in collaborazione con Proposta per un patto aperto contro la povertà Versione del 24/07/2013 Una proposta elaborata da: Cristiano Gori (coordinatore), Massimo Baldini, Emanuele Ciani, Alberto Martini, Daniela Mesini, Maurizio Motta, Paolo Pezzana, Simone Pellegrino, Stefano Sacchi, Marcella Sala, Pierangelo Spano, Stefano Toso, Ugo Trivellato REIS www.redditoinclusione.it La proposta del Reddito d’inclusione sociale e quella del Patto aperto contro la povertà nascono da un’idea di Cristiano Gori. Gori ha coordinato il gruppo di esperti che ha elaborato la proposta illustrata nel presente testo. Il documento è il frutto di uno sforzo comune di tutto il gruppo, che si è caratterizzato per una modalità di lavoro fortemente condivisa. Queste le responsabilità per i diversi capitoli: Cristiano Gori ha scritto il capitolo 1; Massimo Baldini ha coordinato il capitolo 2 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani; Massimo Baldini ha coordinato il capitolo 3 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani, tranne la sezione 3.1.2, di Paolo Pezzana e l’appendice 2, di Stefano Sacchi; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno scritto il capitolo 4, con il contributo di Daniela Mesini per la sezione 4.3 e utilizzando elaborazioni georeferenziate di Fabio Dusio e Mattia Monti per la sezione 4.5; Daniela Mesini ha coordinato il capitolo 5 e lo ha scritto insieme a Marcella Sala, con il contributo di Maurizio Motta e Marco Faini; Daniela Mesini ha coordinato il capitolo 6 e lo ha scritto insieme a Marcella Sala e Stefano Sacchi, con il contributo di Paolo Pezzana; Maurizio Motta ha scritto il capitolo 7; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno scritto il capitolo 8, tranne l’Appendice A, di Maurizio Motta; Stefano Toso e Simone Pellegrino hanno scritto il capitolo 9; Pierangelo Spano ha scritto il capitolo 10; Stefano Sacchi ha scritto il capitolo11. Rosemarie Tidoli ha curato la revisione dei capitolo e l’organizzazione del testo. INDICE ANALITICO Introduzione 1.La proposta e le sue ragioni 1.1 Il Reis 1.2 Il percorso attuativo 1.3 La spesa e il finanziamento 1.4 Il disegno e i “dettagli” 1.5 Il Patto aperto contro la povertà 1.6. Il testo e il sito 1.7. Il percorso compiuto 1.8. Ringraziamenti 2. Chi sono i poveri 2.1 La povertà assoluta in Italia 2.2 La stima della povertà assoluta per il calcolo del Reis 2.3 Chi sono i poveri assoluti nell’approccio misto reddit0-consumo 3. Utenti e importi 3.1 Chi sono gli utenti 3.2 I criteri per accedere al Reis 3.3 Adeguatezza: l’importo mensile e i suoi effetti Appendice 1: Una soglia fissa di Isee Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali 4. L’impianto istituzionale e organizzativo 4.1 Obiettivi e lezioni dall’esperienza 4.2 Il primo livello essenziale nel sociale 4.3 Il ruolo dei diversi soggetti nel Reis e nel welfare locale 4.4 La struttura centrale 4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale 4.6 La collaborazione tra le due strutture 4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze 5. Il welfare dei servizi (I). L’accesso e la presa in carico 5.1 L’infrastruttura nazionale per il welfare locale 5.2 Un mix di prestazioni monetarie e servizi 5.3 Accesso e presa in carico 6. Il welfare dei servizi (II). I percorsi d’inclusione e i controlli 6.1 Premessa 6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi 6.3 Controlli, condizionalità e incentivi 7. La ricomposizione del sistema 7.1 Il sistema attuale contro la povertà e i suoi effetti negativi 7.2 Gli effetti negativi del sistema attuale 7.3 Cosa significa ricomporre un sistema frammentato? 7.4 La transizione al nuovo sistema e le tappe del riordino 8. Il monitoraggio e la valutazione 8.1 Un’indispensabile premessa: attrezzarsi per imparare dall’esperienza 8.2 L’impianto complessivo 8.3 Osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per l’analisi di implementazione 8.4 Costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà economica 8.5 Sugli obiettivi conoscitivi della valutazione 8.6 Indagini campionarie sulle condizioni di vita 8.7 Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati 8.8 I microdati come patrimonio informativo per la comunità dei ricercatori 8.9 Il raccordo con altri programmi contro la povertà 8.10 Una prima stima di massima dei costi del monitoraggio e della valutazione Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini Appendice B: Sintetiche chiarificazioni sulla stima dei costi del monitoraggio e della valutazione 9. Il finanziamento del Reis 9.1 Introduzione 9.2 Le spese 9.3 La logica del finanziamento 9.4 Le strategie del finanziamento 9.5 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le minori spese 9.6 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le maggiori entrate 9.7 L’ordine temporale degli interventi 10. Il piano pluriennale 10.1 Perché un’introduzione graduale 10.2 L’estensione progressiva dell’utenza 10.3 Il progressivo incremento della risorse dedicate nel quadro della finanza pubblica 10.4 Conclusioni. Come proteggere il percorso pluriennale 11. Che cosa ci possiamo aspettare 11.1 Introduzione 11.2 L’Italia e gli altri: il posto del Reis nel sistema di sostegno al reddito 11.3 Beneficiari e costi degli schemi di reddito minimo in Europa a confronto col Reis 11.4 I criteri di accesso 11.5 La governance della misura 11.6 Inserimento, condizionalità, servizi 11.7 Conclusioni: che cosa aspettarsi dal Reis Gli Autori Allegato: Paper tecnico no. 1/2013 Spano Trivellato Zanini Bibliografia 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI INTRODUZIONE Non mancano le ragioni per fare qualcosa contro la povertà in Italia. Da oltre un decennio il nostro paese condivide con la Grecia il poco invidiabile primato di essere l’unica unica nazione dell’Europa a 15 priva di una misura nazionale contro la povertà assoluta1. Una misura rivolta a tutti i nuclei che vivono questa condizione, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat2. Una misura altresì composta da una prestazione monetaria e da servizi alla persona, e basata su un mix tra diritti e doveri, secondo linee d’intervento condivise a livello europeo (tab. 1). Le negative conseguenze di questa mancanza sono state da più parti segnalate (Bin Italia, 2012; Boeri e Perotti, 2002; Campiglio e Rovati, a cura di, 2009; Ferrera, a cura di, 2012; Fondazione Zancan, 2012; Saraceno, 2013). Tale assenza lascia oggi il welfare sguarnito davanti alla crisi, con le famiglie in povertà assoluta passate - tra il 2011 e il 2012 - dal 5,2% al 6,8% del totale, cioè un aumento del 31% in un anno. Il diffondersi della povertà assoluta, peraltro, non costituisce una novità: nel 2005 la sperimentava il 4% delle famiglie mentre nel 2012, come detto, lo fa il 6,8%, con un incremento del 70% in sette anni (tab. 2). Per affrontare questa drammatica situazione si propone l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale (Reis) in Italia. Il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta nel nostro paese e consiste in un trasferimento monetario, d’importo adeguato a farle uscire da questa condizione, accompagnato da servizi alla persona per l’attivazione e il reinserimento sociale. Le altre misure oggi utilizzate per contrastare la povertà assoluta saranno assorbite al suo interno. Si prevede che la sua introduzione si articoli in un piano quadriennale, che permetta così di suddividere lo sforzo attuativo e di diluire l’impegno finanziario richiesto nel tempo. Il piano dovrà essere attentamente monitorato e verificato in divenire. La proposta del Reis e il percorso da compiere per metterla in atto vengono dettagliatamente illustrati dal prossimo capitolo in avanti. Qui si vuole fornirne una sintetica visione complessiva, illustrare gli argomenti a favore della sua introduzione e presentare il Patto aperto contro la povertà che si propone per sostenerlo. Così facendo, s’intende delineare il quadro di riferimento del quale le parti illustrate a cominciare dal prossimo capitolo rappresentano i singoli tasselli. 1 Nei rapporti di ricerca sulla lotta alla povertà in Europa, i riferimenti al nostro paese sono abitualmente di questo tenore: “L’analisi degli esperti mostra che, ad eccezione di Grecia ed Italia, tutti gli Stati Membri [dell’Unione Europea, n.d.a] hanno, con forme diverse, una misura di reddito minimo a livello nazionale” (Frazier e Marlier, 2009, pag 15). 2 Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in concreto, poter raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente e così via. Pagina 1 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI TAB 1 - L’INTRODUZIONE DI UNA MISURA NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ ASSOLUTA NEI PAESI EU 15 PAESE ANNO D’INTRODUZIONE Austria Tra il 1970 e il 1975 Belgio 1973 Danimarca 1974 Finlandia 1971 Francia 1988 Germania 1961 Grecia - Irlanda 1975 Italia - Lussemburgo 1986 Paesi Bassi 1963 Portogallo 1996 Regno Unito 1948 Spagna Tra il 1995 e il 2000 Svezia 1956 Fonte: Madama, 2012 TAB 2 – INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA, % DI FAMIGLIE, ANNI VARI 2005 2009 2011 2012 Nord 2,7 3,6 3,7 5,5 Centro 2,7 2,7 4,1 5,1 Sud 6,8 7,7 8 9,8 Italia 4,0 4,7 5,2 6,8 Fonte: Istat, anni vari 1.1. IL REIS È una misura nazionale rivolta a tutte le famiglie che vivono la povertà assoluta in Italia. Questa sezione illustra i tratti principali che assumerà una volta entrata a regime, cioè a partire dal quarto ed ultimo anno del percorso di transizione, accompagnandoli con i rispettivi principi guida (tab 3 e tab 4). Pagina 2 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI TAB 3 –IL REIS IN SINTESI Utenti Tutte le famiglie in povertà assoluta Legittimate a vario titolo alla presenza sul territorio italiano e regolarmente residenti nel paese da almeno dodici mesi. Importo La differenza tra il reddito familiare e la soglia Istat di povertà assoluta Variazioni geografiche Le soglie d’accesso variano secondo il costo della vita delle diverse aree del paese Gli importi variano secondo il costo della vita delle diverse aree del paese Servizi alla persona Al trasferimento monetario si accompagna l’erogazione di servizi Sono servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, per esigenze di cura e altro Welfare mix Il Reis viene gestito a livello locale grazie all’impegno condiviso di Comuni, Terzo Settore, servizi per formazione/impiego e altri soggetti. Il Comune ha il ruolo di regia e il Terzo Settore co-progetta insieme ad esso, esprimendo le proprie competenze in tutte le fasi dell’intervento Lavoro Tutti i membri della famiglia tra 18 e 65 anni ritenuti abili al lavoro devono attivarsi in tale direzione Si tratta di cercare un lavoro, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Livelli essenziali Il Reis costituisce il primo livello essenziale delle prestazioni nelle politiche sociali Utenti: le famiglie in povertà assoluta, che nel 2012 erano il 6.8% dei nuclei in Italia. Il Reis è destinato ai cittadini di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio italiano e ivi residenti da almeno 12 mesi. Il principio guida è l’universalismo: una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta. Importo: ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat della povertà assoluta. Il principio guida è l’adeguatezza: nessuna famiglia è più priva delle risorse necessarie a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”. Variazioni geografiche: la soglia di povertà assoluta cambia in base alla macro-area (nord/centro/sud) ed alla dimensione del comune (piccolo/medio/grande) dove ci si trova. Si tiene così conto delle notevoli differenze nel costo della vita esistenti in Italia, in modo da assicurare a tutti eguaglianza sostanziale nell’accesso alla misura e nel potere d’acquisto che questa garantisce. Il principio guida è l’equità territoriale: poter avere le stesse condizioni economiche effettive in qualunque punto del paese. Servizi alla persona: insieme al contributo monetario, gli utenti del Reis ricevono i servizi dei quali hanno bisogno. Possono essere servizi per l’impiego (si veda sotto), contro il disagio psicologico e/o sociale, riferiti a bisogni di cura - disabilità, anziani non autosufficienti - o di altra natura. S’intende così fornire nuove competenze alle persone e/o aiutarle ad organizzare diversamente la propria esistenza. Il principio guida risiede nell’inclusione sociale: dare alle persone Pagina 3 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI l’opportunità di costruire percorsi che – nei limiti del possibile – permettano di uscire dalla condizione di marginalità. Welfare mix: il Reis viene gestito a livello locale, grazie ad un impegno condiviso, innanzitutto, da Comuni e Terzo Settore. I Comuni – in forma associata nell’Ambito – hanno la responsabilità della regia complessiva e il Terzo Settore co-progetta insieme a loro, esprimendo le proprie competenze in tutte le fasi dell’intervento; anche altri soggetti svolgono un ruolo centrale, a partire dai quelli dedicati a formazione e lavoro. Il principio guida consiste nella partnership: solo un’alleanza tra attori pubblici e privati a livello locale permette di affrontare con successo il nodo povertà. Lavoro: tutti i membri della famiglia in età tra 18 e 65 anni ritenuti abili al lavoro devono attivarsi nella ricerca di un’attività professionale, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Il principio guida consiste nell’inclusione attiva: chi può, rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione. Livelli essenziali: il Reis costituisce un livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’art 117 della Costituzione3 ed è il primo inserito nelle politiche sociali del nostro paese. Viene così introdotto un diritto che assicura una tutela a chiunque cada in povertà assoluta. Il principio guida è quello di cittadinanza, secondo il quale viene assicurato a tutti il diritto di essere protetti contro il rischio di povertà assoluta. TAB 4 – I PRINCIPI GUIDA DEL REIS 3 DIMENSIONE PRINCIPIO GUIDA Utenti UNIVERSALISMO Una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta Importo ADEGUATEZZA Nessuna famiglia al di sotto di un livello di vita “minimamente accettabile” Variazioni geografiche EQUITA’ TERRITORIALE Le stesse condizioni economiche effettive in qualunque punto del paese Servizi alla persona INCLUSIONE SOCIALE L’opportunità di costruire percorsi per – nei limiti del possibile – uscire dalla condizione di marginalità Welfare mix PATNERSHIP TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE L’impegno coordinato di attori pubblici e privati a livello locale come unica possibilità di successo Lavoro ATTIVAZIONE Chi può rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione Livelli essenziali CITTADINANZA Il diritto per tutti ad essere tutelati contro il rischio di povertà assoluta Recita l’articolo 117, comma 2, lettera m che tra le materie sulle quali lo Stato ha legislazione esclusiva vi è “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Pagina 4 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI 1.2 IL PERCORSO ATTUATIVO Il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente, lungo un cammino articolato in quattro annualità. L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta. Nell’ipotesi che l’introduzione cominci nel 2014 la misura andrà a regime nel 2017. Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. Detto altrimenti, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressivamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio” sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno - a tutti i nuclei in povertà assoluta. La spesa pubblica dedicata ammonta – a regime (cioè a partire dal quarto anno) – a 6.062 milioni di Euro, come dettagliato nella prossima sezione. In ogni anno della transizione, le risorse stanziate sono superiori rispetto al precedente: i percorsi che si possono seguire nel loro progressivo incremento sono vari. Ad esempio, immaginando di suddividere l’aumento in quattro parti uguali, ogni anno la spesa pubblica sarà di 1515,5 milioni (cioè un quarto di 6.062) superiore al precedente configurando il seguente percorso: primo anno = 1515,5 milioni per il Reis, secondo anno = 3.031, terzo anno = 4.546,5, quarto anno (primo a regime) = 6.062. Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà assoluta già esistenti vengono progressivamente abolite. Oggi, infatti, allo scarso investimento pubblico nel settore si affianca la frantumazione dell’esistente in numerose prestazioni, tra loro scoordinate per criteri di accesso, importi ed Enti che li gestiscono, che danno vita a un sistema con il quale è assai complesso per i cittadini relazionarsi. Secondo la nostra proposta, invece, le misure presenti vengono progressivamente assorbite all’interno del Reis, con il risultato che - a partire dal quarto anno - lo sforzo pubblico contro la povertà, oltre ad essere ben superiore rispetto ad oggi, risulta concentrato in un’unica risposta basata sulle stesse regole per tutti. A sostenere l’attuazione del Reis è l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”, cioè un insieme di strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni fornisce ai soggetti del territorio per metterli in condizione di operare al meglio4. Si tratta, innanzitutto, di impiantare un solido sistema di monitoraggio e valutazione, capace di comprendere ciò che accade nelle varie realtà locali, esaminarlo e trarne indicazioni operative utili al miglioramento, nella prospettiva di apprendere dall’esperienza. Inoltre, i territori sono accompagnati grazie ad iniziative di formazione, occasioni di confronto tra operatori di diverse realtà, scambio di esperienze, linee guida. Infine, laddove la riforma risulti inattuata o presenti forti criticità, lo Stato interviene direttamente, ricorrendo a propri poteri sostitutivi (box 1). Il gradualismo nell’introdurre la nuova misura è sostenuto da diverse ragioni. Da una parte, permette di diluire il necessario incremento di risorse nel tempo, rendendolo meglio sostenibile dalla finanza pubblica. Dall’altra, solo in questo modo è possibile consolidare la misura assicurando adeguati tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo a tutti soggetti chiamati ad erogarla nel territorio (Comuni, Terzo Settore, Centri per l’Impiego e così via). Trattandosi di un’innovazione ambiziosa per il nostro sistema di welfare, che lo spinge ad un robusto cambiamento sul piano organizzativo, pro- 4 Il primo strumento consiste in adeguati stanziamenti dedicati alla componente servizi del Reis, illustrati nella prossima sezione. Pagina 5 1 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI cedere per gradi e fornire allo stesso tempo tutti gli strumenti necessari al livello locale paiono condizioni non rinunciabili per il suo successo (box 1). BOX 1 – IL PERCORSO ATTUATIVO L’introduzione è graduale, ha luogo in quattro anni Ogni anno la spesa pubblica dedicata aumenta rispetto al precedente L’utenza si allarga progressivamente, partendo da chi è in condizioni economiche peggiori Le prestazioni contro la povertà esistenti progressivamente scompaiono perché vengono tutte assorbite nel Reis “Infrastruttura nazionale per il welfare locale”: lo Stato, in collaborazione con le Regioni, fornisce ai soggetti del territorio un insieme di strumenti per metterli in condizione di fornire il Reis al meglio 1 1.3 LA SPESA E IL FINANZIAMENTO A regime, cioè a partire dal quarto e ultimo anno della transizione, la misura richiede al bilancio pubblico uno stanziamento addizionale di 6.062,4 milioni di Euro, pari allo 0,34% del Pil. Questa é all’incirca la distanza esistente tra la spesa pubblica destinata alla lotta contro la povertà nella media dei paesi europei (0,4% del Pil) e quella italiana (intorno allo 0,1% del Pil) (dati Eurostat). I 6.062,4 milioni necessari si suddividono tra quelli dedicati alle prestazioni monetarie (4.982), la componente per i servizi alla persona (1.078) e le risorse destinate al monitoraggio e alla valutazione (2,4). A differenza di quanto accade con le altre due parti della spesa, i finanziamenti ulteriori dedicati ai servizi non corrispondono all’ammontare di risorse pubbliche che risulteranno effettivamente utilizzabili poiché bisogna conteggiare alcuni finanziamenti già nella disponibilità dell’ente pubblico5. Qui, dunque, la spesa complessiva dedicata è di 1.644 milioni di Euro annui. La spesa per i servizi è cosi pari ad un terzo di quella per le prestazioni monetarie, un valore indubbiamente elevato e che rende concreto il rilievo loro assegnato nel disegno del Reis. Come reperire le risorse necessarie? La metodologia adottata si articola in tre passaggi. Primo, si definiscono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve rispettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono: − − − la concretezza (le opzioni devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del caso, correggere le inefficienze del mercato stesso). Secondo, s’individua un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sui quali si ritiene possibile intervenire. Di ognuna delle possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito che ne potrebbe derivare e l’impatto redistributivo atteso. Questo secondo passaggio è finalizzato ad individuare un insieme di possibili misure di finanziamento per un ammontare di risorse superiore al necessario. Il terzo e ultimo passaggio consiste nella scelta di quali fonti privilegiare, tra quelle qui individuate, per finanziare la misura: la decisione non può che spettare al livello politico. 5 Qui come in tutto il paragrafo 2, che sintetizza i principali tratti del Reis, non vengono esplicitate le varie ipotesi alle base dei calcoli condotti e delle ipotesi avanzate, per le quali si rimanda ai capitoli successivi. Pagina 6 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi sostiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e coloro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”. Utilizzando questa metodologia sono stati individuati interventi che permetterebbero di recuperare un insieme di risorse compreso tra i 13 e i 18,8 miliardi di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 6 miliardi di cui ha bisogno il Reis a regime. Si dimostra, pertanto, che seppure senza dubbio complicato, se si vuole è possibile trovare gli stanziamenti necessari, ed è possibile farlo nel rispetto di quei principi di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico che ci riteniamo non negoziabili. Questo è un punto fondamentale della nostra metodologia perché la scelta delle modalità di finanziamento – come noto - non è affatto neutrale. BOX 2 – IL FINANZIAMENTO E LA SPESA A regime, la misura costa 6.062 milioni di Euro annui. Con questa cifra si colma la distanza tra la spesa pubblica destinata in Italia alla lotta contro la povertà e la media europea La metodologia adottata per il reperimento delle risorse necessarie si articola in tre passaggi: - definizione dei criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento: concretezza, equità ed efficienza - individuazione di un mix di misure di minori spese e/o maggiori entrate che rispettano tali criteri, per un ammontare complessivo di risorse ben superiore al necessario - Scelta delle opzioni di finanziamento da parte del livello politico Con il metodo proposto si potrebbero recuperare tra 13 e 18,8 miliardi di Euro l’anno, largamente superiori ai 6 mld. calcolati per il Reis Il reperimento delle risorse necessarie rispetterebbe i fondamentali principi di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico 1.4 IL DISEGNO E I “DETTAGLI” Sono stati sin qui tratteggiati i punti chiave del Reis, che compongono il disegno complessivo della proposta. Su un simile disegno, come già ricordato, concorda la gran parte di osservatori ed esperti. Minore interesse, invece, suscita l’ampio insieme di azioni da intraprendere per tradurlo in pratica. Si tratta di affrontare gli innumerevoli passaggi del percorso attuativo e di confrontarsi con i tanti aspetti tecnici concernenti le singole parti della proposta. Molti li considerano “dettagli” rispetto al disegno strategico: sono questi, invece, a decidere in che modo un progetto di cambiamento riesce a diventare realtà e, pertanto, cosa può significare per la vita delle persone. Proprio perché sono decisivi e – in Italia – sottovalutati, a questi “dettagli” viene dedicato il maggior sforzo di approfondimento del nostro lavoro, come si vedrà a partire dal prossimo capitolo. COSA NON È IL REIS Il Reddito d’Inclusione Sociale è rivolto a tutte le famiglie che vivono in povertà assoluta e risulta nettamente distinto dagli interventi necessari contro l’impoverimento, cioè la condizione di coloro i quali si trovano al di sopra della soglia ma, senza adeguate risposte, sono destinati a cadere nell’indigenza. Similmente, il Reis è separato chiaramente dalle ulteriori riforme delle quali il nostro welfare avrebbe bisogno. Si tratta di azioni auspicate dalla metà degli anni ’90 e realizzate in quasi tutti i paesi dell’Europa a 15, concernenti i servizi alla prima infanzia, il fisco a sostegno delle famiglie con figli e gli interventi per le persone non autosufficienti (individui disabili e anziani). Pagina 7 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI Evidenziare che la nuova misura ha esclusivamente l’obiettivo di combattere la povertà assoluta e marcarne con precisione i confini è di particolare importanza, dal punto di vista sia politico sia tecnico. Innanzitutto, serve a sottolineare che quella qui delineata non è assolutamente l’unica riforma necessaria al sistema di welfare del nostro paese: bisogna agire anche sui temi sopra menzionati. L’assenza di riforme degli ultimi 20 anni e i tagli della fase più recente – a fronte di bisogni crescenti – rendono più ampi interventi di welfare tanto consigliabili quanto urgenti. Peraltro, potenziare da subito pure le altre aree della protezione sociale permetterebbe anche di “proteggere” il Reis. Si rischia, infatti, che la sua introduzione risulti l’unica risposta di rilievo messa in campo, in questa fase, dal sistema pubblico a favore delle persone più fragili. Se così fosse sul Reddito d’Inclusione Sociale si riverserebbero, in particolare nei territori dove il tessuto socio-economico è più debole e contemporaneamente la presenza di servizi maggiormente carente, anche le tante domande di tutele originate da situazioni diverse dalla povertà assoluta (ad esempio il costo dei figli, l’impoverimento, la non autosufficienza) (Ferrera, a cura di, 2005). Il Reis, però, non può – per sua natura - soddisfare queste domande. Nello scenario prefigurato, dunque, si creerebbero difficoltà organizzative dovute all’impegno extra richiesto per esaminare un numero particolarmente elevato di richieste, scontento nei tanti che le vedrebbero rifiutate e pressioni affinché la misura venisse impropriamente utilizzata per scopi diversi da quelli che le sono propri. Si spera, quindi, che l’auspicata introduzione del Reis venga accompagnata – da oggi e nel corso del tempo – dagli altri interventi necessari a rendere il sistema di welfare più adeguato al profilo della società italiana attuale. Infatti, il Reddito d’Inclusione Sociale dovrebbe rappresentare tanto un punto di arrivo nella lotta alla povertà assoluta quanto un tassello del ben più ampio puzzle del nuovo welfare nel nostro paese (box 2). BOX 2 - I CONFINI DEL REIS -È contro la povertà assoluta e non serve a fronteggiare l’impoverimento -Non è da confondere con le altre riforme nazionali necessarie (a partire da quelle rivolte alla non autosufficienza e al sostegno alle famiglie con figli) -Bisogna evitare che sul Reis si scarichino tutte le domande insoddisfatte di pertinenza di altre aree del welfare -L’introduzione del Reis dovrebbe essere accompagnata da altri interventi di rafforzamento del sistema di protezione sociale I BUONI MOTIVI PER INTRODURRE IL REDDITO D’INCLUSIONE SOCIALE (REIS) Le varie ragioni a favore della proposta sono presentate – in forma ampia ed articolata – nei capitoli successivi. Per completare la visione di quadro tratteggiata in questa parte iniziale, nondimeno, se ne propone qui una raccolta completa in versione sintetica6. Di ognuna si illustra il “nocciolo”, cioè il punto chiave, lasciando la trattazione diffusa e i dati di riferimento al prosieguo del lavoro. 6 In qualcuna delle ragioni a favore del Reis contenute in questo paragrafo vengono ripetute alcune informazioni/considerazioni già presentate altrove nel capitolo. Queste ripetizioni non sono state tolte intenzionalmente, al fine di presentare ogni argomentazione nella sua interezza. Pagina 8 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI 1. Non si può più farne a meno L’Italia è l’unico paese europeo - insieme alla Grecia - privo di una misura a sostegno delle famiglie in povertà assoluta, perlopiù denominata reddito minimo. Questa mancanza può essere superata introducendo il Reis, un “reddito minimo 2.0”, cioè una nuova proposta elaborata cercando di apprendere al massimo dall’esperienza degli ultimi 20 anni (gli interventi attuati localmente, le proposte già avanzate, le sperimentazioni nazionali, cosa hanno fatto gli altri paesi). Un “reddito minimo 2.0”, nondimeno, anche perché disegnato avendo in mente la società italiana di oggi e di domani. Per lungo tempo ha prevalso l’ipotesi che, grazie a un proprio equilibrio, distorto ma funzionale, il welfare italiano potesse prescindere da una misura contro la povertà assoluta. Lo si sosteneva sulla base di una certa tenuta del quadro occupazionale, del supporto offerto dalle reti familiari e informali e dell’utilizzo - spesso improprio rispetto agli obiettivi primari - di altre politiche pubbliche (pensioni, invalidità, vari interventi per l’occupazione) in funzione anti-povertà. Non sappiamo se ciò fosse vero in passato ma, in ogni modo, non è più utile chiederselo. Di certo, infatti, non è vero oggi poiché le condizioni menzionate sono, in varia misura, venute meno. Lo sintetizzano due dati: le famiglie in povertà assoluta sono aumentate del 31% tra il 2011 e il 2012 (dal 5,2% al 6,8% del totale dei nuclei) e del 70% tra il 2005 e il 2012 (dal 4% al 6,8% del totale) (fonte Istat). Il protrarsi dell’assenza di un reddito minimo rischia di produrre conseguenze letali sulla coesione sociale del nostro paese. 2.Raccoglie ampio consenso tra gli esperti Il Reddito d’inclusione sociale è coerente con il maggior numero delle proposte avanzate negli ultimi anni per combattere la povertà assoluta in Italia. Il dibattito in merito, infatti, presenta un aspetto peculiare, assente nelle altre aree del welfare: al di là delle dichiarazioni di principio, gran parte degli esperti concorda circa i punti chiave delle risposte da mettere in campo. Universalismo dell’utenza, mix di prestazione monetaria e servizi alla persona, diritti accompagnati a doveri, partnership Enti locali-Terzo settore, definizione di un livello essenziale sociale e altri tratti di fondo sono, infatti, condivisi. Nel nostro paese, detto altrimenti, tutti sanno cosa bisognerebbe fare contro la povertà ma il problema è un altro: riuscirci. Il valore aggiunto del lavoro qui illustrato si esprime proprio nel promuovere il passaggio dal consenso dichiarato all’effettiva realizzazione. Da una parte, lanciamo l’idea di idea di dar vita a un Patto aperto contro la povertà, costruendo un fronte il più ampio possibile di soggetti impegnati ad ottenere l’introduzione del Reis, ognuno portatore del proprio specifico contributo (cfr. par. 5). Dall’altra, la proposta aggredisce il nervo scoperto del dibattito italiano. Nel confronto tra gli esperti, infatti, all’ampia concordanza circa i tratti distintivi della risposta da attivare si è sinora accompagnato un ridotto approfondimento su come farlo in concreto. Sono stati esaminati solo marginalmente il percorso di transizione da compiere per passare dalla situazione attuale al nuovo regime, le strategie per superare le difficoltà che l’implementazione porta naturalmente con sé, i numerosissimi singoli cambiamenti di ordine tecnico legati all’introduzione della misura e così via. La nostra proposta, invece, contiene la più approfondita disamina degli aspetti attuativi legati all’introduzione di una misura contro la povertà mai elaborata – a mia conoscenza – in Italia. 3. Supera l’alternativa tra misure emergenziali e riforme strutturali I suggerimenti per affrontare fenomeni di evidente gravità – com’è oggi la povertà – si polarizzano sovente tra due opzioni. Una è rappresentata dalle misure emergenziali, cioè quelle azioni una tantum o comunque estemporanee, che producono risultati in tempi brevi ma mettono una toppa senza giungere alla radice del problema. Una volta esaurite, queste misure non lasciano eredità alcuna: alla Pagina 9 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI prossima emergenza si ricomincerà daccapo. L’alternativa sono le riforme strutturali, che vanno alla radice del problema ma non offrono risposte tangibili nel breve periodo, dato che per complessità ed impegno attuativo richiesto manifestano i loro effetti solo dopo alcuni anni; permetteranno così di offrire gli interventi migliori la prossima volta che il fenomeno si presenterà ma per la crisi corrente sono inutili. Il nostro piano individua una sintesi tra le due strade. Si tratta di una riforma strutturale, da introdurre gradualmente in quattro anni, alle fine dei quali il problema (l’assenza di un diritto sociale per tutte le famiglie in povertà assoluta) sarà stato risolto alla radice. Il percorso di transizione, però, è costruito in modo tale da fornire già dal primo anno di attuazione una tangibile risposta all’emergenza. 4. È a favore dei “senza lobbies” La disattenzione sinora dedicata alla povertà costituisce l’esempio estremo delle difficoltà della politica italiana. Nel nostro paese i Governi hanno una ridotta capacità di prendere decisioni in modo autonomo, e gruppi di pressione e lobbies ne condizionano fortemente le scelte. Lo sguardo verso la realtà suggerirebbe di compiere interventi a favore del 6.8% di famiglie economicamente più deboli, ma ciò non si è mai verificato poiché esse non sono organizzate in alcuna incisiva lobby e, dunque, non sono in grado di esercitare pressioni sul decisore. Introdurre il Reddito d’inclusione sociale costituirebbe il modo più tangibile, per l’élite politica, di mostrare la fattiva intenzione di cambiare strada, puntando su azioni guidate dalle esigenze della popolazione e non dal peso delle corporazioni. 5. È economicamente sostenibile La proposta è costruita in modo tale da rendere meglio affrontabile economicamente una scelta a favore delle famiglie in povertà. Si concentra, infatti, sui nuclei che ne vivono la forma assoluta (la più grave) e diluisce il necessario incremento di spesa nelle quattro annualità della transizione. A queste condizioni, il nostro lavoro mostra l’esistenza di varie strade percorribili nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica al fine di reperire le risorse necessarie a colmare gradualmente la distanza tra l’attuale spesa italiano contro la povertà e la media europea. Noi siamo arrivati a dimostrare l’impossibilità di affermare che non vi siano soldi per il Reis: si può soltanto dire che esistono altre priorità. Non neghiamo che fare della lotta alla povertà una priorità sia impegnativo (e inusuale) ma mostriamo che, volendo, è possibile, dipende dalle scelte. Lo chiariamo partendo dai dati empirici, come in tutta la proposta: i numeri mostrano anche come le politiche contro l’esclusione sociale abbiano un costo contenuto rispetto alle altre voci del bilancio pubblico, assai meno gravoso di quanto – a causa di un dibattito politico e mediatico avulso dalla realtà - molti credano. 6.Non si può incrementare la spesa sociale senza un’adeguata progettualità Il finanziamento statale delle politiche sociali risulta debole per quantità e qualità. Colmare la distanza quantitativa con il resto d’Europa - che i tagli degli anni recenti, particolarmente profondi nel nostro paese, hanno ancor più allargato – rappresenta, dunque, un’azione necessaria ma non sufficiente. Bisogna pure qualificare maggiormente gli stanziamenti statali, superando la prassi - sinora prevalente – di trasferire risorse dal centro ai territori senza accompagnarle con indicazioni sul loro utilizzo né con verifiche (si pensi alla precedente esperienza del Fondo Nazionale Politiche Sociali, FNPS). In altre parole, le auspicabili maggiori risorse non debbono essere impiegate per reiterare il modello dello “Stato Bancomat” (lo Stato come semplice erogatore di soldi ai territori) bensì per costruire l’ “Infrastruttura nazionale per il welfare locale” (lo Stato stanzia risorse, definisce poche regole chiare per il loro utilizzo, sostiene i territori nell’attuazione, ne verifica l’effettivo impiego). Alcune recenti azioni statali hanno compiuto passi in tale senso, ad esempio il Piano Nidi 2007-2009 e il riparto del Pagina 10 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI FNPS per il 2013. La nostra proposta vuole spingersi ancora più avanti, legando i maggiori stanziamenti contro la povertà all’introduzione – e poi al mantenimento – di una misura stabile ed efficace, un livello essenziale, di fronteggiamento di questa condizione. 7.Il percorso indicato rappresenta l’unico modo di realizzare una riforma L’attuazione del Reddito d’inclusione sociale incontrerà inevitabilmente ostacoli di varia natura, dovuti per esempio ai tentativi di frode e alle difficoltà nell’effettiva attivazione di validi servizi alla persona. Esserne consapevoli, però, non costituisce un buon motivo per rinunciare, per una semplice ragione: qualsiasi riforma degna di questo nome è destinata ad incontrare numerose difficoltà sul proprio cammino e, dunque, l’unico modo per non affrontarle è non fare nulla. La consapevolezza delle criticità operative, invece, rappresenta una spinta a dedicare la massima attenzione alla fase attuativa, mettendo sul tappeto tutti gli strumenti necessari a sostenere i territori: questa è la strada scelta dal Reis. Si progetta, infatti, un percorso di progressiva introduzione in quattro anni nell’ambito di un quadro di riferimento pluriennale chiaramente definito, si prevedono incisivi meccanismi di verifica delle condizioni degli utenti e controlli sui loro comportamenti, ai servizi è rivolta una linea di finanziamento dedicata, i territori sono accompagnati con linee guida – formazione - momenti di verifica e confronto. Viene messo in campo, nondimeno, un sistema di monitoraggio e valutazione basato su standard internazionali, che permetta effettivamente di imparare dall’esperienza e di utilizzare quanto appreso per migliorare gli interventi nei territori. 8.Tiene insieme Nord e Sud Un piano nazionale funziona solo se sa interpretare le grandi differenze socio-economiche esistenti tra le aree d’Italia (nessun altro paese europeo presenta disuguaglianze territoriali così elevate). Per definire la possibilità di ricevere il Reis e per quantificarne l’ammontare, s’impiega la soglia di povertà assoluta: se questa fosse uguale ovunque, si penalizzerebbero le realtà dove il costo della vita è maggiore, cioè quelle settentrionali (sino a + 30% rispetto al meridione). La soglia di povertà dell’Istat, qui utilizzata, varia invece secondo le macro-aree territoriali (nord/centro/sud) così come in base alla dimensione del comune di residenza (piccolo/medio/grande), altra causa di differenza di prezzi e tariffe. La differenziazione dei suoi valori fa sì che la soglia assicuri il medesimo potere d’acquisto in tutto il paese: si garantisce così l’uguaglianza sostanziale nell’accesso e nell’importo del Reddito d’Inclusione Sociale. 9. I doveri accompagnano i diritti L’unica strada per combattere seriamente la povertà consiste nell’introdurre un pacchetto di diritti e doveri, in una logica dove gli uni non possono prescindere dagli altri. Le famiglie cadute in povertà assoluta hanno il diritto – garantito dalla definizione di un livello essenziale – ad una tutela pubblica e, contemporaneamente, devono compiere ogni sforzo per raggiungere il loro inserimento sociale. Può trattarsi, secondo i casi, di frequentare i corsi di formazione o di riqualificazione professionale previsti, assicurare la frequenza scolastica di chi è in età dell’obbligo, portare i figli a compiere visite mediche periodiche, rispettare i piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto e così via; in caso contrario decade la possibilità di ricevere il Reis. All’interno di questa logica si colloca la concezione di condizionalità adottata nella proposta con riferimento alle persone occupabili, che dovranno cercare attivamente un impiego ed essere immediatamente disponibili in caso di congrua offerta di lavoro. Particolare attenzione è rivolta alla costruzione di puntuali meccanismi di verifica dei comportamenti degli utenti. Pagina 11 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI Puntare sul mix diritti/doveri costituisce la via verso una migliore efficacia dell’intervento, lo dicono l’esperienza e le ricerche. Nondimeno, in un paese come l’Italia, segnato da una storia di utilizzo della spesa di welfare con finalità assistenziali-passivizzanti e, sovente, clientelari, sembra possibile chiedere nuovi stanziamenti pubblici solo a patto che al riconoscimento di nuovi diritti si accompagni il rispetto di precisi doveri. 10. È strumento di autonomia Le famiglie necessitano di azioni capaci non solo di tamponare lo stato di povertà (la mancanza di denaro) ma anche di agire sulle cause (i fattori responsabili delle difficoltà di vita), consentendo loro, dove possibile, di uscire da questa condizione e, in ogni caso, di massimizzare la propria autonomia. È il compito dei servizi alla persona, che lo svolgono fornendo competenze e/o aiutando ad organizzare diversamente la quotidianità. Il Reis, dunque, prevede - a fianco del contributo monetario l’erogazione dei servizi (per l’impiego, formativi, di cura e altri). Poiché offrire servizi di qualità rappresenta una sfida particolarmente impegnativa, vengono creati tutti i presupposti necessari per vincerla, cominciando da un adeguato pacchetto di risorse economiche destinate ai servizi nel budget del Reis. Un’ altra condizione per il successo dei servizi consiste in una fattiva co-progettazione tra Comuni (associati negli Ambiti Sociali), Terzo Settore - si veda il prossimo punto - e altri soggetti del welfare locale, a partire da centri per l’impiego, servizi socio-sanitari, scuola e formazione regionale. Inoltre, viene costruita l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”, cioè un insieme di strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni - fornisce ai servizi locali affinché possano operare al meglio: oltre alla risorse, percorsi di accompagnamento e formazione, momenti di condivisione di esperienze tra diverse realtà, monitoraggio e valutazione dell’esperienza, interventi diretti nei contesti in grave difficoltà. 11.Tutela dei diritti e promozione della sussidiarietà hanno successo solo insieme In un dibattito con forti venature ideologiche, questi due fondamentali obiettivi vengono abitualmente presentati come se fossero l’uno indipendente dall’altro (se non in contrapposizione). Da una parte, chi promuove la tutela dei diritti – realizzabile solo attraverso adeguati finanziamenti pubblici – si concentra molto sul ruolo dei Comuni e spesso sottovaluta l’azione del Terzo Settore nella progettazione e nell’erogazione di servizi. Dall’altra, coloro i quali insistono sull’importanza della sussidiarietà orizzontale – cioè la valorizzazione degli interventi provenienti dalla società e dal Terzo Settore – tendono a trascurare la necessità di un adeguato finanziamento pubblico del welfare. Partendo dai dati concreti, invece, la nostra proposta ribalta la prospettiva. Diritti e sussidiarietà non solo non sono indipendenti, ma – anzi - producono i risultati di cui ha bisogno la popolazione esclusivamente se vengono tradotti in pratica congiuntamente. Lo Stato definisce il Reis come livello essenziale contro la povertà, con i relativi criteri di accesso, e ne assicura gli stanziamenti. Per quanto riguarda la progettazione e la realizzazione dei servizi nel territorio, è previsto che alla funzione di regia dei Comuni si affianchi un coinvolgimento ampio del Terzo Settore, senza il cui forte ruolo sarebbe impossibile offrire interventi adeguati ai cittadini. Nondimeno, è solo grazie alla definizione dei diritti, ed al conseguente stanziamento di finanziamenti pubblici, che il Terzo Settore può trovare le risorse necessarie a mettere in campo le proprie risposte. 12. È la pre-condizione per una riforma a favore delle persone non autosufficienti L’introduzione del Reis rappresenta la condizione necessaria affinché si possa avviare l’altra grande riforma nazionale del welfare sociale oggi al centro dell’attenzione, quella delle politiche rivolte alle Pagina 12 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI persone non autosufficienti (anziani e persone con disabilità). Quest’ultima, infatti, non potrà che partire da una rivisitazione dell’indennità di accompagnamento, il principale strumento nelle mani dello Stato in materia, che tutti gli esperti ritengono sia da migliorare. Si noti che dall’analisi dei dati emerge come la più elevata percentuale di beneficiari nelle aree deboli del paese – perlopiù meridionali – sia dovuta, per una parte, ad una maggiore presenza di aventi diritto e, per l’altra, a un suo utilizzo improprio come misura di supporto alle famiglie povere, di fatto in sostituzione del reddito minimo mancante. Una simile situazione si è già verificata in passato con altre prestazioni d’invalidità. Gli addetti ai lavori concordano nel ritenere che la riforma dell’indennità dovrebbe rivedere i criteri di accertamento della non autosufficienza, poiché gli attuali sono assai grezzi (non differenziano tra livelli diversi di bisogno e hanno sinora reso relativamente semplice erogare la misura a persone che non ne avevano effettivamente necessità). Migliorarli significa renderli più capaci di cogliere le reali condizioni di non autosufficienza e, dunque, interromperne l’utilizzo come “reddito minimo sotto mentite spoglie”. Detto altrimenti, se si fa in modo che chi non è autosufficiente possa ricevere l’indennità più agevolmente, contemporaneamente si impedisce a chi non ne ha realmente i requisiti di riceverla. Perché un simile cambiamento sia socialmente gestibile – nelle aree economicamente più deboli del paese - è necessario però introdurre una vera misura di reddito minimo, cioè il Reis. Ecco il punto: dato che storicamente il welfare italiano ha costruito il proprio equilibrio imperfetto attraverso l’impiego di alcune prestazioni per obiettivi diversi da quelli originari, l’intreccio creatosi è tale che oggi non si può pensare di far cessare gli utilizzi impropri di una misura senza introdurne un’altra che risponda ai bisogni che altrimenti rimarrebbero scoperti. 1.5. IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTÀ Acli e Caritas propongono di siglare un Patto Aperto contro la Povertà a tutti soggetti sociali interessati alla lotta per estirpare questo flagello in Italia. Si tratta, dunque, di unire le forze e percorrere insieme un cammino finalizzato a promuovere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale nel nostro paese. Inoltre, se - come ci auguriamo - il Reis diventerà realtà, gli aderenti al Patto si impegneranno ad assicurarne la migliore attuazione possibile. È invitato ad aderire al Patto ogni soggetto sociale che deciderà di fare propria la proposta, nei suoi punti chiave, e di contribuire alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche per ottenerne l’introduzione. Inoltre, in caso di esito positivo, gli aderenti lavoreranno per promuoverne la corretta attuazione così come per verificarla. I contenuti dell’attività di sensibilizzazione saranno definiti congiuntamente dai diversi sostenitori, in coerenza con la logica prescelta; evidentemente non potrebbe definirsi “aperto” un Patto dai contorni già definiti, cioè chiusi. Allo stesso modo, mentre i capisaldi della proposta sono fermi, gli aderenti potranno portare il proprio contributo per migliorarne le specifiche parti, sulla base delle loro competenze ed esperienze. In caso di esito positivo, un non minore coinvolgimento sarà richiesto nel controllare l’attuazione del Reis e nel favorire il superamento delle difficoltà che si presenteranno in fase realizzativa, come è naturale che avvenga passando dalla teoria alla pratica. Perché un Patto contro la povertà? Allo scopo di superare la distanza tra la scarsa attenzione che, da sempre, la politica nazionale dedica al problema e l’urgenza di mettere in campo adeguate azioni per contrastarlo. Nella concretezza delle risposte portate avanti a livello locale, tanti soggetti sono abituati ad unire gli sforzi e a realizzare insieme interventi contro l’esclusione sociale, in innumerevoli territori. Passando all’attività di sensibilizzazione svolta a livello nazionale, invece, il quadro cambia perché le numerose azioni effettivamente compiute vengono realizzate da singoli attori, gli uni autonomamente rispetto agli altri. Fare della povertà una priorità della politica nazionale costituisce, oggi, Pagina 13 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI una sfida insieme decisiva ed assai complessa (cfr. par 1.4): per vincerla è necessario un salto di qualità, unendo le forze e dando vita ad un’azione corale. La costruzione del Patto è facilitata dalla peculiarità della lotta alla povertà: su quali dovrebbero essere i punti cardine di una misura nazionale per fronteggiarla, infatti, esiste ampio consenso tra gli addetti ai lavori. Detto altrimenti, tutti sanno cosa fare, il problema è riuscirci: mobilitarsi insieme è un passaggio decisivo a tal fine (cfr. par 1.4). Perché “Aperto” ? Innanzitutto per un motivo di senso. Nessuno – a cominciare dai promotori e dagli autori della presente proposta - può ritenere di avere il monopolio della lotta alla povertà, la voce di ognuno ha lo stesso valore di quella degli altri. Vi è, nondimeno, una ragione di contenuto. L’ampiezza della sfida è tale da rendere necessaria la condivisione di esperienze, competenze e creatività di ognuno, con riferimento ai diversi piani della sensibilizzazione, del miglioramento della proposta e della verifica sulla sua (eventuale) attuazione (box 3). BOX 3 – IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTA’ L’idea Tutti i soggetti sociali interessati a combattere la povertà uniscono le forze e percorrono insieme il cammino finalizzato ad ottenere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale È invitato ad aderire Ogni soggetto sociale interessato Che faccia propri i capisaldi del Reis Che intenda dare il proprio contributo al percorso Aree di azione dei soggetti coinvolti Attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche Miglioramenti di specifici aspetti della proposta (in caso di introduzione del Reis) Promozione e verifica della corretta attuazione La logica pattizia permea l’intera proposta. Passando dai soggetti sociali alle forze politiche, infatti, questa si conferma la chiave di volta per il successo del Reis. Un Patto tra i partiti è necessario affinché tutti insieme decidano l’introduzione del Reis e si assumano la responsabilità di sostenerne congiuntamente l’attuazione, quale che sia la collocazione futura di ognuno (maggioranza o opposizione). In altre parole, si propone loro di prendere un impegno condiviso ad appoggiare il percorso di messa in pratica della misura negli anni a venire, che ogni attore dovrebbe portare avanti indipendentemente dal colore dei prossimi Governi e dall’evoluzione del confronto politico (box 4). L’attuazione del Reddito d’Inclusione Sociale incontrerà inevitabilmente numerosi ostacoli: altrimenti la riforma non sarebbe degna di questo nome. Si ipotizza, pertanto, un percorso pluriennale affinché i soggetti impegnati localmente - Enti Locali e Terzo Settore – dispongano del tempo necessario ad assimilare il cambiamento e apprendere come gestire la nuova misura. In questa fase i territori saranno accompagnati da Regioni e Stato grazie a sistemi di monitoraggio e valutazione, azioni formative, momenti di confronto e altro. Solo se graduale e ben supportato, infatti, un percorso di cambiamento del welfare locale può arrivare a buon fine7 (cfr. par 1.4). 7 Inoltre, suddividere l’introduzione in più anni consente di diluire nel tempo il necessario incremento di spesa. Pagina 14 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI Il gradualismo è la scelta migliore – l’unica possibile, a ben vedere – per le politiche, cioè per il contenuto degli interventi, mentre presenta alcuni rischi riguardanti la politica, intesa come il confronto tra le diverse forze coinvolte. Tenere il “cantiere” aperto tre anni8, infatti, significa vivere un lungo periodo di “lavori in corso” durante il quale le naturali difficoltà potrebbero essere sfruttate – secondo le convenienze del momento – per rimettere il Reis in discussione, facendone il pretesto per una battaglia politica. Gli argomenti addotti potrebbero essere quelli tante volte sentiti, da “siamo realisti, il welfare italiano non è in grado di amministrare una misura simile” a “sarebbe bello ma costa troppo”9. Il Patto servirebbe a proteggere la lotta alla povertà da questi rischi, impedendo ai partiti di cadere in tentazioni strumentali. Si vorrebbe creare così un clima nel quale non venissero messe in discussione l’esistenza del Reis e il suo impianto – certezze necessarie ai cittadini in povertà per veder rispettati i propri diritti e agli operatori del welfare per agire in un contesto stabile – e l’attenzione potesse concentrarsi su come affrontare al meglio le difficoltà concrete incontrate nel percorso attuativo. Può apparire ingenuo, davanti alla realtà del confronto politico italiano, proporre un simile patto e immaginarne il rispetto nel tempo. D’altra parte, un progetto con queste caratteristiche (è a favore della parte più debole della società, permette di superare un ritardo ormai insostenibile del nostro paese, ha il consenso dei tecnici, accompagna diritti e doveri, ed è costruito così da richiedere al bilancio pubblico un impegno sostenibile) costituisce un terreno particolarmente favorevole per un accordo capace di andare oltre le rispettive appartenenze. In ogni modo, si è visto sopra, il Patto tra i soggetti sociali avrà tra i propri compiti quello di promuovere e verificare la corretta attuazione del Reis; un’opera costante di stimolo e controllo della politica costituirà una parte centrale di tale funzione. BOX 4 – LA LOGICA PATTIZIA E LA POLITICA L’idea Tutti i partiti insieme decidono di introdurre il Reis e si assumono la responsabilità di sostenerne nel tempo il percorso attuativo, indipendentemente dall’evoluzione del quadro politico nei prossimi anni Il significato Il pluriennale percorso di attuazione incontrerà inevitabilmente numerose difficoltà Solo un accordo per proteggere il Reis da eventuali strumentalizzazioni politiche può creare il clima adatto ad affrontare con successo gli ostacoli che si presenteranno lungo il cammino 1.6. IL TESTO E IL SITO Dopo questo capitolo iniziale, che ne ha illustrato il quadro d’insieme e le sue ragioni, la presentazione della proposta si articola nel modo seguente. Il prossimo contributo mette a fuoco il profilo delle famiglie che sperimentano la povertà assoluta in Italia, dettagliandone i diversi caratteri per età, col- 8 Il quarto anno del percorso di transizione è il primo nel quale la misura a tutti gli utenti, di fatto il primo anno a regime. 9 Le buone ragioni a favore della riforma, presentate nel paragrafo 6.2, confutano queste affermazioni. Pagina 15 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI locazione professionale, area geografica di appartenenza, ampiezza e altre dimensioni (cap. 2). Il capitolo successivo comincia a presentare i contenuti del Reddito d’Inclusione Sociale, soffermandosi sui criteri per riceverlo e sull’ammontare da erogare agli aventi diritto (cap.3). Una volta definiti utenza e importi, il passaggio ulteriore riguarda l’impianto organizzativo ed istituzionale congegnato per sostenere l’erogazione del Reis, con riferimento ai rapporti tra i diversi livelli di governo – stato, regioni, enti locali – ed ai vari soggetti operanti nel territorio (cap. 4). All’interno di una struttura così definita, si gioca il ruolo del welfare dei servizi, approfondito nei due capitoli che seguono. Uno si concentra sui passi da compiere per accedere al Reis e sulla presa in carico nelle sue diverse componenti, in particolare il progetto personalizzato e il patto con l’utente (cap. 5). L’altro è dedicato ai percorsi d’inclusione sociale e lavorativa dell’utente - e ai diversi servizi che vi sono coinvolti – per approfondire successivamente il tema delle verifiche e dei controlli all’accesso e per la permanenza dei requisiti (cap.6). Il contributo che segue illustra in che modo si prevede di riassorbire all’interno del Reis le numerose prestazioni già esistenti contro la povertà assoluta (cap. 7). Termina così la presentazione dei diversi elementi che compongono il Reis: la parte rimanente del testo riguarda gli strumenti e le risorse necessari al suo funzionamento. Si comincia con il sistema di monitoraggio ed attivazione predisposto, articolato in analisi d’implementazione, un sistema informativo longitudinale, analisi campionarie e un pacchetto di sperimentazioni controllate (cap. 8). Il capitolo seguente espone la strategia per il finanziamento del Reis, partendo dai criteri che ne stanno alla base per poi approfondire le varie strade individuate per trovare le risorse e quantificarne l’ammontare di ognuna (cap. 9). Il capitolo successivo, infine, articola il percorso graduale – lungo quattro anni – disegnato per la messa in atto del Reis, legato al progressivo ampliamento dell’utenza e all’allargamento della spesa (cap. 10). La presentazione della proposta, in tutti suoi aspetti, termina qui. Per concludere il testo, invece, ne vengono ripresi i tratti principali confrontandoli con l’esperienza degli altri paesi europei, così da mettere a fuoco cosa sia (e cosa non sia) lecito aspettarsi dall’introduzione del Reis in Italia (cap. 11) Il testo può essere scaricato dal sito www.redditoinclusione.it, creato appositamente per il Reis. Il sito entra in funzione contemporaneamente al lancio pubblico della proposta, nel luglio 2013 e verrà progressivamente arricchito di materiali. Una volta a regime, cioè dall’autunno 2013, il sito svolgerà quattro funzioni, alle quali corrispondono contenuti differenti. La prima consiste nell’illustrare la proposta, proponendone versioni adatte a vari livelli di approfondimento. Verranno presentati il testo integrale (questo), i singoli capitoli separatamente, alcune sintesi (di varia lunghezza), e i paper tecnici10. La seconda funzione è quella di far conoscere i soggetti coinvolti. Il sito conterrà, pertanto, informazioni riguardanti gli attori aderenti al Patto aperto contro la povertà così come gli estensori del Reis. La terza funzione risiede nel seguire la proposta nel tempo. Verranno, pertanto, segnalati gli eventi riguardanti il Reddito d’Inclusione Sociale, si raccoglieranno gli articoli pubblicati in merito dalla stampa e dai siti, e si riferirà su come procederà la campagna a favore della sua introduzione. Il sito, infine, monitorerà l’evoluzione delle politiche contro la povertà in Italia, fornendo un quadro aggiornato della situazione e dei cambiamenti in atto. L’ultima funzione è complementare alle precedenti poiché mentre quelle si concentrano sul Reis, questa volge lo sguardo verso il contesto per il quale la proposta è pensata. 10 Si tratta di contributi che approfondiscono temi strettamente legati alla proposta. Il primo, già disponibile, è “Le esperienze italiane di contrasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Pierangelo Spano, Ugo Trivellato & Nadir Zanini. A settembre saranno disponibili i due successivi: “Le esperienze europee di contrasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Stefano Sacchi e “La mappatura territoriale di Ambiti socio-assistenziali, Distretti socio-sanitari e Centri per l’Impiego" di Mattia Monti e Fabio Dusio. Pagina 16 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI 1.7. IL PERCORSO COMPIUTO Più sopra è stato introdotto il Patto aperto contro la povertà, cioè l’architrave del percorso che s’intende compiere - d’ora in avanti - per promuovere l’introduzione del Reis. Ma qual è stato il tratto di strada completato sinora, cioè quello che ha permesso di arrivare sino a qui, al lancio della proposta? L’inizio è datato settembre 2011, quando il coordinatore del progetto presentò l’idea ai responsabili delle Acli e a quelli della Caritas, riscontrando subito una forte concordanza di vedute. Da lì è cominciato un lavoro comune caratterizzato da continui confronti e scambi, allargatosi all’insieme del gruppo di lavoro che ha elaborato il testo e a tante persone appartenenti alle due organizzazioni. Se è nel settembre 2011 che il testo qui presentato ha iniziato a prendere forma, i semi che ne hanno permesso la nascita erano già stati gettati prima. Acli e Caritas, infatti, avevano lavorato in precedenza a proposte che – pur concepite separatamente – muovevano nella stessa direzione. Una è quella del “Reddito di Autonomia”, promosso dalla delegazione lombarda della Caritas, con riferimento a tale regione (Lodigiani e Riva, 2011), e innestato sull’ampio patrimonio di spunti e analisi contenuti nel “Rapporto annuale su povertà ed esclusione sociale in Italia” pubblicato a partire dal 1996 (sino al 2011 in collaborazione con la Fondazione Zancan, Caritas – Fondazione Zancan, anni vari). L’altra è la proposta di una “Nuova social card”, lanciata tempo fa dalle Acli nazionali al fine di superare la Carta Acquisti tradizionale e compiere un primo passo verso quella misura di reddito di stampo europeo mancante nel nostro paese (Gori et alii, 2010); la sperimentazione di un nuovo modello di Social Card recentemente avviata dal Governo nelle 12 città più popolose d’Italia riflette – in gran parte dei suoi tratti principali - la proposta Acli11. Le precedenti proposte di Acli e di Caritas erano coerenti tra loro sotto tre profili. Primo, i contenuti, dato che ne condividevano i principali: non è necessario richiamarli ora poiché sono i medesimi caposaldi del lavoro che qui comincia, sintetizzati nel par. 1.2. Secondo, il metodo poiché entrambe hanno un taglio decisamente concreto e operativo, molto attento alla dimensione attuativa; tratti che, di nuovo, si ritrovano nel presente progetto. Terzo, il fatto di presentarsi come transitorie in attesa della necessaria riforma strutturale di livello nazionale, legandosi a specifiche contingenze. Per Caritas riguardavano il territorio, poiché si trattava di una proposta rivolta ad una singola regione, con una funzione da “battistrada” per l’auspicata misura da inserire nell’intero paese. Nel caso delle Acli, invece, la contingenza era temporale, laddove s’intendeva modificare la Social Card al fine di proporne una nuova configurazione, concepita come il primo passo di un cammino verso la necessaria riforma nazionale. La concordanza su questi diversi aspetti ha fatto sì che – davanti alla necessità di costruire una proposta per una riforma strutturale contro la povertà assoluta - Acli e Caritas abbiano condiviso il proprio impegno. L’unione degli sforzi, è poi diventata una prospettiva fondante dell’intera operazione avviata, attraverso la proposta di un “Patto aperto contro la povertà”, al fine di costruire un legame tra il maggior numero possibile di soggetti interessati alla lotta di questo flagello, come illustrato nel paragrafo 1.5. Durante l’elaborazione, il lavoro del gruppo Acli-Caritas si è incrociato con un altro in corso da tempo, quello del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca sociale (ARS) e sostenuto da 11 Tutti gli autori di tale proposta fanno parte del gruppo che ha dato vita a quella qui presentata, e anche il coordinatore è il medesimo. Pagina 17 1.7 1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS) (AAVV, 2011)12. I due gruppi hanno dato vita ad un rapporto pienamente coerente con l’idea del “Patto aperto contro la povertà”, in una collaborazione intensa caratterizzata da un fitto scambio di dati, analisi e stimoli. 1.8. RINGRAZIAMENTI Il cammino che ci permette di lanciare oggi il Reddito d’inclusione sociale e di proporre il Patto aperto contro la povertà è stato – come detto - reso possibile dal sostegno di vari soggetti. Desideriamo ringraziare, innanzitutto, Acli nazionale e Caritas italiana per aver creduto nel progetto, averlo sostenuto concretamente e accompagnato nel tempo, nell’ambito di un fecondo scambio d’idee con il gruppo di lavoro. Per quanto riguarda le Acli, la nostra gratitudine va al presidente Gianni Bottalico, al vice presidente vicario Stefano Tassinari, al responsabile del dipartimento welfare Andrea Luzi, al coordinatore delle segreteria Lanfranco Norcini Pala, e al coordinatore del dipartimento welfare, David Recchia. Siamo ugualmente riconoscenti ad Andrea Olivero e Vittoria Boni, rispettivamente ex presidente ed ex responsabile del dipartimento welfare, che hanno promosso la precedente proposta delle Acli in materia e avviato il cammino che ha portato al Reis. Per quanto concerne Caritas Italiana, la nostra gratitudine va al presidente, S. Ecc. Mons. Giuseppe Merisi, al direttore, don Francesco Soddu, e al vicedirettore vicario, Francesco Marsico. Desideriamo esprimere riconoscenza anche agli autori della proposta del Reddito di Autonomia, Rosangela Lodigiani ed Egidio Riva, dell’Università Cattolica di Milano, e al delegato delle Caritas Lombarde, Don Roberto Davanzo, suo principale promotore. Inoltre, vogliamo ringraziare gli autori del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca sociale (ARS) e sostenuto da Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS), guidato da Emanuele Ranci Ortigosa, presidente dell’ARS e direttore scientifico dell’IRS, per aver condiviso con noi idee, dati e analisi durante l’elaborazione dei rispetti lavori. Un ringraziamento particolare, infine, lo desideriamo porgere a tutti coloro i quali vorranno – nel prossimo futuro – confrontarsi con noi sul Reis, aiutarci a migliorarlo e aderire al Patto aperto contro la povertà. La speranza è di vedere tutti i soggetti interessati alla lotta contro questo flagello alleati e sempre più capaci di condizionare le scelte politiche. La responsabilità di quanto scritto in questo testo è condivisa dal gruppo autori ed è esclusivamente sua. 12 Questo riferimento bibliografico riguarda la prima versione della proposta. Una successiva versione si potrà trovare dall’ottobre 2013 sul sito di “Prospettive Sociali e Sanitarie” (http://pss.irsonline.it) e successivamente in un numero monografico della medesima rivista. Pagina 18 2. CHI SONO I POVERI La proposta qui presentata riguarda la povertà assoluta. Sperimenta questa condizione chi è privo dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat. Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in concreto, poter raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente e così via Secondo i dati più recenti, nel 2012 la povertà assoluta colpisce circa 1.72 milioni di famiglie, il 6.8% di tutte le famiglie italiane. Tra il 2011 e il 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 5,2% al 6,8% del totale: un aumento del 31% in un anno. Tra il 2005 e i 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 4% al 6,8% del totale: un aumento del 70% in sette anni. I poveri assoluti sono soprattutto minori, disoccupati, casalinghe, operai con figli, e in genere le famiglie con al più un reddito da lavoro. La povertà assoluta è un fenomeno storicamente più presente nel meridione, dove riguarda oggi il 9,8% delle famiglie. La novità di questa fase è il suo radicamento anche nel nord del paese, dove nel 2011 toccava il 3,7% delle famiglie mentre nel 2012 è arrivata al 5,5%. Il capitolo fornisce una panoramica sui concetti di povertà relativa ed assoluta e sui metodi per calcolarle, analizza i dati più recenti e illustra il metodo da noi scelto per calcolare la povertà assoluta. Si tratta di un metodo coerente con l’obiettivo di costruire un trasferimento monetario contro la povertà. Questo capitolo ha l’obiettivo di presentare un quadro della diffusione e delle caratteristiche della povertà assoluta in Italia. Nel primo paragrafo illustriamo le caratteristiche dell’indicatore di povertà assoluta predisposto pochi anni fa dall’Istat, e mostriamo i più recenti dati disponibili relativi a diffusione ed intensità della povertà assoluta in Italia. Nel secondo paragrafo discutiamo invece le scelte metodologiche che abbiamo adottato per il calcolo della povertà assoluta, che solo in parte seguono le regole adottate dall’Istat; passiamo poi, nel paragrafo 3, a descrivere brevemente alcuni dati che applicano queste scelte di metodo al più recente dataset di microdati disponibile, l’indagine Silc 2010. 2.1. LA POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA Il metodo tradizionalmente seguito in Italia per la quantificazione del fenomeno della povertà è basato sulla spesa per consumi delle famiglie. L’Istat considera infatti come povere le famiglie di due persone che presentano una spesa inferiore alla spesa media pro-capite (Istat 2012). Per i nuclei di diversa numerosità, la linea di povertà si ottiene moltiplicando la soglia relativa a due componenti per una scala di equivalenza, che tiene conto della presenza di economie di scala all’aumentare della dimensione della famiglia. L’area della povertà ottenuta in questo modo corrisponde ad un concetto di povertà relativa, perché si è poveri quando si possiede un tenore di vita significativamente inferiore a quello medio dell’intera popolazione. Sempre seguendo un approccio relativo, l’Eurostat calcola invece la povertà sulla base non del livello della spesa per consumi, ma del reddito disponibile delle famiglie (Eurostat 2012). In questo caso si Pagina 19 2. CHI SONO I POVERI considera come povero un individuo che vive in una famiglia il cui reddito equivalente è inferiore al 13 60% del reddito equivalente mediano della distribuzione individuale. Dal 2004, cioè da quando in Italia viene svolta l’indagine annuale Silc sui redditi delle famiglie, l’Istat pubblica anche i dati sulla povertà di reddito, calcolati seguendo la metodologia Eurostat. Negli ultimi anni l’Istat ha arricchito l’analisi della povertà, affiancando al tradizionale calcolo degli indicatori relativi anche una stima dell’estensione della povertà assoluta. Viene considerata in povertà assoluta una famiglia che presenta una spesa per beni e servizi primari inferiore ad una soglia valutata come indispensabile per poter vivere in modo minimamente dignitoso. Apparentemente questo criterio sembra prescindere dal tenore di vita medio della popolazione, da cui l’aggettivo assoluto, ma in realtà anch’esso deve tenere conto del contesto di riferimento. E’ chiaro, ad esempio, che il valore del paniere necessario per poter vivere in modo dignitoso in Italia è sensibilmente superiore a quello di un paniere capace di garantire una vita modesta ma dignitosa in un’area rurale dell’Africa. Resta però vero che la povertà assoluta si calcola in modo del tutto indipendente dal reddito medio o mediano della popolazione, ed è quindi insensibile ad oscillazioni di breve termine dovute a variazio14 ni dei livelli medi o mediani del reddito o del consumo nazionali. Il livello della soglia di povertà assoluta corrisponde al valore di un paniere di beni e servizi, calcolato da una commissione di esperti (Istat 2009), differenziato in base a tipologie socio-demografiche quali il numero e l’età dei componenti, l’area geografica e la dimensione del comune di residenza. Questo valore viene annualmente aggiornato in base al tasso di variazione dei prezzi per area geografica. Più in particolare, del paniere fanno parte una componente alimentare, una abitativa ed una residuale (Istat, 2009). La prima viene definita sulla base dei Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti per gli italiani (Larn). La seconda si basa su un fabbisogno abitativo minimo in termini di ampiezza dell’alloggio, corrispondente al parametro per la concessione dell’abitabilità individuato dal decreto ministeriale del 5 luglio 1975. A partire da questo viene poi calcolato il costo per l’affitto e quello per le dotazioni dell’abitazione (energia elettrica, beni durevoli e riscaldamento). Infine, la componente residuale stima la spesa minima necessaria “per arredare e manutenere l’abitazione, vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute” (Istat, 2009, pag. 59). Nel 2012, secondo il documento “La povertà in Italia” dell’Istat (2013), 1 milione e 725 mila famiglie (il 6,8% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 814 mila individui (l’8% dell’intera popolazione). L’incidenza, tra le famiglie, ha mostrato un aumento, rispetto al 2011, di ben 1,6 punti percentuali a livello nazionale, di 1,8 nel Nord e nel Mezzogiorno e di 1 punto percentuale nel Centro; le variazioni tra gli individui (pari rispettivamente a 2,4, 2,5 e 1,6 punti percentuali) sono ancora più accentuate, a seguito del marcato incremento della povertà assoluta tra le famiglie più ampie. L’incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella grande maggioranza dei 13 Il reddito equivalente di una famiglia è il rapporto tra il reddito disponibile di familiare e la scala di equivalenza “Ocse modificata”, che dà peso 1 al primo adulto in famiglia, 0.5 ad ogni altro membro con almeno 14 anni, 0.5 ai bambini fino a 13 anni. A ciascuna persona viene assegnato il reddito equivalente della famiglia a cui appartiene. La mediana di questa distribuzione tra individui dei redditi equivalenti (cioè il reddito che divide la popolazione in due gruppi ugualmente numerosi, metà con reddito più basso, metà con reddito superiore) viene poi moltiplicata per 0.6 per ottenere la linea di povertà. 14 Il reddito medio è quel livello di reddito che sarebbe posseduto da ciascuna famiglia, in caso di distribuzione perfettamente egualitaria. Si ottiene dividendo il totale per il numero dei casi. Pagina 20 2. CHI SONO I POVERI casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al 16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%). Peggiora anche la condizione delle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%), per le quali l’incidenza di povertà assoluta ha ormai oltrepassato il valore medio nazionale. Si conferma e si amplia, quindi, lo svantaggio delle famiglie più ampie, nonostante segnali negativi, seppur su livelli contenuti, si registrino anche tra le persone con meno di 65 anni, sole (dal 3,5% al 4,9%) o in coppia (dal 2,6% al 4,6%). Un livello di istruzione medio-alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, non garantiscono più dal rischio di cadere in povertà assoluta, soprattutto quando altri membri della famiglia perdono la propria occupazione o modificano la propria posizione professionale. Peggiorano le condizioni delle famiglie con tutti i componenti occupati (dal 2,5% al 3,6%) o con a capo un occupato (dal 3,9% al 5,5%); oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%); la povertà assoluta aumenta, seppur su livelli più bassi, tra gli impiegati e tra i dirigenti (dall’1,3% al 2,6%). Trend negativi si osservano tra le famiglie con redditi da lavoro e da pensione (dal 3,6% al 5,3%). Ne deriva un aumento della povertà sia tra le famiglie con capo una persona con licenza media inferiore (dal 6,2% al 9,3%), sia tra quelle con a capo un diplomato o un laureato (dal 2% al 3,3%). Ancora una volta, tuttavia, l’incidenza cresce tra le famiglie con a capo una persona non occupata (dall’8,4% all’11,3% se in condizione non professionale, dal 15,5% al 23,6% se in cerca di occupazione) e raggiunge i livelli più elevati tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro: nel 2012 quasi un terzo di queste famiglie (il 30,8%) è assolutamente povero (erano il 22,3% nel 2011). Da ultimo una considerazione assumendo una prospettiva temporale più ampia. L’analisi qui proposta si è soffermata sul cambiamento tra il 2011 e il 2012 perché il brusco incremento della diffusione della povertà assoluta nel nostro paese colpisce e merita attenzione. Ampliamo ora lo sguardo sino al 2005, primo anno per il quale dati comparabili sono disponibili. Le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 4% del 2005 al 6,8% del 2012: vuol dire un incremento del 70% in 7 anni. La povertà assoluta, purtroppo, sta mettendo le radici nel nostro paese. Al contrario di quanto accade per altri dati, l’Istat non diffonde quelli sulla povertà assoluta a livello regionale. Le tab. 1 e 2 riassumono i principali indicatori sulla dinamica della povertà assoluta in Italia. TAB. 1 INDICATORI DI POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA 2005 famiglie povere (migliaia) famiglie residenti (migliaia) persone povere (migliaia) persone residenti (migliaia) INCIDENZA DELLA POVERTÀ (%) 2007 2008 2009 2010 2011 2012 932 975 1.126 1.162 1.156 1.297 1.725 23268 23.881 24.258 24.609 24.898 25.165 25.384 2381 2.427 2.893 3.074 3.129 3.415 4.814 58.077 58.757 59.261 59.674 60.005 60.287 60.450 (%) Famiglie 4,0 4,1 4,6 4,7 4,6 5,2 6,8 Persone 4,1 4,1 4,9 5,2 5,2 5,7 8,0 16,3 17,0 17,3 17,8 17,8 17,3 INTENSITÀ DELLA POVERTÀ (%) (%) Famiglie 17,7 Fonte: Istat (2013) Pagina 21 2. CHI SONO I POVERI TAB. 2 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNE TIPOLOGIE SOCIODEMOGRAFICHE IN ITALIA 2011 2012 Età della persona di riferimento 2011 2012 Ampiezza della famiglia 2011 2012 Tipologia famigliare <=34 5.3 8.1 1 5.1 5.5 Persona sola con meno di 65 anni 3.5 4.9 35-44 4.8 7.4 2 4.1 5.5 Persona sola >= 65 anni 6.8 6.2 45-54 5.3 7.3 3 4.7 6.6 Coppia con capofamiglia <65 2.6 4.6 55-64 3.8 6.6 4 5.2 8.3 Coppia con capofamiglia >=65 4.3 4.0 >=65 6.0 6.1 >=5 12.3 17.2 Coppia con 1 figlio 4.0 5.9 Coppia con 2 figli 4.9 7.8 Coppia con 3+ figli 10.4 16.2 I dati mostrano un forte aumento della diffusione della povertà assoluta nel 2012 rispetto all’ano precedente, concentrata in particolare tra le famiglie numerose e con figli. Gli anziani, grazie anche all’indicizzazione delle pensioni ai prezzi, sembrano avere conservato in genere il proprio tenore di vita, che invece è in deciso peggioramento per le coppie più giovani, anche quelle con un solo figlio. 2.2. LA STIMA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER IL CALCOLO DEL REIS Le nostre stime della povertà assoluta si differenziano in parte dall’approccio seguito dall’Istat, perché adottiamo un criterio misto reddito-consumo: ci basiamo infatti sul confronto tra il reddito di15 sponibile delle famiglie e le linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat. Definiamo quindi in povertà assoluta una famiglia che non percepisce un reddito corrente sufficiente per l’acquisto di un paniere minimale di beni e servizi, lo stesso determinato dalle soglie di povertà assoluta Istat. Abbiamo scelto di definire la condizione di povertà assoluta sulla base del reddito disponibile corrente per ottenerne una definizione che sia idonea alla predisposizione di una misura di sostegno monetario alle famiglie che in essa si trovano. Si consideri infatti che: in primo luogo, la rilevazione analitica della spesa delle famiglie per stabilire l’accesso al beneficio sarebbe un’attività del tutto nuova per le amministrazioni pubbliche e per l’Inps, che invece già possiedono molte informazioni sui redditi delle famiglie; inoltre, la Carta Acquisti, la misura che attualmente cerca di intervenire sulla platea dei poveri assoluti, prevede un meccanismo di selezione basato sull’Isee, indicatore della situazione economica, che dipende dal reddito e dal patrimonio delle famiglie ma non dal loro consumo. Anche l’assegno sociale, che è lo strumento che più si avvicina ad un trasferimento contro le forme di povertà più grave degli anziani, viene erogato in presenza di un ridotto livello di reddito e non di consumo; 15 Il reddito disponibile comprende tutte le possibili forme di entrata ricevute dalla famiglia, al netto delle imposte, così come rilevato dall’Istat nell’indagine Silc. Pagina 22 2. CHI SONO I POVERI infine, anche nei paesi europei e negli Usa gli schemi di trasferimento monetario per le famiglie più povere considerano, sia per la selezione dei beneficiari che per la fissazione del trasferimento, il reddito disponibile (Immervoll, 2012). Sono poi spesso previsti anche vincoli al possesso di attività patrimoniali, che anche noi consideriamo nella nostra proposta, in aggiunta al criterio reddituale. Se una famiglia possiede la casa in cui risiede, incrementiamo il suo reddito disponibile di una componente figurativa che corrisponde al beneficio ricevuto dalla propria abitazione. Questa componente è pari alla spesa minima per l’affitto che viene inserita dall’Istat nel calcolo della soglia di povertà assoluta. In questo modo si introduce una differenza tra il tenore di vita effettivo di una famiglia che vive in proprietà e quello di un’analoga famiglia che vive in affitto, a parità di reddito monetario. Per le famiglie con mutui in corso di pagamento sottraiamo però gli interessi passivi. L’adozione delle linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat ci permette di tenere conto del diverso livello dei prezzi tra le aree del paese (Nord, Centro e Sud) e tra comuni di piccola, media e grande dimensione. In altre parole, con un dato livello di reddito monetario si può essere poveri se si risiede in una grande città dell’Italia settentrionale, mentre si può non esserlo se si vive in un piccolo comune del Sud. Per applicare queste scelte metodologiche serve un campione di microdati sulle famiglie italiane. Il più recente disponibile al momento in cui sono state compiute le nostre analisi (primavera 2013) è il database Silc 2010, che riporta i redditi del 2009. E’ un periodo relativo ad una fase della crisi ancora non acuta come negli ultimi due anni ma utile per ottenere alcune informazioni sulle caratteristiche che la povertà assoluta assume se si adotta il criterio reddito-consumo da noi proposto. Per tenere conto anche del peggioramento recente della congiuntura, con il forte incremento della diffusione della povertà, abbiamo proceduto in questo modo: sviluppiamo qui alcune analisi piuttosto approfondite sul dataset Silc 2010 per una discussione delle conseguenze del nostro approccio su dati che possiamo considerare rappresentativi di un periodo “normale” o quasi (scenario “contesto economico ‘normale’ ”), ma nel capitolo successivo presenteremo anche alcune elaborazioni che aggiornano sullo stesso dataset la platea dei poveri assoluti alle informazioni recentemente messe a disposizione dall’Istat (scenario “contesto economico di forte crisi”) (cfr. par 3.3). 2.3 CHI SONO I POVERI ASSOLUTI NELL’APPROCCIO MISTO REDDITOCONSUMO Nello scenario “contesto economico ‘normale’ ” sviluppiamo alcune analisi dettagliate sull’indagine campionaria Silc relativa all’anno 2010. In questa indagine vengono rilevate le condizioni di vita delle famiglie nell’anno 2010 ed il reddito da esse percepito nel corso del 2009. Nel 2009/2010 il periodo di crisi economica tuttora in corso era agli inizi ed aveva manifestato ancora poche conseguenze sui redditi delle famiglie italiane. Si potrebbe quindi obiettare che le elaborazioni qui presentate forniscono un quadro non realistico della situazione, perché oggi la povertà è molto più diffusa a causa dell’aggravarsi della crisi. Ci pare che le nostre elaborazioni siano comunque significative, per diverse ragioni. In primo luogo, non abbiamo alternative, perché usiamo il dataset sui redditi più aggiornato messo a disposizione dell’Istat al momento di condurre le nostre elaborazioni (primavera 2012). Inoltre, la situazione non cambierebbe qualora svolgessimo le nostre elaborazioni nel momento nel quale il rapporto viene reso pubblico (luglio 2013) perché ora i microdati disponibili si riferiscono al 2010. In quest’ultimo anno, il quadro della povertà, infatti, era molto simile al 2009. Inoltre, come si vedrà tra poco sotto, almeno fino al 2011 la povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile in Italia, e solo nell’ultimo biennio la crisi stia assumendo una maggiore gravità; le elaborazioni dettagliate qui Pagina 23 2. CHI SONO I POVERI presentate non riflettono quindi la fase più grave dell’attuale recessione ma sono comunque rappresentative di un periodo di recessione; esse hanno lo scopo principale di mostrare le conseguenze della definizione della povertà assoluta in termini di basso reddito e non di basso consumo, ma il calcolo del costo e della platea del Reis sarà effettuato, nel prossimo capitolo, anche sulla base dei più recenti dati Istat riferiti al 2012 (cfr. par 3.3). Nel 2009 si trovavano – seguendo la nostra metodologia di calcolo - in condizione di povertà assoluta il 5.4% delle famiglie italiane, una percentuale che corrisponde a circa 1.37 milioni di nuclei, ed il 5.5% degli individui, cioè approssimativamente 3.3 milioni di persone. La tabella 1 confronta le quote di famiglie e di individui in povertà assoluta da noi calcolate (in base al reddito) con le stime di fonte 16 Istat (ottenute in base alla spesa per consumi). La dimensione del fenomeno è simile nei due approcci. La rilevazione Istat relativa al 2011 produce valori assai simili ai nostri, che si fermano al 2009. L’incidenza della povertà tra le famiglie da noi calcolata è superiore di circa 0.7 punti percentuali a quella ottenuta dall’Istat per il 2009, e di circa 0.3 punti per gli individui. La differenza corrisponde a circa 176 mila nuclei e 181 mila individui. La povertà assoluta nelle stime Istat (consumi) è costantemente in crescita tra 2005 e 2011. Viceversa, i calcoli sulla base dei redditi in Silc mostrano un calo fra 2005 e 2007 e una ripresa a partire dal 2008. TAB.3 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA, PER ANNO Nostre elaborazioni (reddito) Istat (consumi) % famiglie % individui % famiglie % individui 2005 5.6% 5.6% 4.0% 4.1% 2006 5.2% 5.2% 4.1% 3.9% 2007 4.8% 4.5% 4.1% 4.1% 2008 5.2% 5.1% 4.6% 4.9% 2009 5.4% 5.5% 4.7% 5.2% 2010 4.6% 5.2% 2011 5.2% 5.7% 2012 6.5% 8.0% Fonte: nostre elaborazioni su vari anni dell’indagine Silc per la seconda e terza colonna, Istat per le altre La tabella 2 approfondisce il confronto tra i nostri risultati e quelli ottenibili sulla base della spesa per consumi. Riportiamo anche le elaborazioni di fonte Istat per lo stesso anno. Il quadro che ne risulta è piuttosto coerente. Tra le aree geografiche, ad esempio, sulla base sia del reddito che del consumo risulta che nel Nord l’incidenza della povertà è circa la metà di quella riscontrabile nelle regioni meridionali, e che il Centro è assai più vicino al Nord che non al Sud. Rispetto all’analisi dei consumi, la quota di famiglie povere sulla base del reddito è più ridotta al Sud e maggiore al Centro, mentre si mantiene attorno al 4% nel Nord. Questa differenza può essere spiegata da diversità territoriali nell’importanza della produzione domestica. Poiché la definizione di povertà sui consumi è basata 16 Le statistiche sulla povertà assoluta di fonte Istat (consumi) sono tratte dalle note sintetiche sulla povertà disponibili nel sito www.istat.it. Pagina 24 2. CHI SONO I POVERI sulla spesa effettiva, nelle aree dove una parte consistente di beni e servizi vengono prodotti in famiglia, e non acquistati sul mercato, è possibile che le famiglie risultino più povere. Considerando invece la condizione professionale del capofamiglia, emergono alcune similarità ma 17 anche qualche differenza interessante. La quota di famiglie di operai in povertà assoluta è, ad esempio, straordinariamente simile nelle rilevazioni, così come quella delle famiglie di impiegati e dirigenti e quella dei nuclei rientranti nella categoria residuale “altri”, che comprende casalinghe, studenti, inabili al lavoro o altre condizioni non professionali. Secondo le nostre elaborazioni sono invece più a rischio di povertà assoluta, rispetto alla fonte Istat, le famiglie dei disoccupati e quelle dei lavoratori indipendenti. E’ ragionevole ritenere che la causa di questa differenza stia nel diverso metro da noi usato, cioè il reddito rispetto al consumo. Il reddito è decisamente più volatile del consumo, dal momento che oscillazioni del primo possono essere compensate da variazioni del risparmio o da trasferimenti provenienti da eventuali reti informali di aiuto. In questi casi una famiglia potrebbe risultare povera sulla base del reddito corrente, ma non del suo consumo. Nel caso dei nuclei di pensionati, invece, le nostre elaborazioni producono un minore rischio di povertà. Anche in questo caso, ci pare che ciò possa essere attribuito alla differenza tra reddito e consumo, in particolare alla presenza di alcuni nuclei che, preferendo uno stile di vita sobrio (per abitudine o per il forte timore di dover affrontare nel prossimo futuro rilevanti spese sanitarie), riescono 18 ad avere un risparmio positivo anche in presenza di un reddito non elevato. Viceversa, molte famiglie giovani possono presentare livelli di consumo molto vicini o anche superiori al reddito corrente, per necessità incomprimibili di spesa legate all’acquisto dell’immobile o alla presenza di bambini, o perché contano su futuri aumenti del reddito associati alla carriera lavorativa. Inoltre, occorre considerare che le famiglie di pensionati hanno minori spese legate al lavoro, ad esempio per i trasporti, e hanno più tempo a disposizione per produrre beni e servizi direttamente senza acquistarli sul merca19 to. Dai nostri risultati, comunque, emerge un quadro della povertà assoluta sostanzialmente coerente con quello di fonte Istat: la povertà colpisce soprattutto famiglie di operai, disoccupati e di persone in “altra” condizione, nonché le famiglie molto numerose. La mancanza di adeguati redditi da lavoro in famiglia sembra emergere come la causa principale, anche se non l’unica, della povertà assoluta. Tab.4 Incidenza della povertà assoluta tra famiglie: confronto tra le nostre elaborazioni (reddito) e le stime Istat (consumo) (scenario “contesto economico ‘normale’ ”) Nostre elaborazioni, 2009 Ampiezza famiglia Nostre elaborazioni, 2009 Istat 2009 Istat 2009 Condizione capofamiglia 17 Nelle nostre elaborazioni su dati Silc, definiamo il capofamiglia come la persona con maggiore reddito individuale all’interno del nucleo familiare. Nei dati Istat (consumi), il capofamiglia è l’intestatario della scheda anagrafica. 18 La diffusione della povertà assoluta tra i pensionati cambia pochissimo (dall’1.4% all’1.5%) se sottraiamo dal reddito famigliare l’indennità di accompagnamento. 19 Battistin et al (2009) e Miniaci et al. (2010) mostrano come il calo nella spesa per consumi al momento del pensionamento possa essere spiegato da un calo delle spese legate al lavoro e da un aumento della produzione domestica di beni e servizi. Battistin et al. (2009) mostrano anche che il calo può essere dovuto a un cambiamento nella composizione del nucleo familiare, in seguito all’uscita dei figli adulti. Pagina 25 2. CHI SONO I POVERI 1 6.9% 4.5% Operaio 6.0% 2 4.1% 3.8% Impiegato, dirigente 1.0% 4.2% Indipendente 6.3% 3 4.0% 4 6.9% 1.5% 2.0% 4.9% 5.8% Pensionato 1.4% 4.6% 11.3% 9.2% Disoccupato 36.1% 14.5% Altro 12.4% 9.1% Nord 4.1% 3.7% Totale 5.4% 4.7% Centro 4.6% 2.7% Sud 8.0% 8.5% >=5 comp. Area geografica Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010 per la seconda colonna, Istat per le altre Quali forme di intervento sono più opportune per contrastare la povertà assoluta? La risposta dipende dalle caratteristiche delle famiglie povere. Per alcune potrebbe essere essenziale un semplice trasferimento monetario, per altre la combinazione di denaro e nuove opportunità di reinserimento lavorativo, oppure di denaro e servizi di altro tipo (ad esempio servizi di cura o di formazione). Può dunque essere utile classificare le famiglie che si trovano in povertà in alcuni gruppi, definiti in base alla condizione della persona di riferimento e descritti nella prima colonna della tabella 5. La penultima contiene il numero di nuclei in povertà assoluta per ciascun gruppo. Tra le famiglie povere, quello decisamente più numeroso è rappresentato da famiglie in cui la persona di riferimento ha un lavoro. Seguono i nuclei con capofamiglia disoccupato o classificato come “altro” (una categoria che comprende le seguenti modalità rilevate dall’Istat nell’indagine: casalinga, studente, inabile al lavoro, in altra condizione), con meno di 50 anni e quelli di anziani. Abbiamo isolato inoltre le famiglie con persona di riferimento in condizione non professionale ma con oltre 50 anni perché anche per esse è ragionevole supporre che le prospettive di inserimento occupazionale siano ancora più molto incerte. TAB. 5 LA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNI GRUPPI DI FAMIGLIE (SCENARIO “CONTESTO ECONOMICO ‘NORMALE’ ) Composizione dell’intero insieme delle famiglie (anche quelle non povere) Capofamiglia che lavora 54.8% Quota di famiglie in povertà assoluta all’interno del gruppo Composizione dell’insieme delle famiglie povere assolute 4.3% 43.9% Capofamiglia disoccupato o "altro" con 4.8% meno di 50 anni 36.3% 32.1% Capofamiglia disoccupato o "altro" tra 2.8% 50 e 64 anni 21.1% 11.0% Capofamiglia con almeno 65 anni 37.6% 1.9% 13.1% Totale 100% 5.4% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010 Nel gruppo più numeroso, il primo, la grandissima maggioranza delle famiglie vede la presenza di un solo lavoratore. La loro condizione di povertà dipende quindi soprattutto dalla mancanza di un secondo reddito da lavoro. Ulteriori elaborazioni effettuate sul dataset mostrano che nel 75% delle fa- Pagina 26 2. CHI SONO I POVERI miglie povere del primo gruppo vi è almeno una persona, diversa dal capofamiglia, che ha meno di 50 anni e che attualmente non lavora. Questo risultato conferma le osservazioni di Brandolini, Cipollone e Sestito (2001) e Brandolini (2009), i quali notano come il numero di familiari occupati, in particolare delle persone diverse dal capofamiglia, sia uno dei fattori più correlati con la probabilità di essere in 20 povertà. Nelle altre tipologie familiari il lavoro è invece praticamente assente. La scarsità di lavoro sembra quindi essere la principale determinante della povertà assoluta per circa il 70% delle famiglie in povertà assoluta (considerando il primo gruppo al netto delle famiglie senza altri membri adulti non occupati ed il secondo gruppo). È però ragionevole pensare che questa sia una valutazione assai generosa del numero di famiglie che potrebbero uscire dalla povertà attraverso una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, perché probabilmente molti dei loro membri, anche se giovani, sono scarsamente occupabili, per motivi personali o per la presenza di impegni di cura. Questa stima grossolana ci aiuta comunque a comprendere quale potrebbe essere il bacino interessato, oltre che ad un trasferimento monetario, anche a servizi di formazione e accompagnamento all’impiego. Per un altro 20% circa (il resto del gruppo 1 più il gruppo 3) appare difficile ipotizzare che l’uscita dalla povertà possa provenire da un aumento del reddito da lavoro, vuoi perché non vi sono altri membri potenzialmente occupabili oltre al capofamiglia, vuoi perché si tratta di nuclei di disoccupati o persone in altra condizione, non più giovani anche se non ancora anziani. Per queste famiglie, l’intervento principale per migliorare il loro tenore di vita sembra essere l’integrazione monetaria. La mancanza di informazioni dettagliate nel campione sulle caratteristiche personali dei soggetti appartenenti a queste famiglie impedisce di valutare se ed in quale misura altri tipi di servizi, diversi dall’accompagnamento al lavoro, potrebbero essere rilevanti per questo gruppo, anche se è ragionevole pensare che per molte famiglie la risposta sia positiva. Infine, vi sono in povertà assoluta famiglie di anziani per le quali le principali esigenze riguardano sia un maggiore reddito disponibile che, molto realisticamente, servizi per un’adeguata assistenza sanitaria. In sintesi, per circa il 70% delle famiglie povere l’intervento più appropriato sembra consistere nella combinazione di un trasferimento monetario e di servizi per l’impiego e la formazione. Per l’altro 30%, invece, l’elemento centrale pare essere il trasferimento monetario, affiancato da servizi ad hoc per affrontare situazioni problematiche di varia natura. I difetti strutturali del sistema assistenziale italiano appaiono con evidenza dalla tab. 6, che mostra come solo la metà circa delle famiglie in povertà assoluta riceva almeno un aiuto monetario, conside21 rando tra i trasferimenti ogni forma di sussidio in denaro. La tab. 8 presenta la quota di famiglie che, in ciascun gruppo, ricevono almeno un trasferimento monetario. 20 Il lavoro di Brandolini, Cipollone e Sestito (2001) analizza gli anni 1977-1998 e si riferisce alla povertà relativa con linee fissate al 40% e 60% della mediana. Gli autori concludono che un basso tasso di occupazione dei familiari diversi dal capofamiglia è più importante nello spiegare la povertà rispetto alla presenza di bassi salari. Per quanto riguarda Brandolini (2009), ci riferiamo alla tabella 5 in cui l’autore analizza gli anni 20002006. Simili considerazioni si trovano in Brandolini (2005). 21 Pensioni di ogni tipo o altri trasferimenti (disoccupazione, assegni familiari, trasferimenti da enti locali, sussidi vari, ecc.).I trasferimenti pensionistici comprendono le pensioni di ogni tipo, comprese quelle di reversibilità e invalidità: in Silc, corrispondono alla somma per famiglia delle variabili py100 (old-age pensions), py110 (survivor benefits) e py130 (disability benefits). I trasferimenti contro la disoccupazione corrispondono alla variabile py090 (unemployment benefits), quelli del terzo gruppo comprendono le variabili py140n (education-related allowances), hy050 (family / children allowances, hy060 (social exclusion not elsewhere classified) e hy070 (housing related allowances). Pagina 27 2. CHI SONO I POVERI TAB.6 FAMIGLIE IN POVERTÀ ASSOLUTA CHE RICEVONO ALMENO UN TRASFERIMENTO MONETARIO PUBBLICO (SCENARIO “CONTESTO ECONOMICO ‘NORMALE’ ”) Trasf. pensionistici Capofamiglia che lavora 2.9% Trasf. associati alla mancanza di lavoro Trasf. assistenziali Totale 30.3% 27.0% 44.5% Capofamiglia disoccupato o "altro" con meno 10.2% di 50 anni 20.3% 22.9% 46.2% Capofamiglia disoccupato o "altro" tra 50 e 64 29.2% anni 10.0% 21.9% 45.6% capofamiglia con almeno 65 anni 84.2% 1.5% 17.9% 84.2% Totale 18.8% 21.1% 23.9% 50.3% Fonte: ns. elaborazione su Silc 2010 Mentre tra le famiglie povere assolute “giovani” meno di una su due è raggiunta da sussidi in denaro, oltre l’80% delle “anziane” ne riceve almeno uno. I sussidi di disoccupazione interessano solo una piccola minoranza delle famiglie dei disoccupati, solo in parte rimpiazzati da quelli di tipo assistenziale. Pagina 28 3. UTENTI E IMPORTI Il Reis è ispirato all’universalismo, quindi può essere richiesto da tutti i residenti in Italia che si trovino in condizione di povertà assoluta, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat. La condizione di povertà assoluta viene misurata in base al reddito familiare. Tra i potenziali richiedenti sono inclusi i cittadini stranieri legittimati alla presenza sul territorio italiano e residenti da almeno dodici mesi nel nostro paese. Per una famiglia con date caratteristiche, l’importo del Reis viene calcolato come differenza tra la linea di povertà assoluta dell’Istat per quel tipo di famiglia ed il suo reddito disponibile. Il reddito della famiglia viene verificato attraverso un indicatore di controllo sui consumi, che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto. Inoltre, solo le famiglie che hanno un Isee (riformato) inferiore ad una data soglia possono ottenere il Reis. In questo modo vengono escluse famiglie con reddito modesto ma significative disponibilità patrimoniali. La seconda parte del capitolo descrive alcuni effetti quantitativi dell’introduzione del Reis: numero dei soggetti coinvolti, spesa totale e media, conseguenze sulla diffusione della povertà. Queste stime vengono presentate in due versioni: a) scenario “Contesto economico ‘normale’” (basato sulla distribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su microdati al momento di preparare questo rapporto); b) scenario “Contesto di forte crisi economica” (costruito tenendo conto delle recenti stime della povertà assoluta nel 2012, diffuse dall’Istat nel luglio 2013, una settimana prima della presentazione di questo lavoro). Nel primo scenario, il Reis andrebbe ad 1,28 milioni di famiglie, che si riducono a circa un milione se si assume, realisticamente, che non tutte farebbero domanda (take-up rate del 75%). La spesa totale per la componente di trasferimenti monetari sarebbe attorno a 4.4 miliardi di euro all’anno. In questo scenario, l’importo medio del trasferimento economico annuo sarebbe pari a 4675 euro annui, cioè il 58% del reddito familiare medio delle famiglie interessate, Nel secondo scenario, il 6.5% delle famiglie italiane potrebbe essere interessato al trasferimento (circa 1,6 milioni di nuclei). Assumendo in anche in questo caso un take-up rate del 75%il numero delle famiglie beneficiarie in questi anni di acuta recessione dovrebbe attestarsi, a regime, attorno ad 1,2 milioni, con una spesa totale per la componente di prestazione monetaria di circa 5,5 miliardi annui. In questo scenario, l’importo medio del trasferimento economico annuo sarebbe è pari a 4542 euro annui, circa il 51% del reddito familiare medio delle famiglie interessate. Pagina 29 3. UTENTI E IMPORTI 3.1. CHI SONO GLI UTENTI In questo capitolo vengono presentate le principali caratteristiche del trasferimento che proponiamo. Ci concentriamo in particolare sull’estensione della platea dei beneficiari del Reis, sulle regole di calcolo e sul suo costo complessivo. 3.1.1. Universalismo e contrasto della povertà assoluta L’obiettivo centrale del Reis è il contrasto della povertà assoluta in Italia, senza vincoli categoriali che potrebbero restringerne l’utenza. Rispetto agli altri strumenti oggi presenti in Italia per combattere la povertà, come le carte acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni22) che sono limitate a specifiche categorie familiari, il Reis ha un’impostazione decisamente universalistica. È anche soggetto ad una prova dei mezzi, perché l’utenza è rappresentata, in prima approssimazione, da tutte le famiglie in povertà assoluta, definita sulla base delle soglie di povertà elaborate dall’Istat. Dal momento che riteniamo che il tenore di vita di una famiglia non dipenda solo dal reddito percepito ma anche dalle disponibilità patrimoniali accumulate, aggiungiamo anche una soglia definita in termini di Isee per escludere i casi caratterizzati da basso reddito ma da patrimonio significativo, secondo modalità che verranno dettagliate nel prosieguo del capitolo. Il Reis è un trasferimento monetario e non una card per l’acquisto di beni di consumo, con vantaggi in termini di fungibilità del denaro, di riduzione del rischio di stigma, di minori costi di gestione rispetto al voucher. Esso permette anche una ricomposizione del sistema italiano di protezione sociale, in cui finora manca uno strumento monetario di contrasto della povertà assoluta non categoriale. Si tratta di un mix di denaro e servizi: al sostegno economico saranno abbinati, per quanto possibile, percorsi di attivazione dei beneficiari (sociale e/o lavorativa), mirati ad alleviare le situazioni di povertà agendo non solo sulle condizioni di vita, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno provocate, in una logica d’inclusione attiva. Il ricorso alle linee di povertà assoluta ci permette inoltre di differenziare l’importo del trasferimento, a parità di reddito familiare, tra le varie aree del paese, per tenere conto delle notevoli differenze del costo della vita tra Nord e Sud e tra grandi e piccoli centri urbani. A questo aspetto è dedicato l’ultimo paragrafo del capitolo. 3.1.2. Per tutte le famiglie residenti in Italia Anche se in linea di massima il target del Reis è costituito dall’insieme delle famiglie in povertà assoluta, è comunque necessario stabilire un insieme di regole che permettano al trasferimento di essere efficace e di evitare distorsioni, specie in considerazione del fatto che la misura non comporta solo un’erogazione monetaria, ma anche una presa in carico con prestazione di servizi, necessariamente da organizzarsi su base locale da parte dei Comuni. Non è quindi scontato che la platea dei beneficiari del trasferimento corrisponda pienamente a quella dei poveri assoluti né che la componente di servizi facenti parte della misura porti a percorsi di attivazione identici per tutti sull’intero territorio nazionale. 22 Da gennaio 2013 l’età minima per richiedere la pensione sociale è passata a 65 anni e 3 mesi. A seguito della riforma Fornero crescerà poi in base alla speranza di vita con cadenza triennale. Per semplicità, qui e nei capitoli successivi si farà riferimento alla soglia dei 65 anni. Pagina 30 3. UTENTI E IMPORTI Iniziamo dalla questione della residenza. La prima versione della carta acquisti è stata riservata solo ai cittadini italiani, una grave limitazione se si pensa che tra gli immigrati il rischio di povertà è sicuramente molto alto. La nuova versione, introdotta in via sperimentale nel 2013, corregge questo limite includendo anche gli stranieri, ma si tratta appunto solo di una sperimentazione con una modesta dotazione finanziaria. Il Reis da noi proposto si pone in continuità con l’evoluzione introdotta con questa nuova carta acquisti, adattandone lo spirito al carattere integrato e “sintetico” della nuova misura, nella quale confluiscono anche prestazioni già esistenti, che vengono erogate a prescindere dal requisito della residenza. Hanno quindi il diritto di accedere al Reis, in presenza dei requisiti economici che verranno descritti nel seguito, tutti i cittadini, di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio nazionale, regolarmente residenti nel Comune italiano nel quale fanno richiesta della misura ed iscritti in modo continuativo all’anagrafe della popolazione residente in Italia (non necessariamente nel Comune in cui si fa istanza), da almeno dodici mesi. In linea con la giurisprudenza oramai consolidata della Corte Costituzionale23 e della Corte Europea, il Reis va considerato una misura che non solo tutela un diritto soggettivo ma che è “destinata alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili” (Corte Cost. 329/2011) per il contesto familiare in cui il beneficiario è inserito, dovendosi necessariamente considerare anche le persone in condizioni di povertà assoluta, intesa quale condizione di impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, come soggetti «affetti da un disagio particolarmente grave (…) e dunque particolarmente bisognevoli di specifiche misure di assistenza» (Corte Cost. 40/2013). Qualsiasi discriminazione o limitazione nell’accesso a tale misura fondata sulla diversità di cittadinanza o titolo di soggiorno contrasterebbe quindi con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e rappresenterebbe una violazione dell’art. 2 della Costituzione Italiana. Quanto al requisito della residenza, la normativa attuale in Italia, dopo le riforme introdotte dal cosiddetto “pacchetto sicurezza” (legge 15 luglio 2009 n. 94), dal D.M. 06 luglio 2010, istitutivo del “registro delle persone senza fissa dimora”, e con l’introduzione, avvenuta con l’art. 5 della legge 4 aprile 2012, n. 35, della cosiddetta “residenza in tempo reale”, è esplicita nel riconoscere il diritto all’iscrizione anagrafica a qualunque cittadino regolarmente presente sul territorio nazionale, privo di una residenza valida in Italia e domiciliato, anche elettivamente, nel Comune in cui fa istanza di iscrizione. Tali provvedimenti non lasciano neppure più dubbi circa la necessità e l’obbligo, per i Comuni, di istituire nelle proprie anagrafi un’apposita sezione ove iscrivere, presso indirizzi fittizi o domicili elettivi, le persone che la legge considera senza fissa dimora. Anch’esse quindi potranno avere accesso liberamente al Reis una volta ottenuta la residenza anagrafica. Parimenti il contesto normativo attuale supera e definisce definitivamente le controversie in passato verificatesi tra Comuni in ordine al riconoscimento del cosiddetto “domicilio di soccorso”, ponendo quale norma di chiusura il requisito per cui, in assenza di una residenza valida e di un domicilio accertabile, la residenza va concessa dal Comune di nascita. Potrebbe continuare, almeno per coloro che non hanno un domicilio facilmente accertabile, vivendo in spazi aperti o transitori, a sussistere un problema in termini di accertamento del domicilio dichiarato da parte degli ufficiali di anagrafe, quando questo domicilio non sia concesso presso indirizzi fittizi istituiti dallo stesso Comune o da enti ed associazioni consenzienti. In tali casi la normativa viene correttamente interpretata con un favor per la persona che fa istanza: si ritiene che l’accertamento del domicilio vada condotto ricorrendo a tutti i mezzi a disposizione per verificare che 23 Vedi ad esempio le sentenze 348/2007, 349/2007, 306/2008, 11/2009, 187/2010, 329/2011, 3/2013, 40/2013. Pagina 31 3. UTENTI E IMPORTI il domicilio dichiarato, fosse anche uno spazio pubblico aperto, corrisponda effettivamente ad un luogo abitualmente frequentato dalla persona stessa. Accade tuttavia nella prassi che molti Comuni, specie i più piccoli e meno attrezzati, facciano resistenza a questo tipo di accertamenti ed oppongano quindi illegittimi dinieghi alla concessione della residenza a persone senza dimora che ne avrebbero titolo. Si tratta di un problema interpretativo ed amministrativo che, quando sollevato in sede giurisprudenziale, in termini di diritto viene costantemente risolto in favore dell’istante e non dell’anagrafe. In relazione specifica all’accessibilità del Reis, il problema dunque non si pone poiché, ove vi fossero illegittimi dinieghi all’iscrizione anagrafica, la persona potrebbe agire per l’acquisizione della residenza e, una volta ottenuta l’iscrizione, se vi sono gli altri requisiti, richiedere il Reis, che va dunque considerata una misura pienamente accessibile anche alle persone senza dimora. In caso di ottenimento della residenza a seguito di azione giudiziale, appare equo, opportuno e necessario considerare, ai fini del Reis, il momento di decorrenza del termine dei dodici mesi di residenza continuativa dalla data della presentazione della richiesta di iscrizione anagrafica e non dalla pronuncia giudiziale. Quanto al requisito del domicilio, posto che lo stesso può essere anche elettivo o concesso presso associazioni o enti con i quali la persona in condizioni di povertà assoluta sia in contatto, per il Reis è richiesto meramente che esso sussista nel Comune in cui si fa istanza al momento in cui è stata concessa la residenza anagrafica (ancora valida) alla persona interessata. In caso il domicilio della persona sia nel frattempo variato, ma non sussistano le condizioni per variare o cancellare la residenza anagrafica nel Comune di precedente domiciliazione, la competenza per l’erogazione del Reis rimarrà in capo al Comune di residenza. Lo stesso potrà eventualmente stipulare intese con il Comune di domicilio effettivo per l’erogazione dei servizi legati alla misura, qualora ciò sia possibile, utile, necessario ed opportuno. Il Reis è una misura d’inclusione sociale che prevede anche percorsi di presa in carico ed accompagnamento attraverso una relazione stabile con i servizi sociali e le organizzazioni di terzo settore di un territorio. Per tale motivo il limite di dodici mesi di residenza continuativa in Italia appare congruo, legittimo, sostenibile e compatibile con la necessità d’intervenire in modo sollecito ed urgente a sollievo delle persone in condizioni di povertà assoluta, tutelando nel contempo l’amministrazione da potenziali comportamenti opportunistici. Da un lato, infatti, non sono richiesti dodici mesi di residenza continuativa nel medesimo Comune, come nel caso della nuova carta acquisti, eccezion fatta per il caso di precedente irreperibilità della persona o di prima iscrizione anagrafica in Italia. Ciò in quanto, a differenza della nuova carta acquisti, il Reis da noi proposto integra in sé trasferimenti monetari nazionali già esistenti, che non presentano tale soglia minima di residenza come requisito per l’erogazione e di cui i beneficiari potrebbero già godere al momento della richiesta del Reis. Il fatto di porre una soglia simile a quella della nuova carta acquisti (utile laddove l’obbiettivo sia quello di evitare comportamenti opportunistici e forme improprie di “migrazione assistenziale” verso i Comuni con migliori e più ampi servizi di supporto) in questo caso equivarrebbe a sancire, per alcuni beneficiari, la potenziale sospensione di prestazioni già ottenute ed in vigore, generando effetti perversi ed evidenti problemi di equità e legittimità. Dall’altro, per chi fosse in precedenza irreperibile o sia alla prima richiesta di iscrizione anagrafica in Italia, dodici mesi appaiono una soglia congrua perché avvenga una “territorializzazione” adeguata del potenziale beneficiario, intesa come relazione sufficientemente stabile con un territorio e con i servizi che vi operano. Sotto i dodici mesi la persona non sarà del resto abbandonata, ma assistita (come avviene già ora) attraverso i servizi “emergenziali” (prevalentemente ma non esclusivamente gestiti dal terzo settore e dal volontariato e sempre erogati sotto la regia comunale) esistenti sul territorio. Essi potrebbero così focalizzare in questa fase “di accesso” e “di aggancio” le loro attenzioni e Pagina 32 3. UTENTI E IMPORTI la loro operatività, senza doversi far carico sine die (come succede adesso) di carichi assistenziali durevoli, impossibili da sostenere. È evidente che tale requisito temporale andrà accertato solo al momento della prima richiesta della misura poiché, in caso di trasferimento della residenza del beneficiario da un Comune ad un altro, andrà previsto, al momento dell’avvenuta nuova iscrizione anagrafica, l’automatico trasferimento della posizione del beneficiario verso il nuovo Comune senza decadenza o sospensione della misura. Per evitare che, in caso di temporanea irreperibilità durante un passaggio di residenza, un soggetto già beneficiario del Reis possa decadere dalla misura (cosa che può verificarsi con persone particolarmente deboli, in difficoltà a gestire correttamente le pratiche di trasferimento della residenza), con apposita norma transitoria si potrà prevedere che l’interessato, in caso di cancellazione della residenza anagrafica presso un Comune, per i dodici mesi successivi possa continuare a ricevere la somma presso il Comune di ultima residenza. Questo nell’eventualità che non avvenga subito una nuova iscrizione anagrafica ma permangano i requisiti per l’erogazione. Il beneficiario dovrà però attivarsi per richiedere una nuova iscrizione all’anagrafe della popolazione residente. Per quanto riguarda le notifiche, le comunicazioni e ogni altro scambio di informazioni necessarie tra il cittadino richiedente e l’amministrazione nell’ambito del processo di erogazione del Reis, nel caso in cui il domicilio indicato o eletto dalla persona non sia anche domicilio postale e fisico della stessa, si procederà eleggendone uno ad hoc presso i servizi sociali del Comune di residenza ove l’istanza è presentata. Il ruolo di possibile domiciliatario e facilitatore amministrativo (che- specie nei confronti di persone senza dimora o comunque soggetti gravemente emarginati- può essere esercitato dalle organizzazioni di Terzo Settore che si dichiarino disponibili) può essere particolarmente prezioso sia per ridurre il carico amministrativo dei servizi sociali, sia per facilitare i processi di accesso alla misura da parte delle persone più distanti dalla pubblica amministrazione. Tale ruolo andrebbe pertanto riconosciuto ed incentivato. Sempre allo scopo di tutelare l’amministrazione da comportamenti opportunistici e “falsi positivi” – ai quali un criterio di accesso alla misura così ampio sotto il profilo della residenza potrebbe dare luogo - si potranno introdurre una serie di misure cautelative nell’istanza di accesso, in forma di autocertificazione e dichiarazioni di consapevolezza ex art. 76 del D.P.R. 28/12/2000 n. 445. In particolare, essendo il Reis finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie legate alla dignitosa sopravvivenza di individui in povertà assoluta, potrebbe essere pertinente richiedere agli istanti di certificare l’impossibilità di rivolgersi ai soggetti ex. art. 433 del codice civile per la prestazione dell’obbligo alimentare. È vero che la pubblica amministrazione, stante l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 433 come obbligazione meramente privata e vigente inter partes, non potrebbe comunque rifarsi sugli obbligati qualora si scoprisse della loro esistenza e capienza né richiedere loro alcuna prestazione o dichiarazione. Tuttavia, una tale autocertificazione potrebbe comunque avere un effetto dissuasivo in termini “morali” sul potenziale richiedente fraudolento; infatti egli dovrebbe in ogni caso dichiararsi consapevole, attraverso la dichiarazione medesima, che in tali comportamenti potrebbe essere ravvisata anche la fattispecie penale di truffa a danno dello stato. Questo, ad esempio, potrebbe accadere per uno studente fuori sede, residente nel Comune ma di fatto domiciliato in un altro Comune presso i genitori, che lo mantengono; oppure nel caso di un titolare di residenza presso una seconda casa di fatto, che viva in altro Comune con famigliari il cui reddito sia superiore alle soglie previste per la misura. Sempre in tal senso (e sempre con la consapevolezza che - salvo modifiche normative - non è al momento in potere dei Comuni effettuare interventi di accertamento o segnalazione) potrebbe essere utile anche avvisare formalmente il potenziale beneficiario, al momento di presentazione dell’istanza, che durante il periodo di fruizione della misura potranno essere disposti dalle amministrazioni competenti accertamenti fiscali ed amministrativi nei confronti suoi e del suo nucleo Pagina 33 3. UTENTI E IMPORTI famigliare. Il fine sarebbe quello di verificare la conformità di quanto dichiarato in termini reddituali con la situazione effettiva ed i consumi, come la misura prevede, informandolo nel contempo dell’entità delle sanzioni previste ed ulteriori rispetto al decadimento dalla misura. Dopo un congruo periodo di sperimentazione, qualora si registri un numero eccessivo di falsi positivi, si potrà decidere un innalzamento delle misure preventive, basato su un’analisi più efficace dei comportamenti da prevenire. 3.2. I CRITERI PER ACCEDERE AL REIS Nell’introduzione si è sottolineato che il Reis è un trasferimento monetario alle famiglie povere assolute, di carattere universale quanto a possibili beneficiari, perché non sono previsti criteri categoriali per la sua erogazione, ma nel contempo selettivo, perché basato sulla verifica della condizione economica della famiglia. La tabella 1 riassume i criteri per l’accesso al Reis e per la determinazione del suo importo. TAB. 1 CRITERI PER L’ACCESSO AL TRASFERIMENTO E PER LA DETERMINAZIONE DELL’IMPORTO: SINTESI Criteri di accesso Isee familiare (riformato) inferiore ad una determinata soglia. Reddito disponibile familiare inferiore alle soglie di povertà assoluta definite dall’ISTAT. Calcolo del reddito disponibile familiare Tutte le entrate ricevute dalla famiglia nell’anno precedente alla domanda, compresi i trasferimenti esenti ad eccezione dell’indennità di accompagnamento, più la componente abitativa per chi risiede in abitazione di proprietà. Per questi ultimi vengono anche sottratti gli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della prima casa. Tutti i redditi sono calcolati al netto dell’imposta personale sul reddito. Ad ogni famiglia viene attribuito un livello minimo di consumi presunti, sulla base della numerosità familiare, dell’area di residenza, del possesso di automobili e della dimensione dell’abitazione. Se il reddito disponibile risulta inferiore ai consumi presunti, calcolati in base alla struttura della famiglie, esso viene sostituito con questi ultimi oppure si può procedere con il ricalcolo del reddito disponibile. Calcolo dell’importo Trasferimento = soglia di povertà assoluta - reddito disponibile familiare In pratica, l’iter da seguire per ricevere la misura dovrebbe essere il seguente: Le famiglie che richiedono il beneficio presentano la dichiarazione Isee (riformata), eventualmente integrata da un modulo specificamente pensato per accedere al Reis se la dichiarazione Isee non dovesse, anche dopo la riforma, contenere tutti i dati necessari (su questo punto ritorneremo tra breve). Si fissa dapprima una soglia di Isee al di sopra della quale non si può richiedere il sussidio. Per le famiglie con Isee inferiore alla suddetta soglia, c’è un secondo criterio di selezione, basato sul reddito: non beneficiano del trasferimento le famiglie che, malgrado presentino un Isee inferiore alla soglia Isee, abbiano un reddito superiore alla rispettiva linea di povertà assoluta. L’importo del trasferimento si calcola come differenza tra la soglia di povertà assoluta Istat ed il reddito disponibile della famiglia. L’unità di riferimento dell’intervento è la famiglia con i suoi componenti, sia per la misurazione della condizione economica, che per la possibile attivazione di percorsi d’inclusione. Per l’accesso alla prestazione e il calcolo del suo importo imponiamo una doppia soglia, prima in termini di Isee e quindi in termini di reddito disponibile familiare. Il senso generale di questa doppia soglia consiste nell’obiettivo di intervenire a favore delle famiglie con reddito basso, escludendo però i nuclei che Pagina 34 3. UTENTI E IMPORTI dispongono di un patrimonio non irrilevante. Vediamo più in dettaglio le ragioni di questo duplice criterio. 3.2.1. Il ruolo dell’Isee L’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, è da oltre un decennio in uso per graduare l’accesso alle prestazioni sociali agevolate offerte soprattutto dagli enti locali. Sono note a tutti le criticità dell’indicatore attuale, ampiamente documentate dalla pratica agita. È a queste criticità che la riforma dell’Isee prevista dall’art. 5 della Legge n. 214 del 2011, di conversione del cosiddetto Decreto ‘Salva Italia’, mirava a dare risposte concrete. Nel corso del 2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Governo Monti ha condotto un complesso percorso tecnico, arrivando ad elaborare un articolato progetto di riforma di questo indicatore, che dovrebbe diventare norma operativa nei prossimi mesi. Riteniamo che l’Isee potrebbe avere un ruolo significativo nel processo di erogazione del Reis, nello specifico come primo filtro per l’accesso, per le seguenti ragioni: Soprattutto dopo la sua riforma, l’Isee rappresenterà uno strumento fondamentale per selezionare l’accesso alle prestazioni sociali e socio-sanitarie. L’uso di questo indicatore da parte del Reis garantisce che anche il contrasto alla povertà assoluta si inserisca in modo coerente con l’impostazione universalistica e selettiva che dovrebbe sempre più connotare, anche grazie all’Isee, le politiche sociali nel nostro paese. Applicare l’Isee come primo filtro consentirebbe di individuare le famiglie che, pur avendo redditi contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza. Occorre infatti ricordare che il benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente, ma anche dallo stock di patrimonio accumulato.24 In molti paesi un sussidio per il contrasto della povertà viene erogato solo a chi rispetta determinati requisiti in termini di patrimonio mobiliare o immobiliare oltre che di reddito (Immervol, 2012), e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando un criterio di esclusione che consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali possedute dalla famiglia. Il ricorso ad una soglia definita in termini di Isee consente di ammettere al beneficio solo una parte delle famiglie che subiscono una drastica riduzione del reddito corrente, escludendo quelle che possono far fronte a tale peggioramento attingendo alle risorse patrimoniali di cui dispongono. Molte famiglie, soprattutto di lavoratori indipendenti, sono infatti soggette a variazioni di breve periodo anche molto brusche nel reddito corrente, ma non tutte possono essere considerate “povere” perché tale situazione può essere solo transitoria, oppure perché possono porvi rimedio attingendo al patrimonio accumulato in passato. In questi anni di crisi è probabile che un numero significativo di famiglie si trovi in questa condizione, e ciò rende ancora più utile applicare l’Isee come selettore dell’accesso. Infine, il ricorso ad una preliminare selezione in base all’Isee permette almeno in parte di contrastare fenomeni di evasione fiscale che possono manifestarsi in false dichiarazioni reddituali, se gli evasori hanno in precedenza investito i propri redditi nell’acquisto di immobili che, in sede di dichiarazione Isee, è difficile occultare Il fatto di avere un Isee inferiore alla rispettiva soglia non garantirebbe l’accesso al sussidio, ma permetterebbe una prima scrematura delle domande, con vantaggi sul piano amministrativo e informativo. Per avere un’idea del livello a cui fissare la soglia Isee, può essere utile osservare la distribuzione dei valori di Isee per i nuclei che si trovano in povertà assoluta. La figura 1 presenta, per l’insieme del24 Si veda Brandolini et al (2010) per un’analisi del concetto di asset-poverty. Pagina 35 3. UTENTI E IMPORTI le famiglie povere assolute, le funzioni di densità cumulata dell’Isee attualmente in vigore ed anche dell’Isee riformato secondo la proposta del Ministero del Lavoro, ricostruiti entrambi su Silc 2010 con riferimento a quello che – nelle pagine successive – viene definito lo scenario di “Contesto economico ‘normale’” (cfr. par 3.3.1)25 (i valori dell’Isee, nell’asse orizzontale, sono espressi in migliaia di euro).26 Le due curve sono vicine, ma si nota che i valori dell’Isee riformato sarebbero leggermente superiori a quelli dell’attuale indicatore per una certa quota di famiglie. Circa il 30-40% delle famiglie povere assolute avrebbe un Isee nullo, e l’80% avrebbe un Isee inferiore a 8-9mila euro. Dato che il 96% dei nuclei risulta avere un Isee inferiore a 20.000 Euro, nel fissare una soglia limite di Isee si potrebbe scegliere un valore elevato, che includerebbe tutti i poveri assoluti, oppure si potrebbe fissare una soglia relativamente bassa, escludendone una maggiore quota. Ad 8mila euro, per esempio, si perderebbe circa il 10% delle famiglie povere assolute se si considera l’attuale Isee, poco più del 20% dopo la sua riforma. Scegliendo un valore elevato di Isee, si ammetterebbe una maggiore quota di famiglie in povertà. Ci concentriamo sull’Isee riformato perché, come già discusso, il suo calcolo si avvicina di più al concetto di reddito in base al quale determiniamo l’importo del trasferimento, ed anche perché è molto probabile che esso sostituisca nel prossimo futuro l’attuale versione dell’Isee. Occorre poi considerare un aspetto ulteriore, che si collega al senso generale della nostra proposta. Se nella fissazione dei livelli di povertà assoluta da colmare, definiti in termini di reddito, teniamo conto della presenza di un maggiore livello dei prezzi nelle regioni centro-settentrionali rispetto al resto del paese, per coerenza si dovrebbero fissare soglie di Isee anch’esse differenziate nelle varie aree del paese. Ciò servirebbe a riconoscere il fatto che un dato ammontare di patrimonio nelle regioni settentrionali “valga meno” della stessa somma nelle regioni meridionali, perché il contesto è in media più ricco e perché il potere d’acquisto di un’unità di reddito o patrimonio è inferiore, a causa del maggiore livello medio dei prezzi. Questa impostazione non mette in discussione il ruolo dell’Isee come selettore definito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ma tiene aperta la possibilità di inserire una variabilità nelle soglie da applicare nelle diverse aree del paese. Se si accetta quest’impostazione, come è possibile differenziare le soglie Isee tra macro-aree? L’operazione non è semplice, perché i rapporti tra le linee di povertà assoluta tra Nord e Sud, ad esempio, non sono costanti tra le diverse tipologie familiari. Dopo varie elaborazioni, siamo giunti alla conclusione che le linee di povertà assoluta calcolate dall’Istat sono al Nord di circa il 30% superiori a quelle del Sud, mentre lo sono di circa il 25% al Centro. Se fissassimo al Sud una soglia di Isee riformato a 12.000 euro, e la maggiorassimo del 25% al Centro e del 30% al Nord, circa il 10% dei poveri assoluti rimarrebbe escluso dal programma, sempre secondo i dati Silc. Questo sarebbe un compromesso tra un livello ancora più alto, che ingloberebbe tutti i poveri ma non sarebbe selettivo, ed uno più basso, che escluderebbe troppi poveri assoluti. Questi livelli di soglia Isee (riformato) sono ovviamente in parte arbitrari, a differenza della scelta delle soglie definite in termini di reddito, che coincidono con le linee di povertà assoluta Istat. Mentre l’ipotesi di differenziare le soglie Isee ci sembra coerente con l’approccio generale scelto per il contrasto alla povertà assoluta, che riconosce la presenza di differenze geografiche nel costo della vita, la scelta delle soglie è un problema da ap- 25 Si tratta di uno dei due scenari sulla complessiva situazione dell’economia italiana per i quali è stato stimato l’impatto del Reis, l’altro è lo scenario “contesto di forte crisi economica” (cfr. par 3.3.2). 26 La curva di densità cumulata mostra la percentuale di famiglie che presentano un Isee inferiore o al più uguale a ciascun dato valore. Per esempio, dalla figura risulta che circa l’80% delle famiglie in povertà assoluta ha meno di 6mila euro di Isee (prima della riforma). Pagina 36 3. UTENTI E IMPORTI profondire. In Appendice mostriamo alcuni risultati relativi ad un caso alternativo, in cui si adotti una linea di Isee unica su tutto il territorio nazionale. Fig.1 Curve di densità cumulata dell’Isee per le famiglie in povertà assoluta – Scenario “Contesto economico ‘normale’ ” 100 90 80 70 60 Isee riformato 50 Isee attuale 40 30 20 10 0 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 >20 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. L’indicatore Isee viene simulato partendo dai dati reddituali presenti nell’indagine. Una descrizione dettagliata della procedura seguita per la simulazione dell’Isee è disponibile su richiesta agli autori. 3.2.2. Il confronto tra il reddito e la linea di povertà assoluta Una volta definite le buone ragioni per l’utilizzo dell’Isee come primo selettore, vale ora la pena di considerare le motivazioni che spingono ad utilizzare anche un secondo filtro all’accesso, sulla cui base dovrà poi essere definita l’integrazione spettante. Non usiamo l’Isee per il calcolo del trasferimento, bensì il reddito disponibile, perché il nostro obiettivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La definizione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è calcolata sulla base della spesa per consumi, ovvero del reddito disponibile spendibile per l’acquisto di un paniere di consumo minimo (cfr. cap. 2). Ecco allora che la principale soglia di accesso dovrebbe essere espressa proprio nella stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, direttamente correlabile con quest’ultima. Solo le famiglie che, oltre ad avere un Isee inferiore ad una certa soglia, presentano anche un reddito minore della linea di povertà assoluta Istat possono ricevere il trasferimento. Come illustrato nel capitolo 2, le soglie di povertà assoluta Istat sono differenziate in base alla tipologia familiare ed anche all’area geografica di residenza, nonché alla dimensione del Comune. Esse sono quindi crescenti rispetto alla numerosità dei componenti della famiglia, ed a parità di composizione demografica sono maggiori per le regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali. Pagina 37 3. UTENTI E IMPORTI In questo modo il Reis tiene conto del fatto che il costo della vita è superiore nel Nord del paese rispetto al Centro e soprattutto al Sud. L’indicatore reddituale è definito come segue. Innanzitutto, ci riferiamo alla somma di tutti i redditi esenti e non esenti, calcolati al netto dell’imposizione fiscale e della contribuzione obbligatoria. L’unica eccezione a questa regola consiste nel fatto che non consideriamo nel calcolo l’indennità di accompagnamento, prestazione non sottoposta alla prova dei mezzi, a carattere risarcitorio, che viene assegnata in ragione delle maggiori spese che un individuo disabile deve sostenere per l’assistenza e non come diretto sostegno al reddito (Gori, 2011b)27. Questa decisione aumenterebbe leggermente il numero di famiglie beneficiarie rispetto a quello delle famiglie in povertà assoluta, in particolare fra gli anziani e fra i capofamiglia in “altra” condizione lavorativa. Al reddito disponibile monetario corrente delle famiglie che possiedono l’abitazione in cui risiedono va poi aggiunta la componente abitativa definita dall’Istat per il calcolo delle soglie di povertà assoluta. Si tratta di una somma, variabile a seconda della dimensione del comune e dell’area geografica di residenza, che corrisponde al canone di affitto che una famiglia con certe dimensioni dovrebbe mediamente pagare per una casa non di lusso nello stesso comune in cui risiede. In questo modo si differenzia il reddito delle famiglie che vivono in proprietà da quello dei nuclei in affitto. Per le famiglie con mutuo in corso di pagamento sottraiamo dal reddito gli interessi passivi, ma aggiungiamo la componente abitativa, come per le altre famiglie con alloggio di proprietà. Di particolare rilievo, in questa fase di crisi economica, sono i casi nei quali vi sia una variazione improvvisa del reddito corrente: si tratta abitualmente di un abbassamento, dovuto principalmente alla perdita del lavoro ma anche all’insorgere di altre situazioni di crisi nella famiglia. In questi casi, quando la variazione risulti superiore ad una certa percentuale (da stabilire, ad esempio al 20%), il reddito disponibile dovrà essere calcolato sulla base del reddito medio degli ultimi 3 mesi, moltiplicato per 4 in modo da ottenere un valore annuale. I redditi da lavoro autonomo andranno comunque riferiti agli ultimi 12 mesi, per tenere conto della stagionalità. Non ci è possibile simulare queste variazioni, poiché nel dataset Silc i redditi vengono riportati con riferimento all’anno precedente rispetto a quello dell’intervista.28 3.2.3. Come ottenere le informazioni sulla condizione economica La presenza di un requisito reddituale accanto a quello definito in base all’Isee pone a questo punto un problema cruciale: come raccogliere le informazioni necessarie per il calcolo del reddito disponibile della famiglia? L’attuale dichiarazione Isee (anteriore alla riforma) non è adatta a questo scopo, perché nel modulo che viene compilato dai cittadini per autocertificare i propri redditi non c’è la possibilità di indicare in modo differenziato da quali fonti essi provengano (ad esempio da lavoro, da 27 Non si ritiene di utilizzare lo stesso trattamento per la pensione di invalidità in quanto meanstested e dunque considerabile come un, seppur indiretto, sostegno al reddito. L’indennità di accompagnamento è invece del tutto indipendente dalle condizioni economiche della famiglia. Sarebbe quindi scorretto considerare come “meno povera” una persona solo perché riceve l’indennità di accompagnamento. 28 In Silc, ai lavoratori dipendenti viene richiesto di riportare la mensilità corrente netta. La media di questa variabile è però inferiore a quella relativa all’anno precedente, sia perché non viene corretta con gli archivi amministrativi, sia perché è meno precisa nell’identificare i compensi aggiuntivi. Di conseguenza noi preferiamo non utilizzarla, sia perché rischieremmo di sovrastimare il calo dei redditi per i lavoratori dipendenti, sia perché non possiamo simulare la stessa situazione per i lavoratori autonomi e per le persone in transizione verso il pensionamento. Pagina 38 3. UTENTI E IMPORTI pensione, assistenziali), essendo previsto un unico campo nel quale va scritto il totale dei redditi famigliari. Inoltre sono escluse le entrate non fiscalmente rilevanti, come pensioni e assegni sociali, che invece devono essere considerate tra i redditi per erogare il Reis. Oltre all’incompletezza delle informazioni reddituali, l’attuale dichiarazione Isee soffre di un problema legato al periodo temporale di riferimento. Vi si trova infatti il reddito dell’intero anno fiscale precedente la data della dichiarazione, che potrebbe essere molto lontano da quello corrente, in particolare se la caduta in povertà fosse un fenomeno recente. Nella dichiarazione dell’Isee ipotizzato nel Decreto che intende riordinarlo, si deve dichiarare addirittura il reddito di due anni prima: se si presenta ad esempio la dichiarazione Isee dell’anno 2012, si deve fare riferimento alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, che a sua volta è relativa a quello prima ancora, cioè il 2010. Perciò l’Isee in realtà riporta il reddito di un periodo abbastanza lontano dal momento in cui la famiglia richiede l’intervento contro la povertà. Nel decreto di riordino dell’Isee si prevede (articolo 9) di utilizzare un “Isee corrente”, che descriva una condizione economica più aggiornata nel caso si siano verificate variazioni significative. Questa modalità è in parte indebolita dal fatto che l’Isee corrente viene previsto unicamente come facoltà a scelta del dichiarante, e non come obbligo, soltanto nel caso sia inferiore del 25% rispetto a quello standard (che deve già essere noto), ed esclusivamente se è cessata l’attività lavorativa. Inoltre l’Isee corrente vale solo due mesi e, nella sua formulazione attuale, non è né vincolante né utilizzabile quando la condizione economica sia mutata per motivi diversi dai redditi da lavoro o sia migliorata. Nonostante queste difficoltà, nel caso l’Isee venga riformato seguendo lo schema già elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la possibilità di ricorrere all’Isee corrente appare molto promettente ai fini del Reis, anche se saranno forse necessari alcuni adattamenti che dovranno essere approfonditi. È comunque essenziale che la nuova Dichiarazione Sostitutiva Unica dell’Isee riformato venga modificata rispetto alla sua versione attuale e permetta di evidenziare le singole voci reddituali. Nell’eventualità che anche la riformulazione della certificazione relativa all’Isee non permetta di ricostruire con precisione il reddito corrente della famiglia, sarà necessario predisporre un modulo integrativo che le famiglie richiedenti il Reis dovranno compilare assieme alla dichiarazione Isee. 3.2.4. Un indicatore integrativo basato sul consumo Uno dei problemi principali nel determinare la quota di reddito disponibile è dato dalla presenza di una percentuale consistente di famiglie che dichiarano redditi nulli oppure molto bassi.. Questa situazione si verifica di frequente anche nelle dichiarazioni Isee, come è evidente dalla figura 1, dunque occorrerà calcolare anche un indicatore di controllo sui consumi che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore di vita. Proponiamo quindi di fare riferimento all’impostazione dell’ormai collaudato indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento. Qui l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al momento del calcolo dell’ICEF (l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se una stima prudente dei consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato.29 In pratica, per ogni famiglia che richiede l’ammissione al sussidio l’amministrazione calcola un consumo annuo, presunto in base ad alcune semplici informazioni relative al numero dei componenti, al titolo di godimento dell’abitazione, alla presenza di mutui ancora da estinguere e all’eventuale possesso di automobili. Questa stima viene effettuata a partire dai valori medi di spesa per famiglie povere effettuati dall’Istat nell’Indagine sui consumi delle famiglie, differenziati per area geografica. 29 Per maggiori dettagli, si veda Zanin et al (2011). Pagina 39 3. UTENTI E IMPORTI Le categorie di consumo considerate sono solo quelle che si può ragionevolmente assumere siano strettamente necessarie alla sopravvivenza quotidiana: alimentazione, abbigliamento, energia elettrica e comunicazioni (essenzialmente linea telefonica). Sulla base dei dati Istat sui consumi delle famiglie, raccolti presso il pertinente campione di famiglie trentine, si determina l’ammontare medio annuo – commisurato alle dimensioni del nucleo familiare - della spesa per consumo in ognuna di queste voci. Questi valori sono poi ridotti per tenere conto del fatto che si ha a che fare con famiglie povere. In concreto, la spesa media per consumi alimentari è ridotta del 20%, quella per abbigliamento e calzature del 60%, quella per energia elettrica del 50% e quella per comunicazioni del 60%. Il reddito familiare stimato sulla base dei consumi imputati viene confrontato con il reddito familiare dichiarato dal richiedente: il maggiore diventa quello considerato ai fini del calcolo dell’ammontare dell’integrazione monetaria spettante alla famiglia. Il richiedente può rifiutare questa procedura di stima e portare dimostrazioni che il suo livello di reddito è quello dichiarato e non quello derivante dai suoi consumi presunti. La fondatezza delle argomentazioni contrarie addotte dal richiedente viene accertata dai servizi sociali. L’utilizzo del consumo presunto ha avuto un forte effetto dissuasivo sui casi di falsa positività, pressoché annullati; inoltre, praticamente nessuno, avendo dichiarato un reddito inferiore a quello determinato in base ai consumi presunti, ha rifiutato la revisione verso l’alto del reddito dichiarato. Nel caso in cui l’indicatore sui consumi sia superiore al reddito dichiarato nel modello ICEF, la domanda viene considerata incongrua e il beneficiario ha due possibilità: (i) accettare l’imputazione dell’indicatore di condizione economica superiore, corrispondente ai costi dei consumi, (ii) se non accetta, potrà accedere all’intervento solo a seguito di correzione/validazione dell’ICEF. Utilizzando l’indicatore dei consumi è emerso che molte domande per il Reddito di Garanzia presentavano delle dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima molto prudente dei consumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente spontaneo abbandono della pretesa da parte dei richiedenti. Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità. I consumi di base - alimentari, abbigliamento, energia - dovranno essere accuratamente calcolati, ad esempio individuando il livello minimo come il 1° percentile nella distribuzione dei consumi osservati nell’Indagine Istat sui Consumi delle Famiglie. Questo livello andrà calcolato separatamente per ciascuna delle tipologie familiari che compongono le soglie di povertà assoluta Istat, ovvero tenendo conto del numero di componenti, della loro età, dell’area e della dimensione del Comune di residenza. Relativamente alle spese per canoni di locazione e per interessi passivi sui mutui, faranno fede i valori inseriti nella dichiarazione Isee, mentre le spese per il mantenimento di autoveicoli e di manutenzione dell’alloggio saranno attribuite forfettariamente. Il calcolo di questi livelli richiederà dunque un lavoro accurato, disaggregato non solo per tipologia familiare, ma anche per ripartizione geografica e dimensione del Comune di residenza. Occorrerà, inoltre, controllarne la coerenza con le soglie di povertà per evitare che il livello di consumi presunti finisca per annullare automaticamente il trasferimento. Non è dunque possibile presentare già in questa sede una stima della riduzione della spesa complessiva che potrebbe risultare da questo controllo dei consumi. Riteniamo tuttavia che l’utilizzo del valore maggiore fra i consumi presunti ed il reddito disponibile dichiarato potrà ragionevolmente portare ad una riduzione del trasferimento e dunque del numero totale di beneficiari ammessi. La spesa totale necessaria a finanziare la misura presentata più avanti potrà dunque essere considerata lievemente sovrastimata. Pagina 40 3. UTENTI E IMPORTI 3.2.5 La logica complessiva Prima di presentare alcune stime quantitative su platea, impatto distributivo e costi del Reis, può essere utile cercare di riepilogare i punti fondamentali attorno ai quali ruota la nostra proposta per quanto riguarda i criteri di accesso. La stella polare è il principio dell’universalismo, in base al quale la misura viene rivolta a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza differenziazioni di natura categoriale. Nel rispetto di questo principio fondante, vi sono tre punti specifici che guidano la definizione dei criteri di accesso. Il primo riguarda il concetto di benessere economico, che privilegiamo. Esso dipende in primo luogo dal reddito corrente e da ciò che permette di acquistare, coerentemente con il nostro obiettivo di colmare un gap di reddito. Riteniamo però che il benessere economico di una famiglia dipenda non solo dal reddito ma anche dal patrimonio, fattore che, riflettendo le scelte di consumo e risparmio del passato, conferisce al suo possessore margini di manovra che le persone prive di capitale non hanno. Non ci sembrerebbe quindi coerente concedere l’accesso al Reis anche a famiglie con basso reddito corrente ma con significative dotazioni patrimoniali. Abbiamo comunque proposto una soglia piuttosto elevata in termini di Isee, perché in caso contrario rimarrebbero escluse molte famiglie con reddito oggettivamente basso. L’impianto disegnato, infatti, porta ad escludere solo il 10% delle famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà assoluta30. L’obiettivo di fondo è quello di aiutare le famiglie in oggettiva difficoltà, quindi sia con basso reddito che con scarso o nullo stock di patrimonio. Ci rendiamo conto che ciò può porre problemi di disincentivo al risparmio per i poveri, ma la soglia Isee è fissata a livelli piuttosto elevati anche per consentire di disporre di un certo risparmio e di essere comunque beneficiari del Reis. Il secondo punto che ha guidato la definizione dei criteri d’accesso fa riferimento all’equità territoriale. Proponiamo infatti di differenziare la soglia reddituale di accesso e l’importo del trasferimento non solo in funzione del reddito e delle caratteristiche della singola famiglia, ma anche dell’area geografica di residenza, visto che l’Italia è un paese dalle grandi disuguaglianze spaziali di natura socioeconomica, senza pari in tutt’Europa. Non abbiamo bisogno a questo scopo di stime nuove, ci basta applicare le soglie di povertà assoluta calcolate dall’Istat, che tengono conto di queste differenze. Se è vero che un euro di reddito ha un potere d’acquisto diverso a seconda dell’area di residenza, questa considerazione deve valere anche per un euro di patrimonio. Ci sembra quindi coerente con l’approccio alla povertà assoluta che anche le soglie preliminari definite in termini di Isee vengano differenziate geograficamente. Infine, sempre secondo la medesima logica, anche il controllo sui consumi dovrà basarsi su livelli di spesa presunti differenziati per aree. Infine, c’è il punto della condizionalità. Il Reis spetta solo alle famiglie povere che accettino di rispettare alcuni vincoli, relativi alla verifica della loro condizione economica in termini di Isee, reddito corrente e consumi presunti, nonché ad una serie di impegni successivi all’entrata nel programma che saranno descritti nel capitolo 6. Solo le famiglie che rispettano questi vincoli di trasparenza e di comportamento potranno ricevere il beneficio. 30 La percentuale del 10% di famiglie in povertà assoluta escluse dal Reis per la loro significativa dotazione patrimoniale vale sia per lo scenario “Contesto economico ‘normale’ ” sia per lo scenario “Contesto di forte crisi economica” (cfr. par 3.3). Pagina 41 3. UTENTI E IMPORTI 3.3. ADEGUATEZZA: L'IMPORTO MENSILE E I SUOI EFFETTI Si è già chiarito che il trasferimento viene calcolato in questo modo: Trasferimento = Soglia di povertà assoluta – reddito disponibile della famiglia. Per incentivare il fatto che i beneficiari della misura lavorino, contenendo il più possibile il rischio che incorrano nella “trappola della povertà”, in linea con i più moderni sistemi di welfare europeo si introdurranno appositi accorgimenti, per i quali si rimanda al capitolo 631. Vediamo ora quanti saranno i beneficiari del trasferimento e a quanto ammonterà la spesa totale.32 Una simulazione dettagliata delle conseguenze distributive e di spesa derivanti dalla introduzione del Reis può essere effettuata solo su un campione di microdati rappresentativo dell’intera popolazione delle famiglie italiane. Al momento nel quale la maggior parte di queste simulazioni è stato effettuata (primavera 2013), il più recente dataset Silc disponibile ai ricercatori esterni all’Istat era relativo al 2010 (con i redditi dell’anno 2009). Simulazioni condotte su questa banca dati possono essere rappresentative di un quadro sociale ed economico “normale”, perché in quel periodo la crisi in Italia era ancora agli inizi e non aveva avuto modo di dispiegare grandi effetti sui tassi di disoccupazione e povertà. I dati Silc disponibili, inoltre, sono rappresentativi della realtà della povertà assoluta italiana nel triennio 20092010-2011, quando il suo valore era rimasto sostanzialmente costante. Una settimana prima della presentazione di questo testo, però, nel luglio 2013, l’Istat ha pubblicato i nuovi dati sulla povertà assoluta nel 2012, che ne mostrano un brusco peggioramento rispetto alla piatta dinamica degli anni precedenti (dal 5,2% delle famiglie in tale condizione nel 2011 al 6,8% nel 2012, si veda il cap 1). Ci è sembrato importante, pertanto, cercare di fornire anche una stima degli effetti del Reis che sia più rappresentativa della situazione di grave crisi economica nella quale ci troviamo. Le stime sugli effetti del Reis vengono quindi presentate in due versioni: la prima è basata sulla distribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su microdati, e quindi può riflettere ciò che potrebbe accadere in un quadro economico “normale” (Scenario “Contesto economico ‘normale’ ”) , a cui speriamo presto di tornare, mentre la seconda cerca di tenere conto delle recenti stime della povertà assoluta nel 2012 (Scenario “Contesto di forte crisi economica”). Poiché anche le stime di questa seconda versione sono condotte sulla stessa banca dati Silc 2010, esse sono necessariamente più incerte della precedente ed incorporano un inevitabile margine di maggiore arbitrarietà nelle scelte metodologiche, ma ci pare comunque importante inserire il Reis in un contesto più rappresentativo della gravità della crisi in corso. Lavorare su due diversi scenari permette, inoltre, di collocare l’introduzione del Reis nelle differenti configurazioni che l’economia italiana potrebbe assumere nei prossimi anni. 3.3.1 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto economico ‘normale’ “ Iniziamo quindi presentando i risultati delle simulazioni condotte su Silc 2010 (redditi 2009), che possono come suggerito fornire un quadro valido una volta che l’economia italiana sia uscita da questa fase di emergenza. Seguendo il percorso logico fin qui descritto e ipotizzando la doppia soglia di sele- 31 Di questi accorgimenti non si tiene conto nelle simulazioni seguenti perché non ci è dato in alcun modo di sapere quale sia la probabilità che gli individui percettori del trasferimento riescano a trovare un lavoro. 32 Abbiamo aggiornato tutti i valori monetari al 2013 per tenere conto dell’inflazione, usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie e assumendo un’inflazione pari all’1.5% nel 2013. Pagina 42 3. UTENTI E IMPORTI zione dei potenziali beneficiari, la tabella 1 mostra il caso della copertura integrale del gap per le famiglie con Isee inferiore alla soglia e reddito disponibile inferiore alla linea di povertà assoluta. Sarebbero in questo modo coinvolte dal trasferimento il 90% delle famiglie in povertà assoluta (il 5.1% delle famiglie italiane), cioè 1.28 milioni di nuclei e 3.2 milioni di persone. Per queste famiglie l’integrazione media sarebbe pari a 4634 euro all’anno (pari al gap medio tra linea di povertà e reddito), per una spesa complessiva annuale di 5.9 miliardi di euro. Tale stima è stata effettuata non considerando l’indennità di accompagnamento nel calcolo del reddito disponibile e ipotizzando che tutte le famiglie al di sotto di entrambe le soglie (Isee e povertà assoluta) ricevano il trasferimento, anche quando risulti solo di pochi euro al mese. È realistico pensare che nel caso di importi modesti, cioè in presenza di redditi appena inferiori alla linea di povertà, molte famiglie possano non presentare domanda. La letteratura disponibile (Hernanz et al, 2004, Matsaganis et al, 2008) su numerosi paesi europei conferma che il take-up rate, cioè la quota di soggetti che, avendo potenzialmente diritto ad un beneficio, effettivamente lo ricevono, è generalmente inferiore al 100%, a volte anche in modo molto netto. Per l’Italia, la percentuale di take-up relativa all’esperienza della sperimentazione del reddito minimo di inserimento alla fine degli anni ’90 fu compresa tra il 40% (al Nord) e l’80% (al Sud), con una media nazionale del 67% (Saraceno, 2002). Considerato che quella ebbe un carattere sperimentale mentre la prestazione qui proposta dovrebbe essere permanente, è probabile che la quota di adesioni sia bassa nei primi anni, per poi crescere nel tempo. D’altra parte, le ricerche internazionali dimostrano che in effetti la probabilità di richiedere un beneficio è correlata positivamente con l’importo del beneficio atteso (si veda, tra gli altri, Hernanz et al, 2004, pg. 18). È quindi ragionevole ritenere che il take-up rate non potrà mai essere pari al 100%. Sulla base di queste considerazioni, non ci sembra irragionevole aspettarci un take-up rate attorno al 75%, una quota piuttosto alta perché, appunto, superiore a quella della sperimentazione del RMI di 15 anni fa, pure allora molto pubblicizzata. La percentuale del 75% è anche superiore a quelle registrate nella gran parte delle varie esperienze locali di reddito minimo finora attuate nel nostro paese (si veda Spano et al., 2013). Supponendo per semplicità che il minor take up rate sia distribuito in modo omogeneo, la spesa per la parte del Reis di trasferimenti monetari dovrebbe essere pari, a regime, a 4425 milioni di Euro annui (tab 2). Per una discussione sulla spesa totale per il Reis, comprensiva anche della componente in servizi e del monitoraggio/valutazione, si rimanda al capitolo 9. TAB. 2 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO Gruppo Capof. disocc. o "altro", più di 50 anni Capof. pensionato o 65+ anni Totale 35.1% 19.9% 1.6% 5.1% 94.0% 84.2% 73.8% 90.5% Capof. Lavora Capof. disocc. o "altro", meno di 50 anni % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo 4.1% % famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo 94.5% Trasferimento medio annuo (euro) 3874 6399 4058 3035 4634 Totale individui beneficiari (migliaia) 1617 1029 247 292 3186 Totale famiglie beneficiarie (migliaia) 567 423 142 147 1280 Spesa totale (mln di euro) 2198 2711 576 447 5931 Totale individui beneficiari con take 1213 772 185 220 2390 Pagina 43 3. UTENTI E IMPORTI up rate al 75% (migliaia) Totale famiglie beneficiarie con take up rate al 75% (migliaia) 425 318 106 110 960 Spesa totale (mln euro) con take up rate al 75% 1649 2033 432 335 4425 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito dell’indennità di accompagnamento La successiva tab. 3 descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat. Le famiglie beneficiarie sono maggiormente concentrate nelle fasce giovani. La composizione per condizione professionale del capofamiglia evidenzia tra i percettori una più decisa prevalenza dei nuclei dei working poors rispetto alla ripartizione dei poveri assoluti. La quota di beneficiari che risiede al Sud e Isole (48.5%) è simile a quella dei poveri assoluti. Si noti inoltre che la probabilità di ricevere il beneficio è decisamente superiore per le famiglie degli stranieri, ma nonostante ciò i nuclei con capofamiglia di cittadinanza italiana costituiscono la netta maggioranza della platea totale dei beneficiari. Sarebbe quindi sbagliato considerare il Reis come un trasferimento destinato prevalentemente agli immigrati, così come altrettanto erroneo sarebbe ritenerlo un trasferimento a favore soprattutto delle famiglie meridionali. Più di metà del totale delle famiglie beneficiarie infatti non risiede al Sud (e riceve il 52% dell’importo totale del trasferimento). TAB. 3 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARATTERISTICHE Area geografica Frequenza Composizione Cittadinanza Frequenza Composizione Nord 3.6% 34.2% Italiana 4.2% 77.8% Centro 4.4% 17.3% Altro 18.4% 22.2% Sud 7.7% 48.5% Totale 5.1% 100.0% Totale 5.1% 100.0% Educazione del cf Frequenza Composizione Età del capofamiglia Frequenza Composizione Elementari 4.5% 22.4% <30 16.5% 17.6% Medie 7.0% 38.3% 30-39 7.4% 25.1% Diploma 4.9% 32.9% 40-49 6.7% 28.3% Laurea 2.6% 6.4% 50-64 4.0% 19.0% >=65 1.6% 9.9% 5.1% 100.0% Frequenza Composizione Totale 5.1% 100.0% Totale Condizione professionale del capofamiglia Frequenza Composizione Numero nenti Operaio 5.9% 23.2% 1 6.1% 37.6% Impiegato 0.9% 3.9% 2 3.6% 18.8% Atipico 21.3% 2.2% 3 4.1% 16.4% Indipendente 5.8% 15.0% 4 4.8% 16.0% Pensionato 1.1% 6.2% 5 10.7% 8.3% Disoccupato 34.3% 19.5% 6+ 15.2% 2.9% Pagina 44 compo- 3. UTENTI E IMPORTI Altro 11.7% 29.9% Totale 5.1% 100.0% Totale 5.1% 100.0% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie. La tabella 4 mostra, per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio per classi di reddito disponibile familiare (inclusa la componente per l’affitto). Per le famiglie più povere, l’incidenza del trasferimento è molto elevata e pari a più di sette volte il reddito iniziale. Progressivamente il valore si riduce, anche se rimane consistente pure per le famiglie della classe più elevata, che includono nuclei più numerosi o con caratteristiche tali da corrispondere a una soglia di povertà assoluta più elevata. In media il trasferimento è pari a 4675 euro annui, circa il 58% del reddito familiare medio delle famiglie interessate, una percentuale in grado di modificare in modo significativo il tenore di vita dei poveri. TAB. 4 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE Reddito medio familiare Trasferimento medio Trasferimento in % del reddito Ripartizione % delle famiglie povere assolute che ottengono il trasferimento Classe di reddito 0-3000 1209 9227 763% 12.4% 3000-6000 4523 6168 136% 27.0% 6000-9000 7522 3504 47% 24.3% 9000-12000 10301 3048 30% 14.7% >12000 15414 2426 16% 21.5% Totale 8037 4634 58% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie. Quale sarebbe l’impatto del Reis sulla povertà in Italia? Nell’ipotesi teorica in cui si riescano a raggiungere tutte le famiglie potenzialmente interessate, la povertà assoluta subirebbe ovviamente un drastico ridimensionamento, perché il nostro obiettivo consiste proprio nel colmare - almeno in teoria - tutto il gap che separa i redditi dei poveri dalle soglie di povertà assoluta. Al limite, se vi fossero un perfetto targeting ed un totale take-up, la povertà assoluta dovrebbe scomparire. È quindi interessante chiedersi anche cosa accadrebbe alla povertà relativa, calcolata sul reddito disponibile, che include sia la componente monetaria che gli affitti imputati.33 Essa, se valutata con l’indice di diffusione (la quota di individui o famiglie con reddito inferiore ad una certa quota del reddito medio o mediano nazionale), rimarrebbe invece sostanzialmente inalterata, perché le soglie ragionevoli di povertà relativa si collocano ben al di sopra di quelle di povertà assoluta. Se una famiglia in condizioni di indigenza ottiene un incremento notevole del proprio reddito, ma non per questo riesce a superare la linea di povertà relativa, essa rimane in condizioni di povertà relativa. L’indice di diffusione della povertà relativa, che misura la quota di famiglie che si trovano sotto la linea, è infatti insensibile alla gravità della povertà stessa, cioè alla distanza tra il reddito e la soglia. Servono quindi indicatori meno rozzi per cogliere l’impatto del Reis sulla povertà. L’indice di Forster, Greer e Thorbecke è una media 33 Vengono anche sottratti gli interessi su mutui passivi per l’acquisto della casa di abitazione. Pagina 45 3. UTENTI E IMPORTI delle distanze tra soglia e reddito, dove ciascuna distanza viene pesata tanto più quanto è maggiore. Quindi, anche se nessuna famiglia supera la soglia di povertà, l’indice diminuisce quando aumenta il reddito delle famiglie povere, e diminuisce tanto più quanto minore è il reddito delle famiglie beneficiarie del trasferimento. Su tutte le famiglie italiane, considerando come soglia di povertà quella calcolata con il metodo relativo al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito equivalente prima del trasferimento, l’indice di FGT34 è pari a 0.024 prima dell’erogazione e scende a 0.012 dopo, con una riduzione molto forte. È ovvio che si tratta di un’ipotesi teorica, perché presuppone un totale take up e nessuno spreco di risorse a favore di famiglie che non sono povere. Tuttavia, anche al netto di questi “caveat” l’effetto sulla povertà sarebbe davvero significativo: con circa cinque miliardi la “povertà” in Italia risulterebbe dimezzata, se definita usando un indice che è meno grezzo della semplice quota di poveri relativi perché pesa maggiormente i redditi bassi. La fig. 2 mostra come cambia l’indice FGT sulla distribuzione familiare del reddito per alcune dimensioni delle famiglie italiane. La riduzione della povertà sarebbe molto forte in tutte le aree del paese e per tutte le dimensioni familiari. FIG. 2 INDICE DI FGT PRIMA E DOPO IL TRASFERIMENTO Area di residenza Numero componenti 0,05 0,04 0,03 prima 0,02 dopo 0,01 0 Nord Centro 0,08 0,07 0,06 0,05 0,04 0,03 0,02 0,01 0 Istruzione capofamiglia dopo medie dipl. laurea 2 3 4 5 >=6 Nazionalità capofamiglia prima elem. dopo 1 Sud 0,04 0,035 0,03 0,025 0,02 0,015 0,01 0,005 0 prima 0,08 0,07 0,06 0,05 0,04 0,03 0,02 0,01 0 prima dopo italiano straniero È noto che in Italia il rischio di povertà, sia relativa che assoluta, colpisce soprattutto le persone in giovane età. Verifichiamo quindi l’impatto del Reis sul rischio relativo di povertà, attraverso il con- 34 La formula dell’indice FGT è (1/N) ∑i ((z-yi)/z)a, dove N è il numero totale delle famiglie, z è la linea di povertà, y il reddito disponibile equivalente. I risultati riportati nel testo sono stati calcolati con a=2. Pagina 46 3. UTENTI E IMPORTI fronto dell’indice FGT prima e dopo il trasferimento, sulla distribuzione individuale del reddito per classi di età non dei capifamiglia, come fin qui fatto, ma di ciascuna persona (fig. 3). Purtroppo l’indice di FGT non ha un’interpretazione intuitiva che possa renderlo “attraente”. È utile quindi osservare soprattutto come esso cambia nel passaggio dalla distribuzione del reddito senza Reis a quella che lo include. La riduzione della povertà sarebbe particolarmente forte proprio per le fasce di età più basse, mentre l’impatto del Reis sulla povertà degli anziani sarebbe poco significativo, perché essa è già oggi bassa. FIG. 3 INDICE DI FGT PER LA DISTRIBUZIONE INDIVIDUALE DEL REDDITO, PRIMA E DOPO IL TRASFERIMENTO 0,05 0,045 0,04 0,035 0,03 0,025 0,02 0,015 0,01 0,005 0 prima dopo <=9 10-19 20-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-79 >=80 Mantenendo la copertura al 100% delle linee di povertà assoluta Istat, la parte superiore della tab. 1 ci dice che il 10% circa delle famiglie povere assolute non riceverebbero il trasferimento. Le famiglie escluse sarebbero in genere nuclei con reddito disponibile sostanzialmente simile, in media, a quello delle famiglie incluse, ma con Isee decisamente più alto. La differenza, quindi, sta nel valore del patrimonio mobiliare ed immobiliare: le famiglie beneficiarie del sussidio sono spesso prive di patrimonio immobiliare, ivi compresa la casa di abitazione (solo un quarto vive in proprietà), mentre rimangono escluse famiglie che, pur essendo povere assolute in termini di reddito, hanno patrimoni significativi. Suddividendole per classe di età del capofamiglia, le famiglie che, malgrado siano povere assolute in termini di reddito, non sarebbero beneficiarie del trasferimento, si concentrano nelle fasce più avanzate, che hanno avuto nel tempo la possibilità di accumulare uno stock patrimoniale. Sarebbe infatti escluso dal trasferimento il 29% delle famiglie con persona di riferimento dai 65 anni in su ed il 19% dei nuclei con capofamiglia tra 50 e 64 anni, contro quote inferiori al 10% per le fasce di età inferiori. La selezione in base all’Isee non esclude che sia comunque possibile per i beneficiari detenere un certo ammontare di patrimonio mobiliare o immobiliare. Non vogliamo, in altre parole, disincentivare l’accumulazione di uno stock patrimoniale. È però importante che vi sia una soglia che tenga conto del valore del patrimonio, perché altrimenti si corre il rischio di erogare un trasferimento a chi avrebbe la capacità di far fronte autonomamente, attingendo a patrimoni significativi, a situazioni di emergenza. Equità territoriale: l’aggiustamento al costo della vita Pagina 47 3. UTENTI E IMPORTI È noto che in Italia il livello dei prezzi di molti beni e servizi è decisamente differenziato tra aree geografiche. Secondo i dati Silc, ad esempio, il canone medio d’affitto nelle regioni settentrionali era nel 2009 di 6020 euro annui, contro 4200 euro in quelle meridionali, una differenza del 43% (del 38% se restringiamo il calcolo alle zone ad alta densità abitativa). Le statistiche sulla povertà relativa, di reddito o di consumo, non tengono però conto di queste differenze perché sono basate sul confronto tra i redditi o i consumi delle singole famiglie ed un’unica linea di povertà, calcolata come la media (o mediana) della distribuzione del reddito o del consumo sull’intero territorio nazionale. Una parte del maggior reddito medio delle famiglie residenti nel centro-nord rispetto a quelle meridionali non corrisponde però a maggior benessere, ma serve solo a compensare un più elevato livello dei prezzi. Le misure di povertà relativa calcolate con linea unica nazionale, quindi, sottostimano la povertà nelle regioni centro-settentrionali e la sovrastimano in quelle del Sud. La stima della povertà assoluta condotta dall’Istat non soffre però d questo limite, perché le linee sono differenziate anche sulla base dell’area di residenza. Nel 2011, ad esempio, la linea di povertà assoluta per una persona sola residente in un grande comune del Nord è di 747 euro al mese, al Centro 719, al Sud 561. La differenza percentuale tra Nord e Sud è quindi del 33%. Per una famiglia con due minori tra quattro e dieci anni e due adulti, i corrispondenti valori per le tre aree sono 1495, 1412 e 1175, con una differenza percentuale tra Nord e Sud del 27%. Il Reis, basandosi sul principio di colmare il gap tra linea di povertà assoluta e reddito disponibile ed essendo strettamente collegato alla metodologia seguita dall’Istat per il computo delle soglie di povertà assoluta, risulterà quindi graduato secondo il costo della vita del territorio in cui si trova il richiedente. Le variabili saranno in particolare due: la macro area (Nord, Centro, Sud) e la dimensione del comune di appartenenza (piccolo, grande, area metropolitana). Si modificherebbe così la situazione attuale, che svantaggia le realtà dove il costo della vita è maggiore, cioè le regioni settentrionali ed i comuni più grandi. A parità di reddito e di struttura per età dei membri, una famiglia del Nord riceverebbe un trasferimento superiore rispetto a famiglie residenti nel resto del paese, ottenendo grazie a questa differenziazione il medesimo potere di acquisto. La tabella 5 mostra i valori medi del trasferimento, del reddito prima di esso e della linea di povertà assoluta per le famiglie composte da una persona e da quattro persone nelle tre macro-aree del paese. Per le persone sole, la linea di povertà assoluta supera quella delle famiglie meridionali di circa il 35% (comprendendo i comuni di tutte le dimensioni). Il trasferimento medio che va alle persone sole del Nord è solo di poco superiore a quello percepito dalle corrispondenti famiglie meridionali a causa del più basso reddito medio pre-trasferimento di queste ultime. A parità di reddito il trasferimento sarebbe comunque maggiore, in modo da garantire il medesimo potere d’acquisto. Le stesse considerazioni si applicano ai nuclei di quattro componenti: la linea media di povertà del Nord supera del 25% quella del Sud, anche se il trasferimento medio al Nord è inferiore perché il reddito pre-Reis è decisamente superiore. TAB. 5 MEDIE ANNUE DEL TRASFERIMENTO, DEL REDDITO PRE-TRASFERIMENTO E DELLA LINEA DI POVERTÀ ASSOLUTA PER FAMIGLIE RESIDENTI IN DIVERSE MACRO-AREE Reis Reddito familiare prima del trasferimento Linea di povertà assoluta Nord 3510 6009 9519 Centro 3027 6251 9279 Un componente Pagina 48 3. UTENTI E IMPORTI Sud 3161 3899 7060 Totale 3285 5262 8547 Nord 5995 13154 19149 Centro 6202 12315 18517 Sud 6079 9208 15287 Totale 6075 10652 16727 Quattro componenti Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare s’intende il reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) più la componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie. La presenza di linee di povertà assoluta che riflettono i diversi livelli dei prezzi fa sì che la ripartizione delle famiglie beneficiarie del trasferimento sia decisamente più equilibrata rispetto alla ripartizione delle famiglie povere in senso relativo. Come già mostrato in tab. 3, nelle regioni meridionali risiede poco meno della metà delle famiglie potenzialmente beneficiarie del Reis (mentre la prima Social Card, già più selettiva del criterio della povertà relativa, andò per il 65% a famiglie del Sud35), una quota comunque ancora superiore a quella delle famiglie meridionali sul totale delle famiglie italiane. Anche la ripartizione della spesa totale per il trasferimento vede leggermente al di sotto del 50% del totale le risorse che affluirebbero alle regioni meridionali. Il trasferimento medio è però simile nelle varie aree del paese (terz’ultima colonna della tab. 6), nonostante le linee superiori al Nord, per due ragioni principali: le famiglie beneficiarie del Nord e del Centro hanno un reddito pre-trasferimento decisamente più alto. Essendo inoltre molto più piccole di quelle delle regioni meridionali, riceverebbero in media un Reis inferiore: al Nord solo il 18% dei nuclei che ricevono il Reis è composta da almeno quattro persone, la metà rispetto al Sud. TAB. 6 ALCUNE STATISTICHE RELATIVE AI NUCLEI BENEFICIARI DEL TRASFERIMENTO, DIVISI PER MACRO-AREA Ripartizione tutte le famiglie italiane Ripartizione famiglie beneficiarie Ripartizione spesa totale Reddito medio pretrasferimento Reddito medio pretrasferimento procapite Trasferimento medio % famiglie beneficiarie con uno o due componenti % famiglie beneficiarie con almeno quattro componenti Nord 48.3% 34.2% 34.0% 8697 4742 4611 65.0% 17.9% Centro 19.8% 17.3% 17.7% 8391 4487 4743 63.4% 20.5% Sud 31.9% 48.5% 48.3% 7445 2972 4611 47.8% 36.1% Totale 100.0% 100.0% 100.0% 8036 3839 4634 56.4% 27.2% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. 35 Inps 2010. Pagina 49 3. UTENTI E IMPORTI La tab. 7 offre una panoramica più disaggregata della distribuzione del Reis, considerando le singole regioni. La ridotta dimensione campionaria a livello regionale deve naturalmente indurre alla cautela nell’interpretare questi numeri come veramente rappresentativi, ma la tabella propone comunque spunti interessanti. La prima colonna espone la quota di famiglie che in ogni regione dovrebbero essere interessate al trasferimento, seguita dal loro numero assoluto. Le ultime tre colonne sono dedicate all’effetto sull’indice FGT di povertà relativa di reddito, che come abbiamo visto attribuisce un peso maggiore ai cambiamenti di reddito che interessano le famiglie più povere. TAB. 7 ALCUNE STATISTICHE SULLA RIPARTIZIONE DEL REIS TRA LE REGIONI Numero fa% famiglie miglie che Trasf. medio che ricevono ricevono il per famiglia Ripartizione il Reis Reis beneficiaria spesa totale FGT prima FGT dopo variazione (alfa=2) (alfa=2) % FGT Piemonte 4.2% 84675 4751 6.8% 0.01638 0.00582 -64% Valle d’Aosta 1.9% 1136 4910 0.1% 0.00666 0.00318 -52% Lombardia 4.1% 177803 4310 12.9% 0.01478 0.00575 -61% Bolzano 3.1% 6348 3869 0.4% 0.00708 0.00223 -69% Trento 1.6% 3633 9696 0.6% 0.00916 0.003 -67% Veneto 3.5% 71571 4185 5.0% 0.01101 0.00428 -61% Friuli V. G. 3.2% 17700 3279 1.0% 0.01185 0.00657 -45% Liguria 4.4% 34809 4813 2.8% 0.01726 0.00559 -68% Emilia Romagna 2.0% 40022 6477 4.4% 0.01058 0.00345 -67% Toscana 4.2% 67375 4346 4.9% 0.01266 0.00401 -68% Umbria 3.6% 13524 4729 1.1% 0.01841 0.00667 -64% Marche 4.0% 25299 5655 2.4% 0.01950 0.00637 -67% Lazio 4.9% 114902 4776 9.3% 0.01275 0.00436 -66% Abruzzo 3.8% 20605 5882 2.0% 0.03018 0.01669 -45% Molise 4.0% 5113 4511 0.4% 0.02900 0.01901 -34% Campania 9.4% 197645 5007 16.7% 0.05630 0.03184 -43% Puglia 6.0% 92189 4831 7.5% 0.04078 0.02109 -48% Basilicata 6.1% 14034 5286 1.3% 0.03950 0.02331 -41% Calabria 8.2% 64443 3746 4.1% 0.05205 0.03398 -35% Sicilia 10.2% 204889 4274 14.8% 0.05391 0.03002 -44% Sardegna 3.2% 22286 4205 1.6% 0.02295 0.01332 -42% Italia 5.1% 1280003 4634 100% 0.02420 0.01181 -51% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. 3.3.2 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto di forte crisi economica” In questa sezione finale simuliamo le conseguenze del Reis tenendo conto del forte peggioramento della crisi economica nel corso degli ultimi mesi. Per farlo non modifichiamo la banca dati di riferimento su cui sono state eseguite le elaborazioni già presentate, cioè il dataset Silc 2010 (redditi 2009), perché non abbiamo a disposizione microdati relativi al periodo 2012-13, ma lo adattiamo sulla base delle informazioni fornite dall’Istat il 17 luglio 2013, relative alla diffusione della povertà rela- Pagina 50 3. UTENTI E IMPORTI tiva ed assoluta in Italia nel 201236 In un solo anno, la diffusione della povertà assoluta tra le famiglie in Italia è passata dal 5.2% del 2011 al 6.8% del 2012, cioè da circa 1,3 ad 1,7 milioni di nuclei. Il peggioramento è stato particolarmente forte per le famiglie numerose con figli. Riprodurre in modo preciso queste dinamiche sul nostro campione Silc 2010 non è possibile, non solo perché noi stimiamo la povertà assoluta in base al reddito e non al consumo, ma anche perché non possediamo dati sulle distribuzioni congiunte delle famiglie in povertà in base a caratteristiche socio-demografiche. Sulla base del fatto che il nostro metodo di calcolo della povertà assoluta in termini di reddito ha prodotto nel dataset Silc una quota di famiglie in povertà assoluta molto vicina alle stime Istat fino al 2011, calibriamo i microdati in modo da riprodurre un ampliamento della platea dei poveri assoluti simile a quello effettivamente registrato dall’Istat per il 2012. A questo scopo riduciamo proporzionalmente i redditi delle famiglie, con coefficienti di riduzione più elevati per i nuclei con capofamiglia in più giovane età o di dimensione elevata, in modo da ottenere una quota di famiglie in povertà assoluta del 6.8%. Ipotesi alternative sulla dimensione dei coefficienti hanno fornito risultati molto simili. Si noti che le quote di famiglie in povertà assoluta per fascia di età del capofamiglia non sono simili a quelle calcolate dall’Istat, perché come si è già osservato nel capitolo 2 l’uso del reddito al posto del consumo incrementa il rischio di povertà per i giovani e lo riduce tra gli anziani. Abbiamo però cercato di incrementare il rischio di povertà per fasce di età con variazioni simili a quelle che l’Istat ha documentato essersi verificate tra il 2011 ed il 2012. Siamo consapevoli che si tratta di un metodo che può fornire risultati solo approssimativi, ma in mancanza di microdati più recenti non abbiamo alternative se vogliamo tenere conto delle recenti dinamiche della crisi. Seguendo la metodologia illustrata, la tab. 8 riprende la precedente tab. 2 e mostra che, con ipotesi di pieno take-up, il numero di famiglie beneficiarie del Reis passerebbe da 1,28 milioni della tab. 1 a 1,63 milioni di nuclei, per una spesa media di 4451 euro annui per famiglia ed una spesa totale di 7,4 miliardi. Se invece, più realisticamente, ipotizziamo un take-up al 75%37, il numero delle famiglie che ricevono il Reis raggiunge gli 1,22 milioni, in aumento di 260 mila unità rispetto al caso che non tiene conto degli sviluppi recenti della crisi. La spesa totale per la componente monetaria del Reis passerebbe a 5,54 miliardi di euro, con una crescita di 1,1 miliardi rispetto al caso “normale” precedentemente considerato. TAB. 8 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO NELLO SCENARIO DI CRISI Gruppo Capof. disocc. o "altro", più di 50 anni Capof. pensionato o 65+ anni Totale 40.0% 22.0% 1.8% 6.5% 95.0% 94.5% 85.1% 73.8% 90.9% Trasferimento medio annuo (euro) 3944 6239 4154 2944 4542 Totale individui beneficiari (in migliaia) 2578 1228 286 359 4451 Capof. Lavora Capof. disocc. o "altro", meno di 50 anni % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo 6.0% % famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo 36 Si veda Istat 2013. 37 Sul take-up si veda il par. 3.3.1. Pagina 51 3. UTENTI E IMPORTI Totale famiglie beneficiarie (in migliaia) 821 482 157 166 1626 Spesa totale (mln di euro) 3239 3009 652 490 7387 Totale individui beneficiari con take up rate al 75% (migliaia) 1933 921 214 269 3338 Totale famiglie beneficiarie con take up rate al 75% (migliaia) 616 361 118 124 1219 Spesa totale (mln euro) con take up rate al 75% 2429 2257 489 368 5540 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito dell’indennità di accompagnamento La tab. 9 che segue descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat, ancora nel caso il Reis si introduca in un periodo di forte crisi economica come l’attuale. Se invece assumiamo un take-up parziale, tutte le percentuali delle colonne “Frequenza” andrebbero proporzionalmente ridotte. Rispetto allo scenario “normale”, la probabilità di ricevere il Reis cresce soprattutto per le famiglie giovani e per quelle numerose, ma nel complesso le caratteristiche dei nuclei maggiormente interessati dallo schema non dovrebbero cambiare in modo netto. Poco meno della metà della spesa totale per il Reis andrebbe alle regioni meridionali, e più di un terzo a quelle del Nord. In gran parte inoltre la spesa totale affluirebbe a famiglie con nazionalità italiana. Molte delle famiglie beneficiarie hanno persona di riferimento che lavora, ma evidentemente con reddito basso o con molti carichi familiari. Nell’altra metà dei casi mancano invece redditi da lavoro. TAB. 9 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARATTERISTICHE Area geografica Frequenza Composizione Cittadinanza Frequenza Composizione Nord 4.8% 35.9% Italiana 5.3% 77.0% Centro 5.3% 16.3% Altro 24.2% 23.0% Sud 9.7% 47.8% Totale 6.5% 100.0% Totale 6.5% 100.0% Educazione del capofamiglia Frequenza Composizione Età del capofamiglia Frequenza Composizione Elementari 5.0% 21.5% <30 19.4% 16.3% Medie 9.0% 38.7% 30-39 10.1% 26.9% Diploma 6.3% 32.9% 40-49 9.0% 29.9% Laurea 3.5% 6.9% Totale Condizione professionale del capofamiglia 6.5% Frequenza 100.0% Composizione 50-64 5.0% 18.8% >=65 1.6% 7.9% Totale 6.5% 100.0% Numero componenti Frequenza Composizione Operaio 9.3% 28.9% 1 6.5% 31.5% Impiegato 1.3% 4.3% 2 4.1% 17.3% Atipico 23.8% 1.9% 3 5.2% 16.2% Pagina 52 3. UTENTI E IMPORTI Indipendente 7.5% 15.3% 4 7.9% 20.1% Pensionato 1.4% 6.1% 5 17.8% 10.1% Disoccupato 40.0% 17.9% 6+ 22.4% 3.4% Altro 12.7% 25.6% Totale 6.5% 100.0% Totale 6.5% 100.0% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie. Per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio rappresenterebbe ancora una parte molto significativa del reddito disponibile (tab. 10). In media il sussidio annuale è pari a 4542 euro annui, circa il 51% del reddito familiare medio delle famiglie interessate. TAB. 10 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE Classe di reddito Reddito medio familiare Trasferimento medio Trasferimento in % del reddito Ripartizione % delle famiglie povere assolute che ottengono il trasferimento 0-3000 1202 9423 784% 10.3% 3000-6000 4488 6289 140% 22.6% 6000-9000 7487 3838 51% 23.1% 9000-12000 10410 3592 35% 15.6% >12000 15371 2476 16% 28.4% Totale 8858 4542 51% 100% Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie. Pagina 53 3. UTENTI E IMPORTI Appendice 1: Una soglia fissa di Isee In questa prima appendice consideriamo l’effetto della determinazione di una soglia di Isee fissa, anziché variabile a seconda della macro-area. Presentiamo i risultati con riferimento a due soglie Isee, a 12mila e ad 8mila per tutto il territorio nazionale, relativamente allo scenario “Contesto economico ‘normale’” Con Isee massimo a 12mila, la spesa totale scenderebbe solo di poco rispetto al caso presentato nel testo, a 5,77 miliardi di euro (assumendo un pieno take-up), mentre il numero delle famiglie coinvolte sarebbe di 1.24 milioni. Le famiglie escluse sarebbero circa il 13% di quelle in povertà assoluta. Nel caso di una riduzione della soglia Isee da 12mila ad 8mila euro, il numero delle famiglie beneficiarie diminuirebbe a 1.1 milioni e la spesa annua passerebbe a 5.17 miliardi di euro. Il numero delle famiglie in povertà assoluta che resterebbero fuori dal Reis si avvicinerebbe al raddoppio, circa il 22%, e questa riduzione colpirebbe soprattutto le famiglie più anziane perché a parità di reddito l’Isee tende a crescere con l’età. TAB. A1 BENEFICIARI E SPESA CON SOGLIE FISSE DI ISEE Gruppo Capof. Lavora Capof. disocc. o "altro", meno di 50 anni Capof. disocc. o "altro", più di 50 anni Capof. pensionato o 65+ anni Totale Soglia Isee 12000 % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo 4.0% 34.2% 18.5% 1.5% % famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo 92.1% 91.8% 77.3% 71.5% 87.7% Trasferimento medio annuo (euro) 3,904 6,438 4,085 2,940 4,656 Totale individui beneficiari 1,592,205 1,003,023 234,511 282,047 3,111,786 Totale famiglie beneficiarie 552,781 412,523 131,586 142,164 1,239,055 Spesa totale (mln di euro) 2,158 2,656 538 418 5,770 Spesa totale (mln di euro) con take up 75% 1619 1992 404 314 4328 3.6% 30.8% 16.1% 1.3% 4.4% 4.9% Soglia Isee 8000 % famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo % famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo 83.2% 83.5% 66.5% 60.3% 78.5% Trasferimento medio annuo (euro) 3,906 6413 4272 2902 4675 Totale individui beneficiari 1,450,369 909,000 203,340 246,273 2,808,983 Totale famiglie beneficiarie 499,565 371,283 114,548 121,217 1,106,613 Spesa totale (mln di euro) 1,951 2,381 489 352 5,174 Spesa totale (mln di euro) con take up 75% 1463 1786 367 264 3881 Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Pagina 54 3. UTENTI E IMPORTI Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali In questa seconda appendice ci chiediamo se la riforma degli ammortizzatori sociali approvata dal Parlamento nel 2012 (riforma Fornero del mercato del lavoro, legge 92/2012) potrà avere effetti sulla spesa totale per il Reis e sul numero dei beneficiari. Se, infatti, la riforma aumentasse il numero dei beneficiari di prestazioni di disoccupazione tra le famiglie che usufruiscono del Reis, alcune di loro potrebbero non trovarsi più in condizioni di povertà assoluta: nelle nostre stime di spesa dovremmo tenerne conto. Dall’inizio del 2013 è entrata in vigore l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), il nuovo sussidio di disoccupazione che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria. È prevista una fase di transizione piuttosto lunga verso l’assetto definitivo, che sarà raggiunto solo dal 2016. In quell’anno, l’Aspi avrà una durata annuale, che potrà essere estesa sino a 18 mesi per gli ultra 55enni che abbiano una contribuzione continua e regolare. La platea dei possibili beneficiari dell’Aspi comprende tutti i dipendenti, inclusi gli apprendisti ed i soci di cooperativa che svolgono un lavoro subordinato. Per averne diritto occorre (come per la vecchia indennità di disoccupazione ordinaria) essere iscritti all’assicurazione contro la disoccupazione da almeno due anni ed avere versato contributi per almeno dodici mesi nel corso dei due anni precedenti l’inizio della disoccupazione. L’importo dell’Aspi è pari al 75% della retribuzione media se essa non supera i 1180 euro, più il 25% della differenza tra la retribuzione e la soglia dei 1180 euro, con un massimale. Dopo sei mesi l’indennità viene ridotta del 15%, e di un altro 15% dopo ulteriori sei mesi. Visto che i requisiti contributivi non si modificano rispetto al passato, non crediamo che l’Aspi possa ridurre la spesa totale per il Reis e la platea ad esso interessata. Per i disoccupati che non possiedono i requisiti per accedere all’Aspi è prevista una “mini-Aspi”, che spetta solo se nei 12 mesi precedenti la disoccupazione sono stati accreditati almeno 13 contributi settimanali, equivalenti a tre mesi in totale (non c’è quindi il requisito dei due anni di iscrizione all’assicurazione contro la disoccupazione). Questo dovrebbe allargare in modo significativo la platea dei soggetti coinvolti. L’entità della mini-Aspi è la stessa dell’Aspi; la sua durata massima, pari alla metà del numero di contributi settimanali accreditati nei 12 mesi precedenti la disoccupazione, varia da un minimo di un mese e mezzo a un massimo di sei mesi. Per avere un’idea del possibile impatto della mini-Aspi sul Reis, selezioniamo nel campione Silc quanti abbiano lavorato con un contratto di lavoro dipendente per almeno tre mesi nell’anno precedente e siano disoccupati nell’anno in corso, senza aver ottenuto un sussidio di disoccupazione. Imputiamo ad essi un reddito per i mesi lavorati e calcoliamo la mini-Aspi a cui avrebbero diritto. Ci risulta che circa 115mila disoccupati riceverebbero questo trasferimento, per una spesa totale di circa mezzo miliardo di euro. Di essi, però, solo il 20% vivrebbe in famiglie povere assolute. Queste simulazioni sono state effettuate sul campione Silc con redditi al 2009, quindi sono riferite allo scenario “Contesto economico ‘normale’ “. Rispetto all’anno a cui si riferisce il campione, però, il numero dei disoccupati è decisamente aumentato, soprattutto tra i giovani. Poiché molti di loro hanno scarsi versamenti contributivi, è ragionevole ritenere che in questo periodo e negli anni futuri il numero dei soggetti coperti dalla mini-Aspi sarà superiore. Tuttavia, anche ammettendone un numero doppio o persino triplo, l’impatto sul Reis sarebbe comunque piuttosto limitato: nella nostra simulazione relativa allo scenario normale, ad esempio, considerando l’aumento del reddito familiare reso possibile dal percepimento della mini-Aspi, la spesa totale per il Reis diminuirebbe di 60 milioni all’anno, ed il numero delle famiglie coinvolte si ridurrebbe di 10mila unità. Lo scenario di crisi acuta aumenterà sicuramente queste cifre, ma il risparmio di spesa per il Reis dovrebbe essere ancora limitato (e compensato da una maggiore spesa per ammortizzatori sociali). Pagina 55 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO Nel quindici anni trascorsi dall’introduzione del Reddito minimo di inserimento, il rapporto fra amministrazione centrale, amministrazioni regionali e amministrazioni locali è stato sovente caratterizzato da un mediocre coordinamento, quando non da separatezza. La proposta del Reddito di inclusione sociale (Reis) fa perno, invece, sulla chiara integrazione delle funzioni e sulla collaborazione. Rispetto ai molteplici compiti che l’implementazione del Reis richiede – dalla sua pubblicizzazione alla prova dei mezzi, all’erogazione monetaria, alle azioni di inclusione sociale e di attivazione al lavoro – è previsto il concorso di diversi attori: l’Inps, i Comuni organizzati in forma associata negli Ambiti socio-assistenziali, il Terzo Settore, i Centri per l’Impiego, i Caf/Patronati i Distretti socio-sanitari, le scuole e gli istituti regionali di formazione, le Regioni. Ciò richiede di combinare una convincente distribuzione e interazione di competenze fra centro e periferia. Quanto alla struttura centrale, essa è incentrata su un Comitato di gestione, costituito presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (Mlps), che sovraintende e dirige il processo di riforma. Vi è, poi, una Consulta, rappresentativa ma non pletorica, che esamina lo stato di avanzamento della riforma e fornisce pareri sul modo col quale conviene procedere. Infine, vi è un’infrastruttura operativa centrale MlpsMinistero dell’Economia e delle Finanze (Mef)-Inps, che svolge due compiti essenziali: è il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità al Reis e di erogazione del trasferimento monetario; realizza un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per l’offerta di servizi e per gli esiti delle azioni di inclusione sociale e di attivazione al lavoro. La struttura locale poggia sulla scelta degli Ambiti territoriali socio-assistenziali, cioè dei soggetti che (anche con denominazioni diverse nelle varie Regioni) gestiscono tali funzioni in forma associata per conto di Comuni, come pivot. In ogni Ambito socioassistenziale vi è un Comune capofila. È inoltre prevista la creazione di uno snello Gruppo di coordinamento, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, fanno parte i principali attori locali (Centri per l’Impiego, Distretti socio-sanitari, ecc.). Un tassello cruciale per il buon esito del Reis è la collaborazione fra la struttura centrale e quella locale rappresentata dagli Ambiti, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione e l’accesso all’infrastruttura operativo-informativa incentrata sull’Inps. In caso di gravi inadempienze degli Ambiti è previsto un tempestivo intervento sostitutivo dello Stato tramite la nomina di un commissario ad acta per il Reis. Pagina 1 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO 4.1 OBIETTIVI E LEZIONI DALL’ESPERIENZA Come già sottolineato, l’obiettivo del Reddito di Inclusione Sociale è ambizioso: giungere in poche tappe – nell’arco di quattro anni – a una misura nazionale di contrasto della povertà improntata all’universalismo selettivo, che si propone due obiettivi: integrare il reddito delle famiglie con un trasferimento monetario che le porti alla soglia considerata essenziale per uno standard di vita accettabile, assorbendo così i molteplici interventi di stampo categoriale rivolti ai poveri; affiancare al trasferimento monetario misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impegnative tanto per chi le eroga quanto per i destinatari. Le esperienze fatte in Italia negli ultimi quindici anni (IRS, Fondazione Zancan e Cles, 2001; Ministero della Solidarietà Sociale, 2007; Granaglia e Bolzoni 2010; Spano, Trivellato e Zanini, 2013) segnalano vari elementi di debolezza dell’impianto istituzionale e organizzativo: l’eterogeneità dei comportamenti dei Comuni nel gestire il Reddito minimo di inserimento (Rmi), che pure era stato disegnato come una «sperimentazione» nazionale, con un impianto largamente omogeneo; le scelte operate dalle Regioni dopo la riforma del titolo V della Costituzione, sovente contraddistinte da un diverso grado di accentramento e da differenti forme di coinvolgimento delle Province e dei Comuni (singoli Comuni, Comuni capofila di ambiti socioassistenziali o di distretti socio-sanitari). Per il buon funzionamento di una misura di contrasto della povertà quale quella proposta, è essenziale superare questa separatezza dei rapporti fra i diversi soggetti istituzionali e puntare invece a una chiara integrazione delle loro funzioni. Il Reis, in quanto misura nazionale, richiede una struttura nazionale, che ne assicuri omogeneità di applicazione, segnatamente per la prova dei mezzi e per il conseguente trasferimento monetario, e la affianchi con un’adeguata, trasparente documentazione. Nel contempo, necessita del cruciale concorso degli enti locali e di altri attori diffusi sul territorio, per disporre di una capillare rete di pubblicizzazione del Reis ai cittadini, in particolare a quelli più poveri – sovente non raggiunti dagli usuali mezzi di comunicazione –, per fornire agli stessi molteplici ed agevoli “porte di accesso” alla misura, per porre in essere gli interventi di integrazione sociale e, per le persone in età lavorativa e abili al lavoro, azioni di attivazione al lavoro. 4.2 IL PRIMO LIVELLO ESSENZIALE NEL SOCIALE Il Reis rappresenterà un livello essenziale delle prestazioni sociali, ai sensi della Costituzione (art 117, comma 2, lettera m)). Si tratterebbe del primo livello essenziale per le politiche sociali introdotto nel nostro paese. Diventerebbe così, con il graduale percorso attuativo delineato, un vero diritto di cittadinanza nazionale per le famiglie povere. Questo livello essenziale sociale poggerebbe su un rapporto di forte collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, come prospettato nel seguito del capitolo. I livelli essenziali di assistenza – come noto – oggi sono inesistenti nelle politiche sociali, ma la loro mancanza diventa sempre meno sostenibile e, da tante parti, se ne sollecita giustamente l’introduzione. Per definire i livelli essenziali del sociale in modo appropriato è necessario promuovere un confronto maggiore, ma non teorico, astratto, bensì basato sui dati di fatto. La nostra proposta introdurrebbe il primo livello essenziale nelle politiche sociali, accompagnandolo con un’attenta attività di monitoraggio e di valutazione in corso d’opera. L’attuazione del Reis diventerebbe, in tal modo, un “laboratorio di livelli essenziali” capace di fornire un bagaglio di indicazioni assai utili per l’auspicabile introduzione di questi ultimi anche negli altri settori del sociale. Pagina 2 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO 4.3 IL RUOLO DEI DIVERSI SOGGETTI NEL REIS E NEL WELFARE LOCALE Anche alla luce dei soddisfacenti risultati della struttura nazionale che gestisce l’attuale Social Card e gestirà la breve esperienza della nuova Social Card Sperimentale, si prevede di utilizzare per il Reis un’infrastruttura informativa centralizzata, facente capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Mlps), al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e, operativamente, all’Inps. Tale infrastruttura svolgerà peraltro un ruolo essenziale anche per i compiti dei Comuni (o meglio, degli «Ambiti territoriali» che gestiscono le funzioni socio-assistenziali per conto di Comuni singoli o associati, secondo la dizione della legge n. 328/2000; della maglia territoriale locale preferibile discuteremo peraltro nella sez. 4.5 e per ora, per semplicità, spesso parleremo genericamente di Comuni, intendendoli in forma associata). La scelta di fare riferimento a un’infrastruttura informativa centralizzata è funzionale sia alla corretta gestione dell’erogazione del trasferimento monetario – permette, infatti, un drastico contenimento della discrezionalità –, sia all’effettuazione di verifiche incrociate sui requisiti di accesso e sulla permanenza degli stessi nel tempo – delle quali garantisce una maggiore rapidità di svolgimento –. Tale gestione delle erogazioni dovrà essere realizzata in stretta sinergia con i Comuni che, alleggeriti da compiti burocratico-amministrativi, avranno un ruolo di regista del Reis a livello locale. Inoltre, alla struttura informativa confluiranno anche le informazioni essenziali sulle azioni di sostegno sociale e di attivazione, così come informazioni aggiuntive sui restanti interventi del welfare locale. Diversi attori del welfare, istituzionali e non, saranno coinvolti nella specificazione operativa e nella gestione del Reis. Nel seguito ne delineiamo sinteticamente i ruoli. Inps L’Inps costituisce il soggetto attuatore della misura, che verrà poi materialmente erogata dall’Inps stesso, con accredito sul conto corrente dei beneficiari o attraverso altre modalità (ad es. assegno postale o bancario, trasferimento ai Comuni che faranno poi il mandato di pagamento ai beneficiari, fino alla possibilità di appoggio dell’assegno presso il servizio sociale per famiglie che debbano essere supportate nell’uso del denaro). In seguito all’analisi delle domande presentate, l’Inps definirà l’ammissibilità del richiedente nonché il conseguente ammontare del contributo da erogare. Sarà poi suo compito comunicare ai Comuni l’elenco degli ammessi e procedere, mensilmente e per un anno1, al trasferimento monetario. Il ruolo dell’Inps sarà cruciale anche per l’effettuazione di verifiche sui requisiti di accesso attraverso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, ecc.). In particolare, dovrà effettuare: Verifiche incrociate ex-ante su tutte le domande, per accertare la veridicità delle informazioni economico-finanziarie dichiarate all’accesso; Verifiche in itinere, entro l’anno di permanenza nel Reis, su sollecitazione dei Comuni che avessero rilevato una modifica del tenore di vita del nucleo beneficiario,per accertare la permanenza dei requisiti e, se del caso, modificare (o revocare) il trasferimento monetario; 1 Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei requisiti di di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (vedi il paragrafo immediatamente successivo). Pagina 3 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO Verifiche ex-post, allo scadere del primo anno dalla presentazione della domanda, per accertare la permanenza dei requisiti di accesso e, in caso positivo, determinare il pertinente trasferimento monetario, invariato o convenientemente modificato. È ragionevole prevedere che per gli ammessi al Reis non bisognosi di una presa in carico sociale o di attivazione al lavoro (essenzialmente gli ultra 65enni senza fragilità), l’erogazione del contributo potrà avvenire da parte dell’Inps subito dopo la definizione conclusiva dell’ammissibilità, mentre per tutti gli altri nuclei (i cosiddetti “re-inseribili”) sarà subordinata al via libera dei Comuni a seguito degli incontri/colloqui presso i servizi sociali ed alla sottoscrizione del “patto definitivo”, che definisce obblighi reciproci delle amministrazioni e dei beneficiari. Comuni, o meglio la loro organizzazione in forma associata in Ambiti socio-assistenziali Ai Comuni (lo ripetiamo, operanti in forma associata tramite gli Ambiti socio-assistenziali, salvo che per la loro dimensione costituiscano essi stessi un Ambito: vedi oltre la sez. 4.5) compete la pubblicizzazione della misura tramite gli sportelli e i servizi sul territorio, nonché il concorso nell’attrazione dei “falsi negativi” (cioè di famiglie povere che, perché non informate a causa della loro grave marginalità sociale o per una forma di ritegno a rivelare la loro condizione economica, neppure presentano domanda per il Reis). Ad essi spetterà anche la funzione di porta di accesso, eventualmente coadiuvati da altri soggetti (Terzo Settore, Caf, Patronati; le decisioni in merito saranno presi dai Comuni organizzati a livello di Ambito). I Comuni concorreranno anche alle verifiche ex ante e periodiche rispetto alla permanenza dei requisiti. In particolare, nel caso di dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni presentate, i Comuni procederanno al controllo dei consumi, facendo riferimento, di massima, all’impostazione dell’indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento (vedi cap. 3) . Dopo aver ricevuto l’elenco dei nuclei ammessi dall’Inps, i re-inseribili sono convocati dal Comune, se del caso coadiuvato dal Terzo Settore, per un incontro/colloquio di valutazione multidimensionale svolto presso i servizi sociali (o effettuato a domicilio da parte di un assistente sociale). Tale colloquio potrà essere reiterato per i casi più complessi e culminerà nella sottoscrizione del patto definitivo, col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento. A seguito alla sottoscrizione del patto si procederà anche all’attivazione dell’erogazione, tramite comunicazione all’Inps. Per quanto riguarda, infine, i percorsi di inclusione sociale e lavorativa, al Comune spettano specifici ruoli, quali: il presidio di tutti i percorsi e il raccordo, tramite appositi protocolli di intesa, con gli altri attori territoriali; la progettazione e gestione diretta dei percorsi di inclusione sociale, laddove possibile sulla base delle risorse interne; il presidio della “condizionalità”, cioè dei doveri dei beneficiari associati ai diritti e alle prestazioni di cui godono, di concerto con gli altri attori territoriali (Centri per l’Impiego in primis); la revoca, decurtazione o sospensione della misura qualora vengano meno (o si modifichino) i requisiti di ammissibilità economica accertati dall’Inps e/o nel caso di mancato rispetto del patto definitivo. Pagina 4 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO Terzo Settore Il Terzo Settore, sarà coinvolto dai Comuni in fase di programmazione degli interventi e dei piani di inclusione sociale. Il suo contributo potrà rivelarsi essenziale nella fase di network building, necessaria a garantire l’integrazione dei servizi e delle prestazioni a supporto dei percorsi di inclusione. Il Terzo Settore avrà un ruolo di primo piano nella pubblicizzazione della misura, contribuendo in particolare all’individuazione dei falsi negativi, grazie alla sua rete sul territorio e ai contatti con le persone in condizioni di grave marginalità, alle quali potrà garantire un’informativa capillare sul Reis. Le organizzazioni di Terzo Settore potranno, inoltre, svolgere la funzione di porta di accesso al Reis, se così indicato dai Comuni attraverso apposite convenzioni. In contesti di particolare difficoltà dei Comuni e dei loro servizi sociali va prevista pure la possibilità che queste organizzazioni realizzino anche il lavoro di presa in carico della misura, di nuovo su indicazione dei Comuni attraverso apposite convenzioni. In tal caso sarebbe il Terzo Settore a svolgere colloqui con i potenziali beneficiari e a sottoscrivere il patto definitivo (al solito, solo per i re-inseribili). In queste situazioni si dovrà, comunque, prevedere un rigoroso percorso di potenziamento delle capacità operative dei relativi servizi sociali comunali. Per quanto riguarda i percorsi d’inclusione sociale e lavorativa, il Terzo Settore svolgerà un ruolo fondamentale nel fornire i propri servizi al fine di promuovere l’inserimento sociale e occupazionale delle persone coinvolte. Proprio perché la proposta del Reis mette al centro la funzione dei servizi come strumenti di autonomia, fornendo competenze alle persone e aiutandole a riprogettare la loro quotidianità, il ruolo del Terzo Settore – dato il suo bagaglio di competenze - è decisivo. Infine, il Terzo Settore potrà contribuire al monitoraggio e alla valutazione della misura, fornendo, come tutti gli altri attori, le informazioni richieste per l’alimentazione del sistema informativo nazionale (vedi oltre il cap. 8) e mettendo inoltre a disposizione le risultanze dei propri osservatori. 2 CAF/Patronati Tali soggetti, specificamente accreditati dalle Regioni sulla base di un sistema nazionale di accreditamento, potranno supportare i Comuni nell’accesso alla misura (se questi ultimi lo riterranno opportuno). Anch’essi, così come gli operatori dei Comuni, dovranno provvedere ad informare e orientare i potenziali beneficiari rispetto all’intera gamma di possibili altre prestazioni che potrebbero ricevere, anche se dovessero chiederle in una sede diversa. Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono ai Patronati per la domanda di pensione di invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tali enti anche per richiedere il Reis per evitare un nuovo iter. I disabili beneficiari del Reis già inseriti in percorsi socio-sanitari continueranno a seguirli e a rivolgersi ai servizi a cui risultano già in carico; starà a tali servizi attivare i rapporti con i Patronati per la domanda del Reis. 2 I CAF si occupano di assistenza fiscale, seguono le pratiche relative a redditi, tasse, visure (730, Unico, RED, ISEE, IMU), curano anche la richiesta di prestazioni sociali agevolate quali l’assegno di maternità e l’assegno al nucleo familiare, fino alle agevolazioni sulle tariffe elettriche (bonus gas ed elettricità). I Patronati si occupano della parte previdenziale (contributi e pensioni varie), tra cui l’assegno e la pensione sociale. Per il Resi, fino alla sua piena messa a regime, gli interlocutori saranno presumibilmente i CAF. Poi si potrà ipotizzare una gestione congiunta CAF/Patronati; questi ultimi risulteranno infatti progressivamente “svuotati” della gestione delle pensioni e degli assegni sociali, che saranno assorbiti nella nuova misura. Pagina 5 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO Presso i CAF/Patronati avrà poi luogo la compilazione e la certificazione della domanda di accesso al Reis, corredata dalla dichiarazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) e del reddito disponibile. Ai CAF/Patronati spetterà anche, in grandissima parte, l’essenziale controllo di composizione della famiglia anagrafica. Centri per l’Impiego I Centri per l’Impiego (CpI) avranno un ruolo importante nella progettazione, attivazione e presidio dei percorsi di inclusione lavorativa. La condizionalità dei percorsi sarà definita in accordo con i Comuni. Questi aspetti verranno analizzati in dettaglio nel capitolo 5 per gli aspetti organizzativi e nel capitolo 6 per quelli sostantivi. Qui basti dire che per i soggetti in età da lavoro ritenuti abili al lavoro il patto definitivo stipulato dai beneficiari del Reis con i servizi sociali viene ulteriormente specificato da un “patto di servizio” stipulato con i CpI, che ne costituisce parte integrante. Il “patto di servizio” specifica le azioni di inserimento lavorativo e di formazione e riqualificazione professionale che il beneficiario del Reis deve intraprendere e che il CpI si impegna a fornire, così come gli obblighi che ne conseguono, e ricorda le sanzioni previste in caso di non ottemperanza (che sono stabilite per il Reis a livello nazionale). Distretti socio-sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione Tali soggetti saranno responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di assistenza sociale, sempre in accordo con i Comuni (come ipotizzato per i CpI). Regioni Data la natura del Reis – livello essenziale nel sociale, improntato a una logica nazionale e caratterizzato da un forte ruolo dei Comuni – è naturale domandarsi quale ruolo assumano in questo contesto le Regioni. Il loro spazio di autonomia decisionale –– sarà rilevante ma verrà necessariamente ridefinito nell’ottica dell’integrazione Stato-Regioni-Enti e soggetti locali. Alle Regioni restano ruoli importanti, vuoi sul piano istituzionale vuoi affidati alla loro iniziativa. Quanto alla prima dimensione, sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta (vedi la successiva sez. 4.4) e avranno quindi un’importante funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale. Inoltre, sulla base di criteri definiti a livello nazionale, procedono all’accreditamento dei CAF/Patronati e dei soggetti del Terzo Settore. Le Regioni avranno poi un rilevante spazio di responsabilità e di azione in varie direzioni: favorire lo scambio di esperienze fra Comuni, anche con iniziative sistematiche di incontro/confronto; accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, segnatamente tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate; documentare il procedere del programma a livello regionale, tramite un rapporto annuale; in definitiva, favorire la conoscenza e la diffusione di buone pratiche e in tal modo stimolare e sostenere la sperimentazione di nuove forme d’intervento (di attivazione al lavoro e/o di integrazione sociale), aggiuntive a quelle dell’azione nazionale, definite in accordo con la Struttura Unitaria di Valutazione (vedi oltre la sez. 8.2.2) anche per quanto riguarda il disegno della sperimentazione e i metodi per favorirne una rigorosa valutazione degli effetti; Pagina 6 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO BOX 1 – I MOLTEPLICI SOGGETTI COINVOLTI NELLA REALIZZAZIONE DEL REIS Soggetti Funzioni salienti A livello centrale: Inps Verifica finale sull’ammissibilità al Reis ed erogazione del trasferimento monetario; gestione del Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica (vedi cap. 8). A livello locale e regionale: Ambiti territoriali socio-assistenziali (che gestiscono tali servizi in forma associata, per conto dei Comuni) Pivot del sistema a livello locale: curano la pubblicizzazione del Reis; concorrono alle verifiche ex-ante e periodiche sulle condizioni di ammissibilità, incluso il controllo dei consumi; hanno la responsabilità ultima delle porte di accesso al sistema e della presa in carico; stabiliscono e sottoscrivono il patto definitivo per gli interventi d’inserimento sociale e/o lavorativo; coordinano, tutti i percorsi in raccordo con i diversi attori locali. Terzo Settore Collabora con i Comuni per l’individuazione dei cosiddetti “falsi negativi” e nelle fasi di programmazione dei piani locali d’inclusione sociale. È una delle possibili porte di accesso al sistema. In contesti di particolari difficoltà dell’ente pubblico può occuparsi anche della presa in carico. Fornisce servizi per i percorsi d’inclusione sociale e occupazionale CAF/Patronati Sono una delle possibili porte di accesso al Reis. In questo caso compilano e certificano la domanda del Reis, dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) e del reddito disponibile. Centri per l’Impiego (CpI) In accordo con gli Ambiti, progettano e realizzano i patti di servizio per i percorsi di attivazione per le persone abili al lavoro. Distretti socio-sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione Sono responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di integrazione sociale, sempre in accordo con gli Ambiti. Regioni Sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta (box 4.2); hanno quindi una funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale. Hanno poi uno spazio di responsabilità e di azione per favorire lo scambio di esperienze fra Ambiti, accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, svolgere attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate, favorire la diffusione di buone pratiche, documentare il procedere del Reis a livello regionale con un rapporto annuale. inoltre, compartecipare al finanziamento del Reis, innanzitutto rafforzando strutturalmente e sostenendo correntemente l’insieme dei servizi di sostegno della misura: di presa di carico, di inclusione sociale, di attivazione al lavoro. Rientrerà, infine, nelle loro competenze anche l’eventuale incremento dei trasferimenti monetari alle famiglie tramite l’innalzamento delle soglie di povertà nazionali. È, questa, peraltro, un’ipotesi che riteniamo ad un tempo poco probabile e poco opportuna. Poco probabile per i vincoli di finanza pubblica che costringono, e per un non breve lasso di tempo costringeranno, il nostro paese, quindi anche le singole Regioni. Poco opportuna, perché la proposta del Reis prevede soglie di povertà differenziate territorialmente – per ripartizione geografica e per dimensione del Comune –, in grado quindi di tenere ragionevolmente conto di disparità nel costo della vita. Piuttosto, per Regioni con discrete disponibilità finanziarie e propense a dedicarne una parte crescente all’area socio-assistenziale non mancano certo altri spazi per sviluppare un’azione ad un tempo equa ed efficace. Pagina 7 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO 4.4 LA STRUTTURA CENTRALE Già da questa traccia sul ruolo dei soggetti coinvolti nel Reis e nel welfare locale emerge un elemento di novità della proposta: combinare una convincente distribuzione di competenze fra centro e periferia, assicurando contestualmente una loro efficace interazione. Vediamo ora di completarla con indicazioni di larga massima, potremmo dire con prime sommarie ipotesi, sull’organizzazione rispettivamente della struttura centrale e di quella locale, nonché con una notazione sull’importanza di una piena collaborazione fra le due strutture. La struttura centrale può essere convenientemente articolata in un Comitato di gestione, una Consulta e in un’infrastruttura operativa. Comitato di gestione E’ costituito presso il Mlps. Il suo compito basilare è dirigere il processo di riforma delle misure di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis (e di continuare poi l’opera di manutenzione/miglioramento della misura). Di conseguenza è anche l’organo di supporto e consulenza del Ministro, che ne risponde in Parlamento. Quanto alla sua composizione, ne dovrebbero fare parte il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali, un alto dirigente del Mef, un alto dirigente dell’Inps, un rappresentante rispettivamente della Conferenza unificata Stato-Regione, dell’Anci e del Forum del Terzo Settore, il presidente della Struttura Unitaria di Valutazione (vedi il cap. 8), ed eventuali poche altre figure necessarie per il suo efficace funzionamento. Consulta Si riunisce di massima due volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della riforma e di fornire pareri sul modo col quale conviene procedere. Presieduta dal Ministro (o dal vice-ministro), dovrebbe comprendere i componenti del Comitato di Gestione; i Direttori Generali per i servizi del lavoro e per le politiche attive e passive del lavoro del Mlps; dirigenti di rilievo dei ministeri degli Interni, della Pubblica Istruzione e della Salute; alcuni rappresentanti delle Regioni e dell’Anci impegnati nel settore delle politiche sociali ed eventuali altre figure, comunque in misura tale che le esigenze di rappresentatività non vadano a scapito di quelle di capacità decisionale. Infrastruttura operativa centrale È costituita da dirigenti e personale tecnico di Mlps, Mef e Inps. In termini generali, essa presenta analogie con l’attuale infrastruttura per la Social Card, ma nello stesso tempo se ne differenzia decisamente. Da un lato, essa dev’essere fortemente potenziata nelle sue capacità di amministrazione del Reis, del quale diviene il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e di erogazione del trasferimento monetario. Dall’altro, deve configurarsi come un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis e più in generale del welfare locale, non soltanto per gli aspetti di erogazioni monetarie ma anche per l’offerta di servizi e per gli esiti di questi interventi (torneremo sull’argomento nel cap. 8). 4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale L’altro polo del Reis è costituito dai Comuni, che, largamente per il tramite dei CAF/Patronati, concorrono allo svolgimento della prova dei mezzi e sono poi il perno delle azioni d’inclusione sociale e di attivazione al lavoro dei beneficiari, nelle quali vengono coinvolti molti altri attori locali. Pagina 8 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO Ma come organizzare in maniera convincente, idonea a favorire un’azione efficiente degli enti locali, la moltitudine dei Comuni italiani: oltre 8.000, di dimensioni e capacità operative le più diverse? E come farlo nell’attuale, confuso contesto di discussione/decisione sui riassetti istituzionali, che coinvolge non solo Governo e Parlamento nazionale, ma anche le Province? L’idea base dalla quale prendiamo le mosse è quella di una ricomposizione dei Comuni in chiave associata, centrata sulle funzioni socio-assistenziali ma attenta anche alle necessarie interazioni con gli altri attori locali che abbiamo richiamato nella sez. 4.3 – scuole e istituti di formazione, CpI, distretti socio-sanitari, Terzo Settore –, il cui concorso è indispensabile per gran parte delle azioni di recupero sociale e al lavoro. Un ragionevole punto di partenza è dato dalla legge 328/2000 (all’art. 8, comma 3 lett.a)), che ha stabilito la determinazione, da parte delle Regioni, di «Ambiti territoriali [socio-assistenziali …] per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. […con] incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari»3. In tutte le regioni questi organismi sono stati costituti, sia pure con nomi diversi (Ambiti, Consorzi, Zone, ecc.), anche se con un affidamento ad essi delle funzioni socioassistenziali dei Comuni di varia dimensione. Operano comunque da anni e le loro potenzialità sono state sfruttate in BOX 2 – LA STRUTTURA DI GOVERNO DEL REIS A livello centrale: Il Comitato di gestione è costituito presso il Mlps col compito di dirigere il processo di riforma delle misure di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis, e di continuare poi, al massimo livello, l’opera di manutenzione/miglioramento della misura. La Consulta comprende i membri del Comitato di gestione e rappresentanze di altri Ministeri coinvolti, delle Regioni e dell’Anci. Rappresentativa ma non pletorica, si riunisce di massima due volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della riforma e di fornire pareri sul modo col quale conviene procedere. L’infrastruttura operativa centrale Mlps-Inps (i) è il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e di erogazione del trasferimento monetario e (ii) realizza un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per l’offerta dei vari servizi e per i loro esiti. A livello locale: L’Ambito territoriale socio-assistenziale (che gestisce tali servizi in forma associata per conto dei Comuni che ne fanno parte) è maglia territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale: in un’ottica interna, coordina gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa critica e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione nei compiti che svolgono; nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che lo rende interlocutori adeguato degli altri attori locali presentati nel Box 4.1. In ogni Ambito è individuato un Comune capofila, con funzioni e poteri di coordinamento. In ogni Ambito è costituito uno snello Gruppo di coordinamento, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, fanno parte rappresentanti dei CAF/Patronati, dei CpI dei Distretti sociosanitari, della rete di scuole e istituzioni formative regionali, e del Terzo Settore. Esso è essenziale perche essi operino in modo coordinato ed efficace nel progettare e realizzare gli interventi di integrazione sociale e di attivazione al lavoro. misura variabile, in alcuni casi in modo apprezzabile, nei diversi territori. Essi hanno una maglia territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale, sotto un duplice profilo: 3Va da sé che per Comuni con dimensione demografica abbastanza grande l’Ambito coincide col Comune, salva al più l’inclusione di piccoli comuni di cintura. Pagina 9 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO - in un’ottica interna, coordinano gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa critica, “lavorano insieme” e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione nei compiti che svolgono; - nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che li rende interlocutori adeguati degli altri attori locali appena richiamati. Palesemente, non hanno problema alcuno a interloquire con scuole e istituti di formazione, che tipicamente sono presenti entro il territorio degli Ambiti. Inoltre, il grado di sovrapposizione territoriale di Ambiti, Distretti socio-sanitari e CpI è notevole e ne agevola l’interazione. Una ricerca condotta da Monti e Dusio (2013) fornisce dati di sicuro interesse. Restando alle evidenze essenziali, il tasso di sovrapposizione dei bacini di utenza di Ambiti socio-assistenziali e Distretti socio-sanitari è molto alto, mediamente dell’80%, nel senso che l’80% dei Distretti socio-sanitari ha un ambito territoriale che coincide con quelli degli Ambiti socio-assistenziali (vedi Tab. 1). TABELLA 1 - TASSO DI COINCIDENZA DELL’AMBITO TERRITORIALE DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI CON GLI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI Ripartizione geografica Tasso di coincidenza (%) Nord-Est 77,9 Nord-Ovest 72,4 Centro 96,7 Sud e isole 77,7 Italia 80,0 Fonte: Bellentani et al. (2011), pag. 31.Dati riferiti a 678 Distretti su 711; indagine del 2010. Inoltre, l’esame delle rispettive mappe territoriali in 5 regioni – Piemonte, Emilia-Romagna, Marche, Lazio e Puglia – rivela che le differenze sono inesistenti (Emilia-Romagna e Marche) o comunque contenute (vedi Tab. 2). Più variegata è la situazione se si guarda alla sovrapposizione delle mappe fra Ambiti e CpI, che resta comunque soddisfacente. La differenza è molto ridotta in Puglia e Piemonte (una volta che per il Piemonte si tenga conto delle 21 sedi decentrate dei CpI). È più marcata in Lazio e soprattutto elle Marche, dove la dimensione territoriale dei CpI è decisamente maggiore. L’opposto accade, invece, in Emilia-Romagna, ove i CpI sono più numerosi,quindi più distribuiti, che non gli Ambiti. TABELLA 2 - NUMERO DI AMBITI, DISTRETTI E CPI IN 5 REGIONI Regione Ambiti Distretti CpI Piemonte 65 (55 + 10 a Torino) 58 (48 + 10 a Torino) 30 (+ 21 sedi decentrate) Emilia-Romagna 38 38 46 Marche 23 23 13 Lazio 55 55 27 Puglia 45 49 44 Fonte: elaborazioni su dati di Monti e Dusio (2013). Pagina 10 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO In via esemplificativa, un’interessante visualizzazione è fornita dalle Figg. 1 e 2, che presentano rispettivamente la sovrapposizione delle mappe dei Piani di Zona (ovvero degli Ambiti) e dei Distretti socio-sanitari del Lazio e dei Consorzi socio-assistenziali (ovvero degli Ambiti) e dei CpI del Piemonte. La nostra scelta di massima è, dunque, quella di individuare gli Ambiti territoriali socioassistenziali come i soggetti locali responsabili della gestione del Reis. Tipicamente, poi, ad ogni Ambito corrisponde un Comune capofila (così, ad esempio, formalmente in Friuli Venezia Giulia e in Puglia, ma sostanzialmente ovunque). Se fosse necessario istituzionalizzare tale figura, si può prevedere che le Regioni vi provvedano sollecitamente, sentiti i Comuni interessati. Il numero e la distribuzione degli Ambiti (così come dei Distretti) per Regione non sono facili da determinare, perché sono soggetti a non infrequenti variazioni nel tempo da parte delle Regioni stesse. I dati, per molte Regioni aggiornati, sono riportati nella Tabella 3: complessivamente, gli Ambiti socio-assistenziali sfiorano i 760. Laddove possibile sulla base delle risorse interne, l’Ambito provvederà direttamente alla progettazione dei percorsi d’inclusione sociale, mentre coinvolgerà i Centri per l’impiego per l’inclusione lavorativa. È dunque l’Ambito – eventualmente con la collaborazione di altri attori sociali che si riveli necessario o opportuno, coinvolgere – che inizialmente opera la partizione (reversibile) fra famiglie/persone che abbisognano di percorsi di integrazione sociale, persone in età lavorativa ed abili al lavoro e, per residuo, famiglie che necessitano solo del trasferimento monetario. Per un efficace funzionamento del Reis, larga parte dei progetti di integrazione sociale e certamente i programmi di attivazione al lavoro (nonché la documentazione dei loro esiti) richiederanno peraltro il concorso di altri attori locali. Servirà quindi la creazione di uno snello “Gruppo di coordinamento”, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, facciano parte rappresentanti dei CAF/Patronati, dei Distretti socio-sanitari, della rete di scuole e istituzioni formative regionali, dei CpI e del Terzo Settore. Rispetto alla maglia territoriale omogenea costituita dagli Ambiti va considerata con attenzione l’opportunità di ammettere l’eccezione per aree sostanzialmente “provinciali” – e istituzionalmente col rango di Regione a statuto speciale –, rappresentate dalla Valle d’Aosta e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. Aspetto tutt’altro che trascurabile, queste tre Regioni hanno già una misura di contrasto della povertà prossima al Reis, che funziona piuttosto bene. Pagina 11 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO FIGURA 1 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI PIANI DI ZONA ( AMBITI) SOCIOASSISTENZIALI E DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI DEL LAZIO Pagina 12 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO FIGURA 2 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI CONSORZI ( AMBITI) SOCIOASSISTENZIALI E DEI CENTRI PER L’IMPIEGO DEL PIEMONTE Pagina 13 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO ABELLA 3 – NUMERO DI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI E DI DISTRETTI SOCIO-SANITARI NELLE REGIONI Regioni Fonti: Distretti socio-sanitari Ambiti socio-assistenziali Piemonte 58 65 Valle d’Aosta 4 5 Lombardia 81 98 P.a.di Bolzano 20 20 P.a.di Trento 13 16 Veneto 50 50 Friuli Venezia Giulia 20 19 Liguria 19 71 Emilia Romagna 38 38 Toscana 34 34 Umbria 12 12 Marche 23 23 Lazio 55 55 Abruzzo 25 35 Molise 7 7 Campania 72 42 Puglia 49 45 Basilicata 11 7 Calabria 35 35 Sicilia 62 55 Sardegna 23 25 Italia 711 757 per i Distretti Belentani et al. (2011), pag. 31: dati riferiti ai 711 distretti esistenti al 31.12.2009; per gli Ambiti Monti e Dusio (2013),esclusi Veneto e Calabria; per queste ultime due Regioni dati tratti da Pesaresi (2008), pag. 8, riferiti al 2005. 4.6 LA COLLABORAZIONE FRA LE DUE STRUTTURE La collaborazione fra la struttura centrale, in particolare quella operativo-informativa incentrata sull’Inps e la struttura locale rappresentata dagli Ambiti è un tassello cruciale per il buon esito del Reis. Essa verte:(a) sul vaglio iniziale e il controllo corrente dei requisiti di ammissibilità; (b) sull’arricchimento del sistema informativo centrale di gestione delle erogazioni monetarie con la documentazione sugli interventi di attivazione e di sostegno sociale e i loro esiti; (c) sulla conseguente accessibilità dei Comuni al sistema informativo centrale, in relazione ad entrambi i punti precedenti. Questi aspetti sono prossimi all’attività di documentazione e monitoraggio: sono trattati pertanto nel capitolo 8. Pagina 14 4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO 4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze In caso di gravi inadempienze degli Ambiti, da “tipizzare” convenientemente anche sulla base di ormai consolidati standard utilizzati in relazione ai Fondi strutturali dell’Unione europea (ad es. inadeguata attività istruttoria per l’ammissibilità al Reis, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei trasferimenti monetari per i beneficiari, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei fondi per i servizi da attivare a livello locale, inadempienza rispetto ad impegni assunti rispetto al monitoraggio e alla valutazione dell’intervento), va previsto un tempestivo intervento sostitutivo dello Stato. A differenza di quanto avvenuto in almeno una circostanza nel corso della «sperimentazione» del reddito minimo di inserimento, dove l’intervento dello Stato, tramite il Prefetto, è consistito nella chiusura della «sperimentazione» nel Comune inadempiente, per il Reis l’intervento dello Stato deve essere volto ad assicurarne il proseguimento con modalità consone. La soluzione che ci pare preferibile, se non addirittura necessaria, è la nomina, da parte del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di un commissario ad acta. Proprio in ragione delle inadempienze che portano a tale nomina, inadempienze che rivelano un mix di inefficienza e di comportamenti incoerenti con le finalità del Reis – forse al limite del fraudolento –, è indispensabile che il commissario sia persona di provata competenza e autorevolezza, sia esterno alla regione ove si trova l’Ambito commissariato e possa rivolgersi al Comitato di Gestione da un lato e alla Struttura Unitaria di Valutazione (di cui si tratta nel capitolo 8) dall’altro, rispettivamente per il necessario supporto e per suggerimenti di natura tecnico-scientifica. Pagina 15 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) L’ACCESSO E LA PRESA IN CARICO Il Reis è una misura integrata, mix di denaro e servizi, non una card per l’acquisto di beni di consumo; mira ad alleviare la condizione di povertà delle famiglie, promuovendo l’inclusione sociale e/o lavorativa dei componenti, secondo la logica del welfare attivante. Sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi; il suo accesso non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, in quanto la selezione dei potenziali beneficiari avverrà già in base alla condizione economica. La funzione di accesso del Reis sarà svolta da Comuni (Associati in forma di Ambito) CAF, Patronati o Terzo Settore, sulla base della scelta dei Comuni. Sarà definito un sistema comune di accreditamento che prevedrà, tra l’altro, una idonea formazione dei rispettivi operatori e l’utilizzo di un sistema informativo unico. Tutti i potenziali beneficiari della misura, già all’atto della presentazione della domanda, saranno chiamati a sottoscrivere il proprio impegno (‘patto preliminare’) rispetto all’utilizzo del denaro e a garantire stili di vita e regole di comportamento di buona cittadinanza. I beneficiari ammessi al Reis, ultra 65enni, anche se già beneficiari di pensione sociale, soli o con coniuge ma senza altre fragilità oltre il disagio economico, non sottoscriveranno ulteriori impegni e riceveranno solo il contributo economico. I beneficiari di età inferiore a 65 anni o ultra 65enni con membri familiari più giovani e/o con particolari e ulteriori fragilità saranno convocati presso i servizi sociali comunali/Terzo Settore per un incontro/colloquio di valutazione multidimensionale delle condizioni del nucleo familiare, sulla base del quale si opererà una distinzione (reversibile) fra: persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento lavorativo, persone bisognose di un percorso di inserimento sociale, socio-sanitario o socio-educativo. Alla luce di queste valutazioni sarà definito un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e proprio ‘programma di presa in carico’, sottoscritto dalle parti interessate (beneficiari e servizi). 5.1 L’INFRASTRUTTURA NAZIONALE PER IL WELFARE LOCALE È il Governo nazionale, innanzitutto, ad essere chiamato in causa per la traduzione della nostra proposta nella realtà. In quanto livello essenziale delle prestazioni sociali, infatti, una nuova misura di contrasto alla povertà ispirata ai principi dell’universalismo dev’essere impostata a livello centrale ed opportunamente declinata ai diversi livelli di governo, in coerenza con quanto sancito dalla legge 328/00 e dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Nell’impostazione del Reis, il ruolo dello Stato è tanto decisivo quanto precisamente delimitato. Quest’ultimo, infatti, ha la responsabilità di introdurre il diritto al Reddito d’inclusione sociale per tutte le famiglie in povertà assoluta, definendone i criteri di accesso, e di assicurare i relativi finanziamenti. Oltre a ciò, è compito dello Stato indicare poche regole – specificate in modo chiaro – per l’azione dei servizi a livello locale: le illustrano presente capitolo e il prossimo. Dopodiché si lascia un Pagina 1 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) ampio spazio di autonomia ai territori nella determinazione degli aspetti applicativi, in modo che questi ultimi possano essere adattati al contesto sociale, politico ed economico di riferimento. Complessivamente, il compito dello Stato consiste nel costruire l’ “infrastruttura nazionale per il welfare locale”, cioè attivare quell’insieme di elementi capaci di mettere gli enti locali e gli altri soggetti impegnati sul territorio nella situazione migliore possibile per offrire un Reis di qualità e “vestito” sulle caratteristiche del contesto locale. Detto altrimenti, più che (spesso irreali) prescrizioni lo Stato deve fornire ai territori le condizioni che offrano loro le migliori possibilità effettive di costruire interventi. L’infrastruttura nazionale si compone di: − il diritto al Reis per tutte le famiglie in povertà, definendo i criteri di accesso (cfr.cap.3) e il relativo finanziamento (cfr. cap 9), − poche regole per l’operato dei soggetti impegnati nel contesto locale (cfr. questo capitolo e il prossimo) − un sistema di monitoraggio e valutazione che permetta di imparare dall’esperienza e di rendere quanto appreso effettivamente fruibile per chi opera localmente (cfr. cap. 8), − un insieme di azioni e strumenti capaci di accompagnare i territori nel proprio sforzo (favorire lo scambio di esperienze fra Enti Locali, anche con iniziative sistematiche di incontro/confronto; accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, segnatamente tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate e così via) (cfr. cap 4) − interventi sostitutivi in caso di inadempienze gravi (ad esempio grandi ritardi nell’utilizzo dei fondi Reis o loro dirottamente su altri impieghi) in modo da tutelare i cittadine delle aree colpite (cfr. cap. 4). Come mostra il capitolo 4, le Regioni hanno vari compiti di affiancamento dello Stato nel mantenimento dell’infrastruttura, con particolare riferimento ai punti c) e d), ma non solo. Alla base dell’impostazione prescelta si trovano due considerazioni. Primo, le politiche pubbliche possono avere successo solo se risultano duttili rispetto alle diverse realtà territoriali: non si può correre il rischio che queste ultime siano soverchiate dall’onere di rispettare norme eccessivamente dettagliate, perdendo di vista l’obiettivo di fondo. Una cornice normativa essenziale non solo evita di appesantire il lavoro già oneroso degli Enti Locali e degli altri soggetti cui è affidata la realizzazione della policy ma gli dà valore. La logica del Reis, infatti, mira a rendere gli attori territoriali non meri esecutori di politiche top-down (“dall’alto verso il basso”), ma vuole valorizzare le loro capacità di fare sistema in vista di un obiettivo comune, divenendo così protagonisti bottom-up (“dal basso verso l’alto”) e, dunque co-registi dell’azione locale. Secondo, dare priorità all’autonomia dei territori non significa affatto abbandonarli a se stessi, bisogna anzi superare questo utilizzo improprio del concetto di autonomia, che è stato diffuso in anni recenti come artificio retorico per giustificare il sostanziale disinvestimento dello Stato dal sociale. Assegnare autonomia, invece, vuol dire mettere i territori nelle migliori condizioni di compiere le proprie scelte, senza però interferire con esse, ovviamente nella misura in cui queste si realizzino nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini. Nel presente capitolo tratteremo nel dettaglio il percorso che i nuclei familiari dovranno seguire per accedere alla misura, nonché la successiva presa in carico da parte del sistema dei servizi sociali, laddove prevista. Sarà quindi chiaro, alla fine, quale organizzazione è disegnata per la misura, quali soggetti sono coinvolti e in che modo. Anche il capitolo successivo sarà dedicato al welfare dei servizi, ma approfondirà nello specifico gli aspetti relativi ai percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le regole di condizionalità e il sistema dei controlli. I due capitoli, dunque, illustrano il quadro delle regole Pagina 2 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) nazionali per il welfare locale e muovono naturalmente dalle stesse premesse di partenza, quelle qui enunciate. 5.2 UN MIX DI PRESTAZIONI MONETARIE E SERVIZI La proposta del Reis nasce da più di dieci anni di osservazione e studio delle misure di contrasto alla povertà, a partire dalla sperimentazione nazionale del Reddito Minimo d’Inserimento1, passando per le esperienze regionali con un epilogo più o meno felice2, per arrivare alla Social Card (SC) del 20083 e all’attuale Nuova Social Card (NSC)4 introdotta in via sperimentale nel secondo semestre del 2013 nelle maggiori città italiane. In particolare, il recente dibattito ha messo in forte dubbio che una “card” riservata all’acquisto di beni di consumo sia preferibile ad una semplice erogazione monetaria quale misura di contrasto alla povertà, per diverse ragioni che di seguito elenchiamo. Innanzitutto, la carta impone al beneficiario di esibire la sua condizione di povertà nei luoghi dove va utilizzata per l’acquisto dei beni previsti; questi luoghi spesso sono quelli della vita quotidiana, ad esempio il supermercato sotto casa. Il possibile stigma, cioè la paura di essere in qualche modo disapprovati socialmente o – peggio – ‘marchiati’ come poveri, può generare una sorta di auto-selezione dei potenziali beneficiari della misura, come è accaduto ad esempio nell’utilizzo della carta acquisti, rifiutata da molti anziani che pure avevano i requisiti per fruirne. A tal proposito, può essere utile ricordare che diversi Comuni non hanno scientemente attuato la disposizione che prevedeva la pubblicazione di “albi” nominativi dei beneficiari di assistenza economica comunale5. La seconda ragione consiste nel fatto che una carta pre-pagata e con un preciso vincolo d’uso vanifica il principale vantaggio dell’utilizzo del denaro, ossia la sua fungibilità. Ad esempio la carta acquisti (sia SC sia NSC) può essere utilizzata solo per le spese alimentari presso esercizi commerciali convenzionati o può consentire di pagare le utenze domestiche (gas ed elettricità) presso gli Uffici Postali. I tito- 1 Il Reddito Minimo di Inserimento, introdotto in via sperimentale con il D.lgs 237/98, è una misura di contrasto della povertà che si basa su due elementi: un'erogazione monetaria e la partecipazione a programmi di reinserimento sociale. La sperimentazione, limitata a 39 Comuni nel biennio 1999-2000, venne poi estesa per una seconda fase ad altri 267 Comuni dal 2001 al 2003. Per un approfondimento dei principali risultati della sperimentazione nazionale si rimanda a Ranci Ortigosa E., Mesini D., 2002 e Saraceno, 2002. 2 Si fa riferimento ad esempio al Reddito di Cittadinanza campano (LR n.2/2004) e al più recente Reddito di Base per la Cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (LR n.6/2006, art. 59). 3 La Social Card o carta acquisti, introdotta con il D.lgs 112/2008 (convertito, con modificazioni, con la legge del 6 agosto 2008 n. 133, articolo 81, comma 32), è una tessera anonima, simile ad una normale carta di credito, concessa dallo Stato a coloro che versano in situazioni di disagio sociale ed economico per l'acquisto di alimenti e più in generale di prodotti di prima necessità, di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e per il pagamento delle bollette di luce e gas. La Social Card ha una disponibilità economica di € 40,00 mensili e può essere utilizzata per effettuare i propri acquisti in tutti i negozi abilitati. È rivolta in particolare ad anziani e famiglie con figli sotto i 3 anni. 4 La Nuova Social Card o Social Card Sperimentale, introdotta con Decreto Interministeriale del 10 gennaio 2013 n.102, è una carta acquisti in via di sperimentazione nelle 12 maggiori città italiane e rivolta alle famiglie povere con minori. Tale carta affianca la Social Card ordinaria, senza possibilità di sovrapposizione: i beneficiari della carta acquisti ordinaria devono rinunciarvi, limitatamente al periodo di sperimentazione, se vogliono beneficiare della nuova. 5 Ci si riferisce qui all’Albo prescritto dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 118 e precisamente agli articoli 1 e 2. Pagina 3 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) lari della carta acquisti non possono in alcun modo ‘spenderla’ presso altri negozi o per altre finalizzazioni, quali ad esempio la copertura di parte dell’affitto, l’abbonamento al trasporto pubblico o la mensa scolastica dei figli. Vero è che il rischio di fornire denaro contante a persone fragili e spesso incapaci di utilizzarlo se non in maniera impropria (ad esempio per l’acquisto di alcool o sostanze, a scapito del soddisfacimento di bisogni primari quali cibo e abbigliamento) è effettivo; nel caso gli operatori dei servizi potrebbero valutare se per segmenti molto circoscritti di utenza non sia più opportuno trasformare il contributo monetario spettante in una carta. In generale comunque possibili usi impropri del denaro andranno sicuramente fronteggiati con una forte condizionalità nell’utilizzo del trasferimento monetario e quindi nella sottoscrizione di precisi impegni ed obblighi da parte del beneficiario. Un’altra motivazione a sfavore della formula ‘card’ è che un voucher mal si presterebbe ad una progressiva ricomposizione delle misure categoriali attualmente orientate al sostegno ai poveri, che la nostra proposta mira a perseguire. La gestione di un voucher implica inoltre rilevanti costi dedicati, sia di investimento nel sistema che la produce che di gestione corrente e manutenzione, che potrebbero essere gradualmente eliminati trasformando la forma dell’erogazione. Da ultimo si aggiunga il fatto che in tutti i sistemi di welfare europeo che hanno attivato delle politiche di contrasto alla povertà si prevedono dei trasferimenti monetari abbinati a percorsi di attivazione più o meno stringenti, ma in nessun caso carte acquisti pre-pagate. Se è vero, come fin qui sostenuto, che l’erogazione monetaria è in generale preferibile ad una “card”, è anche vero che essa da sola non può costituire una misura efficace per contrastare la povertà. A questo proposito il dibattito degli ultimi anni ha sottolineato l’esigenza di prevedere oltre al sostegno economico anche percorsi di inclusione sociale e lavorativa, secondo un approccio volto alla valorizzazione e attivazione delle capacità dei beneficiari. La NSC prevede già, in effetti, che una buona parte dei fruitori dello strumento sia coinvolta in percorsi di questo tipo. Sul solco di questa esperienza, la nostra riforma intende abbinare al contributo monetario, per quanto possibile, progetti di attivazione dei beneficiari mirati ad alleviare le situazioni di povertà agendo non solo sulle condizioni di vita, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno provocate. In altre parole, si tratta di accompagnare la prestazione monetaria a specifici servizi (sociali, educativi, formativi, lavorativi) che siano promozionali ed incentivanti per i beneficiari e li portino gradualmente ad affrancarli dalla povertà. La necessità di combattere la povertà attraverso un mix di denaro e servizi è condivisa da tutti gli esperti, in Italia (ad esempio Ranci, Mesini, 2012; Caritas, Fondazione Zancan, 2012; Campiglio, Rovati, 2009) come a livello internazionale (Immervol, 2012), e suggerita dalle istituzioni comunitarie6. Si tratta, peraltro, della strada seguita nel resto d’Europa. In generale la maggior parte dei Paesi aderisce alla logica dell’inclusione attiva condizionando l’erogazione monetaria a obblighi di comportamento e (per gli abili al lavoro) di attivazione lavorativa più o meno stringenti. Occorre tenere conto, tuttavia, delle possibilità di attuazione reali di tali comportamenti richiesti e controprestazioni, che dipendono sia dalle potenzialità dei beneficiari a cui si rivolgono, sia dai diversi contesti nazionali (si 6 Tra le altre si ricordano la Raccomandazione Commissione Europea del 3 ottobre 2008 e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 6 maggio 2009, sull’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro; da ultima la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2010, che ha proposto l’introduzione di sistemi di reddito minimo in tutti gli Stati membri dell’Unione per combattere la povertà. Pagina 4 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) pensi in particolare al sistema dei servizi e al mercato del lavoro, che scontano oltretutto gli effetti dell’attuale congiuntura economico-finanziaria). Nella tab. 1 si propone uno schema di sintesi delle principali caratteristiche del Reis. TABELLA 1 - LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL REIS Elimina il rischio di stigma Consente un libero utilizzo (fungibilità del denaro) È un’erogazione monetaria, non un voucher Permette un risparmio dei costi di produzione/gestione del voucher Renderà possibile la progressiva ricomposizione di altre misure contro la povertà È di importo variabile, non a cifra fissa L’integrazione spettante è pari alla differenza tra reddito disponibile e soglia di povertà assoluta, dunque correlata all’effettivo disagio economico del nucleo È una misura integrata, con interventi e servizi di attivazione Mira alla responsabilizzazione del beneficiario nella direzione della sua progressiva autonomizzazione Prevede percorsi di re-inclusione sociale e/o lavorativa, attuati dai soggetti territoriali 5.3 ACCESSO E PRESA IN CARICO 5.3.1 La porta di accesso alla misura La nuova misura sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi. La sua pubblicizzazione avverrà innanzitutto tramite lo sforzo congiunto dei Comuni (associati in forma di Ambito territoriale) e dei vari soggetti del Terzo Settore, nelle loro occasioni di rapporto con il pubblico dei potenziali beneficiari. In questa fase informativa iniziale avranno un ruolo fondamentale anche le organizzazioni del Terzo Settore, che attraverso la loro rete capillare sul territorio potranno contribuire in modo significativo ad attrarre i ‘falsi negativi’7 (le persone senza fissa dimora in particolare, ma anche tutti i soggetti fragili che i servizi sociali intercettano con maggiore difficoltà, come in qualche caso avviene con gli anziani soli). L’attenzione ai falsi negativi, cioè i soggetti che pur possedendo i requisiti non presentano domanda per accedere alla misura, è un elemento innovativo della nostra proposta. Dal 1999 ad oggi, infatti, in nessuna misura di contrasto alla povertà abbiamo trovato attività mirate a individuare tali soggetti. L’attenzione posta invece su questo tema in altri Paesi (per una meta-analisi della letteratura si veda Bargain et al., 2012) sollecita un intervento per colmare questo vuoto (Spano, Trivellato, Zanini, 2013). L’accesso alla nuova misura non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, cioè sarà diretto, non contingentato e la domanda per accedervi potrà essere presentata in qualsiasi momento dell’anno. La prima ragione di questa scelta è che non vi è necessità alcuna di razionamento dei potenziali beneficiari, pertanto la selezione avverrà semplicemente in base alla soglia di accesso. Inoltre pressoché nessuna delle misure esistenti contro la povertà, sia locali (assistenza economica dei Comuni) sia nazionali (assegni sociali, bonus energia, SC, ecc.), che oltretutto si intende progressivamente riassorbire nel Reis, è attivata tramite bando. L’unica prestazione che lo prevede è il contributo per l’affitto, il cui accesso ha evidenziato tuttavia rilevanti criticità sia in termini gestionali- 7 Con questo termine si intendono i potenziali beneficiari che, pur avendo i requisiti per esservi ammessi, rimangono esclusi dall’intervento per qualche motivo. Pagina 5 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) organizzativi sia di tempestività nella risposta agli effettivi bisogni. Per queste ragioni anche la maggior parte dei Comuni coinvolti nella nuova NCS ha deciso di non utilizzare questa modalità per la fase sperimentale. L’accesso al ReIS consisterà essenzialmente in un colloquio con l’operatore appositamente incaricato mediante in quale verrà approfondita l’istanza da parte del cittadino e valutati i requisiti di ammissibilità per accedere al beneficio. La porta di accesso alla nuova misura sarà rappresentata dai Comuni in forma associata, eventualmente supportati da altri soggetti (es. CAF, Patronati, Terzo Settore) abilitati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed appositamente accreditati dalle Regioni, sulla base di un sistema nazionale di accreditamento. I requisiti essenziali da garantire ai fini dell’accreditamento saranno nello specifico: − la dotazione di una struttura organizzativa idonea, che può parzialmente variare a seconda del contesto territoriale; − l’utilizzo del sistema informativo unico per la gestione della misura; − la presenza di personale qualificato per svolgere le mansioni sia amministrative sia di orientamento e informazione dei potenziali beneficiari. Riguardo al punto 2, in particolare, si fa riferimento all’obbligo di utilizzare l’infrastruttura informativa centralizzata che sarà prevista quale strumento chiave di gestione della misura (cfr. Cap. 8). Tale flusso informativo, cui potranno accedere tutti i soggetti che entreranno in contatto con la misura, conterrà in particolare tutta la documentazione presentata dal richiedente in fase di accesso, oltre che lo stato di avanzamento della domanda e gli esisti di verifiche e controlli. In relazione al punto 3, invece, la struttura di primo accesso avrà l’obbligo di svolgere, oltre alle funzioni amministrative, anche una funzione informativa e di orientamento rispetto al percorso relativo al Reis, oltre che sull’intera gamma di possibili prestazioni che il cittadino può ricevere, in aggiunta alla misura, anche se deve chiederle in una sede diversa. Lo svolgimento di questa funzione è indispensabile al fine di colmare l’attuale carenza informativa del nostro sistema di welfare, che si ripercuote soprattutto sui soggetti più fragili e ai margini, tipicamente a maggior rischio di isolamento. La nostra riforma mira perciò a valorizzare il servizio di informazione e orientamento, prevedendo una formazione ad hoc degli operatori nonché strumenti che lo rendano concretamente possibile. Come si delineerà meglio più avanti (Cap. 8, appendice A), uno strumento utile potrebbe essere un catalogo strutturalmente dinamico delle misure di contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato con l’obiettivo di aiutare gli operatori a: − conoscere con facilità e con costante aggiornamento la mappa delle diverse prestazioni che sono disponibili, ovunque, per i cittadini; − trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere. Nella pratica tale strumento dovrebbe consentire di ottenere in modo diretto, inserendo a sistema le caratteristiche della famiglia, un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, incluse le informazioni dedicate alle modalità con cui richiedere gli interventi (“come, dove e quando”). Un database unico, aggiornato e interrogabile ad hoc è funzionale rispetto allo scopo informativo sui servizi al cittadino, che sono variabili nel tempo così come rispetto ai destinatari cui di volta in volta si rivolgono. Pagina 6 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) TABELLA 2 – FAVORIRE L’ACCESSO AI SERVIZI A CHI HA PIÙ BISOGNO Azioni Soggetti coinvolti 1. Intercettare chi ha bisogno ma è isolato rispetto ai servizi/Reis Terzo Settore 2. Informare e orientare i potenziali beneficiari del Reis su tutti i servizi Soggetto responsabile dell’accesso (Comune, eventualmente coadiuvato da Terzo Settore, CAF o Patronato) Quando Modalità di intervento Nell’attività ordinaria Pubblicizzare il Reis, accompagnare la persona a fare domanda, informare sulle altre prestazioni cui può accedere. Nella fase di accesso e presentazione della domanda Fornire informazioni e orientare il richiedente su tutti i servizi cui può accedere, anche se occorre fare domanda presso una sede diversa. La porta di accesso alla misura sarà come già detto costituita dai Comuni associati, eventualmente supportati da altri soggetti territoriali. Occorre infatti considerare che i territori presentano risorse e soggetti estremamente diversificati. Ad esempio: alcune associazioni di Comuni sono più efficienti di altre; presso alcuni Comuni esistono degli sportelli INPS, presso altri no; i CAF e i Patronati non si trovano ovunque e così via. Sembra dunque opportuno prevedere la possibilità che il primo accesso avvenga non solo presso i Comuni associati, i soli di fatto ad averne la titolarità giuridica; ove i Comuni lo riterranno sostenibile e perseguibile, sarà infatti lasciata loro la possibilità di essere supportati negli accessi anche da altri soggetti privati, purché a ciò appositamente accreditati. In questo modo si potrà, se ritenuto opportuno, evitare di sovraccaricare gli Ambiti con ulteriori oneri amministrativi. Presso i soggetti responsabili dell’accesso avrà luogo la presentazione dei documenti necessari per la compilazione della dichiarazione ISEE e del reddito disponibile. Gli assistenti sociali dei Comuni provvederanno anche al calcolo dell’indicatore di controllo sui consumi, predisposto sul modello trentino (cfr. Cap 3), sulla base delle informazioni e autocertificazioni fornite. La compilazione di questi documenti sarà coadiuvata da applicativi ad hoc. Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono al Patronato per fare domanda di pensione di invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tale ente anche per richiedere il Reis, al fine di evitare di sovraccaricarle con iter eccessivamente lunghi e onerosi. Ai soggetti responsabili dell’accesso alla misura spetterà anche l’essenziale controllo di composizione della famiglia anagrafica, che potrà avvenire, tramite la consultazione delle anagrafi comunali, progressivamente integrate in un’anagrafe unitaria esistente presso l’ISTAT8. Per legge anche le persone senza fissa dimora devono essere registrate presso le anagrafi comunali, attraverso l’attribuzione di una residenza fittizia (legge 15 luglio 2009, n. 94). In realtà, non tutti i Comuni sono stati solerti nel 8 Dal punto di vista normativo sono già state attivate varie indicazioni sia per rendere interoperabili le anagrafi comunali con altri soggetti (pubblici), sia per costruire una anagrafe unitaria presso il Ministero degli Interni alimentata correntemente dalle anagrafi locali (DL 18 ottobre 2012 , n. 179 (art 2), pubblicato nel supplemento ordinario n. 194/L alla Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2012, n. 245, coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, recante: «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese»). Questo decreto istituisce l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), che si prevede subentrerà completamente alle anagrafi comunali entro il 31/12/2014. L’accesso all’ANPR sarebbe aperto alle PA e a tutti gli organismi che erogano pubblici servizi. Al fine di superare i vincoli del Garante sulla Privacy, l’unica strada percorribile appare il fatto che sia la norma che istituisce la prestazione a definire anche il sistema per erogarla, includendo appunto l’accesso alle anagrafi da parte di tutti gli attori che concorrono alla gestione, individuati con formale procedura come accreditati/concessionari per svolgere una funzione pubblica. La vicenda dell’anagrafe unitaria è ancora in divenire dunque la reale possibilità di utilizzo ai fini del Reis non si può, allo stato attuale, dare ancora per certa. Pagina 7 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) mettere in atto questa norma, pertanto si prevede, in vista dell’introduzione del Reis, di fare un’opportuna sollecitazione a livello nazionale/regionale nei confronti dei Comuni inadempienti (cfr. Cap. 3). 5.3.2 Il percorso di accesso Contestualmente alla presentazione della domanda tutti i potenziali beneficiari saranno tenuti a sottoscrivere il ‘patto preliminare’, ovvero un accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia richiedente il Reis e l’operatore del soggetto abilitato all’accesso, contenente l’assunzione di responsabilità del beneficiario nei confronti delle regole di ‘buona cittadinanza’, quali ad esempio il pagamento delle utenze domestiche o l’obbligo di mandare i figli a scuola, configurando così una condizionalità “di base”. Lo scopo essenziale di questo patto (la cui rottura comporta delle sanzioni: vedi cap. 6.3.2) è una prima forte responsabilizzazione dei destinatari del Reis (si pensi, appunto, all’impegno all’obbligo scolastico), così da porre le basi di un accordo fra beneficiario e soggetto pubblico. La stipula del patto preliminare è condizione necessaria e sufficiente per l’erogazione del Reis nel caso dei beneficiari che abbiano raggiunto l’età pensionabile (ultra 65enni), soli o con coniuge, non portatori di altre fragilità oltre il disagio economico9. Per queste persone infatti l’erogazione monetaria potrà partire subito dopo le verifiche sui requisiti di accesso, pertanto tale patto sarà già da considerarsi ‘definitivo’. Nel caso in cui invece l’anziano vivesse con persone più giovani o si riscontrassero particolari fragilità oltre al disagio economico, i nuclei in questione seguirebbero un percorso di vera e propria presa in carico da parte dei servizi sociali, attraverso colloqui successivi. La scelta di non prevedere per tutti i beneficiari un possibile successivo passaggio presso i servizi sociali è legata a considerazioni di realismo: i servizi comunali rischierebbero un eccessivo carico di lavoro, anche in considerazione delle difficoltà oggettive che gli operatori incontrerebbero nell’offrire percorsi di inclusione a persone difficilmente reinseribili, soprattutto dal punto di vista lavorativo. Si sottolinea in ogni caso come per queste persone il Reis non si esaurisca alla sola erogazione monetaria, dal momento che, come sopra detto, in fase di accesso riceveranno un servizio di informazione e orientamento su tutti i servizi cui possono accedere. L’obiettivo è perciò quello di accompagnare la persona nella valutazione della propria condizione di bisogno e nella selezione dei servizi cui rivolgersi, perché non si trovi sola e, come spesso succede, incapace di orientarsi. Per facilitare il riconoscimento di eventuali fragilità, come l’abuso di sostanze alcoliche o la dipendenza da gioco, sarà possibile, in fase di accesso, somministrare brevi questionari volti a farle emergere10. Naturalmente questa operazione, qualora prevista, si inserirà all’interno del servizio di informazione e orientamento. Per tutti i beneficiari che invece non hanno ancora compiuto 65 anni, o che hanno un’età maggiore ma vivono con persone più giovani o presentano fragilità particolari, il ‘patto preliminare’ prevederà l’impegno a formulare successivamente un ‘contratto’ più sostantivo con l’operatore sociale, che innescherà l’avvio di percorsi di inclusione sociale o lavorativa. Al primo patto ne seguirà perciò un secondo che prevederà diritti e obblighi più vincolanti. 9 Per convenienza, si farà riferimento ai soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile come “ultra 65enni” e la soglia sarà appunto posta a 65 anni. Siamo consapevoli che tale soglia andrà modificata in connessione all’aumento automatico dell’età pensionabile in conseguenza dell’aumento della speranza di vita, previsto dalle correnti regole previdenziali (vedi cap. 3). 10 Si veda ad esempio: Federzoni, De Girolamo, Goldoni (2005), Valutazione di un questionario telefonico per l’identificazione di anziani fragili, al’indirizzo http://www.provincia.modena.it/sociale/allegato.asp?ID=40554. Pagina 8 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) I soggetti responsabili dell’accesso inseriranno nel sistema informativo unico le domande ammissibili, che saranno così a disposizione di INPS, Comuni e Terzo Settore per le rispettive verifiche successive. In questa fase il ruolo dell’INPS sarà quello di effettuare verifiche incrociate su tutte le domande presentate, attraverso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, eventualmente il Pubblico Registro Automobilistico, etc.), per accertare la veridicità delle informazioni economico-finanziarie dichiarate, nonché per verificare la presenza dei requisiti necessari per l’ammissibilità al Reis (cfr. par. 6.3.1). I Comuni potranno svolgere, di concerto con il Terzo Settore e solo con riferimento agli aspiranti beneficiari ‘noti’, perché già in carico ai servizi comunali o al privato sociale11, un ulteriore controllo sulla corrispondenza tra il dichiarato ed il reale tenore di vita delle famiglie richiedenti la misura. Il fine è quello di sventare gli eventuali ‘falsi positivi’, ovvero quei soggetti che risultano formalmente ammissibili dall’analisi dei documenti presentati (ISEE, dichiarazione dei redditi,…), ma il cui stile di vita è ben al di sopra delle disponibilità economiche dichiarate, motivo per cui occorre che siano esclusi dalla misura, o quantomeno ‘riverificati’. In particolare, i Comuni ed il Terzo Settore potranno esaminare l’effettiva entità delle prestazioni assistenziali da loro direttamente erogate ai nuclei in carico, e da questi ultimi auto-certificate (o meno) nella domanda di accesso. Comuni e Terzo settore non potranno svolgere verifiche ispettive ed invasive, anche perché non giuridicamente titolati ad effettuarle; tuttavia, data la loro vicinanza agli utenti, saranno sicuramente in grado di ravvisare situazioni sospette. Tali situazioni dovranno essere immediatamente segnalate all’INPS per ulteriori verifiche, e si potrà anche richiedere ai potenziali beneficiari, se rilevate incongruità, di ripresentare formalmente la domanda. Vale la pena ricordare che, in generale, i controlli da parte di INPS, Comuni e Terzo Settore dovrebbero avvenire in uno stesso momento e non in tempi successivi: ciò sarà reso possibile dal sistema informativo unico tramite il quale si potranno attivare, a seconda dei casi, ‘semafori rossi’ o ‘semafori verdi’ rispetto al via libera sull’ammissione del Reis. Una volta definiti i nuclei ammessi, l’INPS calcolerà per ciascuno l’ammontare di integrazione spettante e metterà a disposizione sul sistema informativo unico l’elenco dei nominativi. Nel caso degli ultra 65enni soli o con coniuge e non portatori di altre problematiche oltre al disagio economico, a seguito dell’ammissione al Reis l’INPS potrà automaticamente procedere con la liquidazione del contributo. Tutti gli altri ammessi, invece, saranno convocati con apposita lettera dal Comune o dal Terzo Settore12 per un successivo incontro/colloquio, durante il quale verrà effettuata una valutazione multidimensionale della situazione del nucleo familiare. Entro un tempo massimo da stabilire dal ricevimento della lettera, i componenti delle famiglie convocate si dovranno presentare ai (o, se impediti da condizioni fisiche o di salute, dovranno essere oggetto di una visita da parte dei) servizi sociali del Comune o soggetti del Terzo Settore. Durante l’incontro saranno valutate, oltre alle fragilità e ai bisogni dei componenti del nucleo, anche le loro concrete possibilità di attivazione13. Tale incontro/colloquio potrà essere reiterato per i casi più com- 11 Non è possibile richiedere ai Comuni una verifica anche sugli aspiranti beneficiari non noti, poiché, a maggior ragione, mancherebbe loro la titolarità giuridica per investigazioni ispettive di questo tipo. 12 Il concorso del Terzo Settore in questa fase è previsto più che altro in contesti di particolari difficoltà dei Comuni, ed è comunque possibile solo entro certi limiti, al fine di evitare una delega totale da parte dell’ente locale. 13 Al fine di fornire una valutazione corretta dell’abilità al lavoro e delle possibilità di attivazione lavorativa, è auspicabile già in questa fase una stretta collaborazione fra servizi sociali e Centri per l’impiego: vedi la sezione 5.3.3. Pagina 9 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) plessi e culminerà nella sottoscrizione del ‘patto definitivo’, un accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia ammessa al Reis e il Servizio sociale del Comune o il soggetto del Terzo Settore, col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento. Solo a questo punto il Comune/Terzo Settore potrà dare il via libera alla liquidazione del contributo, e l’INPS provvederà ad effettuare il primo trasferimento monetario alle famiglie. Per i nuclei ammessi, la subordinazione dell’erogazione del Reis alla presentazione al colloquio e alla sottoscrizione del ‘patto definitivo’ vuole naturalmente costituire un incentivo a recarsi presso i servizi sociali/Terzo Settore. In ogni caso, per evitare che famiglie in grave difficoltà economica tardino a percepire il contributo, a causa della lentezza del processo, si auspica che passi un massimo di 30/40 giorni dal colloquio alla prima erogazione. Come si è visto, in tutti i passaggi di accesso alla misura il Terzo Settore compare sempre, insieme al Comune, quale soggetto potenzialmente coinvolto in prima linea. Questo accadrà anche nella fase di presa in carico dell’utente, che declineremo nel successivo paragrafo. In effetti la nostra riforma si inserisce nel solco della NSC, che già prevede un ampliamento del ruolo del Terzo Settore rispetto alla SC. Vale la pena, in ogni caso, esplicitare meglio quale ruolo dovrà avere il Terzo Settore e quale equilibrio si dovrà creare con il Comune. Da un lato, il ruolo del Terzo Settore è legato alla considerazione delle sue caratteristiche peculiari, che ne fanno un attore cruciale come sensore dei bisogni: abbiamo già visto, ad esempio, come nella fase iniziale di pubblicizzazione della misura possa proficuamente utilizzare le proprie “antenne” per avvicinare i cosiddetti “falsi negativi”. Ancora, è importante valorizzare il suo ruolo nell’ambito della co-progettazione del welfare e dell’offerta di servizi che possono rendere la misura più efficace nel rispondere ai bisogni delle famiglie in povertà. Si vedano ad esempio i servizi a bassa soglia destinati alle persone in grave emarginazione (cfr. Cap. 6.2.2). Questo non significa che il Terzo Settore debba subentrare all’ente pubblico: i Comuni continueranno a mantenere la regia del welfare locale, ma il Terzo Settore potrà via via esercitare un ruolo cruciale di supporto, o in alcuni casi anche sostitutivo delle funzioni comunali (si pensi alla fase di accesso alla misura), forte delle sue competenze, specificità e vicinanza ai bisogni. Certo è che il suddetto iter di accesso al ReIS potrà essere realizzato con tempi diversi, in funzione delle differenti dotazioni professionali ed organizzativa effettivamente disponibili, che a loro volta dipenderanno dai differenti sistemi territoriali di riferimento. La messa a regime della macchina indubbiamente potrà beneficiare del percorso graduale di implementazione della misura previsto in almeno quattro anni (cfr. cap.10). A conclusione del paragrafo proponiamo due diagrammi di sintesi del percorso di accesso alla misura: il primo rappresenta i passaggi iniziali, e si conclude con l’erogazione del Reis per gli anziani senza particolari fragilità o con la non ammissione alla misura; il secondo illustra la continuazione del percorso per le persone con età inferiore a 65 anni o anziane con ulteriori problemi oltre a quello economico. Pagina 10 SOGGETTO RESPON- RICHIEDENTE SABILE DELL’ACCESSO Percorso di accesso (1) (Se anziano senza particolari Si reca al Comune, eventualmente coadiuvato da Compila e certifica la dichiarazione del reddito La doman- NO Fi SI’ Sottoscrive il ‘patto preliminare’ insieme al richiedente Fa verifiche incrociate (Agenzia delle Entrate, Ana- Calcola l’ammontare di contributo spettante e invia al Comune/Terzo Settore l’elenco degli SI’ La doman- TERZO SETTO- COMUNE INPS RE (in forma associata) Riceve let- Fa un check sui richiedenti già in carico verificando: - corrispondenza tra dichiarato e reale tenore di vita delle famiglie ri- NO Invia lettera al rihi d t (Se under-65 o anziano con frailità) i l t Si reca (entro 2 settimane) presso i SS/T S tt (Se under-65 o anziano con Riceve il ‘via libera’ COMUNE (da qui) Riceve l’elenco degli ammessi e convoca TERZO SETTORE NO SI’ INPS SOGGETTO RESPON- RICHIEDENTE SABILE DELL’ACCESSO Percorso di accesso (2) (da qui) Riceve l’elenco degli ammessi e convoca Sottoscrive il ‘patto definitivo’ con il beneficiario; attiva i percorsi di inclusione sociale (presso il Comune stesso, servizi specializzati Terzo Sottoscrive il ‘patto definitivo’ con il beneficiario; attiva i percorsi di inclusione sociale (presso il Terzo Settore stesso servizi specializzati Co- 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) 5.3.3 La presa in carico e il contratto con l’utente Durante l’incontro/colloquio con i servizi sociali del Comune o gli operatori del Terzo Settore si opererà una distinzione, con carattere di reversibilità, fra: (i) persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento formativo e/o lavorativo e (ii) persone o famiglie bisognose di un percorso di inserimento sociale. Nella realtà la distinzione non sarà così netta perché all’interno di uno stesso nucleo familiare si potrebbe verificare la necessità di un percorso di inserimento sociale per uno dei componenti (es. alfabetizzazione della madre o obbligo scolastico dei figli minori) e di un (re)inserimento nel mercato del lavoro per un altro membro. Inoltre, poiché la valutazione circa l’idoneità al lavoro o a percorsi di tipo socio-assistenziale è reversibile, essa dovrà essere riesaminata periodicamente. Alla luce delle suddette valutazioni, gli operatori dovranno definire per questi gruppi di persone o famiglie un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e proprio ‘programma di presa in carico’ con precisi diritti e obblighi, definiti sia per i servizi sociali sia per il soggetto beneficiario. Il patto definitivo potrà anche coincidere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio, ed in questo caso conterrà una specifica definizione del progetto personalizzato, dei suoi passaggi e delle regole di condizionalità applicabili. Il patto definitivo afferente l’avvio di un percorso di inclusione lavorativa rimanderà invece al ‘patto di servizio’ per la sua definizione puntuale (cfr. par. 6.2.3). Il ‘patto di servizio’ sarà curato dal Centro per l’Impiego in accordo con i servizi sociali. Pare appropriato immaginare, in questa fase, una stretta collaborazione fra CpI e servizi sociali, se non addirittura una valutazione congiunta e condivisa dell’abilità al lavoro, eventualmente coinvolgendo anche i servizi sanitari. Si arriverebbe così ad una valutazione integrata e multidimensionale della situazione individuale e di quella familiare, verosimilmente preferibile rispetto alla valutazione da parte dei soli servizi sociali che poi inviano ai CpI i beneficiari attivabili. L’esperienza comparativa mostra infatti come alcuni percorsi di reinserimento lavorativo o di formazione o riqualificazione professionale debbano essere preceduti e/o affiancati da prestazioni mediche e psicologiche, che richiederebbero pertanto una valutazione integrata. In conclusione, il patto definitivo dovrà essere sottoscritto dagli interessati pena la non ammissione alla misura. Si auspica che anche in questo caso intercorra un tempo massimo di 30/40 giorni tra la prima erogazione del contributo e l’effettivo avvio di percorsi di inserimento. Il Reis sarà poi erogato, mensilmente e per un anno14, con possibilità di rinnovo nell’anno successivo previa verifica della permanenza dei requisiti di accesso. Le modalità di pagamento potranno differenziarsi a seconda delle esigenze: accredito bancario su conto corrente oppure altre modalità (es. trasferimento ai Comuni/Ambiti territoriali socio-assistenziali che faranno poi il mandato di pagamento ai beneficiari), nel caso in cui i beneficiari non possiedano un conto corrente. Sarà anche possibile l’erogazione attraverso assegno, che potrà in alcuni casi essere recapitato al servizio sociale perché siano gli operatori stessi a consegnarlo, ad esempio laddove è previsto un accompagnamento del beneficiario nell’uso del denaro. In generale, durante tutto il percorso di accesso e presa in carico della misura, il Comune manterrà il ruolo di regia: suo sarà infatti il compito, seppure di concerto con l’INPS e con gli altri soggetti territoriali coinvolti, sia di far partire l’erogazione per le persone di età 14 Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei requisiti di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (cfr. par. 6.4.2). Pagina 13 5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I) inferiore a 65 anni o gli anziani con fragilità, sia di sospendere, decurtare e/o revocare il trasferimento nei casi in cui il patto non sia stato rispettato e/o i requisiti di accesso siano venuti meno. Nella tabella sottostante si propone un box riassuntivo dei principali “contratti” previsti dal Reis15. TABELLA 3 – IL CONTRATTO CON L’UTENTE Tipologie di contratti con l’utente Patto preliminare Patto definitivo Patto di servizio 15 Chi lo sottoscrive? Contenuti Tutti i beneficiari (per i beneficiari non avviati a percorsi di inserimento coincide con il patto definitivo) Accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia richiedente il Reis e l’operatore del soggetto responsabile dell’accesso alla misura, contenente l’assunzione di responsabilità del beneficiario (o della persona di riferimento della famiglia) nei confronti delle regole di ‘buona cittadinanza’. Il patto contiene anche l’impegno ad avviare successivamente (qualora ce ne siano le condizioni) dei percorsi di reinserimento. La stipula del patto preliminare è condizione necessaria e sufficiente per l’erogazione del contributo per i beneficiari non inseriti in percorsi. Solo i beneficiari avviabili a percorsi di reinserimento sociale/lavorativo Accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia ammessa al Reis e l’operatore dei servizi sociali o del Terzo settore, contenente il reciproco impegno a rispettare il percorso di inclusione sociale/lavorativa concordato. Il patto definitivo può coincidere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio e contenerne una specifica definizione, passaggi e obblighi. Solo i beneficiari attivabili nel mercato del lavoro Accordo in forma scritta stipulato, fra il Centro per l’impiego in accordo con i servizi sociali, e il beneficiario in età lavorativa avviabile ad un re-inserimento nel mercato del lavoro. Nel patto di servizio sono specificate le azioni e gli obblighi reciproci cui i contraenti sono tenuti per la realizzazione di tale percorso. Le diciture ‘patto preliminare e patto definitivo’ prendono spunto dalla promettente esperienza del Reddito di Base per la Cittadinanza, introdotta in fase sperimentale in Regione Friuli Venezia Giulia (L.R. n. 6/2006), ma purtroppo soppressa, a meno di un anno dall’avvio effettivo della misura, dopo solo la fase di ‘collaudo’. Per un approfondimento dell’esperienza friulana si rimanda a: (Ranci Ortigosa E., Mesini D.), Il Reddito di Base per la Cittadinanza in Friuli Venezia Giulia: resoconto di un’esperienza interrotta, in Granaglia E., Bolzoni M., “Il reddito minimo di inserimento. Analisi e valutazioni di alcune esperienze locali”, Quaderni CIES (Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale), n. 3, 2010. Pagina 14 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) I PERCORSI D’INCLUSIONE E I CONTROLLI Il Reis è una misura di integrazione monetaria e di attivazione: specifici percorsi di inclusione sociale e lavorativa saranno realizzati nei confronti dei componenti le famiglie in carico, secondo una logica di empowerment che tenga conto delle caratteristiche ed abilità dei soggetti. Il Servizio Sociale dei Comuni, associati in forma di Ambito, curerà, attraverso specifici protocolli d’intesa, i rapporti con gli attori del territorio deputati all’avvio ed alla realizzazione dei percorsi di inclusione lavorativa (in primo luogo i CpI) e sociale (in primo luogo il Terzo Settore, specie con riferimento alla marginalità grave) e definirà di concerto con i suddetti soggetti gli obblighi e gli impegni per i beneficiari. Il trasferimento monetario sarà erogato a tutti tramite l’INPS, mensilmente e per un anno, dopo le opportune verifiche di ammissibilità e, per i soli beneficiari potenzialmente destinatari di un percorso di inclusione, dopo la sottoscrizione del ‘patto definitivo’. Alla scadenza del primo anno il nucleo familiare potrà ripresentare la domanda. Le verifiche circa il rispetto del patto definitivo e la permanenza dei requisiti saranno effettuate in itinere e saranno responsabilità dei Comuni associati, in accordo con gli altri soggetti coinvolti (INPS, terzo settore, ecc.). La condizionalità sarà maggiormente stringente per i percorsi lavorativi destinati ad adulti abili senza altre patologie e /o fragilità, ferma restando comunque la tutela dei minori. In caso di mancato rispetto del patto sarà prevista una riduzione progressiva, fino alla decurtazione. Il ritorno al lavoro sarà reso ‘conveniente’ tramite appositi incentivi monetari. 6.1 PREMESSA Come il precedente, questo capitolo è dedicato al welfare dei servizi, che rappresenta una delle componenti essenziali del Reis. Nello specifico qui saranno approfonditi gli aspetti relativi ai Pagina 1 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le regole di condizionalità e il sistema dei controlli. Nell’affrontare questi temi ci siamo basati ancora una volta su un approccio pragmatico, finalizzato all’obiettivo, e sul principio della sussidiarietà, di cui si è già detto nel cap. 5, par.1. Cominceremo trattando i percorsi di inclusione che saranno realizzati nei confronti dei componenti le famiglie in carico, secondo una logica di empowerment che tenga conto delle loro caratteristiche socio-anagrafiche, abilità e potenzialità. Un’attenzione particolare in questo capitolo sarà inoltre rivolta ai controlli, sia relativi al possesso e alla permanenza dei requisiti di accesso di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, che al rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi. La messa in campo di azioni di verifica e di accertamento nell’ambito del Reis ha come obiettivo generale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere situazioni opportunistiche e improprie, evitando che “finti poveri” ne beneficino senza averne diritto, a scapito di famiglie meritevoli che ne resterebbero ingiustamente escluse. Infine, un’ultima focalizzazione riguarderà i possibili incentivi per rendere conveniente per il beneficiario del Reis intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay). 6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi 6.2.1 Di quale inclusione stiamo parlando? Il Reis prevede di abbinare al trasferimento monetario interventi di attivazione, recupero e responsabilizzazione dei beneficiari. La possibilità di reale empowerment sarà tuttavia direttamente proporzionale alle caratteristiche e potenzialità dei beneficiari, oltre che alle effettive opportunità del sistema dei servizi e del mercato del lavoro in cui tali percorsi saranno progettati e condotti. Posto che per tutti i beneficiari del Reis sarà doverosa un’assunzione di responsabilità rispetto all’utilizzo del contributo (es. per la copertura di utenze o affitto) e all’impegno a garantire determinati stili di vita e regole di comportamento (es. il rientro da morosità, la frequenza scolastica dei figli minori, la partecipazione ai colloqui con gli insegnanti), possiamo introdurre la seguente distinzione rispetto alla possibilità di ‘inclusione’: - per soggetti portatori di problematiche complesse, in situazione di disagio sociale e/o di forte emarginazione o in condizione di salute incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa, saranno realizzati percorsi di inclusione sociale e relazionale o sociosanitaria; - ai minori appartenenti a famiglie in disagio economico e sociale saranno rivolti specifici percorsi di inclusione socio-educativa, ad esempio finalizzati a prevenire la dispersione scolastica, o a favorirne il recupero ed il rendimento; - per i soggetti in età attiva e abili al lavoro in condizione di disoccupazione, inoccupazione, inattività, oppure iscritti nelle liste di mobilità, in cassa integrazione (ordinaria, straordinaria o in deroga), ma anche per i cosiddetti “working poor”, cioè lavoratori a basso reddito, saranno attivati percorsi formativi e di inclusione attiva nel mercato del lavoro; - i soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile (per convenienza qui e altrove: ultra 65enni; vedi cap. 3), anche già beneficiari di pensioni sociali, soli o coniugati ma non portatori di altre fragilità al di là del disagio economico, saranno destinatari del solo trasferimento monetario; - le persone con disabilità o non autosufficienti che, indipendentemente dall’età, beneficiano del Reis, continueranno a seguire i percorsi socio-sanitari in cui sono inseriti e a rivolgersi ai servizi cui risultano già in carico, fatta salva una valutazione dei servizi sociali Pagina 2 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) circa l’opportunità di attivazione di nuovi e differenti percorsi per sopravvenuti o modificati bisogni (tab 1). Vale qui la pena ricordare che, essendo la famiglia l’unità di riferimento dell’intervento, i percorsi di inclusione attivabili in capo ad uno stesso nucleo familiare potranno essere più di uno, tanti quanti saranno gli effettivi bisogni riscontrati al suo interno. La distinzione fra persone abili al lavoro e non abili, così come il grado di complessità delle problematiche che potrà rendere più o meno percorribili percorsi di attivazione, avrà ovviamente carattere di reversibilità e dipenderà dall’evoluzione delle condizioni umane, sociali ed economiche della persona, e del suo nucleo familiare di appartenenza. Sarà dunque compito degli operatori dei servizi giudicarne l’entità e formulare eventuali rivalutazioni durante il periodo di trattamento del Reis. In particolare, gli operatori dei servizi (sociali e per l’impiego) valuteranno attentamente le reali chances di occupabilità dei beneficiari ultra-60enni al fine della previsione effettiva di misure di attivazione per tali beneficiari, anche in considerazione dei costi effettivi di tali misure relativamente ai benefici attesi. TABELLA 1 – BENEFICIARI E PERCORSI DI INCLUSIONE Tipologie di beneficiari possibili Percorso di inclusione? Quale inclusione possibile? Soggetti portatori di fragilità sociali più o meno complesse, indipendentemente dall’età Sì Inclusione socio-relazionale o sociosanitaria Minori appartenenti a famiglie in disagio economico e sociale Sì Inclusione socio-educativa Soggetti in età attiva e abili al lavoro, in condizioni di disagio lavorativo Sì Inclusione attiva nel mercato del lavoro Persone con disabilità Sì Nei percorsi socio-sanitari in cui sono già inseriti, presso i soggetti cui sono in carico, fatta salva l’opportunità di attivazione di nuovi e differenti percorsi per sopravvenuti o modificati bisogni. Soggetti ultra 65enni, anche già beneficiari di pensioni sociali, soli o coniugati ma non portatori di altre fragilità al di là del disagio economico No Solo erogazione monetaria. 6.2.2. I percorsi di inclusione sociale e i servizi alla persona I percorsi di inclusione sociale, come già più volte sottolineato, hanno lo scopo di favorire il superamento dell'emarginazione dei singoli e delle famiglie in carico alla misura attraverso la promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica. Tali programmi, personalizzati sulla base delle caratteristiche, abilità e fragilità di ciascuno sono orientati a raccordare il REIS con altri servizi ed interventi relativi alle politiche di protezione sociale, socio-sanitaria, educativa ed in generale con tutti gli altri interventi finalizzati al benessere della persona ed alla prevenzione delle condizioni di disagio sociale. Relativamente alla possibile casistica prefigurabile ci vengono in aiuto le esperienze di Reddito Minimo nazionale e regionale sperimentate in Italia nell’ultimo decennio (IRS, Fondazione Zancan, Cles, 2001; IRS, Censis, Cles, Fondazione LABOS, 2004; Ranci, Mesini, 2010; Mesini, 2011; Spano, Trivellato, Zanini, 2013). E’ possibile distinguere i percorsi di inclusione sociale in 4 cate- Pagina 3 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) gorie, che indubbiamente non esauriscono l’insieme degli interventi attivabili nei confronti dei beneficiari del REIS, ma ne danno una rappresentazione indicativa (Lodigiani e Riva, 2011): - Percorsi di tipo terapeutico-riabilitativo - rivolti essenzialmente a persone portatrici di problematiche complesse e spesso in condizioni di salute compromesse, anche per l’uso di sostanze; possono essere fatti rientrare in questa categoria trattamenti presso i servizi specialistici o l’inserimento in comunità terapeutiche; - Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari - riguardanti il supporto ad attività di cura e accudimento di anziani e minori, interventi di prevenzione e sostegno socio-sanitario e psicologico alle famiglie ed alle coppie; - Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione1 - finalizzati a limitare la dispersione scolastica e il rendimento dei minori, ma anche a promuovere il recupero della scolarità perduta degli adulti e percorsi di alfabetizzazione per cittadini stranieri; - Percorsi di integrazione socio-relazionale - rivolti all’inserimento dei beneficiari in attività di volontariato presso associazioni e cooperative e finalizzati ad accompagnare la persona nell’acquisire maggiore autonomia e autostima, in una logica di empowerment; si tratta ad esempio dell’inserimento in Centri di Aggregazione, ludoteche, esperienze di educativa territoriale. Il percorso di inclusione sociale può riguardare uno o più dei componenti il nucleo in carico, è costruito in modo personalizzato, dopo la valutazione multidimensionale dei SS, tiene conto delle caratteristiche e delle esigenze individuali e familiari secondo obiettivi, contenuti e impegni ben definiti, inclusi nel Patto definitivo e sottoscritti dai beneficiari. Per ciascun percorso sarà prevista la figura di un tutor (o case manager), individuata fra il personale dei Servizi sociali territorialmente competenti. Tale figura avrà compiti di coordinamento, accompagnamento e verifica dell’attuazione del progetto di attivazione e del rispetto degli obblighi previsti. L’adozione di tale figura risponde alla necessità di affrontare il fenomeno della povertà ed esclusione sociale nella sua natura multidimensionale, cumulativa e preventiva, tesa a rimuovere le cause scatenanti e quindi a ridurre progressivamente gli effetti complessivi della povertà sui corsi di vita individuali e familiari. Si prevede che tale figura si manterrà, per quanto possibile, stabile per tutta la durata del REIS: il programma personalizzato dovrà essere accompagnato e seguito nei suoi esiti nel tempo, attraverso un lavoro di monitoraggio del caso. I suddetti percorsi non possono essere portati avanti dai soli servizi sociali ma richiedono una rete di collaborazioni con i servizi territoriali per la presa in carico e l’accompagnamento delle persone verso percorsi di autonomia. Si tratta di collaborazioni in molti casi già presenti e attive, che il Reis consentirà di consolidare e potenziare. Un ruolo significativo sarà quello dei servizi socio-sanitari specialistici quali SERT e DSM in primis, ma anche dei centri socio-educativi, consultori familiari, istituti scolastici e istituti professionali ed organizzazioni del terzo settore, nella pluralità delle loro forme. Queste ultime svolgeranno in tutti i contesti un ruolo importante, forti delle loro specificità e vicinanza ai territori. La loro attività sarà particolarmente utile, poi, in alcune zone del Sud Italia, dove più debole e meno strutturata è l’azione dei servizi, e nei confronti della marginalità grave, come ampiamente trattato nel paragrafo successivo. 1 La conoscenza della lingua italiana tra i beneficiari del REIS non è cosa scontata. L’esperienza del Reddito di Garanzia della Provincia di Trento insegna come tra i beneficiari sia lecito attendersi una quota di stranieri più che proporzionale rispetto all’incidenza sull’intera popolazione. Dovranno essere dunque predisposti degli interventi adeguati, quali corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, anche con l’aiuto di mediatori culturali e preliminarmente all’avvio di percorsi di attivazione nel mercato del lavoro. Pagina 4 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) TABELLA 2 – PERCORSI DI INCLUSIONE SOCIALE Possibili tipologie di percorsi di inclusione sociale Soggetti attivabili Percorsi terapeutico-riabilitativi Servizi specialistici (SERT, DSM, ecc….), Terzo Settore (es. gruppi di mutuo aiuto) Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari SS comunali, Terzo Settore Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione Scuole, istituti di formazione, Terzo Settore Percorsi di integrazione socio-relazionale Terzo Settore (Centri di Aggregazione, ludoteche, associazioni di volontariato, cooperative, etc…) 6.2.3 I senza fissa dimora e i servizi per l’emarginazione grave Il Reis, nell’ambito della lotta alla grave emarginazione e del lavoro con le persone senza fissa dimora, può rappresentare un punto di svolta. Esso costituisce infatti, per la prima volta nel welfare italiano, una misura strutturale di tipo non emergenziale che viene messa a disposizione dei percorsi di inclusione sociale e inclusione attiva per la grave emarginazione. Oggi la protezione delle persone senza fissa dimora passa prevalentemente dalla disponibilità di servizi di emergenza a sostegno e sollievo delle fasi critiche degli eventi emarginanti (perdita dell’alloggio, disponibilità di un riparo durante i periodi freddi, sostegno in caso di malattia, etc.) ma si tratta di una risposta insufficiente. L’esperienza di molti contesti locali – in Italia ed in Europa – dimostra invece in modo inequivocabile l’esistenza di alcune condizioni per il successo degli interventi di contrasto alla grave emarginazione: la disponibilità di una misura universale di sostegno economico di base; la presenza di servizi di accompagnamento e supporto in una dimensione personalizzata e non istituzionalizzante; la disponibilità di capitale sociale e relazionale da mettere a disposizione delle persone emarginate quale vettore di riconoscimento, valorizzazione identitaria, appartenenza territoriale e fiducia in se stessi e nel proprio futuro (European Observatory on Homelessness, 2009). Il REIS non può garantire tutto questo, ma, specie se riconosciuto come livello essenziale di assistenza sociale, può rappresentare il punto di innesco sul quale finalmente costruire, nella rete locale dei servizi pubblici e privati, percorsi integrati, personalizzati e multidimensionali ai quali le persone possano avere accesso. Disporre del REIS può consentire alle persone in stato di grave emarginazione, soprattutto se senza dimora, di avere a disposizione un minimo potere di acquisto attraverso il quale scegliere, in un contesto protetto e con il supporto di operatori specificatamente preparati, un percorso comunitario effettivo di reinclusione sociale. In questo modo avranno anche la possibilità di emanciparsi dai circuiti socio-assistenziali attuali dell’emergenza abitativa e reddituale (mense, dormitori, centri di distribuzione indumenti etc.), in una logica di progressivo empowerment. Si può immaginare anche che, attraverso il REIS, progressivamente e mano a mano che il sistema di offerta privato e pubblico evolva, i beneficiari possano acquistare a condizioni agevolate beni e servizi aggiuntivi importanti. Si potrebbero ipotizzare, ad esempio: pernottamenti in strutture alberghiere low cost; periodi di permanenza in alloggi; prestazioni medico-specialistiche ed odontoiatriche; farmaci; servizi telefonici e di accesso alla rete internet e altre utenze; titoli di viaggio del trasporto pubblico locale ed altre forme di mobilità sostenibile; quote di piani di copertura mutualistico-assicurativa prestata da programmi locali di welfare integrativo, programmi per la socializzazione ed il tempo libero ecc. Questa nuova offerta di servizi e prestazioni, da cui oggi le persone in grave emarginazione sono generalmente escluse, dovrebbe essere sinergica e complementare a quella dei servizi esistenti, adottando piattaforme compatibili ed accreditando nel sistema una pluralità di servizi, contesti ed opportunità che al momento, pur avendo anche Pagina 5 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) una valenza sociale, non sono formalmente inclusi nei circuiti di welfare (si pensi agli albergatori che praticano tariffe molto basse). E’ evidente che un tale strumento potrebbe, con logiche bottom-up, favorire la riconfigurazione di molte attività che attualmente i soggetti erogatori di tali servizi, specie quelli del Terzo Settore, svolgono esclusivamente attraverso l’intermediazione dell’acquirente istituzionale (Comune) e che si trovano oggi in seria crisi a causa dei tagli ai budget dei Comuni. Questo potrebbe inoltre dare vita a un laboratorio assai interessante di innovazione sociale, nel quale sviluppare offerte a basso costo ma di qualità da rendere accessibili al maggior numero di persone possibili, a partire dalle più svantaggiate, che possano quindi ambire a sviluppare volumi importanti di mercato, rendendo anche economicamente interessante l’investimento privato in questo ambito. Il Terzo Settore avrà indubbiamente un ruolo preponderante nel promuovere e sviluppare da un lato l’integrazione/collaborazione con il sistema pubblico, dall’altro forme innovative di risposta al bisogno. 6.2.4 L’inclusione lavorativa e i servizi per l’impiego I percorsi di inclusione lavorativa hanno lo scopo di consentire ai beneficiari abili al lavoro di inserirsi, per quanto possibile, nel mercato del lavoro, anche attraverso percorsi di formazione e riqualificazione volti a far loro ottenere le competenze necessarie. Essi devono quindi iscriversi al Centro per l’impiego provinciale, impegnarsi attivamente nella ricerca di un lavoro e dichiararsi immediatamente disponibili ad accettare un’offerta di lavoro congrua (nei limiti di un pendolarismo ragionevole ed economicamente sostenibile) e a frequentare corsi di formazione o di riqualificazione professionale. A tal fine il Centro per l’impiego predispone un patto di servizio, con un programma personalizzato di inserimento lavorativo e/o formativo o di riqualificazione professionale, stilato in base ad una valutazione delle caratteristiche individuali. Il patto di servizio impegna bilateralmente i servizi per l’impiego e il beneficiario. Come visto, esso non esclude per gli stessi beneficiari la copertura di bisogni di natura extra-occupazionale, che dovrebbe essere fornita dai servizi sociali. I contenuti del patto di servizio dovranno necessariamente essere raccordati con quanto previsto dalla legge 92/2012 recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, con i contenuti dell’attuazione della delega sulle politiche attive del lavoro prevista dalla legge 247 del 2007 e ribadita dalla legge 92 del 2012, e con le azioni di implementazione della raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea sulla Youth Guarantee (Garanzia per i giovani) di febbraio 2013, che pone particolare attenzione ai giovani con meno di 25 anni che non studiano né lavorano (i NEET) 2. − La legge 92/2012 prevede che, nei confronti di “beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito”, i Centri per l’impiego devono garantire: − colloquio di orientamento entro i tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione; 2 La raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del febbraio 2013 invita i governi nazionali a “garantire che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale”. A valere sui fondi di coesione 2014-2020, il Consiglio europeo di giugno 2013 ha stabilito lo stanziamento, per l’Iniziativa per l’occupazione giovanile di cui la Garanzia per i giovani è parte, di 6 miliardi di Euro per gli anni 2014-15 nei paesi, tra i quali l’Italia, dove il tasso di disoccupazione giovanile sia superiore al 25%. A tal fine l’Italia deve elaborare entro la fine del 2013 un piano per combattere la disoccupazione giovanile, che comprenda anche l’attuazione della Garanzia per i giovani a partire da gennaio 2014. È da notare come nella definizione delle azioni l’età massima per fruire delle misure della garanzia per i giovani in Italia verrà innalzata a 29 anni. Pagina 6 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) − azioni di orientamento collettive tra i tre ed i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupa- zione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale; − formazione di durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei ed i dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato ed alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza; − proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito. Le suddette disposizioni possono costituire un benchmark per la formulazione dei patti di servizio; in altre parole i beneficiari del REIS dovrebbero ottenere almeno quanto stabilito per i beneficiari di sussidi di disoccupazione nei tempi previsti, e se possibile in tempi più brevi, quantomeno per il colloquio di orientamento presso il Centro per l’impiego, così da dar luogo al patto di servizio. Ulteriori indicazioni sull’attuazione di queste azioni, e sulla cornice nella quale si situano le attività di formazione e riqualificazione in particolare, potrebbero poi venire dall’esercizio della delega sulle politiche attive prevista dalla legge 92/2012 e non attuata nella passata legislatura. Una possibile criticità connessa all’estensione ai beneficiari del REIS abili al lavoro delle previsioni di tale legge in materia di doveri dei Centri per l’impiego nei confronti dei beneficiari di sussidi di disoccupazione è dovuta all’incertezza circa la reale capacità dei CpI in alcune zone d’Italia, in mancanza di un serio piano di costruzione di capacità istituzionali e senza finanziamenti specifici , di riuscire ad attuare il dettato normativo. Questo vale a maggior ragione per individui quali i beneficiari di uno schema di reddito minimo che, ex ante, si possono considerare meno occupabili e con maggiori necessità di formazione o riqualificazione rispetto a percettori di sussidi di disoccupazione, come tali occupati sino a poco tempo prima. Tale considerazione si estende poi anche all’effettivo esercizio della condizionalità: se i Centri per l’impiego sono inadempienti, la misura perde parte della sua natura, quantomeno per quanto concerne l’obbligo di accettare offerte di lavoro o formazione che provengano dai servizi pubblici per l’impiego (non viene meno l’obbligo di cercare attivamente un’occupazione). Nell’attesa dell’attuazione della parte della legge 92/2012 che prevede l’attivazione di un sistema di premialità per la ripartizione delle risorse del Fondo sociale europeo per gli interventi da questo cofinanziati, legato alla prestazione di politiche attive e servizi per l’impiego, potrebbe essere previsto per il REIS un sistema di incentivi e sanzioni per i dirigenti dei Centri per l’impiego in base alla capacità effettiva di offrire servizi3. In generale, comunque, e preliminarmente a tutto il resto, a tutti i beneficiari devono essere offerti dal Centro per l’impiego corsi qualificati volti all’acquisizione e all’affinamento delle capacità relazionali di base necessarie per ottenere e mantenere un posto di lavoro, scrivere un curriculum, cercare e rispondere a offerte di lavoro, sostenere un colloquio, e così via. Al fine di aumentare le opportunità occupazionali dei beneficiari del REIS, i Centri per l’impiego segnalano i soggetti presi in carico che siano abili al lavoro anche alle Agenzie per il lavoro di natura privata. È auspicabile che accordi in questo senso vengano raggiunti con le associazioni di categoria Assolavoro e Alleanza lavoro. Inoltre, gli inserimenti lavorativi potranno coinvolgere tutta una serie di soggetti che andranno anche al di là dei CpI, a partire dai servizi di inserimento lavorativo dedicati alle politiche attive del lavoro e presenti all’interno di molti Comuni, oltre che le cooperative di tipo B, tipicamente 3 Occorre qui fare attenzione al rischio di un “effetto sabbie mobili”, in cui i territori che hanno maggior necessità di incentivi e risorse sono proprio quelli nei quali le percentuali di successo sono inferiori. Pagina 7 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) attive sul fronte del lavoro protetto. Presumibilmente la condizionalità legata a quest’ultimo tipo di percorsi più ‘protetti’ dovrà essere meno stringente rispetto al (re)inserimento nel mercato del lavoro regolare. TABELLA 3 – PERCORSI DI INCLUSIONE LAVORATIVA Obblighi dei servizi per l’impiego Obblighi dei beneficiari - orientamento occupazionale - promozione di proposte formative - promozione di iniziative di inserimento lavorativo - iscrizione presso il CpI provinciale - impegno attivo (e documentabile) nella ricerca di un lavoro - disponibilità ad accettare una ‘congrua offerta’ di lavoro - disponibilità a partecipare a corsi di formazione o riqualificazione professionale 6.2.5 Inclusione lavorativa… ma con un sano realismo L’inclusione lavorativa può essere: a) reversibile e b) modulabile, rispetto alle reali possibilità di attivazione dei beneficiari. La reversibilità può essere dovuta alla sopravvenienza di fragilità (si pensi alla dipendenza da gioco o da sostanze) che rendano il beneficiario inadeguato rispetto all’inserimento lavorativo o di esigenze di cura per cui questi non possa garantire l’impegno lavorativo. Naturalmente vi può essere anche il processo inverso, per cui un beneficiario inizialmente non idoneo al lavoro lo diventi in seguito. Per quanto riguarda la modulabilità del percorso di inclusione, è opportuno che siano tenute in conto le reali possibilità di attivazione dei beneficiari, nonché i diversi livelli di occupabilità. In vari casi nazionali (ad esempio la Germania e la Danimarca) i beneficiari attivabili sono inclusi in categorie diverse, a seconda dei loro bisogni e delle loro chance di occupabilità. In Germania, ad esempio, sono previste quattro categorie, a ciascuna delle quali sono associati differenti percorsi di reinserimento (Sacchi,2013). Coloro i quali rientrano nella prima categoria sono ritenuti immediatamente in grado di rientrare nel mercato del lavoro, pertanto senza ulteriore formazione; quanti sono nella seconda necessitano di brevi periodi di counseling e riorientamento; i soggetti nella terza hanno bisogno di counseling e percorsi più lunghi di formazione qualificante o riqualificante; chi rientra nella quarta necessita di un’attenzione speciale che eviti per quanto possibile il cronicizzarsi della situazione di bisogno. I servizi formativi vengono forniti tendenzialmente solo ai beneficiari inclusi nelle categorie due e tre, mentre per i beneficiari inclusi nella categoria quattro, con minori probabilità di uscire dallo schema attraverso un’occupazione non protetta, si prevede che il dovere di attivazione venga assolto attraverso lavori di utilità collettiva non remunerati, se non a un tasso di salario simbolico (i one-euro jobs). Facendo tesoro dell’esperienza tedesca, la nostra proposta suggerisce che anche i CpI tengano conto di simili categorie nell’elaborazione della proposta di percorso d’inclusione, pur senza adottare una distinzione rigida che porterebbe con sé il rischio dell’etichettamento e della ghettizzazione. Inoltre l’inclusione lavorativa dei beneficiari di uno schema di garanzia di risorse minime va considerata con un po’ di sano realismo. La previsione di un diritto dei beneficiari ad ottenere - in breve tempo da parte dei servizi per l’impiego - servizi come quelli descritti nella sezione precedente (tipicamente immaginati per i Pagina 8 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) beneficiari dei sussidi di disoccupazione) non è da dare per scontata, anche nelle esperienze più avanzate (vedi cap. 11), e non può che fare i conti con le possibilità reali del sistema di offerta in cui i servizi si trovano ad operare. Si pensi in primis alle condizioni del mercato del lavoro, che possono variare di molto da zona a zona e contribuire al successo o al fallimento di alcuni interventi. Infine, bisogna essere consapevoli del fatto che tipicamente le percentuali di reinserimento lavorativo degli schemi di reddito minimo sono relativamente basse anche nei contesti istituzionali più virtuosi (cap. 11). Ciò vale soprattutto per gli schemi di attivazione rivolti ai soggetti più deboli, quali è presumibile siano coloro che, pur essendo abili al lavoro, versano in condizioni di povertà assoluta. Valutare il successo o il fallimento di una programma di tutela di base (per sua natura complesso e multidimensionale, anche in considerazione dell’estrema eterogeneità dei target e delle tipologie di percorsi attivabili) prevalentemente attraverso i tassi di reinserimento lavorativo dei beneficiari, significa commettere un grave errore di politica pubblica ed ignorare in maniera miope l’evidenza empirica internazionale. 6.3 CONTROLLI, CONDIZIONALITÀ E INCENTIVI 6.3.1 Verifiche e controlli all’accesso e sulla permanenza dei requisiti La partita dei controlli è assai ampia e riguarda da un lato quelli sul possesso e la permanenza dei requisiti di accesso di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, dall’altro quelli relativi al rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi. Mettere in campo azioni di verifica ed accertamento nell’ambito del REIS ha come obiettivo generale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere situazioni opportunistiche ed improprie, evitando che finti poveri ne beneficino senza averne diritto. Relativamente alle verifiche sul possesso e la permanenza dei requisiti di ammissibilità, verranno utilizzati, come ampiamente descritto nel capitolo 3 due selettori: l’ISEE e il reddito disponibile. Considerare l’Isee, riformato, come primo ‘filtro’ consentirà di selezionare famiglie che, pur avendo redditi contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza (cfr.cap. 3). Occorre infatti ricordare che il benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente, ma anche dallo stock di patrimonio accumulato. In molti paesi un sussidio per il contrasto della povertà viene erogato solo a chi non supera certe soglie di patrimonio mobiliare o immobiliare, oltre che di reddito (vedi cap. 11) e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando un criterio di esclusione che consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali possedute dalla famiglia. Il secondo filtro all’accesso, sulla cui base dovrà poi essere definita l’integrazione spettante, non sarà l’Isee, bensì il reddito disponibile. Questa motivazione dipende dal fatto che il nostro obiettivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La definizione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è calcolata sulla base della spesa per consumi, oppure del reddito disponibile spendibile per l’acquisto di un paniere di consumo minimo. Ecco allora che la seconda soglia di accesso sarà rappresentata proprio dalla stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, direttamente correlabile con quest’ultima. I (potenziali) beneficiari del REIS dovranno dunque presentare in sede di accesso e di verifica in itinere, sia la dichiarazione Isee, sia la dichiarazione di reddito disponibile, con tutte le informazioni necessarie per completarle ed eventualmente ‘attualizzarle’ nel caso siano intervenute in Pagina 9 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) corso di erogazione del REIS delle variazioni significative della situazione economica e/o socioanagrafica (cfr.cap. 3. Tuttavia, dal momento che, nonostante il doppio filtro numerosi saranno ancora i casi di famiglie con Isee e redditi nulli oppure molto bassi, occorrerà introdurre un ulteriore strumento di verifica, che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore di vita. Si propone qui di fare riferimento ad un indicatore di controllo sui consumi, come peraltro già variamente utilizzato in alcune Regioni in sostituzione o a conferma dell’Isee (Mesini, 2006)4. Come già anticipato (cfr.cap. 3 ), l’indicatore di controllo che intendiamo adottare nella presente proposta si riferisce all’impostazione del più recente ma ormai collaudato indicatore previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento. A Trento l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al momento del calcolo dell’ICEF (l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se una stima prudente dei consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato. Utilizzando l’indicatore dei consumi è emerso che ben il 25% delle domande per il Reddito di Garanzia presentavano delle dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima molto prudente dei consumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente spontaneo abbandono della pretesa da parte dei richiedenti. Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità. Successivamente a questa scrematura ed al check sui consumi, altre verifiche incrociate saranno effettuate sugli ammissibili da parte dell’INPS attraverso le banche dati a sua disposizione, tra le quali le più significative sono: − INPS/INPDAP - permettono la lettura: dell’estratto conto contributivo, del CUD di pensionato e assicurato, del modello ObisM, del pagamento di pensioni (ammontare, n. del certificato, categoria, decorrenza), degli importi erogati dall’INPS a qualsiasi titolo (indennità di disoccupazione, maternità, mobilità, malattia), dei contributi versati dai lavoratori dipendenti e stipendi percepiti, nonché ricerche sulle aziende per conoscere l’elenco dei dipendenti e dei contributi e stipendi pagati; − Agenzia delle Entrate (sistema SIATEL), con lettura delle dichiarazioni effettuate ai fini fiscali − Agenzia del Territorio (sistema SISTER). La lettura del catasto consentirà di verificare le proprietà immobiliari (terreni e fabbricati) posseduti dal soggetto in tutta Italia, avendo la possibilità di stampare la visura catastale da cui si evincono, oltre alla categoria e alla rendita, la percentuale di possesso e i comproprietari con indicazione dell’atto con cui si è diventati proprietari 4 Esperienze passate significative in proposito sono quelle della Regione Basilicata e della Regione Campania. In particolare, appare interessante menzionare quanto previsto dal Regolamento attuativo del Reddito di Cittadinanza della Regione Campania, istituito con la legge regionale n. 2 del 19 febbraio 2004. Data la straordinaria incidenza (oltre il 70%) delle dichiarazioni ISEE pari a zero sul totale delle dichiarazioni ISEE entro la soglia massima per poter accedere alla misura, fissata all’ora in 5.000 euro annui, si è deciso di ricorrere alla determinazione di un reddito presunto che tenesse conto dei consumi relativi alle utenze domestiche, di quelli relativi alla proprietà di automobili e motocicli, alla casa di abitazione, nonché del valore del parametro della scala di equivalenza. Il reddito presunto così calcolato veniva quindi utilizzato, oltre che per la determinazione dell’importo di reddito soglia, anche come meccanismo di verifica dei mezzi per l’accesso alla misura. Pagina 10 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) − Pubblico Registro Automobilistico (PRA) 5 consente di verificare il possesso di beni mobili registrati, tramite il nominativo dell’utente o la targa dell’auto Spetterà poi ai soggetti responsabili dell’accesso la verifica sulla composizione della famiglia anagrafica, tramite il sistema informativo messo a disposizione di tutti gli enti che entreranno in contatto con la misura (cfr. cap 8); infine, competerà ai Comuni associati in forma di Ambito, ed al Terzo Settore verificare la rispondenza delle informazioni dichiarate, rispetto al reale tenore di vita dei beneficiari in carico e dunque già noti, sia in fase di accesso alla misura che durante l’erogazione del REIS. Eventuali situazioni sospette dovranno essere segnalate in qualsiasi momento all’INPS per ulteriori verifiche. I beneficiari della misura dal canto loro avranno l’obbligo di segnalazione immediata al Comune in qualsiasi momento, di variazioni nelle condizioni di ammissibilità al beneficio. Esse non dovranno riguardare solo la condizione economica e patrimoniale del nucleo, ma anche quella anagrafica, come la nascita o la morte di un componente, o l’intrapresa di un nuovo lavoro. Spetterà ancora una volta al Comune segnalare all’INPS le modifiche intervenute in corso di erogazione del REIS e quest’ultimo ricalcolerà l’importo spettante alla famiglia. La mancata comunicazione delle suddette variazioni potrà comportare temporanee sospensioni e/o riduzioni del contributo (cfr. paragrafo 6.4.2). Oltre ai controlli sulla situazione economica e anagrafica delle famiglie ci dovranno anche essere verifiche circa il rispetto da parte dei beneficiari in carico del percorso di inserimento intrapreso. Tali verifiche saranno effettuate ogni 3/6 mesi e saranno responsabilità dei Comuni associati, in accordo con gli altri soggetti chiamati in causa per i rispettivi percorsi con i quali saranno formalizzati specifici accordi e protocolli d’intesa. Al fine di sventare possibili comportamenti opportunistici da parte dei beneficiari, quale ad esempio il fatto di mantenere un’occupazione nell’ambito del sommerso pur percependo il REIS, sia l’esperienza internazionale, sia quella del Reddito minimo di inserimento nazionale forniscono alcune possibili contromisure al riguardo. In Germania ad esempio il beneficiario è tenuto, durante i giorni lavorativi, ad essere rintracciabile dal proprio assistente all’indirizzo fornito o ad essere disponibile, se richiesto, a recarsi in breve tempo all’Agenzia del Lavoro di pertinenza. L’esperienza della sperimentazione nazionale è consistita nell'uso strumentale di programmi di inserimento ben definiti e monitorati che prevedono l’impegno quotidiano del soggetto in determinate ore della giornata, risultando, così poco compatibili con lo svolgimento di lavoro “in nero”. Il Reddito Minimo nazionale e le esperienze regionali insegnano anche quanto un potenziamento del lavoro di rete sul territorio, attraverso la formalizzazione di accordi ad hoc (convenzioni, protocolli d'intesa, ecc) con i soggetti territoriali per la segnalazione dei casi dubbi, oltre che il diretto coinvolgimento della polizia municipale per controlli a campione sui casi di palese contraddizione tra il dichiarato e l'effettivo fossero, siano risultati efficaci a sventare situazioni indebite. 5 In effetti appare onerosa e di difficile realizzazione una verifica ex-ante da parte dell’INPS sul possesso di autoveicoli e motoveicoli: spesso gli archivi del PRA sono poco aggiornati e di non facile consultazione. Si propende dunque, come peraltro previsto dalla nuova SCS, per una autocertificazione del possesso di autoveicoli da parte dei cittadini, le cui dichiarazioni potranno essere verificate ex-post i sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000. Il valore degli autoveicoli e motoveicoli, rientrerà, seppur forfetariamente, come già detto, nell’indicatore di controllo sui consumi. Pagina 11 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) TABELLA 4 – IL SISTEMA DEI CONTROLLI Tipologia di controllo ex ante e in itinere Soggetti coinvolti Strumenti 1. controlli sui requisiti socio-anagrafici ed economico-patrimoniali - situazione socio-anagrafica - requisiti economico-patrimoniali Soggetto responsabile dell’accesso (Comune, CAF, Patronato, Terzo Settore) - INPS - Comune e Terzo Settore Anagrafi comunali ISEE, reddito disponibile, indicatore di controllo sui consumi, banche dati (INPS/INPDAP, Agenzia delle Entrate, Agenzia del territorio, PRA,…) - documentazione sui contributi erogati dal soggetto stesso - osservazione diretta sul territorio 2. rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi Comune (servizi sociali) e tutti i soggetti coinvolti nei percorsi (CpI, scuole,…) Osservazione diretta sulla base dei patti sottoscritti (patto definitivo, patto di servizio,…) 6.3.2 Regole di condizionalità Il Reis prevede un trasferimento monetario condizionato al rispetto ed al mantenimento di impegni più o meno stringenti, tenuto conto delle reali possibilità di inserimento ed accompagnamento connesse al sistema dei servizi e del mercato del lavoro locali, particolarmente provati dall’attuale congiuntura, nonché delle effettive chances di attivazione dei beneficiari. Tutti i beneficiari della nuova misura saranno comunque tenuti al rispetto di comportamenti virtuosi che potremmo definire di ‘buona cittadinanza’ in generale, e di ‘buona genitorialità’ nei confronti del proprio nucleo familiare. Questo significa che all’atto della stipula del ‘patto preliminare’ dovranno già essere specificate precise controprestazioni, che diverranno operative con il ‘patto definitivo’ siglato con i Servizi Sociali, quali ad esempio portare i figli a visite mediche periodiche, garantirne la frequenza scolastica, partecipare ai colloqui con gli insegnanti, pagare le utenze, rispettare piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto, ecc.6 Il mancato rispetto dei suddetti impegni basilari così come l’inadempienza rispetto a quanto definito nell’ambito dei percorsi di (re)inserimento, oltre che la mancata comunicazione di variazioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica, potranno comportare la temporanea sospensione dell’erogazione del Reis e/o la sua progressiva decurtazione. In particolare, il Servizio Sociale dei Comuni, associati sotto forma di Ambito territoriale, potrà: − 6 sospendere l’erogazione spettante, fino al momento dell’accertato rispetto degli impegni assunti; Ad esempio, il programma Bolsa Familia, introdotto nell’ottobre 2003 in Brasile, prevede che le famiglie beneficiarie garantiscano un tasso di frequenza scolastica dei figli pari all’85% delle lezioni. Pagina 12 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) − eventualmente prevedere la riduzione dell’integrazione spettante, in percentuale variabile e comunque correlata alla gravità della violazione degli obblighi ed impegni assunti, fino al momento dell’accertato rispetto degli stessi; − eventualmente revocare la misura nel caso in cui le cause che hanno prodotto le sospensioni e/o le riduzioni non siano state superate nell’arco di 3 mesi dalla prima segnalazione/monito. Infine, nel caso in cui il mancato rispetto degli obblighi assunti sia imputabile solo ed esclusivamente ad uno dei membri della famiglia, il Servizio Sociale, di concerto con gli altri soggetti competenti potrà valutare l’opportunità di continuare ad erogare il contributo, eventualmente ridotto, a beneficio dei minori presenti nel nucleo, come già avviene ad esempio in Provincia di Bolzano. Comunque il mancato rispetto della condizionalità di base dovrebbe essere usato come campanello di allarme di situazioni di particolare criticità, da investigare e seguire ulteriormente da parte dei servizi sociali. L’evidenza empirica internazionale a tal proposito evidenzia che i risultati migliori in termini di attivazione dei beneficiari vengono raggiunti laddove a sanzioni parziali in caso di inadempienza si affiancano effettivi programmi di orientamento e recupero, mentre sanzioni più severe (quali l’immediata espulsione dal programma) rischierebbero di generare forti tassi di abbandono tra i beneficiari più deboli dal punto di vista delle prospettive di reinserimento (Immervoll, 2012). Ovviamente la condizionalità più rigida sarà prevista con riferimento all’attivazione lavorativa. In aggiunta alle controprestazioni di base viste sopra, tutti i soggetti abili al lavoro saranno cioè tenuti a rispettare il ‘patto di servizio’ e i doveri in questo contenuti. In generale, dovranno cercare attivamente un’occupazione ed essere immediatamente disponibili al lavoro, accettando pertanto qualsiasi ‘congrua’ offerta di lavoro da parte del Centro per l’impiego, o dei servizi per l’impiego più in generale, e svolgendo le attività di formazione e riqualificazione previste. Ma vediamo che cosa è bene intendere per ‘congrua offerta di lavoro’. Al di là di quanto previsto dalla Legge Fornero, rispetto alla condizionalità associata ai sussidi di disoccupazione7, si preferisce qui riferirsi all’esperienza tedesca relativa allo schema di assistenza sociale per gli abili al lavoro (ALG II, vedi cap. 11), e dunque prevedere che il beneficiario del Reis debba accettare qualsiasi lavoro sia in grado di svolgere. Se il reddito derivante da tale occupazione dovesse essere inferiore al trasferimento fornito dal Reis, quest’ultimo integrerebbe la differenza, funzionando come in-work benefit, ed anzi verrebbero previsti opportuni incentivi cosicché il reddito percepito dal beneficiario che trova un’occupazione sarebbe comunque superiore all’importo della sola prestazione monetaria del Reis (cfr paragrafo 6.4.3). Un altro aspetto da considerare circa la congruità dell’offerta di lavoro è quello relativo agli spostamenti richiesti per raggiungere il luogo di lavoro, ai costi di produzione del reddito ad esso connessi e alle eventuali conseguenze sulla fornitura di cura all’interno della famiglia. La legge 92/2012, al riguardo, considera accettabili (e come tali non rifiutabili, pena la perdita dello stato di disoccupazione necessario per la corresponsione dei relativi sussidi) le attività lavorative o di formazione ovvero di riqualificazione che si svolgono in un luogo che non dista più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore, o è comunque raggiungibile mediamente in 80 minuti con i 7 La legge 92 del 2012 definisce ‘congruo lavoro’ un lavoro che dia luogo a un livello retributivo superiore almeno del 20% rispetto all’indennità percepita. Pagina 13 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) mezzi di trasporto pubblici8. Questa sembra una definizione ragionevole di pendolarismo accettabile, ma riteniamo che, nell’ambito del Reis, vada valutata dai Servizi Sociali di concerto con i servizi per l’impiego in relazione ad eventuali compiti di cura del beneficiario. Potrebbero ad esempio essere prese in considerazione forme di sussidio ulteriore per compensare, almeno parzialmente e sino a certe soglie, le spese di produzione del reddito con riferimento ai costi di spostamento, nel caso in cui questi siano rilevanti. Ciò potrebbe esser fatto in forma di prestazioni in natura (abbonamento ai mezzi pubblici, o al treno), di agevolazioni (il mantenimento delle agevolazioni per il trasporto pubblico previste per i disoccupati, ad esempio) o ancora di trasferimento monetario ulteriore, in una prospettiva di make work pay. Per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, date le caratteristiche del contesto italiano, pare appropriato adottare un sistema sufficientemente severo, nel quale siano previste riduzioni consistenti, o vere e proprie sospensioni dalla fruizione della prestazione, in caso di indisponibilità al lavoro o di non partecipazione ai programmi formativi o di riqualificazione. Al riguardo, molti paesi europei adottano un approccio graduale, nel quale inoltre le sanzioni possono essere differenziate a seconda della gravità dell’infrazione (vedi Cap.11). Sulla scorta di quanto accade nell’esperienza internazionale, si potrebbe pensare, per il Reis, a delle sanzioni consistenti nella decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni. Tuttavia, in quasi tutti i paesi europei, i soggetti in età lavorativa, potenzialmente abili ma impegnati in attività di cura diretta e continuativa di minori, anziani o persone con disabilità, sono esonerati dall’obbligo dell’attivazione nel mercato del lavoro9. Riteniamo che questo criterio sia applicabile anche al Reis, previa presentazione di apposita documentazione, temporaneamente e comunque per il tempo di effettiva sussistenza del bisogno di cura, che per i minori potrebbe significare il compimento dei 3/6 anni di età. Occorre tuttavia a questo proposito prestare attenzione al rischio di replicare il modello di divisione del lavoro di genere di tipo male breadwinner: donne adibite a compiti di cura, uomini abili al lavoro e oggetto di formazione/riqualificazione, con il risultato di aumentare il capitale umano e le chance di rioccupabilità di questi, ma non di quelle, incatenandole alla famiglia e legando le chance della famiglia stessa di uscire da condizioni di povertà alla sola capacità lavorativa del maschio capofamiglia. Per non incorrere in questo rischio sarebbe opportuno prevedere per il Reis un mix che comprenda compiti lavorativi part-time o di formazione/riqualificazione anche per chi ha compiti di cura; nel caso l’impegno lavorativo o di formazione fosse completamente assorbente, occorrerebbe fornire servizi sociali che riducano i compiti di cura, liberando tempo per poter attuare il mix cura/attivazione. TABELLA 5 – REGOLE DI CONDIZIONALITÀ POSSIBILE Condizionalità di base 8 Sembra in ogni caso sensato prendere in considerazione le condizioni dei trasporti pubblici locali, giacché un luogo di lavoro situato a distanza relativamente breve dal luogo di residenza potrebbe essere raggiunto soltanto con difficoltà (molte coincidenze, ecc.) o in tempi lunghi senza un mezzo di trasporto privato. 9 La Provincia di Trento esonera dalla ricerca attiva di un lavoro anche studenti di scuola secondaria di secondo grado fino all'età di 21 anni o comunque nel corso legale di studi, studenti universitari titolari di borsa di studio, studenti frequentanti corsi post-universitari e persone impegnate nel servizio civile volontario. Pagina 14 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) Mancato rispetto degli impegni di ‘buona cittadinanza’ Mancata comunicazione delle variazioni nella situazione familiare Inadempienza rispetto ai percorsi di inclusione sociale sospensione dell’erogazione spettante, fino al momento dell’accertato rispetto degli impegni assunti; eventuale riduzione dell’integrazione spettante, in percentuale variabile e comunque correlata alla gravità della violazione; eventuale revoca nel caso in cui le cause che hanno prodotto le sospensioni e/o le riduzioni non siano state superate nell’arco di 3 mesi; preservazione della ‘quota minori’ Condizionalità legata al lavoro Mancato rispetto del ‘patto di servizio’ per i beneficiari potenzialmente ‘abili’ decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e la revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni; temporanea esenzione dall’obbligo di attivazione per i beneficiati impegnati in attività di cura 6.3.3 Incentivi all’integrazione dei beneficiari in occupazioni remunerate Gli schemi volti a incentivare l’integrazione dei beneficiari nell’occupazione remunerata sono in generale di due tipi: incentivi all’assunzione dei beneficiari, rivolti agli imprenditori, e schemi intesi a rendere il lavoro conveniente per i beneficiari rispetto alla mera fruizione della prestazione di reddito minimo (make work pay), attraverso varie forme.Una di tali forme è quella della creazione diretta di posti di lavoro, tipicamente nel settore pubblico, della quale è bene occuparsi subito. Un’analisi delle esperienze internazionali mostra che questi schemi, normalmente rivolti a beneficiari di difficile occupabilità, sopravvivono in alcuni sistemi, mentre sono stati aboliti in altri, che è la scelta fatta con il Reis10. L'evidenza empirica relativa a tali esperienze insegna come i lavori pubblici sussidiati siano scarsamente efficaci nell'integrare nel mercato del lavoro regolare i beneficiari del reddito minimo (Immervoll 2010, Kuddo 2012)11. Date le condizioni di finanza pubblica in Italia, e l’esperienza dell’Rmi e dei lavori socialmente utili nel nostro paese la scelta di escludere recisamente la possibilità di occupazione sussidiata nel settore pubblico dal 10 Se in Olanda l’uso di schemi di impiego pubblico è stato eliminato e l’occupazione sussidiata drasticamente ridotta, in Francia lo strumento di inserimento lavorativo più diffuso tra i beneficiari del reddito minimo è il Contratto di accompagnamento nell’occupazione (CUI-CAE, Contrat d’accompagnement dans l’emploi), che è un contratto di durata sino a 2 anni (5 per i beneficiari ultracinquantenni), pressoché interamente sussidiato nei settori non di mercato (settore pubblico e terzo settore), rivolto a quanti abbiano particolari problemi di occupabilità, che prevede un salario orario pari al salario minimo. Lo strumento più utilizzato in Germania è l’Arbeitsgelegenheiten (“opportunità di lavoro”), i cosiddetti one-euro jobs, lavori di utilità collettiva remunerati con un salario simbolico (1,5 euro all’ora). Dal 2011 è però stata abolita la creazione diretta di posti sussidiati nel settore pubblico (i cosiddetti ABM, Arbeitsbeschaffungsmaßnahme). 11 Né, d'altro canto, sembra esservi evidenza di effetti positivi di tipo non occupazionale di tali lavori: “Questi programmi potrebbero, comunque, essere giustificati sulla scorta di altre considerazioni. Potrebbero infatti servire come test di disponibilità da parte di individui che vengono solitamente percepiti come poco motivati nella ricerca di lavoro. Inoltre, potrebbero mirare a promuovere abitudini e condotte lavorative (una sorta di training sul posto di lavoro) nonché l’inclusione sociale dei partecipanti, che potrebbero esser stati fuori dal mercato del lavoro per parecchio tempo. Vi è, però, poca evidenza concreta sui meriti dei programmi di occupazione nel settore pubblico nel promuovere esiti non occupazionali di questo genere” (Immervoll 2010, 42, nostra traduzione). Pagina 15 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) novero delle possibilità contemplate dal Reis ci pare pienamente giustificata. Tale divieto non si estende a lavori di utilità collettiva remunerati con un salario simbolico. Per quanto riguarda gli incentivi all’assunzione da parte degli imprenditori, questi sono di vario genere: integrazioni salariali, rimborsi o riduzione dei contributi sociali, incentivi fiscali, rimborso dei costi sostenuti per la formazione, per citarne alcuni. Nell’esperienza comparativa, tali incentivi vengono usati correntemente, nelle loro varie forme. In Francia i beneficiari dello schema di reddito minimo possono avere accesso al Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE, Contrat initiative emploi) nel settore del commercio e dell’industria12. Il Contratto d’iniziativa per l’occupazione ha una durata compresa tra 6 e 24 mesi (5 anni per gli ultracinquantenni), per almeno 20 ore settimanali retribuite al minimo salariale. Il datore di lavoro ottiene un rimborso pari al 47% del salario lordo, ma può stipulare tale contratto solo se non ha licenziato lavoratori nei 6 mesi precedenti e se non utilizza il beneficiario del reddito minimo per sostituire un licenziamento. Anche in Germania sono previste agevolazioni per le imprese che assumano beneficiari dell’assistenza sociale per gli abili al lavoro, con caratteristiche molto simili a quelle francesi. In Italia, il decreto legge 76 del 2013 ha previsto, in via sperimentale sino a giugno 2015, degli incentivi all’occupazione per i giovani tra i 18 e i 29 anni di età che rientrino in una delle tre seguenti categorie: a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionalizzante; c) vivano soli con una o più persone a carico. Per queste categorie, la legge prevede un incentivo per il datore di lavoro che proceda ad assunzioni con contratto a tempo indeterminato pari a un terzo della retribuzione mensile lorda sino a 12 mesi, con un tetto di 650 euro mensili. L’incentivo viene attivato se le assunzioni comportano un incremento occupazionale netto, calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi precedenti all’assunzione. Mentre sono da valutare i comportamenti individuali e familiari indotti dalla misura per quanto riguarda le categorie (b) (giovani a bassa scolarizzazione) e (c) (giovani con persone a carico) e la loro compatibilità con i principi ispiratori del Reis (ad esempio, quanto all’obiettivo della formazione e della qualificazione professionale dei beneficiari del Reis abili al lavoro), gli incentivi per l’assunzione dei giovani disoccupati da più di 6 mesi sono certamente da promuovere e utilizzare ai fini del reiserimento lavorativo dei beneficiari del Reis. Potrebbero a tale fine essere previste delle azioni prioritarie, rivolte ai beneficiari del Reis, nel quadro delle risorse messe a disposizione dalla nuova programmazione comunitaria 2014-2020 che vadano oltre la fase di sperimentazione che si concluderà nel 2015. Più in generale, peraltro, sarebbe pienamente compatibile con il diritto comunitario l’adozione di un sistema di incentivi all’occupazione dei beneficiari del Reis (indipendentemente dall’età) disoccupati da oltre sei mesi, che copra sino al 50% dei costi del lavoro per un periodo sino a 12 mesi13. 12 I beneficiari dello schema di reddito minimo hanno accesso al Contratto unico di inserimento (Contrat unique d’insertion, CUI), ulteriormente differenziato nel Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE) nel settore del commercio e dell’industria oppure, per i casi di più difficile occupabilità, nel Contratto di accompagnamento nell’occupazione (CUI-CAE), che è un contratto interamente sussidiato nel settore pubblico o nel terzo settore (vedi nota 12). 13 Tali previsioni sono infatti in accordo con il Regolamento CE 800/2008 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune. Tale Regolamento si applica sino al 31 dicembre 2013; occorrerà pertanto Pagina 16 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) Il decreto legge 76 del 2013 prevede inoltre degli incentivi per gli imprenditori che assumano a tempo pieno e indeterminato lavoratori che fruiscono dell’Aspi14. Si potrebbe valutare l’estensione di tali incentivi, opportunamente rimodulati quanto a durata, anche per l’assunzione di beneficiari del Reis. Ovviamente, tutto ciò implicherebbe significativi costi aggiuntivi per la finanza pubblica, opportunamente da valutare in aggiunta ai costi di finanziamento del Reis, e da computare nella voce relativa alle azioni di accompagnamento. Circa gli incentivi che agiscono sul versante dell’offerta di lavoro, rendendo conveniente per il beneficiario intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay), questi possono essere suddivisi in due gruppi: 1) incentivi e agevolazioni all’auto-imprenditorialità (start-up subsidies); 2) schemi volti ad evitare la trappola della disoccupazione. Circa i primi, l’evidenza internazionale porta ancora una volta a considerare il caso tedesco, nel quale è possibile, a discrezione dell’autorità che eroga la prestazione di assistenza sociale per gli abili al lavoro, autorizzare l’ammissione del beneficiario del reddito minimo (ALG II) allo schema Gründungszuschuss (sussidio allo start-up) previsto per i beneficiari del sussidio di disoccupazione (ALG I). Tale schema prevede, a fronte della costituzione di un’impresa individuale, il pagamento della prestazione sino a sei mesi, più un contributo in somma fissa di 300 € al mese per coprire gli oneri sociali e previdenziali. Una previsione simile è ora in vigore anche in Italia per i beneficiari di sussidi di disoccupazione. La legge 92/2012 prevede che, in ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, in via sperimentale, i lavoratori aventi diritto all'Aspi e alla mini-Aspi potranno richiedere e ottenere la liquidazione degli importi del relativo trattamento, al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo ovvero per avviare un’attività in forma di auto-impresa o di microimpresa o per associazioni in cooperativa. Per l'iniziativa la legge ha stanziato 20 milioni di euro per ciascuno degli anni interessati all'incentivo. Come in Germania, si potrebbe estendere tale previsione anche ai beneficiari del Reis. Quanto alla trappola della disoccupazione, che si verifica quando un incremento unitario di reddito da lavoro dà luogo ad una riduzione almeno di pari importo nella prestazione, l’evidenza comparata mostra vari tipi di schemi volti ad evitarla, tutti applicabili alla situazione in cui un beneficiario trovi un’occupazione remunerata nel periodo di fruizione del reddito minimo. L’obiettivo di tutti è quello di rendere conveniente il ritorno al mercato del lavoro secondo la logica del welfare attivo, evitando così il rischio che abbandonare il sistema dei sussidi comporti un impoverimento. L’aspetto più significativo è la possibilità di cumulare il reddito da lavoro con il percepimento del sussidio, il cui diritto non decade se non a fronte di una situazione occupazionale adeguata ad innalzare il reddito della persona al di sopra della soglia di povertà, e in realtà tipicamente ad un multiplo di questa, cosicché sia conveniente trovare un lavoro. In molti paesi pertanto gli schemi di reddito minimo prevedono una deduzione sul reddito da lavoro derivante dall’occupazione reperita durante il periodo di fruizione della prestazione. Ciò funziona inoltre come in-work benefit per occupazioni a bassa remunerazione o part-time, che diano luogo a un reddito inferiore alla soglia. In Germania, in Finlandia e in Olanda vige un sistema di questo tipo, con deduzioni tipicamente intorno al 20% del reddito da lavoro. In Francia si consente 14 verificare la compatibilità delle proposte qui avanzate con le nuove norme europee sulla compatibilità con il mercato comune in corso di adozione. L’incentivo è pari, per ciascuna mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, al cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Sono previste delle condizioni miranti ad evitare comportamenti opportunistici da parte del datore di lavoro (licenziamento e riassunzione per godere degli incentivi). Pagina 17 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) ai beneficiari che trovano un’occupazione di mantenere il reddito minimo sommandovi il reddito da lavoro nella misura del 62% (quindi con una deduzione su questo pari al 38%), sino al raggiungimento di una soglia pari a 1,4 volte il salario minimo (che in Francia è fissato per legge ed è posto alla base delle prestazioni di assistenza sociale). In altri paesi, ai beneficiari di reddito minimo che trovino un’occupazione viene mantenuto il sussidio per un certo periodo di tempo, seppure in forma ridotta. Questo accade ad esempio in Austria, dove il sussidio viene preservato per un massimo di 18 mesi per un ammontare di regola pari al 15%. Una previsione simile è stata introdotta nel Reddito di Garanzia della Provincia di Trento. Qui lo schema di make work pay è congegnato come una lump sum: se un beneficiario trova un’occupazione remunerata che lo porta al di sopra della soglia di accesso al programma, allo scadere del primo anno di attività lavorativa ininterrotta può, su domanda, ricevere un trasferimento in somma fissa pari a due mensilità della prestazione goduta in precedenza. A fronte dell’esperienza comparativa, è auspicabile prevedere una deduzione con riferimento ai redditi derivanti da un’occupazione reperita durante il periodo di permanenza nel programma. Si potrebbero prospettare due soluzioni. Ai fini della valutazione dei requisiti di persistenza nel programma, i redditi da lavoro potrebbero essere considerati solo nella misura dell’80% per il primo anno e del 90% nel secondo, prevedendo dunque una deduzione rispettivamente del 20% e del 10%. Uno schema simile rende il lavoro conveniente, e si configura come un in-work benefit per quanti trovino un’occupazione insufficiente a portarli sopra la soglia di povertà. In ogni caso, però, tale deduzione dovrebbe applicarsi ai soli redditi da lavoro maturati durante la permanenza nel programma, e non prima di tre mesi dall’ammissione. Questo al fine di evitare comportamenti opportunistici da parte dei beneficiari. Gli aspiranti beneficiari potrebbero essere infatti indotti a rinviare l’avvio di una nuova possibile occupazione a un momento successivo all’adesione al programma. sfruttando così le facilitazioni previste dal Reis. Un’eccezione a tale previsione sarebbe in vigore nel caso in cui l’offerta provenisse dal locale Centro per l’Impiego o da un’Agenzia per il lavoro nel quadro degli accordi auspicati. In alternativa, si può immaginare uno schema di incentivo semplificato, ispirato alle esperienze austriaca e trentina, nel quale qualsiasi remunerazione ottenuta a fronte di un’occupazione nel mercato del lavoro regolare, trovata dopo almeno 6 mesi dall’ingresso nel programma, darebbe luogo ad un’indennità pagabile per un anno al massimo. Il suo ammontare potrebbe essere convenzionalmente fissato nel 15% dell’entità della prestazione ricevuta prima di trovare l’impiego. Per coloro i quali grazie all’occupazione remunerata sono usciti dal programma, l’indennità costituisce un premio; per quanti nonostante l’ottenimento di un’occupazione remunerata siano ancora nel programma l’indennità si configura come un in-work benefit. Naturalmente quanto finora illustrato è percorribile nel caso in cui il beneficiario trovi un’occupazione regolare durante il periodo di percepimento del trasferimento. Occorre però prevedere, e dunque impedire, la possibilità di erogare il Reis in aggiunta ad un’occupazione continuativa nel sommerso. Rispetto a questa questione si rimanda a quanto già esposto nel paragrafo sulla condizionalità. Pagina 18 6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II) TABELLA 6 - GLI INCENTIVI AL LAVORO Tipologie possibili 1. creazione diretta di posti di lavoro nel settore pubblico 2. incentivi/sgravi alle imprese che assumono Previsti nel Reis No Sì (previa stima costi aggiuntivi e relativa sostenibilità) Modalità attuative Fatta salva la possibilità di lavori di utilità collettiva remunerati con salario simbolico (one euro jobs) Incentivi all’assunzione dei beneficiari disoccupati da più di 6 mesi, sino al 50% dei costi totali del lavoro per un periodo sino a 12 mesi. Estensione degli incentivi previsti per le assunzioni dei percettori di ASPI. a. start-up subsidies - possibilità di chiedere la liquidazione del contributo al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo/imprenditoriale (possibile estensione di quanto previsto per ASPI e Mini ASPI dalla legge 92/2012) 3. politiche ‘make work pay’ Pagina 19 Sì b. schemi contro la trappola della disoccupazione - deduzione dei redditi da lavoro (trovato durante il periodo di permanenza nel programma e non prima di tre mesi dall’ammissione) del 20% e del 10% rispettivamente nel primo e nel secondo anno; - indennità a fronte di un’occupazione trovata dopo almeno 6 mesi dall’ingresso nel programma, di importo pari al 15% dell’entità della prestazione ricevuta prima di trovare impiego (prevista per un anno al massimo) 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA L’attuale sistema di interventi pubblici contro la povertà è frantumato in almeno 5 diversi segmenti scoordinati: 1) interventi INPS per la povertà di anziani e nuclei; 2) detrazioni/deduzioni fiscali, 3) prestazioni istituite da leggi nazionali; 4) riduzioni di costi di servizi; 5) interventi locali di Regioni e Comuni. Un simile sistema – oltre a mancare di equità e generare sprechi - produce una molteplicità di effetti negativi per i potenziali beneficiari, ad esempio l’impossibilità per i più fragili di conoscere tutto ciò che potrebbero richiedere. Inoltre la dispersione delle erogazioni tra più Enti impedisce che per una stessa famiglia si possano compattare le differenti risorse in un progetto organico. Si propone una transizione al nuovo sistema del REIS che includa una forte ricomposizione degli attuali interventi ma con una progressione graduale e con la tutela dei diritti acquisiti. In tal modo, chi già fruisce di interventi al momento del riordino potrà continuare a fruirne, con una messa a regime del nuovo sistema che eviti drastiche interruzioni di prestazioni o peggioramento delle protezioni . Secondo questa logica, al primo avvio del Reis: Chi riceve assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS continua a fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a regime. Chi ancora non ne riceve quando si avvia il REIS, se li richiede nei primi 3 anni può fruirne ma con metodi di valutazione delle proprie condizioni economiche più equi (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del reddito, e di tutti i membri del nucleo familiare). Chi riceve social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI continua a riceverli solo sino alla messa a regime del REIS. Chi non ne riceve quando si avvia il REIS può ricevere soltanto il REIS (peraltro più vantaggioso) se ne ha diritto; in caso contrario può riceverli solo sino alla messa a regime del REIS. Al momento della messa a regime, per le famiglie in povertà assoluta il REIS sostituirà sia assegni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS, sia le altre prestazioni nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento richiedano per la prima volta interventi contro la povertà e siano effettivamente sotto le soglie di povertà assoluta ISTAT potranno fruire solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali messe in opera da Regioni e Comuni. La gradualità della transizione consentirà di approfondire i successivi snodi del riordino, evitando cadute di prestazioni, pur modificando a fondo il sistema. In queste pagine ci si propone di: descrivere gli interventi attualmente esistenti contro la povertà economica ed evidenziarne le criticità, che la proposta del REIS intende ridurre; disegnare come può avvenire la transizione dal sistema attuale sino alla messa a regime del REIS, ricomponendo gli interventi oggi operanti. Pagina 1 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA 7.1 IL SISTEMA ATTUALE CONTRO LA POVERTA’ E I SUOI EFFETTI NEGATIVI 7.1.1 La mappa degli interventi esistenti e dei percorsi per i cittadini Se osserviamo le prestazioni contro la povertà che consistono in sostegni al reddito, il welfare pubblico propone oggi interventi scoordinati e frantumati sotto diversi profili: i criteri di accesso, le prestazioni ricevute, gli Enti che li gestiscono. Ne risulta un sistema di non semplice descrizione né di facile conoscenza per i cittadini. Per ricostruirne una sintetica mappa si possono richiamare i principali interventi esistenti nel 2013, e i percorsi che deve seguire il cittadino per accedervi: Le prestazioni assistenziali INPS per la povertà di anziani e nuclei Comprendono i trasferimenti monetari di natura assistenziale, ossia erogati indipendentemente dai contributi versati. Tra questi le misure di maggior rilievo sono: L’assegno sociale (sino al 31/12/1995 denominato “pensione sociale”), che viene erogato sino a un massimo di 442,29 Euro mensili (per 13 mesi) se il reddito dell’anziano oltre i 65 anni non coniugato (oppure dell’anziano e del coniuge) è inferiore a una soglia stabilita; dal 2013 l’età crescerà progressivamente sino a raggiungere nel 2018 i 66 anni e 7 mesi. Nella valutazione della condizione economica non vengono considerati i beni mobiliari ed immobiliari, né i redditi di eventuali altre persone diverse dal coniuge che compongono il nucleo familiare 13 . Le integrazioni di pensioni (integrazioni al minimo) e le maggiorazioni sociali: l’integrazione prevede che se con le pensioni percepite (di invalidità, vecchiaia e per i superstiti, e gli assegni sociali) il reddito dei pensionati resta inferiore a una soglia minima, l’INPS le integra sino a garantire un reddito minimo. Nel 2013: se il pensionato è solo il reddito deve essere inferiore a 6.440,59 Euro annui; se è coniugato il reddito della coppia deve essere inferiore a 19.321,38 Euro annui. In questi casi la pensione è integrata per portarla a 495,43 euro per 13 mesi (6440,59 annui); se il reddito del pensionato solo è tra 6440,59 Euro e 12.881,18 Euro annui, e quando coniugato il reddito della coppia è tra 19.321,77 Euro e 25.762,35 Euro annui, l’INPS integra con importi più limitati la pensione. Oltre questi ultimi limiti di reddito (che sono multipli dell’importo della pensione minima INPS) non è prevista integrazione. L’integrazione al minimo non si applica alla pensioni calcolate col metodo contributivo. La maggiorazione sociale è un importo mensile aggiuntivo alla pensione, crescente in base all’età, per chi ha redditi inferiori a soglie definite; per chi ha più di 70 anni (o di 60 se invalido) la maggiorazione ha anche un “incremento per soggetti disagiati”per portare la pensione a 631,86 Euro al mese. Inoltre a chi riceve una pensione derivante da contributi versati (esclusi pertanto pensione o assegno sociale) e non ha diritto alla maggiorazione sociale può essere erogato, se non supera limiti di reddito personali e del coniuge, un importo aggiuntivo una tantum alla tredicesima mensilità di 154,94 Euro. Può anche essere erogata una somma aggiuntiva una volta l’anno (cosiddetta “quattordicesima”) crescente in base ai contributi che sono stati versati dal pensionato, sino a 500 Euro. Per tutti questi interventi si valuta esclusivamente il reddito dell’anziano e del coniuge, e non viene considerato il valore dei beni mobiliari ed immobiliari posseduti 14. 13 14 Al 31/12/2011 erano vigenti 136.541 pensioni sociali (con un importo medio mensile di 399 Euro) e 691.259 assegni sociali (con un importo medio di 388 Euro). Fonti : INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it), oppure dati in “Open data INPS” (www.inps.it) Al 31/12/2011 le pensioni integrate al minimo erano 3,8 milioni (con una spesa stimata nell’intero 2010 di circa 12 miliardi di euro 14 ) e le maggiorazioni sociali erano erogate su 1.185.000 pensioni, per un importo an- Pagina 2 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA Gli assegni al nucleo familiare: per nuclei familiari di lavoratori e pensionati l’INPS eroga un assegno mensile quando i redditi del nucleo sono inferiori a soglie determinate ogni anno. Si considerano i redditi complessivi assoggettabili all’Irpef (da lavoro e pensione, da immobili, rendite) e i redditi di qualsiasi altra natura (esenti da imposta, soggetti alla ritenuta alla fonte, a imposta sostitutiva). Sono escluse le indennità di accompagnamento e le rendite INAIL quando superano una determinata soglia (che nel 2012 era di 1.032,91 Euro). Almeno il 70% del reddito familiare deve derivare da lavoro o pensione. Il percorso di accesso ad assegno sociale, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali implica la presentazione di una richiesta all’INPS, direttamente o tramite un Patronato. Gli assegni al nucleo familiare vanno invece richiesti, se lavoratori dipendenti, al proprio datore di lavoro. Detrazioni e deduzioni fiscali Includono anche benefici per persone con redditi inadeguati: in particolare se nell’anno per il quale si presenta la dichiarazione IRPEF si è abitato in un alloggio in affitto (con contratto registrato) e si dichiara un reddito inferiore ad una soglia definita, si può ottenere una detrazione di circa 400 Euro. Se la persona non deve versare nulla di IRPEF, perché il reddito posseduto è basso, la detrazione diventa un accredito ossia un’erogazione monetaria che la persona riceverà. Per utilizzare questa detrazione è necessario presentare la dichiarazione IRPEF. Una conseguenza per i cittadini più poveri (e meno autonomi) è la necessità di presentare per questa unica ragione il 730, di norma tramite un CAF. Contributi economici istituiti da specifiche leggi nazionali Questa area di interventi è cresciuta con tratti spesso caotici in particolare negli ultimi 15 anni; tra gli interventi operanti nel 2013: La “Carta Acquisti” (o “social card”), che incorpora 40 Euro al mese (ricaricabili ogni due mesi) per acquisti effettuati presso esercizi commerciali abilitati al circuito Mastercard, o per pagare bollette agli Uffici Postali. 15 Nel 2011 i beneficiari (anziani e minori) sono stati 535.412, per un importo erogato di 207,1 milioni di Euro 16 . Un contributo (erogato in unica soluzione) se il nucleo ha sostenuto negli anni precedenti spese per l’affitto dell’abitazione che superano una percentuale definita del suo reddito annuo. Questa misura deriva dal Fondo Nazionale per il Sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione istituito con la legge 431 del 1998 e si fonda su risorse nazionali che sono state progressivamente molto ridotte. Gli importi che si possono ricevere dipendono sia dai criteri attuativi regionali che dall’entità del finanziamento per il bando dell’anno in corso. Un assegno per nuclei con un nuovo nato (denominato anche “assegno di maternità di base”) e un assegno a nuclei con almeno 3 figli minori di età, che presentino un ISEE inferiore a soglie definite; nel 2013 l’assegno per il nuovo nato è erogato se una famiglia di 3 persone ha un ISEE non superiore a 34.873,24 Euro; quello per i 3 minori se una famiglia di 5 persone ha un ISEE inferiore a 25.108,71 Eu- nuo di 1,7 miliardi di euro. Sempre nel 2011 circa 1 milione di pensioni ha ricevuto l’assegno aggiuntivo una tantum (con una spesa di 147 milioni di euro), ed a 2,6 milioni di pensioni è stata erogata la “quattordicesima mensilità” per oltre 1 miliardo di euro. Fonte: INPS “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it), 15 Nel secondo semestre 2013 si avvia la sperimentazione, in 12 grandi Comuni, della “nuova social card” (attivata con Decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali pubblicato in G. Uff. il 3/5/2013, in attuazione dell’articolo 60 del D. L. 9/2/2012, n. 5, come modificato dalla legge di conversione 4/4/2012, n. 35) che prevede un accesso ai servizi dei Comuni (che devono anche proporre percorsi di inserimento formativo/lavorativo), un importo più significativo, e una tipologia di utenza più circoscritta. Questa nuova social card si estenderà anche alle regioni del Mezzogiorno, attraverso la “carta di inclusione sociale”, che raggiungerà una platea più ampia (170mila persone), rispondente agli stessi criteri della sperimentazione: famiglie con minori e con disagio lavorativo (disoccupati o con remunerazione molto bassa). E partirà entro il primo bimestre del 2014. 16 INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it) Pagina 3 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA ro. Se nel nucleo sono compresenti sia un nuovo nato che tre minori si possono ricevere entrambi gli assegni. L’assegno per i 3 minori nel 2013 è di 139,49 Euro mensili per 13 mesi; quello per il nuovo nato è un assegno unico di 1672,65 Euro. 17 L’accesso a queste prestazioni implica percorsi diversi per i cittadini: a) La Carta acquisti (“social card”) si richiede agli Uffici Postali presentando l’ISEE, e quando concessa va ritirata sempre agli Uffici Postali. 18 b) Il contributo sull’affitto pagato va richiesto al Comune, ma solo dopo che la Regione attiva il bando per raccogliere le richieste dell’anno in corso. Il Comune nega o accoglie l’istanza. c) Gli assegni per il nuovo nato e i 3 figli vanno richiesti dal cittadino presentando l’ISEE ai Comuni di residenza, i quali accertano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo accoglimento all’INPS, che provvede al pagamento. Molti Comuni hanno affidato tutte le fasi del rapporto con i cittadini e la gestione delle richieste ai CAF convenzionati. Riduzioni di tariffe e costi di servizi Alcuni di questi benefici sono stati introdotti con apposita legge nazionale: Riduzione di costi di servizi per l’abitazione, come il “bonus gas” (sui consumi di gas dell’abitazione principale) e il “bonus elettricità” (sui consumi di energia elettrica), che possono produrre una riduzione del costo sino a circa il 20%, in modo variabile in base ai componenti il nucleo familiare, sino a un massimo (per il 2013) di 242 Euro per i costi del gas, e di 155 Euro per l’energia elettrica. La riduzione del costo del gas opera solo per il metano distribuito in rete. L’esonero dal pagamento del canone di abbonamento alla RAI TV per chi ha compiuto 75 anni entro il termine di pagamento, non convive con altri soggetti diversi dal coniuge titolare di reddito proprio e possiede un reddito che (unitamente a quello del proprio coniuge convivente) non è superiore a una soglia stabilita annualmente. Nel 2013 il limite deve essere inferiore a 6.713.98 Euro, considerando il solo reddito imponibile ai fini IRPEF (al netto delle detrazioni). Altre riduzioni sono attivate dai singoli gestori di servizi; ad esempio: La riduzione del canone Telecom del 50% per nuclei familiari che includano una persona che percepisce la pensione di invalidità civile o la pensione sociale, oppure un anziano di età superiore ai 75 anni, o il capo famiglia disoccupato. L’ ISEE del nucleo familiare non deve essere superiore a una soglia definita ogni anno. Anche l’accesso a queste prestazioni richiede percorsi diversi per i cittadini: I bonus per gas ed elettricità vanno richiesti dal cittadino ai Comuni di residenza presentando l’ISEE; i Comuni verificano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo accoglimento agli erogatori delle forniture di energia. Anche per questo beneficio molti Comuni hanno affidato tutti i rapporti con i cittadini e la gestione delle richieste a CAF convenzionati. Per il canone RAI bisogna spedire la domanda con gli allegati in plico raccomandato all’Agenzia delle Entrate, oppure consegnare la domanda presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Per il canone Telecom occorre presentare richiesta alla Telecom, seguendo la procedura ogni anno adottata. 17 18 Nel 2011 i beneficiari dell’assegno per i nuovi nati sono stati 143.437; quelli dell’assegno per 3 figli minori 199.944. Dati contenuti nella relazione tecnica del Ministero del Welfare di accompagnamento al DPCM proposto dal Governo per la revisione dell’ISEE (dicembre 2012) La “nuova social card” in sperimentazione da metà 2013 prevede l’accesso tramite i Comuni Pagina 4 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA Interventi delle Regioni e dei Comuni (o degli Enti che gestiscono i servizi socio assistenziali per conto dei Comuni) Includono le prestazioni messe in opera dai Comuni, anche sulla scorta di eventuali norme nazionali o regionali, in genere con spesa non coperta da finanziamenti nazionali specificamente mirati alla singola prestazione. Si articolano in due tipologie principali: Quasi tutti i Comuni prevedono interventi di assistenza economica: trasferimenti monetari erogati o in modo continuativo (per innalzare il reddito mensile sino ad un valore minimo finché permangono le condizioni di povertà) oppure per fronteggiare eventi momentanei e criticità straordinarie. Criteri erogativi ed importi presentano rilevanti differenze e variabilità nei diversi territori, perché dipendono da eventuali norme regionali sul tema (peraltro molto rare) e/o dalle scelte degli enti gestori locali. Per l’accesso a queste prestazioni i richiedenti devono di norma presentare una richiesta al servizio sociale del territorio di residenza. Riduzioni di tariffe e costi di servizi locali: riduzioni dei costi trasporti pubblici locali per persone e nuclei con basso reddito. In molti territori le società fornitrici della rete idrica prevedono un rimborso ai nuclei in difficoltà economica su quanto pagato per la fornitura dell’acqua (c.d. “bonus acqua”). Opera in molti Comuni una riduzione sulla tassa raccolta rifiuti dell’abitazione principale, in presenza di difficoltà economiche, nonché esoneri o riduzioni nelle tariffe per le mense scolastiche e dei nidi. Diversi Comuni prevedono esenzione dal pagamento dell’addizionale comunale IRPEF per chi ha redditi inferiori a soglie definite dal Comune stesso . Per l’accesso a queste prestazioni di norma i richiedenti devono presentare una richiesta agli uffici delle specifiche amministrazioni o aziende che gestiscono i diversi servizi (trasporti, acqua), od al Comune. Va ricordato che sono anche presenti altri interventi economici contro la povertà, come quelli che diverse Regioni hanno attivato per famiglie povere con figli (i cosiddetti “bonus bebè”) o la possibilità che era stata avviata nel 2009 - di beneficiare di riduzioni dei costi per cure odontoiatriche presso i dentisti aderenti ad un accordo tra Ministero del welfare e Associazioni di dentisti. Inoltre soprattutto nei Comuni possono essere attive altre misure di sostegno del reddito e agevolazione per famiglie con basso reddito. Questo scenario di prestazioni e canali di accesso per il cittadino può essere rappresentato nella mappa al grafico 1, che presenta in alto gli interventi operanti a livello nazionale ed in basso quelli locali. GRAFICO 1 IL CITTADINO DEVE ACCEDERE Al’INPS o tramite i Patronati Al datore di lavoro o all’INPS PER RICHIEDERE A CHI CHE COSA INPS INPS INTERVENTI - Assegno sociale - Integrazione al minimo della pensione - Maggiorazioni sociali della pensione Assegni al nucleo familiare ALI Pagina 5 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA A Poste Italiane Al Comune A RAI e TELECOM, anche tramite Agenzia delle Entrate Al Comune, o ai CAF Ai CAF o al sostituto d’imposta INPS Comune RAI, TELECOM Social card (Carta acquisti) Contributo per l’affitto pagato in anni precedenti Riduzione canone e tariffe Assegni per un nuovo nato e per 3 figli minori Sostituto d’imposta Detrazione IRPEF per l’affitto pagato Comune , o gestore dei servizi sociali All’Azienda che gestisce i trasporti locali Gestore dei trasporti Al Comune Riduzione tariffe gas e/o elettriche Comune/INPS Al Comune , o al gestore dei servizi sociali All’Azienda che gestisce la fornitura dell’acqua Pagina 6 Gestore forniture gas e/o elettriche Gestore dell’acqua Comune Assistenza economica Riduzione tariffe trasporti urbani Contributo per il pagamento dell’acqua Esenzione/riduzione TARSU e addizionale IRPEF; altre riduzioni o esoneri di tariffe (ad es. nei idi) LOCALI Al Comune, o ai CAF se previsto dal Comu- 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA Una sintesi di criteri e modalità delle richieste ed interventi è esposta anche nella tabella 1 TABELLA 1. INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITÀ INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITA’ Misura / Intervento: I criteri per fruirne sono definiti da norma nazionale L’intervento si ripete o dura nel tempo: La richiesta va presentata entro scadenze rigide: Assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali INPS SI SI NO Assegni per il nucleo familiare SI SI NO Detrazioni fiscali per l’affitto pagato SI NO SI Contributo per pagare l’affitto NO (1) SI SI Assegni per i nuovi nati e per 3 figli minori SI NO SI Bonus per l’acqua pagata NO NO SI Assistenza economica NO Dipende dai criteri locali In genere NO Carta Acquisti (social card) SI SI NO Bonus per elettricità e per il gas SI SI NO Riduzione spese trasporti locali e scolastiche; esenzioni IRPEF comunale NO SI Dipende dai criteri locali SI SI Con l’intervento il cittadino ottiene: Denaro Riduzione o esonero del canone Tele- SI com e RAI NOTE: Definiti dalle Regioni ma con forti vincoli (finanziari e di merito) nazionali 7.2. GLI EFFETTI NEGATIVI DEL SISTEMA ATTUALE Lo scenario di interventi contro la povertà sopra descritto presenta almeno queste criticità: Pagina 7 Riduzione di costi specifici che deve sostenere 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA Sono assai diverse tra i vari interventi le componenti fondamentali dei criteri di accesso, che determinano “quanto” e “a chi” si eroga, come le modalità di valutazione delle condizioni economiche dei beneficiari (come si misura la povertà, i “test dei mezzi”), il concetto di “nucleo familiare” sia come beneficiario (l’erogazione è diretta a tutto il nucleo o solo ad alcuni), sia come produttore di redditi (si valuta la condizione economica di tutti o solo di alcuni). E ciò spesso senza motivazioni ragionevolmente fondate, ma come conseguenza di scarsa coerenza tra le scelte e gli strumenti utilizzati nelle differenti prestazioni e politiche. Il diritto del cittadino a ricevere interventi, ed il conseguente dovere delle amministrazioni a provvedervi, è assai diverso tra le differenti prestazioni: vi sono interventi (pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, bonus elettricità e gas, assegni per i nuovi nati e i 3 minori) regolati da norme nazionali che ne fissano con precisione criteri ed esigibilità. Questi interventi dunque: - hanno criteri di accesso ed erogazione identici in tutta Italia; sono assimilabili a diritti soggettivi perfetti per il cittadino, esigibili quando il richiedente possiede le condizioni di accesso, e per i quali l’amministrazione pubblica non può dilazionare o negare l’erogazione motivandolo con la scarsità di risorse disponibili, pena il ricorso vincente del cittadino alla Magistratura. Per altri interventi attivati in sede nazionale, come il contributo per l’affitto, la social card, le riduzioni tariffarie Rai e Telecom, la consistenza dell’intervento e la garanzia di esigibilità dipendono dal variare del finanziamento previsto e dai criteri (ad esempio per i contributi per l’affitto), regolabili anche con atti delle Regioni. Le prestazioni attivate dai Comuni dipendono dalle scelte locali, anche connesse alle disponibilità finanziarie. L’assistenza economica dei Comuni a sostegno del reddito è prevista dalle legge 328/2000 come uno degli interventi essenziali del sistema dei servizi sociali; in base all’art. 117 della Costituzione i suoi criteri dovrebbero perciò essere definiti nel contesto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che lo Stato deve approvare come “diritti sociali minimi” da garantire ovunque19. Al momento, però, lo Stato non ha definito i LEP per gli interventi di assistenza sociale, e pochissime Regioni hanno normato questa prestazione. Ne consegue che le prestazioni di assistenza economica dei Comuni: sono in genere definite con scelte esclusivamente locali (dei Comuni e loro Enti gestori), e sono perciò molto differenti nei diversi territori; non costituiscono per il cittadino un “diritto esigibile”, perché le prestazioni possono essere facilmente modificate dagli Enti locali, anche a seguito della riduzione delle loro risorse finanziarie. Nel sistema attuale per il sostegno del reddito quindi, oltre ai bonus energia ed agli assegni per i nuovi nati e i 3 figli minori, l’unico segmento che presenta le caratteristiche di diritto esigibile è quello degli assegni sociali e integrazioni al minimo INPS. Tuttavia questi, come si è detto, sono anche gli interventi erogati con criteri meno mirati alle famiglie povere e dunque meno equi. Il mix delle prestazioni contro la povertà, lungi dal presentarsi come un sistema organico di offerte, si connota come un coacervo di prestazioni scoordinate. Ed alcune misure (come il bonus elettricità e gas, il contributo per l’affitto, le riduzioni Telecom e RAI, gli assegni per i figli minori) possono essere richieste solo entro specifiche finestre temporali durante l’anno. Ne derivano almeno queste conseguenze: Questo sistema implica che i poveri siano “costantemente competenti”, sempre ben informati sul mix di prestazioni che possono richiedere, sul luogo al quale rivolgersi, e sulle scadenze entro le quali presentare le diverse richieste. Comporta inoltre che possano recarsi in diverse sedi (Comune, CAF, INPS, etc.) in diversi periodi e sappiano produrre in ciascuna la documentazione necessaria. Ed è persino banale constatare come mettere in atto queste capacità sia difficile per i possibili beneficiari più fragili, come gli 19 Si veda al proposito anche il cap. 4 Pagina 8 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA anziani che non hanno familiari o le persone in povertà estrema. Il rischio è perciò che il sistema contro la povertà non raggiunga proprio quegli utenti che dovrebbero essere il suo target prioritario, e imponga percorsi di accesso tali per cui i più deboli non arrivano nemmeno a richiedere interventi ai quali pure avrebbero diritto e che potrebbero ricevere. Inoltre la frantumazione degli interventi in molti canali di accesso rende quasi impossibile ai servizi che ricevono cittadini in condizioni di povertà (Comuni o CAF o associazioni) poter dare informazioni sull’intera gamma delle prestazioni che le persone potrebbero richiedere. 20 L’avere man mano aggiunto al sistema interventi molto settoriali, invece di muovere verso un sostegno del reddito più organico e unificato al nucleo, ha generato distorsioni anche interne alla singola prestazione. Ad esempio, il “bonus gas” è fruibile solo da chi utilizza il gas distribuito in rete mentre una famiglia che usa il gas a bombole non può fruirne anche se è povera. E ancora: il fatto di dover presentare la dichiarazione IRPEF per ottenere una detrazione fiscale per l’affitto obbliga i cittadini più poveri (e spesso meno autonomi) a presentare per questa unica ragione il 730 (adempimento dal quale in base al loro reddito sarebbero esentati in quanto “incapienti”), operazione che in genere richiede il supporto di un CAF, che per questo deve essere pagato. Ben lontani dalle ipotesi di federalismo, in questo sistema di offerte prevalgono i trasferimenti monetari dallo Stato al cittadino. Alcuni di essi (bonus elettricità e gas, contributo per l’affitto, assegni per i nuovi nati o i 3 figli minori), prevedono per i Comuni un ruolo minimale, di mera “agenzia esecutiva locale” che deve limitarsi a raccogliere le richieste dei cittadini, validarle ed inviarle a chi eroga. Non vi è dunque traccia di un ruolo di “governo” locale che consenta ai Comuni di costruire organici progetti per la famiglia in povertà connettendo in modo coordinato tutte le risorse possibili. Il fatto che le erogazioni a sostegno del reddito siano disperse in molti flussi, gestiti da diversi enti, impedisce non solo che per la stessa famiglia si possano compattare in una offerta più organica tutte le risorse, ma anche che si possa fornire (quando è necessario) un aiuto per usare il denaro nelle esigenze primarie e per mantenere beni essenziali. Un tipico esempio di questa situazione si ha quando persone di grande fragilità rischiano di perdere la casa perché non sono in grado di utilizzare i contributi economici ricevuti per il pagamento costante dell’affitto. E questo supporto “per la gestione” delle risorse non può che essere esercitato dai servizi più vicini al cittadino, quelli comunali. 21 La presenza di diversi interventi gestiti da soggetti differenti produce costi moltiplicativi del welfare pubblico che sono assorbiti dalle spese di mera organizzazione, poiché ogni gestore deve attivare (e poi mantenere) il suo specifico sistema di erogazione. Molte delle misure elencate implicano investimenti per la messa in opera, nonché spese correnti per mantenere la gestione. E ciò accade sia a livello nazionale (ad esempio per i sistemi gestionali delle carte acquisti, per le riduzioni tariffarie di elettricità e gas e per gli assegni per i figli minori), che entro gli Enti locali (personale e organizzazioni dedicate, collaborazioni con i Caf); e sono spese che si moltiplicano quanto più occorre gestire processi erogativi forzatamente diversi e non unificabili. Molti dei luoghi di accesso per la famiglia che richiede interventi contro la povertà sono rappresentati da sportelli con funzioni esclusivamente amministrative. Gli sportelli INPS, i Patronati e i CAF svolgono di fatto l’unico ruolo di verificare le condizioni di accessibilità alla prestazione sotto il profilo amministrativo, ricevendo la dichiarazione del cittadino sulle proprie condizioni economiche e attivando l’intervento conseguente (assegno sociale, bonus gas/energia, assegno per il nuovo nato e/o i tre minori nel nucleo). In queste circostanze La famiglia povera ha quindi accesso solo a luoghi che non possono svolgere anche le funzioni di: 20 21 Una proposta specifica per ridurre questa criticità è presentata nell’allegato A al capitolo 8 In proposito è sempre utile ricordare Amartya Sen, 2000: il denaro è solo uno strumento per gestire bisogni, ossia occorre che chi lo riceve possa trasformare le “risorse” in “funzionamenti concreti” per vivere con libertà dai bisogni. Dunque una lotta alla povertà che si limita a fornire denaro, e che trascura i sostegni per fronteggiare l’eventuale incapacità di usarlo, rischia di essere miope e monca per i più fragili. Pagina 9 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA informare sull’intera gamma di possibili altri interventi contro la povertà che potrebbe ricevere, anche se in sedi diverse; 22 valutare eventuali altri problemi sociali presenti, ad esempio rischio di sfratto, esigenze di potenziare le capacità per non aggravare la povertà, fragilità che rischiano di far sprecare il sostegno economico (ad esempio alcoolismo o presenza di disabilità). attivare, quando occorre, oltre all’erogazione monetaria anche una presa in carico più articolata dei problemi del nucleo, ed anche poter proporre percorsi/progetti di inserimento sociale oltre al contributo in denaro . La povertà si connota spesso come una spirale di esclusione: a causa della perdita del lavoro e delle difficoltà economiche si perde la casa per sfratto, si peggiorano le possibilità di crescita ed occupazione qualificata dei figli, e così via. La povertà dunque richiede di essere fronteggiata con pacchetti articolati, che contengano diversi interventi e sappiano offrire “non solo denaro”, ma soluzioni coordinate a problemi vitali diversi (il reddito, l’abitazione, l’emancipazione tramite attività lavorative)23. Per contro le politiche sociali italiane sono governate da normative nazionali interne solo alla singola politica (casa, lavoro, sanità, previdenza), ed è quasi del tutto assente sul piano normativo l’adozione di dispositivi che coordinino misure erogative connettendo più politiche. Ne deriva che interventi più organici e multidimensionali, ossia cercare di offrire “non solo denaro”, vanno costruiti quasi esclusivamente con iniziative locali; tocca oggi di fatto ai Comuni l’arduo compito di tentare di compattare politiche costruite come separate alla fonte, e peraltro senza che i Comuni possano utilizzare tutte le risorse pubbliche per l’assistenza. Pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, erogate dall’INPS, sono le più diffuse prestazioni nazionali contro la povertà economica (sebbene solo per gli anziani) e rappresentano la maggior spesa pubblica in materia di assistenza sociale24. Tuttavia sono erogate non solo a poveri, e producono quindi effetti redistributivi gravemente distorti: una elaborazione sui bilanci delle famiglie rilevati dall’ISTAT, che divide per decili le famiglie in base al loro reddito, segnala che la metà più ricca delle famiglie italiane fruisce del 24,2% delle pensioni sociali/assegni sociali, che sono prestazioni che dovrebbero invece essere riservate al contrasto della povertà 25. Per erogare questi interventi infatti viene valutata una “strana povertà”, perché si considera: a) solo la condizione economica del richiedente e del suo coniuge, e non di altri componenti il nucleo familiare; b) solo il reddito e non il valore dei beni mobiliari ed immobiliari posseduti. Questa disfunzionalità, anche se riguarda il livello macro del sistema contro la povertà, non è meno importante delle altre per le distorsioni che produce anche nella spesa. 7.3 COSA SIGNIFICA RICOMPORRE UN SISTEMA FRAMMENTATO? Nel dibattito sulle politiche contro la povertà, la ricomposizione è argomento particolarmente complesso e, più di altri, presta il fianco a fraintendimenti e strumentalizzazioni. La ragione risiede nella natura stessa della ricomposizione, che di fatto costituisce un nodo al crocevia tra una varietà di temi differenti. Si pensi ad una frase che ogni osservatore o operatore del welfare sottoscriverebbe: “bisogna ricomporre le numerose prestazioni oggi rivolte alle famiglie in povertà in un’unica misura nazionale, che costituisca un diritto per tutti coloro i quali vivono tale condizione”. Nel pronunciarla si possono sottinten- 22 La proposta che si presenta in questo testo punta anche a prevedere che i luoghi nei quali il cittadino richiede prestazioni contro la povertà, incluso il REIS, possano informare su tutte le misure delle quali la famiglia potrebbe fruire, nonché raccordarsi con i servizi sociali locali. Sul punto si veda il capitolo 5 . 23 Si vedano al proposito i capitoli 5 e 6 Circa 16 miliardi di euro nel 2010, a fronte di 8,6 miliardi dell’intera spesa dei Comuni sia per servizi che in trasferimenti monetari. Fonte: IRS, 2011. Ibidem, pagina 20 24 25 Pagina 10 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA dere almeno sette obiettivi diversi: più equità orizzontale26 (a differenza di oggi, ogni famiglia in povertà deve ricevere il medesimo trattamento dal sistema pubblico), più equità verticale (il sistema di welfare italiano deve sostenere maggiormente chi sta peggio, cioè le famiglie povere), maggiore accessibilità (una sola misura contro la povertà significa maggiore semplicità e chiarezza, rendendo così più facile per persone con bassi livelli d’istruzione e ridotte competenze relazionali richiederla e riceverla), introduzione di un livello essenziale (la ricomposizione deve portare con sé la definizione di un diritto rivolto a tutte le famiglie povere), incremento di efficacia (le risorse pubbliche oggi destinate alla povertà devono essere impiegate meglio), crescita di spesa pubblica (per coprire tutti i poveri alla ricomposizione delle risorse esistenti se ne devono aggiungere ulteriori), redistribuzione della spesa sociale come strategia del finanziamento (assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali non devono essere più fornite a chi non è povero: con le risorse risparmiate si può finanziare la lotta alla povertà), decentramento delle risorse (ricomporre la spesa significa incrementarne la parte a disposizione del welfare territoriali). Alcuni di questi obiettivi sono compatibili tra loro, altri meno, certamente il campo di attenzione è ampio. Inoltre, comune a tutti è il tema della transizione, cioè come passare gradualmente dal contesto attuale al REIS, tema particolarmente impegnativo in una realtà che coniuga la complessiva scarsità dello sforzo contro la povertà alla presenza di molteplici prestazioni con criteri di accesso differenziati. Se così è, prima di dettagliare le proposte per la ricomposizione, è opportuno precisare le coordinate della proposta del REIS. Intanto, alcuni obiettivi richiamati sopra vengono fatti propri dalla proposta ma non sono discussi in questo capitolo 27 , dove ci si concentra sulla ricomposizione in senso stretto, cioè su come passare da una varietà di misure contro la povertà ad una sola. Dentro una simile prospettiva, il ragionamento che segue ha tre punti fermi: Un’unica prestazione per ogni nucleo in povertà assoluta. Infatti, alla fine della transizione, per tutte le famiglie in povertà assoluta deve esistere solo il REIS e la condizione di povertà deve essere affrontata esclusivamente attraverso questa misura nazionale mirata al sostegno del reddito, ferme restando le possibili integrazioni economiche attivate dai governi locali. Tutela dei diritti acquisiti e gradualità della transizione. Va previsto che chi già fruisce di interventi al momento del riordino possa continuare a fruirne, facendo avviare il nuovo sistema in modo graduale ed evitando di peggiorare le condizioni di alcuno. Separazione tra il tema della ricomposizione e quello del finanziamento. I due argomenti vengono affrontati autonomamente l’uno dall’altro, concentrandosi separatamente sulle specificità di ognuno28 (il finanziamento è discusso nel capitolo 9). 26 27 28 L’equità orizzontale consiste nella capacità di tutelare allo stesso modo individui/famiglie nelle medesime condizioni mentre quella verticale riguarda la capacità di tutelare in modo peculiare le famiglie in condizioni di maggiore difficoltà. L’importanza dell’equità verticale e dell’efficacia nello sforzo pubblico è insita nel disegno della proposta, in merito a come rendere accessibile il Reis si vedano i cap 5 e 6, su decentramento e livelli essenziali il capitolo 4, sulla necessità di maggiore spesa pubblica il capitolo 9. Si tratta di una differenza con il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, richiamato nel cap. 1, che affronta i temi congiuntamente. Mentre quel progetto predilige la redistribuzione interna alla spesa sociale come strategia di finanziamento, questo considera un insieme di opzioni differenti. Pagina 11 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA 7.4 LA TRANSIZIONE AL NUOVO SISTEMA E LE TAPPE DEL RIORDINO 7.4.1 Nel periodo di transizione sino alla messa a regime del REIS Allo scopo di offrire la massima tutela ai possibili beneficiari, il percorso d’introduzione del REIS è caratterizzato da gradualità. Nei primi tre anni vengono compiuti una serie di passi intermedi, che a partire dal quarto portano alla complessiva ricomposizione del sistema. Il REIS pertanto, opererebbe a pieno regime al quarto anno dal suo avvio, come descritto al capitolo 10. La transizione può essere così disegnata: Pagina 12 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA La logica della transizione Per gli assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS : Chi già li riceve al primo avvio del REIS continua a fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a regime del REIS, purché restino vive le condizioni per riceverli. Può ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, e nella misura utile ad integrare le altre prestazioni. Chi non ne riceve quando si avvia il REIS se li richiede nei primi 3 anni può fruirne, anche proseguendo dopo la messa a regime del REIS, purché permangano le condizioni per riceverli. Ai nuovi interventi di questo tipo attivati dopo il primo avvio del REIS si applicano subito modalità più eque di valutazione delle condizioni economiche dei richiedenti (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del reddito, e di tutti i membri del nucleo familiare29). Dovrà essere approfondito il meccanismo da adottare per queste nuova modalità di valutazione della condizione economica del nucleo familiare, ricercandone la maggior coerenza possibile con il meccanismo del REIS. I nuclei possono chiedere anche il REIS, sia nei primi 3 anni che a regime, se hanno i requisiti e nella misura che integra le altre prestazioni. Per gli altri interventi nazionali contro la povertà (social card, assegno per il primo figlio 30 o per 3 minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI): chi già li percepisce al primo avvio del REIS continua a fruirne solo sino alla messa a regime del REIS. Può ricevere anche il REIS se il nucleo ha i requisiti per accedervi e nella misura utile per integrare le altre prestazioni. Può decidere se optare per il REIS rinunciando alle altre prestazioni. chi non ne riceve quando si avvia il REIS può beneficiare soltanto del REIS (che peraltro è più vantaggioso) se il nucleo ne ha i requisiti in base alle soglie di accesso del momento. In caso contrario può riceverli solo sino alla messa a regime del REIS. Poiché le soglie di accessibilità al REIS crescono nei primi 3 anni (come previsto al capitolo 10) progressivamente si riduce la platea di nuclei che per la prima volta fruisce di questi attuali interventi al posto della nuova misura. Per le famiglie che sono sotto la soglia di povertà assoluta, al momento della messa a regime del REIS questo intervento sostituirà sia assegni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS, sia le altre prestazioni nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento richiedano per la prima volta interventi per affrontare la loro condizione di povertà assoluta potranno fruire solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali attivate da Regioni e Comuni. Esempi concreti Alcuni esempi di questa transizione, illustrata anche nella tabella 2 e nel grafico 2, possono essere i seguenti. Questi esempi, come anticipato, riguardano esclusivamente famiglie in povertà assoluta. Una famiglia composta da due anziani che all’avvio del REIS già ricevono assegno sociale e integrazioni/maggiorazioni INPS, ed anche bonus energia e contributi per l’affitto: Questo riordino, oltre a rendere più eque e mirate ai veri poveri queste prestazioni, produce progressivi risparmi perché si riducono tra i beneficiari le famiglie non povere, risparmi che possono essere dirottati sul REIS. 30 L’assegno per il primo figlio, anche denominato “di maternità di base” è regolato dalla legge 448/1998, art. 66, e dal D.Lgs. 26/3/2001, n. 151, art. 74), ed è corrisposto alle madri (o donne che hanno adottato) che non beneficiano del trattamento previdenziale della indennità di maternità. Tuttavia qualora beneficino di indennità di maternità (o trattamenti economici assimilabili) questo assegno può comunque essere erogato se l’ISEE del nucleo è inferiore alle soglie previste, ed in un importo pari alla differenza tra quanto ricevono come indennità di maternità e l’importo previsto per l’assegno. Si tratta dunque di un intervento che è un mix di “sostituzione di indennità di maternità non percepite” e di “erogazione a causa della povertà del nucleo”. E questo secondo aspetto è prevalente, perché in ogni caso per erogare l’assegno e determinarne l’importo non si considera solo la madre, ma l’ISEE di tutto il nucleo, ossia reddito e patrimoni di tutti i conviventi. Dunque non è una misura costruita e dimensionata solo sull’evento “maternità”, ma (soprattutto) sulla condizione “povertà dell’intero nucleo” anche chi percepisce indennità di maternità può ricevere questo assegno, sempre valutando l’ISEE di tutto il nucleo 29 Pagina 13 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può avere anche il REIS se ne ha i requisiti, per integrare quanto già percepisce sino all’importo del REIS. Alla messa a regime del REIS cessa di percepire bonus energia e contributo per l’affitto, continua a ricevere le prestazioni INPS e può avere anche il REIS se ne ha i requisiti, per integrare quanto già riceve sino all’importo del REIS. Le somme erogate come bonus energia e contributo per l’affitto vengono sostituite (ed anzi aumentate) dal REIS. Una famiglia composta da due genitori e tre minori che all’avvio del REIS già fruisce dell’assegno per il nuovo nato, per i tre figli minori e della carta acquisti (social card): Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può ottenere anche il REIS se ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare quanto già riceve. Alla messa a regime del REIS cessano gli altri interventi: il nucleo può ricevere solo il REIS se ne ha i requisiti. Quanto percepiva è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS. Una famiglia con un anziano e con due adulti, nella quale all’avvio del REIS l’unica prestazione fruita sia l’assegno sociale per l’anziano: Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere l’assegno sociale. Se non ha i requisiti per il REIS può fruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi per l’affitto, etc). Se invece li possiede può ricevere solo il REIS, per integrare l’assegno sociale sino all’importo del REIS per il nucleo, sicuramente maggiore del mix delle altre prestazioni. Alla messa a regime del REIS cessano gli eventuali interventi diversi dall’assegno sociale, che invece prosegue. La famiglia può ricevere il REIS se ne ha i requisiti. Quanto percepiva dalle prestazioni diverse dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS. Una famiglia con un anziano, due adulti e tre minori che all’avvio del REIS non fruisce di alcun intervento: Nei primi 3 anni del REIS può ricevere assegno sociale (e integrazioni/ maggiorazioni INPS) per l’anziano. Può usufruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi per l’affitto, assegno per il nuovo nato e i tre minori) se non ha i requisiti per il REIS; in caso contrario ottiene il REIS. Alla messa a regime del REIS continua a fruire dell’assegno sociale se è stato richiesto nei 3 anni precedenti. Riceve il REIS al posto degli altri interventi, nell’importo utile per integrare l’assegno sociale. Quanto percepiva dalle prestazioni diverse dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi sicuramente aumentato) dal REIS. Famiglie di due anziani e un adulto, oppure con adulti e minori, che non fruiscono di alcun intervento quando il REIS viene messo a regime (ossia sono nuclei che cadono in povertà dopo quel momento), se sono sotto le soglie ISTAT di povertà assoluta possono ricevere solo il REIS, entro il quale sono ricomposti tutti gli interventi. La Tabella 2 schematizza che cosa accade nella transizione ed a regime Pagina 14 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA TABELLA 2 – IL PERIODO DI TRANSIZIONE E QUELLO DI MESSA A REGIME DEL REIS ALLE PERSONE E NUCLEI CHE ALL’AVVIO DEL REIS: Non ricevono dall’INPS assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali CHE COSA ACCADE: NEI PRIMI 3 ANNI DALL’AVVIO DEL REIS A REGIME, AL QUARTO ANNO DEL REIS Se li richiedono in questo periodo possono fruirne. Sin dall’avvio del REIS i nuovi interventi di questo tipo vengono erogati con criteri più equi: si valuta sia il reddito che il valore dei patrimoni, e di tutti i membri del nucleo. Possono ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare le prestazioni INPS Continuano a fruirne purché restino vive le condizioni per riceverli. E possono ottenere il REIS se utile per integrare quanto continuano a ricevere Se non li hanno richiesti sino a questo momento e il nucleo è sotto le soglie di povertà assoluta possono chiedere e ricevere solo il REIS Non ricevono altri interventi nazionali contro la povertà (social card, assegni per il nuovo nato e i 3 figli minori, bonus gas ed energia, contributo per l’affitto, esenzione canone RAI) Se li richiedono in questo periodo: 1) Se non possono fruire del REIS li riceveranno sino alla messa a regime del REIS. Possono ottenere anche il REIS se ne hanno i requisiti, e per integrare quanto ricevono 2) Ricevono invece solo il REIS se hanno le condizioni per potervi accedere Possono fruire solo del REIS e gli altri interventi vengono eliminati Già ricevono dall’INPS assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali Continuano a fruirne, purché restino vive le condizioni per riceverli all’avvio dell’erogazione. Possono ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare le prestazioni INPS Continuano a fruirne, purché restino vive le condizioni per riceverli. Possono ottenere anche il REIS se utile per integrare quanto continuano a ricevere Già ricevono altri interventi nazionali contro la povertà (elencati due righe sopra) Continuano a fruirne, se restano vive le condizioni per riceverli, sino alla messa a regime del REIS. Possono ricevere anche il REIS se ne hanno i requisiti, per integrare le altre prestazioni Possono fruire solo del REIS e gli altri interventi vengono eliminati 7.4.2 La ricomposizione degli interventi a regime A regime dunque il REIS: Per tutti i nuclei familiari che sono sotto le soglie di povertà assoluta ISTAT sostituisce e ricomprende: assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni e loro maggiorazioni sociali, assegni alle famiglie con nuovo nato e/o tre figli minori, carta acquisti, contributi per affitti pagati (ex legge 431/98), bonus gas ed energia, esenzione del canone RAI. Ossia tutti gli interventi nazionali erogati ai nuclei familiari per ridurne la povertà economica. Non ricomprende i seguenti interventi, che continuano ad essere erogati come attualmente: Assegni al nucleo familiare e prestazioni legate a requisiti contribuitivi (anche minimi), come le indennità di disoccupazione o gli assegni ordinari di invalidità. I trasferimenti monetari erogati in base ad una condizione di limitazione dell’autosufficienza personale, come le indennità di accompagnamento, le pensioni di invalidità civile/assegni di invalidità (nelle loro di- Pagina 15 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA verse articolazioni, anche se concesse previa valutazione della condizione economica dei beneficiari), le rendite INAIL. Vale la pena sottolineare, infatti, che il REIS mira a combattere la povertà assoluta e non va confuso con altri interventi contro i rischi di impoverimento. La seconda condizione è diversa dalla prima quando le famiglie che si impoveriscono, a differenza dei beneficiari del REIS, non scendono sotto la soglia di povertà. Ciò che può farle scivolare verso l’indigenza è il sopraggiungere di un evento critico al quale non venga fornita adeguata risposta, come la perdita dell’occupazione di uno o più membri, oppure forti spese connesse all’affitto dell’abitazione, o per la crescita ed educazione dei figli. Ma il REIS non può sostituire tutte le altre politiche sociali, come quelle dirette alla promozione del lavoro, alla risposta ai problemi abitativi, a facilitare l’inserimento scolastico; e all’interno di ciascuna di queste politiche devono essere presenti specifici meccanismi di tutela per i più fragili e poveri. Anche il farsi carico di un familiare fragile o non autosufficiente può avviare la famiglia verso una spirale di impoverimento (basti pensare alle elevate rette per l’inserimento in strutture residenziali, o ai costi per garantire una consistente assistenza al domicilio), ma il REIS non va confuso con le prestazioni a sostegno della non autosufficienza. Non vi è dubbio che fronteggiare la perdita di autonomia di un familiare implichi anche l’impiego di non poche risorse economiche del nucleo, specialmente dove la rete dei servizi pubblici è più carente. Ma questi bisogni devono trovare risposta tramite altre politiche, che siano appositamente finalizzate a sviluppare le prestazioni per la non autosufficienza ed a supportare le famiglie che devono con essa misurarsi, con una rete di misure che siano pensate in modo sistematico e coordinato, dal potenziamento dei servizi e del lavoro di cura sino a sostegni economici mirati per le famiglie, che vanno finalizzati in modo specifico a favorire i sostegni per la non autosufficienza: l’introduzione del REIS non rappresenta di certo l’unica riforma di cui il welfare italiano ha urgenza . 31 Tra gli interventi contro la povertà sono oggi in atto, come si è detto, anche erogazioni monetarie assistenziali locali. Nello sviluppo del REIS, che diventa una prestazione nazionale per garantire un reddito minimo del nucleo familiare, Regioni e Comuni possono continuare a mettere in campo eventuali altri interventi che servano ad innalzare ulteriormente questo reddito minimo. Dunque gli interventi locali, come l’assistenza economica dei Comuni, vengono “naturalmente” assorbiti nel sistema del REIS, nel senso che saranno erogati se Regioni e Comuni decideranno di integrare ulteriormente il reddito garantito con il REIS, anche quando questa misura sarà a regime. La proposta del REIS punta infatti a riordinare e potenziare il sostegno economico nazionale alla povertà assoluta, in modo da renderlo più solido e complementare sia ad altre politiche nazionali di contrasto della povertà (ad esempio nel settore dell’abitazione e delle politiche attive del lavoro), sia alle iniziative locali. Questi orizzonti della proposta sono più ampiamente presentati nel capitolo 1. L’itinerario della transizione e il percorso per ricomporre entro il REIS le prestazioni già esistenti vengono descritti anche nel grafico 2 31 Iniziative e proposte per sviluppare le reti del welfare per la non autosufficienza stanno per fortuna crescendo. Ad esempio, considerando che spesso una rilevante spesa dei familiari di un non autosufficiente è destinata alla retribuzione di lavoratori al domicilio (le cosiddette “badanti”), un’utile analisi delle esperienze di Regioni ed Enti Locali per supportare il lavoro di cura al domicilio, e una rassegna di proposte per riordinare le politiche a questo scopo, è in S. Pasquinelli e G. Rusmini, 2013. Pagina 16 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA GRAFICO 2 – ITINERARIO DELLA TRANSIZIONE E PERCORSO DI RICOMPOSIZIONE DEL REIS. Persone/Famiglie all’avvio del REIS Non ricevono Assegni sociali, integrazioni al minimo INPS e maggiorazioni A REGIME AL QUARTO ANNO DEL REIS NEI PRIMI 3 ANNI DEL REIS Possono fruire degli interventi INPS con nuovi criteri (NOTA 2). E ricevere anche REIS se in- Già ricevono Altri interventi nazionali contro la povertà (NOTA 1) Se non richiesti sino a questo momento, e se il nucleo è sotto le soglie di povertà assoluta possono ricevere solo il REIS Pagina 17 Assegni sociali, integrazioni al minimo INPS e maggiorazioni Hanno i requisiti per il REIS? NO SI Possono fruire dei vari interventi contro la povertà; e ricevere anche REIS se integra Continuano a fruire di questi interventi; possono ricevere anche REIS se inte- che Ricevono solo il REIS Ricevono solo il REIS Continuano a fruire di questi interventi. E possono ricevere anche REIS se integra Altri interventi nazionali contro la povertà (NOTA 1) Continuano a fruire di questi interventi. E possono ricevere anche REIS se integra Ricevono solo il REIS 7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA 7.4.3 Problemi da valutare e momenti critici della transizione Quando cessa la possibilità di fruire di precedenti interventi e sorge l’obbligo di usare invece il REIS, è essenziale che questa transizione forzata non sia penalizzante per gli utenti. E’ prevedibile che ciò non accada per chi riceve social card, assegni per il nuovo nato e i 3 figli minori, bonus gas ed energia, contributo per l’affitto, esenzione canone RAI, perché l’erogazione tramite il REIS è maggiore del mix di questi interventi. Potrebbe forse presentarsi la possibilità di lievi riduzioni per gli assegni sociali e le altre prestazioni pensionistiche INPS, solo in quei territori ove la soglia di povertà assoluta dell’ISTAT (valore massimo erogabile con il REIS) sia inferiore all’importo massimo erogabile dall’INPS per tali misure. Questo aspetto dovrà essere approfondito e presidiato nella transizione a regime anche con simulazioni mirate, valutando anche le evoluzioni delle soglie di povertà ISTAT nei diversi territori e le loro convergenze/distanze con gli importi delle prestazioni INPS. Senza tuttavia dimenticare che uno snodo cruciale del riordino che qui si propone è di traghettare anche queste prestazioni INPS, oggi scarsamente redistributive perché fruite anche da famiglie non povere, entro la logica del REIS, meglio costruito sulla povertà dell’intero nucleo familiare (valutando sia redditi che patrimoni) e ancorato ai costi della vita diversi nei differenti territori. I bonus gas ed energia, nonché l’esenzione del canone RAI, dovrebbero essere inclusi nel REIS, sia per la loro chiara natura di sostegno del reddito sia per evitare al cittadino di peregrinare tra sportelli diversi. Tuttavia essi non consistono in denaro erogato alle famiglie bensì in riduzioni sulle bollette operate dal gestore della fornitura. Per ricomprenderle nel REIS sarà dunque necessario compiere una di queste operazioni: considerarle alla stregua di denaro (eliminando i sistemi che imputano gli sconti sulle bollette e sul canone RAI e calcolandone l’importo come una parte del REIS), oppure prevedere che il servizio che attiva il REIS possa imputare parte dell’erogazione ad una funzione “trasferimento in denaro” e parte ad una funzione “sconto su bollette” ed ”esenzione canone RAI”. Pagina 18 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE Realizzare un efficace Reddito d’inclusione sociale (Reis) richiede tempo e capacità di apportare correzioni e affinamenti, imparando dall’esperienza. Per concorrere a migliorare l’intervento, monitoraggio e valutazione vanno approntati in modo prospettico. L’impianto complessivo poggia su quattro capisaldi, interconnessi e con obiettivi in larga parte integrati, che hanno come oggetto l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia e i suoi componenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo. Sovraintende l’impianto una snella e autorevole struttura di coordinamento tecnicoscientifico, la Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), da rendere operativa e da dotare di risorse ad hoc prima dell’avvio dell’intervento. La SUV opera in autonomia per definire il processo di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis e per assicurare l’interconnessione fra i quattro capisaldi e la coerenza dell’insieme delle attività di osservazione/documentazione/valutazione. Il primo caposaldo è l’osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per l’analisi di implementazione del Reis, per (i) identificare inadeguatezze nelle modalità dell’intervento, in vista di porvi rimedio, e per (ii) definire modelli di rilevazione e schemi di classificazione più affinati dei vari strumenti di attuazione del Reis. Il secondo caposaldo è la costruzione di un Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica(SILFIDE), alimentato dagli attori centrali e locali del Reis e accessibile agli stessi. Il terzo caposaldo consiste nello svolgimento di indagini campionarie “a due onde”, immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nella fascia di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. Lo scopo è quello di valutare gli effetti dell’intervento sulle condizioni di deprivazione materiale e sui pattern dei consumi dei poveri. Il quarto caposaldo riguarda il disegno e la realizzazione di una decina di studi-pilota condotti con esperimento randomizzato (mediante sorteggio dei soggetti trattati in un modo e di quelli trattati in un altro modo, o non trattati affatto)su più Comuni. Il fine è quello di valutare l’efficacia di progetti/azioni per le quali appare di particolare interesse adottare modalità di operare (trattamenti) differenti. I microdati che risultano dall’insieme di tali attività divengono patrimonio informativo della comunità dei ricercatori. Pertanto, ragionevolmente protetti rispetto alle esigenze di privacy con avanzate soluzioni tecnico-informatiche,vengono resi accessibili a tutti gli analisti qualificati per finalità di ricerca. Pagina 1 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE 8.1 UN’INDISPENSABILE PREMESSA: ATTREZZARSI PER IMPARARE DALL’ESPERIENZA “Monitoraggio e valutazione” sono un indissolubile, talvolta equivoco binomio, affermato in ogni provvedimento adottato per contrastare la povertà. Salve poche eccezioni, è tuttavia rimasto allo stato di enunciazione. Anche per questa ragione non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare attuazione a un coerente, crescente impegno sul versante della lotta alla povertà. E c’è da interrogarsi se ci sia, nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del problema. Ne è una spia la sciatta disinvoltura con cui nel dibattito pubblico sovente si parla, va1 gamente e indistintamente, di “reddito di cittadinanza” e di “reddito minimo” (garantito, di inse2 rimento, di solidarietà attiva, o – come lo chiamiamo in questa proposta – di inclusione sociale) . È essenziale, invece, prendere le collegate - ma ben distinte - attività di monitoraggio e di valutazione sul serio, perché le esigenze conoscitive connesse alla progressiva implementazione del Reis, con gli inevitabili adattamenti in itinere che esso richiederà, non possono essere ignorate, pena il contribuire al rischio non banale di insuccesso. Occorre dunque saper imparare davvero dall’esperienza. È questo l’elemento primo, fondamentale, della nostra proposta. Il monitoraggio e la valutazione, pur riguardando ciò che è accaduto, vanno approntati in modo prospettico, in una logica di apprendimento, così da concorrere al miglioramento dell’intervento. Vale forse la pena di aggiungere che le indicazioni che seguono da questa impostazione non rispondono a istanze accademiche, finalizzate alla ricerca, ma sono funzionali al processo di costruzione di una policy efficace. Del resto, è questa l’esperienza che ci consegnano ormai molti paesi, sviluppati e in via di sviluppo. Gurdando a due paesi a noi prossimi, in Francia l’ultima riforma in tema di reddito minino è rappresentata dal revenu de solidarité active, introdotto nel 2009 dopo una sperimentazione condotta nell’arco di due anni in 34 départements. In Germania, poi, un organico insieme di riforme del mercato del lavoro e della protezione sociale noto come riforme Hartz (dal nome del presidente della Commissione istruttoria istituita dal governo federale nel 2002), è stato realizzato dal 2003 al 2005, con l’obbligo – pienamente osservato – di 3 condurre una valutazione dell’implementazione e degli effetti . In secondo luogo, per rendere evidenti le esigenze conoscitive connesse alla realizzazione di una riforma di questa portata e di questa complessità, di proposito abbandoniamo il binomio “monitoraggio e valutazione” e preferiamo articolare gli strumenti di indagine in quattro aree. Ciò consente di rendere evidenti le domande, in parte specifiche, alle quali essi mirano a rispondere e, insieme, di mettere in luce come i diversi strumenti di indagine concorrano a finalità conoscitive integrate, di vaglio di un’appropriata realizzazione del Reis e di valutazione dei suoi effetti. 1 Un reddito universale, che garantisce a qualunque persona un trasferimento monetario a prescindere dalle sue condizioni economiche, slegato da qualsiasi obbligo. Un’ipotesi interessante sul piano della filosofia sociale, ma largamente impraticabile per ragioni vuoi economiche vuoi di accettabilità sociale. 2Come ben chiarito nel capitolo introduttivo, si tratta di un intervento informato all’universalismo selettivo, che consta di un trasferimento monetario il quale integra il reddito familiare fino a una data soglia di povertà. All’erogazione vengono affiancate azioni di sostegno sociale e, per le persone in condizioni di occupabilità, azioni di attivazione al lavoro sostenute da condizionalità, in una logica di obblighi reciproci. 3 Vedi, rispettivamente, http://fr.wikipedia.org/wiki/Revenu_de_solidarit%C3%A9_active e Martini e Trivellato, 2011, pp. 82-90 e 160-163. Per le esperienze nei paesi in via di sviluppo vedi, tra i molti, Gertler (2011). Pagina 2 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE 8.2 L’IMPIANTO COMPLESSIVO L’impianto si articola su quattro basilari linee di indagine e fa perno su una snella struttura di coordinamento. 8.2.1 I quattro strumenti di documentazione e di indagine, in sintesi Per rispondere alle esigenze conoscitive connesse all’implementazione e agli esiti del Reis, organizziamo gli strumenti d’indagine in quattro aree, interconnesse e con obiettivi in larga parte integrati, che hanno come oggetto di osservazione l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia e i suoi componenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo. In sintesi, gli strumenti di indagine sono i seguenti. L’osservazione diretta di una sessantina Ambiti, per l’analisi dell’implementazione del Reis. La domanda alla quale si intende rispondere è se gli Ambiti facciano, o meno, quanto loro richiesto per il funzionamento della misura – sia al loro interno sia nell’azione di coordinamento degli altri attori locali – e quali siano gli ostacoli che trovano. La costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà economica, facente capo all’Inps, che risponda a una duplice esigenza. La prima è la corretta gestione dei trasferimenti monetari. La seconda éla documentazione dell’attività degli Ambiti sul terreno dei progetti di inserimento sociale e di attivazione al lavoro, inclusi i loro esiti, con la possibilità per Ambiti e Comuni di avere accesso al sistema informativo. La realizzazione di un tale sistema, correntemente aggiornato, è uno strumento essenziale per rispondere a una molteplicità di domande per vagliare se e come funziona il Reis (nella gestione della misura nei suoi aspetti amministrativi e finanziari, nell’attuazione delle azioni attese da parte degli Ambiti – e degli altri attori locali –, per analisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali, fino a svolgimenti di analisi di valutazione degli effetti della misura con metodi non-sperimentali). La conduzione di indagini campionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, in circa 60 Ambiti (di massima diversi da quelli del punto (i)), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nella fascia di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. La domanda alla quale si intende rispondere riguarda i cambiamenti rilevati nella condizione di deprivazione materiale, nel pattern dei consumi e in altri aspetti riguardanti la normale partecipazione alla vita sociale e la possibilità di valutare gli effetti del Reis al riguardo sulla base del confronto delle differenze nel tempo fra beneficiari e non beneficiari. Lo svolgimento di una decina di esperimenti randomizzati su azioni di integrazione sociale o lavorativa, ritenute di preminente interesse e svolte in modo differente in diversi Ambiti. La domanda alla quale questi esperimenti randomizzati intendono rispondere riguarda la diversa efficacia che possono avere due interventi con lo stesso obiettivo, ma disegnati e attuati in maniera differente – si pensi, ad esempio, a due diversi “trattamenti” di orientamento e placement –, in generale o rispetto a particolari categorie di beneficiari. 8.2.2 Una snella struttura di coordinamento Queste aree di documentazione e indagine richiederanno competenze diverse e saranno quindi condotte da soggetti diversi. Prima di delineare meno sommariamente alcune caratteristiche salienti delle quattro aree, è essenziale sottolineare che serve una snella, efficace struttura di coordinamento, la quale deve essere operativa ancor prima dell’avvio dell’intervento, appena approvata la legge. Così come è importante si sia consapevoli che sono necessarie risorse ad hoc, seppur di entità decisamente modesta (a fronte del costo del Reis), evitando la facile – e fallace – tentazione della clausola «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica». La valutazione costa, se davvero si Pagina 3 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE vuole che generi conoscenza per influire sulle decisioni (in proposito si vedano la sez. 8.10 e l’Appendice B a questo capitolo). La Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), distinta dal Comitato di Gestione (al quale innanzitutto riferisce: vedi cap. 4), è un agile organismo tecnico-scientifico, che opera in piena autonomia nel definire e gestire il processo di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis. Esso è composto, di massima, da 5 persone: il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali e 4 esperti di valutazione delle politiche sociali, nominati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentite le pertinenti Commissioni parlamentari, sulla base di curricula vitae pubblici acquisiti a seguito di apposito avviso. I quattro esperti sono impegnati a metà tempo per due anni (rinnovabili per altri tre anni). La SUV elegge al proprio interno, tra gli esperti, il presidente. Naturalmente, la SUV si avvale della pertinente struttura tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (d’ora in avanti MLPS). La SUV persegue gli obiettivi conoscitivi nelle quattro aree appena menzionate, secondo le linee che seguono. 8.3 OSSERVAZIONE CONTINUA DI UNA SESSANTINA DI AMBITI-SENTINELLA PER L’ANALISI DI IMPLEMENTAZIONE Questa prima attività va condotta su un campione di circa 60 Ambiti socio-assistenziali, scelti in maniera ragionata per macroarea geografica e per dimensione. Su questi Ambiti si svolge l’analisi dell’implementazione del Reis con strumenti di tipo investigativo, ma non ispettivo-sanzionatorio. Detto altrimenti, l’oggetto è l’osservazione diretta non intrusiva della realizzazione dell’intervento, muovendo dall’esigenza primaria di sapere che cosa succede realmente negli Ambiti e nei Comuni, andando in profondità e cogliendo quindi, per quanto possibile, il perché di quello che succede e non succede. La SUV gestisce direttamente il processo di raccolta delle evidenze, valendosi di massima di 20 collaboratori assunti a tempo pieno determinato mediante annuncio pubblico e valutazione di titoli e colloquio. Le domande cruciali ruotano attorno al fatto che gli Ambiti facciano, o meno, quello che devono fare e agli ostacoli che trovano. Si mira innanzitutto ad osservare/stimare: i modi con i quali avviene la pubblicizzazione del Reis; gli aspetti operativi e gestionali attinenti all’organizzazione e supervisione delle “porte di accesso” alla misura (i Comuni che hanno optato anche per un accesso diretto e i CAF/Patronati), delle modalità con le quali avvengono la compilazione e il controllo delle domanda di ammissione; l’evidenza, per quanto possibile documentata ma anche aneddotica, di falsi positivi e di falsi negativi; come avviene l’iniziale identificazione (reversibile) delle persone in età attiva e idonee al lavoro e delle persone che non lo sono; come avviene la definizione e messa in atto dei progetti di inserimento lavorativo e/o sociale; se e come è realizzata la condizionalità. In altre parole, gli obiettivi conoscitivi primari di questa fase riguardano l’impianto di organizzazione e gestione del Reis da parte degli Ambiti socio-assistenziali, i perni su quali si fonda il Reis nei territori (vedi il cap 4): la verifica della congruità della determinazione dei flussi di trasferimenti monetari (per quanto Ambiti e Comuni vi concorrono) e della messa in atto delle componenti di Pagina 4 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE servizi e di attivazione. La procedura di osservazione si serve di vari strumenti di rilevazione, sia predeterminati (check-list, questionari semi-strutturati), sia flessibili (interviste libere, focus groups, osservazione). È importante sottolineare che i 60 Ambiti vanno solo osservati, senza l’intento diretto di “affiancarli”; ad essi non viene correntemente offerto alcun feedback. Le lezioni che se ne ricavano, sia in termini di funzionamento dell’organizzazione e gestione del Reis a livello nazionale che di esigenze di aggiustamento complessivo, vanno veicolate al Comitato di Gestione. La SUV produce rapporti a cadenza quadrimestrale nel primo anno e semestrale negli anni successivi; elabora inoltre una relazione annuale, entro 12 mesi dall’avvio del Reis e poi ogni anno solare successivo, sullo stato di avanzamento del programma e sulle difficoltà relative alla sua attuazione. Dal momento che i rapporti (sia quelli intermedi che la relazione annuale) possono evidenziare carenze e gettare una luce negativa sugli attuatori della misura, è essenziale che alla SUV venga garantita piena autonomia. Le ricadute di questa attività di ricognizione continua avvengono in due direzioni: (i) se del caso, il Comitato di Gestione suggerisce al Ministro l’adozione di ulteriori direttive, volte a porre rimedio a inadeguatezze nelle modalità dell’intervento; (ii) l’evidenza acquisita porta a definire modelli di rilevazione e schemi di classificazione dei vari strumenti di attuazione del Reis via via più affinati (dal controllo delle condizioni di ammissibilità alla classificazione delle modalità di presa di carico e 4 dei progetti di inserimento sociale o lavorativo) . Completato questo iter, è ragionevole che l’informazione raccolta sugli Ambiti-sentinella venga restituita agli stessi e alle Regioni, in quanto utile a una loro riflessione al livello al quale, rispettivamente, operano. 8.4 COSTRUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO LONGITUDINALE SULLE FAMIGLIE E GLI INDIVIDUI IN DIFFICOLTÀ ECONOMICA Oggi il sistema informativo di Mlps-Ministero dell’Economia e delle Finanze-Inps è mirato solo all’erogazione (della Social Card e della Social Card Sperimentale). Con la progressiva realizzazione del Reis, esso va ridisegnato e potenziato, nella prospettiva della costruzione di un Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica (SILFIDE). La denominazione completa ne suggerisce l’ambito e la portata; l’acronimo segnala l’esigenza che il sistema informativo sia “amichevole”, utilizzabile in modo agile non solo dal centro per l’erogazione monetaria ma anche, e fortemente, dagli Ambiti e dai Comuni per le loro azioni di attivazione L’obiettivo è quello di giungere progressivamente a un archivio delle persone vulnerabili: povere, non più povere e a rischio di povertà. A questo scopo SILFIDE raccoglie e conserva l’informazione Qualche lume per questa attività di osservazione continua può venire dal monitoraggio del piano nidi e dagli obiettivi di servizio per i servizi di cura per l’infanzia nelle regioni del Mezzogiorno (vedi rispettivamente http://www.politichefamiglia.it/documentazione/dossier/piano-straordinario-per-lo-sviluppo-dei-servizi-socioeducativi-per-la-prima-infanzia/il-piano-straordinario.aspx http://www.officinafamiglia.it/news/in-primo-piano/2013/aprile/monitoraggio-del-pianonidi/ttp://www.dps.tesoro.it/obiettivi_servizio/servizi_infanzia.asp). 4 Occorre tener presente, peraltro, la profonda diversità dei contesti: interventi – quello del piano nidi e dei servizi di cura per l’infanzia – circoscritti, con target pre-definiti, con indicatori che monitorano il processo di avvicinamento ai target vs. un intervento complesso e a spettro largo – il Reis –, che non ha target sensatamente definibili a priori e si confronta con l’esigenza di valutarne gli effetti secondo una logica controfattuale. Un’analogia più calzante, ma, ahimè, ben poco incoraggiante, è il processo di messa in opera dei servizi per l’impiego (Barbieri et al., 2003; Pirrone e Sestito, 2006; Naticchione e Loriga, 2008; Trivellato, 2011). Pagina 5 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE su tutte le famiglie che presentano domanda (identificando tutti i loro componenti), siano esse ammesse o meno al ReIS, incluse le famiglie beneficiarie una volta che siano uscite dalla misura (almeno per un certo numero di anni, che per i minori coincide con gli anni residui fino alla maggiore età). L’ipotesi è che ricevere, o aver ricevuto o anche solo richiedere, l’erogazione di un reddito minimo sia un indizio di vulnerabilità economica che non si esaurisce nel breve periodo. Per produrre un quadro esaustivo delle condizioni che portano a condizioni di povertà, SILFIDE integra le informazioni di natura amministrativa prodotte dalla gestione del trasferimento monetario con informazioni su retribuzione, altri redditi e partecipazione al lavoro, tratte prevalentemente da altri archivi Inps e fiscali. Vengono infine aggiunte le informazioni fornite dagli Ambiti socioassistenziali sulla classificazione (reversibile) degli utenti – che necessitano solo del sostegno monetario, che sono in età attiva e abili al lavoro, non abili al lavoro che richiedono un supporto per l’integrazione sociale – e sulle caratteristiche dei progetti di inserimento lavorativo e sociale, nonché sugli esiti degli stessi. In sintesi, i tratti distintivi di SILFIDE, a regime, possono essere così riassunti. Rappresenta un sistema informativo integrato, aggiornato correntemente, che, tra l’altro, consente di mettere in rilievo, oltre che l’unità “persona”, anche l’unità (mutevole) “famiglia”. L’informazione accumulata consente la produzione periodica di rapporti che illustrano la situazione a livello nazionale sui beneficiari, sulla spesa e sull’organizzazione, su realizzazione ed esiti dei servizi per il lavoro e sociali. Restituisce alle Regioni, agli Ambiti e ai Comuni l’insieme delle informazioni pertinenti, alla scala micro e corredato da un primo insieme di elaborazioni standard. Non è questa la sede per approfondire gli aspetti attinenti all’infrastruttura informatica perché sia in grado di garantire un’efficace gestione del Reis. Il punto-chiave è che serve un sistema informativo dedicato, per l’ appunto SILFIDE. Organizzato a livello statale ma, nello stesso tempo, offerto agli Ambiti socio-assistenziali e ai diversi attori locali che concorrono a gestire la prestazione, sia nella componente passiva che in quella attiva. Le basilari funzionalità che SILFIDE deve fornire attengono quindi alla gestione e al controllo delle richieste di accesso al Reis da parte dei cittadini, alla tempestiva e congrua erogazione (anche rispetto a variazioni della composizione e delle condizioni della famiglia nel tempo e/o a suoi trasferimenti di residenza), al recepimento delle informazioni fornite dagli Ambiti sui progetti di inserimento lavorativo e sociale e sui loro esiti. In questa prospettiva, è importante che il sistema sia integrato, cioè a dire organizzato in modo che i vari operatori abilitati a differenti funzioni (a partire dagli operatori di front-office) siano posti nella condizione di svolgerle in maniera “amichevole” e, soprattutto, evitando inutili, anzi pericolose, duplicazioni di immissione di dati: fonte di errori, incongruenze e lungaggini. A tale scopo, come già segnalato nel cap. 4, è importante giungere rapidamente a connettere, in modo strutturale e continuo, il sistema che gestisce il Reis con le anagrafi dei residenti nei Comuni (o con una corrispondente anagrafe unitaria nazionale). Ciò consentirebbe, tra l’altro, di disporre correntemente di dati affidabili sul nucleo familiare, quindi di far cessare (o ridurre) automaticamente il Reis in caso di decessi e, più in generale, di adattare l’ammontare del trasferimento monetario a variazioni rilevanti del nucleo, evitando erogazioni monetarie improprie. Come chiarito nel capitolo iniziale, la realizzazione del Reis comporterà il progressivo assorbimento della miriade di interventi categoriali di contrasto della povertà oggi esistenti. Questa ricomposizione richiederà tuttavia, nella proposta qui presentata, un quadriennio. Non toccherà, poi, misure con finalità di contrasto di altre specifiche condizioni di disagio (quali la disabilità, la non autosufficienza e simili), né tantomeno integrative o di emergenza che quasi inevitabilmente si riveleranno necessarie e graveranno a livello locale. SILFIDE potrebbe utilmente prestarsi anche a questa ulteriore esigenza, costituendo un portale offerto ai Comuni per migliorare, secondo stan- Pagina 6 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE dard orientati all’utenza e quindi ragionevolmente uniformi, le informazioni a disposizione dei cittadini: detto altrimenti, garantire che i molti “luoghi” del welfare che incontrano i cittadini poveri possano informare compiutamente. Quest’ulteriore prospettiva di utilizzo del sistema informativo 5 longitudinale centrale è brevemente delineata nell’Appendice A a questo capitolo. Come già abbiamo anticipato, se ben disegnato e mantenuto correntemente aggiornato, SILFIDE può diventare uno strumento essenziale non solo per valutare se e come funziona il Reis (per analisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali nel tasso di adesione alla misura da parte delle famiglie ammissibili, di eventuali trappole della povertà e incentivi perversi), ma anche per valutazioni non sperimentali dei suoi effetti e, ancora, per capire meglio il complesso fenomeno della povertà. Il Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica appena tratteggiato, di importanza cruciale per il Reis, dovrà naturalmente essere raccordato al meglio con altre iniziative del Ministero, già in atto, di costruzione/sperimentazione di sistemi informativi nell’area delle politiche sociali: quello degli interventi per le persone non autosufficienti (SINA), quello sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie (SIMBA) e, soprattutto, quello su interventi e servizi sociali a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale (SIP). Duplicazioni e/o carenze di integrazione, infatti, oltre a comportare spreco di risorse, possono compromettere la stessa qualità, quindi l’utilizzabilità, dei sistemi informativi. 8.5 SUGLI OBIETTIVI CONOSCITIVI DELLA VALUTAZIONE Prima di procedere a specificare per le due restanti aree gli obiettivi conoscitivi, focalizzati sulla valutazione degli effetti del Reis, conviene soffermarsi brevemente sul tema della valutazione degli effetti dell’intervento e su alcune tra le principali variabili-risultato alle quali è naturale guardare per un programma di reddito minimo. La valutazione degli effetti dell’intervento va condotta secondo la logica controfattuale. Sebbene il termine sia entrato nel linguaggio comune di operatori e policy makers, non è inutile spendere qualche riga per chiarire qual è la definizione controfattuale di effetto. L’effetto di un intervento è la differenza fra quanto si osserva, su un dato insieme di beneficiari in un dato tempo, in presenza dell’intervento stesso, e quanto si sarebbe osservato, sugli stesso beneficiari in quello stesso tempo, in sua assenza. È immediato notare che, mentre il primo termine del confronto è osservabile, il secondo è ipotetico, inosservabile per definizione. Questo risultato ipotetico è definito appunto situazione o risultato “controfattuale”. L’obiettivo della valutazione degli effetti è ricostruire in maniera credibile il controfattuale, detto altrimenti che cosa sarebbe accaduto ai beneficiari in assenza dell’intervento,e determinare l’effetto per differenza rispetto a ciò che è accaduto. Nel caso sia fattibile, il metodo preferibile per determinare gli effetti medi di un intervento è la rea6 lizzazione di un esperimento randomizzato , perché garantisce per costruzione (mediante il sor5La qualifica del sistema informativo come “longitudinale” sta a significare che esso non costituisce una “fotografia” – o una serie di “fotografie” indipendenti l’una dall’altra – dei soggetti presenti nel sistema in vari istanti di tempo (tecnicamente, una sequenza di osservazioni sezionali su popolazioni diverse di soggetti). Esso è, invece, organizzato in modo da poter collegare tutte le informazioni riferibili a una stessa unità, persona o famiglia, nel tempo. Il sistema, in altre parole, è in grado di documentare le “storie di vita” di queste unità, quindi la dinamica che le caratterizza. 6Poniamoci nella semplice situazione in cui siamo interessati a valutare l’effetto di un nuovo trattamento, denominato A (si pensi a un programma integrato di orientamento/formazione breve mirata/placement), rispetto al trattamento tradizionale (si pensi a un corso lungo di formazione professionale), chiamato B. L’esperimento randomizzato si caratterizza per il fatto che, definito l’insieme dei soggetti che vi prenderanno parte, essi sono assegnati al trattamento A, oppure non vi sono assegnati (quindi sono assegnati al trattamento tradizionale B Pagina 7 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE teggio) l’assenza di differenze sistematiche nelle condizioni di partenza di beneficiari e non beneficiari; in tal modo la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamente dei primi e dei secondi fornisce la stima dell’effetto. Gli esperimenti randomizzati sono particolarmente appropriati nei casi in cui, a priori, l’effetto dell’intervento sia incerto – sicché l’obiettivo primo è apprendere se esso sia positivo (e quanto), nullo o addirittura negativo – ed è quindi utile provarlo inizialmente su piccola scala, tramite interventi-pilota. In sostanza, gli esperimenti randomizzati forniscono risultati robusti e di immediata lettura sugli effetti di specifici interventi-pilota. In contesti non sperimentali, quale quello fornito da SILFIDE, possono mostrarsi appropriati metodi per contesti osservazionali, di massima combinando metodi di abbinamento statistico (al gruppo dei beneficiari si abbina, per confrontarlo e stimarne per differenza l’effetto, un gruppo di non-beneficiari adeguatamente simili ai primi rispetto a un pertinente insieme di caratteristiche osservabili) e il metodo della differenza-nelle-differenze (al quale abbiamo accennato introducendo l’area di indagine (iii), tramite indagini campionarie “a due onde”, sulla quale torneremo tra po7 co) o sfruttando eventuali discontinuità nel trattamento . In prima approssimazione, i principali esiti rispetto ai quali valutare gli effetti dell’intervento sono del seguente tenore: cambiamenti nel rispetto delle norme (sulla cura dei minori, sull’adempimento dell’obbligo scolastico, sul pagamento di utenze, ecc.) nonché di regole basilari della convivenza civile,per tutti i beneficiari; cambiamenti nel grado di deprivazione materiale, nel livello e nella composizione della spesa per consumi – verso consumi alimentari sufficienti e qualitativamente equilibrati everso consumi durevoli essenziali –, nella qualità dell’abitazione; per le persone in età attiva e idonee al lavoro, cambiamenti nella probabilità di accedere al lavoro, nella stabilità e qualità dello stesso, nella retribuzione; per le persone non idonee al lavoro e destinatarie di un intervento di sostegno/integrazione sociale, miglioramento della loro integrazione sociale e in altre dimensioni di benessere materiale e mentale; raggiungimento dell’autosufficienza economica, con conseguente uscita dalla condizione di povertà, quindi dall’ammissibilità alla misura, per un orizzonte di almeno due anni. 8.6 INDAGINI CAMPIONARIE SULLE CONDIZIONI DI VITA Si potrebbe sostenere che il trasferimento monetario, che integra il reddito della famiglia fino alla prefissata soglia di povertà, in un certo senso realizzi – verrebbe da dire automaticamente, per definizione – l’obiettivo del Reis per quanto riguarda la componente passiva. Quando la realizzazione del Reis sarà giunta a regime, infatti, tenuto conto delle differenze nella composizione della famiglia e nel costo della vita del comune in cui risiedono, tutte le famiglie ammissibili (che abbiano fat- che consta di un lungo corso di formazione professionale e nient’altro) in maniera casuale. (Quest’assegnazione casuale viene poi mantenuta inalterata, integra, per l’intero periodo di svolgimento dell’intervento.) Chiamiamo i due gruppi rispettivamente “trattati” e “non trattati”. Data la modalità di assegnazione dei soggetti all’uno o all’altro gruppo, casuale – mediante sorteggio –, per costruzione i due gruppi sono in media equivalenti rispetto all’insieme delle condizioni di partenza, non mostrano cioè differenze sistematiche rispetto a tali condizioni. Pertanto, la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamente dei trattati e dei non-trattati rivela l’effetto medio del trattamento (A) rispetto a quello (B). 7 Per introduzioni all’argomento vedi, tra gli altri, Martini e Sisti (2009), Trivellato (2010) e Martini e Trivellato (2011). Pagina 8 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE to domanda) riceveranno un’integrazione che le porta a uno stesso livello di reddito, coincidente con la soglia di povertà. Tuttavia, l’eterogeneità che, inevitabilmente, caratterizza le famiglie con la stessa composizione e i loro comportamenti di spesa, suggerisce di indagare anche questo basilare aspetto del Reis. Farlo è teoricamente facile. Operativamente lo è molto meno, e può essere abbastanza costoso. L’operazione da fare è logicamente chiara, a prima vista semplice. Occorre disporre di una serie di informazioni attinenti al grado di deprivazione materiale, al pattern dei consumi alimentari (più o meno sufficienti e e più o meno qualitativamente equilibrati), alla disponibilità di beni di consumo durevole essenziali, alla congruità dell’abitazione, ecc., che caratterizzano le famiglie povere prima dell’ammissione al reddito minimo, e la parallela serie di informazioni delle stesse famiglie (che per semplicità ipotizziamo invariate) un certo tempo dopo, diciamo un anno dopo il godimento del trasferimento monetario. Per contare su un indispensabile termine di paragone, che consenta di tener conto della dinamica che caratterizza i comportamenti di spesa/consumo, occorre disporre poi di un’analoga serie di informazioni con la stessa cadenza temporale – quindi prima e dopo l’introduzione del Reis – per un adeguato insieme di famiglie non povere, ma sufficientemente vicine alle stesse quanto a reddito disponibile: diciamo nel decile (forse meglio un percentile inferiore, nel ventesimo) immediatamente superiore della distribuzione del redditi. Tuttavia, mettere in pratica questo disegno, per poi confrontare le differenze nella (auspicabile) riduzione del grado di deprivazione materiale e negli altri indicatori di interesse tra famiglie beneficiarie del Reis e famiglie di poco al di sopra della soglia di povertà – e ricavarne quindi, ancora per differenza, una plausibile stima dell’effetto del Reis su queste variabili –, è tutt’altro che agevole. Per segmenti ridotti della popolazione di famiglie, dell’ordine del 5%, si possono avere stime di larga massima a livello nazionale da indagini campionarie nazionali condotte dall’Istat (ad es., la sezione italiana della europea Survey on Income and Living Conditions) o dalla Banca d’Italia 8 (l’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane) , almeno per alcune delle principali variabili-risultato . 8 risultato . L’alternativa è appunto quella enunciata nella sez. 8.2.1: la conduzione di apposite indagini campionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, in circa 60Ambiti (di massima diversi da quelli utilizzati per l’osservazione dell’implementazione della misura), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nel decile (o nel ventesimo) di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. Il guadagno in ricchezza dell’informazione sui temi della deprivazione materiale, dei pattern di consumo e, in generale, nelle condizioni di vita è notevole (come documenta l’esperienza condotta per il Reddito di garanzia di Trento, cfr. Spano, Zanini e Trivellato, 2013). L’impegno e i costi per realizzare siffatte indagini sono, però, tutt’altro che trascurabili. Per la somministrazione dei questionari agli ammessi al Reis si può fare ricorso agli operatori sociali, convenientemente formati; inoltre, i questionari possono essere abbastanza snelli, limitarsi cioè alle domande essenziali sulle condizioni di vita, perché le informazioni di contesto (sulla composizione della famiglia, sulle caratteristiche demografiche dei suoi componenti, sul reddito disponibile) vengono già acquisite nel corso dell’esame delle domande di ammissione. Ciò non vale, tut9 tavia, per larghissima parte del campione di controllo , rappresentato dalle famiglie nella fascia 8Dovendo per di più ricorrere a correzioni ad hoc delle stime, perché le misure di contrasto della povertà di solito non raggiungono tutti gli ammissibili, hanno cioè un tasso di adesione parecchio inferiore al 100%, per di più difficile da determinare. 9 Si tenga presente che nel campione di controllo confluiscono anche le famiglie che hanno fatto domanda e sono no risultate non ammissibili al Reis perché superavano la soglia di reddito. Peraltro, esse sono utilizzabili sol- Pagina 9 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE immediatamente superiore alla soglia di povertà, delle quali, tra l’altro, non è nemmeno agevole l’identificazione (stante l’assenza di informazioni affidabili sulla distribuzione dei redditi riferita all’intera popolazione). Per il campione di famiglie di controllo occorre un questionario più ricco e complesso, che grosso modo rilevi l’insieme delle informazioni disponibili per i beneficiari del Reis; serve una accurata strategia di campionamento che consenta di identificare un campione affidabile; bisogna condurre l’indagine dapprima contattando le famiglie e poi recandosi a domicilio. La soluzione che appare auspicabile è un accordo tra il MLPS e l’Istat, che porti all’affidamento dell’indagine sui non beneficiari all’Istituto di Statistica, facendo così tesoro della sua rete di rileva10 zione e della sua esperienza in tema di indagini sociali sulle famiglie . Almeno per due tappe del processo di introduzione del Reis, la prima e forse la terza, questo apparato di indagini longitudinali sulle condizioni di vita – nelle quali cioè le stesse famiglie devono essere intervistate ripetutamente nel tempo, dunque i soggetti intervistati nella seconda onda (ed eventualmente in onde successive, per documentarne la dinamica su un arco di tempo più lungo) debbono coincidere con quelli della prima – appare comunque utile per un’ adeguata valutazione degli effetti del Reis, innanzitutto della sua componente passiva, sulle condizioni di vita delle famiglie beneficiarie. Quest’area d’indagine richiederà, dunque, un’analisi e una progettazione particolarmente accurate, anche per contenere ragionevolmente i costi. 8.7 Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati Come già segnalato nella sezione introduttiva, è facile enunciare obblighi e obiettivi (ad es., si può disporre per legge che tutti i beneficiari siano coinvolti in progetti di attivazione, in particolare che tutte le persone in età lavorativa e idonee al lavoro firmino patti di servizio), ma il rischio che tutto – o gran parte – resti soltanto sulla carta è alto. Pochi sono capaci di realizzare interventi la cui efficacia sia scientificamente provata, credibile e allo stesso tempo applicabile ad altri contesti. È bene esserne consapevoli: non c’è scorciatoia possibile. Ci vogliono anni di sperimentazione per imparare a disegnare interventi capaci di incidere efficacemente sui meccanismi di uscita dalla povertà. In due paesi a noi vicini, Francia e Germania, le misure di reddito minimo sono state introdotte rispettivamente nel 1988 e nel 1961 e varie volte, anche in maniera marcata, sono state modificate alla luce dell’esperienza (Ferrera, 2012). È essenziale, quindi, che la SUV, sulla base dei feedback periodici ottenuti durante il primo anno, stabilisca di condurre approfondimenti sugli Ambiti e/o Comuni disponibili a partecipare a sperimentazioni controllate di iniziative sulla cui efficacia vi sia incertezza. Nel contesto del Reis, inoltre, la realizzazione di esperimenti randomizzati multicentrici è relativamente facile da gestire, per due ragioni. Primo, il fatto che la misura è di tipo nazionale ma viene realizzata in circa 760 Ambiti socio-assistenziali, e in oltre 8.000 Comuni, facilita il reclutamento dei siti in cui realizzare l’esperimento. Secondo, i membri dei gruppi di controllo sono tipicamente esentati dal dover partecipare a qualche attività onerosa in termini di tempo (come seguire particolari protocolli per colloqui di orientamento nei CpI, partecipare a corsi di formazione con specifiche caratteristiche quanto a contenuti/durata/frequenza, ecc.) e le informazioni che li riguardano possono essere tratte da da archivi amministrativi. L’ipotesi che appare ragionevole prospettare è che le prime 5 sperimentazioni controllate siano individuate dalla SUV alla fine del primo anno, e assegnate a enti di ricerca qualificati mediante una procedura competitiva. Ulteriori 5 sperimentazioni controllate vanno poi individuate entro il tanto se viene loro somministrato lo snello questionario aggiuntivo sulle condizioni di vita del quale abbiamo appena detto, il che non appare banalmente facile. 10L’alternativa, verosimilmente più costosa e con risultati qualitativamente non migliori, è di affidare questa cruciale parte dell’indagine a una società di rilevazione, selezionata con un buon bando di gara. Pagina 10 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE secondo anno e assegnate in maniera analoga. I risultati preliminari devono essere forniti entro la fine del quarto anno e quelli definitivi entro la fine del quinto. Gli specifici interventi vanno individuati nel quadro degli obiettivi conoscitivi della valutazione del Reis, sommariamente delineati nella sezione precedente. La loro identificazione e il loro disegno richiederanno un adeguato approfondimento congiunto da parte della SUV e degli Ambiti o Comuni coinvolti. In prima approssimazione, essi dovrebbero comunque estendersi sia a progetti di sostegno sociale sia a azioni di attivazione al lavoro, e concentrarsi su progetti/azioni per le quali appare di particolare interesse adottare modalità di operare diverse (detto in altre parole, “trattamenti” differenti), quali: interventi mirati a indurre comportamenti corretti(cura dei minori, obbligo scolastico, ecc.); interventi d’integrazione sociale per nuclei familiari con problemi gravi (ad es., con persone con disabilità); interventi di alfabetizzazione funzionale per persone in età lavorativa e per il resto idonee al lavoro; una varietà di interventi-pilota di avviamento al lavoro – in tema di orientamento, formazione, placement, modi di applicazione delle condizionalità –, quindi in prospettiva mirati all’autonomia economica e alla conseguente uscita dalla condizione di povertà. Come già detto (vedi la sez. 4.3), altri esperimenti con randomizzazione potranno essere promossi dalle Regioni. Il disegno e le misure per assicurare l’integrità dell’esperimento randomizzato, cruciali perché esso fornisca risultati credibili, andranno definiti d’intesa fra la Regione interessata e la SUV. 8.8 I MICRODATI COME PATRIMONIO INFORMATIVO PER LA COMUNITÀ DEI RICERCATORI Sinora abbiamo sottolineato l’esigenza che l’accesso al patrimonio informativo che si genera per la corretta gestione del Reis, in particolare (ma non solo) SILFIDE, sia utilizzabile, secondo regole di accesso ragionevolmente aperte, da tutti i soggetti coinvolti, amministrazione centrale ed attori locali. In verità, l’istanza di accessibilità è ben più ampia. La valutazione di una specifica politica –nel nostro caso il Reis –, infatti, non è tanto (o comunque soltanto) un’operazione circoscritta svolta da un solo gruppo di analisti-valutatori ufficialmente incaricati di questo specifico compito. È un processo che si dispiega nel tempo, animato dal confronto fra più analisti indipendenti. Più stringente e serrato sarà il confronto sugli effetti del Reis, più stringente sarà il vaglio di affidabilità degli studi di valutazione, conseguentemente più credibili saranno le conclusioni che si raggiungono. Come è stato detto con efficace sintesi, «le valutazioni [degli effetti] si costruiscono sulla conoscenza cumulativa» (Heckman e Smith, 1995, pag. 93). La replicabilità degli studi ne è una condizione necessaria. Ciò ha un’importante implicazione: che i microdati, ragionevolmente protetti rispetto alle esigenze di privacy,per finalità di ricerca siano accessibili a tutti gli analisti qualificati. A questo scopo serve una revisione della normativa italiana sull’accesso ai microdati per la ricerca, irragionevolmente restrittiva. Ma ancor più tornano utili soluzioni tecnico-informatiche, che consentono elaborazioni su microdati tramite remote data access, proteggendone nel contempo Pagina 11 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE l’anonimità (vedi, ad es., l’esperienza svedese del Microdata OnLine Access e quella del Secure Data 11 Service dell’UK Data Archive) . Una tale modalità di accesso dovrebbe valere per: SILFIDE; i microdati delle indagini campionarie a due onde sulle condizioni di vita; i 10 esperimenti randomizzati, una volta concluse dagli enti di ricerca incaricati; i microdati di altri studi di valutazione che siano stati finanziati con risorse pubbliche o di fondazioni, una volta che i soggetti affidatari dello studio li abbiano conclusi. 8.9 IL RACCORDO CON ALTRI PROGRAMMI CONTRO LA POVERTÀ L’ipotesi dalla quale appare ragionevole muovere è che dal varo del Reis, presumibilmente ad inizio 2014, sino alla sua messa a regime, si realizzi progressivamente la ricomposizione entro questa misura di diverse prestazioni oggi presenti contro la povertà, descritta al cap. 7. Fino a poco tempo fa, questa transizione avrebbe implicato, tra l’altro, il superamento della Social Card, inclusa quella sperimentale avviata nel 2013. Il quadro, però, è ora mutato. Da una parte, la sperimentazione della Nuova Social Card nei 12 comuni più popolosi non si concluderà prima della fine del primo semestre 2014; dall’altra il Governo ha recentemente deciso la sperimentazione nel Mezzogiorno della Carta per l’inclusione (così viene ora denominata la Social Card Sperimentale), grazie alla disponibilità di fondi comunitari, muta decisamente il quadro della situazione. Stanti soprattutto i margini di incertezza che ancora connotano tempi e modi di questo allargamento della Carta per l’inclusione, sarebbe azzardato tentare di definire, anche solo a maglie larghe, le forme di raccordo del monitoraggio e della valutazione di questi interventi con le linee di azione suggerite per il Reis. Il significativo elemento di novità è la determinazione con cui il Ministero sta tracciando un impegno sistematico sul fronte del monitoraggio e della valutazione anche di questi interventi in qual12 che misura “sperimentali” e con orizzonte temporale limitato . Appena essi saranno compiutamente definiti, servirà dunque porre attenzione a un raccordo fra le attività di ma osservazione/analisi/valutazione da mettere in atto per questi interventi e quelle delineate per la realizzazione progressiva del Reis. 8.10 UNA PRIMA STIMA DI MASSIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E DELLA VALUTAZIONE Stimare, anche grossolanamente, i costi per l’attività di monitoraggio e valutazione delineata non è certo agevole. Molti interventi, infatti, possono comportare una forte variabilità dei costi, a seconda della scala alla quale vengono condotti e del modo col quale vengono disegnati. Per fare un solo esempio, il costo di un esperimento randomizzato varia significativamente a seconda della numerosità del campione complessivo – di trattati e di non-trattati – e della sua dispersione terri- 11Vedi rispettivamente http://www.scb.se/Grupp/Tjanster/MONA_produktblad_engelsk.pdf e archive.ac.uk/news-events/news.aspx?id=2375 12Su http://www.data- un terreno in parte diverso, attinente essenzialmente al monitoraggio e all’accountability, la definizione dello schema di riparto del Fondo Nazionale Politiche Sociali (FNPS) per il 2013 agli artt. 4 e 5 stabilisce che le Regioni si impegnano a programmare le risorse loro destinate per «aree di utenza», «macro-livelli» e «obiettivi servizio». Palesemente, anche queste indicazioni comportano la necessità di un monitoraggio più stringente, supportato da un adeguato sistema informativo. Pagina 12 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE toriale, così come varia ancor di più se esso comporta l’erogazione, ai trattati, di un trattamento costoso. Ci limitiamo qui a sintetiche indicazioni di massima, muovendo da una prima, motivata assunzione: l’esclusione dalle voci di costo della realizzazione e gestione di SILFIDE, il Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica. Infatti, tale sistema fa parte dell’insieme dei compiti istituzionali dell’Inps, che ha già attuato larga parte dello sviluppo del “Sistema informativo dei percettori di sostegno del reddito”, mirato a connettere le informazioni in13 dividuali relative ai vari ammortizzatori sociali . Col decollo del Reis e il modo col quale ne abbiamo previsto la realizzazione centralizzata del sistema informativo, un analogo obbligo vale di fatto, ci pare, per l’Inps anche per l’insieme delle persone che abbiamo qualificato “povere, non più povere e a rischio di povertà”. Il Sistema informativo dei percettori di reddito – si noti – potrebbe fornire importanti indicazioni per la realizzazione di SILFIDE, che con esso dovrebbe, tra l’altro, poter colloquiare in maniera agevole. La seconda assunzione dalla quale muoviamo è di contenere fortemente i costi, senza compromettere tuttavia l’essenziale per una solida attività di monitoraggio e valutazione. Rinviando all’Appendice B per sintetiche chiarificazioni, conviene segnalare innanzitutto che le nostre stime presuppongono un’attività di monitoraggio e valutazione estesa su cinque anni (comprensivi di 46 mesi precedenti l’avvio operativo del Reis e di 8-6 mesi successivi alla sua piena attuazione). La stima del totale dei costi è dell’ordine di 2,4 milioni di euro l’anno, complessivamente di circa 12 milioni di euro sino al completamento della valutazione del Reis a regime. Si tratta di cifre che rappresentano una frazione esigua del costo totale dell’intervento, incomprimibili per una credibile attività di monitoraggio e valutazione. 13Questo sistema, accessibile all’indirizzo http://www.inps.it/portale/default.aspx?iMenu=2&iiDServizio=113 , mira a consentire ricerche incrociate in relazione alle diverse tipologie di ammortizzatori sociali. Lo scopo è duplice: (i) monitorare gli esiti delle misure di sostegno al reddito; (ii) rendere effettiva la sanzione della decadenza da tali misure in caso di mancato rispetto degli obblighi di produrre la dichiarazione di disponibilità e di accettare un’offerta di riqualificazione o di lavoro congruo. Vi sono contenuti i dati dei percettori delle principali misure precedenti la cosiddetta “riforma Fornero” (Indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, Disoccupazione ordinaria e trattamento speciale edilizia, Disoccupazione lavoratori marittimi e sospesi, CIG ordinaria e in deroga, Indennità di mobilità ordinaria/lunga e in deroga, Sussidi). Gli utenti abilitati alla lettura sono Mlps, Regioni, Servizi per l’impiego (Centri per l'impiego e altri organismi autorizzati), Enti convenzionati allo scopo con Inps, Fondi interprofessionali (convenzionati con Inps). Pagina 13 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini14 Il sistema di welfare locale contro la povertà è segnato da una doppia criticità: da un lato i cittadini non possono conoscere tutte le possibili prestazioni che potrebbero richiedere (e spesso proprio i più fragili non riescono a fruirne), e dall’altro gli operatori di front-office non sono in grado di esserne pienamente aggiornati né di descriverle in modo adeguato alle persone che potrebbero utilizzarle. Questa criticità si presenterà anche dopo l’auspicata introduzione del Reis perché mentre le principali prestazioni monetarie contro la povertà saranno in esso riassorbite, l’insieme di interventi, luoghi e possibilità ai quali le famiglie in povertà potrebbero accedere, ma di cui non sono a conoscenza, rimarrà comunque articolato ed eterogeneo. Si tratta, dunque, di predisporre uno strumento informativo efficace, che contribuisca a superare la situazione descritta. Per riflettere su questo strumento è utile considerare due aspetti. 1) Gli operatori che oggi lavorano in front-office che ricevono famiglie povere (nei servizi socio-assistenziali dei Comuni o dei loro Enti gestori, nei centri di ascolto di associazioni) hanno ben chiara l’esigenza di informare in modo completo su tutti gli interventi che la famiglia potrebbe richiedere, inclusi quelli messi in opera da altri servizi o Enti. Ma devono costruirsi una propria mappa delle offerte, con varie modalità (schede, appunti, file di servizio o di singoli operatori, cataloghi e software locali, fotocopie di norme e circolari ). Con due conseguenti limiti: l’utilizzo di questa mappa è molto dipendente dalle scelte e possibilità personali dei singoli operatori o servizi, e non è detto si riesca a garantirne la messa in comune tra tutti coloro che potrebbero utilizzarla; sono evidenti le difficoltà di mantenere sempre aggiornato il “catalogo” delle offerte, che deve contenere non solo le prestazioni di specifica competenza di quel servizio (ad esempio le prestazioni del Comune), ma anche di altri soggetti (le prestazioni Inps e quelle nazionali, i vari “bonus”, ecc.). 2) Lo strumento da costruire non può essere un testo scritto, ossia un catalogo cartaceo statico delle offerte disponibili, per due motivi: le prestazioni sono (purtroppo) molto diversificate per tipologia di possibili beneficiari, e sovrapposte: alcune sono fruibili solo da anziani, altre da anziani e minori, altre da nuclei solo se con minori, ecc.. Ciò implica che se l’operatore dispone solo di un catalogo stampato, pur con un indice ben articolato, gli è quasi impossibile ricostruire l’elenco delle misure che si attagliano alla persona o nucleo che ha di fronte, stante il caotico intreccio di possibili destinatari. Così come è quasi impossibile spiegare dove e quando quello specifico cittadino può richiedere le diverse prestazioni, a meno che l’operatore ricopi su un testo che redige ad hoc ciò che ogni scheda del catalogo cartaceo riporta. Inoltre lo scenario delle prestazioni disponibili è soggetto a molte variazioni (nuove scadenze, modifiche di criteri). Dunque occorre un elenco dinamico per garantire agli operatori un buon aggiornamento a cura di un suo gestore, evitando che tale compito ricada (come ora accade) solo su interventi locali di manutenzione delle informazioni. Uno strumento utile potrebbe perciò essere un catalogo strutturalmente dinamicodelle misure di contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato con l’obiettivo di aiutare gli operatori di tutti i front-office a: 14 Ragioni e contenuti di questa proposta sono anche descritti in Motta , 2013. Pagina 14 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE conoscere con facilità (e con costante aggiornamento) la mappa delle diverse prestazioni che sono disponibili, ovunque, per i cittadini; trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere. Lo strumento dovrebbe consentire all’operatore di: inserire in una maschera le caratteristiche principali del nucleo che deve informare e ricavarne un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, ossia quelle (e solo quelle) disponibili in quel momento per quella persona/nucleo, potendo stamparlo; incluse le informazioni dedicate a “dove, come e quando si possono richiedere quegli interventi”. Nell’utilizzo di un simile strumento potrebbero essere intravisti questi possibili rischi: Una dilatazione del tempo che va dedicato ad ogni utente ricevuto, se ai contenuti del colloquio dedicato al Reis si aggiungono contenuti informativi ulteriori. Il rischio di far individuare il front-office come il responsabile di tutte le prestazioni che vengono descritte, attribuendo a chi ha fornito l’informazione le disfunzioni che il cittadino incontra nei successivi percorsi (“voi mi avete detto che se andavo là potevo avere...e invece poi mi hanno detto…”). Queste possibili preoccupazioni devono tuttavia essere valutate considerando che: già attualmente gli operatori svolgono funzioni di “segretariato sociale”, ma con strumenti poco efficaci e che implicano un faticoso lavoro locale di costruzione e manutenzione; il segretariato sociale è uno dei pochi livelli essenziali che già la normativa prevede debba esistere, e peraltro questo dovrebbe essere un ruolo di elezione dei servizi sociali di front-office; lo strumento potrebbe essere utilizzato da molti front-office dedicati al rapporto con utenza fragile, e tendenzialmente da tutti i luoghi di incontro con la povertà (Comuni, Centri d’ascolto, Associazioni varie, CAF, Patronati). Ed inoltre le offerte attivate da questi attori del welfare potrebbero essere man mano incluse tra le schede descrittive del catalogo. Il catalogo delle prestazioni contro la povertà potrebbe essere organizzato su più livelli: il catalogo base delle prestazioni nazionali, gestito e aggiornato dal livello statale; ulteriori schede sulle prestazioni locali, mantenendo la stessa struttura e funzionalità di ricerca. Ovviamente da tenere aggiornata con responsabilità locali. Ogni prestazione può essere descritta in una breve scheda che contenga: di che cosa si tratta, chi ne può fruire, con quali criteri di accesso ed erogazione; dove, come e quando si può richiedere (con la possibilità di stampare la relativa modulistica per la richiesta); ulteriori informazioni eventuali per gli operatori (indirizzi web, normativa). Di fronte al nucleo da informare l’operatore potrebbe riempire una “maschera” che descrive il nucleo, oppure cercare parole chiave e tag significativi (ad esempio per tipo di utenza), e ricavarne informazioni per sé, da descrivere agli utenti, e soprattutto una stampa mirata da consegnare al cittadino. Va segnalato che la costruzione di questo strumento, in parte sperimentato in alcuni Comuni, non implica rilevanti costi, perché questo sistema non deve gestire elaborazioni e processi, ma solo presentare risposte componendole in base alle schede del catalogo. Pagina 15 8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE Come illustrato nel cap. 5, la presenza e l’utilizzo di questo catalogo saranno richiesto come requisito per l’accreditamento a: a) i soggetti responsabili della funzione di accesso e di prima verifica dei requisiti per accedere alla misura; b) quelli incaricati dell’incontro/colloquio di valutazione multidimensionale delle condizioni del nucleo familiare, sulla base del quale verrà definita la presa in carico e il percorso d’inclusione (sociale o lavorativa). Detto altrimenti, tutti i soggetti impegnati nel fornire il Reis nel territorio dovranno disporre di un ampio patrimonio d’informazioni condivise. Ciò sarà requisito di accreditamento valido in tutto il paese. Si aggiungono poi due auspici. Primo, che il catalogo possa venire utilizzato anche dalle realtà impegnate nel territorio a sostegno delle persone in povertà, ma non direttamente coinvolte nel Reis. Secondo, che le informazioni contenute nel catalogo riguardino sempre più non solo la povertà ma anche altri settori presso i quali inviare chi fa domanda per il Reis, ad esempio quelli concernenti non autosufficienza e disabilità. Si tratta, però, di auspici che sarebbe eccessivo inserire tra i criteri di accreditamento validi per tutto il paese. Se ne può, invece, augurare uno sviluppo a livello locale (sviluppo che potrà essere facilitato dal lavoro di scambio di esperienze tra i diversi territori promosso dalle Regioni, così come dall’attività di queste ultime nel sostenere il miglioramento delle realtà locali, tramite formazione e altro; vedi il cap. 4). APPENDICE B: SINTETICHE CHIARIFICAZIONI SULLA STIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E DELLA VALUTAZIONE Voci di spesa Quattro esperti del SUV (comprese spese di mobilità) Venti persone per osservazione continua degli Ambiti-sentinella (comprese spese di mobilità) SILFIDE Due indagini campionarie “a due o tre onde” sulle condizioni di vita (per beneficiari operatori sociali; per controlli Istat): costo distribuito per anno Cinque esperimenti randomizzati senza erogazione di un trattamento oneroso (dimensione campionaria minima 350 trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni) Cinque esperimenti randomizzati con erogazione di un trattamento oneroso (dimensione campionaria minima 350 trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni): costo distribuito per anno Costo totale Pagina 16 € 1 anno 200.000 800.000 550.000 250.000 € 5 anni 1.000.000 4.000.000 2.750.000 1.250.000 600.000 3.000.000 2.400.000 12.000.000 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS • La maggior spesa pubblica necessaria per l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale è pari a circa 5,3 miliardi di Euro annui. Si tratta della spesa a regime, cioè a partire dal quarto anno della transizione. • -Al fine di reperire queste risorse si possono individuare varie strategie di finanziamento. Per essere ritenute utilizzabili, le strategie devono rispettare, simultaneamente, tre criteri di accettabilità: la concretezza (devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del caso, correggerne le inefficienze). • Il capitolo presenta numerose opzioni di finanziamento che rispettano i tre criteri, cominciando da quelle riguardanti minori spese. Si guarda qui alla possibilità di riduzione e/o riordino di alcune voci di spesa per la previdenza e l’assistenza, con riferimento alle pensioni d’oro e ai trattamenti pensionistici di carattere assistenziale destinati specificatamente al sostegno del reddito (pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni). Interventi di questo tipo possono migliorare, da un lato, l’equità attuariale del sistema previdenziale, dall’altro, la target efficiency della spesa per l’assistenza, permettendo di concentrare maggiormente le risorse disponibili a favore dei più bisognosi. Vengono inoltre considerati, seppure impatto assai minore, possibili interventi sulle spese generali per le istituzioni. • Una parte delle risorse necessarie al finanziamento della nuova misura di contrasto della povertà assoluta potrebbe invece essere reperita dal lato delle entrate, attraverso: un incremento delle accise su tabacco e bevande alcoliche; una maggiore imposizione sui concorsi a premio; il riordino delle agevolazioni fiscali in sede IRPEF; il riordino dei trasferimenti alle imprese private; la proroga e la revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF; l’introduzione di una imposta progressiva sul patrimonio; la revisione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni; l’incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per uso caccia. • Complessivamente viene individuato un insieme di possibili misure per finanziare il Reis, ognuna coerente con i tre criteri di accettabilità indicati, le quali permetterebbero di recuperare risorse in un intervallo tra un minimo di 13.084 milioni di Euro annui e un massimo di 18.804 milioni. • Tra le opzioni così individuate, è responsabilità del decisore politico scegliere quali modalità di finanziamento privilegiare per ottenere i circa 5,3 miliardi necessari a regime. 1 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 9.1. INTRODUZIONE L’obiettivo di questo capitolo è individuare possibili strategie di finanziamento dirette al reperimento di risorse da destinare all’adozione del nuovo Reddito di inclusione sociale (Reis). Inizialmente si quantificano le risorse necessarie all’istituzione del Reis (par 9.2) e in seguito si illustrano la logica scelta per affrontare il tema del finanziamento e le ragioni che la sostengono (par 9.3). Il successivo paragrafo discute le possibili strategie di finanziamento, riguardanti maggiori entrate e minori uscite (par. 9.4) mentre poi ne vengono esaminate le implicazioni distributive (par. 9.5 e 9.6). Infine, si forniscono alcuni spunti di riflessione inerenti la preferibilità di alcune fonti di finanziamento tra le numerose analizzate in questo Capitolo (par 9.7). 9.2. LA SPESA TAB 1 – LA SPESA ANNUALE AGGIUNTIVA A REGIME (DAL QUARTO ANNO) MILIONI DI EURO Contributo economico 4.425 Servizi alla persona 885 Monitoraggio e valutazione 2,5 Totale 5.312,5 A regime, cioè a partire dal quarto (e ultimo) anno della transizione, il Reis costa 5.312,5 milioni di 1 Euro annui , pari allo 0,30% del Pil2. Il totale si compone di tre parti: la spesa per il contributo economico, quella destinata ai servizi alla persona e le risorse dedicate a monitoraggio e valutazione (tab 1). Vediamole separatamente. La componente di spesa annua per la parte monetaria ammonta a 4.425 milioni di Euro, calcolati ipotizzando un take-up rate (cioè il rapporto tra il numero degli utenti effettivi e quello degli aventi diritto) pari al 75%. Come mostra il capitolo 3, si tratta di una percentuale piuttosto elevata, dato che in altri paesi simili al nostro il take-up rate è più basso e che la sperimentazione dell’RMI nazionale di fine anni ’90, ampiamente pubblicizzata, lo vide arrivare al 67%. Nondimeno, le esperienze regionali esaminate da Spano ed altri hanno fatto registrare, nella gran parte dei casi, una percentuale al di sotto del 75% (Spano, Zanini e Trivellato, 2013). La parte di stanziamenti pubblici ulteriori da destinare ai servizi è di 885 milioni annui, uguale al 20% della componente per i contributi economici. A differenza di quest’ultima e della componente per monitoraggio/valutazione, però, i finanziamenti ulteriori dedicati ai servizi non corrispondono all’ammontare di risorse che risulteranno effettivamente disponibili. Infatti, agli 885 milioni bisogna aggiungere la spesa attuale dei Comuni per la lotta alla povertà, pari a 566 milioni di Euro 1 2 ). I 5.312,5 milioni di euro annui sono le risorse pubbliche addizionali da stanziare rispetto ad oggi. Circa 5,3 miliardi annui per una misura nazionale contro la povertà assoluta è un importo in linea con le altre stime esistenti in materia, si veda ad esempio il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali” richiamato nel capitolo 1. Questa percentuale è calcolata nell’ipotesi che l’introduzione del Reis avvenga nel quadriennio 2014-2017 e quindi il 2017 sia il primo anno a regime (cfr. cap. 10). 2 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 3 annui (Istat, 2013). Il totale della spesa per la componente servizi ammonta, dunque, a 1451 mi4 lioni annui, pari a circa un terzo della componente monetaria . Queste risorse finanziano, innanzitutto, la verifica iniziale dei criteri di eleggibilità dei richiedenti, accompagnata da informazione e orientamento, e la successiva attività di valutazione multidimensionale e presa in carico degli utenti. Sulla base di alcuni studi precedenti, come l’analisi della sperimentazione del RMI nel periodo 1999-2022, è ragionevole supporre che queste attività richiedano una spesa pari al 10% della componente monetaria. La quota rimanente (maggioritaria) delle risorse per servizi serve a coprire le attività legate all’inserimento sociale e lavorativo, che possono riguardare i centri per l’impiego, i servizi socio-sanitari, i servizi socio-educativi, altre componenti dei servizi sociali e altro ancora (cfr. cap. 6). S’immagina, dunque, che questa parte del budget venga allocata tra i diversi servizi menzionati in quote proporzionali al loro coinvolgimento nel percorso d’inserimento sociale e/o lavorativo. Il calcolo del costo della componente servizi merita alcune considerazioni. Innanzitutto, il tema è assai poco studiato, in Italia così come all’estero, dunque le nostre stime sono da ritenere provvisorie e maggiore ricerca è in merito è urgente. Ciò detto, l’ammontare di risorse ipotizzato è certamente necessario per rendere concreto quel ruolo di primo piano dei servizi alla persona che noi auspichiamo, in linea con il dibattito italiano ed europeo. Detto altrimenti, forse ci vogliono maggiori risorse per i servizi, di sicuro meno non permetterebbero di realizzare una misura di lotta alla povertà assoluta degna di questo nome. Venendo a monitoraggio e valutazione, la spesa annua prevista è di 2,4 milioni annui, sulla base dei costi presentati in dettaglio nell’Appendice 2 del capitolo 8. Si tratta di risorse, che, pur residuali rispetto alla spesa complessiva del Reis, consentirebbero di svolgere le funzioni di monitoraggio e valutazione in modo coerente con il rilievo che il nostro progetto vi attribuisce. 9.3. LA LOGICA DEL FINANZIAMENTO Come reperire le risorse necessarie? La strada qui scelta si articola in tre passaggi. Primo, si definiscono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve rispettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono: la concretezza (le opzioni devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del caso, correggere le inefficienze del mercato stesso), come si cerca illustra nel prossimo paragrafo. Secondo, s’individuano un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sulle quali si ritiene possibile intervenire. Dato il contesto economico attuale e i vincoli di natura politica esistenti, è inevitabile che il piano di finanziamento faccia riferimento a un insieme piuttosto ampio e variegato di strumenti. Di ognuna delle possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito che ne potrebbe derivare e, ove possibile, l’impatto redistributivo atteso. Come si vedrà, l’insieme degli interventi prospettati permetterebbe di raccogliere risorse comprese tra i 13 e i 19 miliardi di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 5,3 miliardi necessari al Reis a regime. Il terzo e ultimo passaggio nella definizione della nostra logica di finanziamento consiste nella scelta di quali fonti I 556 milioni sono il totale della voce “Povertà, disagio adulti e senza fissa dimora” nell’indagine censuaria Istat sulla spesa per servizi e interventi sociali, riferito al 2010, l’anno più recente disponibile (Istat, 2013). Questa voce si divide, a sua volta, in spesa per servizi (da aggiungere alla stima della spesa Reis perché rivolta alla sua stessa popolazione target) e in spesa per trasferimenti monetari (da aggiungere perché non viene conteggiata nei modelli economici che stimano le risorse disponibili per gli interventi pubblici contro la povertà e quelle necessarie, cfr. cap. 3). 3 4 Si è presa a riferimento questa percentuale, pur nella grande incertezza degli studi in materia (si veda oltre), sulla base delle esperienze italiane già menzionate negli altri capitoli della proposta e di alcuni studi comparativi (in particolare Immervol, 2010, 2012; Frazer & Marlier, 2009; Kuddo, 20102). 3 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS di finanziamento privilegiare, tra quelle qui proposte, per finanziare la misura: questa decisione non può che spettare al livello politico. Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi sostiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e coloro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”. Come si cercherà di dimostrare nel prosieguo del capitolo, alcune risorse finanziarie possono essere recuperate, probabilmente minori di quanto ritengano i primi ma maggiori di ciò che pensano i secondi. Ciò detto, la scelta sulle specifiche strategie di finanziamento da adottare è nelle mani della politica. È, invece, compito di chi avanza una proposta mostrare che gli stanziamenti disponibili, se si vuole, non solo ci sono, ma si possono anche trovare nel rispetto di elementari principi di equità ed efficienza. 9.3.1. Criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento Al fine di individuare possibili strategie di finanziamento del Reis occorre definire i criteri per l’accettabilità tecnica e politica delle strategie medesime: si ritiene che tali criteri debbano avere a che fare con i possibili effetti di equità ed efficienza che il finanziamento della nuova misura (Reis) può determinare. In linea di principio ciascuna modalità di finanziamento del nuovo istituto di lotta alla povertà assoluta dovrebbe, infatti, poter essere valutata negli effetti che essa produce sui comportamenti economici (aspetti di efficienza) e sulla distribuzione finale delle risorse (aspetti di equità). Risulta altresì immediatamente evidente che il prerequisito fondamentale di qualsiasi criterio di accettabilità delle diverse modalità di finanziamento del Reis consiste nella possibilità di misurarle in modo puntuale e di poterne esaminare gli effetti economico-sociali. Lo strumento ideale per analizzare gli effetti di equità ed efficienza di ipotetiche forme di finanziamento del nuovo istituto di lotta alla povertà assoluta sarebbe un modello di microsimulazione tax-benefit. Questo tipo di modellistica è infatti in grado di quantificare non solo l’impatto sul bilancio pubblico delle diverse fonti di finanziamento della nuova misura, ma anche di valutare gli effetti di breve periodo sui bilanci familiari e sulla distribuzione del reddito (analisi di equità), nonché le possibili reazioni comportamentali, con particolare riferimento alle scelte individuali in materia di offerta di lavoro e/o di risparmio (analisi di efficienza). Ciò detto, approfondiamo ora ulteriormente i tre criteri di accettabilità. a)Concretezza Questo criterio potrebbe apparire a prima vista scontato ma così non è. È con riferimento a un principio di concretezza che, ad esempio, la nostra proposta non contempla, tra le possibili fonti di finanziamento del Reis, un recupero di risorse dal lato della lotta all’evasione fiscale e/o alla corruzione, essendo tali misure di incerta quantificazione. b)Equità Si tratta evidentemente di valutare se, e in che misura, gli ipotetici interventi dal lato del finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale producano effetti sul livello della diseguaglianza e della povertà economica. Sotto il profilo dell’equità, e per quanto questo concetto sia passibile di diverse interpretazioni, appaiono preferibili quelle forme di finanziamento che determinano una riduzione della forbice tra ricchi e poveri o una redistribuzione a favore dei nuclei familiari di reddito più basso. 4 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS c) Efficienza Si tratta qui, invece, di studiare i possibili effetti di medio-lungo periodo che tale finanziamento avrebbe sulle scelte economiche degli individui: si può presumere, infatti, che qualunque forma di tassazione e di spesa pubblica per l’assistenza subordinata a criteri di selettività economica, o loro ipotetiche riforme, influenzi le scelte economiche dell’individuo, determinando, ad esempio, un disincentivo all’offerta di lavoro e quindi alla produzione del reddito. Un incremento delle aliquote d’imposta o un’accentuazione della selettività sottesa alla fornitura di determinati programmi di spesa di welfare, aumentano infatti il carico fiscale che grava sul reddito (individuale o familiare) o riducono l’importo del beneficio assistenziale a cui si ha diritto. Sempre con riferimento ad un’analisi di efficienza, in linea teorica, si potrebbe anche voler misurare se, e quanto, ciascuna ipotetica misura di finanziamento del nuovo istituto di contrasto della povertà assoluta incida negativamente sul tasso di crescita potenziale dell’economia o se, al contrario, sia in grado di correggere eventuali distorsioni preesistenti sui mercati. È evidente che, sotto questo profilo, sono tanto più accettabili quelle misure di finanziamento che hanno il minimo impatto distorsivo sulle scelte economiche degli individui o delle famiglie. Nella costruzione delle nostre ipotesi di finanziamento ai tre criteri guida illustrati si affianca un preciso approccio verso il tema in esame. Si tratta di una certa parsimonia nell’individuare le opzioni da includere tra le strategie di finanziamento possibili, come mostrano alcuni esempi. Primo, per ognuna delle ipotesi di finanziamento considerate vengono presentati un valore minimo ed un valore massimo di risorse ottenibili: quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, è piuttosto inferiore all’ammontare più alto di risorse che si potrebbe effettivamente ottenere applicandola. Secondo, non vengono considerate le risorse ulteriori che si potranno liberare nel periodo 2014-2017 grazie al maggior gettito dovuto alla ripresa della crescita del Pil (cfr. cap 10). Terzo, non vengono presi in considerazione stanziamenti aggiuntivi che potrebbero essere resi possibili da un eventuale allentamento dei vincoli europei alla spesa pubblica. La congiunzione tra l’approccio parsimonioso e il criterio della concretezza porta alla luce il messaggio di fondo del capitolo, che emergerà nelle prossime pagine: è difficile trovare le risorse per il Reis ma se esiste una volontà politica in questa direzione è possibile farlo, ed è possibile farlo compatibilmente con i criteri di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico, che sono da ritenersi imprescindibili. Salvo rarissime eccezioni, la modellistica di microsimulazione impiegata in Italia, ma anche a livello europeo, si limita a considerare i soli effetti d’impatto delle politiche pubbliche di spesa e di prelievo di tipo monetario; non vengono invece presi in esame né la redistribuzione attuata tramite i servizi (si pensi alla spesa pubblica per l’istruzione, per la sanità o agli interventi nel campo delle politiche abitative), né gli effetti di più lungo termine che tali politiche o loro ipotetiche riforme possono determinare sui comportamenti economici. Il modello di simulazione adottato in questa sede rientra in quest’ultima famiglia di strumenti d’analisi, essendo stato sviluppato, messo a punto e applicato ripetutamente nello studio degli effetti sul bilancio pubblico e sulla distribuzione personale del reddito delle principali riforme tributarie realizzate nel nostro paese dalla metà del decennio scorso ad oggi. 5 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 9.4. LE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO5 9.4.1. Minori spese Non è tra gli obiettivi del presente capitolo quello di indagare se e in che grado siano disponibili spazi di riduzione dei livelli attuali della spesa pubblica complessiva, a partire dalla individuazione di possibili aree di spreco o di inefficienza presenti nell’organizzazione dell’offerta dei servizi e investimenti pubblici e negli interventi finanziari disposti a favore di famiglie e/o imprese. La nozione di inefficienza nella produzione di servizi pubblici e nell’organizzazione dell’intervento pubblico ha una tale varietà e complessità di dimensioni che meriterebbero una trattazione sepa6 rata, che va ben al di là del presente lavoro . La Tabella 2 riporta per il 2011 la spesa pubblica primaria per funzioni rispetto al PIL in Italia, in alcune delle economie europee facenti parte del nucleo precedente all’allargamento ad Est e nella media a 27 paesi (UE-27), mentre la Tabella 3 riporta la corrispondente composizione della spesa primaria. Fatta eccezione per la spesa per la protezione sociale, che risulta più alta della media europea di circa un punto percentuale assoluto, le altre voci relative all’Italia (Tabella 1) sono minori o al più sostanzialmente uguali a quelle che si registrano mediamente nel resto dell’Europa. Lievemente superiori alla media europea risultano solo la spesa per i servizi generali (3,9 per cento del PIL in Italia contro il 3,7 in Europa), l’ordine pubblico (2 per cento del PIL contro l’1,9) e la sanità (7,4 per cento contro 7,3). Analoghe considerazioni valgono se si considera la composizione della spesa primaria (Tabella 3). Come si evince dai dati, il 45,5 per cento della spesa primaria in Italia è assorbita dalla protezione sociale, contro il 42,4 per cento in Europa. È questa l’unica voce che, in relazione al forte peso che al suo interno riveste la spesa per pensioni, registra un sensibile differenziale positivo (circa tre punti percentuali) tra il nostro paese e il resto d’Europa. TABELLA 2. SPESA PUBBLICA PRIMARIA RISPETTO AL PIL - 2011 Servizi Ordine Difesa generali pubblico Affari economici Ambiente Abitazioni Totale Protezione e territo- Sanità Cultura Istruzione spesa sociale rio primaria Italia 3,9 1,5 2,0 3,6 0,9 0,7 7,4 0,6 4,2 20,5 45,1 Francia 3,9 1,8 1,8 3,5 1,1 1,9 8,3 1,4 6,0 23,9 53,4 Germania 3,7 1,1 1,6 3,5 0,7 0,6 7,0 0,8 4,3 19,6 42,8 Belgio 4,5 1,0 1,8 6,5 0,8 0,4 7,9 1,3 6,2 19,5 49,8 Irlanda 2,2 0,4 1,8 7,9 1,0 0,6 7,5 0,9 5,2 17,3 44,8 Grecia 5,6 2,4 1,7 3,2 0,5 0,2 6,0 0,6 4,1 20,4 44,6 Paese Nella definizione delle possibili fonti di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale non si fa riferimento alle risorse che si renderanno disponibili ad opera del Fondo sociale europeo, relativamente al periodo di programmazione 2014-2020, non essendo ancora stati perfezionati (al momento della stesura del presente lavoro) gli “accordi di partenariato” e i programmi operativi previsti dalla Commissione europea. La promozione dell’inclusione sociale e la lotta alla povertà rientra, tuttavia, tra le aree tematiche rilevanti per le singole missioni/obiettivi individuati a livello comunitario per quanto concerne l’uso del Fondo sociale 2014-2020. 5 6 Sulla performance delle amministrazioni pubbliche in tema di economicità, qualità ed efficienza dei servizi pubblici in Italia, con particolare riferimento al tema della “revisione della spesa pubblica” (spending review), si veda il Rapporto presentato dall’allora Ministro con delega al programma di governo, Piero Giarda, al consiglio dei Ministri del 30 aprile 2012, poi confluito nel Rapporto riguardante l’analisi di alcuni settori della spesa pubblica (Presidenza del Consiglio dei Ministri 2013). Sul tema della revisione della spesa pubblica nel contesto più ampio delle riforme istituzionali si veda anche il Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti (Corte dei Conti 2013, pp.65-75, 221-245). 6 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Spagna 3,2 1,1 2,2 5,3 0,9 0,6 6,3 1,5 4,7 16,9 42,7 Finlandia 5,9 1,5 1,5 4,8 0,2 0,6 7,8 1,2 6,4 23,7 53,6 Svezia 6,1 1,5 1,4 4,2 0,3 0,7 7,0 1,1 6,8 20,8 49,9 Regno Unito 2,4 2,5 2,6 2,6 1,0 0,9 8,0 1,0 6,5 17,9 45,4 Media UE-27 3,7 1,5 1,9 4,0 0,9 0,9 7,3 1,1 5,3 19,6 46,2 Fonte: Ragioneria generale dello Stato, 2013. TABELLA 3. COMPOSIZIONE DELLA SPESA PUBBLICA PRIMARIA - 2011 Servizi Ordine Difesa generali pubblico Affari economici Ambiente Abitazioni Totale Protezione e territo- Sanità Cultura Istruzione spesa sociale rio primaria Italia 8,6 3,3 4,4 8,0 2,0 1,6 16,4 1,3 9,3 45,5 100,0 Francia 7,3 3,4 3,4 6,6 2,1 3,6 15,5 2,6 11,2 44,8 100,0 Germania 8,6 2,6 3,7 8,2 1,6 1,4 16,4 1,9 10,0 45,8 100,0 Belgio 9,0 2,0 3,6 13,1 1,6 0,8 15,9 2,6 12,4 39,2 100,0 Irlanda 4,9 0,9 4,0 17,6 2,2 1,3 16,7 2,0 11,6 38,6 100,0 Grecia 12,6 5,4 3,8 7,2 1,1 0,4 13,5 1,3 9,2 45,7 100,0 Spagna 7,5 2,6 5,2 12,4 2,1 1,4 14,8 3,5 11,0 39,6 100,0 Finlandia 11,0 2,8 2,8 9,0 0,4 1,1 14,6 2,2 11,9 44,2 100,0 Svezia 12,2 3,0 2,8 8,4 0,6 1,4 14,0 2,2 13,6 41,7 100,0 Regno Unito 5,3 5,5 5,7 5,7 2,2 2,0 17,6 2,2 14,3 39,4 100,0 Media UE-27 8,0 3,2 4,1 8,7 1,9 1,9 15,8 2,4 11,5 42,4 100,0 Paese Fonte: Elaborazione su dati Ragioneria generale dello Stato, 2013. Se si considera l’attuale struttura della spesa pubblica primaria, sembra difficile nel breve periodo trovare margini di manovra che comportino, ai fini del finanziamento del Reis, un significativo recupero di risorse dal lato della spesa, se non con riferimento alla protezione sociale e, segnatamente, alla spesa previdenziale e assistenziale. Più in particolare, le risorse necessarie per finanziare la nuova misura a contrasto della povertà assoluta potrebbero essere reperite attraverso i canali illustrati di seguito. Interventi in materia di spesa per la previdenza Sul versante della spesa previdenziale, risparmi di spesa a carico delle pensioni più elevate andrebbero nella direzione di rendere più incisive le restrizioni alla perequazione automatica al tasso di inflazione delle pensioni e i prelievi sulle cosiddette pensioni d’oro, peraltro già introdotti fin dall’estate 2011 e a valere per il biennio successivo. Rientrerebbero in questo gruppo di interventi il blocco della rivalutazione automatica di tutti i trattamenti pensionistici che raggiungono un determinato importo (tipicamente un multiplo del trattamento minimo INPS) o una loro rivalutazio7 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 7 ne inferiore al 100 per cento , e il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo superiore a determinati livelli (nel 2012 tale soglia era stata fissata a 90 mila euro annui). Interventi di questo tipo, e in particolare il ricorso a un contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, avrebbero un carattere progressivo e quindi di equità verticale (tale da ridurre le distanze relative tra i redditi dei pensionati) e si concentrerebbero principalmente sui trattamenti di anzianità erogati in anni passati, in media più alti e palesemente non rispettosi del concetto di equità attuariale (Baldini e Pacifico 2011; Mazzaferro e Morciano 2012; Boeri e Nannicini 2013). In aggiunta ai problemi di legittimità costituzionale che interventi restrittivi di questo tipo sollevano, rimarrebbe da valutare, sul piano strettamente economico, quanto essi possano rallentare la dinamica della domanda aggregata per consumi in una fase di persistente stagnazione dell’economia. Al netto degli effetti dell’imposizione fiscale e del loro carattere più o meno permanente, si stima che questi interventi sulla spesa pensionistica possano permettere di recuperare 1-1,5 miliardi di euro. Interventi in materia di spesa per l’assistenza Per quanto concerne, invece, gli interventi sul versante della spesa per assistenza, essi si giustificherebbero, oltre che sul piano del recupero di risorse utili a finanziare la nuova misura, anche e soprattutto sul piano del conseguimento di una più elevata target efficiency della spesa stessa, ovvero della capacità di andare a vantaggio dei soggetti effettivamente meritevoli di sostegno economico pubblico. Alcune stime mostrano come circa un quarto della spesa per pensioni sociali (1 miliardo su 4) e il 60 per cento della spesa per indennità di accompagnamento (la cui spesa complessiva si aggira sui 12 miliardi) vadano a vantaggio del 50 per cento più ricco delle famiglie italiane (IRS 2011). Se il dato per le indennità di accompagnamento riflette l’opportuna assenza di qualunque forma di selettività economica, quello relativo alla spesa per pensioni e assegni sociali denota invece l’insoddisfacente impatto redistributivo della normativa vigente. Dalla revisione dei criteri di means-testing che si applicano alla spesa per assegni e pensioni sociali sarebbe possibile ottenere una riduzione di spesa di circa 1 miliardo di euro. Ciò potrebbe essere conseguito attraverso una modifica dei criteri di selettività a cui è condizionato il calcolo dell’importo del beneficio - criteri basati sul reddito dichiarato a fini fiscali (IRPEF) – e, in particolare, con l’estensione dell’ISEE anche a tali prestazioni. Anche la distribuzione della spesa della componente integrata al minimo delle pensioni è verosimile che abbia un andamento non conforme a elementari criteri di equità verticale: in passato alcuni studi hanno stimato che non più del 25 per cento del totale di questo programma di spesa andasse 8 ai nuclei familiari che occupavano i due decili più poveri della distribuzione (Toso 2000) . Considerando che la spesa per le integrazioni al minimo delle pensioni è attualmente nell’ordine di 1112 miliardi di euro, non si può non rimarcare la deludente azione di contrasto della povertà esercitata da questo istituto. L’introduzione del metodo contributivo, con la riforma Dini delle pensioni, ha in linea di principio fatto venire meno l’istituto dell’integrazione al minimo della pensione, senza tuttavia comportarne l’immediato superamento, considerati i tempi lunghi con i quali la riforma 7 Come è noto, la legge n. 214/2011, di conversione del decreto “Salva-Italia”, ha previsto per il biennio 2012-2013 la rivalutazione integrale per le pensioni fino a tre volte il minimo e nessun incremento sopra a tale soglia. Dal 2014 si sarebbe dovuto tornare al sistema delineato in precedenza dalla l. n. 388/2000, con la rivalutazione al 90% per le pensioni tra tre e cinque volte il minimo INPS e al 75 per cento oltre cinque. Nella legge di stabilità per il 2013 (l. n. 228/2012, art. 1, c. 236), tuttavia, al fine di trovare risorse finanziarie per i cosiddetti lavoratori esodati, è stato stabilito per il 2014 di non rivalutare le pensioni che superano la soglia di sei volte il trattamento minimo. 8 Più recenti analisi contenute nel rapporto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, di IRS e Fondazione Cariplo ( richiamato nel capitolo 1), mostrano la persistenza di forti iniquità nella distribuzione di questa spesa. 8 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS andrà a regime. Anche in questo caso, analogamente a quanto scritto sopra con riferimento a pensioni/assegni sociali, si potrebbe ipotizzare una revisione dei criteri di verifica della condizione economica a cui è subordinato il computo dell’integrazione al minimo che comporti l’adozione dell’ISEE. Da tale riforma sarebbe possibile ottenere una minor spesa stimabile in via prudenziale di circa 2,5-3,5 miliardi di euro. Un ulteriore capitolo di spesa che, se riformato, potrebbe contribuire al finanziamento di una nuova misura di contrasto della povertà, è quello delle pensioni di guerra indirette (ossia erogate al coniuge una volta deceduto il beneficiario), per le quali può essere opportuno condizionarne l’accesso a stringenti criteri di verifica della condizione economica, essendo meno cogente la natura risarcitoria della prestazione. Attualmente la spesa per pensioni di guerra indirette è stimabile in poco più di 500 milioni. 3)Riduzione spesa pubblica per i servizi generali Le tabelle 2 e 3 mostrano uno scostamento nella spesa per i servizi generali delle amministrazioni pubbliche tra il nostro paese e la media europea. Come quota di Pil siamo 0,2 punti percentuali al di sopra della media (3,9 rispetto a 3,7) e come quota della spesa pubblica primaria siamo sopra di 0,6 punti percentuali (8,6 rispetto ad 8,0). Questa voce di spesa copre i costi di funzionamento delle istituzioni e al suo interno è così suddivisa: 63% del totale per “Organi esecutivi e legislativi, attività finanziarie e fiscali e affari”, 19% per “servizi generali”, e poi varie funzioni minori (Ragioneria Generale dello Stato, 2013). Pur essendo la portata di questa strategia di finanziamento più contenuta rispetto alla quasi totalità di quelle riguardanti minori spese, in un’epoca storica segnata da particolare attenzione ai costi del sistema politico-istituzionale e davanti a dati empirici che ne mostrano una spesa dedicata particolarmente alta è parso opportuno inserirla. L’ipotesi massima è 1,6 miliardi, pari a quello 0,2% del Pil che ci distanzia dalla media europea, mentre l’ipotesi minima è di 0,8 miliardi, cioè lo 0,1% del Pil. In sintesi, esistono, almeno sulla carta, ampi margini di manovra, sia per ricondurre a obiettivi di maggiore equità la spesa per l’assistenza corrente, sia per recuperare risorse ai fini del sostegno del reddito di famiglie in condizioni di effettivo disagio economico. Complessivamente, gli interventi proposti sul versante della spesa, oltre a contribuire alla riqualificazione dei principali trasferimenti monetari gestiti direttamente dal governo centrale, garantirebbero una disponibilità di risorse comprese tra 6,3 e 8,6 miliardi di euro (si veda, più avanti, la Tabella 4). 9.4.2. Maggiori entrate Per quanto riguarda le maggiori entrate, le risorse potrebbero essere reperite attraverso le seguenti misure. 1) Un incremento dell’accisa sul tabacco. Nel 2011 il gettito derivante dal consumo di tabacco è stato pari a 10,4 miliardi, solo moderatamente cresciuto nell’ultimo quinquennio (il gettito 2006 era pari a 9,3 miliardi) (Banca d’Italia, 2012). Rispetto ad altri paesi, l’Italia è caratterizzata da un prezzo di vendita del tabacco relativamente basso, nonostante i tributi costituiscano circa il 75 per cento del prezzo di vendita. Un incremento troppo consistente delle accise in questo comparto potrebbe determinare una forte contrazione dei volumi di vendita, già in calo nell’ultimo biennio a causa sia della crisi economica, sia della crescita dell’utilizzo delle cosiddette sigarette elettroniche. Un lieve incremento dell’accisa (e l’introduzione, come sembra sia possibile, di un’accisa per le sigarette elettroniche) potrebbe invece costituire un’adeguata fonte di finanziamento. 9 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Tale misura dovrebbe peraltro incontrare una scarsa resistenza politica, a causa delle forti esternalità negative prodotte dal fumo. Considerando solamente le famiglie dove risiede almeno un fumatore, l’incidenza della spesa per il tabacco è fortemente decrescente all’aumentare del reddito; l’impatto distributivo atteso dall’incremento del sistema di accise sul tabacco è pertanto regressivo (vedi infra). Tale risultato non deve tuttavia essere da ostacolo, a causa delle ricordate esternalità negative del consumo di tabacco. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i volumi di vendita legali di tabacco in Italia ammontano a circa 90 mila tonnellate all’anno. Poiché un chilogrammo equivale a circa mille sigarette, i pacchetti di sigarette venduti nel circuito regolare annualmente sono quantificabili in 4,5 miliardi. Ipotizzando una variazione del sistema dell’accisa che consenta un aumento di 25 centesimi del prezzo di ogni pacchetto venduto, l’incremento di gettito è quantificabile in un 1,1 miliardi di euro; ipotizzando un aumento del prezzo di vendita pari solamente a 10 centesimi, il gettito aggiuntivo è stimabile in circa 450 milioni di euro. Poiché non è ancora certa l’introduzione dell’accisa sulle sigarette elettroniche ed è difficile poter prevedere la possibile riduzione del consumo di tabacco nei prossimi anni, si considerano prudentemente incrementi di gettito minori del 15 per cento rispetto a quelli calcolati con gli ultimi dati disponibili, pari a 900 e 380 milioni di euro, rispettivamente. 2) Un incremento dell’accisa sulla produzione di bevande alcoliche. Attualmente l’accisa sul vino è assente; l’accisa sulla birra è pari a 2,35 euro per ettolitro e per grado plato, mentre è pari a 68,51 euro per ettolitro per i prodotti alcolici intermedi. Per quanto riguarda la birra, il gettito derivante dall’accisa è pari nel 2011 a 529 milioni di euro (Relazione generale sulla situazione economica del paese – 2011, 2012). Nel 2011 sono stati prodotti 13,4 milioni di ettolitri e consumati 17,7 milioni; i volumi importati ammontano a 6,4 milioni mentre le esportazioni sono pari a 2,1 milioni di ettolitri. In media oggi l’accisa per litro di birra prodotta è pari a 39 centesimi di euro. Ipotizzando un aumento dell’accisa di 10 centesimi sarebbe possibile ottenere un gettito aggiuntivo di circa 130 milioni di euro. Per quanto riguarda gli spiriti, il gettito dell’accisa nel 2011 è pari a 554 milioni di euro (Relazione generale – 2011, 2012), corrispondenti a circa 8 milioni di ettolitri. Ipotizzando anche per questo comparto un incremento dell’accisa nell’ordine di 10 centesimi sarebbe possibile ottenere un maggior gettito stimabile in circa 80 milioni di euro. Passando al vino, dati gli elevati volumi di vendita (il raccolto 2012 è stimato in circa 40,8 milioni di ettolitri), sarebbe possibile, anche con l’introduzione di una accisa decisamente contenuta, pari ad esempio alla metà di quella oggi applicata in media sulla birra (20 centesimi di euro al litro), ottenere un gettito di circa 800 milioni di euro. Applicando un’accisa pari ad un quarto di quella prevista in media oggi sulla birra (10 centesimi di euro) il gettito ottenibile sarebbe pari a circa 400 milioni. Infine, poiché l’Italia è anche un forte esportatore di vino, una parte consistente dell’accisa (nell’ipotesi di piena traslazione) non inciderebbe sui costi dei produttori nazionali ma graverebbe sui consumatori esteri, rendendo politicamente più appetibile l’introduzione di un’accisa sul vino, oggi assente. 3) Un incremento del prezzo di vendita dei concorsi a premio (lotto e superenalotto) e l’introduzione o l’aumento dell’aliquota d’imposta sulle vincite. Le entrate derivanti da lotto e lotterie sono complessivamente pari nel 2011 a 12,8 miliardi di euro (Banca d’Italia, 2012). Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (2012), l’ammontare complessivo della raccolta dei giochi nel 2011 è pari a 79,8 miliardi di euro. La quota trasferita all’erario è variabile da 10 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS gioco a gioco: è circa il 50 per cento per il Superenalotto, ma per molti altri giochi le percentuali sono inferiori. L’ammontare delle vincite pagate è pari a 61,3 miliardi; molte vincite sono esenti da imposta oppure tassate con aliquote estremamente ridotte. Scomponendo l’ammontare complessivo, i giochi che garantiscono la maggior raccolta sono quelli delle “macchinette” e i giochi on line, per un ammontare pari a 44,9 miliardi di euro; seguono le lotterie (10,1 miliardi), il lotto (6,8), i giochi di carte (6,2), i giochi a base sportiva e ippica (complessivamente 5,3 miliardi) e il superenalotto (2,4 miliardi di euro). Chiudono il quadro i giochi di abilità a distanza (2,3 miliardi) e il bingo (1,9 miliardi). Ipotizzando l’incremento del prezzo di giocata di ogni gioco del 10 per cento, a parità di condizioni l’incremento della raccolta sarebbe pari a 8 miliardi di euro. È difficile stimare l’elasticità della raccolta rispetto al prezzo di vendita; in via prudenziale si può supporre che la raccolta possa aumentare di 5 miliardi. Supponendo che all’erario ne affluisca una quota media del 20 per cento, l’incremento delle entrate sarebbe pari a 1 miliardo. La principale fonte di variazione di entrata è tuttavia costituita dall’imposizione sulle vincite. Ipotizzando una variazione d’imposizione del 5 per cento, l’incremento delle entrate sarebbe quantificabile in 3 miliardi di euro. È da notare che in molti casi si tratterebbe di introdurre un’imposizione oggi assente (per le vincite al di sotto di una certa soglia), con un’aliquota decisamente contenuta. Inoltre, con la ritenuta alla fonte, l’imposta dovuta dal giocatore determinerebbe una riduzione del premio, con una scarsa percezione dell’imposta pagata. Dalle misure adottate sarebbe pertanto possibile ricavare complessivamente 3 o 4 miliardi di euro di euro. 4) Riordino delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures) in sede di imposta personale e progressiva sul reddito e riordino dei trasferimenti alle imprese private. Come indicato dalla Commissione Ceriani (2011), nell’ordinamento fiscale italiano sono presenti diverse centinaia di agevolazioni 9 fiscali, alcune riguardanti le persone fisiche, altre le imprese . 4.1) Per quanto riguarda le persone fisiche la Commissione indica un mancato gettito (rispetto al regime ordinario) pari a circa 104 miliardi di euro. La maggior parte di queste agevolazioni danno concreta attuazione al principio di discriminazione qualitativa dei redditi (si pensi alle detrazioni per redditi di lavoro) o perseguono finalità di equità orizzontale e sostegno delle responsabilità familiari (si pensi alle detrazioni per carichi di famiglia). Esistono tuttavia alcune tipologie di agevolazioni in sede IRPEF che potrebbero rientrare nel regime ordinario dell’imposta, alcune perché conferiscono regressività al nostro sistema fiscale avvantaggiando prevalentemente i contribuenti a reddito medio-alto, altre perché non si intuisce la ragione economica che giustifica il loro man10 tenimento (oltre che essere fonte di complessità e scarsa trasparenza del sistema tributario) . Inoltre, anziché ipotizzare, come spesso proposto, un taglio lineare di tutte le deduzioni e detrazioni per oneri, sarebbe più coerente prevedere, analogamente a quanto avviene oggi per le detrazioni per redditi di lavoro e per carichi familiari, che la quota di deduzione e detrazione fiscalmente ammessa sia decrescente all’aumentare del reddito. Il maggior gettito derivante da queste misure potrebbe essere pari a 1-1,5 miliardi di euro. 4.2) La Commissione Giavazzi (2012) ha stimato (si veda anche Affuso e Nannariello (2011) e Servizio Studi del Senato (2011)) che la riforma e la razionalizzazione delle agevolazioni alle im- 9 Sull’argomento si veda anche il citato Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica (Corte dei Conti, 2013, pp.45-53). 10 Ad esempio: la forte sottostima dei redditi dei terreni e dei fabbricati; la deduzione della rendita rivalutata dell’abitazione di residenza dalla base imponibile; l’esenzione per i contribuenti con redditi da fabbricati inferiori a 500 euro e da terreni inferiori a 186 euro; detrazione per interessi passivi sui mutui per abitazioni diverse da quella di residenza; le deduzioni per le erogazioni liberali; le detrazioni per spese veterinarie, ecc.. 11 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS prese su cui si potrebbe intervenire nel breve periodo, con riduzioni di spesa, potrebbe garantire risparmi pari a circa 10 miliardi di euro. La maggior parte della razionalizzazione di questo comparto sarebbe destinata alla riduzione del costo del lavoro, particolarmente elevato nel nostro paese. Una parte minore (circa 500 milioni di euro, pari al 5 per cento del totale) potrebbe essere destinato al finanziamento del contrasto alla povertà assoluta. 5) Proroga e revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF. Per il triennio 2011-2013 è previsto un contributo di solidarietà pari al 3 per cento per i redditi superiori ai 300 mila euro, da applicarsi solamente alla parte di reddito eccedente i 300 mila euro. Il contributo di solidarietà rappresenta tuttavia un onere deducibile dal reddito complessivo del contribuente. Secondo gli ultimi dati sulle dichiarazioni (relativi al periodo d’imposta 2011), i contribuenti che dichiarano più di 300 mila euro di reddito complessivo IRPEF sono 31.752, e il loro reddito complessivo medio è pari a 581 mila euro. Ipotizzando un contributo di solidarietà pari all’1,5 per cento a partire dal periodo d’imposta 2014, reso indeducibile dal reddito complessivo, il maggior gettito è pari a circa 134 11 milioni di euro . 6) Introduzione di un’imposta progressiva sul patrimonio (valori mobiliari e immobiliari) focalizzata solamente sui grandi patrimoni. Nonostante oggi i flussi informativi consentano di individuare l’ammontare di investimenti mobiliari in capo ad ogni soggetto, la gestione di questo flusso informativo necessita tuttavia di tempo per essere implementata in modo corretto. In via prudenziale, pertanto, nel breve periodo potrebbe essere introdotta una nuova imposta la cui base imponibile è costituita dai grandi patrimoni immobiliari. Per i contribuenti interessati, questa nuova imposta dovrebbe essere aggiuntiva all’IMU. Il sistema così strutturato sarebbe caratterizzato da una duplice forma di imposizione sui valori immobiliari: un’imposta reale con aliquota proporzionale su ogni immobile il cui gettito è destinato al finanziamento dei Comuni (l’IMU) e una progressiva sul coacervo patrimoniale, finalizzata ad incrementare la progressività complessiva del nostro sistema tributario. La rivisitazione del sistema impositivo sui patrimoni, anche se necessaria a causa dell’arretratezza del nostro sistema catastale, potrebbe tuttavia non ottenere il consenso politico. Il passaggio dall’ICI all’IMU ha determinato una variazione di gettito di circa 14 miliardi. Per questi motivi, si stima che da questa nuova imposta, limitata ai grandi patrimoni immobiliari, possano derivare maggiori entrate variabili tra uno e due miliardi di euro a seconda della struttura dell’imposta. 7) Revisione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Nel 2012 il gettito di tale imposta è stato pari a 586 milioni di euro: nel contesto europeo l’Italia si caratterizza per un modesto gettito di questa natura. Rivedendo le franchigie e le aliquote attualmente applicate sarebbe possibile aumentarlo del 10 per cento, rendendo disponibili ulteriori 60 milioni di euro. 8) Incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per uso caccia. Attualmente le licenze di caccia rilasciate sono circa 800 mila; la tassa di concessione governativa è pari a 168 euro. Incrementandola a 300 euro si otterrebbe un aumento delle entrate pari a circa 100 milioni di euro. 11 Anche per questo tipo di intervento, si possono porre i problemi di legittimità costituzionale a cui si è accennato in precedenza, con riferimento all’ipotesi di un contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro. 12 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Complessivamente, le misure considerate sul versante delle entrate garantirebbero un maggior gettito compreso tra 6,9 e 10,4 miliardi (Tabella 4). TABELLA 4. UNA SINTESI DELLE MISURE CONSIDERATE Minori spese o maggiori entrate (milioni di euro) Misure considerate Minimo Massimo Spese 6.300 8.600 Riduzione pensioni d’oro 1.000 1.500 Riordino pensioni sociali 1.000 1.000 Riordino integrazioni al minimo delle pensioni 3.000 4.000 Riordino pensioni di guerra indirette 500 500 Riduzione spesa pubblica per servizi generali 800 1.600 Entrate 6.784 10.204 Accisa sul tabacco 380 900 Accisa sulle bevande alcoliche 610 1.010 - di cui vino 400 800 - di cui birra 130 130 - di cui spiriti 80 80 Concorsi a premio, lotto e lotterie 3.000 4.000 Riordino spese fiscali IRPEF 1.000 1.500 Proroga contributo solidarietà in sede IRPEF 134 134 Revisione imposta sulle successioni e donazioni 60 60 Riordino trasferimenti alle imprese 500 500 Imposta sul patrimonio 1.000 2.000 Tassa di concessione governativa licenza di caccia 100 100 Totale 13.084 18.804 Considerando congiuntamente le misure proposte, sia sul versante della spesa sia quello delle entrate, le risorse che potrebbero complessivamente rendersi disponibili variano tra 12,7 e 17,7 miliardi di euro. Poiché il costo dell’introduzione del nuovo Reddito d’inclusione sociale è decisamente minore, sarebbe possibile prevedere l’adozione solo di alcune misure, tra quelle considerate, oppure un diverso mix di misure rispetto a quanto proposto in questa sede. Ovviamente altri interventi sul versante sia della spesa, sia delle entrate sarebbero possibili, come ad esempio un maggior recupero da evasione e riscossione dei tributi oppure una riduzione del fenomeno della corruzione. Non potendo quantificare e valutare gli effetti di queste misure, che pur sarebbero prioritariamente auspicabili, nel presente lavoro non se ne è tenuto conto. Con riferimento alla varietà di fonti di finanziamento prese in considerazione, dev’essere infine aggiunto che una valutazione accurata di ciascuna di esse presuppone, ove possibile, una stima del loro impatto sulla distribuzione personale del red- 13 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS dito con opportuni strumenti di microsimulazione tax-benefit. Solo con il ricorso a tali strumenti è infatti possibile apprezzare non solo il segno, ma anche l’intensità degli effetti delle varie ipotesi di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale sulla diseguaglianza e sulla povertà economica. 9.5. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MINORI SPESE La valutazione dell’impatto che i principali interventi precedentemente ipotizzati sul versante della spesa sociale avrebbero sulla distribuzione del reddito si concentra sul riordino dei trasferimenti monetari di carattere assistenziale vigenti nel nostro paese. Si stima che il complesso della spesa pubblica per assistenza destinata al contrasto della povertà (costituita essenzialmente da pensioni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni, Carta Acquisti e altri istituti minori) assorba in Italia circa 17,9 miliardi di euro. Vista l’entità non trascurabile della spesa di welfare destinata al contrasto della povertà, può essere di qualche interesse indagarne la distribuzione tra le famiglie italiane, ordinate tra loro per livelli non decrescenti di condizione economica. La tabella 4 presenta la distribuzione per decili di famiglie della spesa in questione, dopo aver ordinato i nuclei per livelli crescenti di ISEE (nella versione riformata contenuta nella bozza di DPCM predisposto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali fin dalla seconda metà del 2012). A dimostrazione di come nel nostro paese i trasferimenti monetari a contrasto della povertà presentino discutibilissimi effetti redistributivi, la Tabella 5 mette chiaramente in evidenza come un terzo di essa, pari a circa 6,5 miliardi di euro su 17,9, sia appannaggio delle famiglie che occupano la metà più benestante della popolazione, dal sesto al decimo decile. Per rendere disponibile un ammontare di risorse necessarie a finanziare il nuovo Reddito di inclusione sociale, quindi, sarebbe sufficiente azzerare (o quasi) le erogazioni monetarie contro la povertà, impropriamente destinate al 50% più ricco delle famiglie. Considerata l’inevitabile lentezza nella promozione della nuova misura, sarebbe forse sufficiente azzerare la spesa che va dal 7° al 10° decile, raccogliendo in questo modo circa 4,8 miliardi. TABELLA 5. RIPARTIZIONE PER DECILI DI FAMIGLIE DELLA SPESA TOTALE PER TRASFERIMENTI MONETARI ASSISTENZIALI A CONTRASTO DELLA POVERTÀ (MILIARDI DI EURO) decili di famiglie Trasferimenti monetari assistenziali a contrasto della povertà (ordinate per livelli non decrescenti di ISEE) 1 1,879 2 2,781 3 2,453 4 2,138 5 2,050 6 1,770 7 1,514 8 1,377 9 1,214 10 0,756 Totale 17,934 14 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC. Un intervento di questa entità solleverebbe prevedibilmente comprensibili resistenze sociali e politiche, da parte di coloro che vedrebbero ridursi una fonte di entrata ritenuta certa e, in assenza di compensazione, anche il proprio reddito disponibile. E’ pensabile quindi che l’intervento in esame possa avvenire in modo più mirato, ad esempio concentrandosi sugli ultimi quattro decili, dal settimo al decimo, e con un certo gradualismo, ad esempio applicando aliquote di sottrazione dei benefici differenziate: 80% al decimo, 70% al nono, 60% all’ottavo e 50% al settimo nel primo anno. Nel secondo e terzo anno la percentuale di riduzione delle prestazioni potrebbe essere elevata di un 10% per tutti i decili ( (90-80-70-60%), fino ad arrivare al quarto anno in cui l’aliquota di sottrazione dei sussidi passerebbe al 100%. Nella Tabella 6 si prendono in esame le implicazioni distributive dell’intervento ipotizzato a regime, ossia nel quarto anno, con riferimento alle principali caratteristiche socio-economiche dei nuclei familiari che occupano i decili dal settimo al decimo della distribuzione e ricevono almeno un sussidio assistenziale a contrasto della povertà. Come si evince chiaramente dai dati, la misura in esame riguarderebbe in larghissima parte, quasi il 70%, le famiglie in cui la persona di riferimento ha almeno 70 anni, mentre un altro 25% della popolazione sarebbe costituita da nuclei con capofamiglia di età compresa tra i 60 e i 69 anni. Il provvedimento interesserebbe quindi in prevalenza nuclei anziani con capofamiglia pensionato, residenti in oltre la metà dei casi nel NordItalia. TABELLA 6. CARATTERISTICHE DELLE FAMIGLIE DAL SETTIMO AL DECIMO DECILE CHE RICEVONO ALMENO UN TRASFERIMENTO CONTRO LA POVERTÀ (FAMIGLIE ORDINATE PER LIVELLI CRESCENTI DI ISEE) Classe di età del capofamiglia % Condizione del capofamiglia % Area geografica % Classe di Isee (migliaia di euro) % <=29 0.5% Dipendente 5.4% Nord 54.9% 20-30 46.2% 30-39 0.6% Autonomo 4.1% Centro 21.4% 30-40 28.8% 40-49 1.6% Disoccupato 0.4% Sud 23.4% >40 25.0% 50-59 5.4% Pensionato 68.7% 60-69 23.4% Altro 21.4% >=70 68.4% Totale 100.0% 100.0% 100.0% 100.0% Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC. 9.6. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MAGGIORI ENTRATE Per valutare l’impatto delle misure proposte sul versante delle entrate si utilizza un modello di micro simulazione tax-benefit, la cui base dati è l’Indagine Banca d’Italia sui bilanci della Banca d’Italia e l’Indagine ISTAT sui consumi delle famiglie italiane sul periodo d’imposta 2010. 15 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Al fine di valutare l’impatto sul reddito delle famiglie imputabile ad una variazione d’imposizione nel settore dei tabacchi, dei concorsi a premio e delle bevande alcoliche si è reso necessario un 12 match statistico tra i due dataset . Per quanto riguarda, invece, la valutazione degli effetti delle imposte dirette (sul reddito e sul patrimonio immobiliare), il modello di microsimulazione utilizzato stima in modo preciso la distribuzione delle imposte in esame secondo i dati del Dipartimento delle Finanze (Pellegrino et al., 2011, 2012; Monti et al., 2012; Arachi et al. 2012). Tra le misure sulle entrate proposte, non si valutano gli effetti distributivi della revisione dell’imposta di successione e del contributo di solidarietà in sede IRPEF poiché riguardano un numero troppo ristretto di contribuenti per consentire un’adeguata analisi redistributiva. 9.6.1. L’accisa sul tabacco e sulle bevande alcoliche e l’imposta sulle lotterie Le Tabelle 7-11 mostrano, per ogni voce di spesa oggetto di modifica, la distribuzione della spesa per decili di reddito familiare equivalente, la composizione della spesa per decili, la quota di famiglie con spesa positiva in ogni decile e la spesa media. Le famiglie prese in considerazione sono solo quelle che hanno voci di spesa positive; per tutte viene considerata l’incidenza di tali spese sul reddito. L’accisa sul tabacco Considerando la spesa indicata nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie, circa il 30 per cento dei nuclei ha una spesa positiva per il tabacco. Tale quota è pressoché costante all’aumentare del reddito: solo nel secondo e nel terzo decile la quota di famiglie è inferiore alla media. Considerando solo i nuclei con spesa positiva, la spesa media annua è pari a 835 euro, solo moderatamente crescente all’aumentare del reddito: 716 euro nel primo decile e 929 euro nell’ultimo. L’incidenza della spesa rispetto al reddito è fortemente decrescente all’aumentare del reddito: essa è pari al 9,2 per cento per le famiglie appartenenti al primo decile, e solamente allo 0,9 per cento per le famiglie appartenenti all’ultimo decile (Tabella 7). Di conseguenza, l’incremento dell’accisa in questo comparto ha un effetto regressivo, poiché incide di più sulle famiglie appartenenti ai decili più bassi della distribuzione del reddito. La regressività della misura non deve essere tuttavia guardata con sfavore, a causa delle forti esternalità negative prodotte dal fumo. TABELLA 7. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I TABACCHI Tabacco Decili di reddito al lordo dei tributi Quota di famiglie con spesa positiva Composizione della spesa (%) (%) Spesa media per le famiglie con spesa positiva Spesa media per le famiglie con spesa positiva / reddito (euro annui) (%) Spesa media per tutte le famiglie Spesa / reddito (%) (euro annui) 1 29,3 8,4 716,3 9,2 210,0 3,0 2 26,5 8,3 783,9 5,1 208,1 1,6 3 25,9 8,3 801,1 3,8 207,2 1,1 4 30,0 10,7 893,3 3,6 268,1 1,2 5 30,6 10,3 842,5 3,0 257,5 1,0 12 Si ringrazia Massimo Baldini per aver fornito il programma di matching basato sul comando ps2match di STATA. 16 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 6 32,8 10,4 791,3 2,5 259,5 0,9 7 31,2 10,6 856,9 2,3 266,9 0,7 8 30,3 10,1 833,4 1,9 252,3 0,6 9 33,2 12,0 903,1 1,7 300,2 0,6 10 29,8 11,0 929,6 0,9 276,6 0,3 Totale 29,9 100,0 835,4 2,2 249,8 0,7 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia. Di particolare rilievo ai fini della valutazione della misura proposta è la composizione della spesa. La spesa dei primi tre decili è lievemente superiore all’8 per cento, mentre dal quarto all’ottavo decile la quota è costante e lievemente superiore al 10 per cento. Il nono decile spende il 12 per cento della spesa complessiva, mentre l’ultimo l’11 per cento. Tale composizione della spesa è particolarmente rilevante ai nostri fini perché, a parità di comportamenti rispetto allo status quo, evidenzia come si distribuisce il maggior carico fiscale derivante dall’aumento della struttura delle accise sul tabacco. Come osservato nel paragrafo precedente, un aumento del prezzo del pacchetto di sigarette di 25 centesimi di euro garantirebbe un maggior gettito stimabile in 1,1 miliardi di euro: circa 270 milioni inciderebbero sui primi tre decili, circa 600 per i decili dal quarto all’ottavo e circa 250 milioni di euro sugli ultimi due decili. L’accisa sulle bevande alcoliche Il 38 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il vino. Tale quota è fortemente crescente all’aumentare del reddito: si passa dal 32 per cento nei primi due decili a circa la metà nell’ultimo. La spesa media annua è pari a 377 euro, che raddoppia tra il primo e l’ultimo decile, fenomeno spiegabile con il fatto che le famiglie più ricche consumano, in media, prodotti di migliore qualità. Considerando l’incidenza della spesa rispetto al reddito, essa è decrescente: è pari al 3,2 per cento per le famiglie appartenenti al primo decile e allo 0,4 per cento per le famiglie appartenenti all’ultimo. Tuttavia la spesa appare abbastanza concentrata: gli ultimi tre decili di reddito complessivamente spendono il 46 per cento di tutta la spesa delle famiglie per il vino (Tabella 8), e quindi la composizione dell’incremento dell’accisa graverebbe prevalentemente sugli ultimi decili, come si osserva (vedi infra) anche per la spesa per la birra e i superalcolici. TABELLA 8. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL VINO Vino Decili di reddito al lordo dei tributi Quota di famiglie con spesa positiva Composizione della spesa (%) (%) Spesa media per le famiglie con spesa positiva (euro annui) Spesa media per le famiglie con spesa positiva / reddito (%) Spesa media per tutte le famiglie Spesa / reddito (%) (euro annui) 1 31,8 5,0 229,2 3,2 72,9 1,0 2 32,2 6,4 288,6 2,0 93,0 0,7 3 34,4 7,9 334,3 1,7 114,8 0,6 4 36,4 8,0 317,9 1,4 115,8 0,5 5 34,7 7,5 314,2 1,2 108,9 0,4 6 39,2 10,0 368,7 1,2 144,4 0,5 17 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 7 38,0 9,4 359,5 1,0 136,5 0,4 8 40,8 13,8 488,3 1,1 199,1 0,5 9 45,2 16,4 525,0 0,9 237,4 0,4 10 49,7 15,4 449,7 0,4 223,3 0,2 Totale 38,1 100,0 376,5 1,0 143,4 0,4 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia. Focalizzando l’attenzione sulla birra, un po’ meno di un quarto delle famiglie ha una spesa positiva (Tabella 9). La spesa media annua è pari a 270 euro, pressoché costante all’aumentare del reddito. Ne consegue che l’incidenza di questa voce è decrescente all’aumentare del reddito. Per quanto riguarda invece la composizione della spesa, l’ultimo decile spende per la birra il 17 per cento della spesa complessiva delle famiglie, mentre il settimo, l’ottavo e il nono più del 10 per cento e i primi sei decili meno del 10 per cento. TABELLA 9. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER LA BIRRA Birra Decili di reddito al lordo dei tributi Quota di famiglie con spesa positiva Composizione della spesa (%) (%) Spesa media per le famiglie con spesa positiva Spesa media per le famiglie con spesa positiva / reddito (euro annui) (%) Spesa media per tutte le famiglie Spesa / reddito (%) (euro annui) 1 21,2 9,0 268,7 4,0 56,9 0,8 2 20,0 7,9 250,1 1,7 50,0 0,4 3 18,7 7,9 265,8 1,3 49,8 0,3 4 20,2 9,3 289,8 1,2 58,6 0,3 5 23,0 9,3 257,0 1,0 59,0 0,2 6 18,1 7,4 258,8 0,9 46,9 0,2 7 24,8 10,5 268,3 0,7 66,5 0,2 8 25,5 10,8 268,0 0,6 68,5 0,2 9 26,6 11,2 264,9 0,5 70,5 0,1 10 35,1 16,7 301,0 0,3 105,7 0,1 Totale 23,2 100,0 271,0 0,6 62,9 0,2 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia. Infine, solo il 9 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per i superalcolici, ma nei primi decili i nuclei con questa voce di spesa positiva sono circa la metà di quello che si osserva nei decili più elevati (Tabella 10). La spesa media annua è di 257 euro, lievemente crescente all’aumentare del reddito. Come nel caso del vino, tuttavia, la spesa sembra essere abbastanza concentrata: i quattro decili più elevati spendono circa il 60 per cento di tutta la spesa per le famiglie per superalcolici. TABELLA 10. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I LIQUORI 18 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Liquori Decili di reddito al lordo dei tributi Quota di famiglie con spesa positiva Composizione della spesa (%) (%) Spesa media per le famiglie con spesa positiva Spesa media per le famiglie con spesa positiva / reddito (euro annui) Spesa media per tutte le famiglie Spesa / reddito (%) (euro annui) (%) 1 7,7 8,5 259,6 3,6 20,0 0,3 2 4,8 4,5 219,3 1,5 10,6 0,1 3 10,3 9,8 223,5 1,1 23,1 0,1 4 6,6 6,3 225,2 1,0 14,8 0,1 5 5,7 6,1 252,7 0,8 14,3 0,1 6 6,4 6,1 222,6 0,6 14,3 0,0 7 11,6 12,9 261,9 0,7 30,3 0,1 8 11,2 12,7 266,4 0,6 30,0 0,1 9 14,8 17,3 276,0 0,5 40,8 0,1 10 12,1 15,7 303,5 0,3 36,8 0,0 Totale 9,1 100,0 256,9 0,6 23,4 0,1 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia. L’imposta sul lotto e sulle lotterie Nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie sembra essere presente solamente la spesa per il lotto e le lotterie, mentre sembra che non sia rilevata la spesa per altre tipologie di giochi, in particolare quella per le “macchinette” da cui tuttavia deriva la maggior parte delle entrate dei giochi. Le statistiche che si presentano in questo paragrafo focalizzano pertanto l’attenzione solo sulla spesa per il lotto e le lotterie. Solamente il 15 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il lotto, con percentuali oscillanti all’aumentare del reddito. Le spesa media annua è pari a 449 euro, crescente all’aumentare del reddito. Anche la composizione della spesa sembra non seguire uno specifico trend rispetto al reddito, pur essendo più bassa nei decili inferiori e più elevata in quelli superiori (Tabella 11). Vista nella sua accezione di “imposta sulla fortuna”, la distribuzione per decili di reddito di questa voce di spesa non è particolarmente rilevante ai fini dell’accettabilità della misura dal punto di vista dell’equità. Lo è ancor di meno quando la spesa per i giochi (non solo per il lotto e lotterie come qui analizzato) assume caratteri patologici, a causa delle forti esternalità negative. TABELLA 11. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL LOTTO E LE LOTTERIE Lotto e lotterie Decili di reddito al lordo dei tributi Quota di famiglie con spesa positiva (%) Composizione della spesa (%) Spesa media per le famiglie con spesa positiva (euro annui) 19 Spesa media per le famiglie con spesa positiva / reddito (%) Spesa media per tutte le famiglie (euro annui) Spesa / reddito (%) 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 1 11,6 5,7 331,6 4,4 38,6 0,6 2 16,2 8,6 358,7 2,5 58,2 0,4 3 16,2 8,3 346,0 1,8 56,0 0,3 4 15,5 8,2 356,8 1,6 55,4 0,3 5 15,5 12,7 551,9 2,0 85,6 0,3 6 12,5 8,3 451,4 1,4 56,3 0,2 7 12,4 6,5 356,3 0,9 44,2 0,1 8 17,1 13,9 549,6 1,2 93,8 0,2 9 18,1 17,2 642,6 1,2 116,1 0,2 10 14,8 10,6 487,0 0,5 72,0 0,1 Totale 15,0 100,0 448,8 1,2 67,2 0,2 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia. 9.6.2. La revisione delle detrazioni per oneri personali in sede IRPEF Come evidenziato dalla Commissione Ceriani, il nostro sistema impositivo consente molte agevolazioni fiscali, alcune centinaia per l’esattezza. Focalizzando l’attenzione sull’IRPEF, molto numerose sono le spese fiscali che consentono una detrazione per oneri personali. Spesso queste detrazioni consentono un risparmio fiscale crescente, sia in termini assoluti sia in termini relativi, all’aumentare del reddito, agevolando prevalentemente i decili più elevati della distribuzione del reddito. Un esempio è rappresentato dalle spese mediche generiche e specialistiche: la quota di individui con questo onere detraibile è fortemente crescente all’aumentare del reddito. Una revisione del sistema delle detrazioni per oneri personali appare quindi giustificabile sotto il profilo distributivo. Come è noto, l’imposta personale italiana si basa su una progressività per scaglioni integrata da una progressività per deduzione e detrazione. È possibile quantificare la quota dell’effetto redistributivo imputabile alla scala delle aliquote, alle deduzioni e alle detrazioni (Pfähler, 1990). La Tabella 12 riporta la composizione del’effetto redistributivo considerando la normativa in vigore nel 2010. L’analisi è effettuata considerando sia i contribuenti IRPEF, sia le famiglie equivalenti. Per quanto riguarda le detrazioni, si analizza separatamente l’effetto dovuto alle detrazioni per oneri da quello imputabile alle detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia. Come si osserva dalla scomposizione di Pfähler sia per i contribuenti IRPEF, sia per le famiglie equivalenti, più della metà dell’effetto redistributivo è dovuto alla struttura delle detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia; un po’ meno del 40 per cento è imputabile alla scala delle aliquote, mentre un ruolo del tutto marginale giocano le deduzioni dal reddito complessivo e, soprattutto, le detrazioni dall’imposta lorda. TABELLA 12. SCOMPOSIZIONE DELL’EFFETTO REDISTRIBUTIVO DELL’IRPEF Deduzioni dal reddito complessivo Scala delle aliquote Detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia 20 Detrazioni per oneri Totale 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS Individui 4,1 39,4 56,3 0,2 100,0 Famiglie 2,3 38,7 58,9 0,2 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012. Per quanto riguarda le deduzioni dal reddito complessivo, che contribuiscono marginalmente all’effetto redistributivo complessivo dell’imposta, non si ipotizza alcuna restrizione in quanto segue. Molte deduzioni sono infatti costituite dai contributi previdenziali ed assistenziali dei lavoratori autonomi, oppure da altre tipologie di deduzioni necessarie per non determinare una doppia imposizione sui medesimi redditi (come ad esempio le deduzioni per l’assegno corrisposto al coniuge in caso di separazione). Il sistema delle detrazioni per oneri, invece, potrebbe essere ristrutturato seguendo la medesima logica che caratterizza le detrazioni effettive per carichi di lavoro e di famiglia. Esse potrebbero quindi essere rese decrescenti all’aumentare del reddito. In quanto segue si ipotizza che le detrazioni per oneri possano essere pienamente sfruttate dai redditi individuali inferiori a 20 mila euro; per redditi superiori, invece, si ipotizza che possano essere sfruttate in modo decrescente all’aumentare del reddito azzerandosi al di sopra di una certa soglia. Per ottenere un maggior gettito di un miliardo di euro sarebbe necessario rendere linearmente decrescenti le detrazioni per oneri tra 20 e 130 mila euro, mentre per ottenere 1,5 miliardi di maggior gettito occorrerebbe rendere queste detrazioni linearmente decrescenti tra 20 e 90 mila euro. L’impatto della revisione è evidenziato nella Tabella 13. In base alla struttura ipotizzata, i contribuenti con reddito complessivo inferiori a 20 mila euro (il reddito complessivo medio dichiarato ai fini IRPEF) non subiscono alcun aggravio. Circa l’80 per cento dei contribuenti con reddito complessivo superiore (cioè i contribuenti che presentano una detrazione per oneri positiva) subiscono un aggravio, particolarmente contenuto per i redditi inferiori a 50 mila euro. TABELLA 13. L’IMPATTO SUI CONTRIBUENTI IRPEF DELLA REVISIONE DELLE DETRAZIONI PER ONERI Classe di reddito complessivo IRPEF (migliaia di euro) Quota di contribuenti che subiscono un aggravio (%) Aggravio medio di imposta Aggravio medio di imposta (euro) - Maggior gettito di (euro) - Maggior gettito di 1 miliardo 1,5 miliardi fino a 20 0,0 0 0 da 20 a 30 79,4 15 24 da 30 a 50 85,3 77 122 da 50 a 85 92,0 237 372 da 85 a 130 96,4 546 739 sopra 130 86,5 1.129 1.129 Totale 30,7 82 118 Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012. 21 9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS 9.6.3. L’introduzione di una patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari Per chiudere il quadro sulle possibili strategie di finanziamento, si ipotizza un’imposta patrimoniale sui valori immobiliari che garantisca un gettito di 1 e 2 miliardi. Si ipotizza un’imposta patrimoniale sui valori catastali, su base familiare, che sia aggiuntiva all’IMU. L’imposta ipotizzata è simile a quella adottata dal sistema francese e riguarda solamente le famiglie con valori catastali ai fini IMU, compresa la prima casa, superiori a 500 mila euro. Per valori catastali inferiori a questo limite si è esenti da imposta, mentre per valori superiori la base imponibile è pari a tutto il valore patrimoniale. Le famiglie interessate sono circa 410 mila. Per ottenere un miliardo di gettito sarebbe necessario applicare un’imposta proporzionale con aliquota pari al 3,1 per mille, mentre due miliardi di euro di gettito potrebbero essere ottenuti applicando un’imposta proporzionale con aliquota pari al 6,2 per mille. In alternativa, potrebbe essere introdotta un’imposta progressiva per scaglioni: un primo scaglione per valori catastali inferiori a 750 mila euro, un secondo scaglione per valori compresi tra 750 mila euro e 1,25 milioni di euro e un terzo scaglione per valori superiori a 1,25 milioni di euro. Per ottenere un miliardo dovrebbero essere applicate aliquote pari, rispettivamente, a 2,55 per mille, 5 per mille e 7 per mille. Per ottenere 2 miliardi di euro di maggior gettito dovrebbero essere applicate aliquote pari, rispettivamente, a 3,1 per mille, 10 per mille e 14 per mille. 9.7. L’ORDINE TEMPORALE DEGLI INTERVENTI L’analisi proposta in questo Capitolo si pone l’obiettivo di fornire un ventaglio di possibili strategie di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale. Nel primo anno di applicazione del nuovo istituto si prevede una spesa di circa 1,5 miliardi di euro, che aumenta di circa 1,3 miliardi all’anno raggiungendo un valore di circa 5,3 miliardi a regime (il quarto anno). Occorre pertanto domandarsi quali tra le strategie di finanziamento possibili siano preferibili. L’Italia è caratterizzata da una pressione fiscale molto elevata, pari al 44 per cento del PIL nel 2012. Il finanziamento del nuovo Reddito d’inclusione sociale per mezzo di nuovi tributi deve dunque essere valutato con estrema cautela. In linea di principio dovrebbe essere preferibile finanziare il nuovo istituto per mezzo di riduzioni di spesa, anche e soprattutto in relazione all’insoddisfacente performance redistributiva che una larga parte delle prestazioni di welfare attualmente registra. Accanto a misure dal lato del prelievo di peso modesto, sembra quindi opportuno ricorrere in prima battuta a interventi sul versante della spesa previdenziale e assistenziale, sia con riferimento alle pensioni d’oro sia per quanto riguarda la componente della spesa per l’assistenza attualmente destinata al sostegno del reddito familiare. D’altro canto, ci si rende ben conto che interventi di questo tipo sono molto difficili da attuare sul piano politico-sociale perché mettono in discussione diritti “acquisiti”, sedimentati nel tempo, ancorché non giustificabili sul piano dell’equità sia intergenerazionale, sia interpersonale. Per coprire la spesa necessaria per la messa a regime del nuovo istituto, si ritiene pertanto opportuno che, accanto a graduali interventi dal lato delle correnti prestazioni di welfare, si faccia ricorso anche a forme mirate di maggiore imposizione, come ad esempio l’imposizione sulle vincite derivanti dai giochi e dalle lotterie, che non incidono sul fattore lavoro. Quanto detto finora prescinde ovviamente dalle opportunità che, in termini di maggiori risorse finanziarie, la possibile ripresa dell’economia renderebbe disponibili per un puro effetto di flessibilità automatica del bilancio pubblico (cfr. infra cap. 10). Va infatti tenuto conto che l’inversione del ciclo e la ripresa dell’occupazione permetterebbero al bilancio pubblico di poter contare, a politiche invariate, di maggiori risorse, sia dal lato del gettito (tributario ed extra-tributario) sia dal lato della spesa, in relazione ad esempio alla minore spesa per ammortizzatori sociali. 22 10. IL PIANO PLURIENNALE • Le riforme ambiziose richiedono di costruire le condizioni per una loro entrata a regime con tempi e modi appropriati. Pertanto, il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente, attraverso un cammino articolato in quattro annualità. In concreto: • L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta. • Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. • Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà già esistenti vengono progressivamente assorbite all’interno del Reis • Il piano pluriennale per l’introduzione del Reis è la traduzione operativa che consente: • di calibrare l'impatto finanziario in maniera sostenibile e compatibile con gli equilibri della finanza pubblica, diluendo il necessario incremento di risorse nel tempo; • di consolidare la misura, radicandola nel nostro sistema di welfare locale; • di imparare dall’esperienza, grazie ad un robusto utilizzo degli strumenti di monitoraggio e valutazione; • di costruire un ampliamento progressivo della spesa dedicata alla nuova misura costruita anche tenendo conto delle disponibilità di risorse legate alle prospettive del ciclo economico. 10.1. Perché un’introduzione graduale La storia di questi anni ci dimostra che la povertà è “questione” troppo grande per le possibilità di un singolo ente, organizzazione, gruppo, istituzione. Il fatto che, nonostante i nobili propositi, non si siano finora ottenuti risultati adeguati (Spano, Trivellato & Zanini, 2013) rappresenta un monito per non illudersi che sia semplice evitare i rischi di fallimento. Questa consapevolezza, tuttavia, non può inibire l’impegno per un piano nazionale di contrasto alla povertà,cornice in grado di creare quel coordinamento di azioni e di strumenti che oggi manca. È da qui che partono le ragioni di un approccio graduale che, attraverso una fase transitoria, possa calibrare l'impatto e consolidare il reddito di inclusione sociale (Reis) radicando questa nuova misura nel nostro sistema di welfare. Le motivazioni per procedere con un piano graduale e pluriennale che tuteli l’obiettivo finale vanno ricercate riflettendo su più fronti: la sostenibilità economica, i tempi per il radicamento e la gestione delle inevitabili difficoltà organizzative. Nel merito, la sostenibilità economica della misura rappresenta la grande sfida per il legislatore. La distanza tra i propositi e le possibilità, infatti, è stata spesso all’origine di fallimenti e delusioni. Per questo fin dalla legge istitutiva del Reis va garantita la sostenibilità finanziaria del progetto prevedendo un finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno delle risorse sul bilancio pluriennale dello Stato. Tale approccio, oltre a dare sicurezza al processo, consente di calibrare Pagina 1 10. IL PIANO PLURIENNALE l’impegno finanziario come stock totale del finanziamento necessario e come flusso dei finanziamenti aggiuntivi anno su anno, prevedendo annualmente le copertura indispensabilisino ad arrivare alla fase a regime. Inoltre, procedendo per step,l’incremento di spesa viene spalmato lungo i quattro anni del percorso di transizione. La gradualità diventa in questo caso una scelta strategica legata alla consapevolezza di una duplice esigenza. La prima è quella di non intervenire inizialmente con una richiesta incompatibile con i delicati equilibri del bilancio pubblico; la seconda è quella di costruire la necessaria flessibilità della fase transitoria sulle potenzialità di manovra legate alla ripresa del ciclo economico e quindi del Pil. Più in generale, per quanto riguarda il pieno raggiungimento dell’ambizioso obiettivo posto dal nostro piano nazionale, l’esperienza insegna che ogni nuova politica richiede determinati tempi per l’entrata a regime. Per questo l’idea di agire con una logica complementare al sistema esistente, procedendo per gradi all’implementazione totale, sembra coerente con l’esigenza di costruire tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo da parte di tutta la filiera istituzionale (Regioni e Comuni) e di tutta la rete sussidiaria (terzo settore, centri di assistenza fiscale, patronati, ecc.). Ad ogni buon conto saràcruciale riuscire a caratterizzare l’intera fase transitoria con processi di dialogo e apprendimento dei principali risultati e delle evidenze. Nella prospettiva di apprendere dall’esperienza (cfr. cap 8), la sfida consisterà nel saper andare oltre la forma per puntare alla possibilità di trasformare i dati in informazioni attraverso opportuni incroci e analisi. Oltre ai necessari sistemi di monitoraggio, sarà indispensabile coinvolgere nel progetto la stessa Conferenza Stato Regioni che potrebbe recepire quanto, di volta in volta, emergerà nell’ambito del percorso di implementazione, sfruttando nel modo migliore le potenzialità dei modelli di controllo finale (attraverso processi di feed back)e di controllo in itinere (attraverso i processi difeedforward)(cfr. cap. 4). 10.2. L’ESTENSIONE PROGRESSIVA DELL’UTENZA 10.2.1 I punti fermi Il Reddito d’Inclusione Sociale è da introdurre gradualmente, con un cammino articolato in quattro annualità. Tale periodo, infatti, pare adeguato alle esigenze - sopra menzionate – di diluire l’incremento di spesa così da renderlo meglio affrontabile e di dare a tutta la filiera istituzionale il tempo necessario all’apprendimento e all’adattamento organizzativo. Ogni annualità vedrà l’utenza ampliarsi rispetto alla precedente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponderà al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis: a) sarà rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta e b) verrà erogato nella sua versione completa (componente servizi + 100% 1 del contributo economico ). Le strade che si possono seguire nei primi tre anni sono numerose. A nostro parere, esistono alcuni punti fermi che - in ogni caso – il percorso di progressiva introduzione del Reis dovrebbe rispettare. 1 Il 100% del trasferimento monetario significa un importo che copra l’intera distanza tra la soglia di povertà assoluta e il reddito disponibile (cfr. cap. 3). Pagina 2 10. IL PIANO PLURIENNALE (i) Gradualismo in un orizzonte definito Sin dall’avviamento del percorso, il legislatore dovrebbe prendere precisi impegni riguardanti il suo punto di arrivo e le tappe intermedie. Ciò significa, in concreto, stabilire che il quarto anno corrisponderà al primo del Reis a regime e specificare l’ampliamento dell’utenza previsto in ognuna delle annualità precedenti; affinché ciò risulti possibile bisognerebbe – come già spiegato prevedere il relativo finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno di risorse. Senza una simile prospettiva pluriennale è irreale immaginare la costruzione di un sistema locale di servizi adeguato alla lotta contro l’esclusione sociale. Questa costruzione è – come noto – decisamente complessa, richiede investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: non si può pensare che gli enti locali, il terzo settore e gli altri soggetti impegnati nel territorio possano riuscire a realizzarla senza avere certezze su cosa potrà accadere nell’arco di un anno o due. (ii) Transizione guidata dall’universalismo Una volta a regime, il Reis è caratterizzato a una precisa impronta universalistica poiché è destina2 to a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza alcuna specificazione categoriale . Se così è a partire dal quarto anno, per il periodo precedente bisogna individuare il criterio che definisca l’ordine di progressiva ammissione della popolazione target tra gli aventi diritto; detto altrimenti, si tratta di decidere – durante i tre anni di transizione – quali famiglie povere inizieranno a ricevere il Reis prima e quali dopo. Esistono due possibilità. La prima è quella di seguire nella transizione quello stesso criterio universalista che contraddistingue la misura a regime: l’ordine di entrata nella misura viene definito esclusivamente in base alla situazione economica, senza altre differenziazioni di alcun tipo. In altre parole, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressivamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio”, sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno a tutti i nuclei in povertà assoluta. L’alternativa consiste nell’adottare un criterio categoriale, cioè nel dare priorità temporale – tra le famiglie povere – a quelle che rispondono anche ad un altro requisito (ad esempio presenza di figli, presenza di figli di una determinata età, un certo numero di figli, un componente del nucleo con disabilità, il capofamiglia disoccupato e così via). La scelta tra i due criteri può essere dettata da ragioni legate al bisogno o da motivi di natura politica. Con riferimento alle prime, si tratta di rispondere alla domanda “chi ha maggiore bisogno del Reis”? Seguendo una prospettiva categoriale, si possono trovare validi argomenti a favore di numerosi gruppi. Si potrebbe sostenere, ad esempio, la necessità di cominciare dalle famiglie con figli piccoli per assicurare a questi ultimi un futuro migliore,oppure quella di dare priorità alle famiglie di persone con disabilità perché esiste un legame sempre più stretto tra questa condizione e l’impoverimento (Cies, 2012),e così via. Scegliere un gruppo invece di un altro, però, significherebbe rinnegare il principio universalista che è alla base dell’intera proposta. Aderendo a questo principio, pertanto, riteniamo che la priorità temporale sia da assegnare a chi si trova in un condizione di povertà più severa. Sul piano politico, la domanda da porsi è “quale scelta offre maggiori garanzie che la transizione sia portata a termine (e che ciò accada nel modo migliore possibile)?”. Infatti, pure nell’auspicato quadro di “gradualismo in un orizzonte definito” (si veda sopra) i rischi che il percorso sia interrotto e/o il Reis venga snaturato non sono da poco. I motivi sono diversi: a) durante la transizione Si tratterà della prima misura di questo genere mai introdotta nel nostro paese poiché le prestazioni oggi presenti per combattere la povertà, come la carta acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni) sono limitate a specifiche categorie (cfr. cap. 3). 2 Pagina 3 10. IL PIANO PLURIENNALE si avranno, inevitabilmente, rilevanti difficoltà attuative (non sarebbe una riforma ambiziosa altrimenti, si veda oltre) che offriranno spazio a critiche e attacchi, b) una misura rivolta alla parte più debole della società è intrinsecamente debole politicamente, c) il sistema politico italiano è – come noto - assai turbolento. Procedere per categorie renderebbe il Reddito d’inclusione sociale molto più esposto a questi rischi. La ragione è semplice: così facendo si priverebbe il Reis del sostegno dell’unico universo di soggetti che potrebbe battersi con forza a suo favore, cioè i soggetti che rappresentano le realtà del sociale. Ci si riferisce qui al Forum del Terzo Settore, a chi rappresenta la cooperazione (a partire dall’Alleanza delle Cooperative italiane), a chi svolge lavoro di Advocacy (come la Fish e la Fand per la disabilità), a chi rappresenta la filiera istituzionale (Anci e Regioni), e così via. Il Reddito d’inclusione sociale avrebbe una capacità particolarmente elevata di raccogliere il sostegno di tutte le realtà del sociale perché supererebbe le due distinzioni principali che caratterizzano questo mondo: a)quella tra gruppi (la povertà è un problema di tutti i soggetti, dagli anziani, alle famiglie con figli, le persone con disabilità e così via), b)quella tra chi svolge advocacy e chi eroga servizi (battersi per il Reis significa sostenere l’introduzione di diritti oggi mancanti e allo stesso tempo promuovere i servizi alla persona). Le potenzialità del Reis sotto tale profilo sono evidentemente le medesime che stanno alla base del Patto aperto contro la povertà (cfr. cap. 1). Rinunciare all’universalismo dei primi anni di erogazione della misura aprirebbe, infatti, una querelle tra le diverse realtà del mondo sociale (ad esempio “perché cominciare dalle famiglie con figli e non da quelle con persone disabili?”, e si potrebbero trovare innumerevoli altri possibili conflitti). Questo, in un fase già oggi caratterizzata da crescenti avvisaglie di “guerre tra poveri”, causate dal dislivello tra bisogni in aumento e risorse scarse, vanificherebbe il messaggio chiave del Reis, quello di essere un diritto di cittadinanza che tratta tutte le famiglie povere allo stesso modo. In tal caso, invece, il Reis diventerebbe l’ennesima misura che privilegia alcuni rispetto ad altri, in un welfare – quello italiano – il cui tratto predominante è da decenni la frammentazione tra una miriade di interventi differenziati tra gruppi diversi, con tutto il carico di iniquità che questo porta con sé. A presidiare la misura rimarrebbero solo i soggetti rappresentati dai gruppi che vi avrebbero accesso all’inizio i quali, però, in realtà non difenderebbero il Reis per il suo significato intrinseco, bensì per il vantaggio che ne deriva loro. Assecondare la frammentazione tra gruppi, divenuta ultimamente sempre più aspra, renderebbe impossibile costruire un ampio fronte di soggetti sociali a sostegno del Reis. In questo scenario, dunque, dare vita al Patto aperto contro la povertà, così come a qualsiasi tipo di alleanza per la lotta 3 alla povertà, non sarebbe possibile . Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che la transizione debba essere guidata dall’universalismo. (iii) Componente servizi completa da subito 3La categorialità potrebbe risultare attraente nel breve periodo, in particolare se rivolta a gruppi le cui difficili condizioni suscitano particolare attenzione o emozione (ad es. il “Reis per nuclei poveri con capofamiglia esodato” oppure il “Reis per famiglie povere con figli”). E’ ragionevole affermare che la scelta di simili target incrementerebbe le probabilità di trovare risorse per finanziare il primo anno (o al massimo i primi due) della misura. Una simile ipotesi però, per i motivi menzionati sopra, aumenterebbe pure la probabilità che il Reis venisse poi abbandonato senza completarne l’introduzione perché ne annienterebbe tanto il valore simbolico quanto la capacità di raccogliere sostegno. Pagina 4 10. IL PIANO PLURIENNALE Il percorso di accesso, presa in carico e perseguimento degli obiettivi d’inserimento sociale e/o lavorativo, dev’essere messo in campo – sin dal primo anno – per ogni utente. Si tratta, detto altrimenti, dell’insieme degli elementi che compongono la parte del Reddito d’inclusione sociale legata ai servizi alla persona. Come già sottolineato, dar vita ad una rete di servizi adeguata alle finalità del Reis risulterà particolarmente impegnativo. Ciò suggerisce di procedere gradualmente affinché i soggetti coinvolti localmente non siano sovraccaricati da un numero di casi ingestibile in fase di avviamento; allo stesso tempo consiglia di fornire a tutti gli utenti la “componente servizi” completa fin da subito, affinché gli Enti Locali, il terzo settore e gli altri attori impegnati possano migliorare progressivamente, grazie all’esperienza maturata. Mai come nei servizi, gradualismo e apprendimento vanno di pari passo. 10.2.2 Gli scenari possibili Sopra sono stati illustrati alcuni punti fermi dai quali – a nostro parere - non bisognerebbe prescindere, pena la messa a repentaglio della riforma. Esistono, invece, altri aspetti della transizione che potrebbero venire articolati con modalità differenti tra loro senza danneggiare il risultato finale. Questi aspetti sono elencati qui sotto mentre successivamente vengono presentati diversi scenari alternativi, che li combinano variamente. La progressione nell’incremento di spesa Tenendo fermo che a regime la misura costa circa 6,1 miliardi, la crescita delle risorse stanziate in ogni annualità della transizione può risultare più o meno rapida. Gli scenari presentati più avanti considerano due possibilità. Una è l’opzione “a velocità costante”, che prevede ogni anno un incremento di spesa rispetto al precedente di un quarto del totale (1,525 miliardi di Euro); in altre parole, si tratta di dividere l’aumento di spesa in quattro parti uguali. L’altra è l’opzione “ad accelerazione ritardata”, che prevede un incremento della spesa annua superiore nella seconda metà del 4 quadriennio . La progressione nei criteri di accesso e la modalità di calcolo dell’importo La scelta tra le due opzioni di progressione nell’incremento di spesa dipenderà, ragionevolmente, dal più complessivo contesto politico ed economico. Per ognuna vengono disegnati scenari differenti, in base alle possibili combinazioni tra due ulteriori variabili: a)la crescita nella soglia di red5 dito necessaria per accedere al Reis , b) le modalità di calcolo dell’importo, cioè se dare, da subito, agli utenti il 100% della distanza tra soglia povertà e reddito attuale oppure una percentuale (e in questo caso quale percentuale). Come già detto, a regime ogni utente riceverà il 100% della distanza, mentre nella transizione alcune ragioni possono suggerire di erogarne solo una parte. Ciò infatti consentirebbe di aiutare da subito un maggior numero di persone e di ridurre le possibilità di 6 tensioni tra chi inizia a ricevere prima la misura e chi dopo . 4Vi 5 sarebbe anche una terza opzione, quella ad “accelerazione anticipata”, che prevede un incremento di spesa annua superiore nella prima metà del quadriennio. L’opzione non pare oggi realistica e, pertanto, non viene presa in considerazione. La soglia Isee, utilizzata come selettore rispetto al patrimonio (cfr. cap.3), viene impiegata da subito per tutti gli utenti. 6 Come si vedrà, esistono solidi argomenti anche in senso contrario, cioè nella direzione di coprire da subito il 100% della distanza (cfr. oltre). Pagina 5 10. IL PIANO PLURIENNALE Scenario “Transizione a velocità costante con 100% dell’importo” Veniamo ora agli scenari. Nel primo, in ognuna delle quattro annualità l’incremento di spesa rispetto al precedente è pari ad un quarto della spesa totale, in modo da ripartire in parti uguali l’aumento di spesa annuale. In pratica, nel primo anno la spesa complessiva è un quarto di quella a regime, nel secondo anno ammonta a circa la metà, e così via. La variabile che utilizziamo per allargare progressivamente l’utenza è costituita dalla linea di povertà. Nel primo anno sono così 7 ammessi al beneficio solo i nuclei con reddito inferiore al 56% della rispettiva linea di povertà . Il trasferimento corrisponde alla differenza tra questa percentuale e il reddito della famiglia, cioè si utilizza fin da subito la modalità di calcolo dell’importo impiegata a regime (importo = 100% della distanza tra la soglia di anno in anno considerata e il reddito della famiglia). In sintesi, a caratterizzare questo scenario è il mix tra la scelta sulla suddivisione dell’incremento di spesa (“velocità costante”) e quella sulla modalità di calcolo dell’importo (“100%”). E’ bene precisare che con “importo 100%” si intende indicare che viene coperta tutta la distanza tra il reddito e la soglia, che nei primi tre anni corrisponde solo ad una frazione della linea di povertà assoluta Istat. Nel quarto anno, invece, si colma il 100% del gap tra la linea Istat e il reddito. Chiariamo con un semplice esempio : se la soglia di povertà assoluta per una certa tipologia familiare viene posta dall’Istat a 1000 euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le famiglie con reddito inferiore a 560 euro mensili. Il valore del trasferimento è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 560 e il reddito disponibile della famiglia. Sono così ammesse, nel primo anno, solo le famiglie con reddito inferiore al 56% della soglia Istat, cioè poco più di un terzo circa del totale dei nuclei che a regime otterrebbero il trasferimento, per 8 una spesa totale di 1,52 miliardi di Euro . Nel secondo anno la quota della soglia viene aumentata al 75% (il trasferimento è pari alla differenza tra il 75% della linea Istat e il reddito disponibile), in modo da portare la spesa a circa 3 miliardi;, nel terzo all’87% (trasferimento pari alla differenza tra l’87% della linea Istat e il reddito disponibile), con una spesa a 4,6 miliardi. Nel quarto, infine, la misura si rivolge al 100% dell’utenza potenziale e copre tutto il gap tra linea Istat e reddito (tab. 1). Nel primo anno le famiglie in povertà assoluta che avrebbero la maggiore probabilità di essere ammesse sono quelle con capofamiglia disoccupato o “altro” con meno di 50 anni, seguite dai nuclei con capofamiglia disoccupato o in altra condizione, con più di 50 anni. Evidentemente le famiglie in povertà con persona di riferimento in pensione o occupata hanno in media redditi più vicini alla soglia rispetto ai gruppi dei disoccupati, sia giovani che anziani. Questi nuclei , quindi, non entrerebbero tra i beneficiari fin da subito , ma solo nel corso della transizione a regime. Se consideriamo, invece, la ripartizione dei poveri assoluti per area geografica, nel primo anno di transizione sia nel Sud che nel Centro-Nord circa un terzo dei poveri assoluti ivi residenti sarebbe già coinvolto. Non vi sarebbero quindi differenze significative tra area geografica nell’accesso alla misura sin dal primo anno. TAB 1 - TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE CON 100% DELL’IMPORTO 7 Tutte le linee relative alle varie tipologie familiari vengono quindi moltiplicate per il coefficiente 0.56. Qui come nel resto del capitolo, si utilizza la stima di spesa complessiva per il Reis a regime specificata nel capitolo 9. Per motivi metodologici, mentre la stima precisa ammonta a 6062,4 milioni annui, in tutto questo capitolo viene arrotondata a 6100 milioni annui. Si tratta di circa 6,1 miliardi di Euro annui , che copre i trasferimenti monetari, i servizi alla persona e le attività di monitoraggio e valutazione. Il take up previsto è del 75% ed è ad esso che si fa riferimento nella stima delle famiglie utenti (cfr. paragrafo 9.2). 8 Pagina 6 10. IL PIANO PLURIENNALE ANNO SPESA PUBBLICA TOTALE SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO Famiglie UTENTI 9 (% del totale ) 1 1.52mld 56% della linea di p.a. 0.56 * linea di p.a. – reddito 430mila (38%) 2 3.05mld 75% della linea di p.a. 0.75 * linea di p.a. – reddito 650mila (57%) 3 4.56mld 87% della linea di p.a. 0.87 * linea di p.a. – reddito 890mila (79%) 4 (Primo a regime) 6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila (100%) Scenario “Transizione in accelerazione ritardata con 100% dell’importo” In questa ipotesi si assume invece una progressione più lenta nell’incremento di spesa nei primi due anni, con una forte accelerazione nella seconda parte del quadriennio (“accelerazione ritardata”), mentre si mantiene l’utilizzo da subito della modalità di calcolo impiegata a regime (“100% dell’importo”, cioè della distanza tra soglia fissata annualmente e reddito”). In questo scenario nel primo anno vengono ammesse al trasferimento solo le famiglie con reddito inferiore al 45% della rispettiva linea di povertà, con una spesa totale di circa 900 milioni; , nel secondo quelle con reddito inferiore al 65% (con una spesa di 2,2 miliardi) e nel terzo le famiglie con reddito inferiore all’80% (con una spesa di 3,7 miliardi) (tab. 2). Anche in questo caso le famiglie in povertà assoluta con maggiori probabilità di accesso immediato sarebbero quelle con persona di riferimento priva di lavoro, sia che esistano figli piccoli che figli più grandi. In questo percorso di aumento dell’importo, quasi la metà della spesa totale sarebbe necessaria solo nel passaggio finale allo schema a regime. Pure qui resta confermato che nei primi anni i beneficiari sono soprattutto famiglie prive di redditi da lavoro o da pensione, con un leggero sbilanciamento a favore delle regioni meridionali. I lavoratori con pesanti carichi familiari o i pensionati poveri beneficerebbero in modo significativo del Reis soprattutto con la sua entrata a regime, ovvero a partire da tassi di copertura della linea attorno all’80%. TAB 2 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 100% DELL’IMPORTO ANNO SPESA PUBBLICA TOTALE SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO Famiglie UTENTI (% del totale) 1 0.9mld 45% della linea di p.a. 0.45 * linea di p.a. – reddito 325mila (29%) 2 2.2mld 65% della linea di p.a. 0.65 * linea di p.a. – reddito 430mila (45%) 3 3.7mld 80% della linea di p.a. 0.80 * linea di p.a. – reddito 750mila (66%) 4 (Primo a regime) 6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila 9 Sia qui che nelle due tabelle successive con il termine “totale delle famiglie utenti” s’intende l’insieme di quelle che riceveranno il Reis nel quadriennio, quindi – secondo la nostra ipotesi di take-up – il 75% delle famiglie in povertà assoluta (cfr. cap 3). Pagina 7 10. IL PIANO PLURIENNALE (100%) Scenario “ Transizione in accelerazione ritardata con 75% dell’importo” Gli scenari precedenti ipotizzano che la modalità di calcolo dell’importo del Reis sia – sin dall’inizio del percorso – quella a regime, che copre l’intera distanza tra il reddito della famiglia e una percentuale della rispettiva soglia Istat di povertà assoluta. Si potrebbe, però, utilizzare nei tre anni della transizione una diversa modalità di calcolo, che non consideri l’intera distanza tra reddito familiare e soglia, bensì una sua percentuale, qui identificata – a titolo di esempio – nel 75%. Ciò significherebbe, durante la transizione, calcolare l’importo moltiplicando la distanza tra soglia e reddito per 0,75 mentre a partire dal quarto, cioè il primo a regime, la modalità diventerebbe per tutti quella abituale. Un altro esempio per essere più chiari: se la soglia di povertà assoluta per una certa tipologia familiare è posta dall’Istat a 1000 euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le famiglie con reddito inferiore a 500 euro mensili (vedi la successiva Tab. 3). Il valore del trasferimento non è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 500 e il reddito disponibile della famiglia, ma dal 75% di questa differenza, cioè da 0.75*(500-reddito). L’utilizzo di questa procedura di calcolo nei primi tre anni può essere sostenuto da due argomenti. Primo, evitare che durante la transizione vi siano cambiamenti troppo bruschi di posizione relativa tra le famiglie in povertà assoluta (cioè la condizione economica di una rispetto a quella delle altre), che potrebbero produrre tensione e malcontenti. Poniamo, ad esempio, di utilizzare da subito la modalità di calcolo dell’importo prevista a regime. Se prima dell’introduzione del Reis la famiglia x ha un reddito pari al 12% della linea di povertà e la famiglia y lo ha pari al 46%, dopo il primo anno nello scenario della tabella 2 la famiglia x (che entrerebbe subito nel Reis) avrebbe un reddito pari al 45% della linea mentre quella y (che vi entrerebbe l’anno successivo) rimarrebbe al 46%. Secondo, moltiplicare la distanza dalla soglia per una percentuale permetterebbe – a parità di spesa complessiva – di seguire un maggior numero di utenti; è tuttavia da sottolineare che questo argomento, se spinto troppo oltre, entrerebbe in conflitto con il gradualismo necessario ai servizi per adattarsi al nuovo contesto. I due scenari illustrati nelle tabelle precedenti sono stati, quindi, modificati ipotizzando una soglia pari al75% della distanza. Con lo scenario di tabella 1, però, (quello che ipotizza uguali incrementi di spesa per ogni annualità), nel primo anno destinare 1,3 miliardi con una modalità di calcolo pari allo 0.75 della distanza avrebbe significato portare la soglia di accesso attorno all’80% della linea di povertà assoluta, rendendo di fatto inutile il processo di transizione. Consideriamo quindi solo il secondo scenario (“transizione in accelerazione ritardata”) che richiede nei primi anni un minore importo di spesa e, quindi, permette di applicare una quota inferiore della soglia di povertà. Definiamo, dunque, questa ulteriore ipotesi come “transizione in accelerazione ritardata con 75% dell’importo”. Il primo anno la soglia per ricevere il Reis è il 50% della linea di povertà assoluta, il secondo il 72% e il terzo il 90%. Mentre nei primi tre anni l’importo copre il 75% della distanza tra il reddito e la soglia, a partire dal quarto si passa all’ammontare standard, cioè quello che copre il 100% della distanza, l’intero poverty gap (tab. 3). TAB 3 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 75% DELL’IMPORTO ANNO 1 Pagina 8 SPESA PUBBLICA TOTALE 0.9mld SOGLIA DI ACCESSO PER RICEVERE REIS 50% della linea di p.a. MODALITA’ DI CALCOLO DELL’IMPORTO 0.75*(0.5 * linea di p.a. – reddito) Famiglie UTENTI (% del totale) 375mila (33%) 10. IL PIANO PLURIENNALE 2 2.2mld 72% della linea di p.a. 0.75*(0.72 * linea di p.a. – reddito) 600mila (53%) 3 3.7mld 90% della linea di p.a. 0.75*(0.9 * linea di p.a. – reddito) 940mila (83%) 4 (Primo a regime) 6.1mld 100% della linea di p.a. linea di p.a. – reddito 1130mila (100%) Rispetto alla penultima tabella, il numero delle famiglie coinvolte aumenterebbe nei primi anni, e non sarebbe, in un solo anno, molto inferiore a quello raggiunto complessivamente dalla Carta Acquisti; l’importo speso sarebbe invece significativamente superiore al budget stanziato per quest’esperienza. Il profilo distributivo dei beneficiari del Reis nella fase iniziale della transizione non cambia: inizialmente vengono coinvolte soprattutto le famiglie prive di redditi da lavoro, in modo sostanzialmente equilibrato tra le aree geografiche. Sin dal primo anno, circa la metà della spesa totale va alle regioni meridionali ed il resto alle regioni centro-settentrionali, mentre in ognuna delle aree la quota di famiglie ammesse è pari a circa un terzo del numero che si raggiungerà a regime. 10.3. IL PROGRESSIVO INCREMENTO DELLA RISORSE DEDICATE NEL QUADRO DELLA FINANZA PUBBLICA Quello della sostenibilità economica è, in ogni caso, un passaggio obbligato di ogni politica pubblica, soprattutto in epoca di spending review. Tuttavia, proprio in momenti come questi occorre “aggrapparsi” ai numeri e difendere a spada tratta la fattibilità del Reis a partire da argomentazioni concrete e credibili. Non si tratta, in alcun modo di negare che la proposta d’introdurre una nuova politica di welfare debba confrontarsi seriamente con la limitatezza delle risorse e con i vincoli del pareggio di bilancio, imposti dalla riforma dell’articolo 81 della nostra Costituzione. Su questo fronte, invece, occorre ragionare, dati alla mano, prendendo le mosse dai documenti di programmazione della finanza pubblica come definiti nella legge di riforma della contabilità pubblica (legge 196/2009 come modificata dalla legge 39/2011). In questo schema un ruolo fondamentale è quello del Documento di economia e finanza (DEF). La presentazione di questo documento assolve anche ad uno degli adempimenti richiesti all’Italia in quanto paese membro della Comunità Europea, in particolare in relazione alle richieste del “seme19 stre europeo” . Dal punto di vista economico-finanziario il DEF 2013 assume l’obbligo di mantenere nel periodo di riferimento (2013-2017) il pareggio di bilancio in termini strutturali, come previsto dalle regole del Patto di stabilità e crescita dell’UE (modificate nel novembre 2011) e confermate dal Fiscal 20 Compact . 19Con il termine “semestre europeo” ci si riferisce alle norme, in vigore dal 2011, che hanno l’obiettivo di rafforzare la governance economica all’interno della UE. Il semestre inizia a gennaio e si conclude a giugno e prevede che entro il 30 aprile i governi dei paesi membri presentino a Bruxelles il Documento di economia e finanza (DEF) con l’aggiornamento delle stime macroeconomiche, assieme al Programma nazionale di riforme (Pnr). Lo scopo è quello di dimostrare come intendono raggiungere una posizione di bilancio in linea con gli obiettivi di medio termine. La Commissione valuta questo programma e il Consiglio Ecofin esprime eventuali raccomandazioni. 20Con il termine Fiscal compact si identifica l’obbligo, entrato in vigore dal 1 gennaio 2013, di gestire i conti pubblici con un deficit strutturale non superiore allo 0,5% del Pil, soglia aumentata fino all’1% per i paesi con un rapporto debito – Pil superiore al 60%. Per questi paesi valgono le norme del “Six Pack”, entrate in vigore il 13 dicembre Pagina 9 10. IL PIANO PLURIENNALE Durante il travagliato esordio della XVII legislatura il Governo Monti, in regime di prorogatio, ha 21 presentato un DEF che il nuovo Governo potrà anche variare e integrare , aggiornando opportunamente tutte le relative compatibilità finanziarie. L’introduzione e il consolidamento di una nuova misura di contrasto alla povertà devono, quindi, essere necessariamente collocati nell’alveo delle previsioni macroeconomiche del DEF 2013 (MEF, 2013). Questo significa valutare, in base ai dati contenuti nel DEF 2013 (MEF, 2013), la possibilità di giungere alla copertura dell’onere complessivo della fase transitoria e della misura a regime. La tabella 4 ipotizza il percorso di graduale introduzione del Reis a partire dal 2014, che significherebbe rendere il 2017 il quarto anno della transizione, cioè il primo a regime; la tabella, a titolo di esempio, è costruita seguendo l’ipotesi di transizione a velocità costante (in ogni anno la spesa per il Reddito d’inclusione sociale cresce di un quarto del totale, cioè 1328,1 milioni, cfr. par. 10.2.2.1). La tabella mostra, alla luce della dinamica prevista dal DEF per il Pil nel periodo 2013-2017, come varieranno nel quadriennio il suddetto Pil, la spesa per pensioni, quella per altre prestazioni sociali e gli stanziamenti destinati al Reis. Ne emergono alcune considerazioni: 1)per prima cosa, bisogna sempre ricordare che con circa 5,3 miliardi di finanziamento a regime non si darà un’elemosina bensì si potrà migliorare sensibilmente la condizione di milioni di famiglie e di persone che oggi – trovandosi nell’area della povertà - vedono progressivamente peggiorare le loro situazione; 2)un budget di 5,3 miliardi, che pure non sono pochi, costituisce un impegno pari allo 0,3% circa dell’ammontare di spesa complessiva dello Stato. Si tratta della distanza che oggi separa la spesa italiana contro la povertà (0,1% del Pil) dalla media europea (0,4% del Pil). A titolo di confronto, la spesa 22 pubblica primaria ammonta oggi al 45,6% del Pil e la spesa per la protezione sociale il 26,5% , mentre previdenza e prestazioni sociali assistenziali ammontano rispettivamente al 15,9% e al 4,0% del Pil. I confronti concordano nell’indicare lo 0,3% come un ammontare di spesa pubblica non eccessivamente ampio; 3)i dati spiegano meglio di qualsiasi frase perchè l’approccio graduale permette di rendere il necessario incremento di spesa sostenibile nel tempo. Infatti, non si tratta di reperire i 5,3 miliardi in una volta sola, dal momento che - per raggiungere l’obiettivo - basterebbe iniziare con 111 milioni di euro al mese per l’anno di avvio, necessari a garantire il 25% del budget complessivo (1328,1 milioni di finan23 ziamento, scenario “transizione a velocità costante” ) oppure con ancor meno, con 67 milioni di euro, che servirebbero a garantire il budget minimo a partire (800 milioni per il primo anno, scenario 2011 per rafforzare il “Patto di stabilità”. In forza di queste norme i paesi come l’Italia,che hanno un rapporto debito- Pil oltre il 60%, anche se hanno un deficit sotto il 3% rischiano una procedura di infrazione. A partire dalla chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo ottenuta a fine maggio 2013, stante questo quadro, l’Italia avrà tempo fino al 2015 per pensare ad una strategia in grado di ridurre il debito al ritmo medio di 1/20 del differenziale tra il livello attuale e il target del 60%. Concretamente, questo potrebbe richiede manovre correttive della finanza pubblica di una cinquantina di miliardi l’anno. 21Compatibilmente con il monito consegnato dal Presidente del consigli Mario Monti nella presentazione del DEF 2013 laddove ricorda che “… è però cruciale tenere la guardia alta sulle finanze pubbliche. Da una parte essere tra gli Stati “virtuosi” è la premessa obbligata per usufruire degli spazi che si stanno aprendo a livello europeo. Dall’altra, la riduzione del debito, che è a un livello troppo elevato, è l’unica strada per ridurre i costi degli interessi ed evitare penalizzazioni da parte dei mercati finanziari.” (MEF 2013). 22 Cioè senza considerare gli interessi da pagare sul debito pubblico. I dati sulla spesa pubblica primaria, sulla spesa per la protezione sociale, su pensioni e altre prestazioni sociali si riferiscono tutti al 2012. I dati su pensioni e altre prestazioni sociali si possono ritrovare nella tabella 4. 23 Questo scenario è illustrato nella tabella 1 e ripreso nella tabella 4. Pagina 10 10. IL PIANO PLURIENNALE 24 “transizione ad accelerazione ritardata” ). Ciò non può rappresentare un risultato impossibile per un 25 Paese che sta spendendo circa 200 milioni al mese per la cassa integrazione in deroga ; 4)mantenendo fissa l’incidenza della spesa per “altre prestazioni sociali in denaro” al 4.1% del Pil, si potrebbe contare su un budget di 73,2 miliardi di euro nel 2017, con un incremento cumulato nel periodo di 8.503 milioni rispetto a quanto stanziato nel 2013; 5)nonostante il problema della bassa crescita stia limitando da tempo gli spazi di manovra della finanza pubblica nel quadro stimato per la nostra economia, dopo il 2014 si dovrebbero creare le condizioni per una crescita economica che, finalmente, restituirebbe al legislatore uno spazio di manovra espansiva. Indubbiamente una simile impostazione sconta tutti i rischi tipici delle stime e delle previsioni. D’altra parte sembra ragionevole credere alle prospettive disegnate per il prossimo futuro nel documento di programmazione economica e finanziaria DEF 2013. In sintesi, vista a partire dai dati, la sostenibilità finanziaria non sembra una chimera. TAB. 4- QUADRO SINOTTICO DELLE PRINCIPALI GRANDEZZE CON IPOTESI D’INTRODUZIONE DEL 26 REIS A PARTIRE DAL 2014 E TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE 2012* 2013 2014 2015 2016 2017 Variazione cumulata 2014-2017 PRODOTTO INTERNO LORDO, PIL nominale 24 1.565.916 1.573.233 1.624.012 1.677.735 1.731.311 1.785.918 Questo scenario è illustrato in tabella 2 e tabella 3, in entrambe la suddivisione della spesa nel quadriennio è la medesima. 25L’argomento della Cassa integrazione guadagni in deroga meriterebbe un approfondimento a parte dal momento che, in attesa degli ammortizzatori sociali «universali» contenuti nella riforma Fornero del mercato del lavoro, la cassa «in deroga» simboleggia in modo eloquente la balcanizzazione del nostro sistema di ammortizzatori sociali. La Cig,o la mobilità in deroga, infatti,rappresenta la somma erogata ai settori produttivi non coperti dalla Cassa integrazione guadagni (commercio, bancari, trasporto aereo, tutti i moltissimi dipendenti delle piccole aziende, tanto per fare qualche esempio). Negli ultimi tempi con la «deroga» si è intervenuti anche per i lavoratori che hanno esaurito la Cig ordinaria o straordinaria «normale» (ad esempio, per chi ha già fruito della Cig ordinaria per 12 mesi consecutivi). Oltre alle fattispecie a cui si applica l’altra grande caratteristica della Cig in deroga la sua caratteristica è che, a differenza di quella «normale» (ordinaria o straordinaria), non viene finanziata da contributi pagati da lavoratori e imprese, essendo tutta a carico dello Stato. 26 La tabella 4 è costruita nell’ipotesi di uno scenario di “transizione a velocità costante con 100% dell’importo” illustrata nel par 10.2.2.1 e in tabella 1. Dunque, oltre ad un incremento ogni anno di un quarto della spesa, si prevede che da subito venga erogato – come prestazione economica – il 100% della distanza il reddito della famiglia e la soglia di povertà. Pagina 11 10. IL PIANO PLURIENNALE Variazione assoluta27 - - 50.779 53.723 53.576 54.607 Tasso di variazione % - - 3,2% 3,3% 3,2% 3,21% PENSIONI, 249.471 255.200 262.520 269.600 276.980 284.700 15,9% 16,2% 16,4% 16,1% 16,0% 15,9% Variazione assoluta - 7.320 7.080 7.380 7.720 Tasso di variazione % - 2,9% 2,7% 2,7% 2,8% 212.685 Spesa in valore assoluto Spesa in % del PIL ALTRE PRESTAZIONI SOCIALI IN DENARO, Spesa in valore assoluto 61.942 64.720 67.270 69.080 70.460 73.223 Spesa in % del PIL 4,0% 4,1% 4,1% 4,1% 4,1% 4,1% Variazione assoluta - 2.550 1.810 1.380 2.763 Tasso di variazione % - 3,9% 2,7% 2,0% 3,9% REIS, Spesa in valore assoluto - - 1.328,1 2.656,2 3984,3 5.312,5 Spesa in % del PIL - - 0,08% 0,16% 0,23% 0,30% Spesa in % delle altre prestazioni sociali in denaro - 1,97% 3,85% 5,65% 7,26% Variazione assoluta - - 1.328,1 1.328,1 1.328,1 1.328,1 Tasso di variazione % - - 100,00% 50,00% 33,30% 29.500 8503 5.312,5 ‘* Risultati della contabilità nazionale Fonte: ns elab su dati Documento economia e finanza 2013 (DEF, 2013 pag. 34) 10.4.CONCLUSIONI. COME PROTEGGERE IL PERCORSO PLURIENNALE Il progetto per l’introduzione del reddito di inclusione sociale (Reis) contiene gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per un Piano nazionale contro le povertà. Si tratta di una novità importante di cui il nostro Paese ha un’urgente necessità. Il Piano nazionale, in attuazione dell’articolo 22 della legge n. 328 del 2000 e dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, definisce i livelli essenziali di assistenza e i diritti esigibili per prendere in carico le persone e le famiglie in condizioni di povertà. Con l’introduzione del Reis si punta decisamente a dotare l’Italia di una politica universalistica di lotta alle povertà che superi gran parte degli interventi settoriali, categoriali e locali attualmente in vigore. Una riforma con questi propositi deve mettere in conto un percorso pluriennale che sarà minacciato dall’insorgere di inevitabili difficoltà applicative e da innumerevoli motivi di critica. Al fine di 27 In tutta la tabella, le variazioni sono da intendere rispetto all’anno precedente. La variazione cumulata è la somma delle variazioni fatte registrare tra il 2014 e il 2017 in ogni anno rispetto a quello prima. Pagina 12 10. IL PIANO PLURIENNALE tutelare il percorso e consentirne la conclusione, la certezza del finanziamento, assicurato dall’impegno sul bilancio pluriennale dello Stato, rappresenta una prima significativa condizione. Tuttavia, il risultato finale non potrà fare a meno di un consenso sociale rispetto all’utilità di questa riforma, da costruire mediante un impegno bipartisan da parte di tutte le forze politiche. Come proposto nel capitolo 1, al varo della riforma dovrebbe essere affiancato un ulteriore impegno pubblico da concretizzare attraverso la sottoscrizione, da parte di tutte le forze politiche, di un “patto aperto contro la povertà” che dichiari apertamente l’impegno di tutti i soggetti politici a garantire l’attuazione della riforma a prescindere dalla durata del Governo proponente. Infatti, l’idea è che la logica pattizia coinvolga inizialmente i soggetti sociali, per poi allargarsi alle diverse forze politiche. Oltre alla componente fortemente valoriale di un simile impegno, va sottolineata anche la scelta strategica di stimolare e far convergere nella riforma tutte le energie e competenze oggi disseminate in tante parti. Il patto “aperto” ha proprio questa funzione e, fermi restando i capisaldi della riforma, dovrebbe consentire il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, sia nella fase di lancio che nella lunga e complessa transizione verso l’entrata a regime. La sottoscrizione di un “Patto aperto contro la povertà” in questo senso potrebbe trovare un ulteriore sostegno politico – istituzionale anche attraverso un impegno formale da parte di Anci e Conferenza delle Regioni. Rispetto al risultato finale non meno significativo risulterà anche una formalizzazione dell’impegno da parte dei soggetti del Terzo settore e della società civile ad appoggiare e a patrocinare il progetto attraverso idonee azioni di advocacy. Infine, last but not least, un ultimo argomento a sostegno dell’impegno pluriennale per la realizzazione del Reis va collegato alle richieste della UE che, nell’ambito delle attività di coordinamento comunitario delle politiche economiche e occupazionali, ha adottato la cosiddetta Strategia EU2020. Quest’iniziativa, promuovendo una risposta integrata e innovativa ai problemi sociali ed economici che la crisi ha reso più urgenti e acuti, interpreta le politiche sociali – come pure quelle ambientali – non come appendici delle politiche economiche, ma come asset essenziali per la crescita dell’occupazione e dell’economia nel suo complesso. In questo quadro anche le politiche di contrasto alla povertà (es. inclusione attiva) contribuiscono a sostenere la domanda e rafforzare l’offerta di lavoro, consolidando la crescita economica (MLPS, 2012). In Italia manca una misura che possa essere ricondotta alle esperienze degli altri partner europei in materia di reddito minimo. Attraverso il reddito di inclusione sociale si andrebbe quindi a sanare questa lacuna offrendo, una volta tanto, ai cittadini una percezione positiva dei vincoli comunitari. In ogni caso, anche a fronte di simili evidenze, non è possibile nascondersi le difficoltà e le incognite che gravano su un progetto pluriennale di riforma in un Paese come l’Italia, perennemente ostaggio dell’alternanza delle maggioranze politiche. Per questo occorre essere consapevoli che, in ultima istanza, quelle che garantiscono la continuità o determinano la fine delle politiche pubbliche sono sempre le scelte politiche. Alla fine non resta che fare ciascuno la propria parte e attendere il risultato, lasciando “ai posteri l’ardua sentenza”. Pagina 13 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE Il Reis incorpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e sperimentate in vari paesi del mondo, adattandoli alla realtà italiana. Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale, perché il grosso del sostegno al reddito viene svolto dalle altre prestazioni del welfare. In Italia il Reis dovrà scontare le carenze del sistema di welfare italiano, ma l’esplosione di spesa e numero di beneficiari sono scongiurati dall’enfasi sulla povertà assoluta. Pur raggiungendo una quota di popolazione superiore a quella del reddito minimo olandese, danese o finlandese il Reis costa meno di questi, e degli altri schemi europei. Utilizzando l’ISEE, il reddito disponibile e gli indicatori di controllo sui consumi, il Reis adotta criteri d’accesso più raffinati rispetto a molti schemi europei I criteri di accesso in base alla residenza del Reis sono semplici, equi e non discriminatori. La governance del Reis va nella direzione dell’integrazione tra funzioni e del coordinamento tra istituzioni seguita negli ultimi dieci anni da tutti i paesi europei. È però fondamentale l’utilizzo di personale adeguatamente formato: anche a tale fine, il Reis prevede che il 25% della spesa venga destinata al funzionamento dei servizi sociali e per l’impiego. Il Reis si avvale dell’evidenza empirica internazionale su che cosa funziona in tema di obblighi e doveri dei beneficiari e di eventuali sanzioni, ma con un approccio capacitante e non punitivo. Tra beneficiario del Reis e amministrazione pubblica vige una condizionalità reciproca. L’evidenza comparativa serve per capire che cosa ci si può legittimamente aspettare dal Reis e che cosa va al di là delle possibilità di uno schema di reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono oggettivamente più favorevoli rispetto all’Italia. Occorre avere aspettative realistiche sugli effetti di inserimento lavorativo degli schemi di reddito minimo. Le percentuali di attivazione dei beneficiari abili al lavoro variano dal 12% in Germania al 50% in Olanda. I tassi di reimpiego sono al più del 25%. Il principale metro di valutazione di uno schema di reddito minimo non è l’inserimento lavorativo: è il miglioramento delle condizioni materiali di vita dei beneficiari. Il Reis in primo luogo è una misura contro la povertà assoluta, e deve essere valutato sulla sua capacità di ridurre la povertà. 11.1 INTRODUZIONE In questo capitolo conclusivo guarderemo al Reis in una prospettiva comparata, con l’aiuto dell’evidenza empirica proveniente dall’esperienza internazionale e anche italiana, per gli schemi Pagina 1 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE che sono stati introdotti negli ultimi anni a livello nazionale e regionale. Mostreremo che il Reis incorpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e sperimentate in vari paesi del mondo, dal Brasile alla Germania, adattandoli alla realtà italiana. Segnaleremo le differenze tra il Reis e schemi simili, dovute alle caratteristiche del contesto del nosto paese. Forniremo un metro di giudizio dei futuri risultati del Reis, evidenziando che cosa possiamo aspettarci, che cosa non è lecito attendersi da un intervento che costa lo 0,34% del Pil e che cosa, invece, rappresenterebbe un successo. La progettazione del Reis ha costituito un esercizio di utilizzo dell’evidenza empirica disponibile per il miglior disegno possibile della misura, quanto viene detto “evidence-based policymaking” (Davies, Nutley, Smith 2000 e, in funzione critica, Cartwright e Hardie 2010). Per fare questo, sono stati prodotti due studi dell’evidenza empirica nazionale e regionale (Spano, Trivellato e Zanini 2013) e internazionale (Sacchi 2013), che accompagnano questo capitolo come appendici al progetto e al quale il lettore interessato ai dettagli dovrebbe rivolgersi1. Ma l’attenzione all’evidenza empirica, per capire “che cosa funziona” (e che cosa no) non può esaurirsi nella fase di disegno della misura. Essa deve essere costante, per consentire correzioni a quegli aspetti del Reis che si dimostreranno problematici alla luce del suo effettivo funzionamento, sia nel disegno dell’intervento, sia nella sua governance, in un’ottica pragmatica e volta al costante miglioramento del Reis. Per fare questo è essenziale predisporre un impianto metodologicamente solido di valutazione del Reis, quanto è stato fatto nel capitolo 8, nonché prevederne il costo, quanto fatto nel capitolo 10. Più in generale, però, l’aggiustamento pragmatico del Reis alla luce del suo funzionamento dovrà in primo luogo fare tesoro dei suggerimenti degli operatori e degli utilizzatori: per questo è di fondamentale importanza mantenere la logica del Patto aperto contro la povertà che ha guidato la formulazione di questa proposta di intervento contro la povertà assoluta. Pensare, nel parlare del Reis, alla Bolsa Familia brasiliana o al Konanthjaelp danese potrebbe sembrare astruso: in fin dei conti ogni paese ha i suoi caratteri nazionali, i suoi problemi, le sue logiche di funzionamento. Vero, e infatti il Reis è stato calibrato sulle caratteristiche italiane, ma noi crediamo che si possa comunque imparare molto dall’esperienza comparata: tutti i paesi (e le regioni italiane) che hanno introdotto degli schemi di reddito minimo si sono dovuti confrontare con alcuni problemi simili e hanno dovuto compiere delle scelte, a Trento come a Helsinki, in Basilicata come in Francia. Faremo allora ricorso all’evidenza comparativa per capire che cosa ci possiamo legittimamente aspettare dal Reis e che cosa no, che cosa va al di là delle possibilità di uno schema di reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono, oggettivamente, più favorevoli rispetto all’Italia. In passato, ad esempio nel rendere conto degli esiti della forma sperimentale di Reddito Minimo di Inserimento, sono stati utilizzati da parte dei media e della politica italiani dei metri di giudizio che sarebbero stati considerati eccessivi e privi di contatto con la realtà anche in paesi come la Danimarca o l’Olanda, che non hanno i problemi di disoccupazione e di arretratezza strutturale di intere parti del territorio nazionale che abbiamo nel nostro paese. Occorrono, in altri termini, buon senso, misura e conoscenza della realtà empirica. Il Reis è uno strumento importante e può raggiungere degli scopi fondamentali per un paese civile, ma non può fare miracoli, e nemmeno raggiungere scopi che non sono i suoi. Per capirlo, occorre necessariamente guardare all’esperienza comparata, che è lo scopo di questo capitolo che conclude una proposta di policy fondata sull’evidenza empirica e organizzata come un’iniziativa aperta ai contributi 1 I casi analizzati a livello nazionale sono stati la sperimentazione del Reddito minimo di inserimento, la Carta acquisti sti e la sperimentazione della nuova Carta acquisti. A livello regionale, il Reddito di cittadinanza della Regione Campania, il Reddito minimo di garanzia della Regione Lazio, il programma di Promozione della cittadinanza solidale della Regione Basilicata, il Reddito di base della Regione Friuli Venezia Giulia, e il Reddito di garanzia della Provincia autonoma di Trento. A livello internazionale, gli schemi presenti in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, O- landa, oltre ad alcuni spunti dagli schemi detti “cash conditional transfer” latinoamericani. Pagina 2 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE di tutti. In quanto segue verranno allora ripercorsi i nodi fondamentali della nostra proposta nell’ordine in cui sono stati trattati nei capitoli precedenti, soffermandoci su quanto è possibile imparare, per ciascuno di essi, dalla migliore evidenza empirica disponibile. 11.2 L’ITALIA E GLI ALTRI: IL POSTO DEL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL REDDITO Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale. Il grosso del sostegno al reddito per i cittadini viene infatti svolto dalle altre prestazioni del welfare. In primo luogo, per gli abili al lavoro, i sussidi di disoccupazione. È utile immaginare gli schemi di sostegno al reddito per gli abili al lavoro come composti da due livelli: il primo è costituito dai sussidi di disoccupazione, il secondo è il reddito minimo (che non si rivolge soltanto ai disoccupati, e in generale non si rivolge soltanto agli abili al lavoro). I sussidi di disoccupazione normalmente prevedono un pilastro principale assicurativo, cioè non soggetto alla prova dei mezzi bensì a requisiti contributivi (avere lavorato/versato contributi per un certo periodo prima della disoccupazione). La nostra Aspi è uno schema di questo genere. In molti paesi europei, oltre al pilastro assicurativo nei sussidi di disoccupazione esiste anche un pilastro ulteriore, di tipo assistenziale e quindi basato sulla prova dei mezzi, rivolto ai disoccupati che abbiano esaurito i sussidi assicurativi senza riuscire a trovare un lavoro (e, in alcuni casi, anche ai disoccupati che non hanno maturato i requisiti per ottenere i sussidi assicurativi). Questo in Italia è assente. All’Aspi si affianca infatti uno schema di disoccupazione con delle condizioni di accesso ridotte, la mini-Aspi, ma pur sempre di tipo assicurativo, rivolto a lavoratori che non hanno i requisiti per ottenere l’Aspi, ma hanno comunque lavorato e contribuito. Chi rimane scoperto dal pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione italiani (l’unico esistente)? Circa un milione di lavoratori dipendenti (e a progetto) italiani, se perdono il lavoro, non raggiungono i requisiti minimi né per l’Aspi né per la mini-Aspi. Vi sono poi circa cinque milioni di lavoratori autonomi, che non sono coperti dai sussidi di disoccupazione. Inoltre, l’assenza di un pilastro di sussidi di disoccupazione di tipo assistenziale fa sì che anche quanti ottengono i sussidi, ma non riescono a trovare un lavoro prima della sua fine, si dovranno rivolgere al Reis (posto che le loro risorse patrimoniali e di reddito familiare siano inferiori alle soglie previste). In particolare, tra quelli che accedono ai sussidi, circa 500.000 sono coperti (dalla mini-Aspi) per al massimo tre mesi soltanto2. Ricapitolando, nella maggior parte dei paesi europei al di sotto del livello di protezione fornito dai sussidi di disoccupazione si trova un livello più generale, costituito dal reddito minimo. In Italia questo manca, ed è a questa assenza che intendiamo rimediare con il Reis. In molti paesi, poi, il primo livello di protezione, quello dei sussidi di disoccupazione, prevede due pilastri: uno assicurativo (e questo esiste anche in Italia), e uno assistenziale, tipicamente per i disoccupati di lunga durata (e questo in Italia non c’è). Non in tutti, però: Danimarca e Germania non prevedono infatti il pilastro assistenziale per i sussidi di disoccupazione. In questo senso, dopo l’introduzione del Reis l’Italia sarà direttamente comparabile a questi due paesi. Rispetto all’Italia, però, il sistema danese di sussidi di disoccupazione di tipo assicurativo è notoriamente più esteso, e nonostante la durata sia stata ridotta rispetto al passato, i disoccupati danesi possono ricevere l’indennità di disoccupazione sino a due anni consecutivi, confinando l’assistenza sociale a compiti senz’altro residuali. 2 Per approfondimenti vedi S. Sacchi, La riforma dei sussidi di disoccupazione: miglioramenti e problemi aperti, presentazione svolta all’AREL, Agenzia di ricerche e legislazione, Roma, 4 luglio 2013. Pagina 3 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE Diverso è il caso della Germania, l’unico paese nel quale l’assistenza sociale svolge un ruolo non residuale. Il pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione funziona infatti secondo le stesse regole dell’Aspi, e le riforme Hartz IV degli anni 2000 hanno abolito il pilastro assistenziale dei sussidi di disoccupazione e creato un livello generale di assistenza sociale per gli abili al lavoro (Arbeitslosengeld II, detto ALG II). Questo intercetta quindi tutti quanti non ottengono i sussidi assicurativi (disoccupati di lungo periodo, lavoratori con carriere intermittenti, nuovi entranti nel mercato del lavoro, lavoratori esclusi dall’assicurazione contro la disoccupazione), mentre per i non abili al lavoro c’è uno schema categoriale (Sozialhilfe), che è ormai marginale. Rivolto sia agli individui abili al lavoro, sia a quanti non lo siano, il Reis tiene assieme i bacini di beneficiari potenziali di ALG II e Sozialhilfe. La differenza è però che il Reis è rivolto alle sole famiglie in povertà assoluta, riducendo così molto il numero dei beneficiari. Insomma, nella maggior parte dei paesi europei (ma non in Germania) gli schemi di reddito minimo hanno un lavoro relativamente ridotto da compiere, perché altre prestazioni, in particolare i sussidi di disoccupazione (ma anche, ad esempio, i sussidi agli studenti) intercettano parte dei potenziali beneficiari prima che questi si rivolgano all’assistenza sociale. In Italia il Reis si troverà a scontare alcune note carenze del sistema di welfare italiano, anche dopo la riforma dei sussidi di disoccupazione introdotta nel 2012, e che andrà a regime nel 2016. Se numero di beneficiari e spesa complessiva verranno contenuti dal fatto che il Reis è una misura contro la povertà assoluta, è comunque da aspettarsi che molti dei beneficiari siano soggetti abili al lavoro, o lavoratori a basse competenze e basso salario (vedi cap. 3). Da qui l’enfasi sull’inserimento lavorativo (da concepire, come detto, con un sano realismo) e sull’acquisizione di competenze adeguate al mercato del lavoro. Da qui anche l’enfasi sull’importanza che ai beneficiari vengano forniti adeguati servizi alla persona, inclusi quelli per l’impiego. TABELLA 11.1: IL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL REDDITO Che cosa mostra l’evidenza internazionale Schemi di reddito minimo spesso residuali (non in Germania) Presenza di altri schemi di mantenimento del reddito Il messaggio per il Reis Restrizione della platea dei beneficiari: solo famiglie in povertà assoluta Enfasi su percorsi di inserimento sociale e lavorativo e formazione competenze Enfasi su servizi alla persona e per l’impiego 11.3 BENEFICIARI E COSTI DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN EUROPA A CONFRONTO COL REIS 11.3.1 I beneficiari Alla luce di quanto appena visto, possiamo aspettarci che gli schemi di reddito minimo abbiano un’incidenza e una composizione molto differente a seconda della configurazione istituzionale complessiva dei sistemi di welfare nei quali si inseriscono. In alcuni paesi gli schemi di reddito minimo mantengono un ruolo residuale e di protezione di ultima istanza, mentre in altri cominciano ad avere un ruolo importante per tutta la popolazione che percepisce redditi bassi. È utile in Pagina 4 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE generale guardare non solo al numero dei beneficiari (rispetto alla popolazione), ma anche alle loro caratteristiche, per capire se e in che modo il Reis si differenzia dagli schemi più sviluppati. Il reddito minimo è uno schema residuale in Austria, in Olanda e nei paesi nordici qui considerati, la Danimarca e la Finlandia. In Austria, il numero di beneficiari di schemi assistenziali era alla fine degli anni 2000 comparativamente ridotto, corrispondendo a circa il 2% della popolazione (Fink 2009, Pratscher 2009). Particolarmente rilevanti erano i tassi di mancata richiesta della prestazione, anche perché la configurazione della misura e i modi della sua erogazione erano stigmatizzanti, aspetti che hanno portato alla riforma la cui implementazione ha preso avvio nel 20103. In Finlandia nel 2011 beneficiava del Reddito minimo il 3,8% della popolazione (nostre elaborazioni su dati CSB MIPI). I principali beneficiari della misura sono costituiti da disoccupati (l’87% del totale dei beneficiari), giovani e persone sole: nel 2007 i minori di trent’anni costituivano il 51% del totale, mentre solamente il 17% dei nuclei beneficiari erano coppie, con o senza bambini (Bahle et al., 2011). Simile è la situazione in Danimarca: alla fine degli anni 2000 riceveva forme di assistenza sociale circa il 3,8% della popolazione. Anche qui, i beneficiari sono soprattutto giovani e individui che vivono soli. Nel 2006, il 40% dei beneficiari aveva meno di 30 anni, il 65% meno di 40 e il 56% dei beneficiari era costituito da individui soli. I genitori soli costituivano il 26% dei beneficiari (Bahle et al., 2011). In Olanda si osserva una notevole diminuzione del numero dei beneficiari che si è ridotto dal 3,2% della popolazione nel 2005 all’1,9% nel 2011. Il declino nell’incidenza dei beneficiari è comunemente collegato al funzionamento del mercato del lavoro e all’importanza data all’attivazione, ma anche ad una crescente attenzione nei confronti delle frodi e delle violazioni (Blommesteijn et Mallee, 2009). In Germania e Francia al contrario vi è stata una notevole espansione nel corso del tempo, anche a seguito dei sostanziali cambiamenti regolativi avvenuti in questi due paesi che hanno esteso il raggio di azione degli schemi di reddito minimo. In Francia i nuclei familiari beneficiari del vecchio Revenu minimum d’insertion erano passati da poco più di 400mila nel 1990 a circa 1,1 milioni nel 2007, più della metà dei quali aveva meno di quarant’anni (Bahle et al. 2011). L’introduzione del Revenu de Solidarité Active (Rsa) non ha modificato questa tendenza, che ha visto nel 2009 i nuclei familiari beneficiari crescere fino a quasi 1,9 milioni, corrispondenti a 3,9 milioni di individui, il 6,2% della popolazione (Comité national d’évaluation du Rsa 2011). L’ulteriore crescita dei beneficiari è dovuta al fatto che l’Rsa integra due misure precedentemente separate (il Revenu minimum d’insertion e una misura destinata ai genitori soli poveri) e include attraverso l’Rsa nella sua funzione di complemento al reddito, il cosiddetto Rsa activité, anche un numero elevato di lavoratori a basso salario. Per questi ultimi l’Rsa funziona appunto come un in-work benefit. Il 25% delle famiglie beneficiarie percepisce soltanto l’Rsa activité. Tra i restanti beneficiari, che percepiscono l’Rsa socle, cioè lo schema di base rivolto a tutti, sono sovrarappresentati rispetto alla popolazione francese i giovani, i single e le famiglie monogenitoriali (Comité national d’évaluation du Rsa 2011). In Germania, l’ALG II fa la parte del leone nel sistema di sostegno al reddito contro la disoccupazione e nell’assistenza sociale. Nel 2011 esso copriva il 70% dei disoccupati, a fronte del 30% del 3 In generale, il problema del non-take up rate è di solito trascurato dalla letteratura e dai policymaker, ma i suoi effetti sono di grande importanza se l’obiettivo è la riduzione della povertà. Il Reis si propone, nella sua articolazione organizzativa, di ridurre tale fenomeno, avvicinando alla misura le famiglie potenzialmente aventi diritto (vedi cap. 4 e 5). Pagina 5 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE sussidio di disoccupazione assicurativo (Petzold 2012)4. I beneficiari dell’ALG II (6,5 milioni) costituivano nel 2011 il 7,9% della popolazione (gli altri schemi di assistenza sociale coprivano tutti assieme l’1,3% della popolazione, con il Sozialhilfe a coprire poco più dello 0,1% della popolazione). La tabella 11.2 mostra le caratteristiche dei beneficiari del Reis, così come illustrate nel capitolo 3, a confronto con quelle degli schemi di reddito minimo qui analizzati. Alcuni elementi dei beneficiari del Reis paiono in qualche misura richiamare quelli dei beneficiari degli altri schemi di reddito minimo europei: rispetto alla popolazione nel suo complesso tra i beneficiari del Reis sono sovrarappresentati i giovani: quasi il 45% delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia di età inferiore a 40 anni. Circa un terzo delle famiglie beneficiarie sono costituite da un solo individuo e quasi la metà delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia occupato. TABELLA 11.2 I BENEFICIARI DEL REIS E DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EUROPEI Anno Beneficiari Principali categorie di beneficiari (% popolazione) Olanda 2011 1,9% - Austria fine 2000 2% - Danimarca fine 2000 3,8% giovani, persone sole, genitori soli Finlandia 2011 3,8% disoccupati, giovani, persone sole Francia 2009 6,2% (incluso Rsa activité1) giovani, persone sole, famiglie monogenitoriali Germania 2011 7,9% - Reis 2012 2 4,8% giovani, famiglie con capofamiglia occupato Note: (1) Rsa activité: 25% delle famiglie beneficiarie; (2): ipotizzando un take-up rate del 75% I costi del Reis in prospettiva comparata Come abbiamo detto, ci si può aspettare che sul Reis si scarichino bisogni non coperti da altri tasselli del sistema italiano di welfare, in primo luogo – come visto – il sistema dei sussidi di disoccupazione. L’elevata percentuale, fra i beneficiari, di nuclei familiari con capofamiglia occupato non deve trarre in inganno al riguardo, giacché può significare che il reddito del capofamiglia non basta da solo ad evitare la caduta in povertà della famiglia, quando gli altri membri non sono occupati; in generale, è conseguenza del fenomeno della precarietà economica nel mercato del lavoro italiano (Berton, Richiardi e Sacchi 2012). Lo squilibrio funzionale (cioè per tipo di rischi e bisogni coperti) del sistema di welfare italiano è ben noto, e può essere apprezzato guardando alla Tabella 11.3, che riporta l’allocazione interna della spesa per prestazioni di protezione sociale nei paesi qui analizzati, nell’Unione europea e nell’area dell’Euro. Particolarmente importanti rispetto al Reis sono gli squilibri nella copertura dei rischi legati a disoccupazione, famiglia e bambini, ed abitazione e altre voci legate all’esclusione sociale. Cumulativamente, per queste voci l’Italia destina 4 In Germania pressoché tutti i disoccupati sono coperti dagli schemi di disoccupazione e reddito minimo. Pagina 6 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE meno dell’8% della propria spesa sociale, dieci punti percentuali in meno che nell’Unione europea e nell’Eurozona. TAB. 11.3 SPESA PER PRESTAZIONI SOCIALI PER FUNZIONE, 2010 (VALORI PERCENTUALI) Vecchiaia e superstiti Sanità, malattia e disabilità Disoccupazione Famiglia e bambini Abitazione ed esclusione sociale T p s t g UE-27 45,0 37,4 6,0 8,0 3,6 1 Euro area 45,3 36,8 6,8 8,0 3,2 1 Danimarca 37,7 37,4 7,5 12,4 5,0 1 Germania 40,2 40,4 5,8 10,9 2,7 1 Francia 44,9 35,0 6,9 8,3 5,0 1 Olanda 39,2 43,4 5,2 4,1 8,1 1 Austria 49,6 32,8 5,7 10,4 1,5 1 Finlandia 39,2 37,3 8,2 11,1 4,2 1 Italia 60,6 31,5 2,9 4,6 0,3 1 Fonte: Eurostat, ESSPROS database D’altro canto, il Reis si concentra sulla povertà assoluta. Questo fa sì che la spesa per il Reis in termini di Pil resti comparativamente molto contenuta, rispetto al costo degli schemi di reddito minimo negli altri paesi europei qui presi in considerazione. Inoltre, la spesa per prestazioni monetarie è inoltre pari all’82% del totale; il 25% della spesa viene infatti utilizzata per far funzionare i servizi alla persona e quelli di attivazione lavorativa per i beneficiari del Reis, una quota addirittura superiore a quella destinata dalla Francia per le misure di inserimento all’interno delle risorse del Revenu de solidarité active5. TAB. 11.4 SPESA TOTALE PER SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EUROPEI Paese Anno Misura Spesa/Pil 1 Austria 2007 Sozialhilfe (pre-riforma ) 0,6% Danimarca 2007 Konanthjaelp 0,6% Francia 2010 Revenu de solidarité active (RSA) 0,5% Germania 2010 ALG II 1,4% 2 Olanda 2007 Schema generale di reddito minimo (WWB) 1% Italia 2017 Reis3 0,34% Note: (1): Schema modificato in senso più generoso a partire dal 2010; (2): Wet werk en bijstand (legge su lavoro e assistenza sociale). Comprende quattro schemi categoriali soggetti alla prova dei mezzi (per i lavoratori autonomi poveri, per i disabili anziani, per i disabili giovani, per gli artisti); (3): Spesa totale a regime, ipotizzando un take-up rate del 75%. 5 In Francia infatti la spesa è così suddivisa: 85% prestazione monetaria, 15% servizi (Comité national d’évaluation du Rsa 2011). Pagina 7 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE 11.4 I CRITERI DI ACCESSO Non è qui possibile dare conto di differenze e affinità nei criteri di accesso dei vari schemi di reddito minimo internazionali e appartenenti all’esperienza italiana, nazionale e regionale, e con tutta probabilità ciò costituirebbe un esercizio privo di rilevanza pratica ai nostri fini6. Due aspetti ci sembrano però rilevanti, riguardanti la considerazione del patrimonio il primo e le condizioni di residenza il secondo. 11.4.1 Il trattamento del patrimonio Pressoché ovunque, in ambito internazionale, viene adottata una prova dei mezzi basata sul reddito del richiedente o della sua famiglia, associata a vincoli stringenti quanto al patrimonio mobiliare e immobiliare familiare detenuto. Sono infatti previsti dei limiti nel valore monetario del patrimonio liquido o mobilizzabile (attraverso alienazione, ipoteca, locazione) al di sopra dei quali l’accesso alla misura è precluso. Nel computo del patrimonio non vengono sovente presi in considerazione la casa di abitazione e il mobilio, ma solo entro limiti ragionevoli. A titolo di esempio, in Germania (valori 2011) vi è un’esenzione sul patrimonio pari a 150€ per ogni anno di età del richiedente, con un minimo di 3.100€ e un massimo di 9.700€; tali importi vengono raddoppiati per le coppie. Vi sono ulteriori esenzioni per polizze pensionistiche integrative, la casa di abitazione le cui dimensioni siano adeguate al numero dei familiari e un’automobile con un valore non superiore a 7.500€. Al di sopra di queste soglie, l’accesso all’ALG II è precluso. In Olanda il limite di patrimonio ammissibile (inclusa l’automobile) è pari a 5.555€ per un single, 11.110€ per una famiglia (valori 2011). Fa eccezione l’abitazione di proprietà, per la quale vi è un limite speciale pari a 46.900€. Oltre tale limite, il richiedente del reddito minimo può ottenere quest’ultimo in forma di prestito dando l’immobile in garanzia. L’unico caso nel quale non viene direttamente preso in considerazione il patrimonio è l’Rsa francese, per il quale però è prevista una valutazione patrimoniale qualora venga rilevata una discrepanza tra lo stile di vita e le risorse familiari dichiarate. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, il Reddito minimo d’inserimento prevedeva uno schema logicamente simile a quello della maggior parte dei casi europei, con l’accesso basato sul reddito e soglie separate per il patrimonio, ma la regola draconiana di una soglia patrimoniale nulla – ad essezione della casa di abitazione – indusse poi i comuni a introdurre eccezioni locali e non coordinate. D’altro canto l’affinamento dell’ISEE nel corso degli ultimi quindici anni rende quest’ultimo lo strumento più adeguato e sofisticato per valutare congiuntamente la situazione economica di un soggetto sulla scorta di reddito, patrimonio sia mobiliare che immobiliare, e caratteristiche familiari, ciò che viene fatto solo in modo rozzo nelle altre esperienze europee. Le esperienze regionali più significative (quella del Friuli Venezia Giulia, della Basilicata e della Provincia di Trento) hanno tutte utilizzato l’ISEE o sue modificazioni, e l’ISEE viene anche utilizzato dalla Carta acquisti sperimentale avviata nel 2013. Nella presente proposta (vedi cap. 3) abbiamo ritenuto che, strumento necessario per la valutazione della condizione economica grazie alla considerazione del patrimonio, l’ISEE operi come un primo filtro di accesso, e che l’accesso effettivo al Reis sia poi valutato utilizzando la stessa metrica della povertà assoluta, cioè attraverso il reddito disponibile. A questo, sulla scorta dell’esperienza campana e soprattutto di quella trentina, si affianca un indicatore di controllo basato sui consumi. TABELLA 11.5: IL PATRIMONIO NELLA PROVA DEI MEZZI 6 Chi fosse interessato ai vari criteri di accesso adottati nei vari schemi può consultare le Appendici sulle esperienze nazionali (Spano, Trivellato, Zanini 2013) e internazionali (Sacchi 2013). Pagina 8 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE Che cosa mostra l’evidenza internazionale Prova dei mezzi basata su reddito; limiti patrimoniali per accesso a misura presenti pressoché ovunque Il messaggio per il Reis Utilizzo ISEE come filtro; utilizzo reddito disponibile per l’accesso assieme a indicatori di controllo basati sui consumi 11.4.2 Il criterio della residenza Come si è visto nel capitolo 3, il Reis è accessibile da tutti quanti risiedano legalmente sul territorio italiano da almeno un anno. Questa è una scelta equilibrata, che media tra molte istanze differenti. In generale, requisiti di stabilimento sul territorio sono presenti con vari gradi di stringenza in tutti i paesi europei. Se infatti ai cittadini nazionali sono equiparati quelli comunitari, per i cittadini di paesi non appartenenti all’UE sono spesso richiesti requisiti particolari di residenza legale. Qui le scelte nazionali si intrecciano col diritto comunitario e con le sentenze della Corte europea di giustizia, rendendo la materia complessa. Tipicamente, a tutti i cittadini dell’Unione europea (inclusi quelli dello stato membro che fornisce il reddito minimo) viene richiesto un requisito minimo di residenza (che non può essere differenziato tra cittadini nazionali e altri cittadini comunitari). Spesso, questo coincide con i tre mesi richiesti nell’UE per ottenere l’iscrizione all’anagrafe. Sino al compimento dei cinque anni di residenza, però, la richiesta di ricevere assistenza sociale da parte di un cittadino comunitario non nazionale potrebbe in via di principio dar luogo alla revoca della residenza e alla conseguente espulsione. Requisiti più stringenti possono essere previsti nel caso di cittadini di paesi terzi: sia in Austria, sia in Francia il reddito minimo viene concesso soltanto ai cittadini non comunitari cosiddetti soggiornanti di lungo periodo, cioè a quanti siano legalmente residenti da almeno cinque anni. Tale scelta è stata fatta anche nel contesto della sperimentazione della nuova carta acquisti in Italia, in aggiunta al requisito della residenza nel territorio di sperimentazione da almeno un anno, che vale per tutti i richiedenti. In Olanda i cittadini di paesi terzi possono accedere al reddito minimo salvo che il loro permesso di soggiorno lo vieti, ma sino all’ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo la richiesta di assistenza sociale può far perdere il diritto alla residenza. In Danimarca addirittura il Konanthjaelp è riservato a quanti (danesi, comunitari, cittadini di paesi terzi) abbiano soggiornato legalmente in Danimarca per almeno 7 degli ultimi 8 anni (esistono però schemi di reddito minimo di importo inferiore per chi non raggiunga tale requisito). La sperimentazione del Reddito minimo di inserimento prevedeva requisiti differenziati per cittadini italiani e comunitari e per cittadini di paesi terzi, mentre – in patente e insanabile contrasto con il diritto comunitario – la carta acquisti era riservata ai soli cittadini italiani. A fronte di tale complessità, riteniamo che un criterio unico, applicabile a tutti, come quello adottato per il Reis costituisca un elemento di chiarezza e di equità. TABELLA 11.6: IL CRITERIO DELLA RESIDENZA Che cosa mostra l’evidenza internazionale Criteri di residenza minima diversificati, ma soggetti a principio di non discriminazione tra cittadini comunitari. Criteri spesso più stringenti per cittadini di paesi terzi, comunque soggetti a controllo da parte di Commissione e Corte europea di giustizia in base al criterio di proporzionalità tra strumenti utilizzati e fini desiderati Il messaggio per il Reis Adozione di un unico criterio, semplice e applicabile a tutti Pagina 9 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE 11.5 LA GOVERNANCE DELLA MISURA L’importanza degli aspetti di governance della misura è richiamata da una rassegna dell’evidenza empirica internazionale sugli schemi di reddito minimo (Immervoll 2010): attraverso una governance chiara si evitano duplicazioni, sovrapposizioni strutturali di competenze e la rotazione dei beneficiari tra programmi diversi, tutti fenomeni dei quali vi è evidenza quando non c'è un unico centro decisionale. L’esperienza internazionale mostra come in tutte le realtà più avanzate si sia verificato un sempre maggior coordinamento tra assistenza economica, servizi sociali e sanitari e servizi per il lavoro. Questa è l’aspettativa sottostante il Reis, e come visto nei capitoli 4 e 5 la divisione e la condivisione delle competenze, le procedure e la creazione di gruppi di coordinamento interistituzionali vanno in questa direzione. In alcuni contesti l’integrazione istituzionale è avvenuta al massimo grado, attraverso la fusione vera e propria tra centri per l’impiego e agenzie preposte all’amministrazione e all’erogazione del contributo economico, sia per le prestazioni di disoccupazione che per quelle di reddito minimo, secondo il modello dello “one-stop shop”. Questo è ad esempio quanto avvenuto in Germania con la creazione dei JobCentre ed è previsto in Austria. Più in generale, al di là dell’istituzione di agenzie uniche, e tralasciando l’aspetto dell’erogazione monetaria per concentrarsi su quello dei servizi, due sono le dimensioni rilevanti: da un lato l’integrazione, per gli abili al lavoro, dei servizi per l’impiego sia per i beneficiari dei sussidi di disoccupazione che per quelli del reddito minimo; dall’altro l’integrazione, per i beneficiari, tra servizi sociosanitari e lavorativi. La prima dimensione di integrazione consente di sfruttare economie di scala, scopo e competenza all’interno dei servizi per l’impiego ed è una tendenza che accomuna tutti i paesi europei con schemi di reddito minimo sviluppati: oltre ai citati Germania e Austria, la Francia con gli uffici per l’impiego (Pôle emploi) creati nel 2008 e, di particolare interesse per il caso italiano, anche sistemi come l’Olanda e la Danimarca, nei quali la programmazione degli interventi e l’erogazione delle prestazioni avviene a livello comunale. Anche in tali due paesi sono stati infatti creati degli uffici unici composti da personale dei Centri per l’impiego e dei comuni, che forniscono i servizi per l’impiego sia ai beneficiari degli schemi di disoccupazione, sia a quelli degli schemi di reddito minimo. La previsione per il disegno del Reis di far prendere in carico i beneficiari abili al lavoro, per quanto riguarda i bisogni formativi e l’attivazione lavorativa, dai Centri per l’impiego attraverso la redazione dei Patti di servizio, di concerto con i servizi sociali dei comuni associati in forma di Ambito, va esattamente in questa direzione. Circa la seconda dimensione, è particolarmente significativa l’esperienza finlandese, dove la collaborazione tra i centri per l’impiego statali e i servizi sociali comunali ha riguardato in particolare i disoccupati di lunga durata, spesso beneficiari sia dei servizi per l’impiego che dei servizi sociali per problemi di abuso di alcool o di sostanze e altri problemi personali. All’interno del programma Lafos (Labour Force Service Centers) è stata prevista la collaborazione tra differenti agenzie: i servizi per l'impiego, i servizi sociali e sanitari, gli uffici di previdenza sociale. Il compito dei centri Lafos, via via estesi sino a raggiungere oggi circa il 40% dei comuni finlandesi, inclusi i più densamente popolati (Karjailainen e Saikku, 2011), è quello di coordinare la riabilitazione, l'attivazione e i servizi per l'impiego attraverso l’esperienza di un team multiprofessionale, composto da esperti dell’ufficio di collocamento, dei servizi sociali e sanitari, di riabilitazione e previdenza sociale. Il Reis potrà andare in questa direzione se i comuni (associati in Ambiti) responsabili della presa in carico saranno effettivamente in grado di predisporre una valutazione integrata e multidimensionale dei bisogni del beneficiario attraverso la costituzione di team multiprofessionali comprendenti personale dei servizi sociali, dei centri per l’impiego e dei servizi sanitari, come da noi raccomandato (vedi 5.3.3), piuttosto che separare burocraticamente i momenti della presa in carico sociale e della redazione del patto di servizio. L’esperienza finlandese è importante anche per la crea- Pagina 10 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE zione di strutture di coordinamento operativo tra i diversi attori istituzionali coinvolti, una previsione da noi adottata con la creazione del Gruppo di coordinamento (vedi 4.5). In tutti i paesi, quindi, si va verso una maggiore integrazione, sia istituzionale – attraverso la creazione di agenzie uniche – sia funzionale, anche sulla scorta di un migliore coordinamento interistituzionale. Questo avviene in particolare dove la responsabilità operativa degli schemi di reddito minimo è propria del livello comunale, come in Nord Europa: per poter gestire i programmi di attivazione lavorativa, occorre muovere verso una scala territoriale più grande rispetto alle singole municipalità. Per questo motivo il Reis viene gestito dai comuni associati in forma di Ambito, all’interno di regole comuni fissate a livello nazionale. Allo stesso modo, l’integrazione funzionale è perseguita con la creazione di procedure e routine organizzative a ciò strumentali, ed è agevolata dalla costituzione di gruppi di coordinamento operativo. Oltre alla valutazione integrata dei bisogni dei beneficiari del Reis, sarebbe ad esempio utile costituire, come in Finlandia, delle vere e proprie “coppie di lavoro”, nelle quali un assistente sociale e un funzionario dei Centri per l’impiego seguono congiuntamente il beneficiario. Insomma: come “reddito minimo 2.0” il Reis dovrebbe avvantaggiarsi dell’osservazione di quanto accaduto negli altri paesi, e in particolare in quelli dove la gestione della misura è di competenza comunale, che hanno proceduto a forme di integrazione funzionale e cooperazione interistituzionale per poter rispondere alle sfide organizzative che un intervento complesso e articolato come il Reis pone. Infine, l’esperienza internazionale, ma anche quella dell’Rmi e di alcuni schemi regionali in Italia (come quello della Basilicata), mostrano come per svolgere bene i compiti di attivazione richiesti occorra personale esperto ad essi dedicato, e non personale amministrativo. Vi è un’evidente relazione tra la consistenza del personale specializzato espressamente dedicato allo schema di reddito minimo e la capacità dell’amministrazione di strutturare ed offrire progetti di inserimento efficaci. La disponibilità di risorse infrastrutturali appropriate è quindi un nodo cruciale per il successo di uno schema di reddito minimo che preveda anche una componente di inserimento, ed è stato uno dei principali motivi della bassa capacità di organizzazione e gestione di tale componente nella sperimentazione dell’Rmi italiano. Quello delle risorse infrastrutturali è un punto dirimente per l’efficacia di uno schema di reddito minimo che non intenda essere un mero trasferimento monetario: introdurre uno schema siffatto per lasciare che gli aspetti di inserimento sociale e lavorativo vengano curati da funzionari amministrativi, senza competenze specifiche e in aggiunta al proprio carico di lavoro normale significa condannarlo a sicuro insuccesso. Per questo motivo, il finanziamento del Reis prevede che una componente sostanziale della spesa per la misura (il 18%) sia dedicata al funzionamento dei servizi per i beneficiari, sociali e lavorativi. TABELLA 11.7: ASPETTI DI GOVERNANCE Che cosa mostra l’evidenza internazionale Integrazione istituzionale tra CpI e sportelli di erogazione contributo economico (one-stop shop) Integrazione servizi per l’impiego per beneficiari di sussidi di disoccupazione e reddito minimo Integrazione funzionale tra servizi per l’impiego, servizi sociali, servizi sanitari (nuclei congiunti di valutazione, coppie di lavoro) Coordinamento operativo interistituzionale Il messaggio per il Reis Spinta verso integrazione funzionale: valutazione integrata bisogni, progettazione integrata interventi, previsione di coppie di lavoro Previsione di struttura di coordinamento operativo interistituzionale: Gruppo di coordinamento Utilizzo personale adeguatamente formato; previsione di finanziamento dedicato pari al 25% della spesa totale Pagina 11 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE 11.6 INSERIMENTO, CONDIZIONALITÀ, SERVIZI Come abbiamo visto nel capitolo 5, il Reis agisce sul versante dell’inserimento sociale e lavorativo dei beneficiari attraverso opportuni incentivi e servizi. Viene predisposto un adeguato disegno di condizionalità e il Reis viene erogato a fronte dell’impegno dei beneficiari a tenere un certo comportamento, variabile a seconda delle caratteristiche individuali e delle condizioni familiari. Tali regole di condizionalità divengono vincolanti per tutti i beneficiari, con le sanzioni previste. Alcuni spunti dall’esperienza comparata sono qui utili per porre il Reis nella giusta prospettiva e mostrare come l’esperienza degli altri paesi è stata adattata alla situazione italiana. Al tempo stesso, il Reis fa tesoro delle esperienze ben funzionanti presenti in Italia, prima fra tutte il Reddito di garanzia della Provincia autonoma di Trento. Poiché come abbiamo detto il Reis è uno schema unico, rivolto in via di principio alla generalità della popolazione, esso non riguarda solo gli abili al lavoro. L’attivazione dei beneficiari e la condizionalità non devono quindi essere soltanto intese come quelle lavorative. Qui è utile concepire il Reis come un esempio di Cash Conditional Transfer (CCT), una classe di schemi di assistenza sociale tipicamente basati sulla prova dei mezzi diffusosi nell’ultimo decennio in tutto il mondo a partire dall’America Latina per arrivare sino alla città di New York, anche grazie al sostegno tecnico delle organizzazioni internazionali (Banca mondiale in primo luogo). Gli esempi principali sono Bolsa Familia in Brasile e Oportunidades in Messico, a cui si può aggiungere un programma molto più mirato al sollievo dalla povertà estrema, Chile Solidario in Cile (ILO 2010). La peculiarità dei CCT è quella di prevedere un’erogazione monetaria condizionata al mantenimento, da parte dei beneficiari, di comportamenti considerati virtuosi e come tali incentivabili in un’ottica di sviluppo umano, indirizzata in particolare alla cura della povertà infantile. Tali comportamenti riguardano il sottoporre i membri minori alle vaccinazioni e a periodici controlli medici, l’assolvimento degli obblighi scolastici, la frequenza scolastica, e così via. Il Reis insiste molto sul rispetto dell’obbligo scolastico, anche perché l’esperienza della “sperimentazione” del Reddito minimo di inserimento in Italia mostra come i programmi di inserimento e reinserimento scolastico siano stati assai efficaci. Più in generale, per tutti i beneficiari, il Reis è condizionale a comportamenti di “buona cittadinanza”, e prevede dei servizi per l’educazione a tali comportamenti, così come delle sanzioni se questi non vengono rispettati. Insomma, il Reis non dà solo “soldi ai poveri”, ma ne promuove l’inserimento nella società (vedi 6.2.2) e, per gli abili al lavoro, l’inserimento lavorativo (vedi 6.2.4). A questo riguardo, l’evidenza comparata porta alla ribalta un aspetto di grande importanza per il disegno delle misure di attivazione: la forte incidenza tra i beneficiari degli schemi di reddito minimo di stranieri con problemi specifici di integrazione nella società e nel mercato del lavoro. Ha fatto recentemente scalpore in Danimarca la pubblicazione dei dati sui beneficiari di lunga durata, che hanno ottenuto la prestazione di reddito minimo, il Kontantjhaelp, per oltre dieci anni negli ultimi quindici. Emerge infatti che, a fronte di un’incidenza nella popolazione in età da lavoro del 3,4%, le donne immigrate da paesi non occidentali costituiscono il 25% di tali beneficiari di lunga durata7. Anche l’esperienza del Reddito di cittadinanza della Provincia di Trento mostra come sia lecito attendersi una quota di stranieri tra i beneficiari più che proporzionale rispetto alla popolazione generale: tra i beneficiari una famiglia su due ha almeno un componente straniero, a fronte di una quota inferiore al 10% nella popolazione (Spano, Trivellato, Zanini 2013). Il problema si pone in primo luogo a causa delle basse capacità linguistiche e delle basse competenze lavorative di tale categoria di beneficiari. Occorrerà allora predisporre nell’ambito del Reis delle misure adeguate, per evitare che quelle progettate siano inefficaci e che l’attivazione sia strutturalmente votata al fallimento, con l’esito di avere tassi di partecipazione ai programmi molto bassi, oppure ele- 7 “Marginalized immigrant women on near-permanent welfare”, The Copenhagen Post, 22-28 Febbraio 2013, p. 1. Pagina 12 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE vati tassi di irrogazione delle sanzioni e revoca della prestazione. La predisposizione delle misure più adeguate va tarata con riferimento alle comunità etniche dei beneficiari, anche con l’aiuto di mediatori culturali. Sulla scorta dell’esperienza danese e trentina, sembra certamente necessario prevedere l’offerta di corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, preliminarmente all’offerta di lavoro o di formazione (vedi 6.2.2). Se i servizi sociali e i centri per l’impiego non prenderanno seriamente questa sfida, il Reis rischia di dare luogo a una sottoclasse di beneficiari con basse chances di reinserimento. Se, per converso, questo aspetto diventerà un obiettivo specifico da parte degli operatori locali, i risultati ottenibili in termini di inserimento dei beneficiari – in primo luogo sociale e nella comunità – potranno essere di grande rilievo. 11.6.1 Regole di condizionalità per gli abili al lavoro Come abbiamo visto nel capitolo 6, tutti i beneficiari del Reis abili al lavoro sono tenuti a rispettare il patto di servizio e i diritti/doveri in questo previsti. In generale, sono tenuti a cercare attivamente un’occupazione e ad essere immediatamente disponibili al lavoro, pertanto ad accettare offerte di lavoro congrue e a svolgere le attività di formazione e riqualificazione previste. In merito a tali aspetti, l’evidenza internazionale mostra come negli ultimi vent’anni, nel tentativo di eliminare possibili abusi e riportare più persone possibili all’impiego, si osservi una tendenza comune a imporre norme comportamentali sempre più stringenti ai beneficiari degli schemi di reddito minimo. In particolare, si osservano valutazioni più severe per quanto concerne la disponibilità al lavoro, un maggiore ricorso alle sanzioni e definizioni più ampie di ciò che è considerata un’offerta idonea di lavoro. Particolarmente accentuate sono divenute le richieste di attivazione nei paesi nordici e in Germania, Olanda ed Austria, così come le sanzioni. In Germania, ad esempio, se il beneficiario rifiuta di prendere parte a un corso di formazione o rifiuta un lavoro accettabile, il sussidio viene diminuito del 30% per tre mesi, e ridotto del 10% anche in caso di assenze a visite mediche o di non rintracciabilità nei giorni festivi. Una seconda violazione porta una riduzione del 60%, mentre alla terza il beneficio viene interrotto per tre mesi, fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento (pagati direttamente al proprietario di casa). In caso di violazione dell’obbligo di notifica, il sussidio viene diminuito ogni volta del 10%. Penalità più stringenti sono previste per i minori di 25 anni: la prima violazione porta infatti immediatamente alla revoca della misura per tre mesi, fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento. In Olanda la condizionalità è ancora più severa e la prestazione può essere interamente decurtata per un mese già a partire dalla prima violazione. In Austria la sanzione per il rifiuto di accettare un’occupazione o di partecipare a programmi di formazione o riqualificazione è pari al 25% per due mesi e arriva al 50% in caso di reiterazione. L’esperienza internazionale ha ispirato le sanzioni previste per il Reis in caso di mancata attivazione lavorativa o di mancata accettazione di offerte di lavoro proposte dai Servizi per l’impiego (o di rifiuto a prender parte a programmi di formazione e riqualificazione), consistenti nella decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni. Sanzioni graduali sono anche previste per il mancato rispetto delle regole di buona cittadinanza e di buona genitorialità, così come per la mancata comunicazione di variazioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica (salvo che – ovviamente – la nuova situazione faccia decadere dal diritto alla prestazione economica, nel qual caso viene immediatamente cessata l’erogazione di questa, senza che peraltro debba necessariamente cessare l’erogazione di servizi sociali). Il disegno del Reis si è avvalso dell’evidenza empirica internazionale (e nazionale) su che cosa funziona in tema di obblighi, di doveri e di eventuali sanzioni. Allo stesso tempo, tali strumenti vanno calati nel contesto nazionale, per evitare che diventino velleitari, e come tali possano legittimare la Pagina 13 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE loro totale disapplicazione da parte di chi dovrebbe curarne l’implementazione. Mai come in questo campo, il meglio è nemico del bene. Inoltre, sebbene nel discorso pubblico internazionale il tema dell’attivazione (soprattutto lavorativa) e della condizionalità abbia talora assunto una coloritura quasi punitiva nei confronti del beneficiario, il Reis si distanzia radicalmente da questa impostazione: il beneficiario è infatti titolare di doveri ma anche contestualmente di diritti, che creano obblighi in capo ai servizi sociali e ai servizi per l’impiego (vedi capitoli 5 e 6). I patti previsti dal Reis tra amministrazione e beneficiari (5.3.3) sono naturaliter sinallagmatici: vale cioè una condizionalità reciproca tra beneficiario del Reis e amministrazione pubblica, entrambi impegnati a prestazioni corrispettive: il primo ad attivarsi e a rispettare i termini del percorso di inserimento; la seconda ad erogare in modo rapido ed efficace entrambe le componenti del Reis: denaro e servizi. Così come sono previste regole per i beneficiari e sanzioni per chi non le rispetta, dovrebbero essere previste sanzioni per le amministrazioni che non riescono ad ottemperare al patto, e in particolare alla sua componente di inserimento. TABELLA 11.9: CONDIZIONALITÀ E SANZIONI Che cosa mostra l’evidenza internazionale Regole severe di condizionalità Sanzioni graduali Sanzioni differenziate tra mancato rispetto regole amministrative e generali da un lato, obblighi di attivazione lavorativa dall’altro Approccio talvolta punitivo Il messaggio per il Reis Regole chiare e sanzioni severe, ma graduali e differenziate Approccio capacitante e non punitivo Condizionalità reciproca tra beneficiario e amministrazione pubblica 11.7 CONCLUSIONI: CHE COSA ASPETTARSI DAL REIS Nell’immaginare che cosa aspettarsi dal Reis, è bene tenere a mente che uno schema di reddito minimo svolge una funzione distinta rispetto a uno schema di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione. Gli schemi di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione si rivolgono ai soli soggetti che hanno perso il lavoro e, per questi, mantengono entro limiti accettabili la riduzione del tenore di vita precedente, incentivando anche il ritorno al lavoro, cosa ragionevole da aspettarsi per molti di quanti hanno perso il lavoro da poco. Il reddito minimo è rivolto a combattere la povertà e a fornire percorsi di integrazione sociale, scolastica, oltreché lavorativa e formativa. Come tale, non si rivolge primariamente a soggetti che hanno perso il lavoro, anche se tra i suoi beneficiari possono esservene. I risultati delle misure di reddito minimo dovrebbero quindi in primo luogo riguardare la riduzione della povertà, attraverso l’efficacia del trasferimento monetario. Inoltre, per la parte di attivazione, ci si dovrebbe attendere effetti positivi quanto al reinserimento sociale e lavorativo dei beneficiari. È però importante fissare bene un punto, per evitare di assumere nei confronti del Reis un atteggiamento perfezionistico, basato su aspettative irrealizzabili e non fondate sull’evidenza internazionale, né sul buon senso. L’efficacia ultima di un programma di garanzia minima di risorse consiste nella riduzione della povertà, e questo è tanto più vero quanto più è drammatica la condizione di povertà in cui versano i beneficiari. Valutarne il successo o il fallimento in base ai tassi di re- Pagina 14 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE inserimento lavorativo dei beneficiari, come è stato da più parti fatto nel caso dell’Rmi italiano, significa commettere un grave errore di politica pubblica. In generale, i dati circa l’efficacia dei programmi di reddito minimo in termini di esiti, cioè di riduzione della povertà e di uscita dal programma dei beneficiari a seguito dell’ottenimento di occupazione, sono raramente disponibili. La loro scarsità e la non comparabilità delle fonti (che si riferiscono a momenti differenti nel ciclo economico) consente solo, in quanto segue, un’analisi non sistematica e a fini illustrativi, volta a fornire un benchmark per il Reis e per calibrare le aspettative. 11.7.1 L’evidenza comparativa Come abbiamo visto, in tutti i casi analizzati si è andati verso una maggiore enfasi sull’attivazione dei beneficiari di schemi di reddito minimo in grado di lavorare, con l’obiettivo ultimo di ottenerne il reinserimento nel mercato del lavoro “regolare”. Sebbene in questo ambito sia molto difficile valutare quali siano i risultati, in particolare per la necessità di considerare gli effetti sul lungo periodo e la difficoltà nel distinguere gli effetti delle riforme dalle condizioni più generali del mercato del lavoro, alcuni dati sono disponibili e sembrano indicativi circa la capacità degli schemi di reddito minimo di costituire dei percorsi di fuoriuscita dalla povertà e di ritorno nel mercato del lavoro. La maggior parte dell’evidenza empirica riguarda la Germania, grazie alla politica seguita in tale paese di rendere i dati disponibili alla comunità scientifica, oltre al lavoro svolto dall’istituto federale che si occupa statutariamente della valutazione degli effetti dei sussidi di disoccupazione, dell’ALG II e dei programmi di attivazione connessi (l’Istituto di ricerca sull’occupazione IAB, un istituto indipendente all’interno dell’Agenzia federale per il lavoro). L’esperienza tedesca mostra l’importanza di predisporre un adeguato piano volto alla valutazione – e non solo al monitoraggio – degli schemi di reddito minimo, nella componente monetaria e in quella di programmi di inserimento. Alcune recenti esperienze vanno in questa direzione. In Francia, la creazione del Revenu de solidarité active è stata accompagnata dalla costituzione di un Comitato di valutazione che ha dato luogo a un Rapporto di valutazione dell’Rsa a dicembre 2011. Il Reddito di garanzia della Provincia di Trento ha previsto sin dal suo avvio la valutazione degli effetti della misura attraverso una metodologia di tipo controfattuale, e ciò dovrebbe avvenire anche per la sperimentazione della nuova Carta acquisti. È essenziale che una misura di reddito minimo preveda un’articolato e dedicato impianto di valutazione di impatto. Questo viene fatto con il Reis grazie alla previsione di un budget dedicato e di una struttura apposita, secondo un impianto rigoroso (vedi capitolo 8). Sebbene non sia comune, nell’esperienza di policy italiana, una previsione simile è di importanza fondamentale per capire che cosa funziona e che cosa va migliorato, e come. Gli effetti dell’ALG II tedesco Il primo aspetto degno di nota è che tra i 6,5 milioni di beneficiari dell’ALG II nel 2011, circa i tre quarti (4,6 milioni) erano considerati attivabili, ma solo il 12% di questi (circa 550mila) sono stati effettivamente attivati (Marchal e Van Mechelen 2013). Inoltre, il principale intervento di politica attiva nel contesto tedesco sono gli one-euro jobs, anche se il loro ruolo sembra essersi ridimensionato nel 2011 rispetto agli anni precedenti (passando da 300mila l’anno tra il 2007 e il 2010 a 188mila nel 2011), a favore invece di misure di formazione di breve periodo (circa 130mila nel 2011) (Petzold 2013, medie annue). A differenza della creazione diretta di posti di lavoro (abolita dal 2011), che non sembra avere effetti occupazionali rilevanti (Caliendo et al 2008), le forme di impiego sussidiate nel settore privato hanno effetti positivi sostanziali: chi vi partecipa ha una percentuale di reintegro nel mercato del lavoro regolare superiore rispetto a chi non vi partecipa tra il 25 e il 42% (Jaenichen e Stephan 2007). Effetti positivi ha anche lo schema che favorisce l’auto-imprenditorialità (Caliendo et al 2013), mentre gli esiti degli one-euro jobs sono controversi: secondo Hohmeyer and Wolff (2011) Pagina 15 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE gli one-euro jobs potrebbero essere efficaci per i disoccupati più difficilmente reinseribili nel mercato del lavoro poiché aiutano a reinstaurare le condizioni di base affinché sia possibile lavorare, ma potrebbe esservi un spiazzamento di posti di lavoro nel mercato del lavoro regolare. In generale, comunque, per valutare le possibilità occupazionali dei beneficiari degli schemi di reddito minimo anche nei contesti più avanzati, occorre notare che la percentuale di beneficiari di ALG II che fuoriescono dallo schema ciascun mese, pur in crescita, è di circa il 3,7%, quasi quattro volte inferiore rispetto ai beneficiari dei sussidi di disoccupazione. Evidenza da altre esperienze Come abbiamo visto, in Finlandia sono stati negli anni passati introdotti i centri integrati Lafos con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione strutturale attraverso il miglioramento dell’occupabilità dei disoccupati di lungo periodo, e in generale dei beneficiari di reddito minimo più problematici. Sebbene i tassi di partecipazione ai servizi di attivazione siano effettivamente aumentati, raggiungendo circa il 35% dei beneficiari, i risultati in termini occupazionali sono relativamente contenuti: circa il 10% dei beneficiari riesce a trovare un lavoro, mentre il 20% stipula un contratto di lavoro sovvenzionato (Karjailainen e Saikku, 2011). In Francia, nonostante si proponesse l’obiettivo primario di favorire l’inserimento lavorativo, l’introduzione dell’Rsa – certamente non favorita dall’aver avuto luogo durante la crisi economica – non ha indotto un maggiore tasso di uscita rispetto al suo predecessore Revenu minimum d’insertion, e si mantiene stabile intorno al 30% (Isel, Donné e Mathieu, 2011). Un maggiore tasso di uscita si riscontra invece tra i beneficiari del Rsa activité (ovvero i lavoratori poveri), che vedono un tasso di uscita dal programma pari al 57% (ma, appunto, tali beneficiari già detengono un’occupazione, sebbene a basso salario). In Olanda, dove pur abbiamo mostrato una notevole caduta nel numero dei beneficiari nel periodo tra il 1995 e il 2011, i dati disponibili mostrano tuttavia come solamente un terzo di coloro che smettono di beneficiare del WWB abbia trovato un posto di lavoro, mentre gli altri escono perché cominciano a ricevere la pensione d’anzianità oppure cominciano una relazione con una persona che permette loro di emergere dalla povertà (Blommesteijn e Mallee, 2009). Nel 2005 circa il 50% dei beneficiari del WWB partecipava ad una delle misure di attivazione. Di questi, il 27% ha trovato un lavoro nel corso dei due anni successivi, mentre considerando il totale dei beneficiari del WWB il 21% riusciva a trovare un lavoro nel mercato regolare. Da ultimo, il Reddito di garanzia della Provincia di Trento fornisce, grazie alla valutazione di impatto condotta, spunti interessanti (vedi Spano, Trivellato e Zanini 2013). L’introduzione del Reddito di garanzia ha indotto cambiamenti nei pattern di consumo, aumentando il consumo di generi alimentari solo in una parte di famiglie beneficiarie, specificatamente quelle più marginali tra le straniere, mentre gli effetti più consistenti sono stati riscontrati nell’acquisto di altri beni non durevoli (come il vestiario) o durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie condizioni di vita e abitative. Venendo allora alle condizioni di vita delle persone, il Reddito di garanzia sembra avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi in condizione di povertà, misurata mediante un indicatore dello stato di deprivazione. Quanto alla partecipazione al mercato del lavoro, è emerso un impatto differente su italiani e stranieri. È, infatti, sugli immigrati che il Reddito di garanzia è riuscito ad avere effetti di attivazione, sebbene con scarsi risultati in termini di occupazione, laddove per gli italiani, pur non avendo sortito effetti in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del Reddito di garanzia ha aumentato la probabilità di avere un lavoro. Pagina 16 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE 11.7.2 Che cosa viene considerato un successo? Data la virtuale impossibilità di promuovere il reinserimento lavorativo per il complesso dei beneficiari, diviene interessante comprendere che cosa venga considerato un successo. Tre esempi sono interessanti a riguardo: nel 2008, in Germania, su iniziativa dei JobCenter è stata promossa una sperimentazione rivolta specificatamente ai beneficiari sopra i 50 anni disoccupati di lungo periodo, chiamata Perspektive 50+, che ha visto impegnati circa 73 mila beneficiari, di cui il 26% è riuscito a trovare un impiego entro 2 anni. Giudicato un successo, dal 2010 il programma è stato esteso a tutto il paese (Huster et al., 2009). Il programma Social Activation dell’Olanda, rivolto a persone distanti dal mercato del lavoro e concepito come un ponte tra la fruizione dei sussidi e la reintegrazione nel mondo del lavoro, è stato considerato una buona pratica dalla DG Occupazione e Affari Sociali della Commissione europea, e come tale meritevole di essere segnalato sul proprio sito internet, pur vedendo un inserimento lavorativo stabile di circa il 16% dei beneficiari. Infine, nel 2006 in Danimarca venne lanciata una nuova sperimentazione indirizzata specificatamente a individui che avessero beneficiato di sussidi per un anno continuativamente, denominata “Una nuova opportunità per tutti”. In essa venivano delineati i seguenti obiettivi specifici per i percettori di reddito minimo: entro due anni, il 25% dei beneficiari doveva aver iniziato un lavoro; nel corso dei due anni, i beneficiari dovevano essere in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni materiali per almeno il 15% del tempo e dovevano, in media, essere “attivi” (o in formazione, tirocinio o impiego sovvenzionato) per almeno il 40% del tempo. 11.7.3 Lezioni di policy In conclusione, quindi, anche nei contesti più virtuosi come quello tedesco solo il 12% dei beneficiari considerati attivabili viene effettivamente attivato, ogni mese escono dal reddito minimo meno del 4% dei beneficiari e il principale strumento di politica attiva sono gli one-euro jobs. In Olanda, nonostante la fortissima spinta verso l’attivazione lavorativa degli ultimi anni, sono attivati la metà dei beneficiari, e solo un terzo di chi esce dal reddito minimo lo fa perché ha trovato lavoro. Programmi mirati nei contesti danese e finlandese pongono le percentuali di attivazione al 40% nel migliore dei casi. Soprattutto, tassi di inserimento lavorativo stabile nell’ordine del 20-25% dei beneficiari sono considerati la norma nei contesti più avanzati, caratterizzati da tassi di disoccupazione ben più contenuti di quello italiano e nei quali i servizi per l’impiego hanno risorse e capacità (in Italia la spesa per le politiche attive è meno di un decimo di quella tedesca, e il personale dei centri per l’impiego ammonta a un ventesimo di quello contrattualizzato in Germania: vedi Rosolen e Tiraboschi, 2013). Questa è l’evidenza empirica internazionale contro la quale dovranno essere confrontati, pesati, valutati i risultati dei programmi di inserimento lavorativo del Reis. Soprattutto, però, il Reis dovrà essere valutato per quello che è: una misura di contrasto alla povertà assoluta. TABELLA 11.10: RISULTATI E DEFINIZIONE DI SUCCESSO NELL’ESPERIENZA INTERNAZIONALE Che cosa mostra l’evidenza internazionale Percentuali di attivazione: 12% in Germania, 35% in Finlandia, 50% in Olanda Fuoriuscite dallo schema: meno del 4% al mese in Germania, 30% all’anno in Francia Tassi di reimpiego: 10% in occupazione non sovvenzionata, 20% in occupazione sovvenzionata in Finlandia; 20-25% in Olanda Esperienze mirate per categorie svantaggiate considerate di successo: tassi di reimpiego del 26% in Germania, del 16% in Olanda, del 25% in Danimarca Il messaggio per il Reis Aspettative realistiche su attivazione e tassi di reimpiego Principale metro di valutazione è il miglioramento delle Pagina 17 11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE condizioni materiali di vita Pagina 18 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA. VV. (2011), Disegniamo il welfare di domani. Una proposta di riforma dell’assistenza attuale e fattibile. Executive summary, in Prospettive Sociali e Sanitarie, Numero Speciale, anno 41. 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Il reddito di cittadinanza della Provincia Autonoma di Trento 3.4. La Carta acquisti e la Carta acquisti sperimentale 4. Che cosa possiamo imparare? Trento e Venezia, 07.03.2013 Le esperienze italiane di misure di contrasto della povertà: che cosa possiamo imparare? Pierangelo Spano, Ugo Trivellato e Nadir Zanini* 1. Una ricognizione mirata La ricostruzione delle condizioni di vita e della dinamica della povertà degli italiani dall’Unità al 2010 è documentata in maniera esemplare per robustezza delle evidenze empiriche e per chiarezza da Vecchi (2011), in particolare nel capitolo di Amendola et al. (2011). Un tratto che emerge nitidamente è la natura strutturale della povertà. Restando al secondo dopoguerra, dopo la sensibile riduzione avvenuta negli anni settanta (grazie anche all’«avvio di un percorso squilibrato della finanza pubblica»: Amendola et al., 2011, pag. 299), per ben oltre un trentennio l’incidenza della povertà resta sostanzialmente stabile. V’è da notare, inoltre, che le stime di Amendola et al. (2011), basate sul reddito disponibile rilevato tramite l’indagine della Banca d’Italia, concordano largamente con le stime della povertà assoluta prodotte dall’Istat a partire dal 2005, sulla base delle spese registrate dall’indagine sui consumi1 (Istat, 2009). Ebbene, secondo le stime dell’Istat, nel 2011 le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta sono circa un milione e trecentomila (in termini relativi, il 5,2%), mentre le persone superano i 3 milioni e quattrocentomila (in termini relativi, il 5,7%) (Istat, 2012). A fronte della natura strutturale del problema della povertà nel nostro paese, serve elaborare una proposta di contrasto adeguata e prospettarne modalità di attuazione credibili, attente alle difficoltà con le quali essa dovrà misurarsi. La prospettiva è quella di disegnare una proposta nazionale. Coerentemente con questo obiettivo, il paper si occupa delle principali politiche nazionali e regionali di contrasto della povertà adottate negli ultimi 15 anni, non degli interventi dei Comuni (anche se essi hanno rilevanti competenze e responsabilità in campo sociale e un contatto ravvicinato con il fenomeno della povertà). L’arco degli interventi considerati va dall’introduzione in via «sperimentale» del reddito minimo di inserimento (RMI) nel biennio 1999-2000 al prossimo decollo della Social Card sperimentale nei Comuni con più di 250 mila abitanti. Sul tema delle politiche di contrasto alla povertà in letteratura è stata prevalente la ricognizione per casi/esperienze (la più completa e recente è di Granaglia e Bolzoni, 2010) mentre è rimasta meno sviluppata l’analisi comparata (tra i contributi di sintesi, vedi Spano, 2009, e Mesini, 2011). * Il testo è frutto del lavoro condiviso degli autori. Quanto alla stesura, Ugo Trivellato ha scritto le sezz. 1 e 4, Pierangelo Spano le sezz. 2, 3.2 e 3.4 e Nadir Zanini le sezz. 3.1 e 3.3. Ringraziamo Daniele Checchi ed Emanuele Ciani per utili commenti e suggerimenti. 1 L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita accettabile (Istat, 2009). 1 La peculiarità di questo paper sta nel fatto che conduce una ricognizione mirata: si propone cioè di indagare le esperienze per trarne insegnamenti utili al disegno di un nuovo piano di contrasto della povertà (anticipato nelle sue linee ispiratrici in Gori et al., 2010, e che sarà presentato nella primavera del 2013). Detto in altre parole, il filo di Arianna della ricognizione è costituito dalle questioni che occorre affrontare, e dalle risposte che serve approntare, per porre in essere una persuasiva misura di contrasto della povertà: nazionale; improntata all’universalismo selettivo, bandendo quindi logiche categoriali e identificando i poveri in base alla prova dei mezzi; che integra il reddito delle famiglie con un trasferimento monetario il quale le porta alla soglia considerata essenziale per uno standard di vita accettabile; che affianca al trasferimento monetario misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impegnative tanto per chi le eroga quanto per i destinatari; continua nel tempo. Per condurre la ricognizione, muoviamo da una griglia di policy questions che riassumono i nodi da affrontare per porre in essere la misura di contrasto della povertà sommariamente prospettata. Ciò ci consente di esaminare le esperienze passate in un’ottica di apprendimento in vista della progettazione. Insomma, il nostro proposito è imparare dagli interventi salienti di contrasto della povertà posti in essere dalla seconda metà degli anni novanta lezioni utili per disegnare un progetto, ambizioso ma fattibile, di piano nazionale contro la povertà. Nell’identificare le policy questions, conviene innanzitutto articolarle in due blocchi: (i) un primo blocco, diciamolo A, attiene a caratteristiche basilari delle misure, che ne mettono quindi in evidenza la prossimità – o meno – con la politica appena tratteggiata nei suoi aspetti fondamentali; (ii) un secondo blocco, diciamolo B, attiene ad aspetti cruciali della gestione delle misure, aspetti che è interessante approfondire soltanto per interventi che, dalle risposte al blocco precedente, mostrino tratti ragionevolmente prossimi alla misura prospettata e consentano, quindi, di imparare dalle diverse soluzioni pratiche adottate. Quanto al blocco A, le policy questions rilevanti possono essere ricondotte a quattro: A1. Ammissibilità alla misura: se ispirata all’universalismo selettivo oppure dettata da altri criteri, quali, da un lato, la restrizione a categorie di famiglie/persone e, dall’altro, il vincolo del finanziamento (tipicamente sottodimensionato rispetto alla platea dichiarata degli ammissibili, il che porta al razionamento e alla formazione di graduatorie per renderlo operativo). In entrambi i casi, assume rilievo il criterio seguito per determinare la soglia di povertà: soglia prefissata per una famiglia-tipo, modificata poi con una opportuna scala di equivalenza, oppure soglie di povertà assoluta per famiglie di diversa composizione2. A questo riguardo, segnaliamo sin d’ora che nel seguito utilizziamo l’aggettivo equivalente per denotare la grandezza 2 In merito a questo criterio tornano utili due precisazioni. Innanzitutto, non si considerano le differenze territoriali del costo della vita, perché assenti in tutte le esperienze svolte, anche se di notevole importanza nel nostro paese (vedi Amendola e Vecchi, 2011, e Istat, 2009). In secondo luogo, nella presentazione delle singole misure riportiamo le grandezze monetarie a prezzi correnti, come abitualmente avviene negli studi di caso presenti in letteratura; nei Prospetti 3 e 4, tuttavia, per una corretta comparazione tutte le grandezze monetarie – soglie di povertà, trasferimenti, ecc. – sono riferite all’anno ed espresse in euro a potere d’acquisto costante, anno 2011, l’ultimo per il quale si dispone delle stime dell’Istat sulla povertà assoluta. 2 monetaria riferita a una famiglia uni-personale, che cresce poi secondo una scala di equivalenza che tiene conto della dimensione/composizione della famiglia. A2. Entità del trasferimento monetario: che integri il reddito familiare fino a una soglia di povertà stabilita in relazione alla composizione della famiglia, oppure, definito sulla base di altri criteri, tipicamente in un ammontare prefissato (come abitualmente si dice, “in cifra fissa”), che prescinde, quindi, dalla disponibilità (il reddito) e/o dai bisogni (la composizione) della famiglia. A3. Affiancamento al trasferimento monetario di interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro sostenuti da “condizionalità” (nel senso che, in una logica di obblighi reciproci, il beneficiario non può sottrarvisi, pena la riduzione del trasferimento o l’esclusione dalla misura) oppure mero trasferimento monetario. A4. Continuità dell’intervento nel tempo, innanzitutto nel senso che la politica ha carattere strutturale, è quindi duratura, o all’opposto è un intervento una tantum o comunque transitorio. Inoltre, nell’ambito degli interventi che almeno tendenzialmente ambiscono ad essere duraturi, erogazione del trasferimento monetario – e delle azioni di sostegno connesse – fino a che la famiglia permane nella condizione di povertà oppure predeterminazione di un limite massimo di permanenza nella misura. ----------------------------------Prospetto 1 circa qui ----------------------------------Una sintesi delle policy questions del blocco A è nel Prospetto 1. Evidentemente, quanto più le esperienze esaminate hanno una caratterizzazione che coincide con la – o si avvicina alla – prima alternativa prospettata per ciascuna delle quattro policy questions basilari, tanto più è di interesse guardarne le modalità di attuazione. È dunque su questo sottoinsieme di esperienze che si concentra l’approfondimento degli aspetti di gestione, riassunti nelle policy questions del blocco B, articolate come segue. B1. Criterio per la determinazione del reddito, tipicamente familiare. B2. Modalità per identificare e confermare i beneficiari: se centralizzate o gestite tramite i Comuni o tramite il terzo settore o tramite soluzioni miste, di collaborazione fra enti diversi. B3. Tempestività dell’erogazione ai beneficiari, intesa in primo luogo come tempo che intercorre dal bando alla prima erogazione e poi come periodicità delle successive erogazioni. B4. Attività per individuare falsi positivi e/o falsi negativi: presenza, intensità ed efficacia di azioni tese a identificare falsi positivi (cioè a dire, beneficiari che non sarebbero ammissibili) e falsi negativi (cioè a dire, ammissibili che non hanno fatto domanda). B5. Svolgimento di azioni di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro. Oltre alle attività correnti di assistenza sociale e ad azioni per migliorare l’integrazione sociale delle persone, rivestono un rilievo particolare due interventi: quelli miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico (fino a 16 anni, e dal punto di vista sostanziale fino al raggiungimento almeno del titolo di terza media); quelli di attivazione al lavoro – tramite colloqui di informazione, orientamento, offerta 3 formativa specifica, iniziative per l’incontro fra domanda e offerta, ecc. –. Segnatamente per questi due ultimi interventi è di interesse documentare se si configurano come delle condizionalità per i beneficiari. B6. Ruolo svolto dai diversi attori: Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per l’impiego, scuole, terzo settore, e lo Stato o la Regione per funzioni di regolazione e controllo. B7. Monitoraggio e valutazione degli effetti: se, e in quale modo, siano svolte attività sistematiche di monitoraggio dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti – sui livelli e pattern di consumo, sulla scolarizzazione, sulla partecipazione al lavoro, su aspetti di integrazione sociale. B8. Dimensione dei beneficiari, possibilmente con informazioni abbastanza articolate (numero medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari rispetto alla popolazione; caratteristiche distributive salienti dei beneficiari – famiglie e individui –, ecc.). B9. Risorse destinate alla politica, in termini di stanziamento pubblico destinato alla misura e di effettivo ammontare della spesa a consuntivo3. ----------------------------------Prospetto 2 circa qui ----------------------------------Le policy questions del blocco B sono sintetizzate nel Prospetto 2. Utilizzando questa griglia di lettura, muoviamo ora all’individuazione delle misure che prenderemo in considerazione e a una loro prima analisi. 2. Una prima classificazione e analisi delle misure Come già segnalato, i Comuni sono titolari della gestione di interventi e servizi socioassistenziali a favore dei cittadini (art. 6 della legge 328/2000, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). E, operativamente, essi sono il terminale cruciale dell’insieme degli interventi di welfare esistenti. Ma questo insieme di interventi è per un verso frammentato e per un altro verso molto diversificato territorialmente. Inoltre, le risorse finanziarie che fanno direttamente in capo ai Comuni per interventi e servizi sociali, incluse le azioni di contrasto della povertà, sono esigue. Una recente ricostruzione della spesa per la protezione sociale allargata nel 2010 dà una stima, rispetto al PIL, pari al 4% per l’intera area dell’assistenza sociale e allo 0,6% per l’offerta di servizi sociali locali (Aa.Vv, 2011, pag. 6; vedi anche Spano, 2010, pp. 132-133); negli ultimi due anni, poi, tali risorse hanno conosciuto una rilevante contrazione. D’altra parte, in tema di assistenza sociale è venuto progressivamente crescendo il ruolo delle Regioni4. 3 La diffusa abitudine di non accompagnare i progetti con dettagliati piani finanziari, o comunque la scelta di non renderli pubblici, e di essere altrettanto sommari nelle rendicontazioni di spesa, rende problematica un’analisi disaggregata – per trasferimenti monetari, azioni di sostegno/attivazione, costi di gestione dell’intervento –, che pure sarebbe di grande interesse. 4 Il ruolo originariamente conferito all’atto della nascita delle Regioni a statuto ordinario (legge 281/1970) in materia di assistenza sociale già le poneva in una posizione privilegiata per la progettazione di azioni di contrasto ai fenomeni di 4 Rivolgiamo pertanto l’attenzione ai progetti nazionali e regionali che hanno completato l’iter legislativo e hanno trovato almeno un abbozzo di attuazione, e concentriamo l’analisi sulle seguenti misure: Il Reddito minimo di inserimento (RMI) (d.l. 237/1998); Il Reddito di cittadinanza (RdC) della Regione Campania (l.r. 2/2004); La Promozione della cittadinanza solidale (PCS) della Regione Basilicata (l.r. 3/2005); Il Reddito di base (RdB) della Regione Friuli Venezia Giulia (l.r. 6/2006); Il Reddito minimo di garanzia (RMG) della Regione Lazio (l.r. 4/2009); Il Reddito di garanzia (RG) della Provincia autonoma di Trento (Delibere della Giunta Provinciale n. 2216 del 11 settembre 2009 e n. 1524 del 25 giugno 2010); La carta acquisti o social card (SC) (legge 133/2008) e la sperimentazione della nuova social card (SCS) (legge 35/2012). Guardiamo dunque a due misure nazionali (la seconda delle quali a sua volta si biforca), peraltro lontane nel tempo – agli estremi di questi ultimi quindici anni – così come nella filosofia che le ispira, e a cinque esperienze regionali, anch’esse parecchio diverse l’una dall’altra, che decollano tra il 2004 e il 2009, qualche anno dopo la riforma del titolo V della Costituzione5. Sulla scorta delle policy questions basilari, conviene partire dalla differente impostazione assunta nel definire i beneficiari degli interventi di spesa (A1). Un primo elemento selettivo è riconducibile alla richiesta di un requisito di residenza. Nelle misure circoscritte territorialmente – tutte, esclusa la SC –, al fine di arginare fenomeni migratori ispirati dalla possibilità di beneficiarne sono sempre previsti dei requisiti di residenza antecedente alla richiesta dell’intervento. Il criterio disposto dal primo intervento nazionale, il RMI, differenzia la durata della residenza in relazione alla cittadinanza: ai cittadini dei paesi dell’UE sono richiesti almeno 12 mesi di residenza nei Comuni che effettuano la «sperimentazione», mentre i mesi salgono a 36 per i cittadini di paesi extra-UE o per apolidi. Va sottolineato che il RMI sancisce un principio di grande rilievo: il criterio per l’ammissibilità è la residenza, non la cittadinanza. A questo principio si sono conformate tutte le misure regionali di reddito minimo considerate, sia pure con vincoli variabili: residenza da almeno 12 mesi in Friuli Venezia Giulia, da 24 in Basilicata e Lazio, da 36 nella Provincia di Trento, da 60 impoverimento e di esclusione sociale. Il dilatato quadro delle competenze regionali stabilito dalla riforma del titolo V della Costituzione ha offerto ancora maggiori opportunità all’azione delle Regioni favorendone l’iniziativa pur nei limiti di una mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a livello nazionale (Spano, 2009). L’ultimo rapporto della Commissione di indagine sulla esclusione sociale (CIES, 2012) offre una descrizione tanto rassicurante quanto generica e, per molti versi, edulcorata dichiarando che: «complessivamente, sono 17 le Regioni italiane che hanno in vigore almeno un provvedimento legislativo in materia di contrasto alla povertà». Il dato sulle disposizioni legislative non è, tuttavia, risolutivo: i provvedimenti sono di diversa portata, anche molto modesta, e vi è poi notevole variabilità nella loro attuazione. Come avremo modo di mostrare, il quadro delle politiche di contrasto alla povertà operanti oggi in Italia è ben più esiguo, tutt’altro che rassicurante. 5 Per esigenze di sintesi, non prendiamo in considerazione due esperienze di reddito minimo tra le più consolidate e apprezzabili: il minimo vitale operante in Valle d’Aosta dal 1994 (Scaglia, 2010) e il sistema di assistenza economica e sociale operante nella Provincia autonoma di Bolzano dal 1973, che include anche il reddito minimo di inserimento (Critelli, 2010). Si tratta di esperienze realizzate in contesti peculiari (Regioni a statuto speciale, con dimensioni del bisogno relativamente contenute e dotazione di risorse relativamente elevata). Inoltre, per parecchi versi esse possono essere accostate alla più recente esperienza del RG della Provincia autonoma di Trento, sulla quale fermiamo l’attenzione. 5 mesi in Campania. Questo orientamento viene bruscamente abbandonato dalla social card (SC), che introduce il ben più stringente – e discriminatorio – requisito della cittadinanza. Il ritorno a un criterio imperniato sulla residenza si ha, peraltro, con la nuova social card sperimentale (SCS), della quale potranno beneficiare anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari titolari di un «permesso CE per soggiornanti di lungo periodo» (la cosiddetta “carta di soggiorno”)6. Il secondo, cruciale spartiacque fra le misure di contrasto della povertà che consideriamo è l’aderenza o meno al criterio dell’universalismo selettivo (A1), considerato sotto due altri profili: (i) se l’accesso alla misura sia previsto per i residenti/cittadini che, dati i parametri adottati, sono considerati “poveri”, ovvero, se sia ristretto a categorie di soggetti poveri identificate sulla base di criteri demografici o di altre caratteristiche personali; (ii) se la misura sia erogata a tutti coloro che, fissati i criteri, ne risultino ammissibili, ovvero sia ristretta a quanti, sulla scorta di una graduatoria, risultino al di sopra di una soglia di indigenza, ben più severa di quella che porta a qualificare i “poveri”, dettata dal vincolo del finanziamento. Quanto al primo profilo, due misure sono ristrette a specifiche categorie. L’accesso alla SC è circoscritto a famiglie con figli fino a 3 anni e a cittadini con più di 65 anni. Alla base del RMG del Lazio c’è un requisito connesso alla condizione occupazionale: essere una persona disoccupata o in cerca di prima occupazione iscritta a un Centro per l’impiego (e non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico)7; il che, si noti, sposta il fuoco dalla condizione di povertà dalla famiglia a quella della persona. Un requisito reddituale è ovviamente sempre previsto, per discriminare i “poveri” dai “non poveri”. È interessante notare, peraltro, come vi sia una marcata variabilità nelle definizioni del reddito familiare e delle soglie di povertà. Si passa, infatti, dalla somma dei redditi riferiti al nucleo familiare – composto dal richiedente, dalle persone con le quali convive e da quelle considerate a suo carico ai fini Irpef8 – prevista dal RMI, con soglia fissata inizialmente, per il 1998, a 500.000 lire mensili per una persona e incrementata per nuclei familiari di dimensioni maggiori secondo una scala di equivalenza, a procedure e quantificazioni decisamente differenti. La soglia di povertà del nucleo familiare è di 5.000 euro annui per la Campania: si noti, indipendentemente dalla dimensione della famiglia. Nel caso della Basilicata l’individuazione delle soglie per l’accesso ai 6 Quello dei requisiti di residenza resta un tema molto delicato. Vale la pena di ricordare che la Regione Friuli Venezia Giulia si è trovata a fronteggiare una procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea contro la normativa regionale in materia sociale. L’azione promossa da Bruxelles aveva preso di mira la incongrua varietà, in termini di anzianità della residenza, dei requisiti di accesso a diverse prestazioni sociali. Infatti, si era venuta a determinare (e non solo nel Friuli, per la verità) una situazione in cui, per accedere a sussidi quali la “Carta famiglia”, il bonus bebè, gli assegni di studio – o per accedere alle graduatorie dell’edilizia popolare – i requisiti in termini di anni di residenza andavano da un minimo di 5 fino a un massimo di 10 anni. A fronte della procedura promossa dalla Commissione europea, la Regione è intervenuta con la l.r. 16/2011, che ha fatto ordine fissando per l’accesso ai servizi sociali un unico requisito di residenza di 2 anni per cittadini italiani, comunitari ed extra-comunitari titolari di “carta di soggiorno” o dello status di rifugiati o di protezione sussidiaria. La stessa legge regionale, poi, ha esteso l’accesso agli extracomunitari titolari di carta di soggiorno non inferiore a un anno, innalzando però il requisito di anzianità residenziale a 5 anni, dei quali 2 in regione. Quest’ultima disposizione è stata peraltro impugnata del Governo italiano, ed è ora al vaglio della Corte Costituzionale. 7 Soni inclusi inoltre due altri, piccoli insiemi di ammissibili: «i lavoratori precariamente occupati [...] e i lavoratori privi di retribuzione», così come definiti all’art. 2, sub d) ed e), della stessa l.r. 4/2009. 8 I redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono considerati per il 75%. 6 benefici del PCS fa riferimento al reddito risultante dall’indicatore della situazione economica equivalente (Isee)9; il trasferimento monetario parte da 3.961 euro per un nucleo formato da una persona e varia poi in relazione alla composizione del nucleo familiare secondo un’opportuna scala. Per il RdB del Friuli Venezia Giulia è stato elaborato uno specifico indicatore della capacità economica equivalente, denominato CEE, e la soglia per l’accesso è stata posta pari a 5.000 euro. Anche la Provincia autonoma di Trento ha adottato uno specifico indicatore della condizione economica familiare equivalente, denominato ICEF10, fissando una soglia di accesso pari a 6.500 euro. Radicalmente diverso è il caso del Lazio: il riferimento è al reddito personale imponibile dell’iscritto/a ai Centri per l’impiego, che non deve essere superiore a 8.000 euro11. Quanto al secondo profilo dell’universalismo selettivo (A1), la distinzione basilare è se, una volta individuata la platea dei “poveri”, il sostegno monetario vada a tutti oppure sia ristretto, sulla scorta di una graduatoria decrescente del livello di indigenza, a quanti risultino al di sopra di una soglia, più bassa – tipicamente parecchio più bassa – della soglia di povertà, dettata dal vincolo del finanziamento. In effetti tutte le misure di contrasto della povertà, essendo poste in capo ad amministrazioni pubbliche, sono sottoposte all’operare di un vincolo di bilancio. Una misura mirata a contrastare il fenomeno della povertà dovrebbe poter garantire a tutti i soggetti ammissibili di beneficiare dell’intervento, il che, tra l’altro, consentirebbe un’accessibilità (così come il suo venir meno) pressoché continua nel tempo – al variare delle condizioni economiche della famiglia – e una tempestiva erogazione “a sportello”. Operativamente ciò richiede una dotazione iniziale di risorse congrua oppure l’esplicita possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria necessaria, possibilità peraltro prevista solo nel caso del RG della Provincia di Trento. Quando vi è il vincolo del finanziamento sottodimensionato, invece, si procede forzatamente per bandi e conseguenti graduatorie, determinando il livello di accesso, quindi i beneficiari, in relazione ai fondi disponibili. Nella prima categoria si collocano il RMI, la SC (sia pur nella sua angustia categoriale e nell’esiguità del sostegno monetario), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG della Provincia di Trento. Operano, invece, secondo la logica “a bando”, quindi con la formazione di graduatorie, il RdC della Campania, il PCS della Basilicata, il RMG del Lazio e, di massima, la social card sperimentale (SCS). La logica delle graduatorie ha posto in evidenza diversi aspetti critici, di alcuni dei quali diremo nel seguito. Osservando la natura e la quantificazione dell’intervento, è possibile identificare altri due importanti spartiacque. Da un lato, essi consentono di distinguere le politiche che prevedono un trasferimento monetario variabile, il quale integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà stabilita (o copra almeno parte del divario, che è comunque il termine di riferimento per definire l’entità del trasferimento) oppure, all’opposto, un’erogazione in cifra fissa (A2). Dall’altro lato essi differenziano le misure che prevedono la sola erogazione monetaria da quelle che la affiancano con interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro (A3). 9 D.Lgs. 109/1998 e successive modificazioni. Sugli indicatori CEE e ICEF forniamo qualche ulteriore ragguaglio rispettivamente nelle sezz. 3.2 e 3.3. 11 Tipicamente, si guarda al reddito nell’anno precedente quello per il quale si fa domanda della misura. 10 7 Posto che una politica di contrasto della povertà comporta sempre un trasferimento monetario, sia la carta acquisti (SC) che il RdC della Campania e il RMG del Lazio agiscono con una erogazione monetaria in cifra fissa – pari rispettivamente, per un anno, a 480 euro per la SC, 4.200 euro per il RdC della Campania e 7.000 euro per il RMG del Lazio12 –, trascurando il potenziale di iniquità distributiva che questa scelta comporta tra chi è molto vicino e chi invece è molto lontano dalla soglia di povertà, così come tra chi vive da solo o in un nucleo familiare numeroso. Diversamente dalla SC (per la quale la scelta può forse risultare comprensibile, ammesso che se ne condivida il palese schierarsi sul versante della beneficenza, attestato dall’esiguità del trasferimento), sia per il RdC della Campania che per il RMG del Lazio una parte di questa rigidità avrebbe potuto, o meglio dovuto, essere temperata dall’integrazione del trasferimento monetario con altri interventi previsti dalla rispettive leggi istitutive. Nel primo caso la soluzione era abbozzata, col rimando alla necessità di inserire il RdC nella programmazione dei piani di zona, per agevolare una gestione integrata del sistema di interventi. Per parte sua, la legge laziale richiamava esplicitamente la responsabilità degli enti locali, definendo «benefici indiretti» – peraltro tutti in chiave di ulteriore sostegno del reddito e non di attivazione – che essi avrebbero dovuto assicurare ai beneficiari attraverso una serie di interventi quali la circolazione gratuita sui mezzi pubblici, la gratuità dei libri di testo scolastici, l’ingresso ad attività e servizi di carattere culturale ricreativo o sportivo, fino a contributi al pagamento del canone di locazione e delle forniture di pubblici servizi. Entrambe queste indicazioni non hanno, tuttavia, trovato seguito. Sempre sul versante della quantificazione del sostegno monetario, la scelta in favore di un trasferimento che integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà informa sia la sperimentazione del RMI che alcune misure regionali: il PCS della Basilicata (dove l’integrazione porta il reddito familiare equivalente prossimo alla soglia), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG di Trento. Queste misure sono anche accomunate dal fatto che, sia pure con specificazioni in parte diverse – e con differenze forse ancora maggiori nella realizzazione – esse prevedono interventi di attivazione che richiedono la sottoscrizione da parte del beneficiario di un patto, vincolante a pena di decadenza dalla misura. A un analogo criterio di integrazione del reddito familiare si ispira anche la SCS, seppur in maniera parziale (data la soglia di reddito molto bassa fissata per l’ammissibilità: un Isee non superiore a 3.000 euro): l’integrazione, infatti, varia soltanto in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare. Quanto a interventi di sostegno sociale e di attivazione, spetta poi ai Comuni, che erogheranno la SCS, affiancarli al trasferimento monetario. Indubbiamente la lotta alla povertà può avere successo soltanto agendo su più dimensioni: quella del sostegno economico, quella dell’inserimento lavorativo, quella dell’integrazione sociale perseguita su diversi piani. Si tratta di uno spartiacque di fondamentale importanza, rispetto al quale è bene essere consapevoli che il successo di una misura di contrasto della povertà non può tradursi né nella conquista di una condizione di autonomia da parte di tutti i poveri né, tanto meno, nella 12 Nel caso del Lazio, per la verità, esiste anche un’ipotesi di erogazione variabile che riduce l’importo erogato in proporzione alla presenza – e all’ammontare – di redditi, ipotesi che vale per beneficiari con lavori discontinui. 8 duratura garanzia del sussidio a tutti i poveri, a prescindere dalla loro assunzione di impegni per (ri)entrare nella vita attiva. I fattori che danno luogo a una condizione di povertà sono molti e, sovente, persistenti. L’azione di contrasto della povertà deve dunque diventare capace di distinguere il sottoinsieme dei poveri composto da anziani, persone con disabilità o prolungati problemi di salute, ecc., dai beneficiari che sono in grado di realizzare, sia pure in misura e forme differenziate, una partecipazione alla vita attiva. Per i primi l’intervento sarà di politica sociale passiva, funzionale a garantire le risorse economiche essenziali per uno standard di vita accettabile e una dignitosa integrazione sociale. Per i secondi, invece, è possibile, e necessario, agire con politiche di attivazione, che tra l’altro contengano il disincentivo al lavoro derivante dall’effetto reddito prodotto dal trasferimento monetario. In questi casi ha senso porre in essere interventi contraddistinti da obblighi reciproci – dell’amministrazione pubblica e dei beneficiari –, con penalità per la non ottemperanza da parte di questi ultimi. Nel panorama delle misure di contrasto della povertà nostrane questa dimensione di efficace attivazione non trova molti riscontri. Pesa negativamente, soprattutto, lo scarto fra leggi sul reddito minimo enfatiche da un lato, e dall’altro lato le debolezze nella specificazione operativa dell’intervento e l’esiguità delle risorse, finanziarie e umane, messe in campo. I casi della Campania e del Lazio sono emblematici. Si pensi, ad esempio, all’azione contro la povertà della Campania: collocata fra la titolazione più ambiziosa che si possa utilizzare – «reddito di cittadinanza»: un reddito universale, non selettivo, slegato da qualsiasi obbligo –, un piano di attuazione costretto da un forte vincolo del finanziamento e informato a criteri a dir poco non convincenti, una situazione economica e sociale drammaticamente deteriorata, essa ha finito per assumere i caratteri di un sussidio per pochi – i nuclei familiari beneficiari sono stati il 15% degli ammissibili –13. Cambiato quel che si deve cambiare, analoghe considerazioni valgono per il RMG del Lazio, che ci offre un altro spaccato istruttivo. Sul fronte delle condizionalità la legge laziale appare tanto ambiziosa quanto velleitaria: a fronte di un disoccupato che riceva un’offerta di lavoro, nel disciplinare il legame tra diritto al RMG e adesione all’offerta di lavoro essa introduce la nozione di «congruità» che deve avere l’offerta perché il suo rifiuto porti alla decadenza dalla misura14. Nelle intenzioni del legislatore laziale, la congruità tutela il lavoratore contrastando la perdita di reddito e di capitale umano provocata da un collocamento a prescindere dal precedente salario e dalle competenze (Gobetti, 2012). Preoccupazione in astratto condivisibile: ma rimarcata con una sorprendente unilateralità, mentre è ben nota la debolezza degli obblighi tipicamente previsti nel “patto di servizio” di un iscritto a un Centro per l’impiego e la legge è silente sulle politiche di attivazione. 13 Sul tema si può fare riferimento alla documentata analisi di Agodi e De Luca Picione (2010). Fa in parte eccezione l’esperienza del Comune di Napoli, che ha gestito l’intervento autonomamente, ha coinvolto nel processo di gestione il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Napoli ed ha mobilitato il cosiddetto “privato sociale” in programmi di accompagnamento sociale dei nuclei ammessi alla misura (vedi Gambardella, 2010). 14 Così il comma 6 dell’art. 6 della l.r. 4/2009: «Non opera la decadenza [dalle prestazioni] nella ipotesi di non congruità della proposta di impiego, ove la stesa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto interessato, delle professionalità acquisite, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e informali in suo possesso, certificate dal centro per l’impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un bilancio di competenze». 9 Insieme con l’acuirsi delle ristrettezze di bilancio, queste incoerenze hanno gravato sull’esito del RdC campano e del RMG laziale: generando aspettative irrealistiche, un sovraccarico amministrativo per gli enti erogatori soprattutto nelle due metropoli – per il gran numero delle domande –, un allungamento nei tempi di erogazione, la torsione dei due interventi in mero sussidio per pochi, tensioni sociali e la frustrazione degli esclusi; in definitiva decretandone l’insuccesso15. Concludiamo l’analisi delle policy questions basilari guardando alla dimensione temporale (A4). La natura dei bisogni con i quali ci si confronta richiederebbe politiche strutturali, durature. In questa prospettiva, le esperienze italiane che stiamo considerando mostrano, nell’insieme, forti debolezze, riassumibili nel fatto che sinora hanno spesso trovato ostacoli insormontabili nell’andare oltre la fase sperimentale. Oggi, infatti, l’unica misura ancora pienamente attiva dopo la sperimentazione è il RG della Provincia di Trento. Attive sono poi il PCS della Regione Basilicata (del quale, essendo co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, servirà peraltro capire cosa accadrà con il nuovo ciclo della programmazione comunitaria 2014-2020) e la SC, per la quale non si conoscono tuttavia gli orientamenti in ordine al finanziamento dal 201416. Un elemento significativo di questa sorta di precarietà delle politiche di contrasto della povertà si può riconoscere, sia pur con la cautela del caso, anche dalla fissazione della durata massima di permanenza nella misura. Normalmente la durata massima è di 12 mesi, con una variante estensiva in Basilicata dove arriva fino a 24 mesi e, all’opposto, con una limitazione a 4 mesi nella Provincia di Trento, peraltro estendibili fino ad un massimo di 16 mesi nell’arco di due anni permanendo le condizioni di ammissibilità (e anche oltre, previo parere dei servizi sociali, per persone non abili al lavoro). La cautela si impone perché alla base della fissazione di queste durate vi può essere la preoccupazione del decisore pubblico di un rischio di deriva della misura, che, difficile da gestire sul terreno delle condizionalità, potrebbe lasciar consolidare comportamenti opportunistici. Tuttavia, l’orientamento è rivelatore anche della carenza di un orizzonte di lungo periodo, che porterebbe inevitabilmente a interrogarsi sul diverso taglio che una politica di contrasto della povertà dovrebbe avere nei confronti di diversi insiemi di destinatari e delle diverse dimensioni della condizione di povertà (strutturale piuttosto che temporanea) richiamate anche in precedenza. Dalla ricognizione condotta usando come griglia le policy questions basilari (blocco A), emerge con chiarezza come non tutti gli interventi proposti negli ultimi quindici anni come strumenti per la lotta alla povertà rispondessero alle condizioni richieste almeno per aspirare ad affermarsi come politiche adeguate all’obiettivo. Non nel loro disegno per via normativa; ancor meno nella loro realizzazione17. L’analisi sin qui svolta trova un utile compendio, e informazioni integrative, nel Prospetto 3, nel quale, per consentire una corretta – e immediata – comparazione degli interventi, gli aggregati monetari sono tutti riferiti all’anno e sono espressi in euro a prezzi costanti, anno 2011. 15 Il RdC campano, introdotto nel 2004 a titolo sperimentale per un triennio, venne teoricamente rinnovato per due trienni, ma chiuso nel giugno 2010. Il RMG laziale, introdotto a titolo sperimentale nel 2009 per 5 anni, viene interrotto dopo un anno. 16 Si appresta a decollare, poi, in chiave sperimentale e per un solo anno, la SCS. 17 Fatta salva l’affermazione di grandi princìpi, che tipicamente trova posto in carte costituzionali o in “dichiarazioni” similari, una norma vale per quello che produce, molto meno – o per niente – per quel che proclama. 10 Letto anche nel senso delle righe, cioè focalizzando l’attenzione di volta in volta su una delle misure esaminate, esso appare illuminante. -------------------------------------Prospetto 3 circa qui -------------------------------------A valle di questa analisi, operiamo quindi una partizione delle esperienze sin qui considerate. Nella prospettiva dell’adozione di una persuasiva misura nazionale di contrasto della povertà improntata all’universalismo selettivo e alle altre caratteristiche delineate nella pagine di apertura, concentriamo l’approfondimento degli aspetti operativi sugli interventi che più possono tornare utili per apprendere positivamente dall’esperienza. Tralasciamo, quindi, gli interventi della Campania e del Lazio, decisamente distanti dal nostro obiettivo. E tralasciamo anche il programma di promozione della cittadinanza sociale della Regione Basilicata, che pure per molti aspetti è di indubbio interesse, perché anch’esso opera col vincolo dello stanziamento, il che porta alla formazione di un graduatoria di famiglie ammissibili e alla selezione di un sottoinsieme di beneficiarie18. In definitiva, fermiamo l’attenzione sul RMI, sul RdB del Friuli Venezia Giulia e sul RG di Trento; ad essi aggiungiamo poi la SC, e la SCS che si avvia ad affiancarla, per la dimensione nazionale e per il solido impianto organizzativo sul quale poggia. 3. La rivisitazione delle esperienze più significative 3.1 Il reddito minimo di inserimento (RMI) 3.1.1 Una sintetica presentazione della misura Il Reddito Minimo di Inserimento (RMI) venne istituito in via sperimentale in 39 Comuni italiani con la legge finanziaria per il 1999, nel quadro delle indicazioni del rapporto della “Commissione Onofri”, istituita dal primo governo Prodi (1996-1998) all’avvio della legislatura. Un ampliamento della sperimentazione si ebbe poi nel 2001 e il numero di Comuni coinvolti fu esteso a 306 (legge 328/2000). Esso fu poi definitivamente abbandonato alla fine del 2004, dopo che il governo Berlusconi (2001-2006) aveva stabilito la sua (nominalistica) evoluzione nel Reddito di ultima istanza, senza però provvedere alla sua definizione e implementazione19. L’introduzione del RMI costituì uno dei punti cardine di una serie di iniziative volte a innovare il sistema di welfare del nostro paese. Esso cercava di intaccare consolidate arretratezze del sistema di protezione sociale italiano, combinando un’erogazione monetaria volta a fronteggiare le situazioni di grave povertà economica a progetti di reinserimento sociale e/o lavorativo finalizzati a 18 La frazione di famiglie beneficiarie sulle ammissibili è peraltro abbastanza consistente, dell’ordine del 43% (Regione Basilicata, 2008; Abusi e Nigro, 2010). Una ulteriore difficoltà emersa nell'esperienza del PCS è riconducibile alla mancanza di opportunità di lavoro in Basilicata, che ha lasciato percentuali significative di beneficiari “parcheggiati” nei percorsi formativi o inseriti nel mondo del lavoro solo grazie a forti riduzioni, temporanee, del costo del lavoro (Abusi, 2009). 19 L’unica esperienza riferibile al reddito di ultima istanza è quella della Regione Veneto, che ha utilizzato questa soluzione per non interrompere l’esperienza avviata dal Comune di Rovigo fin dalla prima sperimentazione del RMI (Spano, 2009). 11 superare la situazione di non autosufficienza economica. Inoltre, il RMI si presentava come una misura di lotta alla povertà finanziata attraverso la fiscalità generale, che per la prima volta risultava di stampo universalistico e, al tempo stesso, selettiva. Con questo intervento si intendeva avviare il superamento dell’impianto settoriale degli interventi contro la povertà operanti sino ad allora in Italia20. Il RMI si fondava su un’integrazione monetaria variabile a seconda delle condizioni economiche dei beneficiari. Il trasferimento era pari alla differenza tra la situazione economica familiare e una soglia di povertà fissata per il 1998 in 500.000 lire mensili per una persona, incrementata in maniera predeterminata negli anni successivi per far fronte all’aumento del costo della vita. Il valore soglia per famiglie di diverse dimensioni era stabilito sulla base di una scala di equivalenza basata sul numero dei componenti il nucleo familiare. Il pagamento avveniva mensilmente e ai fini fiscali l’integrazione del reddito era equiparata alle pensioni sociali. Come anticipato, la misura prevedeva progetti di accompagnamento dei beneficiari, la cui attuazione spettava ai Comuni, per i quali erano stabiliti impegni nell’organizzazione del servizio di gestione del RMI e nella predisposizione e realizzazione dei programmi di integrazione sociale. Questa componente di attivazione era parte fondamentale del disegno del RMI, inteso come misura di contrasto di situazioni di marginalità non solo in una prospettiva monetaria, ma anche nell’ottica dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale. In linea di principio questi interventi dovevano essere svolti da ciascun membro della famiglia beneficiaria, pena la sospensione o l’esclusione dal programma. Tali interventi dovevano inoltre essere progettati in modo specifico per far fronte alle esigenze del singolo beneficiario. Per i minori, ad esempio, potevano prevedere l’accompagnamento durante gli anni di obbligo scolastico, in modo da evitare fenomeni di abbandono e/o percorsi formativi professionalizzanti in grado di favorire l’indipendenza economica attraverso l’ingresso nel mercato del lavoro. Al reinserimento lavorativo era rivolta particolare attenzione, soprattutto con riferimento ai soggetti beneficiari in età attiva e idonei al lavoro. Per questi soggetti era obbligatoria l’iscrizione ai Centri per l’impiego (nel seguito, CpI) e la partecipazione alle attività da essi proposte, come corsi di formazione professionale o, se necessario, di alfabetizzazione. Pena l’esclusione dal programma, i beneficiari dovevano accettare un’eventuale offerta di lavoro proposta dai CpI. Per incentivare il reingresso nel mercato del lavoro anche di persone in forte condizione di marginalità si incentivavano forme di lavoro protetto o socialmente utile (tirocini presso gli uffici comunali, mantenimento di parchi pubblici, collaborazione nelle mense scolastiche, ecc.), anche coadiuvate da supporto nelle incombenze di cura domestica, specialmente per madri sole. Dal punto di vista dell’inclusione sociale i progetti prevedevano solitamente la partecipazione ad attività di volontariato e associazionismo, nonché percorsi di riabilitazione per persone con disabilità o soggette all’abuso di sostanze illecite (Sacchi e Bastagli, 2005). 20 Va ricordato che la misura più simile ad un reddito minimo garantito a livello nazionale era ed è tutt’ora rappresentata dalle pensioni sociali, che sono, di fatto, l’unico paracadute contro la povertà monetaria, ma solo per la popolazione con più di 65 anni, con insoddisfacenti capacità di targeting, dato che solo il 50% dei beneficiari di pensione sociale si trova al di sotto della linea di povertà (Baldini, Bosi e Toso, 2000). 12 Il RMI era rivolto ai soggetti residenti nei Comuni soggetti alla sperimentazione da almeno 12 mesi, estesi a 36 per i cittadini di stati non UE. L’ammissibilità al RMI anche di cittadini non italiani, purché residenti (dalle durate appena dette) nei Comuni inclusi della sperimentazione, conferma la natura universale della misura e l’intento del legislatore di contrastare la formazione di trappole di povertà per categorie di persone particolarmente a rischio quali gli immigrati. 3.1.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi La misura della condizione economica delle famiglie rappresenta un nodo cruciale nella definizione di ogni programma di contrasto della povertà, dato che concorre a definirne il requisito chiave per l’ammissione. A questo riguardo, va innanzitutto chiarito che, a differenza di altre misure che verranno esaminate nel seguito, la condizione patrimoniale veniva considerata come criterio di ammissibilità e non come una delle componenti che concorrono al calcolo della condizione economica. Infatti, per essere ammessi al RMI, i richiedenti dovevano essere privi di patrimonio sia mobiliare (titoli di stato, azionari, obbligazionari, di deposito, ecc.) che immobiliare, con l’esclusione della prima casa, intesa come quella adibita a residenza principale e con valore comunque non eccedente una certa soglia indicata dal singolo Comune. Per quanto riguarda il calcolo della condizione economica, esso si basava sulla somma dei redditi presentati in sede di dichiarazione fiscale. I redditi da prendere in considerazione erano quelli riferiti al nucleo familiare, composto dal richiedente, dalle persone con le quali conviveva e da quelle considerate a suo carico ai fini dell’Irpef. In particolare, va notato che tra i vari tipi di reddito quelli da lavoro erano conteggiati in modo diverso, concorrendo solo per il 75% del loro ammontare. Tuttavia, muovendo dal margine di manovra loro lasciato, i Comuni applicarono il decreto istitutivo del RMI in maniera diversificata, in parecchi casi disattendendone in parte le disposizioni. Alcune amministrazioni locali utilizzarono scale di equivalenza diverse da quella prevista, altre modificarono le soglie di povertà per adattarle al contesto socio-economico, altre ancora arrivarono ad adottare – almeno nella prima fase della sperimentazione – i criteri di calcolo della condizione economica secondo l’Isee (Ministro della Solidarietà Sociale, 2007). La discrezionalità lasciata ai – o meglio, per molti versi dilatata dai – Comuni si manifestò anche nell’applicazione di ulteriori detrazioni alla somma dei redditi qualora alcune spese (come il canone di locazione, il mutuo per la casa di abitazione, le spese mediche) fossero ritenute particolarmente onerose per le famiglie. Di fatto, metà delle amministrazioni comunali coinvolte nella sperimentazione applicarono detrazioni per l’affitto, con importi variabili. Alcuni Comuni applicarono la detrazione del 25%, prevista dal decreto attuativo per i soli redditi da lavoro, anche ai redditi da pensione. V’è da notare, inoltre, che sempre ai Comuni era stata demandata la definizione di “criteri di priorità”, ammettendo cioè discrezionalità nell’identificare categorie di soggetti particolarmente bisognose nel caso lo stanziamento assegnato imponesse razionamento. Come risultato, alcuni Comuni definirono criteri di preferenza a prescindere da un previo vaglio dell’inadeguatezza dello stanziamento rispetto ai potenziali beneficiari (inadeguatezza che, peraltro, non si manifestò): alcuni 13 diedero priorità all’emergenza abitativa, altri privilegiarono la povertà “rurale”, di fatto intaccando la logica universalistica del RMI. È evidente che lasciare ampi spazi di manovra alle amministrazioni locali in aspetti cruciali – come la prova dei mezzi – dell’attuazione di un intervento nazionale possa essere causa di frammentazioni territoriali incontrollate, che rischiano di «togliere elementi di certezza e quindi di trasparenza all’istituto e alla situazione di bisogno che fronteggia» (IRS, Fondazione Zancan e Cles, 2001, pag. 20)21. 3.1.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la gestione del RMI Sebbene fossero diversi gli attori istituzionali coinvolti nell’attuazione del RMI, un ruolo centrale era ricoperto dai Comuni, singoli o associati a livello di ambito. Alle amministrazioni locali spettava il compito di interfaccia: a loro si rivolgevano i cittadini per richiedere qualsiasi informazione inerente il RMI e per la presentazione delle domande di ammissione al beneficio. Dopo la verifica dei requisiti di ammissibilità, il Comune doveva garantirne il trasferimento monetario entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. Ai Comuni spettava inoltre il delicato compito di attivare le opportune collaborazioni di altri enti e associazioni, in modo da definire i progetti di reinserimento lavorativo e sociale specifici per ogni soggetto, oltre che di controllarne l’operato. Più in generale, ai Comuni spettava la gestione finanziaria della misura. Vista la centralità dei Comuni nella gestione del RMI, era anche richiesto loro di riferire direttamente al Ministro per la solidarietà sociale sui costi legati all’attuazione delle misura. Per i Comuni, infatti, il carico finanziario era notevole, poiché dovevano far fronte con risorse proprie ai costi amministrativi e organizzativi per la gestione dell’intervento, incluso l’aumento dei costi del personale che la realizzazione dell’intervento poteva comportare. Per quanto riguarda il finanziamento dei trasferimenti monetari, ai Comuni era richiesto di partecipare con un contributo del 10%. Il 90% dell’ammontare della spesa necessaria era invece a carico del bilancio dello Stato, al quale chiaramente spettava la definizione dei criteri e delle procedure da attuare. 3.1.4 I numeri del RMI Come già anticipato, la prima sperimentazione, avvenuta nel biennio 1999-2000, coinvolse 39 Comuni; a questi ne furono aggiunti 276, componenti di patti territoriali che includevano alcuni dei 39 Comuni iniziali, per la seconda sperimentazione avviata nel 2001. Per la prima fase di sperimentazione furono stanziati 370 miliardi di lire; il 10% di questa cifra non venne tuttavia speso (a conferma che la logica dell’universalismo selettivo poteva trovare attuazione piena) e servì a finanziare la seconda sperimentazione. Nonostante il decreto attuativo indicasse che anche i 21 Ciò non significa disconoscere che sarebbe auspicabile ammettere soglie di povertà (e quindi integrazioni al reddito) differenziate sul territorio nazionale, ma definite in sede di istituzione della misura, in maniera argomentata e trasparente. Indicizzare la soglia di povertà al livello del costo della vita, per ripartizioni e/o per dimensione dei comuni, risulterebbe particolarmente importante in un paese come l’Italia, caratterizzato da divari territoriali marcati nel reddito pro-capite. Per un approfondimento si rimanda alla proposta in Boeri et al. (2007) e all’esercizio di simulazione condotto da Monti e Pellizzari (2010). 14 Comuni dovessero provvedere al finanziamento della componente monetaria del RMI, seppur nella contenuta misura del 10%, 14 dei 39 Comuni non vi parteciparono. Nei primi due anni beneficiarono del RMI quasi 35.000 famiglie (oltre 100.00 individui), di cui il 90% residente in Comuni del Sud o nelle isole (a fronte di un 84% della popolazione dei 39 Comuni residente in uno dei 24 Comuni delle regioni meridionali). Dai dati sui beneficiari appare evidente che le regioni del Sud furono quelle che fecero maggiormente ricorso alla misura: delle famiglie residenti nei comuni del Nord solo 1,4% risultò beneficiaria, mentre al Sud questa proporzione triplicò, arrivando al 4,5% (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001). Le informazioni a disposizione non sono tuttavia in grado di chiarire se questo divario fosse dovuto interamente a differenze nella condizione economica delle famiglie o se vi concorresse anche una diversa propensione a presentare domanda. Delle 25.000 famiglie beneficiarie di RMI al 31 dicembre 2000, il 60% erano coppie con figli e quasi il 15% famiglie monogenitoriali. Quasi la metà dei circa 86.000 individui beneficiari del RMI risultava ancora inattivo nel mercato del lavoro e, tra gli attivi, ben il 46% disoccupato. Di questi solo uno su dieci risultava aver effettuato ricerche attive di lavoro (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001). 3.1.5 La valutazione degli effetti del RMI La normativa sul RMI si segnala anche per una nuova, più consapevole attenzione all’esigenza di monitorare e valutare la «sperimentazione» 22 . Il d.l. 237/1998 vi dedica l’intero art. 13, che precisa l’obiettivo in termine di valutazione sia delle modalità di svolgimento (quel che oggi diremmo monitoraggio) che degli effetti; stabilisce che l’incarico sia affidato ad un ente o società, a seguito di una procedura di selezione tramite apposito bando; riserva alla valutazione fino allo 0,3% dello stanziamento destinato al RMI per il triennio 1998-2000. Queste indicazioni, pienamente messe in atto (bando, affidamento a una società, finanziamento prossimo all’entità prevista), hanno consentito di disporre di una ampia documentazione e di un buon monitoraggio della realizzazione «sperimentale» del RMI, non certo di una credibile valutazione dei suoi effetti, che potesse fornire credibili «indicazioni […], nella prospettiva di una generalizzazione dell’istituto all'intero territorio nazionale» (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001; Ministro della Solidarietà Sociale, 2007). I motivi che hanno reso impraticabile una valutazione degli effetti del RMI sono vari. Il principale risiede nel fatto che l’intervento non è stato disegnato e attuato in maniera coerente con l’obiettivo di valutarne gli effetti. I Comuni nei quali si è realizzato l’intervento sono stati selezionati con scelta “ragionata”, e ad essi non è stato affiancato un appropriato gruppo di controllo, formato da Comuni simili ai primi ma non coinvolti nella «sperimentazione», dal quale poter trarre un campione di soggetti esclusi dal RMI ma simili ai beneficiari. Né sui due gruppi di soggetti, beneficiari e (ipotetici) controlli, sono state poi rilevate adeguate informazioni pre- e post22 È questo il termine usato, in verità con un’evidente ambiguità. Si tratta, infatti, di un intervento-pilota posto in essere sì con l’esplicito intento di «valutar[ne] l’efficacia» (art. 13), ma senza porre un essere un disegno sperimentale, vuoi con randomizzazione vuoi con abbinamento di casi e controlli, essenziale per una credibile valutazione dell’efficacia. 15 intervento, che consentissero di stimare credibilmente le variazioni determinatesi nelle condizioni e negli stili di vita, rispettivamente in presenza e in assenza del RMI, e inferire quindi l’effetto del RMI per differenza (il campione di controllo mimando quel che sarebbe accaduto ai beneficiati qualora l’intervento non fosse stato realizzato)23. Per di più, i margini di discrezionalità lasciati alle – o comunque esercitati dalle – amministrazioni comunali nella specificazione dei criteri per la determinazione della condizione economica, quindi per la prova dei mezzi e la selezione dei soggetti beneficiari, rende problematico lo stesso confronto fra Comuni coinvolti nella sperimentazione. Sul RMI rimane, dunque, il buon monitoraggio, incentrato sui diversi Comuni, prodotto da IRS, Fondazione Zancan e CLES (2001). L’ipotizzata pubblicazione del rapporto, peraltro, coincise con l’insediamento del nuovo esecutivo, che decise di non darvi diffusione rendendolo in sostanza indisponibile. I contenuti del rapporto furono in buona parte ripresi, e resi noti, soltanto nella relazione del Ministro per la solidarietà sociale al Parlamento nel giugno del 2007. Informazioni a livello individuale, ossia riferite ai singoli beneficiari del RMI, in alcuni Comuni coinvolti nella sperimentazione sono comunque state raccolte e rese disponibili dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti.24 Anche alla luce di queste evidenze, il RMI si presenta come un occasione in larga parte perduta anche dal punto di vista conoscitivo, nella prospettiva di porre in essere una persuasiva misura di lotta alla povertà su scala nazionale. 3.1.6 I controlli sul RMI: i falsi positivi La discrezionalità lasciata dal decreto istitutivo ai Comuni in fase di attuazione del RMI ha anche comportato sostanziali differenze per quanto riguarda la tempistica, le modalità e i contenuti relativi alle attività di verifica e controllo delle informazioni presentate insieme alla domanda di partecipazione al beneficio. Anche su questo fronte, dunque, si dispone di una sorta di molteplici studi di caso, riferiti ai singoli Comuni, più che di un monitoraggio sistematico e integrato di uno studio-pilota nazionale. Di interesse è il caso di Foggia, dove i controlli sono stati particolarmente rigorosi, in conseguenza di una serie di sentenze del TAR che hanno riammesso al beneficio famiglie inizialmente escluse dal RMI perché, come previsto dal decreto istitutivo, proprietarie della casa di abitazione. L’amministrazione ha infatti coordinato il lavoro di diversi enti (Guardia di finanza, Ufficio tecnico erariale, ecc.) al fine di individuare eventuali falsi positivi. Come risultato, è aumentato il numero di rinunce alla partecipazione al programma che sono passate dal 4% nel 2000 al 10% nel 2002 (ultimo anno per il quali i dati sono stati resi disponibili), plausibilmente proprio per l’aspettativa di possibili controlli. L’entità delle rinunce è stata particolarmente marcata tra le 23 Per una introduzione alla rilevanza della valutazione degli interventi pubblici, del cosiddetto “paradigma controfattuale” ormai consolidato negli studi degli effetti delle politiche pubbliche e di alcune buone pratiche si rimanda a Trivellato (2010) e Martini e Trivellato (2011). 24 I dati sono disponibili all’url http://www.frdb.org/topic/data-sources/doc_pk/10124 e liberamente scaricabili previa registrazione. Un’accurata analisi sui beneficiari dei comuni di Rovigo e Foggia è in Boeri et al. (2007, pp.173-181). 16 domande presentate da famiglie che dichiaravano la presenza di un componente con una qualche forma di invalidità. Va inoltre segnalato che uno dei controlli messi in atto dal Comune di Foggia che maggiormente si è rivelato efficace è stato quello di richiedere ai beneficiari che si dichiaravano disoccupati di partecipare ai progetti di integrazione sociale e attivazione al lavoro che si tenevano in orario di lavoro. Il problema del lavoro irregolare è infatti una questione critica, difficilmente rilevabile, specie se la prova dei mezzi si basa sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef (o se, oggi, si usasse l’Isee). Organizzare progetti di reinserimento durante l’orario di lavoro e renderne la partecipazione obbligatoria ai beneficiari disoccupati si è, invece, mostrata una strada efficace, e poco costosa, per contrastare comportamenti opportunistici. 3.2 Il reddito di base per la cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (RdB) 3.2.1 Una sintetica presentazione della misura La l.r. 6/2006 della Regione Friuli Venezia Giulia, intitolata «Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale», aveva introdotto con l’art. 59 il Reddito di base e progetti di inclusione per la cittadinanza sociale (RdB). Con l’art. 9 della successiva l.r. 9/2008 l’art. 59 della legge sul sistema integrato di interventi e servizi è stato abrogato, e contestualmente è stato introdotto il “Fondo per il contrasto ai fenomeni di povertà e disagio sociale”. È stata così decisa la chiusura anticipata della sperimentazione del RdB, prevista per 5 anni e, nei fatti, durata meno di 9 mesi, dal 7 settembre 2007 fino al 31 maggio 2008. Potrebbe fermarsi qui la ricostruzione di questa esperienza. Ma vale la pena non disperdere il patrimonio conoscitivo accumulato nella progettazione e nelle prime evidenze raccolte nel pur breve periodo di attuazione del RbB. In estrema sintesi, si può dire che il RdB era stato pensato e costruito con una chiara ispirazione all’universalismo selettivo, con una dichiarata volontà di superare interventi di tipo categoriale e un forte baricentro sui principi di: temporaneità, per offrire opportunità di cambiamento senza indurre i meccanismi di dipendenza tipici delle prestazioni assistenziali; tempestività, per dare risposta in tempi stretti all’insorgere di situazioni di bisogno; co-responsabilità, attraverso la partecipazione vincolante del beneficiario a percorsi di inclusione sociale; personalizzazione degli interventi volti, laddove possibile, all’inserimento lavorativo, all’inclusione sociale o, comunque, al miglioramento delle condizioni di esistenza della persona. Il RdB prevedeva un’erogazione monetaria mensile di importo variabile, in quanto calcolato come differenza tra il valore del reddito minimo equivalente e la capacità economica del nucleo misurata con l’indicatore CEE25. Il soggetto preposto all’erogazione erano i Comuni capofila, così 25 L’indicatore della capacità economica equivalente (CEE) era stato elaborato specificamente per il RdB (art. 6 del D.P.Reg. 278/2007). In sintesi, esso è calcolato mediante applicazione delle modalità previste per l’Isee, aggiungendo alle entrate computate ai fini dell’Irpef anche altri redditi esenti come l’indennità di accompagnamento (l’elenco 17 definiti alla luce del loro ruolo di coordinamento per ambiti territoriali più vasti. Nel regolamento attuativo si era previsto che entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta il servizio sociale comunale stipulasse con il richiedente un «patto preliminare» per iniziare a erogare il RdB in via provvisoria. Entro 3 mesi dalla stipula del patto preliminare, pertanto al più tardi dopo 4 mesi dalla presentazione della domanda, doveva avvenire la stipula del patto definitivo con la conseguente conferma dell’erogazione definitiva del RdB. Il RdB era stato progettato come una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale basata su un intervento monetario di integrazione al reddito, “cumulabile”, in quanto poteva essere associato ad altri interventi e prestazioni, e in ogni caso “a tempo”, in quanto limitato a dodici mesi rinnovabili al massimo per altri dodici. L’obiettivo della misura era l’inserimento sociale, in particolare attraverso progetti di inclusione sociale; per tale motivo era stato previsto il coinvolgimento operativo anche dei Centri per l’impiego. Infatti, per le persone che erano in età lavorativa e in stato di disoccupazione il RdB veniva garantito a condizione che detti soggetti si impegnassero attivamente nella ricerca di un’occupazione. 3.2.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi I beneficiari del RdB erano i nuclei familiari come definiti ai fini dell’Isee 26 . La richiesta poteva essere presentata da uno dei componenti del nucleo familiare residente in Regione da almeno 12 mesi27 a patto che il nucleo avesse un indicatore CEE inferiore a 5.000 euro annui. Per accedere al RdB, inoltre, non era sufficiente il possesso dei requisiti di residenza e di reddito; si doveva verificare anche una condizione di vita che rientrasse tra quelle previste nella finalità della misura, ovvero: acquisire autonomia economica, cercare di raggiungere l’inserimento sociale e possedere capacità di perseguire il proprio progetto di vita. Infatti, era stato previsto che il beneficiario si impegnasse in un progetto di intervento sin nella fase iniziale di attuazione della misura. Il progetto prevedeva, per coloro che erano in stato di disoccupazione o occupati in lavori precari, l’attivazione di un percorso volto all’inserimento lavorativo tramite l’intervento dei CpI. A riprova della bontà del meccanismo attivato con il RdB possono essere utilizzati i dati raccolti nei pochi mesi della sperimentazione (Aa.Vv., 2008): ben il 45,07% dei beneficiari è stato inviato ai CpI. Di questi, 1.392 hanno firmato la dichiarazione di disponibilità alla ricerca attiva di lavoro e hanno, pertanto, completo dei redditi da includere nel calcolo dell’indicatore CEE appare nell’allegato A del D.P.Reg. 278/2007). La certificazione del reddito CEE, fatta tramite la rete dei CAF, prevede particolari deroghe per casi specifici: - le donne, anche unitamente ai loro figli minori, che vengono a trovarsi nella necessità di dover abbandonare il proprio ambiente familiare possono, ai fini della dichiarazione CEE, essere considerate nucleo a sé stante; - i nuclei familiari in cui sono presenti persone ultrasessantacinquenni, con reddito non superiore al doppio del trattamento pensionistico minimo, ai fini del calcolo CEE vengono esonerati dal computo dei redditi della persona (o delle persone) ultrasessantacinquenne; - le donne in stato di gravidanza e per i primi sei mesi di vita del bambino possono ricevere un quota suppletiva del beneficio compresa tra il 10 e il 50% del suo valore. Le ragioni dell’inclusione dell’indennità di accompagnamento nella prova dei mezzi e dell’esonero per gli ultrasessantacinquenni restano di non facile comprensione. 26 A tal fine erano riconosciute come nucleo anche le donne che dovessero abbandonare il nucleo familiare a causa di violenze. 27 Erano considerate residenti anche le persone senza fissa dimora domiciliate in uno dei Comuni da almeno 12 mesi. 18 avviato la procedura finalizzata al processo di inclusione sociale. Quasi tutti questi, 1.238, hanno poi stipulato anche il patto di servizio. La tipologia degli impegni previsti dal patto riguardava: l’azione di accompagnamento e di consulenza (494 casi); la ricerca attiva dell’occupazione (316); l’inserimento in percorsi di formazione professionale e di riqualificazione professionale (221); l’inserimento in work experience (197). 3.2.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RdB Il RdB prevedeva che i Comuni esercitassero una funzione a più livelli, concentrata sui seguenti snodi: a) curare le verifiche di ammissibilità e valutarne l’eventuale proroga; elaborare i patti (preliminare e definitivo) e i progetti personalizzati; applicare, qualora necessario, i provvedimenti di sospensione, di diminuzione dell’importo della misura nonché l’eventuale revoca della stessa; b) curare la rete dei servizi e delle risorse del territorio: in particolare sviluppare rapporti sinergici con i CpI ai fini del raccordo dell’intervento e del monitoraggio dello stesso; costruire relazioni collaborative con i Centri di Assistenza Fiscale (CAF) addetti all’elaborazione dei CEE; svolgere il ruolo di “attivatore” delle risorse della comunità affinché la misura non venisse utilizzata quale mero intervento economico; c) svolgere un ruolo “di regia” e gestire la parte amministrativa-contabile (determinazione dell’importo del RdB, impegno di spesa, liquidazione, ecc). Tuttavia, l’impianto del RdB chiamava in causa anche altri attori. Innanzitutto, oltre ai CpI e ai CAF, anche i Patronati. Per questi ultimi il coinvolgimento è rimasto a livello potenziale, dal momento che si sarebbero dovuti attivare nel caso di sospensione o revoca della misura accogliendo il beneficiario. Oltre a questi soggetti la composita rete prevista dal RdB comprendeva anche altre istituzioni come le Aziende per i Servizi Sanitari, con particolare riferimento ai Dipartimenti di Salute Mentale e a quelli per le Dipendenze, i Servizi della Giustizia Minorile e dell’Amministrazione Penitenziaria; senza dimenticare gli attori del privato sociale, risorse importanti nell’attuazione dei progetti personalizzati. 3.2.4 I numeri del RdB Nei pochi mesi di attività del RdB le domande complessivamente accolte sono state 4.264 per una spesa complessiva di 25,2 milioni di euro. Il dato relativo alla situazione economica delle famiglie beneficiarie si è caratterizzato per l’alta incidenza dei nuclei con indicatore CEE pari a zero. Tale valore si è riscontrato, infatti, per il 41,7% delle famiglie beneficiarie, il che offre un interessante spunto di riflessione in merito alla capacità dell’indicatore di cogliere l’effettiva dimensione delle risorse disponibili – quindi del bisogno –, soprattutto, in considerazione del ruolo giocato dall’indennità di accompagnamento (esclusa dal calcolo) e dall’eventuale presenza di redditi sommersi. L’elevata incidenza di indicatori CEE pari a zero o comunque bassi spiega perché il valore medio CEE delle famiglie beneficiarie si attesta sui 2.940 euro annui. Questo dato, combinato con una frazione abbastanza elevata di coppie con figli minori o comunque di famiglie 19 numerose, dà conto del fatto che l’integrazione economica media annua per famiglia ammonta a 6.260,05 euro annui, cioè a 522 euro mensili28. Della misura hanno usufruito principalmente nuclei di cittadinanza italiana (80,7%) con una prevalenza dei nuclei uni-personali (42,2% del totale). Tra le principali caratteristiche dei richiedenti si segnalano la composizione per genere, con una prevalenza delle donne sugli uomini (54,3%), e una concentrazione nella fascia di età compresa tra i 36 ed i 45 anni. Anche per questo il RdB, nella sua pur breve esperienza, sembra aver assunto i connotati di una misura orientata ai bisogni delle persone in età lavorativa, per il 55,8% disoccupati o in cerca di prima occupazione e per il 18,7% lavoratori con redditi al di sotto della soglia di reddito (Dessi, 2009). Più in generale, anche solo per un’analisi di targeting della misura, ossia della sua capacità di intercettare i soggetti effettivamente in condizione di bisogno, sarebbe stato necessario un monitoraggio su un orizzonte temporale più lungo. Nella prima fase della sperimentazione, le persone che maggiormente sono state informate sulla misura erano già in contatto con i servizi sociali comunali, se non già a loro carico (Aa.Vv, 2008). Tornando sul fronte delle risorse, i dati raccolti, pur su un orizzonte temporale inferiore all’anno, sono interessanti in quanto evidenziano in embrione alcuni aspetti di fragilità dell’impianto del RdB. Tenuto conto dell’andamento mensile delle domande presentate al 30 maggio 2008 e del corrispondente reddito annuo, si sono tentate delle simulazioni per quantificare il fabbisogno a regime della politica attivata, riferito a 12 mesi. I fattori che possono rendere fragili queste stime sono molteplici: essi includono, tra l’altro la peculiarità dei primi mesi di decollo del RdB e l’impossibilità di tenere conto di eventuali sue interruzioni o decadenze. Tuttavia, tenuto conto che le risorse stanziate per il RdB erano di 47,7 milioni di euro per un triennio, suddivise in 9,5 milioni nel 2007, 27,2 nel 2008, e 11 nel 2009, fa riflettere che le erogazioni dei primi 5 mesi del 2008 avessero assorbito oltre 24 milioni di euro. Infatti, la proiezione su base annua di quei 5 mesi rapportata agli stanziamenti di bilancio per gli anni 2007 e 2008 avrebbe determinato un disavanzo superiore ai 15 milioni di euro, evidenza che getta seri dubbi sulla sostenibilità finanziaria del RdB nel medio-lungo periodo (Aa.Vv., 2008). 3.2.5 La valutazione degli effetti del RdB Per quanto riguardava le procedure di valutazione, la normativa regionale del RdB prevedeva la realizzazione di un sistema di monitoraggio realizzato con modalità sia quantitative sia qualitative. In ogni caso, tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella sperimentazione, erano tenuti a fornire alla Regione i dati richiesti «nei termini e secondo le modalità previste». Nello specifico, l’art. 11, comma 3, del Regolamento (D.P.Reg. 278/2007) dava indicazioni in merito agli aspetti da monitorare privilegiando: le caratteristiche dei nuclei familiari beneficiari; la verifica sul superamento della condizione di iniziale difficoltà; lo stato di attuazione degli accordi stipulati; il ruolo degli operatori e dei servizi coinvolti nell’attuazione della misura. 28 Le famiglie che hanno goduto di un trasferimento monetario superiore ai 522 euro mensili costituivano il 38,8% del totale delle famiglie beneficiarie. 20 Sotto l’aspetto quantitativo il monitoraggio si articolava in rilevazioni sistematiche, a cadenza differenziata in relazione alla tipologia dei dati, che potevano essere attinti attraverso diversi strumenti come: portale internet, numero verde, cartella sociale informatizzata. Sotto l’aspetto qualitativo, il monitoraggio utilizzava più strumenti al fine di cogliere la percezione dei diversi soggetti coinvolti rispetto alla misura e alla sua efficacia. A tal fine erano state previste: schede di monitoraggio, interviste a operatori, a beneficiari, focus group con operatori. Purtroppo, questo impianto di rilevazione, coerente con il ruolo fondamentale del monitoraggio quale strumento per individuare carenze – e potenziali miglioramenti – della misura, è rimasto sulla carta, a fronte della prematura conclusione della sperimentazione. Sono rimaste agli atti solo le prime indicazioni, raccolte in Aa.Vv. (2008). 3.3 Il Reddito di Garanzia nella Provincia autonoma di Trento 3.3.1 Una sintetica presentazione della misura Per sopperire a una vistosa mancanza del sistema di welfare italiano e sull’onda della crisi congiunturale che stava per abbattersi sul nostro paese, con la Delibera della Giunta Provinciale n. 2216 dell’11 settembre 2009 la Provincia autonoma di Trento ha introdotto una misura di sostegno al reddito di ultima istanza nota come Reddito di Garanzia (RG). Questo intervento si prefigura come uno strumento strutturale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, a differenza della grande maggioranza degli interventi messi in atto dalle amministrazioni locali (tra le quali, come ricordato in apertura, sono soprattutto i Comuni che forniscono misure, spesso una tantum, di sostegno al reddito delle famiglie in condizioni di bisogno). Il RG, introdotto al fine di ridurre i rischi di ingresso e di permanenza nella condizione di povertà, ha l’obiettivo di innalzare il reddito delle famiglie portandolo ad una soglia prestabilita, così da garantire a tutti condizioni di vita dignitose. La misura consiste innanzitutto in un sussidio monetario di entità variabile: l’intervento monetario si configura cioè come un top-up scheme, consiste cioè in un trasferimento monetario pari alla differenza tra la soglia di povertà prefissata e il reddito familiare disponibile, con un minimo posto pari a 50 euro mensili (nel senso che se la differenza risulta inferiore, il trasferimento non viene erogato). L’importo può anche venire integrato da un contributo per le spese per l’affitto, qualora la famiglia ne sostenga uno senza beneficiare di altre forme di aiuto per questo motivo. Per evitare che il trasferimento monetario disincentivi gli sforzi di uscita dalla condizione di povertà, in particolare se dovuta a mancanza di occupazione, il RG prevede, inoltre, per i membri del nucleo familiare idonei al lavoro misure di attivazione. La principale si concretizza nella sottoscrizione presso i CpI di una dichiarazione di disponibilità immediata all’accettazione di un lavoro, pena l’esclusione dal programma per un periodo considerevole di tempo. Inoltre, è previsto una sorta di “scivolo all’uscita” dal RG per i beneficiari che trovano un nuovo impiego. Qualora il cambiamento della loro condizione reddituale sia tale da porli al di sopra della soglia di ammissibilità dei 6.500 euro annui, essi, su domanda, allo scadere del primo anno di attività 21 lavorativa ininterrotta riceveranno un trasferimento pari a due mensilità di quello goduto in precedenza. Il RG si caratterizza per essere un programma universale e selettivo al tempo stesso, rivolto a tutte le famiglie che superano la prova dei mezzi. In questo senso il RG può essere visto come una misura in grado di sostituire o incorporare molti schemi ad oggi esistenti, integrandoli in modo da ridurre sprechi ed evitare, al contempo, che la compresenza di tanti strumenti diversi crei “trappole di povertà”. Va inoltre sottolineato che il RG non è condizionato all’eventuale esaurimento dei fondi pubblici stanziati, ma prevede la possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria necessaria, in modo da garantire la copertura per tutte le famiglie ammissibili. 3.3.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi Per misure di reddito minimo come il RG, la fissazione della soglia di povertà è un aspetto cruciale, la cui scelta spetta in ultima istanza al decisore politico. Nel determinarla esso si trova di fronte ad un trade-off non facilmente risolvibile. Tale soglia, infatti, dovrebbe essere sufficientemente elevata da garantire condizioni di vita dignitose, il che potrebbe indurre a spostarla verso l’alto. Ciò, tuttavia, comporta un aumento non solo della platea dei possibili beneficiari, ma anche degli importi spettanti a ciascuna famiglia, quindi, può far lievitare notevolmente la spesa pubblica necessaria per sostenere l’intervento. Nel caso in esame tale soglia è stata fissata a 6.500 euro di reddito equivalente annuo. Tale valore è stato stabilito anche sulla scorta di analisi della distribuzione dei redditi delle famiglie trentine. Per il 2009, anno di introduzione della misura, la soglia di povertà definita come il 50% della mediana dei redditi disponibili resi equivalenti si attestava intorno a circa euro 8.500 (OPES, 2011, pag. 48). Lo scostamento tra i due valori è prevalentemente legato al fatto che, mentre quest’ultima si basa su redditi fiscali, la soglia di povertà per il RG si basa su un indicatore dello stato economico-patrimoniale noto come Indicatore della Condizione Economica Familiare (ICEF)29. In particolare, nel caso del RG, allo scopo di contrastare episodi di povertà anche solo temporanei, la scelta è stata quella di considerare la cosiddetta variante attualizzata dell’ICEF. In questo modo si tiene conto di possibili cambiamenti significativi della condizione economica 29 L’ICEF è stato adottato dall’amministrazione provinciale di Trento per il calcolo delle condizioni di benessere economico delle famiglie che richiedono una varietà di agevolazioni tariffarie e trasferimenti pubblici (riduzione delle tariffe per il trasporto pubblico, graduatorie per gli asili nido, borse di studio per studenti, ecc.). Esso, di fatto, sostituisce l'Isee utilizzato a livello nazionale. Come l’Isee, anche l’ICEF tiene conto di patrimoni mobiliari e immobiliari, oltre che dei redditi percepiti nell’anno fiscale precedente, siano essi derivanti da lavoro dipendente o autonomo, da pensioni, da CIG(S), da indennità di disoccupazione e/o di mobilità. Entrambi gli strumenti prevedono, poi, la stessa scala di equivalenza, basata sul numero dei componenti familiari, per il calcolo dei redditi equivalenti. La principale differenza tra Isee e ICEF sta in questo: nel caso di situazioni che, a parità di reddito e patrimonio, determinano un’oggettiva riduzione della condizione economica (come, ad esempio, la presenza di disabili o nuclei mono-genitoriali), il primo applica ulteriori coefficienti alla scala di equivalenza, mentre il secondo applica delle franchigie che abbassano l’ammontare complessivo del reddito, prima ancora dell’applicazione della scala di equivalenza. In questo modo, sono le famiglie più povere a godere maggiormente delle detrazioni, dato che, in termini relativi, queste pesano maggiormente sui redditi più bassi. A livello di algoritmo di calcolo, infine, l’indicatore ICEF permette una maggiore flessibilità di quanto non consenta l’Isee. Nonostante i dati di input dell’algoritmo siano gli stessi, il peso dato alle diverse componenti di reddito e patrimonio, così come le detrazioni applicabili, possono infatti variare a seconda dell’intervento per il quale l’indicatore viene calcolato. 22 rispetto al reddito dell’anno precedente, come ad esempio l’involontaria riduzione dell’attività lavorativa. In questi casi, ad entrare nel computo dell’ICEF, insieme agli altri input, non è il reddito fiscale dell’anno precedente, bensì la stima dell’ammontare annuo calcolato come proiezione della media di quanto percepito negli ultimi due mesi precedenti la presentazione della domanda. È importante sottolineare che, per quanto riguarda la prova dei mezzi, la normativa che regola il RG ha subito un’importante modifica a meno di un anno dalla sua introduzione. Preoccupata dal possibile comportamento opportunistico di un inaspettato numero di richiedenti del RG con un reddito ICEF pari a zero, l’amministrazione provinciale ha integrato la prova dei mezzi con un cosiddetto “controllo sui consumi”. Per ogni famiglia richiedente, insieme all’indicatore ICEF si calcola un livello minimo di consumi, sulla base di indicatori dell’Istat che tengono conto del numero di componenti, delle disponibilità che comportano non trascurabili spese di gestione (come la dimensione dell’alloggio) e del possesso di beni durevoli che comportano spese correnti ingenti (come l’automobile). Conseguentemente, viene imputato alla famiglia un reddito minimo, sotto il quale essa non sarebbe in grado di sostenere quel pattern di consumi. Il massimo tra i due valori, quello ICEF e quello scaturito dal controllo sui consumi, viene considerato come effettiva condizione economico-patrimoniale della famiglia, che viene confrontata con la soglia per il RG. 3.3.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RG Al fine di poter beneficiare del RG, una famiglia deve presentare apposita domanda. È importante mettere in luce che tale domanda può essere presentata in qualsiasi momento dell’anno, a differenza di misure di sostegno al reddito attuate in altre regioni. Per presentare la domanda il cittadino può recarsi presso i CAF operanti in provincia. Essi sono in grado di provvedere non solo alla compilazione dell’apposita richiesta di RG, ma anche alla predisposizione della dichiarazione ICEF attestante il superamento della prova dei mezzi, sulla base delle informazioni reddituali e patrimoniali fornite dal richiedente. La domanda di RG viene inoltre corredata, per i membri del nucleo idonei al lavoro, della sottoscrizione del cosiddetto “patto di servizio” con l’Agenzia del Lavoro, nel quale viene certificata l’immediata disponibilità all’accettazione di un’offerta di lavoro. Spetta poi all’Agenzia del Lavoro mettere in atto idonee politiche attive, allo scopo di favorire l’accesso/rientro al lavoro dei beneficiari del RG. Le domande raccolte dai CAF vengono quindi inviate in modo telematico all’Agenzia Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza Integrativa della Provincia di Trento, incaricata della gestione del RG. Previa verifica dei requisiti di ammissibilità e il conseguente calcolo dell’ammontare spettante, l’erogazione automatica del beneficio avviene dal giorno 21 del mese successivo a quello di presentazione della domanda, e poi con cadenza mensile. L’erogazione in via automatica avviene quando nei nuclei familiari non vengano ravvisate problematiche sociali ulteriori rispetto al bisogno di natura meramente economica. Quando queste problematiche si manifestino, invece, le domande di RG vengono poste al vaglio dei servizi sociali per la predisposizione di un progetto di integrazione sociale, modulato in base alle specifiche esigenze dei diversi nuclei familiari. Nei primi due anni dalla sua introduzione sono state presentate oltre 21.000 richieste di RG, di cui solo l’8% gestite dai servizi sociali. 23 Si tenga presente che, una volta verificata l’ammissibilità al RG, l’integrazione economica viene concessa per quattro mesi consecutivi, trascorsi i quali, nel caso in cui lo stato di necessità permanga, occorre presentare apposita richiesta di rinnovo del beneficio. Il rinnovo è previsto, di norma, per tre volte, nell’arco di due anni. In questo modo, una famiglia può beneficiare del RG per un massimo di sedici mesi nell’arco di ventiquattro; lo scopo della restrizione è evitare che gli sforzi dei singoli e delle famiglie per uscire dalla condizione di povertà si riducano a motivo proprio dell’integrazione economica di cui godono. Estensioni del periodo massimo di permanenza nel programma vengono comunque concesse: ad esempio, quando le condizioni economicopatrimoniali permangano inferiori alla soglia di povertà, sebbene tutti i componenti idonei al lavoro risultino occupati o in cerca di occupazione. 3.3.4 I numeri del RG I dati raccolti grazie alla procedura informatica per la gestione amministrativa della misura mostrano che nei primi due anni dalla sua introduzione hanno beneficiato del RG almeno una volta circa 7.000 famiglie. Nello stesso arco di tempo sono stati spesi complessivamente circa 35 milioni di euro. I dati riferiti ai primi mesi del 2012 hanno confermato che la spesa dedicata si attesta intorno ai 17 milioni annui, pari a circa lo 0,1% del PIL provinciale. Nel solo 2010 i nuclei beneficiari sono risultati oltre 5.300, pari al 2,4% della popolazione residente nella provincia di Trento. È invece impossibile conoscere il numero di famiglie che sarebbero idonee alla misura ma che non hanno fatto domanda, ossia il numero di cosiddetti falsi negativi. La procedura descritta prima, infatti, chiarisce come solo per i richiedenti sia possibile conoscere la condizione economico-patrimoniale utile ai fini del RG. Può comunque essere utile qualche considerazione di larga massima. La percentuale di famiglie che in Trentino si trova sotto la soglia di povertà – definita come il 50% della mediana dei redditi disponibili resi equivalenti – è stimata intorno al 10% circa (OPES, 2011). Se si guarda alle evidenze circa lo stato di deprivazione materiale dei beneficiari rispetto alla popolazione è, inoltre, facile osservare che chi accede al RG si trova, con probabilità significativamente maggiore, in peggiori condizioni (Zanini et al., 2011, tab. 7). Ciò suggerisce, dunque, una buona capacità di targeting della misura, seppure queste evidenze non siano conclusive. A tale riguardo è bene notare che da informazioni raccolte mediante un’apposita indagine per il monitoraggio dei beneficiari della misura, è emerso che essi sono venuti a conoscenza del RG, prima ancora che grazie ai media, attraverso reti amicali e parentali (soprattutto per gli stranieri) e mediante il terzo settore. È, del resto, plausibile pensare che siano gli stessi operatori degli sportelli CAF a segnalare l’esistenza del RG e quindi la possibilità di presentare domanda ai potenziali beneficiari. Dall’analisi delle caratteristiche rilevate mediante la richiesta di RG confrontate con i dati sulla popolazione trentina, risulta chiaro che l’incidenza della cittadinanza non italiana tra i beneficiari è particolarmente forte: tra di essi una famiglia su due ha almeno un componente straniero, mentre le famiglie italiane nella popolazione risultano superiori al 90%. Un'altra evidenza interessante è la sottorappresentazione tra i beneficiari di famiglie con un solo componente – 22% rispetto al 29% 24 della popolazione – e la sovra-rappresentazione di famiglie numerose, con almeno 5 membri – 20% contro il 5% della popolazione –. Ciò è in parte dovuto a effetti di composizione legati alla cittadinanza (mediamente le famiglie degli stranieri, in particolare degli extracomunitari, sono più numerose), ma probabilmente dipende anche dal fatto che la prova dei mezzi si basa su coefficienti di equivalenza che premiano famiglie numerose. 3.3.5 La valutazione degli effetti del RG A differenza delle altre esperienze italiane menzionate in precedenza, il RG si configura come uno strumento strutturale, tendenzialmente permanente. Anche per questo motivo il decisore politico si è attivato fin dalla fase di disegno dell’intervento in modo che venisse condotta una rigorosa valutazione dei suoi effetti.30 Questo ha consentito di realizzare tempestivamente indagini per la raccolta di dati, che forniscono informazioni adeguate per il vaglio degli effetti della misura e, in prospettiva, per prendere decisioni in merito a possibili modifiche da apportare all’intervento al fine di renderlo meglio rispondente agli obiettivi per i quali è stato adottato. In particolare, la prima indagine è stata condotta su un campione di famiglie estratte casualmente dall’elenco delle famiglie beneficiarie del RG ed è stata mirata alla raccolta di informazioni circa i comportamenti di consumo immediatamente prima dell’introduzione della misura. Ciò ha consentito di condurre un esercizio di valutazione ex-ante. Si sono utilizzati solidi modelli economici per prevedere quale sarebbe stata la reazione in termini di consumo di varie categorie di beni delle famiglie beneficiarie della misura. I risultati ottenuti hanno indicato che, pur trattandosi di famiglie in condizione di povertà, solo una parte di esse, specificatamente quelle più marginali tra le straniere, avrebbe aumentato il consumo di generi alimentari grazie al trasferimento economico fornito dal RG (Daminato e Zanini, 2012). Ciò suggerisce che, da un lato, la popolazione target della misura, pur trovandosi in condizioni economiche precarie, non ha difficoltà a nutrirsi adeguatamente almeno sotto il profilo quantitativo, dall’altro, che il trasferimento monetario erogato con il RG verrebbe speso in altri beni non durevoli (come il vestiario), in beni durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie condizioni di vita e abitative. Tali risultati sono poi stati confermati dalla valutazione ex-post condotta grazie alla disponibilità di dati, oltre che su un campione di famiglie beneficiarie, su un adeguato gruppo di controllo composto da famiglie simili alle prime. I dati sono stati raccolti in due momenti: immediatamente prima l’introduzione del RG e due anni dopo. In questo modo è stato possibile valutare gli effetti del RG effettuando un doppio confronto – fra trattati e controlli, prima e dopo aver l’introduzione del RG –, così da eliminare congiuntamente sia effetti dovuti alla composizione dei due gruppi che eventuali effetti congiunturali. I risultati ottenuti hanno mostrato che oltre a cambiamenti nei pattern di consumo (nel senso suggerito dallo studio di valutazione ex-ante), anche le condizioni di vita delle persone sono cambiate in conseguenza del RG. La misura sembra, infatti, avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi nella condizione di povertà, misurata mediante un apposito indicatore dello stato di deprivazione (costruito attraverso 30 Vedi in particolare l’art. 7 della citata Delibera 2216/2009, che ha introdotto il RG. 25 una serie di item basati su ciò che la famiglia dichiara di potersi permettere: invitare amici o parenti a cena, cenare fuori casa, far fronte ad una spesa imprevista, ecc.). La valutazione ex-post ha inoltre messo in luce il diverso comportamento in termini di partecipazione al mercato del lavoro da parte di italiani e stranieri. È, infatti, sugli immigrati che il RG è riuscito ad avere effetti di attivazione, sebbene con scarsi risultati in termini di occupazione. Viceversa, per gli italiani, pur non avendo sortito effetti in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del RG ha ridotto la probabilità di essere senza lavoro. 3.3.6 I controlli sul RG: falsi positivi e attivazione al lavoro Dato che la prova dei mezzi adottata per il RG si basa su un indicatore calcolato ad hoc e quindi non disponibile per la totalità delle famiglie, è impossibile fornire una stima del cosiddetto take-up rate, ossia della frazione di famiglie potenzialmente beneficiarie che hanno effettivamente presentato domanda e ottenuto l’ammissione al programma di sostegno al reddito. In altre parole, non è possibile fornire indicazione del numero di falsi negativi. Per quanto detto in precedenza circa i requisiti di ammissibilità al RG, casi di falso positivo (ossia situazioni in cui famiglie hanno beneficiato della misura pur non avendone i requisiti necessari) si possono determinare per vari motivi, che portano a imprecisioni in senso favorevole all’ammissibilità in quattro dimensioni: indicatore della condizione economico-patrimoniale, composizione familiare, residenza nella provincia di Trento, attivazione nel mercato del lavoro. Per quanto riguarda l’ICEF, adottato per l’ammissibilità a diverse misure di sostegno economico, la Provincia ha un apposito meccanismo di controllo che inizia fin dalla presentazione della dichiarazione ai CAF, i quali effettuano un prima riscontro sui documenti presentati. Tuttavia, i CAF non hanno modo di verificare la composizione familiare né tantomeno la residenza nella provincia di Trento. Ed è proprio il controllo di queste dimensioni che, nei primi due anni di attuazione della misura, ha portato a oltre 350 segnalazioni di mendace dichiarazione. Per un altro verso, grazie alla collaborazione tra l’Agenzia Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza Integrativa e l’Agenzia del Lavoro, un controllo casuale su un campione di 869 beneficiari che avevano dichiarato di non essere occupati per almeno tre domande consecutive presentate (quindi per l’arco di almeno un anno) ha evidenziato che 153 non risultavano più iscritti ai CpI: essi sono stati pertanto esclusi dal RG. Dei rimanenti 716, la metà circa è risultata “attivata”, ovvero nei 12 mesi precedenti aveva lavorato per almeno 20 giorni o aveva ricevuto servizi, in gran parte corsi di formazione linguistica (specialmente per extracomunitari, con la necessità di essere alfabetizzati nella lingua italiana per poter trovare lavoro). L’altra metà è stata invece convocata ai CpI per la verifica della situazione e la sottoscrizione del patto di servizio. 3.4. La carta acquisti o social card (SC) e la nuova social card sperimentale (SCS) 3.4.1 Una sintetica presentazione della misura La carta acquisti o social card (SC) è stata definita nell’ambito della legge 133/2008 ed ha come modello di riferimento, per esplicita ammissione dei suoi proponenti, quello dei food stamps statunitensi. Si tratta di un intervento rivolto a persone, che prende però la famiglia come soggetto 26 di riferimento, dal momento che la possibilità di ottenere la prestazione è condizionata alle complessive risorse familiari. La SC offre un’erogazione monetaria di 40 euro mensili. Nella sua definizione originaria, la SC non consente ricariche con mezzi propri da parte del titolare, non è abilitata al prelievo di contante, il suo utilizzo è circoscritto a una rete di negozi con precisi codici merceologici, ai quali sono stati introdotte, nel tempo, alcune integrazioni per includere l’acquisto di prodotti farmaceutici e il pagamento di bollette della luce e del gas. Sulla base di questi tratti distintivi della misura – già diffusamente approfonditi in Gori et al. (2010)31 – si preferisce concentrare l’attenzione su alcune sue peculiarità emerse in questi anni. Il primo aspetto riguarda la dimensione dell’intervento, ovvero l’importo messo a disposizione dei beneficiari. Partendo da questo aspetto si può riflettere sulle conseguenze della scelta di caratterizzare la SC con una erogazione in cifra fissa e uguale in tutta Italia, prescindendo, quindi, dalle diversità delle risorse economiche dei beneficiari e del modularsi del costo della vita sul territorio. Si tratta di un elemento di forte caratterizzazione della SC, accettabile solo in una logica di beneficienza minima, i cui limiti, tuttavia, potrebbero essere facilmente superati attraverso l’integrazione nell’infrastruttura della SC di una serie di interventi monetari oggi previsti dal nostro ordinamento. Una dimostrazione concreta della fattibilità di questa opzione è data dalle esperienze legate all’erogazione di due una tantum ai beneficiari di SC: la prima, di 25 euro, è stata riservata ai beneficiari nati nel corso del 2009 a titolo di sostegno delle spese per il latte artificiale e i pannolini; la seconda, pari a 20 euro bimestrali, è stata destinata ai titolari di SC utilizzatori di gas naturale o Gpl a uso riscaldamento. Il secondo aspetto si riferisce alla natura di mezzo di pagamento della SC. Essendo stata concepita come una tessera agganciata ai circuiti Automated Teller Machine, la SC offre delle opportunità, finora sottovalutate, in termini di tracciabilità degli utilizzi da parte dei titolari. Superare l’incoerenza palese insita nell’aver presentato la SC come uno strumento anonimo, nel tentativo di mitigarne gli effetti di stigma sociale, pur concependola come uno strumento di pagamento elettronico, con tanto di nome stampato e Pin identificativo del titolare, consentirebbe di iscrivere questa misura come un elemento concreto di attuazione di progetti più volte annunciati sulla tracciabilità dei pagamenti e sulla limitazione nell’uso del contante. Infine, non può essere dimenticata la capacità della SC di caratterizzarsi come un intervento con caratteristiche di sussidiarietà orizzontale e verticale. Un aspetto di cui si è persa traccia nel dibattito è l’iniziale previsione di sconti sistematici del 5% sui prezzi di vendita ordinari riservata, in maniera aggiuntiva a ogni altra promozione, ai titolari di SC. L’aver previsto che i negozi convenzionati che sostengono il “Programma carta acquisti” potessero mettere in gioco risorse proprie, anche se attraverso un meccanismo indiretto di sconti, consentiva una concreta sussidiarietà orizzontale, alla quale non si è tuttavia riusciti a dare continuità. L’impatto di una rete di oltre 10.000 negozi convenzionati, tanti ne contava la stima iniziale del Governo, poteva essere una 31 In particolare rinviamo alle pp. 101-107, 133-136 e 158-170. 27 dimensione rilevante nel sistema di risposta al bisogno attivato dalla SC32. Oltre a questa prima opzione, non è stata adeguatamente utilizzata la possibilità offerta agli Enti locali di far convergere le proprie iniziative di sostegno economico sul Fondo carta acquisti, possibilità che apriva una prospettiva concreta anche sul fronte della sussidiarietà verticale33. 3.4.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi Ritornando alle caratteristiche della SC è importante ricordare la sua natura di misura categoriale ad accesso selettivo. Infatti, la possibilità di accedervi è subordinata, in primo luogo, al requisito anagrafico: (genitori con) bambini di meno di 3 anni e persone con più di 65 anni. A questo si aggiungono il requisito della cittadinanza, con vincolo di residenza, e un terzo vincolo reddituale, definito in termini di Isee, inizialmente posto pari a 6.000 euro annui e rivalutato annualmente34. A tutto ciò è aggiunta una prova dei mezzi che, pur con lievi modifiche, opera su entrambe le popolazioni obiettivo, al fine di verificare presenza ed entità di una serie di parametri quali: utenze elettriche domestiche e non domestiche; utenze gas, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni; autoveicoli di proprietà, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni; quote superiori o uguali al 25% di più di un immobile a uso abitativo; quote superiori o uguali al 10% di più di un immobile non a uso abitativo o di categoria catastale C7; patrimonio mobiliare superiore a 15.000 euro. 3.4.3 I diversi attori istituzionali in gioco L'architettura organizzativa della SC, come definita dal decreto interdipartimentale del 16.09.2008, è costituita: dal Ministero dell'economia e delle finanze, in qualità di Amministrazione responsabile, che, d'intesa con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, disegna il quadro di regole e ne monitora l'attuazione; 32 Il rammarico per aver trascurato questa dimensione aumenta in relazione alla tendenza ormai consolidata delle fidelity card della grande distribuzione, che, come rilevato dall’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma e dall’Università Bocconi, stanno rispondendo alle esigenze delle famiglie nella crisi mediante la sostituzione dei vecchi premi a catalogo con buoni sconto sulla spesa. 33 L’enfasi posta dal Governo sulla possibilità di dare maggiore consistenza alla SC attraverso convenzioni stipulate da singoli enti (Regioni, Province o Comuni) non ha prodotto i risultati attesi, rimanendo circoscritta a pochi casi. Merita di essere menzionato quello della Regione Friuli Venezia Giulia, che integra con 60 euro mensili le somme accreditate dallo Stato, pari a 40 euro mensili, sulle SC dei beneficiari residenti in regione (art. 10, commi 78-80 della l.r. 17/2008). Il valore complessivo per i beneficiari residenti in Friuli Venezia Giulia è pertanto di 100 euro al mese. Per l’ottenimento delle integrazioni regionali non è necessario alcun adempimento da parte dei titolari di SC, in quanto le integrazioni vengono corrisposte automaticamente a coloro che ne hanno diritto contestualmente alle “ricariche” statali. Le modalità tecniche di attuazione dell’intervento sono contenute in un protocollo d’intesa tra la Regione Friuli Venezia Giulia e il Ministero dell’Economia e delle finanze, che regola, tra l’altro, le modalità di trasferimento dei fondi dalla Regione allo Stato. 34 Per il 2012 il requisito reddituale per avere diritto alla SC è un Isee non superiore a 6.499,82 euro. È rimasto invariato, invece, il limite del patrimonio mobiliare rilevato nella dichiarazione Isee, che continua a rimanere fissato in misura non superiore a 15mila euro. 28 dall'INPS che, in qualità di soggetto attuatore, dà attuazione alle regole; dal Gestore Poste Italiane S.p.A., che è incaricato del servizio di gestione delle SC. In particolare, l’Amministrazione responsabile, d’intesa con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, definisce le platee degli ammissibili, il sistema di accesso al beneficio e vigila sull'attuazione del programma. Il “soggetto attuatore”, nella fase di richiesta della SC da parte del cittadino, verifica la rispondenza dei requisiti in possesso del richiedente con quelli stabiliti dalla normativa, e in caso di esito positivo dà disposizione di concessione del beneficio. Nella fase successiva, verifica il mantenimento dei requisiti da parte dei beneficiari e, in caso negativo, dà disposizione di revoca del beneficio. Il “gestore del servizio” riceve le richieste e ne verifica la conformità, emette le SC, esegue i periodici accrediti bimestrali e/o l'eventuale disattivazione delle carte, sulla base delle disposizioni del “soggetto attuatore”; inoltre, fornisce informazioni al pubblico. Al di là della possibilità di una convenzione con l’infrastruttura SC, non sono previste forme di coinvolgimento nella gestione della misura da parte di Regioni, Province e Comuni. 3.4.4 I numeri della SC Rispetto alla platea degli ammissibili all’intervento, definita dalle caratteristiche dello stesso e dai criteri di accesso, il Governo aveva inizialmente quantificato una platea di potenziali beneficiari di circa 1.300.000 persone. Di queste ben 1.000.000 con almeno 65 anni e 300.000 famiglie con bambini fino a 3 anni. Secondo dati aggiornati a fine 2010, gli ultimi disponibili da fonti ufficiali35, tra dicembre 2008 e dicembre 2010, i possessori di SC erano in tutto 734 mila, dei quali 386 mila anziani e 348 mila genitori di bambini con meno di 3 anni. Questi dati hanno alimentato valutazioni critiche sulla ragionevolezza dell’obiettivo previsto o sulla possibilità di raggiungerlo. Un esito come quello rilevato richiede, tuttavia, qualche riflessione sulle motivazioni dello scostamento, che potrebbe derivare da un classico fenomeno di basso take-up per mancata richiesta, oppure, affondare le sue radici in qualche errore di stima. Sulla scorta delle pur scarse informazioni disponibili, viene abbastanza naturale escludere la (o comunque non dare forte peso alla) prima ipotesi, tanto più che l’avvio dell’intervento è stato accompagnato da una importante campagna di comunicazione con lettere personali inviate a casa delle famiglie per invitarle a richiedere la SC. Per questo propenderemmo per concentrare l’attenzione sulla coerenza delle stime alla luce dei criteri di accesso alla misura. A partire dalle soglie Isee, senza trascurare i requisiti aggiuntivi previsti dalla prova dei mezzi, si potrebbero condurre analisi utili per spiegare gli indici di copertura e, forse, per tarare meglio un intervento continuativo, sia pur categoriale ed esiguo, di contrasto alla povertà. Tali analisi potrebbero dar conto non solo dello scostamento dei dati totali, ma cercare anche di offrire argomentazioni per la spiegazione della forte disomogeneità registrate nei trend delle due categorie di beneficiari. Non si può trascurare, infatti, che a dicembre 2010 le famiglie con bambini 35 Nonostante il decreto interministeriale prevedesse che tra i costi amministrativi vi fosse una quota per il finanziamento del sistema informativo della carta acquisti (Sica), ad oggi il reporting sulla SC latita. Anzi, per quanto risulta dalle cronache parlamentari, non sono state nemmeno presentate le rendicontazioni annuali al Parlamento previste per legge. 29 fino a 3 anni avevano già superato il target previsto, mentre il gruppo degli ultra-65enni aveva raggiunto solo il 38% dell’obiettivo. Ma tutto ciò dipende, palesemente, dalla disponibilità di un’informazione completa, e convenientemente disaggregata (almeno per i due gruppi di beneficiari, per regione e, rispetto al tempo, per trimestri) sulle SC emesse, sui valori delle ricariche e dei loro utilizzi. E rispetto agli scarni dati messi a disposizione del pubblico in un rapporto del Ministero dell’economia e delle finanze (2009), al di là dei toni rassicuranti usati per dire che «le preoccupazioni iniziali relative ad un utilizzo non graduale delle carte non si sono materializzate, il comportamento d’uso sembra ormai stabilizzato, l’acquisto medio è stabilizzato nell’intorno di 25 euro a transazione», le esigenze conoscitive rimangono pressoché totalmente insoddisfatte36. Né a questo deficit informativo ha posto rimedio la pubblicazione del Bilancio sociale dell’INPS (novembre 2012), che ha fornito dati aggiornati sui beneficiari della SC al 2011 con disaggregazione per regione, ma non per popolazioni obiettivo né per anno. Essi consentono comunque di aggiornare la platea dei beneficiari a 535.412, con un importo erogato pari a poco più di 207 milioni di euro. In carenza di rendicontazioni adeguate, non è certo facile argomentare in merito al futuro della SC, alla luce del progressivo esaurirsi della dotazione iniziale e in assenza di nuovi finanziamenti dal 2014. 3.4.5. La sperimentazione della nuova Social Card Il decreto “Semplifica Italia” (convertito nella legge 35/2012) ha introdotto alcune novità in riferimento alla sperimentazione della social card, SCS (prevista dall’art. 2, comma 47, del D.L.225/2010, ma rimasta per lungo tempo inattuata). La sperimentazione ha una durata di un anno e riguarda i 12 Comuni con più di 250 mila abitanti: Milano, Torino, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo, per un totale di oltre 9 milioni di abitanti, pari al 15% della popolazione italiana. La gestione della carta acquisti sperimentale (SCS) è affidata ai Comuni ed è disciplinata da un decreto interministeriale del quale è prossima l’emanazione37. Le risorse disponibili per i 12 mesi della sperimentazione ammontano a 50 milioni di euro, che sono stati ripartiti in proporzione alla stima delle persone in povertà assoluta residenti nei Comuni38. Nel corso del 2013, dunque, oltre alla SC – che continuerà a essere distribuita nel modo usuale39 –, debutterà la SCS. L’ammissibilità alla SCS non è vincolata alla cittadinanza, bensì alla 36 Il testo solleva, anzi, qualche ulteriore curiosità. Per una misura che consiste in un contributo di 40 euro mensili, una spesa media di 25 euro per transazione comporta che la SC sia mediamente utilizzata meno di 2 volte al mese. 37 Il Decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze è stato adottato il 10 gennaio 2016. Alla data in cui questo rapporto viene chiuso esso è ancora in corso di registrazione presso i competenti organi di controllo. 38 Le persone in povertà assoluta sono state stimate applicando alla popolazione residente nel Comune l’incidenza della povertà assoluta calcolata dall’Istat per la ripartizione territoriale corrispondente. I dati disponibili sulle incidenze medie nell’ultimo triennio sono i seguenti: Nord 3,8%; Centro 3,8% e Sud 8,3%. Questo criterio ha portato alla suddivisione del decreto interministeriale, che assegna poco meno di 12 milioni di euro a Roma, quasi 9 a Napoli, 6 a Palermo, 5,5 a Milano, 3,8 a Torino, quasi 3 a Bari, 2,7 a Catania, 2,5 a Genova, circa 1,6 rispettivamente a Bologna e a Firenze, 1,1 a Verona e a Venezia. 39 Fatta salva la clausola che, nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti uno o più beneficiari della SC, prevede l’attribuzione dei benefici economici connessi alla sperimentazione (SCS) solo previa rinuncia dei benefici connessi al programma SC, rinuncia da dichiarare espressamente nel modulo di richiesta della SCS. 30 residenza, da almeno un anno, in uno dei 12 Comuni coinvolti nella sperimentazione 40 . Per l’ammissibilità alla SCS sono richiesti requisiti riferiti alla condizione economica, alle caratteristiche familiari e alla condizione lavorativa. Tutti comprensibili, data la limitatezza dello stanziamento, ma che inevitabilmente comportano una torsione della SCS nella direzione di una misura categoriale, lontana dall’iniziale propensione verso l’universalismo selettivo. Venendo ai requisiti per l’accesso alla SCS, è innanzitutto necessario sussista una situazione di grave disagio economico, identificata in (i) una soglia dell’Isee pari al massimo a 3.000 euro, (ii) un patrimonio mobiliare – sempre come definito ai fini dell’Isee – inferiore a 8.000 euro, coerente quindi con un risparmio di natura precauzionale, e (iii) un eventuale patrimonio immobiliare, ammissibile soltanto per la prima casa, inferiore a un valore, ai fini dell’ICI, di 30.000 euro. Inoltre, nel caso in cui componenti del nucleo familiare godano, «al momento della presentazione della richiesta e per tutto il corso della sperimentazione, di altri trattamenti economici anche fiscalmente esenti, di natura previdenziale, indennitaria e assistenziale, a qualunque titolo concessi dallo Stato o da altre pubbliche amministrazioni», il loro valore complessivo per il nucleo familiare deve essere inferiore a 600 euro mensili (art.4, comma 3, sub a). Sono previsti, infine, limiti anche al possesso di auto o motoveicoli, con l’obiettivo di ammettere al beneficio solo chi ha beni durevoli dal limitato valore di mercato. Sul fronte dei requisiti riconducibili alle caratteristiche del nucleo familiare, il vincolo è dato dalla presenza nel nucleo di almeno un componente di età minore di 18 anni. Oltre a questo vincolo, il decreto indica poi dei criteri di precedenza nell’accesso alla SCS per nuclei in una delle seguenti condizioni: disagio abitativo, accertato dai competenti servizi del Comune; un solo genitore con figli minorenni; con tre o più figli minorenni oppure con due figli e in attesa del terzo; con uno o più figli minorenni con disabilità. Infine, per ottenere la SCS i richiedenti devono soddisfare anche un requisito collegato alla condizione lavorativa. Il decreto prevede che per accedere alla SCS vi sia assenza di lavoro per tutti i componenti in età attiva del nucleo al momento della richiesta del beneficio e inoltre per almeno un componente vi sia stata, nei 36 mesi precedenti la richiesta, la cessazione di un rapporto di lavoro dipendente (oppure, nel caso di lavoratori autonomi, la cessazione dell’attività oppure, nel caso di lavoratori precedentemente impiegati con tipologie contrattuali flessibili, un’occupazione nelle medesime forme per almeno 180 giorni). Alternativamente, al momento della richiesta del beneficio il valore complessivo per il nucleo familiare dei redditi da lavoro, dipendente o “flessibile”, percepiti nei sei mesi precedenti non deve superare 4.000 euro41. 40 Ad essa sono dunque ammissibili anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari cosiddetti “lungo soggiornanti”, naturalmente residenti nei 12 grandi Comuni. 41 Eventuali, ulteriori requisiti possono poi essere definiti dal Comune d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. 31 Per la SCS si prevede il rilascio di una sola carta per famiglia. Il beneficio è concesso bimestralmente in ragione della numerosità del nucleo familiare, calcolata escludendo le persone a carico ai fini Irpef diverse dal coniuge e dai figli (prescindendo, quindi, dal reddito familiare, equivalente determinato tramite l’Isee). L’ammontare mensile del trasferimento monetario è di 231 euro per un nucleo composto da 2 membri, di 281 euro per un nucleo di 3 persone, di 331 euro per un nucleo di 4, infine di 404 euro per i nuclei di 5 o più componenti. Ai Comuni, oltre a individuare eventuali ulteriori criteri di selezione dei beneficiari e a poter integrare con fondi propri la misura, compete: la pubblicazione dei bandi per le domande e il completamento della selezione entro 120 giorni dalla entrata in vigore del decreto; la predisposizione di un progetto personalizzato per una quota parte dei nuclei familiari, progetto che dovrà essere finalizzato all'inclusione sociale, al reinserimento lavorativo, al superamento della condizione di povertà; l’attivazione dei servizi di accompagnamento (servizio sociale professionale, educativo, domiciliare, ecc.); garanzia dell’operatività di una rete con le altre agenzie pubbliche coinvolte (CpI, scuole, Aziende sanitarie locali). Sul ruolo svolto dai Comuni si gioca grossa parte degli esiti della SCS. Saranno i fatti a fornirci le risposte. Si possono, peraltro, segnalare sin d’ora alcuni profili di criticità e alcune perplessità. (i) La logica “a bando” non è vincolante in quanto, fermi restando i requisiti previsti per accedere alla SCS, i Comuni potranno anche limitare la richiesta del beneficio all’ambito dei nuclei familiari già assistiti dai servizi del Comune, individuati sulla base di precedenti avvisi pubblici o regolamenti relativi a politiche comunali aventi finalità analoghe a quelle della sperimentazione. A tal fine, anche attraverso l’utilizzo dei dati contenuti nel data base “Sistema di Gestione delle Agevolazioni sulle Tariffe Energetiche”, i Comuni potranno adottare strumenti di comunicazione mirata e personalizzata in favore dei residenti ai quali rivolgere la sperimentazione. Ciò introduce un potenziale, forte elemento di discrezionalità nella selezione dei nuclei familiari, che può portare a una popolazione di beneficiari differente da quella delineata dai requisiti di ammissibilità, variabile da un Comune all’altro secondo pattern potenzialmente anche molto diversi. (ii) Il progetto personalizzato non coinvolgerà tutti i beneficiari della SCS, per il proposito del decreto – in via di principio condivisibile – di condurre un social experiment sugli effetti dei «progetti personalizzati di presa in carico». Nell’ambito dei nuclei beneficiari, infatti, i Comuni dovranno individuare, mediante una procedura di selezione casuale, due gruppi: per un primo gruppo, pari ad almeno metà e a non oltre due terzi del totale dei nuclei, predisporranno un progetto personalizzato, volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale; un secondo gruppo, costituito dai nuclei beneficiari esclusi casualmente dal progetto personalizzato e integrato dai nuclei richiedenti esclusi dalla SCS, costituirà il gruppo di controllo, che avrà accesso all’ordinaria rete di interventi e servizi 32 sociali. L’intendimento di realizzare un social experiment, cruciale per gli ambiziosi obiettivi di valutazione degli effetti della SCS elencati all’art. 9 del decreto interministeriale (tema che toccheremo tra poco), si presenta peraltro problematico per due ordini di ragioni: la difficoltà, ben nota dalla letteratura, di attuare social experiments, tanto più acuta quanto più la loro realizzazione venga affidata a una molteplicità di attori locali, nel nostro caso i Comuni; la deroga ai criteri di ammissibilità concessa ai Comuni, di cui abbiamo detto nel punto immediatamente precedente, deroga che può indurre a violare il disegno di randomizzazione e comunque a non preservarne l’integrità. (iii) Per i nuclei beneficiari della SCS che sottoscriveranno il progetto personalizzato, esso sarà vincolante sia per accedere alla SCS che per continuare a godere del beneficio. Le informazioni sul progetto e sulla sua attuazione dovranno essere inviate telematicamente mediante modelli predisposti dall’Inps, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, secondo le modalità dettagliatamente specificate nel decreto interministeriale. Secondo una rigida logica di condizionalità, il decreto prevede che l’invio delle molteplici informazioni richieste, riferite a ciascuna SCS (e solo in parte, invece, ai nuclei familiari di controllo), costituisce condizione necessaria per i successivi accrediti bimestrali. Anche alla luce di quanto messo in evidenza nei due punti precedenti, è ragionevole dubitare che tale disegno sia fattibile in maniera adeguata: gli onerosi adempimenti in tema di acquisizione delle informazioni possono, forzatamente, scadere a riti burocratici (o, all’opposto, una diffusa sospensione degli accrediti bimestrali può ingenerare tensioni sociali, tenuto conto in particolare delle condizioni di grave disagio economico dei beneficiari). (iv) Quanto appena detto circa i rapporti fra Inps e Comuni rende palese come, nonostante il ruolo riconosciuto ai Comuni e le responsabilità poste in capo a loro, la gestione delle erogazioni monetarie venga affidata all’infrastruttura che gestisce la SC. Infatti, è l’Inps (il soggetto attuatore) che procede alla verifica della compatibilità delle informazioni acquisite con i requisiti previsti per l’accesso alla/mantenimento della SCS, utilizzando a tal fine anche tute le informazioni «pertinenti e non eccedenti» disponibili nei propri archivi. Ed è sempre l’Inps che deve comunicare alle Poste italiane la somma da accreditare su ciascuna SCS. Il ricorso all’infrastruttura che gestisce la SC è per vari aspetti persuasivo. Ma, a nostro modo di vedere, non sono convenientemente affrontati i notevoli problemi di raccordo fra l’infrastruttura centrale ed i Comuni che si pongono col passaggio dall’erogazione di una misura meramente passiva – la SC – alla gestione di una misura che incorpora piano individuali di attivazione affidati ai Comuni – la SCS –. (v) Nelle intenzioni del decreto interministeriale, che vi dedica il dettagliato art. 9, la sperimentazione deve fornire gli elementi conoscitivi utili per la successiva proroga della SCS e «per la possibile generalizzazione della misura […] come strumento di contrasto alla povertà assoluta». A tal fine servirà valutarne credibilmente gli effetti. Per la SCS la valutazione è posta in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. A loro compete definire il disegno di ricerca per la valutazione, 33 da condurre secondo l’approccio controfattuale, e gli strumenti di rilevazione. Ai Comuni spetta un ruolo di collaborazione, essenzialmente tramite la somministrazione dei questionari. La valutazione è tesa principalmente ad accertare l’efficacia della integrazione del sussidio economico con servizi a sostegno dell’inclusione attiva nel favorire il superamento della condizione di bisogno. Alle perplessità che già abbiamo avuto modo di esplicitare, se ne aggiunge un’altra: manca ogni indicazione sulle risorse, umane e finanziarie, destinate a questo compito42. 4. Che cosa possiamo imparare? Non è agevole tratte nitide lezioni da un quadro di esperienze parecchio variegate, spesso brevi e contraddistinte da una sorta di provvisorietà; un quadro per di più marcato da alcune cesure. È proprio da queste ultime che conviene partire per prime riflessioni di sintesi. Le cesure sono dovute essenzialmente al ciclo politico e al riassetto istituzionale introdotto nel 2001 dalla riforma del titolo V della Costituzione. Al ciclo politico sono palesemente dovute la chiusura dell’esperienza del RMI, innovativa e promettente – pur con i limiti evidenziati – e del RdB del Friuli Venezia Giulia43. In entrambi i casi, ciò avviene col subentro di un’amministrazione di centro-destra a una di centro-sinistra. Della solerte abrogazione del RdB nel 2008, a meno di un anno dal suo avvio, abbiamo già brevemente detto nella sez. 3.2. Quanto al RMI, il suo superamento a vantaggio di un nuovo istituto, il reddito di ultima istanza, era stato annunciato ufficialmente nel Libro bianco sul welfare, presentato nel febbraio 200344, e la formale istituzione del nuovo istituto avviene con la legge finanziaria per il 2004 (legge 350/2003, art. 3, comma 101). Ma le caratteristiche del reddito di ultima istanza restano indefinite, perché le modalità di attuazione sono rimandate a decreti ministeriali, e per il suo finanziamento la legge si limita ad affermare che «lo Stato concorre al finanziamento delle regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza» nei limiti delle risorse preordinate nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali. Si sono incaricati i fatti, poi, a mostrare che il reddito di ultima istanza era una chimera, che rispondeva alla volontà di segnare una discontinuità con 42 È di buon auspicio la previsione con la quale si chiude l’art. 9 del decreto: «I dati anonimi sono altresì messi a disposizione di università e enti di ricerca su richiesta motivata, per finalità di ricerca e valutazione». Ma temiamo che solo di un (non ben fondato) augurio si tratti, date le norme irragionevolmente restrittive che il Codice in materia di dati personali detta in tema di utilizzo dei microdati per la ricerca scientifica. 43 Non ci pare, invece, riconducibile soltanto, o prevalentemente, al ciclo politico l’interruzione, in sostanza la chiusura, dell’esperienza del RdC della Campania. Essa coincide sì con la decisione della nuova giunta di centro-destra, ma appare piuttosto «suggellare quella che si presentava, da tempo, come una morte annunciata e, semplicemente, rinviata per ragioni di opportunità» (Agodi e DeLuca Picione, 2010, pag. 40). 44 Queste le motivazioni: «Il Reddito minimo di inserimento ha consentito di verificare l’impraticabilità di individuare attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale. Per questo motivo si è stabilito di individuare un nuovo sistema – il reddito di ultima istanza – da realizzare e co-finanziare in modo coordinato con il sistema regionale e locale, attraverso programmi che distinguano in modo finalizzato le carenze reddituali derivanti esclusivamente da mancanza di opportunità lavorativa (da affrontare attraverso politiche attive del lavoro che evitino l’instaurarsi di percorsi di cronicità e dipendenza assistenziale) e carenze tipiche delle fragilità e marginalità sociali che necessitino di misure di integrazione sociali e reddituali» (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2003, pag. 37). 34 l’azione avviata nella precedente legislatura col RMI. E, a ben vedere, in questo caso come in quello del RdB del Friuli Venezia Giulia non si tratta soltanto di chiusure di specifiche esperienze, ma di cambiamenti di rotta, che in sostanza mirano ad accantonare la prospettiva stessa di un’organica politica di contrasto della povertà in favore di molteplici interventi che poggiano sul tradizionale impianto categoriale del welfare italiano, su ben maggiori margini di discrezionalità, su un sovraccarico di “delega” all’iniziativa degli enti locali, per di più accompagnato da trasferimenti di risorse magri quando non decurtati. Per un altro verso, la riforma del titolo V della Costituzione, con l’ulteriore spostamento delle competenze in materia di assistenza sociale dallo Stato alle Regioni, fornisce una legittimazione, o meglio un alibi, al ritrarsi dello Stato dall’impegno di investire risorse nella creazione di una rete di sicurezza sociale di base, in particolare di definire un’azione nazionale di lotta alla povertà. E stimola, all’opposto, l’iniziativa delle Regioni. Un’iniziativa tanto vivace quanto segnata da inadeguatezze, che abbiamo documentato segnalando in particolare le incongruenze del RdC campano e del RMG laziale. A questa seconda cesura si accompagna, infatti, l’orientamento in favore di misure che utilizzano impropriamente il termine «sperimentazione» per designarne piuttosto la sostanziale provvisorietà. Una provvisorietà dovuta innanzitutto ai vincoli di bilancio e all’incertezza del quadro delle risorse disponibili a medio termine. Ma acuita, e non poco, dalla scelta di non confrontarsi con i problemi che ciò poneva per il disegno di interventi di contrasto della povertà duraturi, in grado di apprendere da una ben ponderata sperimentazione. E di imboccare, invece, l’illusoria strada dei pronunciamenti enfatici (i titoli delle leggi sono rivelatori), affiancati da normative in buona parte contraddittorie con tali pronunciamenti (l’evidenza più vistosa è bassa la percentuale di beneficiari rispetto agli ammissibili) e da realizzazioni mediocri (a riprova vi sono il contrarsi di parecchi interventi al solo trasferimento monetario – talvolta in cifra fissa, quindi neppure correlato ai bisogni delle famiglie “povere” – e la fragilità, quando non la mancanza, di decorose attività di monitoraggio e valutazione). Insomma, di fronte a una questione, quella della povertà, che ha natura strutturale, in molti casi è prevalsa quella stessa «veduta corta» che Padoa Schioppa (2009) rimproverò parlando della crisi finanziaria scoppiata nell’agosto 2007. Certo, in questo quindicennio non sono mancate esperienze in tutto o in parte positive, dalle quali possiamo imparare: ad esse guarderemo tra poco. Ma la «veduta corta» e la provvisorietà di vari interventi, combinate con le discontinuità indotte dal ciclo politico, hanno pesato parecchio. Così, non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare attuazione a un coerente impegno sul versante della lotta alla povertà. E ancor oggi è dubbio se ci sia, nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del problema. Di queste carenze sono una spia tanto l’eccessiva enfasi posta in alcuni interventi sull’obiettivo del recupero al lavoro e all’autonoma economica45, come se esso fosse proponibile per tutti i poveri, quanto il sostanziale disimpegno di altri interventi da azioni di attivazione e il loro ritrarsi nella dimensione dell’erogazione di un sussidio per pochi. 45 Nella normativa; quel che poi accade nei fatti è altra cosa. 35 Anche dagli errori si impara. A questo è servito lo sguardo sulle otto misure prese in considerazione, descritte e analizzate nei loro tratti essenziali nella sez. 2. In questa prospettiva è istruttivo guardare alla Figura 1, che in termini schematici, ma illuminanti, riassume le caratteristiche salienti delle componente passiva delle varie misure, per quanto attiene al criterio per la prova dei mezzi, al trasferimento monetario e al take-up rate. Due notazioni tornano utili per la sua lettura. Innanzitutto, come già anticipato, la rappresentazione che essa dà delle diverse misure è forzatamente semplificata e va quindi interpretata con le cautele del caso. Restando alle avvertenze di maggior rilievo, va considerato che per la prova dei mezzi si fa sì riferimento a redditi espressi in Euro a prezzi 2011, quindi a potere d’acquisto costante, ma il reddito, anche quando sia equivalente, è calcolato secondo criteri diversi (imponibile Irpef oppure Isee oppure CEE oppure ICEF), ed è quindi solo approssimativamente comparabile; inoltre, va tenuto presente che il take-up rate è stimato rispetto ai richiedenti ammissibili, trascurando quindi i falsi negativi, sulla consistenza dei quali nulla si sa. In secondo luogo, torna utile una semplice chiave di lettura per i diversi pattern del trasferimento monetario. Una retta discendente con un angolo di 45° descrive la situazione, per noi “ideale”, in cui il trasferimento colma l’intero divario fra soglia di povertà e reddito equivalente iniziale, sicché sommando il reddito in ascissa col trasferimento in ordinata si giunge a un reddito equivalente finale che è uguale per tutti i “poveri”, parallelo all’asse delle ascisse e al livello della soglia di povertà. All’opposto, una retta parallela all’asse delle ascisse ci dice che il trasferimento monetario non varia al variare del reddito iniziale (talvolta non equivalente, che non tiene conto cioè della composizione della famiglia), quindi non ha alcun effetto redistributivo – o può addirittura avere effetti redistributivi perversi – all’interno dei “poveri”. ----------------------------------Figura 1 circa qui ----------------------------------Fatte queste precisazioni, le Figura 1 è largamente auto-esplicativa. In tema di trasferimenti monetari in favore dei “poveri”, essa visualizza in maniera efficace la polarizzazione fra interventi ispirati a un criterio redistributivo – dare di più ai più poveri – (RMI, PCS, RdB e RG) e interventi in cifra fissa, che non hanno affatto questa preoccupazione (SC, RdC, RMG) oppure l’hanno in misura limitata (SCS, che ha una soglia di povertà molto bassa e, entro questa, differenzia il trasferimento in funzione soltanto del numero di componenti il nucleo familiare). Merita di essere sottolineata ancora una volta la miopia46 di due misure, RdC e RMG, che, come evidenziato dalla variabile in ascissa, si riferiscono rispettivamente al reddito familiare, senza tenere conto della composizione della famiglia, e al reddito personale, senza tener conto né della composizione né del reddito della famiglia. Palesemente, esse possono produrre effetti redistributivi perversi entro i “poveri”, perché erogano la stessa somma a famiglie con numero di componenti diverso e con reddito diverso (nel caso del Lazio, addirittura anche di molto superiore a quello personale del beneficiario). La Figura 1 segnala poi un’interessante concordanza: le misure ispirate a un criterio redistributivo hanno take-up rate mediamente più alti, e di molto, rispetto agli interventi in cifra 46 Facciamo fatica, infatti, a pensare a un disegno, a una scelta consapevole in tal senso. 36 fissa, vuoi con la consistenza della mera beneficienza (la SC) vuoi tanto magniloquenti nei propositi normativi quanto mediocri, al limite del contraddittorio, nelle realizzazioni (il RdC e il RMG). Restringiamo ora l’attenzione alle esperienze sotto qualche profilo positive, RMI e SC/SCS a livello nazionale e le esperienze regionali del RG e del RdB, sulle quali nella sez. 3 abbiamo svolto una ricognizione delle soluzioni adottate rispetto a rilevanti questioni operative che si pongono nella realizzazione di politiche di contrasto della povertà. Il Prospetto 4 ne offre un quadro sinottico. ----------------------------------Prospetto 4 circa qui ----------------------------------Guardando a queste evidenze, e alle pertinenti evidenze del Prospetto 3 per quanto attiene alla caratterizzazione delle quattro misure considerate rispetto alle policy questions basilari, riassumiamo le indicazioni salienti che ne traiamo in sette punti. (a) La scelta in favore dell’universalismo selettivo è presente in tre misure: il RMI, il RG trentino e il RdB friulano. Essa vi è declinata in modo sostanzialmente concorde, e convincente: la popolazione ammissibile è costituita dai residenti; si fa riferimento al reddito familiare e a soglie di povertà equivalenti (per tener conto della diversa composizione della famiglia); il trasferimento monetario è pari alla differenza fra soglia di povertà e reddito familiare. Anche la SCS (che è invece un intervento-pilota circoscritto territorialmente e quanto a caratteristiche dei destinatari) per l’ammissibilità fa riferimento ai residenti. Differenti sono, invece, i criteri adottati per la stima del reddito familiare equivalente e per la fissazione della soglia di povertà. Nella prospettiva di una misura nazionale, questa diversità di criteri mette in evidenza due snodi. L’uno attiene al modo di comporre l’utilizzo di un indicatore del tipo Isee con informazioni sulla povertà assoluta, prodotte correntemente dall’Istat. Il problema si pone su due piani: per un verso è emersa la debolezza dell’Isee quale indicatore della situazione economica familiare, in parte intrinseca al modo con il quale è definito (ad esempio, con l’esclusione di misure categoriali di sostegno del reddito, quale, ad esempio, la pensione sociale) e in parte perché si presta facilmente a comportamenti elusivi o tout court all’evasione (in proposito vedi il successivo punto (b)); per un altro verso, se per la determinazione della/e soglia/e di povertà si fa perno sulle stime della povertà assoluta – come appare ragionevole – serve muovere verso una marcata ridefinizione dell’Isee, in modo da disporre di un indicatore dei redditi (e del capitale immobiliare e mobiliare) coerente con gli indicatori dei consumi, largamente utilizzati dall’Istat per le stime della povertà assoluta. L’altro snodo attiene a una auspicabile differenziazione territoriale delle soglie di povertà, in modo da tener conto dei divari nel costo della vita, basandosi sulla disaggregazione delle stime della povertà assoluta per macroaree e per città metropolitane-comuni medi-comuni piccoli. Un ulteriore, importante punto critico attiene, infine, alla natura, strutturale o provvisoria, della misura. Solo il RG ha caratteristiche che lo avvicinano di molto a una misura strutturale. 37 L’alternativa – è bene chiarirlo – non è fra “tutto e subito” e la provvisorietà. Vi può ben essere un percorso per giungere progressivamente a una misura nazionale con integrazione piena del reddito fino alle soglie di povertà, sia per vincoli di bilancio sia per affinare le capacità di gestione. Ma la scelta fra imboccare tale percorso e procedere con la «veduta corta» e in modo frammentario si impone. (b) Le evidenze migliori quanto alla gestione della misura, in particolare della sua componente monetaria (ricevimento delle domande e determinazione degli ammissibili, quantificazione del trasferimento monetario, tempestività dell’erogazione, attività per contrastare falsi positivi e falsi negativi, ecc.), vengono dalle esperienze del RG e del RdB – e, sullo sfondo, da quelle della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano –. Si noti, tutte regioni/province di dimensioni modeste e a statuto speciale. Per un altro verso, l’evidenza empirica che viene dalle misure nazionali, RMI e SC, è polarizzata. Il monitoraggio della sperimentazione del RMI segnala la mediocre capacità dei singoli Comuni di verifica delle condizioni economiche delle famiglie, vuoi perché l’unico parametro utilizzato è l’insieme dei redditi correnti, vuoi per la forte presenza, soprattutto in alcune aree del paese, del lavoro sommerso, vuoi per carenza di capacità amministrative consolidate e territorialmente omogenee (problema acuto soprattutto nei piccoli comuni). All’opposto, la SC ha un’infrastruttura di gestione centralizzata (con terminali periferici, la rete degli uffici postali, ben distribuiti), che poggia sull’Isee; il tutto appare oggi abbastanza ben consolidato, anche se, come appena segnalato, l’Isee resta un indicatore della situazione economica decisamente inadeguato. Infine, merita di essere messo in luce che in nessun caso abbiamo trovato evidenze di attività mirate a trovare falsi negativi. Perché? Contano certo le preoccupazioni per i vincoli finanziari – perché mai andare a cercare poveri che, pur essendo ammissibili, non richiedono la misura? – e le modalità tipiche di organizzazione di questi interventi, su domanda. E può ben essere che il rischio di falsi negativi sia inversamente proporzionale al trasferimento monetario atteso, quindi per questa parte un fenomeno trascurabile. Ma il fatto, soprattutto se confrontato con l’attenzione posta al tema in altri paesi (per una meta-analisi della letteratura, che rivela tra l’altro rischi molto alti di falsi negativi, vedi Bargain et al., 2012), segnala un diffuso ritardo, forse sul terreno culturale e della civicness prima ancora che su quello operativo. Da questi riscontri traiamo due indicazioni. È opportuno mantenere il riferimento a una struttura centrale, quale quella della SC, e ad un Isee decisamente rivisto, raccordabile con l’uso di stime della povertà assoluta per la definizione delle soglie di povertà (al punto da configurarsi in larga misura come un nuovo indicatore), per la prova dei mezzi e per i trasferimenti monetari. Ma con almeno due ulteriori innovazioni significative, quindi di non banale attuazione: (i) dal Friuli Venezia Giulia alla Campania, abbiamo riscontrato che vi è un’elevata frazione di famiglie con l’Isee (o un indicatore analogo) pari a zero o molto basso. Palesemente, l’Isee è un indicatore inadeguato, che espone a notevoli rischi di falsi positivi. Ed è 38 plausibile attendersi che anche un nuovo Isee, comunque migliorato, coglierà in modo imperfetto la situazione economica di molte famiglie; le ragioni dell’elusione/evasione di componenti del reddito stanno nella struttura dell’economia italiana e nel peso del lavoro sommerso. A un indicatore della situazione economica profondamente rivisto dovrebbe, dunque, essere affiancato un “controllo dei consumi”, del tipo in atto per il RG trentino, che dovrebbe portare al calcolo di un reddito minimo presunto; (ii) si dovrebbe prevedere, poi, un trattamento di favore dei redditi da lavoro, segnatamente per nuclei familiari che abbiano già goduto della misura e debbano, quindi, essere incentivati ad uscirne per approdare all’autosufficienza economica. All’attività di questa struttura centrale serve affiancare l’azione dei Comuni e del terzo settore. L’azione dei Comuni, con la collaborazione della Guardia di finanza, può risultare molto utile per il “controllo dei consumi” e per la conseguente individuazione dei falsi positivi. D’altra parte, i soggetti del terzo settore impegnati in attività di contrasto della povertà sono correntemente a contatto con le persone e i gruppi marginali: hanno quindi peculiari opportunità e capacità di far emergere falsi negativi. (c) L’affiancamento al trasferimento monetario di misure di integrazione e sostegno sociale, da un lato, e di attivazione, dall’altro, è presente tanto nel RMI, quanto nel RG e nel RdB, quanto infine nella SCS. Qui la questione non sta tanto nell’enunciazione, quanto in una persuasiva messa in atto di questi orientamenti. Ed ha perlomeno due facce. In primo luogo, serve operare una distinzione sufficientemente chiara, anche se reversibile, fra poveri per i quali è ragionevole porsi l’obiettivo di ricondurli a una vita attiva e (almeno in parte) all’autonomia economica e poveri per i quali, per ragioni di età e/o di salute, non vi è tale prospettiva. Certo, il soggetto destinatario dell’intervento è la famiglia e l’azione di integrazione sociale si rivolge a tutti i suoi componenti. Ma l’individuazione delle persone in età attiva e idonee al lavoro è essenziale, perché saranno esse le destinatarie di azioni di attivazione, cruciali per evitare la “trappola della povertà”47. Occorre poi definire azioni appropriate di attivazione, con obblighi reciproci, e soprattutto essere in grado di metterle in atto. Anche alla luce delle esperienze esaminate, è questo uno dei punti più delicati, e difficili, perché chiama in causa le capacità operative di molteplici servizi, in particolare dei Centri per l’impiego, e il loro coordinamento: fronti sui quali le carenze oggi sono forti. (d) Quest’ultima considerazione ci porta al ruolo dei diversi attori. Il problema che si pone riguarda la definizione di un convincente assetto istituzionale-organizzativo. La ricognizione condotta non fornisce risposte. Suggerisce però alcune riflessioni e solleva almeno due domande. Da quanto siamo venuti argomentando, troviamo confermata la ragionevolezza del nostro orientamento per una misura nazionale di contrasto della povertà: con un forte ruolo dello Stato 47 Ciò è vitale sia per efficacia, e in definitiva la sostenibilità, della misura sia per l’accettabilità stessa di uno strumento redistributivo, che verrebbe profondamente minata dalla percezione che ampie fasce di popolazione, concentrate in alcune zone del paese, “vivono di assistenza”. 39 sia sul piano delle risorse finanziarie, sia su quello della definizione degli standard, sia infine su quello di una infrastruttura centrale di gestione48. D’altra parte, la definizione dei progetti di integrazione sociale e lo svolgimento delle azioni di sostegno e di attivazione competono necessariamente ad attori locali. Di qui le due domande. Come combinare l’azione a livello centrale con il ruolo degli enti locali, dei Centri per l’Impiego, delle scuole e di altri servizi pubblici, e con l’indispensabile apporto del terzo settore, in particolare (ma non soltanto: vedi l’indicazione conclusiva del punto (b)) per le azioni di sostegno e di attivazione? Quale scala – o, se si opta per ragionevoli differenziazioni territoriali, quali scale – è conveniente individuare, a livello locale, per il coordinamento delle pertinenti attività? L’interrogativo è spinoso, anche perché ci si trova in una sorta di “terra di nessuno” nella definizione degli assetti territoriali, e delle competenze, delle Province, così come nelle ipotesi di accorpamento (o di forme di coordinamento) dei Comuni. Di massima, pare meritevole vagliare in via prioritaria l’ipotesi di forme associative di Comuni (preferibilmente, con un Comune capofila) per “ambiti” di tipo comprensoriale – ai quali spesso si avvicinano i territori di competenza dei Centri per l’impiego, della rete delle scuole, delle Aziende Sanitarie Locali –. Ma in alcuni casi può essere preferibile, invece, fare perno su Province o Regioni con dimensioni della popolazione tutto sommato modeste, come paiono suggerire le esperienze rispettivamente di Bolzano e Trento e della Valle d’Aosta? E quali altre ipotesi vanno esplorate, avendo come criterio-guida quello di un assetto istituzionale-organizzativo ben funzionante? (e) L’affermazione che l’intervento sarà oggetto di “monitoraggio e valutazione” è una sorta di articolo obbligato nelle normative che istituiscono interventi contro la povertà. Articolo, però, che è anche pressoché sistematicamente disatteso49. L’eccezione iniziale è stata rappresentata dal RMI, ma per le ragioni richiamate nella sez. 3.1 l’esito non è andato al di là di un decoroso monitoraggio. Degli interventi successivi, l’unica eccezione, peraltro di rilievo, si dà per il RG trentino, per il quale si può a ragione parlare di “valutazione prospettica”, in quanto essa è decollata e si è sviluppata insieme con la politica, sin dall’avvio della riflessione sulla sua introduzione, ed è integrata nel processo di realizzazione della politica. Un segnale parzialmente promettente viene poi dalla SCS, che per la valutazione degli effetti dei progetti personalizzati di presa di carico richiede a ciascuno dei 12 Comuni coinvolti di ricorrere a un esperimento randomizzato; sfortunatamente, però, questa prescrizione è inserita in un contesto di indicazioni e di possibili deroghe che rende problematica una sua credibile realizzazione. 48 A confortare questo orientamento vi sono inoltre la disomogeneità di interventi che storicamente caratterizza il welfare locale in Italia e gli squilibri tra aree ricche e aree povere del paese. 49 Ispirandosi alle buone pratiche di paesi evoluti sul terreno del monitoraggio e della valutazione, la legge della Regione Lazio che istituisce il RMG, all’art. 8, detta addirittura una “clausola valutativa”: «La Giunta regionale, con cadenza annuale, presenta una relazione al Consiglio regionale sull’attuazione della presente legge nella quale sono evidenziati in particolare: a) il numero dei beneficiari, lo stato degli impegni finanziari e le eventuali criticità; b) i risultati degli interventi effettuati, anche dal punto di vista dell’analisi costi-benefici». La disposizione è rimasta peraltro un esercizio retorico. 40 Nell’insieme, la ricognizione svolta ha evidenziato, inoltre, un forte deficit informativo in tema di documentazione convenientemente articolata sui beneficiari e ancor più sulle risorse destinate all’intervento (le policy questions B8 e B9). Si impongono dunque decisi miglioramenti. Essi sono essenziali sia per una buona gestione dell’intervento sia per l’esigenza delle amministrazioni di “rispondere”, di rendere conto: alle assemblee elettive e ancor più all’opinione pubblica e alle organizzazioni attive di cittadini. Un dibattito pubblico informato, perché alimentato da solide evidenze empiriche, può avere un ruolo cruciale perché maturi una consapevolezza condivisa sul tema della povertà e vi sia una genuina attenzione a interventi efficaci per contrastarla. In quest’ottica, i miglioramenti si impongono in varie direzioni. L’adozione di un appropriato sistema di monitoraggio e di valutazione, con la riserva di una (modesta) quota del finanziamento per questo scopo, appare indispensabile in particolare nell’ipotesi che il piano nazionale di contrasto della povertà si snodi in più fasi. Altrettanto indispensabile è che le informazioni raccolte e le analisi svolte sull’azione di contrasto della povertà siano diffuse correntemente e in maniera tempestiva, di massima a cadenze preordinate. In particolare, è importante che l’accesso alle basi di dati prodotte per il monitoraggio e la valutazione sia assicurato a qualunque soggetto qualificato, istituto di ricerca o singolo studioso, lo richieda. Come ogni attività di ricerca, la valutazione degli effetti di una politica poggia sull’accumulazione di conoscenze, alimentata dal confronto fra molteplici studiosi50. (f) Conviene, poi, tornare sul tema delle risorse finanziarie. Serve una stima credibile dei costi che una politica nazionale di contrasto della povertà del tipo ipotizzato comporta. Data la difficile situazione economica del paese – segnatamente della finanza pubblica –, è verosimile che la sua realizzazione debba avvenire per tappe, poggiando su un meditato e impegnativo piano a medio termine e inizialmente concentrando l’intervento sui più poveri. Peraltro, oltre (e più) che un vincolo, la gradualità può essere un’opportunità, perché consente di apprendere dall’esperienza e di affinare le modalità con le quali operare sui molteplici, difficili fronti di attuazione dell’intervento. (g) L’introduzione di una politica nazionale di contrasto della povertà con le caratteristiche prospettate impone una rivisitazione dell’intero sistema di welfare. In termini di larga massima, ciò potrebbe utilmente avvenire lungo due linee di intervento: da un lato il progressivo assorbimento entro la misura proposta di molteplici misure categoriali di sostegno del reddito, quali l’assegno sociale, le integrazioni al minimo e simili; 50 Abbiamo già segnalato, ma riteniamo utile ribadire, che ciò richiede una revisione delle disposizioni irragionevolmente restrittive del Codice in materia di protezione dei dati personali. Altrettanto indispensabile è che soggetti pubblici produttori/detentori di grandi basi di microdati, l’Inps in primo luogo, abbandonino logiche proprietarie e adottino soluzioni tecnologiche – del tipo remote data access – che consentono di conciliare protezione della privacy e agevole accesso ai microdati per la ricerca. 41 dall’altro l’affiancamento alla misura proposta di misure con altre finalità: vuoi di contrasto di specifiche condizioni di disagio, quali la disabilità, la non autosufficienza e simili; vuoi di politiche mirate ad altri obiettivi, quali il sostegno per i figli, la conciliazione lavoro-famiglia e simili51. 51 È appena ovvio, ma doveroso, ricordare poi che un’evoluzione del nostro welfare secondo questi indirizzi richiede di collocarsi in un contesto di crescita sostenibile ed equa. Valgono anche per una misura nazionale di contrasto della povertà le condizioni che Andersen e Svarer (2007) hanno identificato come costitutive del cosiddetto “modello di welfare danese”, un’elevata occupazione e salari decenti: «It is important to note that an extended tax financed welfare state presupposes that a large fraction of the population is in employment. For the model to be financially viable, the employment rate must be high. To put it differently, the welfare model is employment focused. […] The Danish welfare model is based on ambitious egalitarian objectives, and a strengthening of the incentive structure by general reductions in various benefits included in the social safety net is not a possible policy avenue. Working poor is not a policy option». 42 Prospetto 1: Policy questions sulle caratteristiche basilari di una misura di contrasto della povertà A1. Ammissibilità alla misura Universalismo selettivo (con criterio per fissare la soglia di povertà) vs. restrizione a categorie o vincolo del finanziamento A2. Entità del trasferimento monetario Trasferimento monetario variabile (in relazione alla soglia di povertà) vs. fisso A3. Affiancamento di altri interventi Presenza vs. assenza di interventi di sostegno sociale e di attivazione al lavoro con condizionalità A4. Continuità della misura Continuità nel tempo vs. intervento “una tantum” o comunque transitorio 43 Prospetto 2: Policy questions sugli aspetti di gestione di una misura di contrasto della povertà B1. Criterio per la determinazione del reddito Tipicamente familiare, con indicatori della situazione familiare (e scale di equivalenza) B2. Modalità per identificare e Centralizzate o gestite tramite i Comuni o tramite il terzo settore confermare i beneficiari: o tramite soluzioni “miste” B3. Tempestività dell’erogazio- Come tempo che intercorre dal bando alla prima erogazione e ne ai beneficiari poi come periodicità delle successive erogazioni B4. Attività per individuare falsi Presenza, intensità ed efficacia delle azioni tese a identificare positivi e/o falsi negativi falsi positivi e falsi negativi B5. Svolgimento di azioni di Assistenza sociale e azioni per migliorare l’integrazione sociale, sostegno sociale e/o di interventi miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico, attivazione al lavoro azioni di attivazione al lavoro che si configurano come condizionalità per i beneficiari Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per l’impiego, scuole, terzo settore, e Stato o Regione per funzioni di regolazione e controllo B6. Ruolo svolto dagli attori B7. Monitoraggio e valutazione Se e come siano svolte attività sistematiche di monitoraggio degli effetti dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti B8. Dimensione dei beneficiari B9. Risorse politica destinate Numero medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari rispetto alla popolazione; caratteristiche distributive salienti alla Stanziamento pubblico destinato alla misura e ammontare della spesa a consuntivo 44 Prospetto 3: Sinossi delle caratteristiche basilari delle misure nazionali e regionali di contrasto della povertà (importi annui in € a prezzi 2011) Misure Periodo Caratteristiche basilari Universalismo selettivo (con soglia di povertà) vs. restrizione a categorie o vincolo del finanziamento Trasferimento monetario variabile (in relazione alla soglia di povertà) vs. fisso Presenza di interventi di sostegno sociale e di attivazione al lavoro con condizionalità Continuità nel tempo vs. intervento “una tantum” o comunque transitorio Nazionali Reddito minimo di inserimento (RMI) Dal 1999 al 2003 Universalismo selettivo: - residenza di 12 mesi per cittadini di stati dell’UE, di 36 mesi per quelli non dell’UE o apolidi - reddito familiare imponibile a fini Irpef inferiore a € 4.059 equivalenti (rivalutati annualmente) - patrimoni mobiliari o immobiliari come possibile criterio di esclusione Trasferimento monetario variabile che porta il reddito familiare equivalente alla soglia di povertà Interventi di integrazione sociale e attivazione nel mercato del lavoro personalizzati con condizionalità (accettazione del programma di integrazione e della eventuale offerta di lavoro), applicati in modo discrezionale dai diversi Comuni «Sperimentazione» in 39 Comuni nel 1999-2000, poi estesa ad altri 267 Comuni (componenti di patti territoriali che includevano alcuni dei 39 Comuni) e conclusa definitivamente nel 2004 Carta acquisti o social card (SC) Dal 2009 al 2012 Limitata ai cittadini italiani. Categoriale in base al requisito anagrafico, con ammissibilità ristretta a (i) famiglie con figli fino a 3 anni e (ii) persone con più di 65 anni Reddito Isee inferiore a € 6.162 (rivalutati annualmente) Trasferimento monetario fisso di € 480 annui, accreditati bimestralmente, con vincoli all’utilizzazione (non rivalutati) Non previsti Misura strutturale con vincolo sulla durata del finanziamento, dipendente dagli stanziamenti del bilancio statale e da donazioni e liberalità Nuova social card sperimentale (SCS) Dal 2013 Selezione “a bando”: - residenza di 1 anni per cittadini di stati della UE e per extra-comunita ri “lungo soggiornanti” - reddito: Isee inferiore a € 3.000 - requisiti familiari: almeno un componente con meno di 18 anni - requisiti lavorativi: senza lavoro tutti i componenti in età lavorativa Trasferimento monetario variabile in ragione della numerosità del nucleo familiare “ristretto”: annualmente, € 2.772 per un nucleo di 2 persone, € 3.372 per un nucleo di 3, € 3.972 per un nucleo di 4, € 4.848 per i nuclei di 5 o più componenti. Attivazione prevista a carico dei Comuni, con progetto personalizzato sottoscritto dal beneficiario e vincolante a pena di decadenza dal beneficio Sperimentazione circoscritta ai 12 Comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti per attuazione di progetti personalizzati, social experiment con trattati pari a metà 2/3 dei nuclei beneficiari 45 Regionali Campania: Reddito di cittadinanza (RdC) Dal 2004 al 2010 Residenza nella regione da 60 mesi Reddito familiare inferiore a € 5.725 Trasferimento monetario fisso di € 4.809 annui, pagati mensilmente Previsto l’impegno a seguire i percorsi di inserimento, di fatto (con eccezione del comune di Napoli) mai attuato Sperimentazione triennale (2004-2006) prorogata due volte, ma interrotta nel 2010 Basilicata: Programma di promozione della cittadinanza sociale (PCS) Dal 2007 a oggi Selezione “a bando”: - residenza da 24 mesi - reddito Isee inferiore a € 3.961 Trasferimento monetario variabile che porta il reddito familiare equivalente prossimo alla soglia di povertà, con un tetto massimo (es. € 3.906 per famiglie con un solo componente) Prevista la firma del beneficiario su un patto vincolante a pena di decadenza dal beneficio Sperimentazione biennale, rinnovata per un altro biennio. Attualmente, in attesa di conferme dalla programmazione del FESR Friuli-Venezia Giulia: Reddito di base per la cittadinanza (RdB) Dal 2007 al 2008 Universalismo selettivo con forti caratteri di temporaneità per sostenere progetti di autonomia personalizzati. Richiesti: - residenza da almeno 12 mesi in regione - reddito CEE inferiore a € 5.425 equivalenti Trasferimento monetario variabile che porta il reddito familiare equivalente alla soglia di povertà, per un massimo di 24 mesi Prevista la firma del beneficiario su un patto vincolante a pena di decadenza dal beneficio Sperimentazione interrotta dopo meno do un anno dei 5 previsti Lazio: Reddito minimo di garanzia (RMG) Dal 2009 al 2010 Categoriale “a bando”: ristretto a persone disoccupate o in cerca di prima occupazione iscritte a un CpI (più lavoratori precariamente occu pati e lavoratori senza retribuzione) Richiesti, inoltre: - residenza da 24 mesi - reddito personale imponibile inferiore a € 8.344 Trasferimento monetario fisso di € 7.301 annuii (eccezion fatta per i lavoratori discontinui, per i quali vale la differenza tra reddito e soglia) Attivazione prevista, ma non realizzata, di prestazioni indirette da parte di Comuni e Province. Rinvio agli obblighi conseguenti all’iscrizione a un CpI, ma esclusione della decadenza se l’offerta di lavoro rifiutata non è «congrua». Sperimentazione, interrotta dopo 1 anno di 3 previsti Provincia Autonoma di Trento: Reddito di garanzia (RG) Dal 2009 a oggi Universalismo selettivo: - residenza da 36 mesi nella provincia di Trento - reddito ICEF inferiore a € 6.780 equivalenti (non rivalutati) Trasferimento monetario variabile che porta il reddito familiare equivalente alla soglia di povertà Patto di servizio con l’Agenzia del Lavoro, pena la decadenza dal programma Progetto di integrazione sociale per soggetti con problematiche particolari Misura strutturale, soggetta a modificazioni e adeguamenti e rifinanziata annualmente 46 Prospetto 4: Sinossi delle principali modalità di realizzazione di selezionate misure di contrasto della povertà, di interesse nella prospettiva dell’adozione di un intervento strutturale ispirato all’universalismo selettivo Modalità salienti Azioni di so stegno sociale e/o attivazione al lavoro Ruolo dei diversi attori Previste, a discrezione dei Comuni Es. di Foggia Previste, con responsabilità dei Comuni Immediata, a fronte della verifica dei requisiti Non previste A bando comunale Entro 120gg. dall’entrata in vigore del regolamento comunale Reddito CEE: Indicatore della condizio ne economia e patrimoniale A sportello Reddito ICEF: Indica tore della con dizione econ. familiare + controllo sui consumi A sportello, presso i CAF convenziona ti Misure Criteri per la determinazio ne del reddito Reddito minimo di inserimento (RMI) Reddito fami liare imponibi le ai fini Irpef, reso equivalen te con un’op portuna scala Carta acquisti o social card (SC) Modalità per presentare la domanda Monitoraggio e valutazione degli effetti Beneficiari: qualche numero Spesa pubblica per la misura Ruolo centrale dei Comuni Previsti. Realizzato solo il monito raggio, valu taz. mpraticabile Nel primo biennio: 35.000 famiglie in 39 Comuni Oltre 220 mi lioni di euro spesi per la pri ma sperimen taz. biennale Non previste Struttura per la gestione: MEF, INPS e Poste Prevista rela zione annuale al Parlamento, mai presentata 535.412 persone rispet to al target di 1.300.000 207 milioni di euro fino al 2011 Previste Responsabilità dei Comuni Prevista ero gazione da parte di Co muni, CpI, sanità, istruz terzo settore Previsti, con valutazione degli effetti tramite esperimento randomizzato Si prevede una copertura del 25% del bacino teorico degli ammissibili 50 milioni di euro per 12 mesi Entro 1 mese il patto provvisorio ed entro 4 mesi il patto definitivo Previste, ma non realizzate Responsabilità dei Comuni Previsto un ruolo attivo per Comuni, CpI, CAF, ASL Prevista, sia intermedia che finale, ma non realizzata 4.264 domande accolte in 6 mesi tra 2007 e 2008 25,2 milioni di euro in 6 mesi tra 2007 e 2008 Prima erogazio ne il 21 del mese successivo a quello della presentazione della domanda, poi mensile Condotte a livel lo provinciale, soprattutto su residenza e par tecipazione a azioni di attiva zione al lavoro Responsabilità dell’Agenzia del Lavoro e dei Servizi Sociali provinciali Ruolo centra le della am ministrazio ne provincia le e attivo di CAF e dei CpI Posta in atto fin dalla delibera attuativa e tutt’ora in corso Circa 7.000 famiglie beneficiarie, quasi la metà straniere Mediamente 17 milioni di euro circa all’anno (0,1% del PIL provinciale) Tempestività erogazione Attività contro falsi positivi A bando comunale Entro 60 gg. dalla presenta zione della do manda e verifica dei requisiti Reddito Isee A sportello presso le Poste Spa Nuova social card sperimentale (SCS) Reddito Isee Friuli-Venezia Giulia: Reddito di base per la cittadinanza (RdB) Provincia Autonoma di Trento: Reddito di garanzia (RG) 47 Figura 1: Requisiti di reddito per l’ammissibilità, trasferimento monetario e take-up rate delle misure di contrasto della povertà considerate: una semplificata rappresentazione grafica (per reddito e trasferimento monetario importi annui in € a prezzi 2011) a Non ammissibili 90 6500 5500 70 5000 4500 60 4000 50 3500 3000 40 2500 30 2000 1500 0 4500 3000 5000 RdC (Campania) Richiedenti ammissibili (e dimensione del nucleo familiare) 100 7000 Non ammissibili 6500 Richiedenti ammissibili 6000 Cinque o piú Quattro 3500 Tre 3000 Due 2500 4500 60 4000 50 3500 3000 40 2500 2000 1500 1500 1000 1000 500 500 0 0 90 70 5000 2000 Non ammissibili 80 5500 Reddito Isee equivalente a 0 7500 4500 4000 10 Reddito Isee equivalente Trasferimento annuo Traferimento annuo 5500 20 0 SCS (12 Comuni con più di 250mila abitanti) 6000 30 500 7500 6500 40 2500 Reddito imponibile equivalente 7000 50 3500 1000 0 80 60 4000 1500 10 500 90 70 5000 2000 20 1000 Non ammissibili Ammissibili 6000 80 Trasferimento annuo Trasferimneto annuo 5500 100 7000 Take-up rate 6000 Richiedenti ammissibili 7500 Take-up rate 7000 6500 SC (Italia) 100 Take-up rate RMI (39 Comuni, estesi a 315) 7500 30 20 10 0 Reddito Isee familiare Il take-up rate della SC si basa sull’iniziale stima del Governo di 1.300.000 potenziali beneficiari. Le rette per la SCS si riferiscono a nuclei familiari con diverso numero di componenti; inoltre per la SCS, in fase di decollo, non si dispone ancora del take-up rate. La stima del take-up rate per il RMG si riferisce alla provincia di Roma. 48 Segue Figura 1 Richiedenti ammissibili Non ammissibili 6000 90 6500 50 3500 3000 40 2500 Trasferimento annuo 60 4000 30 2000 1500 0 4500 3000 RG (Provincia di Trento) 6500 3000 40 2500 30 2000 1500 0 4500 60 4000 50 3500 3000 40 2500 30 1500 20 1000 10 500 10 500 0 0 Reddito imponibile personale 0 Reddito ICEF equivalente 49 90 70 5000 2000 20 1000 Non ammissibili 80 5500 Trasferimento annuo 50 3500 Richiedenti ammissibili 6000 70 60 100 7000 80 4000 0 7500 Richiedenti ammissibili 4500 10 Reddito CEE equivalente 90 5000 20 0 Take-up rate Trasferimento annuo 5500 30 500 100 6000 40 2500 RMG (Lazio) 6500 50 3500 Reddito Isee equivalente 7000 60 4000 1000 0 7500 70 5000 1500 10 500 90 80 2000 20 1000 Non ammissibili 5500 Take-up rate 4500 Richiedenti ammissibili 6000 70 5000 100 7000 80 5500 Trasferimento annuo 7500 Take-up rate 7000 6500 RdB (Friuli Venezia Giulia) 100 Take-up rate PCS (Basilicata) 7500 Riferimenti bibliografici Aa. 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