione sui ruoli
previsto dall’art. 3, comma 3, D.L. 138/2002.
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Azione amministrativa ed azione impositiva tra autorità e consenso